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È POSSIBILE SPERARE ANCHE DA VECCHI?

Qualcuno potrebbe ritenere retorico e consolatorio l’interrogativo del titolo, perché la riduzione del tempo futuro dell’anziano indurrebbe necessariamente ad una perdita progressiva di speranza.

Come può sperare un vecchio, rendendo così vivibili i propri anni?

La speranza più promettente è quella di chi vive giorno per giorno, apprezzando ogni momento la vita. Questo atteggiamento si raggiunge con l’impegno alla relazione, alla vicinanza, all’accompagnamento. La speranza si realizza nel momento in cui la vita non è intesa come conquista personale di spazi, ma come ascolto e condivisione.

Il vero nemico della speranza è la solitudine, quella di chi non riesce ad amare, talvolta per una chiusura dell’altro, talaltra per una chiusura volontaria, talaltra ancora per l’impossibilità di costruire un rap - porto di significato a causa di difficoltà ambientali. Chi è solo non spera, perché non ha la possibilità di fare qualche cosa di significativo e quindi si concentra sulle proprie personali perdite, sulle malattie, sui disagi psicologici. È molto facile trasformare questa condizione in una critica alla società in termini generali, accusata perché non sarebbe in grado di offrire amore e protezione. Chi, invece, riesce a trovare gli spazi per costruire una relazione è indotto a sperare, perché dall’incontro può nascere qualche cosa di originale, di nuovo, l’attesa per qualche evento. oramai un classico della letteratura medico-scientifica l’affermazione di un famoso studio longitudinale, secondo il quale a tavola è più importante la possibilità di incontro e di scambio di attenzioni umane rispetto all’attenzione verso il contenuto di colesterolo nei cibi. Anche se l’affermazione potrebbe essere ritenuta paradossale, indica come il vivere in armonia con gli altri, in famiglia e fuori, ha un peso rilevante per la salute, che può essere paragonato ad importanti interventi preventivi dietetici o farmacologici.

La speranza è un fattore che induce salute; è ben noto che la vita piena di vicinanza con gli altri è destinata a durare più a lungo; al pari di un’adeguata attività fisica, di una dieta salutare, di un’attenzione alla prevenzione delle malattie, la speranza indotta dalla condivisione della vita è un fattore che la prolunga.

È doveroso sottolineare che la pre - sione, malattia che riduce la voglia di vivere, che impedisce di apprezzare la luce, la vicinanza: nulla assume rilievo quando il buio domina il passato, il presente e il futuro. Secondo alcuni studi epidemiologici, la depressione si accompagna al 15% delle persone in età non più giovane. Deve essere curata con gli strumenti della medicina, non necessariamente farmacologici, ma anche di tipo psicologico; è una sofferenza da non trascurare né giustificare, come fosse un accompagnamento necessario della vecchiaia. Peraltro, è largamente dimostrato che la depres -

Non esiste un momento della vita dove la speranza si spegne; neppure nella terza età. Per alimentarla possiamo accogliere il supporto della fede, delle relazioni, ma soprattutto stare attenti alle insidie della solitudine disposizione all’incontro non è compromessa dalla malattia o da altre condizioni di disagio psicosociale. Non raramente capita di incontrare persone gravemente ammalate, che conservano la capacità di relazione anche in condizioni di gravissima limitazione funzionale. Ricordo, ad esempio, gli ammalati di sclerosi laterale amiotrofica, che attraverso il supporto di tecnologie avanzate, riescono a comunicare muovendo gli occhi sullo schermo di un computer. Sono colloqui nei quali la vita trionfa sulla rinuncia, sulla chiusura, sulla depressione, sul desiderio di fine. E la vita in queste circostanze è accompagnata dalla speranza, cioè dalla ricchezza psicologica indotta dalla relazione, anche se espressa attraverso modalità molto difficili. Non si deve pensare che la sofferenza si annulli; sarebbe non realistico, però la speranza è in grado di convivere con qualsiasi difficile realtà.

Nemica della speranza è la depres - sione in età avanzata è un fattore che riduce in modo rilevante, oltre alla qualità, la stessa durata della vita. Amica della speranza dell’anziano è invece la fede, per chi ha la fortuna di possederla; amica è anche una città che accoglie e assiste le persone meno fortunate. Ad esempio, dove sono state realizzate, le “Comunità amiche della demenza” sono state attrici di speranza, perché hanno dato senso ai malati e alle loro famiglie, sottraendoli alle incomprensioni, al nascondimento e alla fatica dell’assistenza non condivisa.

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Una Rivoluzione Che Parte Dalla Tavola

Immaginate solo per un momento di poter salvare il mondo con un chicken nugget, una crocchetta di pollo: semplicemente mangiandola. I denti affonderebbero in una tenera carne, ma nessun animale avrebbe perso la vita per quel pasto. Perché quella crocchetta verrebbe da un laboratorio e non da un allevamento.

Immaginate poi che all’improvviso ci sia abbastanza carne prodotta in laboratorio per nutrire tutto il mondo. La lotta alla fame sarebbe una cosa del passato. I terreni ora utilizzati per coltivare mais destinato all’alimentazione degli animali, potrebbero essere riconvertiti in foreste che assorbono CO2 dall’atmosfera, l’allevamento industriale di bestiame non sarebbe più necessario. A dire il vero, soluzioni che sembrano così semplici dovrebbero essere consi- derate con molta cautela. Eppure, c’è un luogo in cui questa utopia sembra ormai vicinissima. Un luogo dove si può assaggiare la carne creata in laboratorio, crocchette di pollo che non provengono dall’uccisione di animali.

Quel posto è Singapore.

La “carne pulita”, ottenuta senza macellazione animale, è prodotta da una startup di San Francisco, Eat Just, che prima di ottenere il via libera ha dovuto sottoporre i suoi prodotti alle autorità regolatrici di Singapore e dimostrarne l’assoluta sicurezza.

Ma come si ottiene il pollo di laboratorio? Il procedimento per ottenere carne coltivata generalmente si compone di quattro fasi e comincia con la ricerca delle cellule migliori di mucche e polli più adatti al processo, che vengono estratte senza causare alcun dolore all’animale. Le cellule prelevate dai tessuti muscolari e dal grasso vengono studiate e inserite all’interno di un bioreattore, una sorta di incubatrice, dove possono continuare a riprodursi all’infinito. Qui vengono alimentate con gli stessi nutrienti di cui si ciberebbe l’animale, come amminoacidi, grassi e vitamine, e lasciate crescere e dividere. cati, e con un contenuto ridotto di ferro eme.

È la prima volta nella storia che un Paese permette la commercializzazione di carne coltivata o cultured meat, una scelta che potrebbe diventare sempre più diffusa e rappresentare un punto virtuoso di non ritorno.

La scelta di produrre e vendere la carne a Singapore del resto non è

Il tutto senza ricorrere a ormoni o antibiotici. Il processo dura di norma dalle quattro alle sei settimane. La Singapore Food Agency include la “carne coltivata in condizioni controllate” tra i novel food, etichetta che descrive cibi che non hanno una storia significativa di consumo o che sono ottenuti con metodologie inedite, come alcuni tipi di alghe e di funghi e - naturalmente - gli insetti. Un altro aspetto potenzialmente rivoluzionario è l’impatto sulla nostra salute. Ormai sappiamo tutti che la carne non è esattamente il cibo migliore per la nostra salute. La ricerca evidenzia come un suo consumo regolare, possa esporci ad un rischio più elevato di malattie cardiache, diabete e ad alcuni tipi di cancro. Ma in che modo la carne coltivata in laboratorio potrebbe essere migliore per la nostra salute rispetto alla carne tradizionale?

Niente grassi saturi, niente antibiotici, nessun ormone della crescita: la carne coltivata sembra avere molti benefici. Tra dieci o vent’anni potremmo averla sugli scaffali dei nostri supermer- casuale, dato che si tratta di una città-stato molto popolosa (5,7 milioni di abitanti) ma priva di agricoltura e che produce solo il 10% del cibo che consuma.

Il prezzo? Ancora non è dato saperlo, ma una cosa è certa: finora il maggior ostacolo alla diffusione della carne coltivata in vitro è stato il costo elevato delle sostanze usate per far moltiplicare le cellule animali. Ma l’azienda ha fatto sapere di aver fatto progressi anche per rendere più accessibili i suoi nuggets. Probabilmente è solo questione di tempo perché questa rivoluzionaria novità compaia anche sulle nostre tavole.

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