Pedagogika.it - Anno XVI_1

Page 1


Rivista di educazione, formazione e cultura

anno XVI, n째 1 Gennaio, Febbraio, Marzo 2012


Pedagogika.it/2012/XVI_1/

Rivista di educazione, formazione e cultura

esperienze - sperimentazioni - informazione - provocazioni Anno XVI, n° 1 – Gennaio/Febbraio/Marzo 2012 Direttrice responsabile Maria Piacente maria.piacente@pedagogia.it Redazione Fabio Degani, Marco Taddei, Mario Conti, Dafne Guida Conti, Nicoletta Re Cecconi, Carlo Ventrella, Mariarosaria Monaco, Liliana Leotta, Cristiana La Capria, Coordinamento pedagogico Coop. Stripes. Comitato scientifico Silvia Vegetti Finzi, Fulvio Scaparro, Duccio Demetrio, Don Gino Rigoldi, Eugenio Rossi, Alfio Lucchini, Pino Centomani, Ambrogio Cozzi, Salvatore Guida, Pietro Modini, Angela Nava Mambretti, Anna Rezzara, Lea Melandri, Angelo Villa

Responsabile testata on-line Igor Guida - igor.guida@pedagogia.it Progetto grafico/Art direction Raul Jannone - raul.jannone@studioatre.it Promozione e diffusione Fabio Degani, Federica Rivolta Pubblicità Clara Bonfante, Daniela Colombo Registrazione Tribunale di Milano n.187 del 29/3/1997 - Sped. in abb. post. 45% ART. 2, COMMA 20B LEGGE 662/96 FILIALE DI MILANO - issn 1593-2559

Hanno collaborato Elena Pulcini, Luca Mori, Ugo Morelli, Fabio Lucchini, Andrea Garbin, Sara Pasini, Andrea Marchesi, Pierangelo Barone, Alessandro Rosina, Silvia Vegetti Finzi, Barbara Mapelli, Fabrizio Li Vigni, Gianluca Salvati, Serena Bignamini, Emanuele Tramacere.

Stampa: Logo Press Borgoricco (Pd)

Fotografie: www.sxc.hu

è possibile proporre propri contributi inviandoli all’indirizzo e-mail articoli@pedagogia.it I testi pervenuti sono soggetti all’insindacabile giudizio della Direzione e del Comitato di redazione e in ogni caso non saranno restituiti agli autori

Edito da StripesNetwork s.r.l - www.stripes.it Direzione e Redazione Via G. Rossini n. 16 - 20017 Rho (MI) Tel. 02/9316667 - Fax 02/93507057 e-mail: pedagogika@pedagogia.it Sito web: www.pedagogia.it FaceBook: Pedagogika Rivista

Distribuzione in libreria: Joo Distribuzione - Via F. Argelati, 35 - Milano

Questo periodico è iscritto a Unione Stampa Periodica Italiana Coordinamento Riviste italiane di cultura


Pedagogika.it/2012/XVI_1/

s o m m a r i o 5

Editoriale Maria Piacente

../dossier/Il futuro tra paure e speranze 8 Introduzione 10 La passione del limite Elena Pulcini 17 La trasformazione delle paure e la loro elaborazione: il ruolo della formazione Luca Mori 26 Creatività e trasgressione come antidoti alla paura Ugo Morelli 35 Crisi e nuove paure. La cultura del risentimento non è una soluzione Fabio Lucchini 41 Progettiamo il futuro Andrea Garbin 44 Crisi politica e paura del futuro dagli occhi di una sedicenne Sara Pasini 48 Generazione insicura. Educare nell’insicurezza: un esercizio di responsabilità degli adulti Andrea Marchesi 59 Giovani fuori controllo? Educare alla progettualità nell’epoca della crisi globale Pierangelo Barone

66 Il futuro inceppato delle nuove generazioni Alessandro Rosina

../Temi ed esperienze 74 Una nuova cultura dell’energia. Al di là di Oriente e Occidente. Intervista a Luce Irigaray, Maria Piacente 80 Solitudini nell’amore Silvia Vegetti Finzi 86 Uomini in educazione Barbara Mapelli 96 Educare a un’etica e a un’antropologia complesse Fabrizio Li Vigni 99 Eduquer à une éthique et à une anthropologie complexes Fabrizio Li Vigni ../cultura 103 A due voci Angelo Villa, Ambrogio Cozzi 107 Scelti per voi, L ibri - Ambrogio Cozzi (a cura di) Musica - Angelo Villa (a cura di) Cinema - Cristiana La Capria (a cura di) 116 Arrivati in redazione ../in breve 119 ../In_vista 120 Giornata di Studi. Uomini in educazione

3


Piano editoriale 2012 Il futuro tra paure e speranze Desideri, diritti e doveri Spazi geografici e psichici del mutamento Educare al tempo della crisi

Rivista di educazione, formazione e cultura

Numero di c/c postale 001003749668 intestato a Stripes Network s.r.l via Marziale, 9 - 20017 Rho (Mi) L’abbonamento annuale per 4 numeri è: € 30 privati € 60 Enti e Associazioni € 90 Sostenitori Insieme alla ricevuta di avvenuto pagamento inviare il coupon presente all’interno della rivista, una volta compilatolo, al n° di fax 02-93507057 o per posta ordinaria al seguente indirizzo: Redazione Pedagogika.it, via Papa Giovanni XXIII, 2 - 20017 Rho (Mi) Pedagogika.it è disponibile presso tutte le librerie Feltrinelli d’Italia e in altre librerie il cui elenco è consultabile sul sito www.pedagogia.it Per ordini e abbonamenti on line: www.pedagogia.it


Pedagogika.it/2012/XVI_1/Il_futuro_tra_paure_e_speranze

Il futuro tra paure e speranze Mentre stiamo scrivendo, qui in Italia il governo Monti, nel tentativo di governare una grande nave a rischio di naufragio, è costretto a metterci le pezze a causa di un governo, quello precedente, che ha avuto Paura di assumersi le proprie responsabilità. Nel frattempo, pensando che è nell’Altro, nel diverso, nel “non noi” che si racchiudono le violenze, il disfattismo, la prepotenza e la supponenza, l’Europa o, meglio, alcuni Paesi dell’Europa come la Francia e la Germania solidarizzano contro qualcuno, per espungere il “male” lontano da loro. Ridacchiano davanti al mondo globalizzato e pensano così di padroneggiare la paura e l’imbarazzo nell’interrogarsi sulle loro scelte politiche: il male viene da fuori, pensano, ...noi abbiamo i conti a posto. Legittimando così gli altri a voltarsi e a cercare i cattivi che non hanno i conti a posto, senza interrogarsi sul come mai si è arrivati in questa condizione. Finalmente è stato trovato il colpevole! La Grecia, di sicuro è colpevole, e deve avere paura! Ma sui meccanismi della paura , sulle sue metamorfosi e su come essa si declina vi invito a leggere lo straordinario articolo di Elena Pulcini, La passione del limite, che trovate all’inizio del nostro dossier e che ha il pregio di interrogare, profondamente, l’oggetto della paura e le sue declinazioni. Io vorrei sottolineare alcune, almeno a mio parere, paure che oggi vengono affrontate in modo molto diverso da come venivano affrontate, ad esempio, negli anni 70 del Novecento. Mi sembra che le diversità di oggi, del cosiddetto mondo globalizzato ci incutano più paura rispetto a quelle che venivano affrontate in quegli anni dal movimento operaio, da quello studentesco e dal movimento femminista che, come sappiamo, hanno prodotto grandi cambiamenti sia rispetto agli assetti politici e sociali di allora, sia nell’ambito più privato delle relazioni, nel rapporto tra i sessi e nella famiglia. Si trattava di azioni e gesti che venivano affrontati con grande entusiasmo, ma anche con grandi sensi di colpa. E parlo del senso di colpa sano, quello che alberga nel profondo di ciascuno di noi, come attributo profondo della nostra umanità; un senso di colpa archetipico, indispensabile per lo sviluppo psicologico personale di una persona sana. In quel periodo fertile, si generava una politicità che veniva affrontata con la certezza e con la convinzione che era giusto e, nel contempo, difficile combattere gli stereotipi culturali e le ingiustizie sociali assumendosene le responsabilità e le colpe che ne potevano derivare. Per certi versi, il “senso di colpa” rafforzava le conquiste raggiunte. Forse perché in quegli anni l’Altro era meno nemico e meno diverso di quanto lo è oggi, forse perché la relazione con l’altro teneva insieme anche il grande sogno del cambiamento... Oggi sembra che la globalizzazione, così tanto urlata ma non assimilata, contribuisca invece a rispecchiare ed evidenziare le nostre crisi esistenziali che c’erano e ci sono, sempre e, che, rimosse, possono essere proiettate nell’altro diverso/

5


Pedagogika.it/2012/XVI_1/Il_futuro_tra_paure_e_speranze

globale e generare paure inspiegabili e dunque indicibili. Atteggiamenti fortemente narcisistici da parte di alcuni di noi ci allontanano dalle relazioni con gli altri e dalla ricchezza che esse implicano in quanto esseri umani di-pendenti gli uni dagli altri, portandoci verso derive ansiogene e depressive. Perlopiù si intrecciano relazioni per tornaconto personale, seppure a vari livelli. C’è troppa confusione, c’è troppo mercato, tutto corre sul web. Ma poi ci si rende conto che anche sul web e nei social network quello che emerge di frequente è la solitudine depressiva, non quella creativa; e gli appelli che vengono lanciati nella rete sono appelli di umanizzazione di desiderio di calore e di vicinanza di ricerca di identità. Forse se gli indignados spagnoli i protagonisti dei riots londinesi, gli Occupy di Wall Street riuscissero in un’impresa difficile ma possibile, quella di aprire una breccia per impossessarsi dei loro sogni...; se lo facessero senza pensare alle colpe dei padri più o meno evanescenti e alle ombre delle madri ancora oggi oggetto di violenza. Forse... le speranze riprenderebbero quota e, se è vero, come sostiene Steven Pinker, in un articolo di Filippo La Porta apparso su Left di gennaio di questo 2012, che oggi viviamo nel periodo più pacifico della nostra specie e che i nostri antenati erano più violenti di noi... (!). Allora la famosa frase di Mark Twain : Non sapevano che era impossibile, allora l’hanno fatto; prende corpo e i giovani e le giovani di oggi possono sperare e continuare a scrivere ancora storie. Maria Piacente

6


Pedagogika.it/2012/XVI_1/Le_paure

7


Pedagogika.it/2012/XVI_1/Il_futuro_tra_paure_e_speranze

Paura del futuro, crisi, speranze Nella premessa del patto internazionale sui diritti civili e politici del 19 dicembre del 1966 si dice: «in accordo con la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo l’ideale di uomini liberi, liberi dalla paura e dal bisogno, può venire raggiunto se vengono create condizioni nelle quali ciascuno può godere tanto dei suoi diritti economici, sociali e culturali quanto dei suoi diritti politici e civili». Oggi viviamo un periodo di profondi cambiamenti che modificano le nostre certezze, un periodo nel quale sembrano restringersi gli orizzonti e le opportunità e sembrano venir meno alcuni diritti. Il momento di crisi che stiamo vivendo non è un evento passeggero, è un percorso, un processo nel quale siamo immersi: nel quotidiano si vive, si sopravvive e si convive con la crisi. Aumento della disoccupazione, crisi degli alloggi, aumento del costo della vita, percezione di mancanza di sicurezza nelle città, stravolgimenti politico-sociali in vari paesi del mediterraneo, inquinamento: queste sono le principali ragioni di un sentimento, di uno “stato” che pervade più generazioni e vari strati sociali: la paura del futuro. Che significato dare ai riots di Londra, agli indignados in Spagna, ad Occupy Wall Street? Manifestazioni pacifiche, occupazioni, scontri, atti di vandalismo e violenza sono al servizio di una prospettiva, di un progetto di futuro oppure sono solamente eventi, manifestazioni che nascono dalla frustrazione e dalla rabbia, dal bisogno di trovare un qualche capro espiatorio? Il disordine, inteso come frattura, discontinuità col passato che porta a un “qualcosa” di nuovo, può essere fertile, generativo? In questa fase storica l’economia e la politica si stanno interrogando sulle “direzioni da prendere”, è per noi legittimo chiedersi se vi sia uno spazio per la ricerca di valori diversi dai precedenti e per la ricerca di grandi ideali; se sia possibile ricercare nuove prassi e modalità di partecipazione. Può avere senso cercare una dimensione positiva della paura? Come la relazione educativa può dare una forma, un senso, alla paura del futuro che investe le nuove generazioni (ma non solo!)? Noi riteniamo abbia senso, e sia possibile, fare cultura in tempo di crisi e vederla come opportunità per la ricerca di nuovi orizzonti e la creazione di speranza. Spesso le TV (in chiaro e non) trasmettono programmi catastrofisti, ansiogeni, che dipingono una realtà ostile e pericolosa tale da alimentare le paure, aumentare lo stato di allerta, di vigilanza e diffidenza. Le ricadute sociali, politiche ed economiche possono essere preoccupanti, proprio perché la paura del futuro porta a vivere in maniera “eccessiva” il presente, sopravvalutandone l’impellenza e sottovalutandone la complessità. La comunità pedagogica – e non solo – ha, a nostro avviso, il dovere di indagare su quali possano essere le culture, le prassi e gli approcci pedagogici che promuovono uno sguardo positivo sulla paura, facendola diventare stimolo al cambiamento, insperata e feconda opportunità.

8


Pedagogika.it/2012/XVI_1/Il_futuro_tra_paure_e_speranze

Fear for future, crisis, hope In the preamble of the International Covenant on Civil and Political Rights of December 16, 1966, it is said: «in accordance with the Universal Declaration of Human Rights, the ideal of free human beings enjoying civil and political freedom and freedom from fear and want can only be achieved if conditions are created whereby everyone may enjoy his civil and political rights, as well as his economic, social and cultural rights». Nowadays we are living a period of deep changes that modify our certainties, a period in which horizons and chances seem to shrink and in which some rights seem to fail. The crisis time we are living is not a transient event, it is a path, a process in which we are dipped: in everyday life we live, we survive, we coexist with the crisis. Unemployment increase, housing crisis, increase of cost of living, feel of lack of security in cities, radical political and social changes in different Mediterranean countries, pollution: these are the main reasons for a feeling, for a “state” that pervades more generations and different social classes: the fear for future. What's the meaning of the London riots, the Spanish indignados, and the Occupy Wall Street movement? Are peaceful demonstrations, occupations, fightings, acts of vandalism and violence serving a perspective, a plan for the future or are they merely events, manifestations rising from frustration and rage, from the need of finding some scapegoats? Can disorder, conceived as a break, as a discontinuity with past leading to something new, be fertile, generative? In this historic phase economy and politics are wondering about the “directions to take”, we can legitimately wonder whether there is room for the research of values different from the previous ones and for the research of great ideals; whether it is possible to pursuit new practices and ways of participation. Does it make sense to search a positive dimension of fear? How can educational relationship give a shape, a sense to the fear for future that assails new generations (but not only!)? We believe that it makes sense, and that in time of crisis it is possible to make culture and to conceive it as opportunity to research new horizons to create hope. Often TVs (in clear and not) broadcast alarming disaster programs that portray such a hostile and dangerous reality that raises fears, increases alert, vigilance and distrust. Social, political and economic effects can be worrying because fear for future leads to live the present in an excessive way, overestimating its urgency and underestimating its complexity. In our opinion the pedagogical community – and not only – has the duty to investigate what might be cultures, practices and pedagogical approaches that promote a positive outlook on fear, turning into a motivating force for changing, an unexpected adn fruitful opportunity.

Dossier 9


Pedagogika.it/2012/XVI_1/Il_futuro_tra_paure_e_speranze/

Il futuro inceppato delle nuove generazioni La propensione ad agire nonostante oggettive difficoltà, la capacità di far rete, la voglia di protagonismo, sono un capitale sociale delle nuove generazioni che non va frustrato e sprecato. Va piuttosto aiutato a crescere e a correggersi rispetto ad alcune fragilità di fondo, come il rischio di demotivazione, l’eccesso di emotività nelle scelte, l’esigenza di riscontri a breve termine delle proprie azioni. Alessandro Rosina*

C’era una volta la “meglio gioventù” Soprattutto per i nati nel secondo dopoguerra la giovinezza si è progressivamente estesa, assumendo sempre di più le caratteristiche di una fase della vita a sé stante, non più intesa solo come anticamera all’età adulta. Per le generazioni precedenti la gioventù era inquadrata e irreggimentata. Era opinione diffusa che coloro che si trovavano ad attraversare tale fase della vita avevano come “unico diritto, e dovere insieme (…) quello di cessare di essere giovani, di passare da adolescenti ad adulti”1. Un territorio, quindi, quello della fase giovanile, da attraversare di corsa guadagnando velocemente una posizione attiva nella società. Diversa la situazione dei baby boomers, ovvero di chi è nato ed ha vissuto gran parte della sua giovinezza nel periodo indicato come i “Trenta gloriosi”2 . Una fase storica che copre, convenzionalmente, gli anni che vanno dalla fine del secondo conflitto mondiale alla crisi petrolifera del 1973. Chi è cresciuto in tale periodo ha sperimentato una condizione unica di miglioramento del benessere materiale, delle opportunità di occupazione, del potere d’acquisto dei salari, dei livelli di consumo, dei diritti di sicurezza sociale rispetto a quelle precedenti. L’autodefinita “meglio gioventù” era composta da individui generalmente molto pieni di sé, convinti delle proprie possibilità, sicuri che il mondo stesse andando verso di loro ma anche impazienti di corrergli incontro per prenderselo. Questo modello di sviluppo entra in crisi a metà anni ‘70: l’economia non tira più come prima e la spesa sociale, lievitata a livelli ingestibili, impone di essere rivista al ribasso. Anche la società e la famiglia sono in grande trasformazione. Prospettive di crescita e antiche certezze 1  S. Piccone Stella, “Davanti alla soglia. I giovani prima del ‘43”, in A. Rosina, G.A. Micheli, (a cura di), Giovani nel ‘43. La generazione “zero” dell’Italia del secondo dopoguerra, Bruno Mondadori, Milano, 2011. 2  R. Castel, L’ insicurezza sociale. Cosa significa essere protetti, Einaudi, Torino, 2004.

66


Pedagogika.it/2012/XVI_1/Il_futuro_tra_paure_e_speranze/Il_futuro_inceppato_delle_nuove_generazioni

sbiadiscono. Emergono nuovi rischi e diventano sempre più obsoleti vecchi punti di riferimento e protezioni. Nei corsi di vita individuali inizia a diffondersi la tattica della posticipazione. Oltre ad essere rinviate in età più tardiva un po’ tutte le tappe, dalla fine degli studi alla nascita dei figli, la sequenza stessa degli eventi di vita risulta essere sempre più scompigliata. Aumenta in particolare il tasso di flessibilità, frammentarietà e reversibilità delle scelte3. I fattori indicati dalla letteratura scientifica alla base di questo cambiamento sono di vario tipo4. Si parla di allentamento del ruolo tradizionale del matrimonio, dell’aumentata scolarizzazione, del mutato ruolo della donna nella società. Parallelamente e in modo interdipendente cresce la secolarizzazione, l’emancipazione dalle norme sociali, l’orientamento alla autorealizzazione. Aumenta l’insofferenza verso percorsi precostituiti e nei confronti delle scelte che implicano assunzione di impegni e responsabilità in età precoce5. Nel frattempo la realtà si fa via via sempre più complessa e difficile da gestire. La transizione alla vita adulta sembra sempre meno scorrere come sui binari di un treno ed assomiglia piuttosto a un SUV con volante e freni mal funzionanti che sfreccia su una superstrada piena di cartelli pubblicitari sfavillanti ma con poche indicazioni stradali. Rispetto al passato si può arrivare più lontani, ma anche il rischio di perdersi o di finire fuori carreggiata si è notevolmente accresciuto 6 . “The risk of a lost generation”7 L’elevato grado di complessità che caratterizza la società moderna avanzata proietta i giovani in un contesto di incertezza, riguardo ai rischi e alle implicazioni delle proprie azioni, mai sperimentato dalle generazioni precedenti. L’incertezza costituisce un vincolo importante all’interno del processo di scelta, a qualsiasi livello. Se da un lato le nuove generazioni hanno sempre di più il desiderio e l’opportunità di costruire in modo creativo e strategico il loro percorso di vita, d’altro canto però molteplicità e insicurezza rendono i giovani particolarmente prudenti nel prendere decisioni definitive. Diventa quindi sempre più difficile 3  Ongaro F., “Transition to adulthood in Italy”, in Corijn M., Klizing E. (a cura di), Transition to Adulthood in Europe, Kluwer Academic Publishers, Dordrecht, 2001. 4  Rosina A., “Generazione del mutamento: tempi e modi del diventare adulti in trasformazione”, in Scelte di famiglia. Tendenze della parentela nella società contemporanea (a cura di S. Grilli e F. Zanotelli), ETS, Pisa, 2011. 5  Micheli, G.A., Sempregiovani & maivecchi. Le nuove stagioni della dipendenza nelle trasformazioni demografiche in corso, Milano, Franco Angeli, 2009. 6  Giddens A., Runaway World. How Globalization in Reshaping our Lives, Profile Books, London, 1999. 7 E’ il titolo del primo paragrafo del Rapporto: European Commission, Youth Opportunities Initiative, COM(2011) 933, Brussels, 2011.

Dossier 67


Pedagogika.it/2012/XVI_1/Il_futuro_tra_paure_e_speranze/Il_futuro_inceppato_delle_nuove_generazioni

valutare i rischi connessi ai propri comportamenti. La costruzione dell’identità diventa sempre più un progetto “riflessivo”. Gli individui sono costantemente forzati a riorganizzare e riadattare i propri percorsi biografici – rimettendo continuamente in discussione le proprie scelte – in risposta alle esperienze vissute e alle mutate condizioni del contesto8. Lo stesso processo di globalizzazione crea nuove opportunità, ma fa emergere anche nuovi rischi che pesano su larghe parti della popolazione, in particolare su quella giovanile9. Soprattutto nei paesi caratterizzati da istituzioni più rigide nel rispondere ai potenziali effetti negativi dei grandi cambiamenti in atto (economici, demografici e sociali), le nuove generazioni tendono ad incontrare maggiori difficoltà nel trovare lavoro, nel costruire una propria autonomia economica e nello stabilizzare i propri percorsi professionali10. A trovarsi investita da queste trasformazioni è soprattutto la “generazione X”, che corrisponde ai nati tra la fine degli anni ‘60 e l’inizio degli anni ‘80. Nel corso degli anni Novanta, ovvero nella fase della loro entrata nell’età adulta, il debito pubblico sfonda il tetto del prodotto interno lordo, viene fatta la riforma delle pensioni che scarica i costi dell’invecchiamento sulle nuove generazioni, vengono introdotti nel mercato del lavoro forti elementi di flessibilità non compensati da un adeguato sistema di ammortizzatori sociali. Tutto questo in un paese che diventa sempre più gerontocratico, restringe le opportunità di partecipazione attiva dei giovani, ma cresce anche economicamente meno degli altri11. Un risveglio per molti versi traumatico dopo la spensieratezza dell’adolescenza negli anni Ottanta. Cresciuti davanti al caleidoscopio delle televisioni commerciali. Caricati dai genitori di elevate aspettative, con la convinzione che quello che contava era laurearsi e tutto il resto sarebbe poi stato in discesa. La realtà che si sono trovati di fronte è stata molto più amara e li ha costretti a rivedere progressivamente al ribasso i propri obiettivi di vita. Alcune storie individuali sono state di successo, ma nel complesso si è trattato di una generazione che mirava soprattutto ad integrarsi, a farsi accettare12. E’ stata la generazione che maggiormente ha posticipato le tappe di entrata nella vita adulta. Con loro la permanenza nella casa dei genitori ha raggiunto nella fascia 25-29 valori vicini al 70% per i maschi e al 50% per le femmine13. 8  Anthony Giddens, Le conseguenze della modernità, il Mulino, 1994 9  Micheli G.A., Rosina A., “The Vulnerability of Young Adults on Leaving the Parental Home”, in Ranci C. (ed), Vulnerability in Europe, London, Palgrave, 2009, 189-218. 10  Blossfeld H.P., E. Klijzing, M. Mills and K. Kurz, Globalization, Uncertainty and Youth in Society. The Losers in a Globalizing World, Routledge, London, 2005. 11  Livi Bacci M., Avanti giovani, alla riscossa. Come uscire dalla crisi giovanile in Italia, Il Mulino, Bologna, 2008. 12  Ambrosi E., Rosina A., Non è un paese per giovani, Marsilio, 2009. 13  Rosina A., “I giovani e la famiglia”, in Studiare la famiglia che cambia, E. Ruspini (A cura di), Carocci editore, Roma, 2011.

68


Pedagogika.it/2012/XVI_1/Il_futuro_tra_paure_e_speranze/Il_futuro_inceppato_delle_nuove_generazioni

Oggi non sono più giovani, ma adulti-giovani. Sono entrati nell’età della vita in cui ci si confronta con l’esigenza di porre solide basi della propria carriera lavorativa e della formazione di una propria famiglia. Sono nella fase conclusiva del percorso di transizione allo stato adulto e possono quindi già trarre un bilancio delle scelte fatte o non fatte nei modi e nei tempi adeguati. E spesso si tratta di un bilancio molto al di sotto delle aspettative di partenza. Oltre la precarietà: assumere il rischio In buona misura diverso appare invece l’atteggiamento della generazione successiva, in un primo tempo indicata semplicemente con l’incognita “Y” (per il semplice fatto di arrivare dopo la “X”). Le ricerche ne hanno però successivamente restituito un ritratto molto più definito e con caratteristiche così specifiche da farle attribuire un appellativo molto più consistente e ambizioso che corrisponde al nome di “Millennials”. Ne fanno parte coloro che non erano ancora maggiorenni quando è iniziato il XXI secolo. Non hanno, pertanto, diretta memoria di com’era il mondo prima della caduta del muro di Berlino, di come si viveva senza cellulari, senza internet, senza voli low cost. Un numero crescente di studi, a partire soprattutto dagli Stati Uniti14 li ritrae come più decisi, combattivi e partecipativi, rispetto alla generazione X. Di fronte agli stessi cupi scenari del futuro, sembrano reagire con un atteggiamento più pragmatico e ottimista. A caratterizzarli – come emerge in modo coerente da varie ricerche sui loro specifici atteggiamenti e comportamenti – sono in sintesi 3 C15. “Confident”: credono soprattutto in se stessi e muoiono dalla voglia di emergere. “Connected ”: sono nativi digitali e considerano la rete uno strumento essenziale per creare consapevolezza e coordinare progetti e azioni comuni. “Open to Change”: sono i migliori alleati del cambiamento. Se si presenta un’offerta credibile la sostengono. Se non c’è, la fanno germinare dal basso. La primavera araba, i movimenti degli indignados in Europa e degli occupy wall street negli USA, hanno portato ulteriore conferma al profilo delle nuove generazioni delineato dagli studi condotti nella prima decade del XXI secolo. Dalle varie ricerche emerge inoltre una visione positiva del proprio ruolo, la grande maggioranza è convinta infatti di poter dare un contributo attivo per migliorare il mondo. Indizi di maggior mobilità, attivismo e dinamismo, di desiderio di mettersi in gioco, si notano anche negli atteggiamenti e nelle scelte della vita quotidiana. Secondo i dati della sesta indagine dell’Istituto IARD16, la 14  Howe N. e Strass W., Millennials Rising: the Next Great Generation, Vintage Books, New York, 2000. 15  Pew Research Center report, “Millennials. A Portrait of Generation Next”, Febbraio 2010 (www. pewresearch.org/millennials) 16 Buzzi C., A. Cavalli, A. de Lillo, Rapporto giovani. Sesta indagine dell’ istituto IARD sulla condizione giovanile in Italia, Il Mulino, Bologna, 2007.

Dossier 69


Pedagogika.it/2012/XVI_1/Il_futuro_tra_paure_e_speranze/Il_futuro_inceppato_delle_nuove_generazioni

percentuale di giovani che dichiarano che “per riuscire nella vita è necessario saper rischiare” raggiunge il 60% tra i 20-24enni di inizio XXI secolo, mentre si attesta a poco più del 40% tra gli attuali trentenni. Differenze di atteggiamento coerenti anche con i comportamenti. Come abbiamo già detto, con la generazione X la permanenza nella casa dei genitori raggiunge i suoi massimi storici. I Millennials risultano essere, invece, la prima generazione italiana del dopoguerra che non posticipa ulteriormente rispetto a quella precedente. Nel frattempo però è intervenuta la crisi economica che ha ulteriormente compromesso le possibilità di autonomia dei giovani e di costruzione attiva del proprio percorso di vita. Quello che le ricerche evidenziano è, da un lato, un aumento dei giovani che desiderano uscire dalla casa dei genitori ma, dall’altro, anche un’accresciuta difficoltà a realizzare tale progettualità17. La propensione ad agire nonostante oggettive difficoltà, la capacità di far rete, la voglia di protagonismo, sono un capitale sociale delle nuove generazioni che non va frustrato e sprecato. Va piuttosto aiutato a crescere e a correggersi rispetto ad alcune fragilità di fondo, come il rischio di demotivazione, l’eccesso di emotività nelle scelte, l’esigenza di riscontri a breve termine delle proprie azioni. La sicurezza di cui hanno bisogno non riguarda certo il recupero di vecchie certezze, ma la possibilità di prefigurarsi obiettivi desiderati realizzabili con strumenti adeguati per affrontare i nuovi rischi e cogliere le opportunità del XXI secolo. A tal fine è sempre più riconosciuta come necessaria una nuova stagione di politiche sociali, in grado di promuovere attivamente le capacità individuali mettendole al servizio di un solido progetto di crescita comune. Ma servono anche una nuova consapevolezza e responsabilità nel produrre le proprie scelte. Le grandi trasformazioni in corso (globalizzazione, rivoluzione tecnologica, invecchiamento) ci spingono ad elaborare una visione dinamica delle nostre vite, che consideri il futuro non come ciò-che-chissà-quando-accadrà, ma ciò che stiamo diventando. Come il processo continuo di costruzione del nostro presente di domani. Questo significa anche imparare a scegliere, pur in regime di crescente complessità e incertezza. In caso contrario il cambiamento siamo destinati a subirlo anziché guidarlo. Meglio allora fare scelte e avere la possibilità di rinegoziarle, che non scegliere per paura di sbagliare. Quando tutto attorno cambia, anche una non-scelta diventa una scelta che produce implicazioni. E spesso è la scelta meno virtuosa. In un mondo che muta continuamente, anche solo per conservare le posizioni raggiunte occorre muoversi, aggiornando 17  A conferma delle difficoltà oggettive, sulla base dei dati Istat, la frequenza di chi rispondeva «sto bene così, conservo mia libertà» come motivo della permanenza nella casa dei genitori è scesa dal 40,6% del 2003 al 31,4% del 2009, mentre chi indicava difficoltà economiche è aumentato dal 34% al 40,2%.

70


Pedagogika.it/2012/XVI_1/Il_futuro_tra_paure_e_speranze/Il_futuro_inceppato_delle_nuove_generazioni

continuamente i propri punti di riferimento18. Imparare ad assumersi il rischio e a gestirlo significa, in definitiva, sviluppare le abilità che ci consentono di mantenere dinamicamente l’equilibrio sull’impalcatura attorno cui diamo forma al nostro futuro. *Docente di Demografia, Facoltà di Economia, Università Cattolica di Milano.

Dostoevskij / Trifirò

MEMORIE DEL SOTTOSUOLO

Teatro Sala Fontana 2011/2012

29 settembre - 14 ottobre

Stoppard / Quintavalla e Stori

ROSENCRANTZ E GUILDENSTERN SONO MORTI 22 novembre - 2 dicembre

Shakespeare / Boscolo

MACBETH LADY BLOOD 10 - 27 gennaio

Modugno / Cannavacciuolo

Cultura Teatro Teatro convenzionato convenzionato

VOLARE/OMAGGIO A DOMENICO MODUGNO 7 - 11 / 14 - 18 marzo

fondazione cariplo

Pasolini / Sonzogni

ORGIA 23 - 30 marzo 18 Rosina A., Tanturri M.L., Goodbye Malthus. Il futuro della popolazione: dalla crescita della Salgari / Braschi quantità alla qualità della crescita, Rubbettino editore, 2011.

IL CORSARO NERO 12 - 29 aprile

Garcìa Lorca / Boscolo

LA CASA DI BERNARDA ALBA 4 - 16 giugno

Via Boltraffio 21 M3 Zara Dossier 71 02 606021 www.teatrosalafontana.it


Pedagogika.it/2012/XVI_1/cultura/

Lo confesso, non so, non credo di esser ca- Diversi anni fa Hans Magnus Enzesberger pace di costruirmi un’idea sufficientemente raccontava un episodio “Sono passato poco fa motivata del valore di una poesia rispetto nella macelleria qui all’angolo per comprare a un’altra. Mi risulta decisamente più facile una bistecca. Il negozio è strapieno di gente, con un romanzo o con un saggio. O, anche, ma la moglie del macellaio, appena mi vede, con una canzone o con un film. Poi, ovvia- posa il coltello sul bancone, va alla cassa, tira mente, posso sbagliarmi e prendere lucciole fuori un foglio di carta e mi chiede se è roba per lanterne ma quantomeno un’intuizio- mia. Io do un’occhiata al testo e confesso imne complessiva di quel che ritengo possa mediatamente la mia colpevolezza. E’ la priavere secondo la mia opinabile sensibilità ma volta che la signora della macelleria mi una sua importanza riesco a riconoscerlo. lancia uno sguardo per così dire di fuoco. Fra Però, nonostante ciò i mormorii degli altri fatico a resistere al suo clienti viene in chiaro fascino, anche quando, quanto segue. e mi capita spesso, legSenza averne avuto go e francamente non il minimo sospetto, io sempre capisco. Anzi, sono intervenuto nelmi sembra proprio di la vita della figlia del non comprendere. Mi macellaio che si sta prechiedo, perché di questo parando all’esame di non sono affatto sicuro, maturità. L’insegnante se ciò si leghi in qualdi tedesco le ha messo che modo all’interesse davanti una poesia che che deriva dal mio lavoavevo scritto molti anni ro, dalla prassi clinica, fa con l’invito a mettere dall’attenzione all’ascolnero su bianco qualcosa to della parola del pain proposito. Risultato: ziente. Nell’incertezza, un bel quattro, pianti e trovo conforto all’omscenate a casa del mabra dei giganti: sia Freud che Lacan sono cellaio, questi sguardi accusatori che mi trastati sempre sensibili passano letteralmente alla poesia. Il primo, il da parte a parte e, per padre della psicoanalisi, concludere, una bistecca Tomas Tranströmer appassionato di Shakepiù dura del solito nel Il grande mistero. speare e Goethe, amico mio piatto”. Crocetti, Milano 2011, di Rilke, ha paragonaL’articolo proseguiva pp. 80, € 9,50. to in un celebre saggio con argomentazioni il gioco del bambino contro il delirio interal lavoro del poeta. Il pretativo a senso unico

Ambrogio Cozzi

Angelo Villa

A due Voci

Cultura 103


Pedagogika.it/2012/XVI_1/cultura/a_due_voci

secondo ha intrattenuto con la poesia un rapporto ancor più intenso e complesso, prestando un’attenzione maniacale al suo stile, tanto nella scrittura quanto nella suo insegnamento verbale. Lui stesso, per primo, non disdegnava di identificarsi a un poeta, impegnato com’era a destreggiarsi con il versante letterale delle rappresentazioni simboliche ben più che con i suoi significati. I suoi geniali neologismi ne sono una prova tangibile. Va da sé, tuttavia, che la poesia, così come la psicoanalisi, non possa ridursi solo a questo. In genere, è l’aspetto fecondo che l’opera letteraria pone debitamente in risalto e che stimola la ricettività di un lettore. Una parola ben scelta carica di un suo potere evocativo ne sollecita altre oppure rinvia a una caterva di immagini che ad essa si legano. Il significante arriva o apre inaspettati varchi nella mente (o nell’inconscio?) di chi si accosta a un brano poetico laddove, al contrario, il significato o il senso si arrestano. La ricezione che la lettura di una poesia domanda è un esercizio alquanto vicino a quell’associazione libera che il paziente compie sul lettino dell’analista. Perché stupirsene, al fondo? Sussiste, tuttavia, un rapporto meno visitato della parola poetica, quello cioè che la stessa intrattiene non con altre parole o echi che, di conseguenza, attiva, ma con una dimensione che apparentemente sembra negarla: il silenzio. Non intendo con questo il mutismo o l’inibizione, ma più precisamente ciò che fa da sfondo al dire medesimo, quando è veridico, e che, come una calamita, pare richiamarlo quasi nostalgicamente verso profondità ancora più autentiche e necessarie. Luoghi intimi e inaccessibili o, forse, evidenze soverchianti e annichilenti dove il tacere sembra il modo più coerente e onesto per dire qualcosa che nessuna parola riesce effettivamente a rappresentare.

104

“Combattete l’odioso vizio dell’interpretazione giusta! Non costringete mai persone indifese ad aprire bocca per ingoiare una poesia che non arrechi loro piacere! Esercitate nei confronti delle persone giovani che vi sono affidate la virtù della carità”. Sarà perché a scuola ci propinavano commenti a poesie che spiegavano e dettagliavano, togliendo così il gusto della lettura, sarà perché a volte le interpretazioni giuste mi sembravano astruse e poco aderenti alle poesie, ma questa critica mi è sempre sembrata convincente, ma chiarendo ancora e seguendo Alfonso Berardinelli che era intervenuto in quel dibattito “Mettersi a leggere una poesia non è cosa da niente. L’atto può essere, in sé, frutto di automatismo o di chiara determinazione… Il luogo della lettura di poesia si apre dentro un sistema di relazioni dialettiche. Queste relazioni si annodano in un qui-e-ora di un lettore e di un testo… Sarebbe bene ascoltare la domanda silenziosa che la poesia ci rivolge: che cosa vuoi da me, perché mi cerchi, a che cosa ti servo?”. Mi è tornato alla mente questo dibattito leggendo una dichiarazione di Tranströmer “Se ci si pensa, ogni lettore fa la propria traduzione di ogni poesia che lui/lei legge. Ogni lettore ha una propria lingua, un proprio ambiente, un proprio mondo fantastico. Perciò ogni lettore ha, per così dire, la sua poesia. Il testo è lo stesso ma le poesie sono differenti”. Mi è sembrato più che mai attuale, una ripresa di quel dibattito lontano da echi polemici, un parlare basso per rivendicare il ruolo del lettore, per rispettarlo rispettando la domanda di Berardinelli, per lasciarsi alle spalle la dimensione scolastica rigida del rapporto tra poesia e interpretazione della stessa a senso unico. Ho sempre avuto il dubbio sul leggere le traduzioni, mi è sempre sembrato che andasse persa la musicalità che il poeta cerca nelle


Pedagogika.it/2012/XVI_1/cultura/a_due_voci

E’, questo, un silenzio particolare che ciascuno incontra in taluni momenti della sua esistenza o di fronte a certe esperienze che lo lasciano attonito, è un figlio riconosciuto della simbolizzazione medesima che abdica in tal caso al suo ruolo, come se si ritirasse umilmente davanti a qualcosa più grande di lei. Compito della poesia, e talvolta della stessa psicoanalisi, è condurre i suoi cultori a far sentire i brividi che una tale vertigine può causare, una piccola ascesi o, a seconda, il precipitare in un abisso che la risonanza di taluni termini induce. Magari anche a partire dal ricorso privilegiato a un vocabolo come, per l’appunto, quello di… silenzio. L’ultimo premio Nobel è stato assegnato a un poeta svedese, guarda a caso, uno psicoterapeuta di professione: Tomas Tranströmer. Poche settimane prima, in Italia, era scomparso un grande poeta, Andrea Zanzotto, di cui la Mondadori nell’economica collana degli Oscar aveva appena editato un corposissimo volume contenente tutte le sue poesie. Anche Zanzotto era estremamente implicato nel discorso psicoanalitico e, specificamente, nello studio dell’opera di Lacan. Rubo da una sua composizione, due brevi strofe che restituiscono la percezione di questa “sagra del silenzio”, come lui la chiama. Solo un esempio, il finale di Assenzio: “Nell’ombra dell’autunno/il chiuso bosco odora”. Ecco un silenzio, quasi d’incanto, dove la natura entra in scena. Tranströrmer si spinge forse oltre. Nei suoi testi il silenzio diventa addirittura un significante chiave attorno a cui ruota la sua ricerca letteraria. Bene ha fatto l’editore Crocetti a pubblicare un’antologia della sua produzione con il titolo Poesia dal silenzio, poiché, in effetti, è da lì che il suo scrivere muove ed è lì che, chissà, ambisce ritornare. Come in Zanzotto, non è raro rinvenire dietro ad esso il richiamo alla natura, per quanto in

parole, un altro intervento di Tranströmer mi ha invece illuminato su questo aspetto “Permettetemi di abbozzare due modi di considerare una poesia. Voi potete intendere una poesia come un’espressione della vita e della lingua, qualcosa che è cresciuto in modo naturale nella lingua in cui è scritto… Impossibile da trasportare in un’altra lingua. Un altro e opposto modo di vedere è questo: la poesia così come è presentata è manifestazione di un’altra poesia, invisibile, scritta in una lingua che sta dietro alle lingue comuni. Allora anche la versione originale è una traduzione. Un trasposizione in inglese o in malayalam (lingua del Kerala) è semplicemente un nuovo tentativo della poesia invisibile di prendere forma”. Il tentativo di cogliere questo invisibile lo si ritrova nei versi su parole e linguaggio “Stanco di tutto ciò che viene dalle parole, parole non linguaggio / Mi recai sull’isola innevata / Non ha parole la natura selvaggia / Le sue pagine non scritte si estendono in ogni direzione / Mi imbatto nelle orme di un cerbiatto / Linguaggio non parole.” Alle parole ridondanti, che coprono con il loro rumore il silenzio della natura, che impongono un ordine chiuso, contrappone la possibilità del silenzio, la ricerca di un linguaggio che dica del mondo e della nostra condizione. Non occorrono grandi salti teorici, è una dimensione che si coglie nel quotidiano (in questo molto vicino alla Szymbrovska), in ciò che ci è accanto e non trova voce, fuori di una lingua che “marcia al passo dei carnefici”. In questa prospettiva l’uso della metafora visiva crea immagini che vanno oltre tortuosità linguistiche incontrando accanto a sé qualcosa di essenziale, che dica di noi “Spengono la luce ma la sua bianca campana di vetro / Riluce ancora un istante prima di svanire del tutto / Come una pastiglia in un bicchiere di oscurità. I movimenti dell’amore si esauriscono e loro dormono / Ma i pensieri

Cultura 105


Pedagogika.it/2012/XVI_1/cultura/a_due_voci

Tranströmer pare di avvertire un accento forse più tragico, solitario, “nordico”. Come fosse un dramma di Ibsen o Strindberg, un film di Bergman. In Elegia, il poeta svedese annota: “il silenzio suona come una sveglia”. Affermazione singolare. Di solito, è abitudine pensare che siano le parole a svegliare, ma, a volte, il silenzio può disporre di una forza che nemmeno loro possiedono. Capita, anche in analisi. Un’opportunità che si spalanca. Così in un altro brano, Per vivi e morti, sempre Tranströmer scrive : “E’ come una preghiera al Vuoto. /E il Vuoto gira il suo volto verso noi e sussurra: «Non sono vuoto, sono aperto»”. Che aggiungere, ancora? Silence, please. Di questi tempi, ne abbiamo bisogno più di ogni altra cosa per capire chi siamo, cosa stiamo facendo e quale futuro vogliamo costruire: “La pietà induce d’un tratto alla confidenza. Lasciare/ il travestimento dell’io su questa spiaggia, dove la strada palpita e sprofonda, palpita/ e sprofonda”. Ne avremo il coraggio?

106

più segreti si incontrano / Come quando due colori si fondono / Sulla carta umida del disegno di un bimbo”. A volte l’intuizione cerca figure che si contrappongono per esprimere forse l’insufficienza delle parole, per cogliere nel contrasto qualcosa che oltrepassa la prima impressione, che crea un’immagine altra, un rimando ad un oltre. Una bevanda effervescente in bicchieri vuoti. Un altoparlante che diffonde silenzio. Un sentiero che ricresce ad ogni passo. Un libro che può essere letto solo al buio. Vorrei chiudere con un episodio personale. Leggendo le poesie raccolte ne La lugubre gondola, ambientato a Venezia dopo la malattia che ha colpito Tranströmer e di cui voglio citare questi splendidi versi “Son trasportato dentro la mia ombra/come un violino/ nella sua custodia nera”, mi sono imbattuto in quello che all’inizio ho giudicato un errore di stampa. Due pagine vuote e bianche nel libro. Al momento sono passato oltre. Ritornando a quelle pagine (traduzione con testo a fronte) ho notato a centro pagina un asterisco. Solo un asterisco che si duplicava sull’altra pagina, quella della traduzione. Sono stato colto di sorpresa, e la sorpresa si è trasformata in riflessione in domande “a cosa rimandava, perché non c’erano più parole?” Forse anche questo è la poesia, la capacità di sorprenderci, di costringerci a fermarci, di coglierci impreparati rispetto a quel che accade, di introdurci al mistero di chi “scrive sulla sabbia”.


Pedagogika.it/2012/XVI_1/cultura/

Scelti per voi

a cura di Ambrogio Cozzi

libri

libri, cinema, musica

Piussi A. M., Remei A. Università Fertile. Una scommessa politica Rosenberg & Sellier, Torino 2011 pp. 156 € 18,00 Università fertile. Una scommessa politica, testo curato da Anna Maria Piussi e Remei Arnaus, per le tematiche che affronta, complessità e realtà dell’esserci nel mondo reale, vivo relazionale e politico, mi ha riportato alla mente un bel romanzo di qualche anno fa, recentemente ripubblicato, scritto da Antonio Pascale, dal titolo S’è fatta ora. In questo racconto, al centro del rapporto tra padre e figlio, ci sono le relazioni vive: quando il padre chiama il figlio dicendogli solamente “ s’è fatta ora!”, il ragazzino, soddisfatto, ben presente a se stesso, s’incammina col papà verso casa. Corpo e mente, insieme esultante. Le relazioni, nel testo di Piussi ed Arnaus, percorrono ogni pagina, tessere di un mosaico fatto di sapere reale, fatto di sapere accademico e del sapere quotidiano delle nostre vite, che ci appartengono fino in fondo solo quando posssono essere raccontate e significate nella loro interezza. Ripensare l’università accostandola al segno della fertilità evoca una parolaimmagine, mi fa pensare ai luoghi e ai contesti vivi, reali, che segnano le nostre

vite con gesti concreti, che politicizzano davvero il nostro stare al mondo. Una politicità delle nostre vite che si deve rendere manifesta nella sua interezza e nel suo mistero in quanto vita umana. Dove i temi legati alla quotidianità della vita reale debbano essere compresi e ricompresi assolutamente nei luoghi dei saperi, accademici e non. E non sarebbe nemmeno necessario, ogni volta, sottolineare questo importantissimo sforzo, ma purtroppo lo è, perché anche, e ancora, nelle Accademie, nei luoghi del sapere, si ripresentano con forza quei nodi che a livello generale, sociale e politico, Bauman riassumeva nella cosiddetta liquidità dei rapporti umani. Anna Maria Piussi ne sottolinea alcuni aspetti nel capitolo “Che cosa (ci) accade all’Università?”: Competitività. Indifferenza, cinismo sono diventati tratti tangibili: è disperante e doloroso assistere alla corsa individuale, alla massima visibilità, al protagonismo, e accorgersi che quelli con cui potevi condividere rischiano di essere i tuoi nemici”. La scommessa politica è diventata oggi, per fortuna, un’azione possibile nella quotidianità, sia per la capacità/potere di unire che hanno le donne sia, anche, per quella parte consapevole di uomini che hanno a cuore le relazioni con le donne e le sorti del nostro Paese e dei suoi Saperi. Elisabetta Giardini ne parla nella sua prefazione laddove, parlando di donne e anche di uomini, sottolinea che “la vita ha misure che il mercato non conosce”. Ed è di queste misure che a noi piace parlare, ed è di queste misure che noi parliamo quando parliamo di Desiderio o di Evaporazione del padre o di Crisi del padre: parliamo dei sentimenti forti che fanno la nostra

Cultura 107


Pedagogika.it/2012/XVI_1/cultura/scelti_per_voi

vita, che ci spingono verso la conoscenza della nostra anima, che è poi la misura di tutte le conoscenze, alla quale, forse, non dedichiamo tutto il tempo che occorre. Scriveva Rumi, nel tredicesimo secolo, in una straordinaria poesia, Desiderio dell’amico: “(...) L’anima ho stanca di Faraone e della sua tirannia; / la luce di Mosè dal volto irradiante io desidero ! / (….)Di bruti e mostri sono stanco, è l’Uomo ch’io desidero!”/ M’han detto; < Non si trova quello che cerchi, molto l’abbiamo cercato!/Ma la cosa che mai non si trova, quella io desidero !(....). La dimensione generativa del sapere non può non assumere questi desideri come dimensione di etica viva e di grande politicità. Non voglio fare l’ottimista per forza, ma occorre anche avere uno sguardo fecondo che possa partorire il nuovo che sta avanzando; certo, abbiamo tanto lavoro da fare! Ma che posto avrebbe poi il desiderio, se tutto fosse già saputo e saturato, monco di quella parte, forse più importante, che è quella di assorbire e metabolizzare nel tempo le conquiste di civiltà che, passo dopo passo, vengono fatte da donne e da uomini? Siamo, almeno in occidente, in una società post-patriarcale con ancora degli strascichi, i cui effetti, ancora da comprendere, vanno accompagnati anche dagli entusiasmi personali che, nel ritorno nella propria dimora, trovano lo spazio per sorgere o ri-sorgere in nuove dimensioni. Siamo, come nell’incipit dell’ultimo capitolo, in un presente che ha bisogno di un nuovo inizio. Questo nuovo inizio è già in itinere, le occasioni mancate sono oggi diventate occasioni incarnate. Incarnate poiché il desiderio che ci spinge, si sente ed è reale e vivo. Sono, di fatto, spaccati di vite reali, vis-

108

sute con impegno fuori e dentro l’Università, con la testa e con il cuore, tutte le parti che compongono questo testo. Dalla prefazione all’introduzione di Anna Maria Piussi e a tutti i successivi capitoli che qui voglio ricordare: MariaMilagros Rivera Garretas con Il Centro di Ricerca Duoda è l’università?; Antonia De Vita con All’università: qualità sociale e vita associativa; Assumpta Bassas Vila e Laura Mercader Amigo con Dalla critica alla reatività: indizi di un’università nuova; Nùria Jornet i Benito e M; Elisa Varela Rodriguez con Amministrare a partire dalla libertà; Assunciòn Lopez Carretero e Marta Caramès i Boada con La vita è una. Fare ricerca, una pratica politica; Nives Blanco con Sulle difficoltà e le possibilità dell’accompagnare la realtà che cambia; Frida Maria Alvarez Galvan con Doppio si, doppio sapere: maternità e università; Remei Arnaus i Morral con Il senso politico della creazione femminile. Sono parti che tengono insieme la vita tutta: corpo, mente, nascita, malattia, morte. Parlano di quelle Donne/Maestre del partire da sé e di quel sapere dell’anima tanto caro a Maria Zambrano. Donne consce della tensione continua che le ambivalenze del potere, sempre presente, possono distruggere con le loro minacce. Le storie qui narrate sono una la continuazione dell’altra, legate da un filo rosso che le unifica: sono le tessere del mosaico di cui parlavo all’inizio. E’ un testo che le donne e gli uomini, impegnati nel pensare e nel fare politico, dovrebbero leggere, consce e consci, voglio credere, che “ S’è fatta ora ” di cominciare a camminare davvero insieme, ragazze e ragazzi, donne e uomini, artefici del nostro futuro. E, con corag-


Pedagogika.it/2012/XVI_1/cultura/scelti_per_voi

gio, presentarci a quel mercato, luogo di desideri e di sogni possibili, che Luisa Muraro ha ben descritto nel suo “Al mercato della felicità”. Maria Piacente Carlo Cuppini,

Militanza del fiore Maschietto Editore, Firenze 2011, pp. 160, € 15,00.

Il libro di Carlo Cuppini è stato per me un incontro importante, fin dalla prima lettura, lenta e dilatata in tempi diversi, come è necessario, io credo, quando ci si avvicini a un testo composto di poesie. L’ho poi riletto e ne ho valutato il valore anche educativo, innanzitutto per me stessa, ma non soltanto evidentemente. Anch’io sono vecchia, a differenza dell’autore, e mi ritrovo nelle parole di Adriano Sofri, che scrive, nella Prefazione al libro, “sono curioso come un vecchio scimpanzè dei sentimenti dei giovani che si sono accorti dello scandalo del mondo. Lo scandalo è cosa di giovani”. E, poche righe più avanti, se la prende con l’uso ormai invalso della parola “indignazione, che è invece parola da vecchi (…) Cuppini non è indignato, è incazzato nero o allegro rosso…”. Le sue poesie infatti sono denuncia dei molti scandali che vivono e danno fisionomia al nostro contemporaneo, ma il colore delle sue parole, dei versi che compongono le pagine riesce ad essere di tono non magistrale, non moralistico né, appunto, noiosamente indignato:

ci conduce con mano apparentemente leggera, talora in forma di ballata, talora di filastrocca quasi infantile a toccare le atrocità che ci circondano, una normalità del male, cui ci abitua la sua pervasività, la reiterazione ossessiva di immagini, notizie, servizi televisivi, tiggì, discorsi sull’autobus che porta a casa dal lavoro, discussioni in cene in cui tutti sono d’accordo e nessuno fa niente. Carlo è incazzato nero, le sue parole si incendiano di allegro rosso, ma non assumono mai, fortunatamente, i toni dell’indignazione, il sentimento dei ‘buoni’, di quelli che prendono le distanze. La normalità delle nostre vite nasconde, rende opachi gli orrori che vi si celano, rende (può rendere) insensibili ai drammi, ai fuochi di guerra, in realtà non molto lontani. “armatura in regalo a puntate con ‘Gente’ ottima al posto della crema solare protegge il corpo dalle radiazioni e dal male (…) e per fortuna che c’era un bel grumo di mucillagine a pochi metri da riva a drenare quei pezzi di corpi di slavi del sud che ci avrebbero – lambendo le caviglie – rovinato le ferie” La sorpresa del male ci coglie nell’intimità , nella semplicità dei gesti quotidiani, abita nelle nostre case, ci accompagna nella scansione tranquilla delle giornate, quando dormiamo nei nostri letti e consumiamo i nostri pasti. “(…) poi si apre l’anta della dispensa tra i pacchi dei biscotti s’affacciano migliaia di profughi libici ti vengono incontro sorridenti pieni di fiori nel grembo sfondato ballando il samba ti riempiono gli occhi di fosforo bianco – e la cucina”

Cultura 109


Pedagogika.it/2012/XVI_1/cultura/scelti_per_voi

Il cibo, i consumi, le invenzioni del mercato che ci trasformano in avidi raccoglitori e raccoglitrici di punti, di occasioni (da non perdere, assolutamente), divengono bizzarre malattie del normale, irreprensibile quotidiano. “patologia in regalo coi punti contentamento isterico senza pretesa di felicità familiarità dell’accumulo non necessariamente con incremento del colesterolo (dice il medico)” E la follia giornaliera prende la forma, in un’altra poesia, di un orrore che pare impronunciabile e che Cuppini ci allestisce nel piatto, nella luce chiara e intollerabile di una semplicità avvolgente nel suo orrore. “(…)i soliti mille bambini disciolti nel purè liofilizzato con gli organi interni stipati in scatoletta promemoria tirare linguetta rimetterli ognuno al suo posto anche se adesso non serve” Ma basta poco per sentirsi, ancora, buoni. “(…)chiamare i pompieri/salvate il gattino/eccetera amare i pompieri gattino ryan eccetera pompieri” Siamo buoni e intanto invecchiamo, diventiamo scandalosamente vecchi, e altre, altri – quelli che non possono invecchiare come noi - si prendono cura dei nostri corpi. “(…)gli ex torturati a Guantanamo ci verranno a lavare la schiena quando ancora vivi saremo troppo vecchi anche per stare all’ospedale” Si scopre, nel nostro silenzio, non solo la colpa, non solo la pavidità o la paura – “… e allora noi vili”, scriveva un altro

110

poeta - ma la perdita di noi stessi. “tolto il bavaglio non c’è bocca né faccia senza trucco né inganno ci tocca scoprire che nessuno ci aveva costretti a tacere se non il tacere” E in questo normale percorso tra sofferenze, silenzi e cantilene sorridenti di atrocità, trova posto ancora l’amore, ancora il desiderio (o la necessità?) di dare vita. “(…) nel nostro stringerci come mattone bruciato nella stanza accerchiata in quest’ora di assedio c’è nostro figlio che vuole sbocciare”. Barbara Mapelli Mariangela Giusti Immigrazioni e consumi culturali. Un’interpretazione pedagogica Laterza, Roma-Bari 2011, pp. 176, € 22,00. Leggendo Immigrazioni e consumi culturali quello che può capitare al lettore è di trovarsi chiamato a dialogare con la propria storia formativa. Lo sappiamo, le storie di vita chiamano altre storie di vita e il lettore si trova immerso in una nuova dimensione in cui le esperienze narrate e quelle vissute si intrecciano. É quanto mi è capitato durante la lettura: nel confronto con i racconti letti mi sono inevitabilmente imbattuto nella mia sto-


Pedagogika.it/2012/XVI_1/cultura/scelti_per_voi

ria come “consumatore culturale”. Questa è la vera forza di un testo che sostiene il passaggio dal pensiero egoico all’apertura all’altro-da-sé, obiettivo di ogni lavoro educativo, interculturale e non. Colpisce (positivamente) leggere che “la nuova cultura di tutti nasce da gruppi di persone che vivono gli spazi pubblici delle città; da tradizioni e modernità; da reperti archeologici e rimandi mitologici, ma anche da storie di vita comune e condizioni esistenziali di migrazione”. Riconosciuta l’importanza di “una cultura che rimanga colta” si focalizza, invece, l’attenzione verso quelle realtà, quelle persone, poste ai margini del contesto formativo e culturale. Il margine diventa punto privilegiato di osservazione, che ci rivela quali realtà culturali si aprono all’altro, allo straniero, rappresentando luoghi di incontro e occasioni di crescita vicendevole. L’autrice ci pone di fronte all’importanza della reciprocità: se la cultura si apre a chi viene da altre realtà, a chi è stato ed è in una condizione marginale, allora perde in astrazione per occupare “spazi reali della convergenza e del dialogo, ambienti fisici della reciproca influenza e anche della complementarietà fra gli uomini, fra le culture, fra i gruppi umani”. Veniamo accompagnati dentro a luoghi di cultura che promuovono quel coinvolgimento attivo che spesso manca anche nei nostri ricordi e nei nostri vissuti scolastici. Coinvolgimento che andrebbe recuperato, con vantaggio per i piccoli studenti, autoctoni e non, partendo dall’offerta agli stranieri presentata nel testo. In modo analogo viene valorizzato, citando un altro testo della prof.ssa Giusti, il rapporto tra “formazione e spazi pubblici”. Gli spazi della città diventano luoghi di scambio, di incontro e di intercultura, luoghi che

“riescono a contenere oltre alle persone […] materiali d’uso nel tempo libero e oggetti della convivialità (stereo, poltroncine pieghevoli, barbecue per la grigliata)”. Mentre ci avviamo alla conclusione della lettura, la spinta auto-riflessiva da cui siamo partiti si riaffaccia con urgenza: “Se un giorno dovessi trovarmi, costretto o per scelta, a vivere in un altro paese, quali luoghi frequenterei? Quali riferimenti cercherei?”. Nessuna difficoltà nella risposta: biblioteche, parchi, luoghi di pratica sportiva all’aperto. Luoghi compagni nel percorso di studi e che oggi, con maggiore consapevolezza, si offrono come ambiti di auto-formazione continua. Dai contesti extrascolastici il ritorno all’aula è d’obbligo, se non altro per vedere i limiti di quest’ultima e per permettere a chi vive quotidianamente la realtà scolastica, di pensare strategie migliorative. Troviamo quindi alcune cause dell’insuccesso scolastico dei ragazzi stranieri, raccontate dagli stessi protagonisti. Mancata accoglienza e difficoltà famigliari si alternano però a storie di giovani che non mollano. Ragazzi e ragazze che, nonostante la fatica e i percorsi travagliati, portano a compimento il loro ciclo di studi. Affianco a loro, storie di giovani in bilico tra cultura d’origine, cultura “ospitante” e la pratica omologante dei centri commerciali, dove acquistare non solo oggetti ma simboli. Ricordando che, per dirla con l’autrice, “consumare significa comunicare qualcosa di sé: gli stili di consumo sono anche stili di comportamento in quanto le identità sociali si esprimono e si stabilizzano anche tramite i consumi”. Ma i giovani non sono solo stereotipie e omologazione. Anzi, giovani migranti individuano spazi di riscoperta nel Web che diventa luogo di creazione e di trasmissione di cultura. Attraverso i loro

Cultura 111


Pedagogika.it/2012/XVI_1/cultura/scelti_per_voi

racconti vediamo giovani impegnati a ri-trovarsi e a ri-conoscersi. Giovani che, tramite la rete, fruiscono di iniziative culturali o ne promuovono. Il Web diventa, così, “un modo per favorire e incentivare nei giovani che vivono la migrazione lo sviluppo di un atteggiamento di doppia appartenenza, che può consentire loro di superare in positivo il compito della costruzione della propria identità”. Concludiamo evidenziando uno degli obiettivi non dichiarati ma evidenti del testo: non solo fornire strumenti che favoriscano la comprensione della società multiculturale, bensì invitarci, attraverso spunti operativi e laboratori, a metterci in gioco per contribuire ad un percorso di accoglienza e integrazione di chi viene da una cultura diversa. Gianluca Salvati

musica a cura di Angelo Villa 112

Sufjan Stevens The Age of Adz Asthmatic Kitty, 2010, € 15,30

Fleet Foxes Helplessness Blues COOP Music, 2011, € 19,30

Tinariwen Tassili COOP Music, 2011, € 18,90 Dubbi, insolubili

dubbi? La strada che ogni giorno devo percorrere per recarmi al lavoro la conosco talmente a memoria che potrei guidare con gli occhi chiusi, pericolosa tentazione che, di tanto in tanto, si affaccia nel mesto ruminare dei miei pensieri. Il fatto, poi, che la suddetta strada sia un eterno cantiere a cielo aperto non mi è di grande aiuto. Nervoso attendo che una coda si esaurisca per infilarmi prontamente in quella successiva. Il tempo passa e io cerco come posso di consolarmi o stemperare la mia inquietudine ascoltando qualche cd che mi porto sempre appresso. E’ in quella circostanza, poi la vita mi ruba ad altre preoccupazioni, che amletici quesiti mi assalgono e mi tengono compagnia. Domande profonde ed esistenziali, del tipo: quale Stevens è meglio? E’ preferibile il vecchio Cat, il quale non ci ha nemmeno risparmiato l’irritazione per la sua conversione alla religione musulmana, o il giovane Sufjan? Come non sapete chi è Sufjan Stevens? Beh, allora fate qualcosa, minimo, andate su Youtube per farvene un’idea. A conti fatti e in spregio della nostalgia credo valga oggi più la pena di ascoltare Sufjan. E’ bravo, originale, secondo alcuni è addirittura quanto di meglio è dato di sentire e vedere sulla scena newyorkese. Anni fa, Sufjan coltivava un’ambizione, quella cioè di creare un cd per ogni stato americano. Ovviamente, il progetto è ben lungi dall’esser terminato e chissà se il nostro Sufjan riuscirà mai a concludere la sua titanica impresa. Chi vivrà, vedrà. Basta tuttavia solo questo per lasciar intendere di che pasta sia fatto il nostro Sufjan, quale l’ispirazione che lo anima… Per il momento, se non erro,


Pedagogika.it/2012/XVI_1/cultura/scelti_per_voi

di cd dedicati ai singoli stati ne sono usciti due: Come on fell the Illinoise e Greetings from Michigan. Entrambi fantasiosi, densi e mai banali. Nel frattempo, ricordo, sono usciti altri album, poiché Sufjan non è rimasto a oziare con le mani in mano, chi volesse iniziare a conoscerlo potrebbe partire da Chicago e poi proseguire… Niente male è, a questo proposito, anche il suo ultimo cd The age of Adz. Risolto un dubbio, ahimè, ecco subito che me ne se affaccia un secondo: avete presente i Fleet Foxes, le volpi veloci? Il loro ultimo lavoro è stato alquanto osannato dalla critica specializzata, oh yeah. Varie riviste hanno dedicato la copertina a Helplessness Blues, titolo di una canzone dell’album, ispirato al “folk sociale” degli anni sessanta, Pete Seeger e dintorni, per intenderci. Personalmente, l’insieme non mi ha granché entusiasmato. L’ho trovato, per i miei gusti, alquanto noiosetto. Più cantato che realmente suonato, il cd mi sembra qualcosa a metà strada tra un vecchio brano dei CSN&Y e un coro alpino. Quasi quasi mi addormentavo. Esagero? Mi sbaglio oppure no? Loro stessi, le “volpi veloci”, d’altronde, così identificano i fan della loro musica come “…fichetti impotenti… hipster del cazzo…” (cfr. Rolling stone, n. 97, p.143). Sublime autoironia? Puro masochismo? Chissà… E ancora: mi ha deluso, quanto meno in rapporto alle mie aspettative, il cd dei Tinariwen, Tassili, elogiatissimo da Mojo e da vecchie e celebri rock star. Questa volta, il loro blues sahariano mi è parso piuttosto ripetitivo, privo d’intensità. Ma, forse, ancora un dubbio, sono io che mi sono stancato troppo

in fretta e l’ho ascoltato distrattamente. Cocciutamente, però, continuo a preferire nel medesimo contesto culturale, musicale altri cd, quali Toumastin dei Tamikrest o Ishumar dei Toumast o, infine, Ishumar 2. New tuareg guitars. Ascoltateli, ne vale la pena. La coda, però, dopo un po’, prima o poi, si muove. Le auto riprendono la loro corsa e il tempo perduto mi spinge ad accelerare. I due Stevens mi salutano con un cenno della mano, le volpi veloci intonano un coro melodioso e la sabbia del deserto dei Tinariwen si deposita invisibile sin dentro il cruscotto della mia vettura. I dubbi, come i debiti, possono attendere. E’, comunque, tutta musica di qualità che consiglio ai lettori di ascoltare, poi ciascuno di loro sceglierà secondo i suoi gusti e la sua sensibilità. Magari confutando le mie impressioni. Io, nel frattempo, continuo a lasciar suonare sul mio lettore cd un album turco che mi hanno portato da Istanbul. Loro si chiamano Pinhani e il disco Inandigin masallar (spero di non aver invertito il nome del gruppo con il titolo dell’album e, soprattutto, non chiedetemi cosa diavolo significhino queste parole, è facile, non lo so…). Le foto dei due (?) membri del gruppo fissano due visi puliti, semplici, convincenti. Si assomigliano, paiono fratello e sorella. La loro musica è accattivante, seducente, possiede un certo non so che di autentico, di fresco. Quasi fossero i Coldplay degli anni migliori, quelli dei loro esordi. Se vi capita di passare da quelle parti ve lo consiglio, mamma mia, in gamba davvero questi turchi! Angelo Villa

Cultura 113


Pedagogika.it/2012/XVI_1/cultura/scelti_per_voi

cinema a cura di Cristiana La Capria 114

Scialla! di Francesco Bruni Italia 2011 Produzione: IBC Movie, Pupkin Production, Rai Cinema Quando le parole non fanno paura Stavo per scegliere un altro genere; passeggiavo nei dintorni della fantascienza alla ricerca di uno di quei film dal respiro globale, con picchi di catastrofismo e tensioni salvifiche spettacolari. I film che usano l’ottica macrocosmica nel raccontare le paure e le ansie generalizzate che ci provoca questo lungo tempo di crisi sono abbondanti. Invece poi ho cambiato idea, ho fermato lo sguardo su dimensioni più piccole e più vicine. Ancora una volta propongo un film italiano. Ecco, ho trovato una commedia che fa ridere la maggioranza di quelli che sono in sala; io sono nella minoranza. Per me ha il tono narrativo che ti strappa di frequente un sorriso amaro. Anzi, superata la superficie, si arriva ad un fondo che non ha più nulla del sorriso, è solo amaro. Una commedia, appunto, di quelle che scorrono sul filo di una sceneggiatura minimalista, che sta in piedi sui soliti rapporti conflittuali tra i soliti personaggi nella solita scenografia metropolitana. Siamo a Roma dove un professore e uno studente, divenuti coinquilini per uno strano evento, si scoprono padre e figlio e imparano a gestire il nuovo legame. Ma la patina di dejà vu rivela particolari insoliti che, a ben guardare, non sono proprio rassicuranti. Bruno è docente di italiano e

latino, ha smesso di insegnare, non tornerebbe mai più a scuola. Triste, apatico, catatonico. Eppure è intensamente avvinghiato agli insegnamenti letterari dei padri latini, che cita di frequente e con passione. Le uniche parole che lo fanno vibrare sono quelle latine. Luca, è studente al liceo classico, nella scuola sta stretto come un ippopotamo in un vaso di fiori, perciò in classe ci arriva sempre tardi e malvolentieri. Ansioso, insofferente, inquieto. Si allena a boxe, non conosce un’acca di latino ma parla bene la lingua degli sciallati, quella che esorta a prendere tutto con calma, quando tutto calmo non è. I gesti di rabbia rivolti agli adulti, le mosse azzardate che lo spingono nelle braccia dello spaccio di droga, i sorrisi a metà scambiati con gli amici raccontano e ricordano molti ma molti profili simili al suo, qui, ora, nella scuola di oggi. Con un mondo interno sgangherato ma vivo, alla ricerca di un presente senza pesi sulle spalle, perché fa troppa paura sognare se poi il sogno non si realizza. Mi metto nei panni di un adolescente e mi chiedo come si possa imparare la storia di Achille se si è seduti in un’aula dalle pareti soffocanti e l’insegnante, ritta su sé stessa come una mazza di scopa, è pronta solo a voler correggere l’incorreggibile? Certo che è poi molto meglio tapparsi le orecchie con le note di musica rap e fissare là, fuori dalla finestra. Al professore abulico, quando scopre che il suo studente è pure suo figlio, capita di provare finalmente delle emozioni. Di paura, soprattutto; pensando che il figlio senza titoli di studio e senza ambizioni avrà un futuro zoppo, che vive in un presente fermo, schivo, e si mette


Pedagogika.it/2012/XVI_1/cultura/scelti_per_voi

pure in fuga da tutti quelli che provano ad “accollarsi” a lui. Alla fine un legame tra i due si forma, il che è davvero un enorme traguardo. Ma l’orizzonte è spento, i riverberi della stanchezza del padre/professore intrecciano le ombre esistenziali del figlio/studente. E attendiamo una svolta che non arriva mai, nel film. Siamo davvero così impantanati? Quanta e quale distanza siderale si frappone tra l’adulto e il giovane! Ancora è tanta, malgrado gli sforzi, la non comunicazione. La sua assenza diffusa. La presentazione della vicenda accade senza retorica e senza punteggiature morali; la maggioranza delle inquadrature riprendono gli interni: dell’appartamento, della scuola, dell’auto. Le uniche tracce di Roma sono campi medi di sprazzi di strade piccole e meno piccole. Il vero scenario della vicenda è il linguaggio, anzi l’incrocio tra il linguaggio veneto dell’adulto e il linguaggio spinto romanesco del giovane che, appena le circostanze assumono un livello di complicazione superiore ad 1, sfodera l’imperativo magico “scialla”: stai tranquillo, vivi sereno, è tutto a posto, non ci pensare, rilassati, prenditela comoda, non ti preoccupare. Nei momenti di massima tensione, più ci esortano alla calma e più la calma diminuisce, più ci ordinano di star calmi è più verrebbe da fracassare un bicchiere in terra. “Scialla!” è l’imperativo del titolo del film, il suo contenuto però può avere effetti collaterali opposti. Un film che ti fa pensare nello stesso momento in cui ti chiede di non farlo. Interessante. Cristiana La Capria

Cultura 115


Pedagogika.it/2012/XVI_1/cultura/

ARRIVATI_IN_REDAZIONE Fabio Dovigo (a cura di) Purché il parto sia lieve. Nuovi percorsi della maternità Edizioni Unicopli, Milano 2011, pp. 144, € 14,00 Negli ultimi anni, anche nel nostro paese, voci sempre più numerose invitano a un deciso cambiamento di rotta rispetto alla crescente medicalizzazione della maternità. È importante sviluppare un approccio di umanizzazione della nascita che ne rispetti le dimensioni di “normale variabilità”, favorendo al contempo un’effettiva valorizzazione delle scelte delle donne su questo tema. Garantire una nascita normale e una piena partecipazione delle donne alle scelte che riguardano un’esperienza centrale nella loro vita consente infatti non solo di promuovere il reale benessere della coppia madre-bambino, ma anche... Mariotti Gabriella Fantasmi della notte. Riflessioni psicoanalitiche sulle paure postmoderne Edizioni Antigone, Torino 2012, pp. 188, € 22 Apparteniamo a un'epoca in cui alle maggiori occasioni di libertà e di promozione personale corrispondono i prezzi da pagare (incertezza, paura) per poter utilizzare tali occasioni e il rischio di degenerazioni più o meno difensive (diniego, superficializzazione). Per la psicoanalisi, ogni accadimento significativo nel nostro ambiente ha un risvolto nel nostro mondo interno, e può riattualizzare elementi del passato rimasti non elaborati. Ecco perché, soprattutto oggi, l'analista deve affacciarsi al mondo e non trascurare la realtà esterna alla stanza d'analisi...

Roberta De Monticelli La questione civile Raffaello Cortina Editore, Milano 2011, pp. 156, € 13,50 Ci sono momenti in cui un uomo pensa che la sua vita non abbia valore. Ce ne sono altri in cui si pensa che non abbia più valore la vita di nessuno. Per molti di noi questo è un momento come il secondo. È questo, vivere oggi in Italia. È questa erosione di speranza, di coraggio e di slancio creativo a ridurre in cenere i nostri giorni. E forse a ridurre anche la crescita del PIL. Con il tono appassionato di un’orazione civile, Roberta De Monticelli mette a fuoco con esattezza il cuore della tragedia che stiamo vivendo, e mostra come dal buon uso della nostra indignazione possa risultare una rifondazione, un progetto per una nuova civiltà.

Fausta Sabatano Crescere ai margini. Educare al cambiamento nell’emergenza sociale Carocci, Roma 2011, pp. 190, € 20,00 Bambini “oltre il rischio”, bambini violati, maltrattati, abbandonati, che vivono queste dimensioni violente come esperienza quotidiana, dando per scontato che le cose non possano che essere così: questo il focus della ricercaintervento del Progetto Integra. Da un punto di vista pedagogico, la sfida è relativa alla costruzione di condizioni per la pensabilità di un modo differente di essere al mondo, di immaginarlo e di viverlo “di un altro colore”. Educare al cambiamento, in questa prospettiva, significa sollecitare bambini ed adulti a guardare la realtà attraverso nuovi filtri interpretativi...

116


Pedagogika.it/2012/XVI_1/cultura/arrivati_in_redazione

Daniela Brancati Occhi di maschio. Le donne e la televisione in Italia. Una storia dal 1954 a oggi Donzelli, Roma 2011, pp. 291, € 18,50 Occhi di maschio è il primo tentativo di storia della televisione dal punto di vista dei vinti, cioè delle persone di buon gusto e di buon senso e delle donne. La tv, dominata dallo sguardo maschile, è stata ed e lo specchio dei desideri prevalenti dei maschi italiani. Desideri in principio palesi e dichiarabili, poi sempre più aggressivi e sfacciati. L’autrice è stata fra i protagonisti di questo mondo e ne scrive con aperta soggettività, con aneddoti e ricordi arricchiti dalle testimonianze di alcune persone che hanno contato nella tv italiana, delle quali a volte non si conserva neanche più il ricordo.

Giuliana Franchini, Giuseppe Maiolo Mamma che ridere! Crescere i figli con intelligenza e ironia Centro Studi Erickson, Trento 2011, pp. 102, € 14,50 Non solo i bambini ci osservano, ma ci ascoltano con attenzione. E poi ci fanno il verso, mostrandoci come siamo e come ci comportiamo. Spesso lo fanno imitando i nostri comportamenti, altre volte ci prendono benevolmente in giro. Di certo non possiamo dire “Tanto non capiscono!”. Al contrario: percepiscono anche quello che non vorremmo far sapere loro, perché hanno antenne potentissime sintonizzate su di noi. In realtà essi fanno quello che noi facciamo, più che quello che noi diciamo. Questo libro nasce dalle loro frasi e da alcune sagaci battute che, tenere o buffe, ci indirizzano quando meno ce l’aspettiamo.

Andrea Potestio Bisogno di cura, desiderio di educazione La Scuola, Brescia 2011, pp. 191, € 12,00 Va di moda la cura, in pedagogia. In versione ora psicologica, ora psicanalitica, ora sociologica, ora addirittura medico-clinica l’“educare” pare sempre più un “curare” sé e gli altri. Ma, la pedagogia? Per giustificarne un ruolo, allora, non pochi pedagogisti hanno importato nella loro disciplina importanti suggestioni filosofiche elaborate soprattutto da Heidegger, ma non meno da Stein, Foucault, Derrida, MacIntyre, anche Nussbaum. Il testo, con analisi interne ed esterne al pensiero di questi autori, rifiuta però la pertinenza di questi approdi e, con una decostruzione di alcuni luoghi ormai divenuti comuni, tenta di rivendicare all’educazione ciò che è dell’educazione... Giovanni Jervis Il mito dell’interiorità. Tra psicologia e filosofia Bollati Boringhieri, Torino 2011, pp. 239, € 18,00 Negli ultimi trent’anni è cambiata l’antropologia di base delle scienze umane. L’immagine dell’uomo ha dovuto fare i conti con un nuovo naturalismo, che ha portato a compimento il processo di decentramento della soggettività iniziato con Copernico e Galileo e proseguito con Darwin e Freud. Un presupposto metodologico che era stato dato per autoevidente, quello dell’assoluta diversità della natura umana rispetto a quella animale, è andato definitivamente in frantumi. In questo quadro, la psicologia scientifica è giunta a risultati talora apparentemente paradossali.

Cultura117


Pedagogika.it/2012/XVI_1/cultura/arrivati_in_redazione

Alessandra Di Pietro Godete! Add Editore, Torino 2011, pp. 96, € 6,00 Il buon sesso conta molto nella vita di una ragazza, ma scoprirlo è ancora oggi per tante un colpo di fortuna. Tutto sembra libero, disponibile e amichevole verso le donne, ma quando la libertà e il piacere sono parte visibile dello stile di vita diventano causa di un’etichetta che è anche un giudizio morale. C’è una tensione ossessiva ad affascinare, attrarre, sedurre. Il godimento, però, pare rimanere tutto chiuso lì, nella fase che precede l’incontro dei corpi, il mescolamento di odori, sapori, umori, i fallimenti, le conquiste, le scoperte, il divertimento...

Pietro Lorenzetti Il chirurgo dell’anima Baldini&Castoldi, Milano 2011, pp. 220, € 18,00 Pietro Lorenzetti, chirurgo plastico di fama internazionale, nella sua lunga carriera ha fatto tesoro di viaggi, incontri ed esperienze di vita dalle quali sono scaturite le sue riflessioni sulla bellezza. Questo libro non è però una celebrazione della chirurgia estetica, ma intende proporre lo sguardo sul mondo di una persona animata da una grande curiosità intellettuale e umana. Da osservatore privilegiato si è infatti interrogato sul ruolo delle donne, sui loro desideri, sui meccanismi della seduzione, sulla centralità dell’aspetto fisico nella società contemporanea...

Concita De Gregorio Così è la vita. Imparare a dirsi addio Einaudi, Torino 2011, pp. 122, € 14,50 I bambini fanno domande. A volte imbarazzanti, stravaganti, definitive. Vogliono sapere perché nasciamo, dove andiamo dopo la morte, perché esiste il dolore, cos’è la felicità. E gli adulti sono costretti a trovare delle risposte. È un esercizio tra la filosofia e il candore, che ci obbliga a rivedere ogni volta il nostro rassicurante sistema di valori. Perché non possiamo deluderli. Né ingannarli. Siamo stati come loro non troppo tempo fa. Così è la vita, così va la vita, la vita è fatta così. Quante volte è stata questa la risposta dei genitori ai figli davanti alle sconfitte, alle amarezze, alle difficoltà...

Luis Kancyper Adolescenza: la fine dell’ingenuità Borla, Roma 2011, pp. 208, € 20,00 L’adolescenza è una delle tappe più importanti del ciclo vitale umano: rappresenta un momento tragico delta vita: “la fine della ingenuità”. Il termine ingenuità denota l’innocenza di chi è nato in un luogo dal quale non si è mosso; pertanto, manca di esperienza. Ingenuo è il primitivo, ciò che è dato, ereditato e non messo in discussione. Deriva dalla radice indoeuropea gn, che significa allo stesso tempo conoscere e nascere. L’adolescenza è un momento tragico perché, in questa fase dello sviluppo umano, si ha bisogno di sacrificare l’ingenuità riguardante il periodo dell’innocenza della sessualità infantile...

118


Pedagogika.it/2012/XVI_1/cultura/in_breve

Viaggiare… educare. Come, perché, con chi?” Convegno laboratorio per genitori e bambini Legnano 31 marzo 2012 ore 9.30-12.30 Sala Ratti e Leone da Perego Il viaggio/ percorso dell’educazione: da dove si parte? Come si parte? Che percorso si fa? che strumenti ho? che meta si vuole raggiungere ma, soprattutto, con chi si fa questo viaggio difficile ma, allo stesso tempo, entusiasmante? Convegno 9.30 – 10.00 Accoglienza partecipanti e saluti autorità Introduzione di Salvatore Guida, Psicopedagogista, Presidente Stripes 10.00 CooperativaSociale Onlus, e proiezione filmato 10.15 Intermezzo teatrale 10.30 Dialogo tra Mariangela Giusti, Docente di Pedagogia interculturale Università Milano Bicocca e Dafne Guida, Psicopedagogista, Direttrice generale Stripes Cooperativa Sociale Onlus 11.15 Confronto con i genitori 12.00 Aperitivo finale In parallelo Laboratori ludici per bambini: “Giochi in viaggio nei 5 continenti” La parte dedicata ai bambini prevede la possibilità di partecipare a due laboratori, 1 per bambini 2/4 anni e l’altro per bambini 4/6 anni. Ogni laboratorio impegnerà 15/16 bambini Saranno impegnati nel fare dei giochi insieme e nella coproduzione di giochi da portare a casa. La partecipazione è gratuita previa iscrizione.

Cultura 119


Pedagogika.it/2012/XVI_1/cultura/in_vista

Uomini in educazione 14 marzo 2012 – Università degli Studi Milano-Bicocca U6 – Aula Marini Perché il mondo dell’educazione e della formazione vede una presenza sempre più esigua di uomini? Quali sono le ragioni storiche, sociali e pedagogiche che possono dare conto di questa distanza degli uomini dal panorama dell’educativo? Come la scelta di una professione di cura modifica la rappresentazione della mascolinità? La giornata di studio, organizzata dall’Università degli Studi di Milano Bicocca e da ABCD, Centro Interdipartimentale per lo Studio dei Problemi di Genere con la collaborazione della rivista Pedagogika.it, si propone di analizzare una problematica complessa e di forte attualità per il mondo dei servizi e dell’educazione, nonché di interesse decisivo per la promozione degli studi e della ricerca pedagogica. Nella mattinata verranno presentate relazioni e interventi di studiosi e studiose sul rapporto tra il maschile e la cura educativa che affronteranno la tematica in un’ottica interdisciplinare e aperta anche al contributo di testimoni della cultura mediatica. Nel pomeriggio verranno presentati i risultati di una ricerca svolta in Università e finalizzata all’evento, realizzata con studenti e operatori uomini attraverso la metodologia dei focus-groups. Sono previsti inoltre interventi e confronti tra testimoni privilegiati del mondo dell’educazione messi a confronto con giovani educatori attivi nel settore per promuovere un dibattito sul confronto intergenerazionale tra uomini che hanno scelto di dedicarsi a queste professioni. Partecipano: Laura Formenti, Silvia Kanizsa, Carmen Leccardi, Barbara Mapelli, Duccio Demetrio, Stefania Ulivieri Stiozzi, Carmela Covato, Sandro Bellassai, Elisabetta Ruspini, Stefano Ciccone, Alessio Miceli (Maschileplurale), Gianni Passavini (giornalista), Manuela Rossi (laboratorio ‘In chiaro’ Università di Milano-Bicocca), Maurizio Fabbri (Università di Bologna), Fabio Arras, Vanina Barbieri, Andrea Marchesi, Paolo Cattaneo (Cooperativa Sociale Diapason), Ernesto Curioni (Università degli Studi Milano-Bicocca), Salvatore Guida (Pedagogika.it), Franco Floris (Animazione sociale). La partecipazione al Convegno è libera e gratuita Informazioni: Irene Mantovani – i.mantovani@campus.unimib.it

120


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.