Nota Critica - Flora Colavito

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Flora Colavito Dottore di Ricerca in Etica e Antropologia. Storia e Fondazione

Michele Indellicato, Etica della persona e diritti umani. La prospettiva del personalismo polacco, Pensa Multimedia, Lecce 2013. «Senza idee non c’è cultura; senza cultura non c’è società. E, senza libertà della cultura non c’è libertà della società». Così Gustavo Zagrebelsky scrive nel recente saggio dal titolo Fondata sulla cultura, interrogandosi sui valori costitutivi, nonché sull’importanza di disporre di idee autentiche che dirigano la nostra esistenza e la vita comune, al di là delle funzioni sociali esercitate dalla economia e dalla politica1. Zagrebelsky insiste sulla centralità del compito della cultura quale esigenza permanente di un “terzo unificatore” che dà sostanza spirituale e garanzia alla vita sociale, come collante che permette alle persone di riconoscersi reciprocamente pur nella “estraneità di fondo”. «Riconoscersi senza conoscersi, scrive Zagrebelsky, è condizione d’esistenza d’ogni società (…). Ma come può accadere che ci si senta parte di un’unità di vita più vasta quando non vi sono legami concreti, addirittura quando non ci si è mai incontrati né mai ci si incontrerà faccia a faccia? (…) Questo “qualche cosa” di comune è “un terzo” che sta al di sopra di ogni uno e di ogni altro (…): tutti e ciascuno si riconoscono in un punto che li sovrasta e, da questo riconoscimento, discende il senso di un’appartenenza e di un’esistenza che va al di là della semplice vita biologica individuale e dei rapporti solo interindividuali»2. In un tempo, come il nostro, nel quale la funzione della cultura rischia spesso di essere asservita a interessi politici ed economici, favorendo l’ottundimento delle nuove generazioni e l’appiattimento di ogni mentalità critica, dare spazio a una nuova interpretazione3, che fa vedere le cose 1

Cfr. G. Zagrebelsky, Fondata sulla cultura, Einaudi, Torino 2014. Ivi, pp. 5-6. 3 Secondo Evandro Agazzi, il tempo storico così come quello umano “gravitano” nell’area dell’interpretazione, del senso e del valore. L’atto interpretativo, però, diviene pregnante e vitale allorché riconsidera la memoria collettiva come presa di coscienza di un passato che vive nel presente, ricevendone «anche quei significati che lo trasformano in “storia” e non semplicemente in collezione di eventi isolati e senza significato» (E. Agazzi, Il tempo nella scienza e nella filosofia, ECIG, Genova 1985, p. 17). 2


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secondo una certa prospettiva, precedentemente non sperimentata, connettendo in maniera diversa le vicende individuali a quelle collettive, esprime il coraggio di una presa di posizione che dà senso alle cose e che interroga problematicamente quella capacità che Remo Bodei chiama la “defuturizzazione del futuro”4 o quella che per Paul Ricoeur è la funzione narrativa del “raccontare altrimenti”, attraverso cui un popolo, una nazione accedono a una concezione aperta e viva della propria tradizione5. Sembrano essere questi la configurazione e lo scenario interpretativo entro i quali si sviluppa l’inedito lavoro di Michele Indellicato, Etica della persona e diritti umani. La prospettiva del personalismo polacco. La prospettiva personalistica polacca, non molto nota al pubblico italiano e sottoposta all’attenzione per la prima volta dalla ricerca di Indellicato, nasce come movimento di opposizione intellettuale non soltanto ai riduzionismi praticati dalla cultura scientistica imperante negli anni bellici e postbellici del Novecento ma anche, e soprattutto, ai regimi totalitari che in quegli anni si affacciano in Europa e nel mondo, generando la crisi dei rapporti dell’uomo con l’altro uomo e la negazione dei più elementari diritti della persona umana. Il personalismo polacco costituisce un laboratorio quasi sotterraneo che, malgrado le condizioni avverse e proibitive, si riconosce nelle voci che si riuniscono attorno al “pensare la persona”, aprendo e incoraggiando collaborazioni impossibili con i paesi europei in cui è apparsa più viva la tensione personalistica (Introduzione, pp. 9-16). Sembra emergere da queste analisi la forza indipendente di un “terzo” unificante nella prospettiva polacca e il respiro profondo della presenza dell’Altro, capace di connettersi ai movimenti d’idee del personalismo ed esistenzialismo francese di E. Mounier e J. Maritain, nonché alle matrici 4

fenomenologiche

della

riflessione

filosofica

Cfr. R. Bodei, Guardando avanti, in La filosofia del novecento. Lo scenario teorico del nostro mondo, Donzelli, Roma 1997/2006. «Il cospicuo abbassamento dell’orizzonte temporale rappresenta l’elemento più macroscopico e insieme tra i meno indagati degli atteggiamenti socialmente diffusi. Uno dei risultati è che lo sguardo in avanti verso il futuro – che aveva preso il sopravvento su quello verso l’alto – tende di nuovo a restringersi (…). Come possiamo oggi defuturizzare il futuro, aumentare le nostre capacità di previsione, passare da una cultura della necessità a quella della congettura razionale e della complessità ad essa collegata?» (ivi, pp. 203-204). 5 Cfr. P. Ricoeur, Das Rätsel der Vergangenheit. Erinnern – Vergessen – Verzeihen, Wallstein Verlag, Göttingen 1998; tr. it. di N. Salomon, Ricordare, dimenticare, perdonare. L’enigma del passato, Il Mulino, Bologna 2004.


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contemporanea che, a partire da E. Husserl, e poi con E. Stein, M. Scheler, M. Merleau-Ponty, P. Ricoeur, R. Ingarden, R. Guardini (per citarne alcuni), gettano luce sulla costitutività intersoggettiva della persona umana e sulla sua inscindibile unità relazionale. Se una parte della riflessione filosofica esistenzialistica ha dato risposte che hanno avuto l’effetto di negare la trascendenza in ogni sua forma, approdando al vuoto o al nulla dell’avventura esperienziale umana, sono individuate “dentro” lo sviluppo del pensiero polacco indicazioni importanti che reintegrano posizioni filosofiche molto differenti tra loro, nel dinamismo di un dialogo comune che spinge a moltiplicare le relazioni tra uomo e uomo, anziché negarle e distruggerle. Un ruolo fondamentale di cerniera è, in questo, esercitato dalla “Szkola Lubelska personalizm” (Scuola personalistica di Lublino) di Stefan Wyszyński prima e di Czesław Strzeszewski poi, con la dottrina sociale postbellica dell’Università Cattolica di Lublino, in un circuito di idee che dinamizza nell’attuale il patrimonio storico di conoscenze platonico-aristoteliche, tomistiche, agostiniane con le tendenze filosofiche europee del Novecento (Origini del personalismo polacco. La scuola lublinese, pp. 17-34). L’enorme impatto che la Scuola di Lublino ha avuto, e ha tuttora, nella formazione sociale di laici e cattolici in Polonia incoraggia «gli studi interdisciplinari e anche multidisciplinari di sociologia, economia, etica, psicologia, politica» (p. 126). Notevole e inedita l’importante ricostruzione del personalismo ad opera di Jósef Maika, coordinatore della cosiddetta “Sezione sociologica” della Scuola di Lublino, presente negli Archivi delle Università Statali polacche: essa aiuta a riscoprire il ruolo guida del pensiero sociale cattolico in Polonia e a coglierne i collegamenti con il dibattito europeo occidentale sui diritti umani, assieme al suo consolidamento personalistico. Nel contesto delle origini del pensiero polacco non può non emergere la centralità della figura filosofica e antropologica di Karol Wojtyła (L’antropologia adeguata. Il personalismo di Karol Wojtyła, pp. 35-106). Non è certo una novità insistere sullo spessore filosofico e scientifico di “colui che divenne Giovanni Paolo II”, per dirla con R. Buttiglione.


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Tuttavia, la novità delle analisi di Indellicato risiede nel far emergere sapientemente la figura di Wojtyła come punto nodale emblematico di una rete più ampia di connessioni che in Polonia fanno da sfondo filosofico, culturale e storico-sociale lungo tutto l’arco del secolo scorso e che riaprono la “questione antropologica” della riflessione radicale sulla condizione dell’’“uomo intero”, “in carne e ossa” (Leibhaft), quasi a costituire una comunità intersoggettiva d’idee e un pavimento etico comune. Emerge lo spessore di un primato della persona e della sua responsabilità pratica, in situazione, che lo studioso individua nel “personalismo etico” di Wojtyła e che è soprattutto un modo di vita, che si va concretizzando al passo con la storia quotidiana; la sua non è un’etica per uomini eccezionali, è un’etica della persona per l’affermazione dei valori e dei diritti fondamentali dell’uomo (La filosofia personalista e dell’azione, pp. 107-121). Nell’ultima parte del testo, l’autore rende conto degli esiti attuali del personalismo polacco, che concorrono, oggi, al superamento del positivismo giuridico in Italia, aprendo a una nuova stagione dei diritti della persona e alla proposta di una “fondazione etico-personalistica dei diritti umani”. Informa di una profonda riflessione sul bene comune e della complessità di un rinnovato impegno intellettuale, che dal sociale si allarga all’eticogiuridico e all’istituzionale (Primato dei diritti umani e fondamenti personalistici, pp. 123-146). Ci sembra utile, a questo punto, richiamare l’attualità del “compito etico” kantiano che, più di duecento anni fa, stabiliva la priorità della profonda convergenza teoretica fra l’agire politico e l’agire morale, come approssimazione alla “pace perpetua”. «La vera politica, afferma Kant, non può fare nessun passo avanti senza prima aver reso omaggio alla morale, e benché la politica sia in se stessa una difficile arte, tuttavia non è affatto una tecnica la sua unione con la morale; infatti, è questa che taglia il nodo che quella non è capace di sciogliere appena l’una e l’altra entrano in conflitto. Il diritto degli uomini deve essere considerato sacro, per quanto grande sia il sacrificio da pagare per il potere dominante. (…) Ogni politica deve piegare


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le ginocchia davanti al diritto, e può però in cambio sperare di raggiungere se pure lentamente quello stadio in cui splenderà senza posa»6. È evidente l’assonanza critica delle analisi di Indellicato con quelle di Martha Nussbaum, la quale esamina, oggi, i rischi cui sono esposte le democrazie quando non prevalgano il rispetto e la dignità della persona umana percepita nella sua reale interezza. «Le democrazie, scrive Nussbaum, hanno grandi risorse di intelligenza e di immaginazione. Ma sono anche esposte ad alcuni seri rischi: scarsa capacità di ragionamento, provincialismo, fretta, inerzia, egoismo e povertà di spirito. L’istruzione volta esclusivamente al tornaconto sul mercato globale esalta queste carenze, producendo un’ottusa grettezza e docilità – in tecnici obbedienti e ammaestrati – che minacciano la vita stessa della democrazia, e che di sicuro impediscono la creazione di una degna cultura mondiale. Se l’autentico scontro di civiltà è, come io credo, uno scontro interno all’anima di ciascuno di noi, dove grettezza e narcisismo si misurano contro rispetto e amore, tutte le società sono destinate a perdere a breve la battaglia, se continueranno ad alimentare le forze che inevitabilmente portano alla violenza e alla disumanità e se negheranno l’appoggio alle forze che educano alla cultura del rispetto e dell’uguaglianza. (…) Esse servono a costruire un mondo degno di essere vissuto, con persone a tutto tondo, con pensieri e sentimenti propri che meritano rispetto e considerazione, e con nazioni che siano in grado di vincere la paura e il sospetto a favore del confronto simpatetico e improntato alla ragione»7. Le analisi di questo testo argomentano l’ineludibile intreccio fra dinamismi

storici,

prospettive

filosofiche

laiche

e

cattoliche

del

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I. Kant (1795), Zum ewigen Frieden, tr. it. di R. Bordiga, Per la pace perpetua, Feltrinelli, Milano 1991/2008, p. 95. I rischi sottesi da un uso acritico della ragione, che non riconosce il legame pratico che la connette alla legge morale, emerge nella questione del nesso fra “limite” e libertà che Kant sviluppa nello scritto Che cosa significa orientarsi nel pensiero. «Se la ragione, leggiamo, non vuole sottomettersi alla legge che essa stessa si dà, deve necessariamente piegarsi al giogo delle leggi imposte da altri, poiché senza una qualche legge niente, nemmeno l’assurdità più grande, può sussistere a lungo. La conseguenza inevitabile (…) (cioè della liberazione dai limiti imposti dalla ragione) è dunque la seguente: alla fin fine ci rimettiamo la libertà del pensiero, e poiché la colpa non è della sfortuna, ma della nostra tracotanza, siamo noi a giocarcela nel vero senso della parola» (id, Was heißt sich im Denken orientieren?, tr. it. di P. Dal Santo, Che cosa significa orientarsi nel pensiero, Adelphi, Milano 1996/2006, pp. 63-64). 7 M. Nussbaum, Not for profit. Why Democracy Needs the Humanities, Princeton University Press, Princeton 2010; tr. it. di R. Falcioni, Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno di cultura umanistica, Il Mulino, Bologna 2011, p. 154.


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personalismo europeo e non, fornendo un quadro complesso e variegato dell’inscindibile unità relazionale che collega, pur nelle differenze e negli esiti non sempre felici, la comunanza d’intenti che hanno come piattaforma basica la persona e la sua dignità, a livello sociale, politico, ma anche giuridico8. «Con questo sguardo benevolo e comprensivo verso l’uomo intero, scrive in conclusione Indellicato, diventa sterile ogni tentativo di stilare provvisorie o definitive liste di “valori non negoziabili”, ed emerge con fondamento la convinzione che l’uomo come un intero è per sé “valore non negoziabile” (…). Ciò significa non già chiedersi quale sia il livello di ricchezza e neppure solo come questa sia distribuita (cioè il livello di disuguaglianza) significa piuttosto chiedersi che cosa le persone siano in grado di fare e di essere in quella particolare società: quanto la loro dignità come esseri umani sia riconosciuta e valorizzata e quanto esse siano libere di scegliere la propria vita nella concretezza delle loro condizioni particolari» (Per una nuova stagione dei diritti, pp. 148, 150).

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A tal proposito, è citata l’interpretazione di Aldo Moro delle categorie che appartengono al campo giuridico: «La qualifica di giuridico spetta (…) a ciascuno degli elementi che entrano nel sistema giuridico. Quali: norma ‘giuridica’, comando ‘giuridico’, soggetto ‘giuridico’ e, quindi, anche bene ‘giuridico’. E per bene o valore (…) noi intendiamo l’oggetto, il contenuto delle attività umane, perché la realtà sociale di cui parliamo come oggetto regolato dal diritto, è un complesso di attività umane, un insieme di volontà umane» (A. Moro, Lezioni di Istituzioni e di Diritto penale, Bari 2005, p. 192, in M. Indellicato, p. 132).


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