3 minute read

Cultura

Tabacco Clan Giuseppe Lupo Marsilio

299 PAGINE

18 EURO

SOGNI, PAURE E PASSIONI DI UN TEMPO CHE FU

Ritrovarsi insieme, e fare i conti con la propria vita e il proprio tempo.

È quello che fa il Clan, nel nuovo romanzo di Giuseppe Lupo. Con uno sguardo alla goliardia del passato e la paura per l’incertezza del futuro di Renato Minore

Al momento dello scatto rituale, il capo clan - un chimico che non crede nei valori della tavola periodica, dubbioso di ogni formula - si volta a costo di sfocare la foto. Vuole vedere la reazione sui volti del Clan: “Come ci stiamo consegnando al tempo che verrà?”. Romanzo corale e generazionale, Tabacco clan può ricordare Del Giudice o Tondelli: ma con un tono più conciliante, teneramente malinconico, senza struggimenti, traumatiche fratture, dolori incommensurabili. Giuseppe Lupo racconta una singolare rimpatriata di un gruppo di amici provinciali che si sono conosciuti a Milano quaranta anni prima, un po’ soffocati nel rigore di un collegio cattolico. Si ritrovano per un matrimonio a Stresa, nell’albergo dove ha soggiornato Churchill con una sua amante. I ricordi danno una forma mobile e vivacissima al racconto. Ognuno dei nostri piccoli eroi senza altra gloria se non quella “dello stare insieme, proseguire il gioco dell’amicizia,” si impegna nella

EXFANZIA di Valerio Magrelli

Einaudi

136 pagine

11,50 euro affabilità dei discorsi che celano anche la complessità dei temi e l’inesorabile confronto con lo scorrere dei giorni: “Come ci stiamo consegnando al tempo che verrà?”. I sessantenni di Stresa giocano a pallone, fanno surf, riattivano il lessico della comune identità con le attese, i silenzi, gli equivoci, la liturgia dell’amore a distanza davanti alle cabine telefoniche. Sono come in un’“intercapedine”. “Ci siamo nascosti per osservare gli altri vivere e proteggerci tra un passato glorioso e un futuro incerto”. Dietro, la generazione dei padri che hanno costruito l’Italia; avanti i figli dall’avvenire incerto, nei drammi del presente. Lupo è bravissimo nel rendere il timore e il tremore di un bilancio dolce e insieme crudele. Dolce perché l’amicizia, immaginata come un sogno di vita imposto dalla vita reale, permette quasi di fissare il tempo in una buffa e indimenticabile istantanea. Crudele per tutto ciò che è sullo sfondo, senza essere detto. Inesorabile.

L’infanzia è un mondo nel mondo, la portiamo con noi per sempre senza mai - nel bene e nel male - rimanerne davvero orfani. A suo modo è una dolce e spietata piovra, che a distanza di decenni ci avvolge o ci strozza con improvvise fiammate di struggimento o di spasimo che possono essere ricordi e momenti riaffiorati anche molto proustianamente. Questa delicatissima stanza dei giocattoli, che insegna a contentarsi sin da piccoli di quelli rotti, è il cuore pulsante del nuovo libro di Valerio Magrelli, Exfanzia. Tutto diventa il contrappunto attraverso cui riflettere - anche molto ironicamente - su quel che si è, che si è stati e si è diventati. L’in-fanzia è l’in-gresso in un tempo dal quale si è poi inevitabilmente espulsi, per diventare ex di un passato mai trascorso e sempre reinventato.

Veronica Galletta

Il più prestigioso tra i premi letterari italiani è lo Strega, la cui giuria è composta da oltre 400 personalità della cultura. Dopo l’iniziale proposta di opere meritevoli e la scrematura del comitato direttivo, vengono selezionati i finalisti, che rappresentano il meglio tra quanto pubblicato nell’ultimo periodo. Veronica Galletta, con il suo secondo romanzo, Nina sull’argine, è arrivata tra i magnifici sette dello Strega 2022. E già il precedente, Le isole di Norman, era stato premiato con il Campiello Opera Prima.

Quale pensa sia il segreto per scrivere un buon libro?

La scrittura deve rappresentare quell’equilibrio tra il cercare di costruire comunque una storia e l’avere fiducia in se stessi per lasciare un minimo di briglia sciolta. Spesso mi supera, scrivo anche cose di cui non mi rendo neanche conto. Anche se cerco di controllarla perfettamente, la scrittura riesce comunque a fluire in quella che chiamo “la pagina onesta”. Non è dire la verità oppure essere onesta nella scrittura o raccontare fatti autobiografici, cosa che in real-

Nina sull’argine (minimum fax, 216 pagine) ha una protagonista che è un ingegnere idraulico come lei… tà non si fa mai perché la scrittura è a prescindere un’altra cosa, è essere quel personaggio, viverlo, dargli un pezzetto delle tue emozioni, delle tue cose, di quello che hai visto. E si sente quando si scrive in questa maniera. Lei crede che tutti noi viviamo una vita sull’argine? Su una difesa, una barriera, persino una cesura tra la nostra parte attiva e quella piena di dubbi, le due personalità di Nina?

«Non è autobiografia, è attingere alle mie esperienze. Nina si ritrova per la prima volta a dirigere un importante cantiere, che ho descritto per raccontare le problematiche di livello relazionale che certe opere attivano. E la cui forte interazione con il territorio mi ha permesso di fare un trasferimento tra ciò che succede alla protagonista nel privato e ciò che succede nel cantiere. È autobiografia del sentire, dello straniamento, di chi non si trova bene da nessuna parte».

L’argine è un’opera di difesa passiva, quindi in un certo qual modo è una sconfitta. Non si è riusciti di realizzare delle difese a monte, delle vasche, per cui ci si ritrova a dover erigere un argine. Che ha due lati, uno in cui sei protetto ma non vedi nulla, sei chiuso, e l’altro, dove vedi tutto ma sei completamente esposto e tutto ti può succedere. Ognuno deve vivere come vuole la sua vita, scegliendo quanto tempo vuole restare al di qua o al di là dell’argine. La mia protagonista l’ho messa in bilico, perché si percepisse in modo molto chiaro quali sono le condizioni e le contraddizioni della vita adulta.

This article is from: