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OPEN Una lunga storia di arte all’aperto che si avvicina al ventennale di Carlotta Scarpa «Un piccolo computer, tanti sogni e progetti da realizzare ed un’idea semplice: creare una mostra a carattere internazionale di sculture ed installazioni all’aperto durante la Mostra del Cinema. Un’idea per iniziare, per incontrare l’arte quasi per caso, sulle vie o lungo il mare e per poi rimanere piacevolmente stupefatti e magari innamorarsene.» Con queste parole Paolo De Grandis ricorda gli inizi di OPEN. Un evento che sin dalla prima edizione si è contraddistinto per il felice connubio tra artisti internazionali, a rappresentare il loro paese, e le forme plastiche di sculture ed interventi site specific presso le aree
verdi del Lido di Venezia. Un’esposizione che mira a conciliare il fervente milieu che si viene a creare a Venezia nel corso della Mostra Internazionale di Arte Cinematografica con scelte linguistiche scultoree e plastiche tese a contaminare l’ambiente circostante. Non, dunque, una semplice sovrapposizione di diversi processi espressivi, ma un autentico dialogo tra due sfere del mondo artistico figurativo, dal quale entrambe possano risultare arricchite e comunque poste in discussione. Se come affermò Pierre Restany, presidente del comitato scientifico fino al 2003, la prima edizione del 1998 risen-
tì dell’influenza egemonica dell’arte pubblica, cioè di una scultura scevra da possibili influenze degli stili pittorici del XX secolo e dunque propriamente idonea ad essere inserita nello spazio moderno sociale, in seguito le successive edizioni, ed in particolare quella del 2000, videro la crescita esponenziale di nuove partecipazioni asiatiche ed oltre oceano. A creare un ponte tra Oriente ed Occidente fu proprio Taiwan, con la quale Paolo De Grandis aveva già avviato un’importante collaborazione portandola per la prima volta alla Biennale di Venezia. OPEN2OOO raggiunse dunque le trenta partecipazioni con
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LIDO DI OGGI LIDO DI ALLORA l’incremento di partecipazioni asiatiche come Singapore, Hong Kong e Giappone e di quelle sudamericane con l’Ecuador, il Brasile, il Cile, la Colombia ed il Messico. Fin dagli esordi, l’alto livello qualitativo del criterio di selezione si mantiene nelle edizioni successive. Dopo Pier Paolo Calzolari, l’Italia sarà rappresentata da Fabrizio Plessi, poi da Emilio Vedova fino a Mimmo Rotella Rotella, dopo Cesar per la Francia seguiranno Arman, Raynaud e Bernar Venet, dopo Beverly Pepper, gli Stati Uniti saranno rappresentati da Carl Andre e da Keith Haring. Queste prime quattro edizioni sono state dunque promotrici di quelle istanze internazionali tese ad una rivalutazione dell’arte contemporanea, in un più ampio obiettivo di apertura e presenza su scala mondiale nel territorio veneziano. L’arte di OPEN è stata in più occasioni animata da temi che hanno segnato la sua evoluzione stilistica. La Globalizzazione dell’Arte ha contrassegnato l’edizione del 1999, caratterizzata dall’allora nascente consapevolezza di una società sempre più pluralistica e multietnica dove appunto i confini tradizionali che separavano l’individuo dall’ambiente tendevano - ed ancor oggi tendono - a dissolversi. E dunque Arman, Theodoros, Ju Ming e Carl Andre si fecero portabandiera di questa edizione tesa a ridefinire gli spazi all’aperto in un sistema dinamico di interattività e relazionabilità fra i più percorsi culturali ed esperienze personali. Diretta prosecuzione di tale riflessione è stata la creatività al femminile quale centro del problema dell’informazione e della comunicazione artistica. L’Immaginaire Féminin segnò, infatti, il tema del 2002. L’idea di presentare quaranta artiste, oltre a marcare il ruolo della donna nel sistema sociale e politico, si trasformò in un’esperienza stimolante di creatività nei linguaggi dell’arte. Un’edizione celebrata dalla presenza di Yoko Ono che con l’installazione Ex It varcò la soglia della memoria di ogni razza e di ogni paese presentando quaranta bare con all’interno una pianta di ulivo. Un’edizione che ha inoltre precorso i tempi data la grande affluenza di artiste donne alle Biennali internazionali. Il 2003 ha visto invece celebrare il sodalizio tra Arte e Cinema. Due generi che si compenetrano e completano,
OPEN 2005, Rabarama, Lungomare Marconi.
OPEN 1998, Igor Mitoraj, Hotel The Westin Excelsior.
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Premio OPEN 2003, Takeshi Kitano e Paolo De Grandis, Terrazza Martini Hotel The Westin Excelsior.
OPEN 2008, Marc Quinn, Piazzale S. M. Elisabetta.
OPEN 2001, Keith Haring, Pierre Restany e Paolo De Grandis, Hotel The Westin Excelsior.
67 due forme artistiche che vivono d’immagine e si nutrono del desiderio di tradurre emozioni. E così presero parte artisti-registi, come Julian Schnabel, che hanno plasmato le loro storie dando vita ad immagini filmiche che diventano quadri, scultori e pittori che si sforzano di andare oltre la materia inerte per avvicinare l’emozione all’immagine in movimento. Ma non solo, attirati oltre i confini del proprio mestiere, volti celebri della macchina da presa si cimentarono nelle discipline contigue, come Dennis Hopper e Gina Lollobrigida che con la sua presenza all’inaugurazione generò un vero e proprio caso mediatico. L’impegno e la considerevole rete di scambi che Paolo De Grandis ha instaurato e sviluppato nel corso della sua carriera con l’Oriente, unitamente ai debutti di nuovi paesi alla Biennale di Venezia, sono indicativi della scelta tematica del 2004 (OPENASIA), dedicata interamente all’Asia. Un’edizione destinata all’arte contemporanea orientale e alle sue tendenze più innovative, che ha rappresentato un’occasione straordinaria per conoscere talenti emergenti e proporre quelli già affermati e per scoprire, nondimeno, le interpretazioni inedite ed i risultati formali accattivanti di molti artisti occidentali che, nel corso della loro formazione, hanno sviluppato una forte attenzione verso l’antica tradizione figurativa orientale. L’esposizione dunque che non solo ha proposto un’incursione in una realtà culturale specifica, ma ha messo a fuoco interpretazioni trasversali di una tematica di interesse globale. Tra i quarantatre artisti in mostra, OPENASIA ha presentato in anteprima mondiale Onochord di Yoko Ono (Nutopia), ha visto la curatela di Philippe Daverio con il progetto intitolato Gli Etruschi in Oriente ed ha confermato la guida curatoriale di Chang Tsongzung che sin dalla prima edizione ha dato il suo prezioso contributo. Ed è proprio dal punto di vista curatoriale che OPEN ha dato forma alla sua vocazione internazionale. Sono passati, infatti, nomi di prestigio quali: Alanna Heiss, Lòrànd Hegyi, Robert C. Morgan, Philippe Daverio, Achille Bonito Oliva, Efi Strousa, Chang Tsong-zung, Lina Tsikouta, Jin Sup Yoon, Sirje Helme, Serena Mormino, Gloria Vallese, Nevia Pizzul Capello, Enrico Pedrini, Daniela Palazzoli, Christos Savvidis, Gertrud
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Kohler-Aeschlimann, Yang Wen-i solo per citarne alcuni. Ma dietro tali figure di rilievo, l’“antenato” resta comunque Pierre Restany che come ricorda De Grandis: «Lo conoscevo dai tempi dei miei soggiorni parigini a casa del comune amico Cesar. Soggiorni contraddistinti da lunghe chiacchierate sul Nouveau Realisme. Fatto ritorno a Venezia gli proposi di presiedere al comitato scientifico ed il suo entusiasmo contraddistinse la linea curatoriale fino al 2003, anno della sua triste scomparsa. Pierre amava OPEN e, per dirla con le sue parole: ‘Come tutte le grandi idee è semplice, evidente e funziona da sé’». L’eterogeneità e la fisicità sono alcune delle caratteristiche di OPEN ed in particolare tali due accezioni hanno contraddistinto l’edizione del 2005: sculture dal grande impatto visivo, Premio OPEN 2001, Mimmo Rotella e Paolo De Grandis, Terrazza Panoramica Collezione Peggy frutto di pratiche avvolgenti che in- Guggenheim. vadono l’intero ambiente, dai replicanti di J. Seward Johnson, passando per Rabarama fino alle monumentali sculture di Sebastian. In un presente al centro di tensioni politiche in grado di monopolizzare anche la sfera culturale, la bruciante attualità diviene una presenza costante come nell’arte di B.zarro che con l’opera Cavallo di Troia, un vero aereo F104 da guerra, denunciò la politica di intervento internazionale. Se fino al 2005 si era cercato di individuare un nucleo plurale, capace di determinare i percorsi della creatività di artisti riconosciuti a livello internazionale, in occasione della nona edizione, si è data voce anche ad una serie di artisti provenienti dalla Accademie di Belle Arti, che, risultati marginali se non del tutto assenti da ogni rassegna espositiva internazionale, hanno però trovato in OPEN occasione di vivo confronto. Una nuova linfa da coniugare in un percorso espositivo comune che faccia il punto dell’esperienza delle Accademie internazionali e dei risultati ottenuti. OPEN2OO6 cerca di definire alcuni ambiti, alcuni contesti che arricchiscono il bouquet di questa “fabbrica di arti”, dei percorsi della creatività accademica proveniente da Macao, Venezia e Vienna. Da allora hanno partecipato ad OPEN la National Taiwan University of Arts, l’Accademia di Belle Arti di Bologna, l’Accademia di Belle Arti di Brera, l’Università di Salonicco, la Finnish Academy OPEN 2002, Palazzo Cà Giustinian. of Fine Arts e i giovani artisti del pro-
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OPEN 2002, Yoko Ono e Paolo De Grandis, Giardino Cimitero Lido.
OPEN 2003, Gina Lollobrigida e Polo De Grandis, Terrazza Darsena Hotel The Westin Excelsior.
OPEN 2004, Richard Long, Hotel Des Bains.
71 gramma di residenza di ar-st-urban. Il nucleo portante restano comunque le arti plastiche declinate tuttavia non solo nella forma canonica, ma anche in quelle zone di confine dove la creatività si confronta con la comunicazione, con i suoi meccanismi e con le sue finalità. Il drappello di artisti provenienti dai tre continenti presenta figure di rilievo quali Louise Bourgeois, Arman, Luigi Mainolfi, John Henry, Zhao Guanghui, Chen Changwei e la performer Xiao Ge. E sono proprio le performace e gli happening ad aver animato i vernissage di OPEN nel corso degli anni. Da non dimenticare il gruppo Matatoa che con quaranta ballerini dell’Isola di Pasqua guidati da Marco Nereo Rotelli contraddistinsero l’inaugurazione del 2004, il messaggio “I love you” trasmesso ad intermittenza con una torcia in piazza San Marco da Yoko Ono, Xiao Ge al Blue Moon nel 2006 e le irriverenti e seducenti performance di B.zarro e Iris Brosch delle ultime edizioni. Per la decima edizione, come sempre, OPEN coniuga la presenza di artisti importanti, quali Christo, Lee Ufan e Beverly Pepper a figure storiche dell’arte contemporanea italiana quali Sandro Chia, Enzo Cucchi e Giuseppe Spagnulo, così come continua a presentare promesse di talenti ancora da scoprire. Particolare attenzione è stata inoltre data alla presenza asiatica con gli interventi di Hu Xiangcheng, Li Chen, Shi Jinsong, Xiang Jin e Shan Shan Sheng fino alle nuove partecipazioni indiane di Bharti Kher e Kriti Arora. «E siamo al giro di boa!». Con questa metafora Paolo De Grandis riassume l’undicesima edizione di OPEN: «Proprio perché dopo dieci anni di intenso ed emozionante lavoro si è presentata la necessità di spunti e stimoli nuovi da cui muovere, orizzonti lunghi su cui perdersi». Oltre 40 opere tra sculture, interventi pittorici e ambientali, installazioni video e sonore accolgono lo spettatore in un turbinio di sensazioni che spaziano dall’ironia al disgusto, dalla provocazione alla commozione, dalla raffinatezza all’eccesso offrendo una molteplicità di linguaggi che va dal digitale alla più tradizionale tecnica pittorica, fino alla scultura monolitica di Marc Quinn, quella autobiografica di Chen Wenling e l’imponenza di Cyrille André.
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LIDO DI OGGI LIDO DI ALLORA Giunta alla sua dodicesima tappa, OPEN offre ancora una volta un nuovo percorso in divenire. Destreggiandosi tra le innumerevoli sorprese offerte dalle installazioni dal forte potere seduttivo, come quella degli artisti svizzeri Daniel Glaser / Magdalena Kunz, passando per le grandi tele dell’artista georgiana Eteri Chkadua fino alle innumerevoli pecore blue di Bertamaria Reetz e Rainer Bonk, il visitatore trova poi compiacimento nella contestualizzazione successiva, ove lo attende un grande laboratorio del fare scultura. Qui i grandi maestri León Ferrari, Ugo Riva, Ercole Pignatelli, Girolamo Giulla dialogano con artisti riconosciuti a livello internazionale come Nataraj Sharma e Christian Bolt. L’anno successivo l’attenzione si concentra sulle opere fondamentali di Dennis Oppenheim e ORLAN. L’artista statunitense, tra i massimi esponenti dell’arte concettuale contemporanea della seconda metà del XX secolo, dedito soprattutto alla realizzazione di grandi opere installative negli spazi pubblici, ha presentato Heavy Dog Kiss. Del tutto radicale, opposto al banale e al prevedibile è l’approccio dell’artista francese ORLAN, che ha esposto Drive-in: ORLAN REMIX, una video installazione con una limosine gonfiabile dove il concetto di ibrido è protagonista assoluto, capace di divenire in modo tangibile significato e significante, mezzo espressivo dell’opera d’arte di cui delinea forma e contenuto. Quello della quattordicesima edizione di OPEN è un allestimento eclettico, eterogeneo fatto di contrasti dove apre il percorso espositivo, quale omaggio alla vita che rinasce, l’imponente e conturbante orchidea di bronzo dipinto The Chromatic Archaeology of Desire di Marc Quinn. Fulgida nei colori, sconvolgente nella ricerca del dettaglio, ferma e imperturbabile allo scorrere del tempo. Il binomio bellezza-tempo, vita-morte è un forte leit motiv nelle opere dell’artista inglese, esponente della Young British Art e tra i maggiori artisti a livello mondiale. “Muovere ciò che è fermo, fermare ciò che si muove” diceva G.C. Argan del Signorelli, un gioco di leve e di molle per vincere l’inerzia della figura. Oggi, forse, “codificare il significante e decodificare il significato”, questa la sfida delle due successive edizioni di
OPEN 2004, Li Chen, Blue Moon.
OPEN 2004, Conferenza stampa, Philippe Daverio e Paolo De Grandis, Hotel The Westin Excelsior.
OPEN 2009, Bertamaria Reetz e Rainer Bonk, Hotel Des Bains.
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OPEN 2005, Yue Minjun, Hotel Des Bains.
OPEN 2005, Wang Guangyi, Lungomare Marconi.
OPEN 2007, Conferenza stampa, Achille Bonito Oliva e Paolo De Grandis, Hotel Des Bains.
75 OPEN. Una scelta curatoriale linguistica, non tematica: fornire all’artista, un codice, o meglio il significante, una bandiera, un drappo, uno scampolo di tessuto di 3x1 m. Elemento grammaticale visivo che si basa su regole sintattiche legate al contesto urbano, alla configurazione spaziale, gli spazi all’aperto, l’aria del Lido di Venezia. Relazione spaziale in bilico tra sfondo e vicinanza, forma chiusa e forma aperta e poi esperienza e ancora pregnanza per rivelare la funzione del linguaggio visivo sia essa espressiva, esortativa, estetica o informativa. Le bandiere, una suggestione, il ricordo di un evento unico nel suo genere, straordinariamente scenografico - nel 2002 Paolo De Grandis era commissario europeo per il Flag Art Festival di Seoul in occasione di FIFA World Cup Korea/Japan. Migliaia di stendardi, drappi, rotoli, arti e letterature da tutto il mondo catturate in segni e affidate al vento dieci anni dopo indirizzano e ispirano il percorso di OPEN. Quelle di OPEN sono bandiere che si sviluppano seguendo i canoni della composizione classica dell’immagine fatta di equilibrio, peso, prospettiva, ritmo, movimento, direzione e infine della simmetria, tra cui spicca la serie realizzata da Yoko Ono, nella sua terza partecipazione ad OPEN, curata da Jon Hendricks e visibile a S. Maria Elisabetta. OPEN compie i suoi diciassette anni consapevole dell’impossibilità di superare la specificità dei linguaggi, mettendo in scena ancora una volta la scultura e proponendo l’installazione, entrambe come gesti puramente liberi. Un processo che si compie in fieri da anni per cercare quello straniamento, l’ostranenie così come lo aveva delineato Victor Šklovskij in quel procedimento letterario (e artistico) intenzionale teso ad ottenere, per l’appunto, uno sguardo nuovo sulle cose, la liberazione dalla consuetudine e il risveglio dell’attenzione percettiva. Uno strumento decisivo per uno dei compiti essenziali dell’arte, la lotta contro l’automatismo: “Grazie all’arte è come se ci togliessimo i guanti, ci strofinassimo gli occhi e vedessimo per la prima volta la realtà, la verità della realtà” (V. Šklovskij, Testimone di un’epoca. Conversazioni con Serena Vitale, Roma 1979). Le installazioni e le sculture del 2014 interrompono l’ordinario contesto ur-
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LIDO DI OGGI LIDO DI ALLORA bano, inducono un cortocircuito nel fruitore, quell’effetto di straniamento che costringe a continuare la visione, a notare i dettagli, ad interrogarsi su quella sostanza segreta per generare una disassuefazione dalla realtà che ci circonda per poi indurci in un universo assolutamente nuovo, quello che alberga dentro attraverso l’arte creata al di fuori. Fino ad arrivare alla scorsa edizione quando OPEN reinventa i suoi spazi. Insieme agli spazi pubblici del Lido, laboratori permeabili alla fruizione fisico estetica, si apre a un nuovo contesto espositivo, quello del Molino Stucky, il più importante monumento di archeologia industriale conservato a Venezia. Un mulino, uno spazio che ha memoria, è voluminoso, è gonfio di temporalità, una intersezione di sconfinate superfici di cotto a vista, pinnacoli e torri desunti da cattedrali e municipi medievali, vero esempio di eclettismo architettonico. E su questo eclettismo si innestano, si ingranano, gli uni negli altri, gli interventi artistici dall’opera di Michelangelo Pistoletto, che apre idealmente il percorso con il suo Terzo Paradiso, a Nam June Paik, il padre della video arte, con la storica opera Hello Elephant. OPEN costituisce un grande parco pubblico, un intreccio di natura e cultura, interno ed esterno, biologico e tecnologico, pittura e multimedialità, sintesi dei caratteri e delle tendenze contemporanee. In tal modo il territorio diventa un osservatorio privilegiato, come mostra l’organizzazione di questo importante evento che si proietta in una dimensione nazionale e internazionale. Tesi suffragata anche dalla fondazione del Premio OPEN che si qualifica come uno dei più prestigiosi premi collaterali alla Mostra del Cinema proprio per la sua collocazione nell’ambito delle arti visive. L’evento prevede la premiazione di un regista in concorso al Festival del Cinema di Venezia che con la sua opera riveli, in maniera inedita, un fertile interesse verso la seducente tematica della mutua interazione tra arte e cinema. Nel corso delle passate edizioni il Premio è stato conferito ai registi Joao Botelho, Julie Taymor, Takeshi Kitano, Marziyeh Meshkini, Stanley Kwan, Jia Zhangke, Peter Greenaway, Philip Haas, Michael Moore, John Woo, il Direttore Marco Müller, Robert Redford, Serena Nono, Rä di Martino e nell’ultima
OPEN 2007, Christo, Hotel The Westin Excelsior.
OPEN 2010, ORLAN e Paolo De Grandis, Fondaco dell’Arte.
OPEN 2012, Lindy Lee, Piazzale S. M. Elisabetta.
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LIDO DI OGGI LIDO DI ALLORA edizione a Carlotta Cerquetti. La presenza poi di personalità critiche ed istituzionali provenienti da culture molto diverse e lontane fra loro, le quali hanno fatto scelte del tutto personali non legate ad una tematica operativa comune, rafforza il senso di libertà ed autonomia che caratterizza questo panorama di creatività ed arte. Pertanto attraverso questa modalità di procedere che è già stata sperimentata in questi anni si possono promuovere e generare energie capaci di produrre attenzione, stupore, emozionalità negli spettatori che diventano partecipanti attivi in un progetto che vuole appunto coinvolgerli come momenti percettivi di nuove realtà creative. L’arte come mondo altro: immaginifico, un mondo spesso privo di contorni chiari, una geografia confusa su cui divertirsi a fantasticare. Ed è con questo piacere della scoperta, tra sculture che ricercano tonalità e forme in divenire ed installazioni che dialogano con l’ambiente, che i visitatori di OPEN negli anni hanno visitato un percorso sì espositivo - an-
che sulla visionarietà occidentale in cui si mescolano conoscenze storiche e gusto della bizzarria - ma capace innanzi tutto di divertire l’intelligenza, tra piccole e grandi sorprese. Ed è così che siamo giunti a celebrare i suoi primi diciannove anni. Diciannove anni di sculture, installazioni, happening e performance a testimonianza di quanto l’arte possa irrompere nell’ambiente esterno per attirare l’osservatore catturandone lo sguardo e rallegrandone l’animo. Una tappa, un punto d’arrivo e di ripartenza, più consapevole e più rigoroso, sempre in linea, comunque, con la filosofia curatoriale del suo ideatore Paolo De Grandis. Diversamente, infatti, da ogni altro evento a carattere annuale, dal quale ci si potrebbe aspettare sempre qualcosa di nuovo, OPEN propone la sua linearità e la sua integrazione, aspetti maturati grazie alla semplicità dell’idea di fondo ed al suo contesto espositivo a cielo aperto: territori di esplorazione, punti di scambio e di confronto, spazi coreografici spesso aperti alla loro stessa trasformazione, luoghi in cui il
OPEN 2012, Yoko Ono, Piazzale S. M. Elisabetta.
visitatore negozia, in termini sia fisici che mentali, i contenuti delle opere esposte. Un anno significativo dunque questo per OPEN e per il suo ideatore. Un anno di passaggio che preannuncia il ventennio di un’idea, un’intuizione vincente, innovativa e rigenerante nel panorama delle manifestazioni di arte contemporanea. E proprio la storia di OPEN, le sue innumerevoli opere di artisti riconosciuti a livello internazionale, gli esordi di giovani artisti, le tracce degli storici curatori hanno fatto eco nel mondo per giungere quest’anno in Corea. Paolo De Grandis è stato infatti invitato alla Biennale di Scultura di Changwon, luogo prezioso per la sua eredità artistica, con un particolare bagaglio di storia in campo scultoreo che avrà luogo dal 22 settembre, per partecipare ad un simposio internazionale illustrando proprio l’esperienza ventennale di OPEN: comunicando la forza di questa formula straordinaria che ha contribuito a modificare il tessuto di una città.