Prefazione di Paolo De Petris
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a molti anni sognavo di avere tra le mani un volume come Vintage. A dir la verità, ho sempre sperato che qualche editore gettasse prima di me il sasso nello stagno, dando alla stampa qualcosa di simile a ciò che avrei voluto leggere. Sarei stato certamente un lettore attento e devoto, considerando la passione che coltivo da sempre per il vintage, ed in particolare per gli impianti stereo valvolari, per i vecchi 45 giri e per i flipper. In edicola ed in libreria ho sempre cercato una guida autorevole per conoscere meglio ed apprezzare gli oggetti più belli che siano mai stati realizzati in tutti i settori merceologici – dagli orologi alle autovetture, ai complementi d’arredo - nel periodo che va dal secondo dopoguerra alla fine degli anni ‘80, un periodo di grandissima creatività in tutti i settori, che vide la trasformazione delle ideologie, delle abitudini, degli stili di vita in tutto il mondo. Anni straordinari, caratterizzati da una fervida voglia di inventare e produrre innovazioni, in ogni angolo della terra. In effetti mi sarebbe piaciuto conoscere la storia delle famose affettatrici Berkel e dei jukebox Wurlitzer, dei vecchi orologi Daytona e dei più moderni Swatch da collezione, delle Fender originali, delle Porsche Speedster. Avrei voluto approfondire ogni argomento con dovizia di particolari e curiosità. Avrei voluto sapere dove comprarli e quanto pagarli, anche se non ne avessi avuto la possibilità. Ma non c’era nulla che riunisse in un unico contenitore argomenti e oggetti così diversi tra loro, che possiedono però un denominatore comune. Ora c’è Vintage, il volume che avete tra le mani, che nasce con l’obiettivo ambizioso di rappresentare una guida alla conoscenza e all’acquisto di oggetti straordinari ed immortali, da ricercare, acquistare, restaurare, collezionare, per farli diventare buoni investimenti o beni-rifugio. Ma Vintage può essere semplicemente considerato una miniera di curiosità, rivolte a molti oggetti che probabilmente hanno accompagnato la nostra gioventù - e di cui abbiamo perso ogni traccia – e che tiriamo fuori dall’armadio per rispolverarli e farli tornare a nuova vita. Dodici mesi di lavoro, milleduecento fotografie pubblicate, centinaia di oggetti selezionati con cura maniacale dai migliori esperti del settore in Italia, e siamo solo a metà dell’opera considerando che seguirà nel marzo 2015 un secondo volume con altri argomenti e altri oggetti recensiti, di cui vi anticipiamo il contenuto su diverse pagine pubblicate in questa edizione. In un mondo che corre velocemente, abbiamo voluto fermare per un attimo le lancette, per mandarle indietro. Con Vintage cominceremo ad apprezzare il nostro passato, perché c’è ancora molto da conoscere e da imparare. Se poi sarete conquistati dagli argomenti che abbiamo trattato e avrete voglia di comprare qualcosa che avete visto sulle nostre pagine, vorrà dire che la nostra missione è perfettamente riuscita.
In foto: Gli intramontabili Bordeaux dai nomi prestigiosi quali Château Margaux, Lafite Rothschild, Mouton Rothschild, Lynch Bages, Petrus sono da sempre investimenti sicuri, vintage per eccellenza e definizione. La Casa d’Aste Pandolfini ogni anno li pone all’incanto nel mese di marzo presso il Palazzo Ramirez-Montalvo a Firenze. Per info: www.pandolfini.it
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COMPLEMENTI D’ARREDO: LA STORIA DEL DESIGN SIAMO NOI! A sinistra: moduli “i Casiers”, impilabili e componibili per realizzare anche pareti divisorie su ampie superfici. (Prod. Cassina).
mai. Insieme alla sua giovane collaboratrice Charlotte Perriand e a Pierre Jeanneret presentò al Salone d’autunno di Parigi del 1929 “i Casiers” impilabili (eseguiti da Thonet) i quali avevano la peculiarità di poter essere utilizzati anche come divisori nelle camere (LC Casiers Standard 1925) e gli arredi in tubolare di acciaio (derivati dall’approfondimento dello studio delle Thonet viennesi). Alcuni dei suoi mobili più noti hanno fatto la storia del design: la serie “LC” disegnata da Le Corbusier con Pierre Jeanneret e Charlotte Perriand la poltroncina con schienale LC1 (1928) commercializzata da Cassina a partire dal 1965 ispirata alla sedia “Sahariana” con il caratteristico bracciolo formato da una cinghia tesa di cuoio che scorre su due punti e dal ca-
Sotto: Chaise Loungue “LC4”, il capolavoro di Le Corbusier, Pierre Jenneret e Charlotte Perrand.
ratteristico pellame in cavallino. La poltroncina ed il divanetto LC2 – LC3 (1928) prodotti da Cassina; considerati come vere e proprie macchine per sedersi, come utensili, funzionali al massimo, cuscini imbottiti di piuma e rivestiti in pelle o tessuto; eseguiti in due modelli (grand model e petit model), entrambi di forma squadrata, rigorosa, funzionale, venivano denominati “cesti per cuscini”. La loro caratteristica consiste nell’essere interamente eseguiti in tubolare di acciaio curvato. Poltroncina girevole LC7 e Tavoli LC6 e LC10 (1928). Ma la più famosa ed imitata da tutti è la “Chaise Longue a Reglage” LC4 (1928) tipica icona del design. Prodotta da Thonet nel 1928 e da Heini Weber nel 1958 è stata ripresa da Cassina a partire dal 1965; base in acciaio verniciato scatolare nero opaco e la culla basculante in acciaio cromato lucido sapientemente curvato, materassino in pelle con pelo o pelle nera e poggiatesta cilindrico, fissato alla struttura attraverso cinghie in cuoio.
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Poltroncina “LC 1”.
Poltroncina e divanetto “LC 2” - “LC 3”.
Tavolo “LC-6” e poltrona girevole “LC-7”.
COMPLEMENTI D’ARREDO: LA STORIA DEL DESIGN SIAMO NOI!
Sopra e a destra: sgabello impilabile di Alvar Aalto.
Vaso in cristallo “Savoy”. Produzione Ittala. 1935.
Chaise Longue in betulla di Artek.
Sotto: poltroncina “Coconut Chair”. Prod. Vitra.
Autore di notissimi oggetti emblematici del design scandinavo dei primi anni ‘30 è l’architetto finlandese Alvar Aalto primario esponente del cosiddetto razionalismo organico. Sposa Aino Marsio e lavorano insieme per i più importanti progetti di architettura e di design. Grande passione viene riposta dai coniugi Aalto allo studio della curvatura del legno, mentre in Italia e Germania si studiava la curvatura dell’acciaio. Conoscevano bene tutte le procedure adottate dalla casa viennese Thonet per curvare il legno a vapore. La Società Artek, da loro creata, diffonde in tutto il mondo le creazioni eseguite con l’uso del legno, risorsa abbondante nei paesi scandinavi (soprattutto in Finlandia), in particolare quello di betulla, per le sue caratteristiche di elasticità e grande resistenza. Alvar e Aino Aalto brevettano nel 1933 un tipo particolare di piegatura del legno per realizzare gli sgabelli impilabili utilizzati poi nella Biblioteca comunale di Viipuri inaugurata nel 1933. La piegatura a “elle” si otteneva inserendo del compensato nel legno massello, poi piegato a vapore. Vengono adottati diversi tipi di piegatura: a ginocchio; a “Y” binata (1946/47); a “X” o a ventaglio (1954) e ad “H” per la produzione dei tavoli. La passione per l’esplorazione delle tecniche costruttive li porta a cimentarsi con l’arte vetraria e nascono i sinuosi vasi soffiati in vetro “Savoy” prodotti da Ittala e presentati all’Expò di Parigi del 1936. Molto apprezzata ed esposta nei musei di tutto il mondo è la poltrona modello 41 “Paimio” (1931-1932) usata dall’architetto Aalto per le sale di lettura del Sanatorio di Paimio. Attualmente è prodotta da Artek. È realizzata riunendo magistralmente “a mazzo” fasci di betulla a sezione quadrata e rotonda poi pressati ed incollati. La seduta è in multistrato di betulla curvata con una serie di fessure nella parte alta; è eseguita a telaio chiuso; Chaise Longue in betulla e con telaio aperto sempre di Artek del 1937 presentata all’Expò di Parigi nello stesso anno. Sempre prodotti da Artek gli sgabelli eseguiti con tecnica “a ventaglio” e “binato” (1933-1947-1954). L’architetto George Nelson sosteneva che il design avrebbe migliorato il mondo, già perfetto e armonioso ma rovinato dalla mano dell’uomo. Fu insieme a Charles e Ray Eames uno dei fondatori del Movimento Moderno americano; ci regala gioia e serenità con la sua poltroncina “Coconut Chair” (1955) sagomando un unico pezzo di gommapiuma. La sua idea nasce da un cocco tagliato in otto parti con la caratteristica dei colori invertiti rispetto al frutto tropicale. Prodotta da Herman Miller e a partire dal 1988 da Vitra. Un’altra opera singolare è il divano ripetibile all’infinito pop “Marshmallow Sofa” 1956, definito anche “caramella gommosa” per la sua forma colorata ed ammortizzata (Prod. Vitra).
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Sopra: poltrona modello “41” Paimio.
Divano pop “Marshmallow Sofa”. Prod. Vitra.
COMPLEMENTI D’ARREDO: LA STORIA DEL DESIGN SIAMO NOI!
Sopra: sedia “Formica” in compensato di faggio. Per la mensa di Nuovo Nordisk in Danimarca. A destra: poltrona “Egg”.
Il noto architetto danese Arne Jacobsen ha contribuito a dare lustro all’architettura di quegli anni progettando diverse opere. Il suo design, avveniristico per gli anni ‘50, è diventato un classico e le sue creazioni costituiscono icone del XX secolo. In effetti la sua fama di designer superò quella di architetto. È celebre per la sua produzione di lampade (“AJStandard Lamp” del 1960) ma soprattutto di sedie e poltrone; alcune di queste sono ancora in produzione dopo più di 50 anni. La sua prima creazione fu la “formica” sedia a tre gambe del 1952 realizzata in compensato di faggio. Subito dopo progettò per Fritz Hansen una serie di prodotti multifunzionali chiamati “Series 7”, la poltroncina “Swan” (1958) e la sinuosa e coloratissima poltrona “Egg”. Quest’ultima divenne famosa per la sua comodità (movimento oscillante regolato da una leva), dovuta alla particolare forma avvolgente dello schienale e dei fianchi e soprattutto per la gioia che trasmette a chi la osserva per i suoi particolari colori vivaci e freschi.
Sedia “Serie 7”. Fritz Hansen.
Poltroncina “Swan”. Fritz Hansen.
L’universo dei grandi esponenti di questi anni è caratterizzato anche dal lavoro pregevole e rigoroso dell’architetto svizzero Max Bill; probabilmente lo studente più famoso del leggendario Bauhaus di Dessau, esponente della corrente costruttivista e forte sostenitore del formalismo, della purezza estetica. Progetta per la Junghans, oltre ai diversi orologi da polso, l’orologio a parete (1961) eseguito con rigoroso essenzialismo che poco concede alla forma esteriore. Le sue opere per certi versi anticipano la corrente minimalista degli anni ‘80. Un ultimo accenno, prima di passare al design italiano, lo merita l’industriale francese Xavier Pauchard il quale nel 1933 aveva progettato la famosa sedia “Modello A” in acciaio galvanizzato, chiamata “Tolix”. Fu commercializzata negli anni cinquanta per merito di Jean Pauchard che ne modificò il progetto, con l’aggiunta dei braccioli. Armchair A56, il design originale di Xavier Pauchard, ottenne un tale successo (anche per la seduta bucherellata che permette all’acqua di defluire quando la sedia è usata per spazi esterni) che la francese Tolix continua a produrre questa sedia ancora adesso in diversi colori e in versione aggiornata.
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Poltrona “Egg”. Fritz Hansen.
Sopra: Max Bill: orologio a parete Junghans. A sinistra: sedia Tolix in acciao galvanizzato.
COMPLEMENTI D’ARREDO: LA STORIA DEL DESIGN SIAMO NOI!
Sopra: Fiat 500 con portiere controvento disegnata da Dante Giacosa. Compasso d’Oro 1957.
Sopra: Vespa 125 “Bacchetta”.
Sopra: la mitica vespa, icona di tutte le generazioni dagli anni ‘50 ad oggi.
Il compasso d’oro: premio internazionale per il design, istituito nel 1954.
IL DESIGN IN ITALIA - GLI ANNI ‘50 Gli anni ‘50 in Italia sono caratterizzati da un particolare clima intriso di creatività e fiducia spinto anche dal modello consumistico americano. L’Italia vive una fase storica di innovazione e di sviluppo economico e sociale. Incomincia la motorizzazione di massa, arrivano gli scooter (Vespa-Lambretta), si sviluppano velocemente le infrastrutture autostradali, nasce la “Seicento” e, per la famiglia italiana, la microscopica “Cinquecento” Fiat di Dante Giacosa con la sua struttura portante in lamiera di acciaio. Con la stessa abilità ingegneristica Alec Issigonis in Inghilterra realizza la Mini Austin Morris. La RAI inizia le trasmissioni, con il primo carosello nel 1957; guardare la televisione diventa un vero e proprio appuntamento, le famiglie si riuniscono la sera per assistere agli spettacoli serali a casa, ma anche nei bar e nei locali provvisti di televisione, portandosi anche la sedia. Tutti desiderano avere un televisore (Vega) realizzato con valvole e tubi catodici. Tutti desiderano avere un frigorifero (Smeg), una radio (Magnadyne), un telefono (Ericofon), un giradischi o piccoli elettrodomestici (robot Mulinex, la caffettiera Bialetti). In questi anni di fermento furono protagonisti tanti architetti e progettisti che hanno lasciato il segno nei tempi attuali, come l’architetto urbanista e designer Franco Albini, il quale si distinse per aver saputo coniugare nella sua attività professionale aspetti come la ricerca di un contatto creativo con quelle che erano le nuove tecnologie, sia per le opere di design che per quelle di architettura; particolare ricercatezza nel dettaglio improntato ad un’estetica essenziale ed infine la ricerca di un collegamento con il contesto storico ed un dialogo con ciò che è preesistente. È stato riconosciuto uno dei più importanti Razionalisti italiani. Albini aveva sperimentato e progettato gli scaffali sospesi già prima della guerra (1940) “serie LB7”; avevano la peculiarità di essere a geometria variabile ed estensibili in altezza e larghezza. È l’autore della premiata poltroncina “Luisa” considerata una delle espressioni simboliche del design italiano e frutto del lavoro comune tra Franco Albini ed i Fratelli Poggi. Nel 1955 Albini fu premiato con il Compasso d’oro che volle definire “un premio al 50%” riferendosi proprio al contributo sostanziale ricevuto dall’Azienda Poggi. Albini è anche l’autore della poltrona a dondolo “Canapo” (1945) considerata uno dei progetti più significativi di quel periodo. Struttura e archi laterali in frassino naturale o tinto ardesia e noce tinto mogano; la tela portante in tessuto ecrù è fissata attraverso corde che disegnano un motivo grafico lungo i lati; il cuscino in poliuretano espanso è rivestito in pelle o tessuto ed è suddiviso in moduli che lo rendono ripiegabile su se stesso. Intanto l’Italia cresceva a ritmo sostenuto. L’ingegnere accademico Giulio Natta è insignito del Premio Nobel per la chimica ed apre il futuro alla ricerca sui polimeri. Entriamo negli anni della plastica. È il boom del “Made in Italy”. In questo periodo nascono e si esportano gli oggetti di design che diventeranno “icone” in tutto il mondo. Il vero cambiamento è l’esplosione dei consumi di massa. La produzione industriale raddoppia. Gli italiani sono pieni di speranze per un futuro che riserva tante novità positive. Si susseguono grandi mostre, fiere, triennali e nasce, su idea di Giò Ponti,
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Sopra: la celeberrima Moka Bialetti, icona di design da oltre ottant’anni.
Poltroncina “Luisa”. (Cassina. I Maestri). Compasso d’oro 1955.
BERKEL: FETTE SEMPRE PERFETTE
Modello 8.
vità, vengono vendute nel mondo 2.734 affettatrici, di cui circa la metà nel Regno Unito e nelle sue colonie ma anche in Russia, in Cina e in Sud America. Van Berkel aveva anche un acuto senso degli affari, e per facilitare ancor più la diffusione dei suoi prodotti nel 1910 propose agli acquirenti una facilitazione di pagamento mai vista prima di allora, ossia il pagamento rateale. Proprio così, a quanto sembra questa formula di acquisto fu attuata per prima proprio dalla Berkel: niente male per una start-up (come si direbbe oggi) nata dalle esigenze di un giovane salumiere olandese! L’azienda continua a produrre anche durante i lunghi anni della Prima Guerra Mondiale affiancando alle tradizionali affettatrici strumenti meccanici, torni e - contribuendo allo sforzo bellico del proprio paese - persino aeroplani; nel 1918 inoltre inizia la produzione di bilance di precisione, altra categoria di prodotti ove il marchio Berkel raggiungerà vertici di assoluta eccellenza. Nel dicembre 1952 Wilhelmus van Berkel si spegne in Svizzera, lasciando un ramificato impero commerciale con fabbriche ed uffici in quasi ogni continente. “Buy the best and forget the rest” (compra il meglio e dimentica il resto) è uno dei più efficaci motti commerciali della Berkel, la cui posizione di predominio tuttavia inizia ad incrinarsi man mano che la tecnologia avanza diffondendo sul mercato le affettatrici elettriche, che richiedono attività manuali del tutto irrisorie, e sono di dimensioni e soprattutto di prezzo più contenuti. Le meravigliose macchine Berkel sono sempre meno richieste, e vengono ben presto sostituite nelle macellerie di tutto il mondo dai nuovi, più aggiornati ma assai meno affascinanti strumenti elettrici. L’azienda così passa di mano, assorbita nel 1993 da una multinazionale inglese, ma nel 2004 inizia di nuovo a brillare di luce propria con l’acquisto del marchio Berkel da parte di due manager italiani (www.berkelinternational.com): alle tradizionali doti di affidabilità, precisione, sicurezza e igiene connaturate alla storia della ditta olandese si unisce ora il design di architetti italiani, che proietta le “nuove” macchine Berkel ben addentro il XXI secolo. LA RINASCITA DELLE FENICI A differenza di alcuni prodotti vintage che hanno già nel loro DNA caratteristiche tali da renderli unici – pensiamo ad esempio agli oggetti Brionvega, progettati fin dalla nascita per lasciare un segno nella storia del design – le affettatrici e le bilance Berkel non possono certo vantare questo pedigree. Esse nascono e vivono quali strumenti di lavoro, meravigliose sì, apprezzate per la qualità della fattura e l’eccellenza delle prestazioni, ma pronte ad essere scartate non appena prodotti funzionalmente migliori e soprattutto più economici compaiono sul mercato. Così, con la crescente diffusione delle affettatrici elettriche e delle bilance elettroniche, i prodotti Berkel vengono via via dismessi e rottamati nel vero senso del termine: non era certo pensabile allora che un’affettatrice Berkel originale collocata nel proprio salotto avrebbe rappresentato, qualche anno dopo, un vero status symbol! Man mano però che le macchine Berkel finiscono nelle cantine (quando va bene) o appunto nelle discariche, sorge nella mente di alcuni appassionati di meccanica l’idea di recuperare non solo i modelli originari in condizioni quanto più possibile di integrità, ma anche parti di essi, ricambi, manuali d’uso originali, locandine pubblicitarie, insomma ogni possibile parte meccanica e non legata ai prodotti Berkel. Questi “angeli salvatori” non sono quasi mai gli ex proprietari delle affettatrici, bensì appassionati di meccanica rimasti
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Le bilance prodotte da Berkel vantano la stessa precisione meccanica e le finiture delle più famose affettatrici. Ancora oggi perfettamentente restaurate, posso garantire prestazioni di alto livello nel rispetto degli standard originali di Berkel. Più facili da trovare sul mercato rappresentano il gradino di ingresso nel mondo Berkel e sono destinate a rivalutarsi nel tempo.
BERKEL: FETTE SEMPRE PERFETTE
Berkel modello 9.
Sopra: Le affettatrici Berkel si sono fatte apprezzare per l’estrema cura del dettaglio e la qualità dei componenti, garanzia di affidabilità e durata nel tempo.
affascinati dalla genialità dei meccanismi che animano il movimento di questi straordinari prodotti, e che decidono quindi di fare di tutto per riportarle al loro splendore originario. Non è un caso che parecchi di loro si trovino in Emilia-Romagna, terra non solo ricca di piccole e agguerrite officine meccaniche ma anche patria gastronomica di rinomati salumi e carni: un connubio insolito all’apparenza, che tuttavia a ben vedere altro non è se non la prosecuzione in terra italiana delle motivazioni e delle passioni alla base delle creazioni di van Berkel. L’azione di recupero svolta da questi artigiani si è rivelata particolarmente preziosa per la conservazione di materiale che a questo punto ha acquisito una reale valenza storica, trattandosi di prodotti usciti di produzione a volte anche cento anni fa, e che altrimenti avrebbe fatto una fine ingloriosa come metallo fuso: oggi invece essi vivono di nuova vita nelle collezioni - ma sarebbe meglio chiamarli musei - messi su dai nostri artigiani. A fianco di questa attività svolta per collezionismo personale, col tempo essi hanno scoperto anche una vocazione nell’aiutare altri appassionati a far rivivere i proprio malandati gioielli. Eccoli dunque andare in giro per i mercati delle pulci e le fiere di tutta Italia in cerca di pezzi di ricambio originali, con i quali riportare allo stato originario vecchi modelli di affettatrici. Ed eccoli ancora inventare tecniche specifiche di restauro, costruire (a volte anche a mano!) quelle parti di cui non si trova più il ricambio: in altre parole, questi artigiani diventano restauratori né più né meno dei loro colleghi che si occupano di rivitalizzare un mobile del Settecento. Anche perchè una Berkel riportata allo stato originale, oltre ad avere un notevole valore economico, è a modo suo anch’essa un pezzo di antiquariato che può benissimo essere esposto nella dimora di un collezionista (cosa che peraltro avviene più spesso di quanto si pensi!) Ci piace dunque indicare ai tanti appassionati dei prodotti Berkel, un po’ come una “comunicazione di servizio”, un paio di operatori specializzati cui rivolgersi per il restauro, le riparazioni o anche la semplice manutenzione delle affettatrici Berkel. L’indicazione è assolutamente personale e non esaustiva, poiché esistono altri restauratori altrettanto qualificati: ma ho scelto questi perchè hanno un’origine identica, realtà nate per caso e che via via si sono solidificate esclusivamente grazie alla crescente passione dei fondatori - non di rado trasmessa di padre in figlio. BOTTEGA O MUSEO? Non lontano da Fornovo di Taro (PR), in località Viazzano nel comune di Varano de’ Melegari, si trova “La Bottega del Restauro” (www.labottega-delrestauro.com). L’attività di questa piccola ditta nasce per puro caso, allorché il capofamiglia Icilio Luca si regalò per il pensionamento (!) un’affettatrice Berkel tutta da restaurare. Il risultato dei lunghi sforzi e sacrifici spesi per rimettere in sesto quell’oggetto portarono non solo alla creazione di una collezione di macchine Berkel unica in Italia, ma anche al “contagio” della passione per Berkel nei confronti del figlio Erik, che nel 1999 fonda appunto “La Bottega del Restauro” per dedicarsi interamente ai prodotti della Casa olandese. Focalizzata, com’è ovvio, soprattutto nel restauro, l’azienda in realtà interpreta in senso molto ampio la sua mission di recupero, raccogliendo tutto ciò che ruota intorno ad un prodotto Berkel quali ad esempio progetti, brevetti, locandine pubblicitarie, recensioni d’epoca, materiale fotografico. Quanto alle macchine, nell’arco di pochi anni la piccola
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Sopra: Berkel modello 9 color crema.
Sotto: Il modello 9H, affettatrice di medie dimensioni, restò in produzione dal 1936 al 1969.