Italian Journal of Special Education for Inclusion 2 2017

Page 1

anno V | n. 2 | dicembre 2017


Italian Journal of Special Education for Inclusion Rivista ufficiale della Società Italiana di Pedagogia Speciale (SI.Pe.S.)

anno V | n. 2 | dicembre 2017

Abbonamenti Enti / Scuole / Istituzioni: Italia euro 40,00 • Estero euro 60,00 • online 20,00 Studenti universitari: Italia euro 30,00 • Estero euro 50,00 • online 10,00 Le richieste d’abbonamento e ogni altra corrispondenza relativa agli abbonamenti vanno indirizzate a: abbonamenti@edipresssrl.it La rivista, consultabile in rete, sul sito www.sipesjournal.it può essere acquistata nella sezione e-commerce del sito www.pensamultimedia.it

Le note editoriali della rivista sono disponibili nel sito www.sipesjournal.it

Editore Pensa MultiMedia Editore s.r.l. – Via Arturo Maria Caprioli, 8 – 73100 Lecce tel. 0832.230435 – www.pensamultimedia.it – info@pensamultimedia.it Iscritta al Registro degli Operatori di Comunicazione al n. 11735 • C.C.I.A.A. 241468 Iscritta al n. 9 del Registro della Stampa del Tribunale di Lecce il 14 maggio 2013 ISSN 2282-5061 (in press) / ISSN 2282-6041 (on line)

http://www.sipesjournal.it

Finito di Stampare nel mese di DICEmBRE 2017

Per l’invio dei contributi e per comunicazioni: sipesjournal@pensamultimedia.it / 06.57334093

Gli articoli pervenuti sono sottoposti a un procedimento di referaggio che prevede giudizi indipendenti da parte di due studiosi italiani e stranieri di riconosciuta competenza. I giudizi sono espressi secondo quanto previsto a livello nazionale e internazionale e sono comunicati agli autori unitamente alle eventuali indicazioni di modifica che gli stessi devono accettare ai fini della pubblicazione. Sono accettati solo gli articoli per i quali entrambi i revisori abbiano espresso parere positivo. In caso di giudizi fortemente contrastanti ci si avvale di un terzo revisore. Il Comitato dei Referee coincide con il Comitato Scientifico. Il Board, tuttavia, si avvale anche di ulteriori Referee che saranno resi noti nel primo numero dell'annata successiva.


DIRETTORE RESPONSABILE

Luigi d’Alonzo (Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano) COmITATO SCIENTIFICO

Pilar Arnaiz Sánchez (Universidad de Murcia, Spagna) Serenella Besio (Università della Valle D’Aosta) Roberta Caldin (Università di Bologna) Andrea Canevaro (Università di Bologna) Lucia Chiappetta Cajola (Università Roma Tre) Lucio Cottini (Università di Udine) Piero Crispiani (Università di Macerata) Armando Curatola (Università di Messina) Luigi d’Alonzo (Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano) Lucia De Anna (Università del Foro Italico, Roma) Anna maria Favorini (Università Roma Tre) Carlo Fratini (Università di Firenze) aura Gelati (Università Milano Bicocca) Catia Giaconi (Università degli Studi di Macerata) Karen Guldberg (University of Birmingham, GB) Elias Kourkoutas (Università di Rethymno, Creta) Dario Ianes (Università di Bolzano) Franco Larocca (Università di Verona) michele mainardi (SUPSI, Svizzera) margherita merucci (Università Cattolica de Lyon, Francia) Pilar Orero (Universitat Autònoma de Barcelona, Spagna) marisa Pavone (Università di Torino) Eric Plaisance (Università Paris V, Parigi, Francia) Béla Pukánszky (University of Budapest, Ungheria) Robert Roche Olivar (Universidad de Barcelona, Spagna) marina Santi (Università di Padova) Joel Santos (Universidade de Lisboa) maurizio Sibilio (Università di Salerno) Darja Zorc-maver (University of Ljubljana, Slovenia) BOARD

Fabio Bocci (Università Roma Tre) Roberta Caldin (Università di Bologna) Lucio Cottini (Università di Udine) Luigi d’Alonzo (Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano) Lucia De Anna (Università del Foro Italico, Roma) COmITATO DI REDAZIONE

Alessia Cinotti (Università di Bologna) Alessio Covelli (Università del Foro Italico, Roma) Barbara De Angelis (Università Roma Tre) Diego Di masi (Università di Padova) Daniele Fedeli (Università di Udine) Andrea Fiorucci (Università del Salento, Lecce) Valeria Friso (Università di Bologna) Simona Gatto (Università di Messina) Elisabetta Ghedin (Università di Padova) Annalisa morganti (Università di Perugia) Francesca Salis (Università di Urbino) Elena Zanfroni (Università Sacro Cuore Milano) Antioco Luigi Zurru (Università di Cagliari)


indice /summary

6

Editoriale / Fabio Bocci SUmmER SChOOL BRESSANONE (Seconda Parte)

13

LAURA ARCANGELI, ENRICO ANGELO EMILI, MOIRA SANNIPOLI Students with Special Educational Needs at University: autobiographical narration and self-functioning in the inclusive perspective

25

ROSA BELLACICCO Ripensare la disabilità in università: le voci di studenti e docenti

43

PATRIZIA OLIVA, ANNA MARIA MURDACA Competenza emotiva, strategie di coping e atteggiamenti inclusivi nella relazione insegnante/alunno ipovedente

53

ALESSIA SIGNORELLI Inclusione scolastica ed educazione socio emotiva: risultati di una ricerca europea

I. RIFLESSIONE TEORICA 71

MARGHERITA MERUCCI La « bientraitance » : un nouveau système pour être en relation II. ESITI DI RICERCA

81

BARBARA DE ANGELIS Sostenere la motivazione degli alunni autistici. Un progetto di didattica inclusiva con la musicoterapia


indice /summary

93

DEBORA AQUARIO, IGNACIO PAIS, ELISABETTA GHEDIN Accessibilità alla conoscenza e Universal Design. Uno studio esplorativo con docenti e studenti universitari

107

G. FILIPPO DETTORI, GIOVANNA PIRISINO L’inclusione del bambino con disabilità nei servizi per la prima infanzia: l’esperienza di “melampo al nido”

121

NICOLETTA ROSATI Essential Questions and their use in developing metacognition in preprimary and primary aged children

137

Recensioni

III. ALTRI TEmI


Editoriale / Un anno, cinque anni. Bilanci e promesse di impegno Non si teme il proprio tempo. È un problema di spazio (Giovanni Lindo Ferretti – CSI, Linea Gotica)

6

Si chiude con questo numero l’annata 2017 e si chiude anche il quinto anno di vita dell’Italian Journal of Special Education for Inclusion. Diciamo subito qualcosa sulla nostra rivista, alla chiusura del suo primo lustro. Una rivista che – unitamente alla sua sorella maggiore, qual è L’integrazione Scolastica e Sociale diretta da Marisa Pavone – è espressione della Società Italiana di Pedagogia Speciale, ossia dell’impegno accademico, ma anche sociale, culturale e politico della Pedagogia Speciale e dei pedagogisti speciali nel nostro Paese. Una rivista che in questi cinque anni è cresciuta molto. Sono infatti stati sottoposti all’attenzione del Direttore, del Board e della Redazione circa 150 contributi, dei quali ne sono stati pubblicati 120 a seguito di procedure di referaggio svolte secondo i criteri della comunità scientifica nazionale e internazionale. Articoli, anche di studiosi stranieri, redatti non solo in italiano e in inglese ma anche in altre lingue autoctone, secondo la logica adottata dalla rivista di dare voce e di valorizzare le differenze non solo come tema emergente nei contenuti degli scritti ma anche come ambito culturale di confronto, andando oltre (nella libertà di scelta) al monopolio unico di un’unica lingua scientifica. Fermiamo ora l’attenzione sul 2017. Sul piano socio-culturale, economico e politico è stato questo un anno contrassegnato, per molti versi, da una sorta di involuzione. Siamo tornati dinanzi allo spettro della guerra nucleare, con toni da guerra fredda ma con la sensazione che il grado di assurdità che pervade le logiche dei potenti della terra sia ancora più elevato. Dilagano i conflitti locali che, se sommati, mostrano come ormai il Mondo sia in perenne e diffuso stato di guerra. I flussi migratori sono sempre più segnati da un lato dalle quotidiane tragedie del mare e, dall’altro, dall’incremento di paure e conseguenti politiche di chiusura da parte di chi pensa che la cura e la protezione del proprio orticello sia la via della salvezza. Non a caso il 2017 si è distinto per un forte ritorno dei nazionalismi, per il sistematico richiamo a identità locali da difendere, per l’echeggiare di insane pretese di superiorità di alcune civiltà e culture rispetto ad altre. Si invocano leggi forti e l’affidarsi a poteri incentrati nelle mani di pochi, forse di uno soltanto. Il 2017 è stato anche l’anno di moltissimi eventi di natura terroristica che anno V | n. 2 | 2017

FABIO BOCCI


hanno colpito (ormai è una costante) l’Europa, ma anche l’Asia, l’Africa, l’Australia… e poi gli Stati Uniti o il Canada. Con effetti devastanti. Citando Fabrizio De André (Storia di un impiegato) «qui chi non terrorizza si ammala di terrore». Ma dilagano e sembrano inarrestabili a livello nostrano due fenomeni che sono da un lato inquietanti e, dall’altro, richiedenti una forte presenza e un coinvolgimento del mondo dell’educazione, a partire da quello accademico. Il primo è il femminicidio. Ancora troppe donne (ma sarebbero troppe anche se fosse una soltanto) sono vittime di morte per mano di mariti, fidanzati, compagni, amanti e talvolta sconosciuti che, applicando una concezione arcaica e mai sopita (e, sembrerebbe, neppure scalfita) di predominio, di superiorità, di possesso e quant’altro, continuano a rispondere con atti barbari (non esiste altro termine) al diritto di autodeterminazione che, con sacrosanto diritto, le donne (così come qualsiasi individuo) devono esercitare in seno alle nostre società cosiddette evolute. L’ultima rilevazione ufficiale del 2017 parla di 114 donne uccise solo nei primi dieci mesi dell’anno. Le statistiche ci dicono che nel Bel Paese ogni due giorni una donna viene uccisa. Una media di 150 l’anno. Negli ultimi cinque anni, quindi (quelli di vita della nostra rivista), sono state 750. Un numero impressionante. E dove non c’è femminicidio c’è comunque violenza sulle donne, di ogni genere. Il 2017 sarà ricordato anche per lo scandalo delle molestie nel mondo dello spettacolo, specchio dorato (se poi lo è davvero) di ciò che avviene quotidianamente in tutti i posti di lavoro. Il caso Harvey Weinstein (il nome del produttore più potente di Hollywood, autore di innumerevoli atti di sopruso su attrici e di cui moltissimi sapevano, facendo finta di nulla) ne è divenuto l’emblema. Il secondo fenomeno è quello delle violenze (altrettanto inaudite) perpetrate da giovanissimi ai danni di coetanei. Anche in questo caso c’è un evento che ne è divenuto simbolo: il ferimento a Napoli di Arturo, il diciassettenne colpito con 20 coltellate (tra le quali una al polmone e una alla giugulare) da un gruppetto di ragazzini (sembra di dodici-tredici anni). Un evento che ha colpito da vicino la comunità pedagogica italiana, in quanto Arturo è il figlio di una nostra collega dell’Università Parthenope, Maria Luisa Iavarone, ma che deve scuotere/ci al di là di questo. Perché il fenomeno delle paranze dei bambini (citando Saviano), dei gruppi di giovanissimi che commettono crimini efferati per accreditarsi come interlocutori nel panorama della criminalità organizzata, è già da tempo in atto e non riguarda solo Napoli e non riguarda solo il Sud Italia. E non riguarda solo le vittime ma anche i carnefici, perché (citando ancora De André) “se non sono gigli son pur sempre figli, vittime di questo mondo”. Dobbiamo quindi interrogarci su come rispondere, su come superare l’inerzia della noncuranza, che oggi ha assunto la preoccupante e allarmante veste del senso di impotenza appreso collettivo. Verrebbe da dire (e lo diciamo) a chi auspica o preconizza la caccia/ta ai/di Rom e stranieri che sarebbe bene guardare/si dentro, osservare attentamente ciò che avviene nelle nostre case (e scuole e classi) e investire risorse non per difendersi da nemici inesistenti, ma in cultura, in educazione, in crescita sociale, in solidarietà, in cooperazione e via di questo passo. Per quel che concerne il 2017 della SIPeS e dei Pedagogisti Speciali, ma diremmo della Pedagogia italiana tutta, è stato un anno intenso di impegni ed eventi. Ne citiamo alcuni. L’avvio, con tutte le implicazioni del caso, del III ciclo del Corso di Formazione Editoriale

FABIO BOCCI

7


8

per il Conseguimento della Specializzazione per le attività di sostegno didattico agli alunni con disabilità. La conclusione dell’iter normativo della Legge 107/2015 con l’emanazione dei Decreti Legislativi avvenuta il 13 Aprile 2017 (e pubblicati nel Supplemento Ordinario n. 23 alla Gazzetta Ufficiale n. 112 del 16 maggio 2017), tra i quali vanno almeno menzionati il numero 66 (Norme per la promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera c), della legge 13 luglio 2015, n. 107) e il numero 59 (Riordino, adeguamento e semplificazione del sistema di formazione iniziale e di accesso nei ruoli di docente nella scuola secondaria per renderlo funzionale alla valorizzazione sociale e culturale della professione, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera b), della legge 13 luglio 2015, n. 107). Il conseguente avvio dei 24 CFU propedeutici per accedere al concorso nazionale per l’immissione nei futuri percorsi FIT (Formazione Iniziale e Tirocinio), che segnano/eranno – ma si vedrà alla luce dei fatti – una novità nel panorama della formazione della scuola secondaria. L’approvazione, il 20 Dicembre 2017, della Legge n. 2443 (Disciplina delle professioni di educatore professionale socio-pedagogico, educatore professionale socio-sanitario e pedagogista), conosciuta nella nostra comunità come Legge Iori, per l’azione determinata (supportata dall’intera pedagogia italiana) della parlamentare e studiosa dell’educazione Vanna Iori. E poi l’elezione del nuovo Direttivo della Società Italiana di Pedagogia (SIPED) nel mese di Ottobre 2017 (con l'avvicendamento alla presidenza tra Simonetta Ulivieri e Simonetta Polenghi) e, precedentemente, nell’ambito del Convegno Nazionale svoltosi a Milano presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore il 15 e 16 Settembre 2017, il rinnovo del Direttivo della SIPeS. Al Direttivo uscente, di cui è stato Presidente Lucio Cottini e componenti Marisa Pavone, Marina Santi, Pasquale Moliterni, Fabio Bocci, Annalisa Morganti e Tamara Zappaterra, è quindi succeduto (per il triennio 2017-2019) l’attuale che vede Presidente Roberta Caldin, e componenti Lucia Chiappetta Cajola (con funzione di Vicepresidente), Dario Ianes, Antonella Valenti, Felice Corona, Antonello Mura, Stefania Pinnelli, Alessia Cinotti, Silvia Maggiolini, Moira Sannipoli ed Enrica Polato (in rappresentanza dei Soci Corrispondenti). Balza immediatamente agli occhi l’incremento del numero dei componenti del Direttivo (anche con l’ingresso per la prima volta di un socio corrispondente). La ragione è semplice: la SIPeS è cresciuta, sta crescendo, e pertanto è giusto che cresca la sua rappresentanza istituzionale. È stato, infine, anche un anno di ricorrenze e celebrazioni. I 40 anni della Legge 517/77, la cosiddetta Legge Falcucci, una delle più significative nella storia delle istituzioni formative italiane, non fosse altro − ma non solo − per aver segnato una tappa fondamentale nella via italiana all’integrazione e all’inclusione di tutti gli alunni nella scuola di tutti (con il superamento delle scuole speciali e delle classi differenziali). E, quindi, i 25 anni della Legge 104/92, Legge Quadro sulla disabilità, punto di riferimento costante − con le sue in-applicazioni ed evoluzioni − del processo di integrazione prima e di inclusione poi scaturito dalla 517 e da ciò che l’aveva preceduta: la Legge 118 del 1971, la Relazione Falcucci del 1975 e, volendo, anche la 1859 del 1962, ovvero la Legge sulla Scuola Media Unificata, prima tappa del processo di democratizzazione, quindi costituzionalizzazione, della Scuola italiana. Editoriale

FABIO BOCCI


E, proprio in riferimento a questo, si iscrive l’altro anniversario: la morte cinquant’anni orsono (26 Giugno 1967) di Don Lorenzo Milani, il priore di Barbiana, l’educatore della disobbedienza civile come virtù socio culturale e politica da incarnare dinanzi alle ingiustizie e alle iniquità. Non un santo Don Milani, da venerare in una effige, ma un uomo concreto, complesso e scomodo che ha saputo dare voce agli ultimi e porsi come interlocutore critico di una società incapace, ieri come oggi, di accogliere una visione diversificata del palinsesto socio politico ed economico e che continua imperterrita a fare parti uguali tra diseguali. Per questo tali anniversari sono importanti: perché sono un richiamo all’impegno di tutti e di ciascuno, sono le radici che ci consentono di stare con i piedi ben piantati nel presente e guardare al futuro con resiliente speranza. Non a caso questi eventi, che ci riguardano, sono stati celebrati nel piccolo (pensiamo al Convegno svoltosi a Pescara per ricordare l’amico e collega Alain Goussot ad un anno dalla sua scomparsa), come nel grande (pensiamo al Convegno di Rimini sulla Qualità dell’inclusione scolastica e sociale, divenuto nel tempo una sorta di rito collettivo che consente a chi ha una certa visione del Mondo di ritrovarsi, riconoscersi, confrontarsi e, talvolta, anche contarsi). E giungiamo, infine, alla presentazione di questo numero, che accoglie anche la seconda parte dei contributi della Summer School della SIPeS, svoltasi presso l’Università di Bolzano (sede di Bressanone) a cavallo tra agosto e settembre 2016. Nello specifico Laura Arcangeli, Enrico Angelo Emili e Moira Sannipoli (Università di Perugia), con il loro Students with Special Educational Needs at University: autobiographical narration and self-functioning in the inclusive perspective, illustrano gli esiti di una ricerca che partendo dall’approccio narrativo e per mezzo di una intervista semi-strutturata indaga l’identità narrativa dei soggetti coinvolti, valutandone i profili in termini di autostima, autonomia, autoconsapevolezza e resilienza. Rosa Bellacicco (Università di Torino), con Ripensare la disabilità in università: le voci di studenti e docenti, esplora le opportunità messe a disposizione dal Servizio Disabilità dell’ateneo piemontese come esempio emblematico dei contesti universitari (sia dal punto di vista architettonico, sia socio-culturale), per promuovere il successo formativo e la partecipazione attiva al percorso accademico degli studenti con disabilità. Patrizia Oliva e Anna Maria Murdaca firmano un articolo dal titolo Competenza emotiva, strategie di coping e atteggiamenti inclusivi nella relazione insegnante/alunno ipovedente. Come suggerisce ampiamente il titolo, le autrici indagano gli aspetti nodali di tale relazione individuando i fattori cruciali che possono influenzarla. In particolare, soffermano l’attenzione su precise caratteristiche dell’insegnante (intelligenza emotiva, autoefficacia, atteggiamenti nei confronti dell’inclusione) cercando di individuare quali possono essere fattori predittivi della qualità dell’interazione docente/alunno ipovedente. Alessia Signorelli (Università di Perugia) nel suo Inclusione scolastica ed educazione socio emotiva: risultati di una ricerca europea, illustra gli esiti emersi dall’utilizzo della prima versione della Scala di Valutazione dei Processi Inclusivi, uno strumento nato dalla collaborazione delle Università di Perugia e Udine nell’ambito del progetto European Assessment Protocol for Children’s SEL Skills che ha coinvolto Italia, Svizzera, Slovenia, Svezia, Croazia. La ricerca, di tipo Evidence– Editoriale

FABIO BOCCI

9


10

Based, ha riguardato la valutazione dell’efficacia dell’educazione socio-emotiva nella scuola primaria nei diversi Paesi coinvolti. La ricerca italiana si è focalizzata anche sulla valutazione della qualità dell’inclusione scolastica. Entrando poi nel merito degli altri contributi, Margherita Merucci, studiosa presso l’Université Catholique de Lyon, presenta un articolo intitolato La «bientraitance»: un nouveau système pour être en relation. L’autrice in questa sua riflessione teorica sofferma l’attenzione sull’importanza della costruzione di un legame di interdipendenza positiva tra operatori e famiglia, soprattutto quando il bambino – che è il tramite di questo legame – è anche disabile. Riferendosi alla teoria dell’attaccamento, Margherita Merucci invita a considerare come questa sia in grado di informare e indirizzare i pensieri e le azioni professionali con una ricaduta positiva sul benessere dei bambini e delle loro famiglie. A seguire Barbara De Angelis, con Sostenere la motivazione degli alunni autistici. Un progetto di didattica inclusiva con la musicoterapia, illustra gli esiti di un’indagine esplorativa sulla motivazione sociale degli alunni con autismo condotta mediante l’utilizzo della Social Responsiveness Scale (SRS), uno strumento di valutazione del comportamento sociale e della comunicazione. L’impatto della musicoterapia sulla motivazione sociale degli alunni con disturbo dello spettro autistico è misurato attraverso una sub-scala dell’SRS (l’SMS). Nel contributo sono anche descritte alcune proposte di sperimentazione di azioni didattica mediate dalla musicoterapia e finalizzate a favorire l’inclusione degli allievi autistici nel gruppo classe. Debora Aquario, Ignacio Pais e Elisabetta Ghedin sono presenti nel numero con Accessibilità alla conoscenza e Universal Design. Uno studio esplorativo con docenti e studenti universitari. Gli autori, partendo dal costrutto di accessibilità (nello specifico nel contesto universitario) e facendo riferimento al paradigma dello Universal Design, descrivono procedura e esiti di un’indagine che ha coinvolto docenti e studenti dell’Università di Padova. Si tratta di uno studio pilota finalizzato ad analizzare la configurazione dalle pratiche didattiche accademiche, focalizzando l’attenzione su alcuni elementi (presupposti epistemologici, approcci didattici, strategie di insegnamento-apprendimento, strategie di studio, modalità di esame, ecc…) che possono essere ostacoli oppure facilitatori nei processi di costruzione della conoscenza. Filippo Dettori e Giovanna Pirisino firmano L’inclusione del bambino con disabilità nei servizi per la prima infanzia. Gli autori sulla base di un attento vaglio della letteratura descrivono un progetto di inclusione (Melampo al nido) rivolto a bambini con sviluppo atipico e realizzato presso i servizi di Educazione e cura della prima infanzia (ECEC) di Sassari. Uno degli aspetti di forza del progetto risiede nel partenariato tra sanità e istruzione. Sono state poste sotto osservazione le buone pratiche adottate dagli educatori, il rapporto educativo tra famiglia e il servizio di ECEC e, in particolare, è stato analizzato il modo in cui quest’ultimo collabora con i servizi sanitari per promuovere i processi inclusivi dei bambini disabili e supportare il loro percorso di sviluppo. Conclude la serie di articoli di questo numero il contributo di Nicoletta Rosati Essential Questions and their use in developing metacognition in pre-primary and primary aged children. Come recita il titolo, l’autrice si sofferma ad analizzare le potenzialità delle Essential Questions (EQ) nella Scuola dell’Infanzia e Primaria, evidenziando come queste siano in grado di incidere sui processi di apprendiEditoriale

FABIO BOCCI


mento dei bambini. A supporto dell’apparato teorico Nicoletta Rosati illustra anche gli esiti di uno studio pilota condotto coinvolgendo due classi di Scuola Primaria e due sezioni di Scuola dell’Infanzia, mostrando – naturalmente nei limiti del numero di soggetti coinvolti − come l’uso delle EQ agisca quale fattore di promozione dei processi metacognitivi. Com’è noto, questi possono portare i bambini (anche quelli con disabilità o con difficoltà di apprendimento) all’adozione di strategie di pensiero più raffinate e funzionali, incidendo anche sulla motivazione e sulla perseveranza nell’affrontare i compiti oggetto di apprendimento. Il numero si chiude con tre recensioni. La prima – di Ines Guerini e Giorgia Ruzzante – riguarda la recensione del volume di Annalisa Morganti e Fabio Bocci, Didattica inclusiva nella scuola primaria. Educazione socio-emotiva e Apprendimento cooperativo per costruire competenze inclusive attraverso i “compiti di realtà” (Giunti, Firenze, 2017). La seconda recensione, di Lucia Rizzo, concerne il volume di Stefania Pinnelli e Andrea Fiorucci, Rari ma non troppo (Progedit, Bari, 2017). La terza, infine, di Fabio Bocci, è riferita al piccolo volume di Rocco Mondello I doni di Neqà (Armando Editore, Roma, 2017). Buona lettura e con l’occasione Buon 2018 a tutte e a tutti.

11

Editoriale

FABIO BOCCI



Students with Special Educational Needs at University: autobiographical narration and self-functioning in the inclusive perspective

The university period can be analyzed as the intersection point between adolescence and the adult: the young adult is called out to confront with their goals, motivations, values and interests that will orient future choices. The presence of a disability or Specific Learning Disorder can have an important influence on self construction, with consequences on its growth and adaptive results. A student in these situations can struggle with failure experiences that may occur within the social and educational context and develop an image in terms of inability and inadequacy, which can result in a lack of security, low self-esteem can drag along the whole life. According to the narrative approach which this research project is based on, self-narrative can be a key for developing and maintaining the sense of identity, allowing the person to give meaning to his own experiences of transition. The narrative rebuilding of the Self allows the subject to seek balance and better focus on his/her story, in equilibrium between agency aspects related to individual motivational factors and aspects of communion that relate to interpersonal motivational traits. Consistent with the preconditions the following research project aims to investigate the evolutionary needs of the population examined through a semi-structured interview that detects narrative identity, investigating the process of building self into the young adult by evaluating the students’ profiles in terms of self-esteem, autonomy, self-awareness and resilience.

© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2282-5061 (in press) ISSN 2282-6041 (on line)

Key-words: identity, narrative approach, young adults, life project

Summer School Bressanone

Italian Journal of Special Education for Inclusion

abstract

Laura Arcangeli (Università di Perugia / laura.arcangeli@unipg.it) Enrico Angelo Emili (Università di Bologna / enricoangelo.emili@unibo.it) Moira Sannipoli (Università di Perugia / moira.sannipoli@unipg.it)

anno V | n. 2 | 2017

13


1. To be young adults: the challenge of identity

14

According to the literature the university period is the final stage of adolescence in which the young adult is involved in the process of building his/her own identity and his/her own plan for personal, social and professional life. There is no unanimous agreement among researchers regarding the definition of the time of the adolescent age. The World Health Organization (WHO) defines it as: “the time of life between 10 and 19 years” [..], “youth between 15 and 24 years and young adults” [..], those between 10 and 24 years” (WHO, 1997); the American Psychological Association (2002) states that “….there is no set age range to define adolescence”. Some individuals begin adolescence before 10 years of age, while other aspects of adolescent development often continue beyond 19 years of age” (APA, 2002, p.1); the American Academy of Child and Adolescent Psychiatry (2008) still uses the ages between 10 and 24 as an operative definition of adolescence, subdividing it into three stages: early adolescence from 10-13 years, mid-adolescence from 14 to 19 years and late adolescence from about 20 to 24 years of age. Beyond age limits, the university period is a point of intersection between adolescence and adulthood, a turning point with respect to one’s own life and one’s choices (Cfr. Burt & Paysnick, 2012; Rutter, 1996; Sampson & Laub, 1993; Bruner, 1991), a sort of investment in changes (Graber & Brooks-Gunn, 1996). Every young adult is called to face himself/herself with new changing tasks and those goals, motivations, values and interests will guide future choices, as they seek coherence and continuity in their path of life (Confalonieri, 2009; Di Palma et al., 2013). This entails intra- and interpersonal psychological restructuring (Arnett, 1997; Urquhart & Pooley, 2007; Aleni Sestito & Parrello, 2004), during which the youth passes from a condition of social marginalization, typical of childhood, to one, instead, of social recognition, thanks to acquiring specific status and carrying out the same roles that characterize adulthood (Scabini & Iafrate, 2003). Recent studies have shown that the moratorium phase of youth in Italy (Marcia, 1980; Cotè & Levine, 1987) is connected to different factors among which are extension of the educational stage, indecision and changing of one’s choices, (Ricolfi, 1984; Bazzanella, 2010), and the difficulty of leaving the family home. These factors can lead to an extension of the adolescent life span, causing delays in the process of transition towards adulthood and a possible impasse in the building up of Self (Aleni Sestito & Sica, 2010) with probable detrimental outcomes for the person (Birindelli, 2003). Building a stable and coherent sense of Self is, according to the psycho-social prospective of Erik Erikson (1968), one of the main developmental tasks that the adolescent is called to confront. To speak of identity in this perspective means to refer to a sense of Self as cohesive and coherent in time that includes one’s own identity understood both as a sense of existence (what am I), as well as “who am I” (or rather, what makes me unique, the same and/or different from another), but also “who I will be” in a future perspective. According to the narrative approach (Bruner, 1986, 1994; McAdams, 1996), Self-narration can be a means of developing and maintaining the sense of identity itself, allowing the person to attribute a meaning to his/her transition experiSummer School Bressanone – Seconda parte


ences. In this perspective McAdams (2001) takes up the concept of “identity” proposed by Erikson (1959) and writes: “the Self is many things, but the identity is the life story; [...] the identity takes on the form of a story, with a setting, scene, characters, plots and themes” (Josselson, Lieblich, & McAdams, 2003, p.187). According to McAdams (2006), the narrative identity is configured as a specific dimension of Self, which begins to form during late adolescence as a complex and integrated structure of social roles and/or representations of oneself, an internalized reconstruction of past history, current happenings and future perspectives. The narration of Self and of one’s own life history allows the person to find an equilibrium and a greater centering between the dimension of agency and of communion, between individual and interpersonal motivational aspects (Bakan, 1966). The “Self” is considered a theoretical construct for which a multitude of definitions exist (Zahavi, 2003) of which it is difficult to find unambiguous definitions of the term. The Self refers to both the subjective understanding that the person has of himself/herself and of their own experiences as well as a multidimensionality of structural aspects of the same Self (Cfr. Shavelson et al., 1976, Harter, 1985; Marsh, 1990) such as: self concept or self perception (Cfr. Shavelson et al., 1976; Harter, 1985; Marsh, 1990), self esteem (Rosenberg, 1965; James, 1890), self efficacy (Bandura, 1986), esteem of their most specific competence. Self concept can be defined as the perception that the person has of himself/herself (Shavelson et al., 1976), understood as the knowledge that the person has of himself/herself, the attitudes, evaluations and ideas about oneself and those that are formed during life. Ferrand and Tedard (2001) point out how some studies contrast self-consciousness, or to turning attention to oneself (selfconsciousness), to self-awareness understood as the ability to be the subject of one’s own attention. In this context we will refer to the concept of self-consciousness as a tendency to turn attention to oneself or the ability in some situations to feel aware of oneself. In this perspective, the Self consists of two constructs: The Private Self, defined as that which the person feels, desires and experiences and the Public Self, or rather the general knowledge of how one appears to others (Carver & Scheier, 1985). Self-knowledge, like other aspects of Self, is a protective factor (Rutter, 1985, 1987) in the process of building identity. Garaigordobil, Dura and Perez (2005) propose a hierarchy between self-concept and self-esteem in which self-description is functional for positive self-assessment and this, in turn, plays a protective role for the person. Beside this, self-esteem and resilience are fundamental dimensions in Selfbuilding. Self-esteem refers to the consideration and evaluation that a person has of himself/herself: the positive or negative attitudes of the individual towards himself/herself as a totality (Rosenberg et al., 1995, p. 141). This definition of selfesteem as a global and singular dimension was the main subject of research for a long time and only recently have studies on specific aspects and domains of self-esteem been reported in the literature. In fact, according to the multidimensional model of Self (Shavelson, Hubner & Stanton, 1976), self-esteem is made up of different subdomains such as social, affective, physical, academic, familial, etc., of which global self-esteem represents the highest hierarchical level. Such specific areas seem to be more predictable than some specific behaviors with respect to global self-esteem, which, instead, seems more predictable than psyanno V | n. 2 | 2017

L. ARCANGELI, E.A. EMILI, M. SANNIPOLI

15


16

chological well being. For example, some studies (Wylie, 1979) show that there is more correlation between academic grades and academic self-concept than correlation with global self-esteem. Self-esteem is, furthermore, a very important factor for university students, where the academic context can be an opportunity to attain success and avoid failure, in order to protect, maintain and improve self-esteem (Crocker et al., 2003; Baumeister, 1998). However, if on one hand the pursuit of academic success strengthens self-esteem and is an important motivational factor (Steele, 1992, 1997), on the other, it can have negative effects on scholastic achievement and lead to academic problems. Further studies on self-esteem have shown important associations with other aspects of the person such as psychological well being (Sánchez & Barrón, 2003), influence of the environment and family educational style (Alonso & Román, 2005; Parra, Oliva, & Sánchez, 2004), learning strategies (Núñez, et al., 1998), and academic success (Fiz & Oyón, 1998; Mestre, García, Frías, & Llorca, 1992). Resiliency is an important protective factor that allows the person to cope with the negative effects of stressful situations and fosters adaptation to the environment (Wagnild & Young, 1993, Beardslee, 1989; Bebbington et al., 1984; Byrne, et al., 1986; Masten & O’Connor, 1989). Being able to cope with critical and destabilizing situations by transforming them into opportunities for growth and development is a resource that can enable the person to reorganize his/her life positively. Resiliency is therefore considered an important protection factor with respect to psychopathological development; resilient people are described as people with self-esteem, self-efficiency, problem-solving ability, curiosity and satisfaction in interpersonal relationships (Richmond & Beardslee, 1988; Caplan, 1990; Beardslee, 1989; Honzik, 1984).

2. The construction of Self in the case of disabilities and Specific Learning Disabilities

Dealing with one’s identity means gaining a deep awareness of one’s strengths as well as weaknesses. A disorder is not an exclusive and all-encompassing element of one’s Self, nor is it an accessory component that can be overlooked or ignored. Difficulties, problems and/or disabilities are dynamically intertwined with health, activity and participation, and strongly define one’s own identity and personal history. “The progressive settling of life experiences within us [...] builds who we are” (Demetrio, 1996, p. 112). In this journey of recognition and internal resonance, the time of diagnosis is crucial: it is the moment in which one’s shadow area is objectified and named. One enters into the field of stereotypes and prejudices that stem from the tendency to calculate and rationalize attributes, expectations and possibilities. A disability or a Specific Learning Disability can have an important influence in the building of Self, with consequences on development and its adaptive outcomes, as well as on the very construction of self-representation with consequences on the well being of the person. Various studies point out that repeated failure to deal with peers can lead to the development of a sense of uselessness and inadequacy. In addition, repeated experiences of unsuccessfulness and failure

Summer School Bressanone – Seconda parte


can endanger one’s Self-image and Self-esteem (Bandura et al., 1999; Ryan, 2006). The person can build a Self-representation of being unfit and inadequate that produces insecurity, low self-esteem and shame, which can be dragged along throughout his/her life. In these cases the Self is pushed to hide himself/herself or to hide certain parts of themselves because they are considered inadequate and unworthy or to renounce making certain choices, sometimes about study, or to show some aspects and not others (those of the disturbance) that have not been completely and harmoniously integrated into his/her identity. The problems associated with a disability and SLD can therefore weaken Self-structure (Cornoldi, 1999) with consequences on the affective, relational levels and the construction of his/her life plan (Cfr. Bryan, 2005; Fisher, Allen & Kose, 1996; Ryan, 2006; Huntington and Bender, 1993; Rourke, 2005; Winer & Tardif, 2004). Many studies have shown how learning disabilities can be a risk factor for future psychological difficulties (Alexander-Passe, 2006; Humphrey, 2002; Stone & La Greca, 1990; Mugnaini et al., 2008; Undheim, 2003). Low self-esteem seems to be the most characteristic element (often associated with depression) and one of the most significant risk factors for the development of problems of adaptation (Quatman & Watson, 2001; Alexander-Passe, 2006; Carroll & Iles, 2006; Prout et al., 1992). Persons with SLD have above all a low self-esteem in the area of scholastic competence (Terras et al., 2009). Furthermore, numerous studies have shown the relationship between a specific learning disability and low self-esteem, a sense of inadequacy, fear of failure and emotive-relational problems (Cornoldi, 1999; Most and Greenbank, 2000). Young adults enter University with a perspective that is constantly changing according to the growth and changes in their life. The scholastic and academic experience is certainly central because it is life itself that is being measured. If, however, in the university years, students perceive a kind of pre-determination which they feel they cannot always influence, the academic experience increases room to maneuver and independence. Morin says that “life is a fabric that interweaves or alternates prose and poetry” (2015, p. 24) or restrictions and possibilities, reason and passion. Embarking upon one’s life plan within the educational environment therefore means activating a constant dialectic between serenity and intensity (Viveret, 2006), weaknesses and strengths, limits and resources. The numerous studies on the life project, linked in most cases to situations with disabilities (Contardi, 2004; Cottini, 2016; Goussot, 2009; Ianes, 2006; Mura, 2014; Pavone, 2009) categorize this construct in multiple dimensions that include independence, professionalism, orientation, family involvement, social participation, and peer relationships. Life project is a “double thought, in the sense of “imagination, fantasy, desire, aspiration, wanting ...” and at the same time in “preparing necessary actions, foreseeing the various stages, managing time, evaluating the pros and cons, and understanding the feasibility”. That is, there is a “hot” project plan and a “cold” project plan (Ianes, 2009, p.44). Accompanying a student with disabilities and/or SLD towards their personal life plan means first of all helping them recognize themselves in their own history, whatever it is, confronting difficulties and setbacks and potentiality and compensations. Recognizing oneself in an identity without taking for granted the identity that has been attributed to you is the first step in regaining one’s own sense. Starting from this new and ongoing redefinition of Self, which changes slowly as life anno V | n. 2 | 2017

L. ARCANGELI, E.A. EMILI, M. SANNIPOLI

17


happenings become experiences and personal traits become elements of knowledge, it is possible for the person to activate conscious choices and to deal with their own personal project. There may be a considerable gap between the idea and the possibility, between what one wants to choose and be able to do and the reality of the facts. The path that leads every person to become aware of their own strengths and limitations is already a life experience. “The itself transformation does not proceed in a unidirectional way, it knows inversions, stops, shoots, turns: the path does not always proceed linearly, but with a spiral movement, apparently returns to its starting point, it seems to turn over, to advance in a new way”(Iori, 2006, pp. 147-148). To make mistakes, to change, to reposition is to become an adult, that is, to assume or take responsibility for choices. Taking care of the life plan of another is not only “repair the wounds, but also make the possibilities of being flourish” (Mortari, 2015, p. 123). Writing the chapters of your own existence therefore means opening up to all the dimensions of caring for yourself, and becoming an actor in your choices, freeing yourself from the past history and blocks experienced. It often becomes a second skin. Evaluating oneself within contexts that facilitate and others that hinder makes it possible to clearly understand that not everything depends on you: each project is given in defined times and spaces that can be dysfunctional, inadequate and inaccessible.

18

3. Alongside the student: Focus and Inl@b services of the University of Perugia

Active participation in university life is far from being assured a priori. A certain way of looking at this views participation in a limited sense, linked exclusively to the student’s role and not the functions that derive from it. The University of Perugia chose to abandon the emergency mode, in part remedial, to allow the student with disabilities and/or SLD to take advantage of participating in the way that he/she proposes over time. A student with disabilities and/or SLD comes to the university with questions-needs: the desire to be taken seriously, to be accompanied to a deeper understanding of self and to assert his/her right to an education. Each student can then be viewed as a being which questions, which disrupts the ordinary and asks the university world to be more and go beyond, asking to be thought of as a competent adult with a plural identity. In this sense a young adult with special educational needs who begins an academic course is like a handyman who does not know what he will make, but gathers everything that he finds along the way seeing it as an opportunity for discovery and learning, continually refining his/her doing and being. Beyond the disability or difficulty that in part characterizes his/her identity, the student is a young adult who lives in the world, has an effect given certain limitations, but also has possibilities that derive precisely from his/her already determined being, as well as an “able to be” within certain conditions of departure. He/She has and is a life project. The University of Perugia, having to activate a range of services to meet these needs, and this idea of student, found itself at a methodological and political crossroad: opt for a “technical” path that proceeds by categories and specializations or for a more “practical” one that favors starting from the experiences and

Summer School Bressanone – Seconda parte


history to activate over and over again contextualized and individualized procedures. The University chose the second approach, considering it to be more respectful and inclusive for the enrolled students. The University is aware that taking care of the course of studies means not so much to provide a step towards adulthood, but rather finding ways to make the university time happier and more meaningful, during which the student is able to experience greater independence, freedom and self-determination. Accompanying a student in his/her personal life project means giving the student the opportunity to know his/her own frailties, master one’s own “dependencies” and one’s own aids, know how, when and why he/she needs help. The risk of “taking over” in relation to these students is always possible: while thinking about the student’s future, about the possibility of leaving school and becoming an adult, but doing this in his/her place, perhaps pursuing a dream or an image that is only of those who are educating or teaching or those who are taking care of them. The student has to learn how to have expectations that are reasonable and achievable. In this sense, the University of Perugia has chosen to provide aids and mediators who can never be too competent to avoid the risks of dependency, victimization and claims for compensation (Canevaro, 2013) that evolve with the student, gradually becoming less invasive in order to allow the student to assume empowerment and self-organization. In terms of participation, the option chosen corresponds to the concept of a nest rather than that of a shell, that is, the University has chose to activate open, warm, procreative and nutritional services for all students and not just those with disabilities and/or with SLD. Focus and Inlab services were founded to continuously offer ideas and provide activities that are intentionally left open-ended so that each student, disabled or not, can have input. The students can get practice in being independent, making small choices, while being “supported and accompanied”, where information and support arouse questions, doubts, reorganization, and reformulations. This is a place where the participants try to simplify and take care of worries, without mistaking them as nonsense. The Psychological Counseling Service is a place for listening to and supporting all students enrolled at the University of Perugia, helping them to deal with personal, relational and emotional problems, difficulties in exams, anxiety, and doubts about their personal abilities related to university studies that may emerge during the time of studies. The purpose of the Service is to support the overall personal growth of the student by offering the psychological support needed to understand the problem at hand; to clarify difficulties; to activate internal psychological resources necessary to deal with difficulties and to support change. The service is free, strictly confidential and is based on self-reporting by the student. It is structured to provide up to five sessions, free of charge (one entry meeting, one initial session and three sessions), lasting about one hour each plus a follow-up session six months after the end of the consultation. At the end of the meetings, ways of proceeding are evaluated. In cases where the consultation is considered to have clarified the reasons for requesting assistance, the consultation ends. Other situations may require further assistance (eg. psychotherapeutic or psychiatric help) that is evaluated with the student. Based on the first interview, the Service does not take on cases requiring emergency treatment or anno V | n. 2 | 2017

L. ARCANGELI, E.A. EMILI, M. SANNIPOLI

19


where a specific setting is necessary (eg.: drug addiction, eating disorders with need for hospitalization, taken over by the family). Pedagogical-Didactic Counseling is available to all students enrolled at the University of Perugia to provide support and help for those who are experiencing learning-related difficulties. The aim of this service is to help students acquire and/or refine study methods, redefine their course of study, and understanding the specific needs in designing the life Project for students with disabilities and in identify special tools/aids for students with SLD. The Inclusive Technology Laboratory Inl@b is a study area available to all students at the University of Perugia. This area, equipped with information and communication technologies (ICT), was set up to respond to the needs of all students, particularly those students with disabilities and Specific Learning Disabilities (SLD). Each station has a computer, specific software (file management in pdf, map creation, word processor, etc.) and voice synthesis. Technologies for communication, learning and access to IT tools in the laboratory (hardware, software and web), can be used by the students for their study and personal research. Specific instruments available include Apple, Samsung and Microsoft Tablets, Pocket livescribe Echo Pen and voice recorders. Inlab technicians, in collaboration with the Pedagogical-Didactic Counseling personnel, are available to help students select the most useful tools for their study method. Among the initiatives of the Laboratory we note:

20

1. The design of a USB Pendrive, containing free and open source software (opensource and free) for students with SLD; especially the suite of TuttiXuni programs (made by G. Serena). 2. The develop SLD Guidelines to Enhance Teachers, Researchers and TechnicalAdministrative and Librarian Personnel at the University of Perugia The purpose of the laboratory is also to introduce, promote and experiment with study tools and technological aids for students with SLD.

4. The research design1

The University as a training institution can offer young adults an opportunity for growth by promoting the exploration of roles and ideals that enable them to engage in building their own present and future life project. “Education as expanding our horizons and prospects is a way to increase our ideals and lead us to new perspectives� (Schwehn & Bass, 2006, p. 25). This role is crucial for all students, including those with disabilities and SLD, who are not only facing architectural and/or social barriers, but also possible psycho-physical difficulties 1

The research group is currently made up by Claudia Mazzeschi, Laura Arcangeli, Moira Sannipoli, Chiara Pazzagli, Elisa Del Vecchio and Giulia Cenci.

Summer School Bressanone – Seconda parte


that may be related to the difficulty of living fully and independently some life experiences such as that of university life. Consistent with the theoretical premises described above, the aim of the following research project is to investigate the evolving needs of the given population and the self-building process in young adults, assessing the students’ profiles in terms of self-esteem, autonomy, self-awareness and resilience, and directing the work of the FOCUS Service to empower the well being of students. The research involves students of the University of Perugia with specific learning disabilities (n.88) and students with a degree of disability greater than 66% (n. 204) who self-reported at the time of enrollment. In light of the complexity of the object of the study, the intra- and interpersonal dimension of self-building in the young adult, a multi-method approach (Waszak and Sines, 2003) was selected: a quantitative study through self-reports combined with a qualitative study through interviews. The “triangulation method” allows the subject of study to be understood in his/her uniqueness, entirety and complexity (Cicognani, 2002). Following an invitation by mail and telephone contact, students can enter the FOCUS program. During the initial meeting, after reading and accepting the informed consent, a personal questionnaire is filled out, and the following questionnaires are completed: the Rosenberg Self-Esteem Scale (RSER) to evaluate self-esteem levels, the Anxiety and Resilience Questionnaire (QAR) to assess levels of anxiety and resilience, the Self-Consciousness Scale (SCS-R) to identify individual differences in self-awareness, the Identity Style Inventory-5 (ISI-5) to evaluate the identity style and the Questionnaire on Study Strategies (QSS). The questionnaire consists of a series of closed, semi-closed and open-ended questions to gather information about gender, age, geographical origin, and family status. The school career questionnaire consists of ad hoc questions to reconstruct the history of the learning disorder (typology, age of diagnosis) and the use of compensatory and dispensing tools in different learning environments. In the subsequent sessions of approximately one hour each the Life Interview will be conducted (McAdams, 2001, 2012). The Life Interview is a semi-structured interview that reveals the narrative identity (or narrative self) or the “interiorized reconstruction of past history and anticipating the imagined future” of the person. After identifying the main highlights of the person’s life, the interview develops around specific topics concerning the best and worst moments, turning points, past memories and future perspectives, important challenges for the person, values and ideals (religious and political) until a possible central theme of life emerges. The semi-structured form of the life interview encourages the person to speak freely and authentically, promoting a process of self-exploration and reflection about the deeper motivations that underlie their behavior, ideas and decisions (intrinsic motivation). The interview, granted to Professor Claudia Mazzeschi by the author, is audio-recorded and subsequently coded by Fole Center. A six-month follow-up is planned: the initial self-report tools are returned and a satisfaction rating about the services received by participating in the research is compiled. The project was launched in March 2017 and was enthusiastically welcomed by young students who responded well to the care and attention given to the personal life project of each. anno V | n. 2 | 2017

L. ARCANGELI, E.A. EMILI, M. SANNIPOLI

21


References

22

Aleni Sestito L., Parrello S. (2004). La transizione all’età adulta. Storie di giovani quasi-adulti. Ricerche di Psicologia, 4, 27, 57-76. Aleni Sestito L., Sica L. S. (2010). La ridefinizione del sé durante l’emerging adulthood: dimensioni processuali e stili personali [Identity formation in emerging adulthood: Processual dimensions and identity styles]. Rassegna di Psicologia, 27(3), 59-82. Alexander-Passe N. (2006). How dyslexic teenagers cope: an investigation of self-esteem, coping and depression. Dyslexia, 12, 256-275. Alonso J., Román J.M. (2005). Prácticas educativas familiares y autoestima. Psicothema, 17, 76-82. American Psychological Association (2002). Developing adolescents: A reference for professionals. Washington, DC: Author. Arnett J. J. (1997). Young people’s conceptions of the transition to adulthood. Youth & Society, 29(1), 3-23. Bakan D. (1966). The duality of human existence. Chicago: Rand McNally. Bandura A. (1986). Social foundations of thug and action: a social cognitive theory. Englewood Cliffs, NY: Prentice Hall. Bandura A., Pastorelli C., Barbaranelli C., Caprara G. V. (1999). Self-efficacy pathways to childhood depression. Journal of Personality and social Psychology, 76(2), 258-269. Baumeister R. F. (1998). The self. In D. T. Gilbert, S. T. Fiske, G. Lindzey (Eds.), The handbook of social psychology (4th ed., Vol. 1, pp. 680-740). New York: McGraw-Hill. Bazzanella A. (Ed.), (2010). Investire nelle nuove generazioni: modelli di politiche giovanili in Italia e in Europa. Uno studio comparato. Trento: IPRAASE del Trentino. Beardslee W. R. (1989). The role of self-understanding in resilient individuals: the development of a perspective. American Journal of Orthopsychiatry, 59(2), 266. Bebbington P. E., Sturt E., Tennant C., Hurry J. (1984). Misfortune and resilience: a community study of women. Psychological Medicine, 14(02), 347-363. Birindelli P. (2003). Costruzioni identitarie di «giovani adulti» Il racconto di sé, la sfera privata e i suoi oggetti. Rassegna Italiana di Sociologia, XLIV (4), 609-624. Bruner J. (1986). Actual minds, possible worlds. Cambridge, Mass: Harvard University Press. Bruner, J. (1991). La costruzione narrativa della realtà, in M. Ammanniti e D. Stern (a cura di), Rappresentazioni e narrazioni, Bari: Laterza. Bruner J. (1994). The “remembered” self. In U. Neisser, R. Fivush (Eds.), The remembering self: Construction and accuracy in the self narrative (pp. 41-54). Cambridge, England: Cambridge University Press. Bryan T. (2005). Science-based advances in the social domain of learning disabilities. Learning Disability Quarterly, 28, 119-121. Burt K. B., Paysnick A. A. (2012). Resilience in the transition to adulthood. Development and Psychopathology, 24, 493-505. Byrne C., Love B., Browne G., Brown B., Roberts J., Streiner D. (1986). The social competence of children following burn injury: a study of resilience. J Burn Care Rehabil, May-Jun, 7(3), 247-52. Canevaro A. (2015). Nascere fragili. Processi educativi e pratiche di cura. Bologna: EDB. Caplan G. (1990). Loss, stress, and mental health. Community Ment Health J., Feb, 26 (1), 27-48. PubMed PMID: 2344725. Carrol J.M., Iles J.E. (2006). An assessment of anxiety level of in dyslexic student in higher education. British Journal of Education Psychology, 76 (3), 651-662. Carver C. S., Scheier M. F. (1985). Aspect of Self and the Control of Behavior. In B.R. Schlenker (eds), The Self and Social life (pp. 146-174). New York: Mc Graw-Hill. Cicognani E. (2002). Psicologia sociale e ricerca qualitativa. Roma: Carocci. Confalonieri E. (2009). Sfaccettature identitarie. Come adolescenti e identità dialogano tra loro. Milano: Unicopli. Contardi A. (2004).Verso l’autonomia. Percorsi educativi per ragazzi con disabilità intellettiva. Roma: Carocci. Cornoldi C. (1999). Le difficoltà di apprendimento a scuola. Bologna: Il Mulino. Côté J. E., Levine C. (1987). A formulation of Erikson’s theory of ego identity formation. Developmental Review, 7, 273- 325. Cottini L. (2016). L’autodeterminazione nelle persone con disabilità. Percorsi educativi per svilupparla. Trento: Erickson. Crocker J., Luhtanen R. K., Cooper M. L., Bouvrette A. (2003). Contingencies of self-worth in college students: theory and measurement. Journal of personality and social psychology, 85(5), 894.

Summer School Bressanone – Seconda parte


Demetrio D. (1996). Raccontarsi. L’autobiografia come cura di sé. Milano: Raffaello Cortina. Di Palma T., Sica L.S., Aleni Sestito L. (2013). Narrative Identity during the Transition from School to University: Difficult Roads. Gipo - Giornale Italiano Di Psicologia Dell’orientamento, 14, 3 (ISSN: 1720-7681). Erikson E. H. (1968). Identity youth and crisis. New York: Norton & Co. Erikson E.H. (1959). Identity and the Life Cycle. International University Press Inc. Ferrand C., Tedard S. (2001). La coscienza privata di se, elemento determinante della prestazione. SDS, 20(52), 49-56. Fisher B.L., Allen R., Kose G. (1996). The relationship between anxiety and problem-solving skills in children with and without learning disabilities. Journal of Learning Disabilities, 29, 439-446. Fiz M.R., Oyón M.J. (1998). Influencia de la autoestima y su repercusión en el rendimiento académico de los adolescentes. Estudios de Pedagogía y Psicología, 10, 27-74. Garaigordobi, M., Durá A., Pérez J. I. (2005). Psychopathological symptoms, behavioural problems, and self-concept/self-esteem: A study of adolescents aged 14 to 17 years old. Annuary of Clinical and Health Psychology, 1, 53-63. Goussot A. (Ed.). (2009). Il disabile adulto. Anche i disabili diventano adulti e invecchiano. Rimini: Maggioli. Graber J. A., Petersen A. C., Brooks-Gunn J. (1996). Pubertal processes: Methods, measures and models. In J. A. Graber, J. Brooks-Gunn, A. C. Petersen (Eds.), Transitions through adolescence: Interpersonal domains and context (pp. 23-53). Hillsdale, NJ: Lawrence Erlbaum. Harter S. (1985). Competence as a dimension of self-evaluation: Toward a comprehensive model of self-worth. The development of the self, 2, 55-121. Honzik M. P. (1984). Life-span development. Annual review of psychology, 35(1), 309-331. https://sites.google.com/site/leggixme/tuttixuni Humphrey N. (2002). Teacher and pupil ratings of self-esteem in developmental dyslexia. British Journal of Special Education, 29 (1), 29-36. Huntington D.D., Bender W.N. (1993). Adolescents with learning disabilities at risk? Emotional wellbeing, depression, suicide. Journal of Learning Disabilities, 26, 159-166. Ianes D. (2006). La speciale normalità. Trento: Erickson. Ianes D. (2009). Il Piano educativo individualizzato. Progetto di vita. Trento: Erickson. Iori V. (2006). Nei sentieri dell’esistere. Spazio, tempo, corpo nei processi formativi. Trento: Erickson. James, W. (1890). The principles of psychology. New York: Holt. Josselson R., Lieblich A., McAdams D. P. (Eds.). (2003). Up close and personal: The teaching and learning of narrative research. American Psychological Association Press. Marcia J. E. (1980). Identity in adolescence. In A. Adelson (ed.), Handbook of adolescent psychology (pp. 159-187). New York: John Wiley & Sons. Marsh H. W. (1990). Influences of internal and external frames of reference on the formation of math and English self-concepts. Journal of Educational Psychology, 82(1), 107. Masten A. S., O’Connor M. J. (1989). Vulnerability, stress, and resilience in the early development of a high risk child. Journal of the American Academy of Child & Adolescent Psychiatry, 28(2), 274-278. McAdams D. P. (2001). The psychology of life stories. Review of General Psychology, 5, 100-122. McAdams D. P. (2006). The redemptive self: Stories Americans live by. New York: Oxford University Press. McAdams D. P. (2012). Exploring psychological themes through life-narrative accounts. Varieties of narrative analysis, 15-32. Mestre M.V., García R., Frías D., Llorca V. (1992). Autoestima, depresión y variables escolares: un estudio longitudinal infancia- adolescencia. Revista de Psicología de la Educación, 4, 51-65. Morin E. (2014). Insegnare a vivere. Manifesto per cambiare l’educazione. Milano: Raffaello Cortina. Mortari L. (2015). Filosofia della cura. Milano: Raffaello Cortina. Most T., Greenbank A. (2000). Auditory, visual and auditory-visual perception of emotions by adolescents with and without learning disabilities, and their relationship to social skills. Learning Disability Research & Practice, 15 (4), 171-178. Mugnaini D., Chelazzi C., Romagnoli C. (2008). Correlati psicosociali della dislessia: Una rassegna. Dislessia, 5, 2, 195-210. Mura A. (2014). Diversità e inclusione. Prospettive di cittadinanza tra processi storico-culturali questioni aperte. Milano: Franco Angeli. Núñez J.C., González-Pienda J.A., García M., González- Pumariega S., Roces C., Álvarez L., González M.C. (1998). Estrategias de aprendizaje, autoconcepto y rendimiento académico. Psicothema, 10, 97109. Parra A., Oliva A., Sánchez I. (2004). Evolución y determinantes de la autoestima durante los años adolescentes. Anuario de Psicología, 35, 331-346.

anno V | n. 2 | 2017

L. ARCANGELI, E.A. EMILI, M. SANNIPOLI

23


24

Pavone M. (Ed.). (2009). Famiglia e progetto di vita. Crescere un figlio disabile dalla nascita alla vita adulta. Trento: Erickson. Prout H.T., Marcal S.D., Marcal D.C. (1992). A meta-analysis of self- reported personality characteristics of children and adolescents with learning disabilities. Journal of Psychoeducational Assessment, 10, 59-64. Quatman T., Watson C. M. (2001). Gender differences in adolescent self-esteem: An exploration of domains. The Journal of genetic psychology, 162(1), 93-117. Richmond J. B., Beardslee W. R. (1988). Resiliency: research and practical implications for pediatricians. Journal of Developmental & Behavioral Pediatrics, 9(3), 157-163. Ricolfi L. (1984). Associazionismo e partecipazione politica. Giovani oggi. Indagine Iard sulla condizione giovanile in Italia. Bologna: il Mulino. Rosenberg M. (1965). The measurement of self-esteem. Society and the adolescent self image, 297, V307. Rosenberg M., Schooler C., Schoenbach C., Rosenberg F. (1995). Global self-esteem and specific selfesteem: Different concepts, different outcomes. American sociological review, 141-156. Rourke B.P. (2005). Neuropsychology of learning disabilities: past and future. Learning Disability Quarterly, 28, 111-114. Rutter M. (1985). Resilience in the face of adversity. Protective factors and resistance to psychiatric disorder. The British Journal of Psychiatry, 147(6), 598-611. Rutter M. (1987). Psychosocial resilience and protective mechanisms. American journal of orthopsychiatry, 57(3), 316. Rutter M. (1996). Transitions and turning points in developmental psychopathology: As applied to the age span between childhood and mid-adulthood. International Journal of Behavioral Development, 19(3), 603-626. Ryan M. (2006). Problemi sociali ed emotivi collegati alla dislessia. Giornale italiano di ricerca clinica a applicativa. Sampson R. J., Laub J. H. (1993). Crime in the Making: Pathways and Turning Points through Life. Cambridge: Harvard University Press. Sánchez E., Barrón A. (2003). Social psychology of mental health: The social structure and personality perspective. The Spanish Journal of Psychology, 6, 3-11. Scabini E., Iafrate R. (2003). Psicologia dei legami familiari. Bologna: Il Mulino. Schwen M. R., Bass D. C. (2006). Leading lives that matter: What we should do and who we should be. Wm. B. Eerdmans Publishing. Shavelson R. J., Hubner J. J., Stanton G. C. (1976). Self-concept: Validation of construct interpretations. Review of educational research, 46(3), 407-441. Steele C. M. (1992). Race and the schooling of Black Americans. The Atlantic Monthly, 269(4), 68-78. Steele C. M. (1997). A threat in the air: How stereotypes shape intellectual identity and performance. American psychologist, 52(6), 613. Stone W. L., La Greca A. M. (1990). The social status of children with learning disabilities A Reexamination. Journal of learning disabilities, 23(1), 32-37. Undheim A. M. (2003). Dyslexia and psychosocial factors. A follow-up study of young Norwegian adults with a history of dyslexia in childhood. Nordic Journal of Psychiatry, 57(3), 221-226. Urquhart B. A., Pooley J. (2007). The Transition Experience of Australian Students to University: The Importance of Social Support. The Australian Community Psychologist, 19(2), 78-91. Viveret P. (2006). Pour un nouvel imaginaire politique. Pris: Fayard. Wagnild G. M., Young H. M. (1993). Development and psychometric evaluation of the resilience scale. Journal of Nursing Measurement, 1(2), 165-178. Waszak C., Sines M. C. (2003). Mixed methods in psychological research. Handbook of mixed methods in social and behavioral research, 557-576. Wiener J., Tardif C. Y. (2004). Social and emotional functioning of children with learning disabilities: does special education placement make a difference? Learning Disabilities Research & Practice, 19(1), 20-32. World Health Organization (1997). Introduction and guidelines to facilitate the development and implementation of Life Skills Programmes. Geneva: World Health Organization. Zahavi D. (2003). Phenomenology of self. In T. Kircher, A. David, The self in neuroscience and psychiatry (pp. 56-75). Cambridge University Press.

Summer School Bressanone – Seconda parte


Ripensare la disabilità in università: le voci di studenti e docenti

Key-words: higher education, disability, inclusive education; barriers; types of support

Summer School Bressanone

Italian Journal of Special Education for Inclusion

anno V | n. 2 | 2017

© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2282-5061 (in press) ISSN 2282-6041 (on line)

The university can be a strategic factor in life projects also for persons with disabilities and can promote both their full human development and their access in the labour market. In order to ensure equal opportunities for students with disabilities in achieving these goals, universities organize specific services. Monitoring the quality of these services is essential. This research aims to explore if and how supports offered by Disability Service within University of Turin and, with a wider extent, the academic context (from an architectural, cultural and social point of view) ensure academic success and active participation of students with disabilities in university. Along with the collection of quantitative background data, “structured focus group discussions” with 38 students with disabilities and semi-structured interviews with 11 lecturers are been realized. Findings indicate that the student support services, reasonable accommodations for the lecture attendance and individualized exam assessments are, overall, positive and effective. In other areas, such as academic and professional guidance and social life, it is important to work in order to promote projects of Independent Living and to improve more inclusive policies and practices.

abstract

Rosa Bellacicco (Università degli Studi di Torino / rosa.bellacicco@unito.it)

25


1. Introduzione

La formazione costituisce un diritto fondamentale, che ha un valore strategico per il ben-essere delle persone (Terzi, 2007). Comporta, infatti, sia un incremento delle conoscenze, sia un miglioramento delle prospettive di vita, in termini di opportunità professionali e di partecipazione alla vita sociale (Unterhalter, Brighouse, 2007; Saito, 2003; Swift, 2003; Brighouse, 2000). L’università, in particolare, attraverso lo sviluppo del pensiero critico e riflessivo, diviene una leva importante per sostenere la human agency anche di quei gruppi sociali che, tradizionalmente, hanno meno potere nella società o risultano oppressi (Biggeri, Santi, 2012; Walker, 2008). Esperienze di inclusione nella vita accademica si configurano quindi centrali per i soggetti con disabilità, in quanto predittive non solo dell’ampliamento delle loro competenze – e quindi delle opportunità lavorative (Boman et alii, 2013; Le Roux, Marcellini, 2011; Vedeler, Mossige, 2010; Dutta, Schiro-Geist, Kundu, 2009) –, ma anche dell’acquisizione di strumenti fondamentali per l’esercizio della cittadinanza attiva (Striano, 2013; Ebersold, 2012; Canevaro, 2006).

2. Gli studenti con disabilità nell’alta formazione

26

La letteratura riconosce che, storicamente, gli studenti con disabilità sono stati sottorappresentati nell’istruzione superiore (Kendall, 2016; Macleod, Cebula, 2009; Hanafin et alii, 2007; Madriaga, 2007). L’evoluzione delle politiche universitarie nei confronti dei giovani con domande formative complesse trova impulso negli anni Ottanta-Novanta, quando inizia a maturare e a consolidarsi una sensibilità più attenta, nei contesti accademici, alle loro prerogative e alla progettazione di servizi di supporto, in direzione innovativa ed ugualitaria. In particolare, una serie di iniziative internazionali (tra cui, ad esempio, il programma Helios, 1988-1996; i lavori di ricerca dell’OECD; la conferenza di Grenoble, 1999, etc) ha favorito in quegli anni lo sviluppo di attività progettuali e interventi messi in campo nei vari paesi europei e non, stimolando la riflessione sui processi di inclusione nel mondo universitario su un piano non solo culturale e scientifico, ma anche politico e normativo (de Anna, 2016). Da quest’ultimo punto di vista, nel nostro paese, le norme relative al diritto allo studio degli anni Novanta (la Legge n. 104/92 e, soprattutto, la Legge n. 17/99) hanno rappresentato un turning point fondamentale, demandando, anche ai sistemi formativi universitari, l’adozione di una cultura della parità dei diritti e dell’equità e la messa in campo di interventi orientati ai criteri della personalizzazione, della flessibilità e della continuità, volti ad agevolare la frequenza accademica della popolazione studentesca vulnerabile (Pavone, 2014). La successiva Convenzione per il riconoscimento dei diritti delle persone con disabilità (ONU, 2006), ratificata dall’Italia nel 2009, ha poi ribadito e promosso il diritto all’apprendimento permanente in condizioni di pari opportunità (art. 24), dando un forte impulso ai principi di uguaglianza, di cittadinanza attiva e di inclusione.

Summer School Bressanone – Seconda parte


Nel nuovo millennio si osserva, in Italia come oltre confine, un incremento degli studenti con disabilità iscritti all’università1, ma anche una migliore pianificazione dei servizi erogati, tra cui tutor alla pari, sostegno di tipo finanziario e tecnologico, adattamenti ragionevoli in sede d’esame, residenze, etc. (AHEAD, 2016; Cabral et alii, 2015; OECD, 2011; Defur, Korinek, 2008). Come affermano Brinckerhoff, McGuire e Shaw, nel 2002 il sistema dei supporti erogati dai Servizi Disabilità aveva appena attraversato la sua “adolescenza” e stava entrando nel mondo adulto. Tuttavia gli studi, oltre ad evidenziare i sempre più raffinati e dinamici progressi nel campo, mettono anche in luce che l’accesso all’università degli studenti con disabilità non sempre esita in una piena ed egualitaria partecipazione (Kendall, 2016; Couzens et alii, 2015; Riddell, Weedon, 2014; Beauchamp-Pryor, 2013; Mullins, Preyde, 2013; Sachs, Schreuer, 2011; Kurth, Mellard, 2006). Tra i principali ostacoli, la letteratura ne segnala quattro in particolare: barriere architettoniche; difficoltà nella disclosure della disabilità per richiedere i servizi; problematicità nell’accesso alle informazioni e atteggiamenti negativi della comunità accademica nei confronti della diversità (EADSNE, 2006). In uno studio recente (Hong, 2015), che ha coinvolto 16 studenti con varie disabilità, l’esperienza universitaria viene descritta “stressante” per diversi fattori, tra cui: l’ambiente fisico; difficoltà nella gestione del tempo e delle scadenze; lo stigma sociale percepito. Gli atteggiamenti del personale docente sono inoltre segnalati come barriere. Quest’ultimo aspetto viene confermato anche in altre survey, condotte a partire dall’ascolto diretto delle voci degli studenti, che evidenziano una limitata consapevolezza dei professori circa le loro necessità ed una parziale disponibilità ad elaborare proposte didattiche adeguate e flessibili, a fornire materiale di studio in formato accessibile e a concedere le misure individualizzate in sede d’esame (Strnadová, Hájková, Květoňová, 2015; Moriña, Cortés, Melero, 2014; Claiborne et alii, 2011; Cawthon, Cole, 2010; Gilson et alii, 2007; Zepke, Leach, Prebble, 2006; Fuller, Bradley, Healey, 2004; Shevlin, Kenny, McNeela, 2004; Holloway, 2001). Altri studi portano alla ribalta anche la questione dell’orientamento in entrata e della transizione al mondo del lavoro, troppo poco presa in considerazione dalle politiche istituzionali degli atenei (Le Roux, Marcellini, 2011; OECD, 2011; Vickerman, Blundell, 2010; Hadjikakou, Hartas, 2008; Goode, 2007; Eckes, Ochoa, 2005; Mpofu, Wilson, 2004). Le indagini condotte nel panorama italiano avvalorano i principali nuclei problematici riscontrati in ambito internazionale. Fin dalle prime ricerche (1994-95) risulta diffusa, negli atenei del nostro paese, la preoccupazione per l’abbattimento delle barriere architettoniche (de Anna, 2016). A questi ostacoli si aggiungono altre criticità segnalate dagli studenti nelle indagini condotte nei decenni successivi: una limitata attenzione dei docenti verso le esigenze speciali; carenze nelle relazioni con i compagni; scarsa disponibilità di materiale di studio accessibile e di ausili tecnologi; complessità della transizione in uscita (CENSIS, 2016; Boccuzzo, Fabbris, Nicolucci, 2011; Bertellino, 2007; Muttini, Marchisio, 2005). 1

In Italia gli studenti con invalidità superiore al 66% erano n. 4.370 nell’a.a. 1999/2000 (Fonte: ufficio di statistica del MIUR; primo dato disponibile). Nell’a.a. 2015/2016 sono n. 13.237 (ultimo dato disponibile di fonte MIUR).

anno V | n. 2 | 2017

ROSA BELLACICCO

27


Le ricerche di settore sembrano dunque mostrare – non solo nel nostro paese – una certa difficoltà del sistema universitario a rispondere in modo sistematico e strutturale ai bisogni educativi speciali della popolazione studentesca. Tuttavia, molte di queste indagini sono state condotte solo prevedendo la partecipazione di studenti con disabilità e quindi offrono la prospettiva di un’unica parte della comunità accademica (Strnadová, Hájková, Květoňová, 2015). Risulta di conseguenza necessario continuare ad approfondire lo studio dei contesti accademici per mettere in luce il sistema dei supporti e le barriere ancora presenti, coinvolgendo, il più possibile, diverse categorie di stakeholder universitari.

3. La ricerca all’Ateneo di Torino

28

L’indagine in oggetto ha avuto la finalità di esplorare i punti di forza e di debolezza dell’Ateneo di Torino (UniTo) rispetto all’inclusione degli studenti con disabilità, con un focus particolare sul monitoraggio della qualità dei servizi erogati dal Servizio Disabilità2. La riflessione è stata condotta alla luce del modello del Capability Approach (CA) di Amartya Sen (2009, 1999). L’adozione di tale paradigma dal punto di vista teorico ha orientato anche la scelta delle tecniche e degli strumenti di raccolta dei dati. Nato in ambito economico, il principio posto alla base del CA è quello secondo cui gli assetti sociali dovrebbero tendere ad espandere le capability delle persone, ossia le opportunità “di essere e di fare” (beings and doings) ciò che ciascun individuo giudica prioritario e auspicabile (functionings), al fine di conseguire vite fiorenti (Sen, 1999). Riconcettualizzata nell’ambito di questo modello, la disabilità può implicare una riduzione di capability/opportunità di raggiungere i functionings cui il soggetto assegna valore, che deriva dalla interazione tra la condizione di salute e la progettazione degli assetti ambientali e sociali (Terzi, 2010).

4. Metodo

Lo studio ha previsto la raccolta di dati quantitativi di sfondo relativi alle carriere degli studenti con deficit e la conduzione di interviste semi-strutturate faccia a faccia con 11 docenti, Referenti per la disabilità di vari Dipartimenti. Le interviste hanno rilevato il loro punto di vista sullo stato dei servizi, sulle modalità operative di erogazione, nonché sui punti di forza e ambiti di miglioramento dell’Ateneo3. 2

3

L’indagine è stata svolta negli a.a. 2014/2015 e 2015/2016. La rilevazione sul campo è stata condivisa con due ricercatori del Dipartimento di Filosofia, Pedagogia e Psicologia Applicata dell’Università degli Studi di Padova (dott. Diego Di Masi e dott. ssa Debora Aquario), che hanno condotto un’indagine analoga con gli studenti con disabilità all’interno del loro contesto accademico. Per completezza, si segnala che sono stati coinvolti nello studio, oltre ai docenti Referenti, anche altri testimoni privilegiati, ovvero 15 membri del personale tecnico-amministrativo e il primo e l’attuale Delegato del Rettore per la disabilità di UniTo. Si precisa che in questo articolo verrà

Summer School Bressanone – Seconda parte


Hanno partecipato alla ricerca anche 38 studenti con disabilità, scelti secondo la flessibilità tipica del campionamento ragionato. Per la selezione è stata utilizzata la procedura (non probabilistica) della nomination (Bichi, 2007; Cardano, 2003). Gli studenti sono stati selezionati eterogenei per età, genere, tipologia di disabilità, area disciplinare (Tab. 1). !"#

!"#

$%&#

#$%&'()(!*('++&,(-.)/*0*"(

'()(*(#

1/(.2++$,(/3(425&+&(

+,-./,0,%&#

/1()(%$6&7&8(52829&2,(( :(()(;&<&;2,( =(()(>%&8&;2,( //)(?<&7@&72(

1*((#2,-3,40,).*,# ( ( (

/A()(-27&'B$( /:()(45'+&<8&7'( C((()(-7&$+8&6&7'(

Tab.1: Profilo degli studenti con disabilità del campione

Gli studenti con disabilità sono stati coinvolti in focus group (di due livelli), realizzati all’insegna del metodo del “focus group strutturato” (Structured Focus Group Discussion o SFGD), elaborato a partire dal modello delle capability (Biggeri, Ferrannini, 2014; Biggeri, Ferrannini, Arciprete, in corso di pubblicazione). Il SFGD adotta un approccio partecipativo finalizzato a promuovere l’empowerment dei gruppi sociali target e la partecipazione delle comunità interessate alla riflessione sulle problematiche indagate, al fine di promuovere la salute delle stesse (Biggeri, Santi, 2012; Biggeri, Ballet, Comim, 2011; Biggeri, Libanora 2011; Drèze, Sen, 2002). La procedura, nello specifico, consente di esaminare i processi di espansione o restrizione delle capability, individuali e collettive, dei partecipanti all’interno dei contesti di appartenenza. Offre, inoltre, una lente efficace per valutare l’impatto di determinate politiche/azioni implementate e degli “attori” che possono aver avuto un’influenza sulle opportunità degli interessati in termini di ben-essere (Biggeri, Ferrannini, 2014). Nella presente ricerca, in linea con quanto previsto dal metodo del SFGD, il campione delle persone con disabilità è stato articolato in tre gruppi, ognuno dei quali ha partecipato ad un focus group di primo livello. Gli studenti sono stati coinvolti attivamente nell’individuazione delle dimensioni su cui condurre l’analisi ed hanno selezionato gli aspetti ritenuti più importanti per la loro partecipazione al contesto universitario. Le dimensioni scelte sono state poi posizionate in una lista, in ordine di importanza (Tab. 2).

presentata solo l’analisi delle interviste semi-strutturate somministrate ai docenti Referenti. Alcuni dei dati quantitativi relativi alle carriere degli studenti con disabilità verranno esposti nelle riflessioni conclusive.

anno V | n. 2 | 2017

ROSA BELLACICCO

29


! !" *"

#$#%&&$'%()"##"$%&'(%)!*(!+$,-&,'%.$,!/,!/,0("'(1!(!%($"2('(1!(!/.3"$.%"$() )%++,-.#$/-.&0()"##"$%&'(%)!*(!4%&*(.$,!,!*(!4"4%,',$,!/5,4.6,!2"'!/,) 6(4&$,!('*(7(*&./(00.%,!.*,8&.%,)

1"

)/02$3$&4() "##"$%&'(%)! *(! .22,*,$,! ,! *(! 6&"7,$4(! .//5('%,$"! *,//,! 4,*() &'(7,$4(%.$(,)

5"

)%''-66$2$3$&49! "##"$%&'(%)! *(! 4#"4%.$4(! *.! ,! 7,$4"! /5:'(7,$4(%)! ,! %$.! /,) 7.$(,!4,*()

7"

)0,$-.&%/-.&0) 8$.) -.&,%&%) -) $.) 96'$&%:() "##"$%&'(%)! *(! 42,8/(,$,) (/! 2"$4"!*(!4%&*(!#(;!.*,8&.%"!.//,!#$"#$(,!#"%,'0(./(%)</(6(%(!,!*(!2"//"2.$4(!',/! 6"'*"!*,/!/.7"$")

;"

)#$6+0.$2$3$&4) -) <,9$2$3$&4) #-=3$) 6+%>$() "##"$%&'(%)! *(! 4%&*(.$,) ('! 4#.0(!&'(7,$4(%.$(!.*,8&.%(!,!*"%.%(!*,//,!4%$&6,'%.0("'(!',2,44.$(,)

?"

)%''-660) %33-) $.<0,/%>$0.$() "##"$%&'(%)! *(! .7,$,! .22,44"! .//,) ('+"$6.0("'(!*.(!4(%(!=,31!*.//,!3.2>,2>,1!,%2)

@"

)60'$%3$>>%>$0.-() "##"$%&'(%)! *(! #.$%,2(#.$,! .*! ,7,'%(! ,?%$.2&$$(2&/.$(1! .'2>,!4#"$%(7(1!('!2&(!$,/.0("'.$4(!2"'!(!2"6#.8'()

A"

),$6+-&&0()"##"$%&'(%)!*(!,44,$,!$(2"'"42(&%(!2"6,!4%&*,'%(!.//.!#.$(!*,8/() ./%$(!,!*(!,44,$,!$(4#,%%.%(!#,$!/.!#$"#$(.!('%$('4,2.!*(8'(%))

30

! !

Tab.2: Lista delle dimensioni del ben-essere in università scelte dagli studenti

La seconda azione ha previsto la conduzione di 4 focus group strutturati (di secondo livello), in cui gli studenti del campione hanno identificato il livello delle opportunità/capability da loro percepite in ciascuna delle dimensioni individuate in precedenza, a seconda della tipologia di disabilità (motoria, visiva, uditiva e psichica; B, C, D, E nella matrice, mentre A rappresenta il benchmark, ovvero lo studente senza disabilità). Hanno inoltre valutato i servizi messi in campo dall’Ateneo e l’impatto del tutor alla pari, dei docenti e dei compagni di corso. Tutti gli elementi di analisi sono stati presentati ai partecipanti sotto forma di una matrice, proiettata nell’ambito dei SFGD (Tab. 3)4. La matrice ha guidato in modo rigoroso l’interazione discorsiva fra il moderatore e gli studenti, consentendo di seguire la medesima sequenza di domande e relative risposte e, quindi, di comparare i risultati dei diversi SFGD condotti. La valutazione ha previsto l’assegnazione di un punteggio numerico per ciascuna cella (da 0 a 10; 0 = nessuna opportunità disponibile; 10= il massimo livello di opportunità), che è frutto di una discussione collettiva tra i partecipanti e sintetizza numericamente l’espres4

Si precisa che la matrice utilizzata nell’ambito dei SFGD prevedeva anche una colonna destinata alla costruzione di un controfattuale immaginario, ovvero alla ricostruzione ipotetica della situazione che si sarebbe riscontrata nel caso in cui i supporti erogati dal Servizio Disabilità non fossero stati attivati. Cfr. Biggeri, Ferrannini, 2014.

Summer School Bressanone – Seconda parte


sione dei loro punti di vista. È stato possibile così reperire dati quantitativi e dati qualitativi (su questi ultimi si soffermerà la nostra analisi successiva). ! !

) !"#$%&'(&)*$##&) *"+$',"-'$)

."%$##-)*") -//-012'"13)4-55"6)

45&*'(+!6! )37+,(*'($!8*! 9)3$'#)+'$:::0;!

45&*8!6!)8!8)2$88+!9)! +77+,(&')(<:::0;!

:"+$',"-'"<) =//-012'"13)

!

:"*&11";&) >//0$'*"H) +$'1-) KKKKK)

7-'10"821-)*$#)9$0%"("-):",&8"#"13)$)*$")/0"';"/&#") &11-0")&#)#"%$##-)*")-//-012'"13) "!#$%&$'()!*((+,)!-*''+!.+'(,)/&)(+0!1+#)()2*3$'($! +!'$%*()2*3$'($0!! 9$0%"("-) :",&8"#"13<121-0!

:-;$'1"!

7-+/&5'")*") ;-0,-!

>)

?)

7)

:)

@)

?)

7)

:)

@)

?) 7) :) @)

?) 7) :) @)

AB)

C)

D)

E)

F)

E)

D)

E)

D)

C)

E)

F)

F)

E)

F)

F)

E)

G)

C)

C)

D)

G)

F)

E)

I)

J)

D)

C)

D)

F)

E)

D)

I)

I)

J)

J)

!

!

!

!

!

!

!

!

!

!

!

!

!

!

!

!

!

!

Tab. 3: Estratto della matrice utilizzata nei SFGD

! ! !

Le interviste e i focus group sono stati registrati e trascritti; i contenuti sono stati analizzati mediante una codifica a posteriori del testo (con l’aiuto del software N-VIvO 10). I dati quantitativi sulle carriere degli studenti sono stati invece trasferiti in SPSS 22.0 per le elaborazioni successive.

5. Risultati

5.1 Il punto di vista dei docenti

La maggior parte dei professori individua, tra i punti di forza di UniTo rispetto al sostegno della popolazione studentesca disabile, tre aspetti: la sensibilità dell’Ateneo stesso, che ha promosso convintamente negli anni nuovi progetti e soluzioni di carattere inclusivo per gli studenti; l’offerta ampia e articolata di supporti da parte del Servizio Disabilità e la progressiva formazione/sensibilizzazione dei docenti (Referenti per la disabilità di Dipartimento e non) nella definizione del trattamento individualizzato in sede d’esame. La sensibilità del nostro Ateneo è buona e si concretizza in un’assegnazione di fondi che consente di operare e di condurre delle politiche inclusive (docente 9)

L’Ateneo, dal punto di vista dell’offerta dei servizi, è molto bene avviato...sono erogate numerose tipologie di supporti, gli studenti riescono a seguire le lezioni e mi sembra siano ben supportati anche per lo studio (docente 2)

Quello che mi è successo più spesso di fare in questi anni è stato conciliare le esigenze dello studente, nel momento della definizione dell’esame, con quelle di alcuni docenti...e mi pare che ora il sistema funzioni (docente 1)

anno V | n. 2 | 2017

ROSA BELLACICCO

31


I Referenti sottolineano, inoltre, di non aver mai rilevato episodi di discriminazione o di isolamento sociale: sembra positiva la collaborazione tra compagni di corso, con e senza disabilità, almeno per quanto attiene allo scambio di appunti e di informazioni osservato in aula. Non mi è mai capitato di assistere a qualche situazione sgradevole o a delle resistenze nei confronti dello studente con disabilità (docente 4)

Per quello che ho potuto vedere, la solidarietà mi sembra ci sia…noto che, finita la lezione, c’è sempre qualcuno che si ferma a parlare, senz’altro non ho mai visto lo studente con disabilità da solo (docente 8)

Tra i nodi ancora da sciogliere, i docenti segnalano, in primis, l’accessibilità in ambito architettonico. Da un lato, vengono sottolineati i problemi ancora presenti (soprattutto negli edifici storici o non di proprietà dell’Ateneo); dall’altro, si osservano anche i progressi compiuti, a carattere strutturale, nell’abbattimento di tali ostacoli e le soluzioni trovate per superare le barriere residue. Il problema delle barriere architettoniche è molto sentito…me l’avesse chiesto qualche anno fa, le avrei detto che la situazione era “tragica”… adesso va meglio, nel senso che l’ascensore è stato costruito, però per accedervi bisogna fare quattro scalini (docente 5)

32

A me è capitato, in Dipartimento, che il montascale si sia bloccato alle sette di sera e la ragazza con disabilità sia rimasta all’interno dell’edificio...ora la situazione è migliorata, sono stati fatti numerosi interventi, ma il palazzo è storico (docente 3)

Tra le altre questioni aperte, le testimonianze dei docenti intervistati tratteggiano le difficoltà relative alla fase di orientamento in ingresso e, nello specifico, alla scelta del corso di studio più adeguato. Si avverte la necessità di favorire maggiormente il continuum dello sviluppo nel passaggio tra la scuola superiore e l’università, nonostante i docenti siano più coinvolti in questo processo, da quando, nel 2012, è stato attivato dall’Ateneo un progetto specifico di sostegno in ingresso denominato “Orientamento e continuità in Università”. Il rischio rilevato dai Referenti è che, talvolta, la scelta dell’indirizzo non tenga in considerazione potenzialità e limiti degli studenti e non sia finalizzata alla costruzione di un progetto di vita, concreto e sostenibile. Credo sia necessaria un’informazione molto puntuale nel momento della scelta del percorso di studio, in relazione sia all’ambizione dello studente sia alla disabilità (docente 6)

Il punto più critico è sicuramente la questione della scelta del corso di studio, perché bisogna, da un lato, cercare di rispettare la volontà e le propensioni dei ragazzi, dall’altro fare i conti con i loro limiti...mi sembra quindi fondamentale il tentativo di avviare una relazione con gli studenti con disabilità già prima del loro arrivo, con il progetto “Orientamento e continuità in università” (docente 7)

Summer School Bressanone – Seconda parte


Dal punto di vista della didattica, i Referenti dichiarano invece di non aver mai dovuto modificare/innovare le proprie prassi, in quanto la fruizione delle lezioni, per gli studenti con bisogni speciali, è sempre stata assicurata dalla presenza del tutor alla pari o dell’interprete della Lingua Italiana dei Segni (LIS). Non mi è mai capitato di dover modificare le modalità con cui faccio lezione...ho sempre chiesto agli studenti di segnalarmi eventuali problemi, ma i pochi studenti con disabilità che si sono dichiarati erano affiancati dal tutor (docente 1)

5.2 Il punto di vista degli studenti con disabilità

I dati raccolti nei SFDG mostrano che le dimensioni in cui l’intervento del Servizio Disabilità ha avuto un impatto positivo, al di là della tipologia di disabilità, sono principalmente la didattica, l’apprendimento e la mobilità. Per quanto riguarda le prime due dimensioni (concernenti la fruizione delle lezioni e l’attività di studio), il sostegno del tutor alla pari/interprete LIS è considerato efficace e strategico, risultando particolarmente centrale negli iter accademici dei soggetti con deficit uditivo e psichico. Per questi ultimi, al di là dell’attività di supporto all’apprendimento, la relazione con il mediatore personale sembra orientata, a tratti, sul versante della dipendenza emotiva e del bisogno assistenziale. Che cosa fa con me l’interprete? Legge il libro e poi mi fa dei riassunti più semplici, quindi per me è più facile studiare...da sola non credo riuscirei (studente con disabilità uditiva)

Secondo me senza tutor è difficile affrontare lo studio perché, ad esempio, quando non c’è, vengo all’Università, però poi operativamente sono fermo e mi perdo, perché mi manca il rapporto col tutor, che mi fa riflettere e mi aiuta a ragionare su quello che sto studiando…ammetto che senza il suo sostegno non andrei neanche all’Università (studente con disabilità psichica)

Nella dimensione dell’apprendimento, dalle voci degli studenti traspare anche una buona consapevolezza dei docenti circa le loro esigenze speciali; inoltre, le esperienze relative alla concessione degli adattamenti necessari in sede d’esame sono giudicate piuttosto soddisfacenti. Io ho trovato, in genere, dei professori molto bravi che hanno capito le mie difficoltà e con loro non ho avuto nessun problema...ho comunicato in anticipo le mie esigenze per l’esame ed è andato tutto liscio (studente con disabilità motoria)

Sono andato a diversi ricevimenti per concordare modalità d’esame, programmi e tutto il resto...mi sono trovato quasi sempre bene, i professori erano molto disponibili, attenti e preparati...la maggior parte delle volte mi sono fatto aiutare dall’interprete (studente con disabilità uditiva)

anno V | n. 2 | 2017

ROSA BELLACICCO

33


Esaminando, invece, gli aspetti che attengono all’individualizzazione/personalizzazione della didattica, la sensibilità dei docenti non è giudicata parimenti adeguata (soprattutto dai soggetti con disabilità visiva). Secondo i partecipanti, una maggiore formazione dei professori su questi temi, compresa la creazione di materiali di studio accessibili, renderebbe i processi di inclusione più efficaci e ad ampio spettro. Per quanto riguarda le lezioni, io ho trovato una buona sensibilità...poi è vero che alcuni professori non sono molto informati sui bisogni di una persona disabile sensoriale...ad esempio, quando proiettano delle slide con delle immagini, io ho sempre bisogno di una persona vicino perché, pur sapendo che ci sono io in aula, spesso succede che dicano: “vedete questa slide, è chiara, non c’è bisogno che io mi soffermi ad illustrarla, etc.”...secondo me i docenti dovrebbero frequentare un piccolo seminario in cui vengono spiegate le esigenze specifiche connesse alle diverse tipologie di disabilità (studente con disabilità visiva) I docenti sono sempre stati disponibili, anche se dovrebbero spiegare meglio grafici e formule e fornire materiale di studio accessibile, ad esempio non scannerizzato (studente con disabilità visiva)

34

Per quanto riguarda la dimensione della mobilità, i soggetti con disabilità motoria e visiva confermano una valutazione piuttosto positiva del supporto previsto dal Servizio Disabilità (nel caso specifico il servizio di accompagnamento), ma con delle differenziazioni. Le persone con deficit motorio riconoscono, infatti, che l’Ateneo si è attrezzato per migliorare l’accessibilità delle sue sedi con azioni molto strutturate (Censimento delle barriere architettoniche, manutenzioni straordinarie, interventi con pedane, scivoli, ascensori...). Sembra essere invece meno diffusa la sensibilità riguardo alle barriere percettive, che rendono ancora problematici l’orientamento e la mobilità all’interno degli spazi universitari. Tutto sommato, considerando che si tratta di strutture storiche, sono nel complesso accessibili...certo, dipende dalle sedi, ma devo ammettere che una soluzione si è sempre trovata... questo secondo me non è in ogni caso il principale problema qui in Università (studente con disabilità motoria)

Non c’è proprio la sensibilità di pensare: “adesso mettiamo un riferimento qui in modo che sia più accessibile per i non vedenti”...se c’è un punto di riferimento, è casuale, come l’estintore all’angolo che ti indica che c’è l’aula a destra...ed è complicato, perché non ci sono i LOGES...secondo me su questo bisogna lavorare ancora molto (studente con disabilità visiva)

Altri aspetti approfonditi nei SFGD sono relativi all’orientamento. A questa dimensione vengono attribuiti punteggi molto bassi, soprattutto dai giovani con deficit motorio e visivo. Emerge, al riguardo, una criticità già esplicitata, quella dello scarso raccordo tra l’Ateneo e il ciclo scolastico. Molti studenti, infatti, dichiarano di esser stati poco supportati, sia dalla scuola superiore sia da UniTo, nella scelta del corso di studio. Gli unici partecipanti che assegnano un punteggio più alto in questa dimensione sono i soggetti selezionati per partecipare al progetto “Orientamento e continuità in Università”. In generale, la scelta dell’indiSummer School Bressanone – Seconda parte


rizzo sembra esser stata dettata principalmente dall’interesse per gli insegnamenti e dalla valutazione circa la presenza di un contesto più inclusivo e funzionale alla propria condizione personale. Sinceramente la scelta del corso non l’ho fatta nell’ottica di un lavoro futuro...ho scelto di studiare qualcosa che mi piaccia e in un ambiente più sensibile, in cui mi sento accolta (studente con disabilità motoria)

Dei conoscenti mi hanno detto che nell’altra Università non sarei stata seguita allo stesso modo e avrei usufruito di meno servizi, quindi la mia scelta è stata in qualche modo obbligata (studente con disabilità visiva)

Un’altra questione su cui i partecipanti non vedenti concentrano le loro riflessioni attiene ai corsi di studio con particolari esperienze laboratoriali o tirocini sul campo e ad alcune lauree con valore abilitante. In questi corsi gli studenti rischiano di vedersi preclusa la possibilità di inserirsi professionalmente a causa della specifica menomazione e ciò limita le loro opportunità di scelta. Più che altro, ci sono alcuni corsi che noi non possiamo proprio fare...almeno per come sono organizzati oggi alcuni corsi di studio, per noi ne rimangono davvero pochi (studente con disabilità visiva)

Noi la maggior parte dei corsi di studio non li possiamo frequentare...pertanto, non fai quello che vuoi tu, ma quello che in qualche maniera vogliono gli altri o ritengono che tu possa fare, questo è il punto...ovvero la domanda: “ma tu che cosa vuoi fare?”, non te la fanno quasi mai...nella mia esperienza è sempre stato così, ti dicono: “per te sarebbe necessario, sarebbe opportuno...” (studente con disabilità visiva)

Nuclei importanti vanno poi segnalati rispetto all’orientamento in uscita. Una mancanza di informazioni circa la normativa esistente in materia e i servizi di sostegno previsti dall’Ateneo si associa a generalizzate convinzioni pessimistiche relative all’ingresso nell’ambiente produttivo. I canali principali per l’inserimento occupazionale, in ogni caso, si concretizzano perlopiù nell’iniziativa dei familiari o delle Associazioni di categoria. Una cosa che mi è venuta in mente l’altro giorno è questa...io prendo la laurea, ma ci metto più tempo...però poi chi ti prende a lavorare quando ci hai impiegato il doppio del tempo per conseguire la triennale e il doppio pure per la magistrale? Non so come farò (studente con disabilità psichica)

A volte senti che stai facendo un percorso vuoto e questo ti demoralizza...nel senso che va bene per cultura personale, ma ti rendi conto che non ti serve poi tanto perché nella tua condizione è molto difficile lavorare (studente con disabilità motoria)

Per quanto riguarda, infine, la relazione con i compagni di corso (dimensione della socializzazione), i partecipanti (di fatto tutti, tranne gli studenti non vedenti) dichiarano che nessuno degli “attori” esaminati ha contribuito a migliorare questo aspetto. Vi assegnano quindi un punteggio piuttosto basso, ma per motiva-

anno V | n. 2 | 2017

ROSA BELLACICCO

35


zioni diverse. Per quanto riguarda gli studenti con disabilità motoria, ad esempio, la mancata partecipazione ad eventi extracurriculari è imputabile a varie cause: di tempo, di studio e soprattutto organizzative. Negli studenti con disabilità uditiva o psichica, invece, prevale l’“autostigma”, ovvero la paura di non essere compresi e di essere rifiutati dai compagni. In particolare, nei partecipanti sordi questi sentimenti si esprimono con un forte bisogno di accettazione, manifestato però sotto forma di pretesa: o gli altri utilizzano determinati accorgimenti che consentono di coinvolgerli o rinunciano alla relazione. A me piacerebbe studiare o uscire con i compagni...ma, se si vuole organizzare qualcosa, deve esser tutto estremamente programmato, dipendendo dagli accompagnatori (studente con disabilità motoria)

Se le persone mi parlassero guardandomi, io potrei leggere il labiale, anche se non capisco tutto...invece quasi nessuno lo fa, anche tra i compagni udenti, quindi è inutile provare a fare amicizia...mi rendo conto che per me è troppo difficile (studente con disabilità uditiva)

6. Conclusioni

36

L’indagine mostra che il Servizio Disabilità è funzionale a soddisfare le domande delle persone con disabilità e a far loro raggiungere gli obiettivi preposti, in particolare in alcune articolazioni del sistema universitario, quali la didattica e l’apprendimento. Conferme in questa direzione giungono dalle testimonianze degli studenti coinvolti nei SFGD e dei docenti: la loro valutazione sull’adeguatezza dei dispositivi messi a punto dal Servizio Disabilità a supporto della frequenza accademica e dello studio è, nel complesso, positiva. Anche il processo di definizione delle misure individualizzate da concedere agli esami, diversamente da quanto documentato in letteratura (Claiborne et alii, 2011; Cawthon, Cole, 2010), è una procedura oramai consolidata e routinaria. Sulla stessa lunghezza d’onda, i Referenti per la disabilità di Dipartimento esplicitano il costante lavoro di mediazione svolto, in questi anni, tra le istanze degli studenti e quelle dei docenti in merito al trattamento individualizzato per il superamento degli esami. Dal punto di vista dei dati quantitativi, l’incremento degli iscritti (+ 5%) e dei laureati (+ 18%) con disabilità nel periodo di riferimento analizzato nell’indagine5 confermano una buona attrattività dell’Ateneo nei confronti dei giovani con domande formative complesse, che si pone in continuità con il miglioramento delle risposte e delle soluzioni via via messe in campo per consentirne il successo formativo. Un altro tassello messo in luce nell’inchiesta è quello della mobilità. Nell’immaginario comune dei Referenti, le barriere architettoniche rappresentano uno 5

Nell’a.a. 2014/2015 gli studenti con disabilità iscritti all’Università di Torino sono n. 586; erano n. 558 nell’a.a. 2010/2011. Con riferimento ai laureati, nel 2014 approdano al titolo n. 46 soggetti con disabilità; nel 2009 i laureati disabili erano n. 39.

Summer School Bressanone – Seconda parte


degli aspetti più critici relativi all’inclusione degli studenti vulnerabili; diversamente, la questione delle barriere percettive non viene quasi mai citata dai docenti. Questi assunti si fondano su una concezione in parte superata della disabilità, che la identifica, in primis, con il deficit motorio. Secondo gli studenti con disabilità fisica, oltretutto, le problematiche ancora presenti all’interno delle strutture non costituiscono i principali ostacoli al loro ben-essere in università. Tutto ciò induce a riflettere sul fatto che, in UniTo, la prospettiva inclusiva pare sostanziarsi prevalentemente dal punto di vista “tecnico” della concessione dei servizi, degli adattamenti ragionevoli per la frequenza e del trattamento individualizzato in sede d’esame. L’attivazione di altri processi inclusivi, finalizzati ad una reale e attiva partecipazione degli studenti con disabilità al percorso accademico e alla costruzione di progetti di vita indipendenti, sembra ancora parziale e non pienamente soddisfacente. Infatti, tra gli ambiti in cui emergono ampi margini di miglioramento vi sono la riconfigurazione delle pratiche didattiche da parte dei docenti per assecondare le diversità presenti in aula, la dimensione della socializzazione e quella dell’orientamento. Per quanto riguarda quest’ultima dimensione, il nodo più critico è senza dubbio rappresentato dal raccordo tra il ciclo scolastico e l’università. In questo caso, i dati quantitativi raccolti evidenziano, tra vari aspetti, che l’età all’immatricolazione risulta piuttosto elevata6. Ne consegue che occorre investire il più possibile su azioni di avvicinamento degli studenti al mondo accademico già al termine delle scuole superiori: per coloro che sono stati inseriti nel progetto “Orientamento e continuità in università”, infatti, il momento del passaggio all’università è stato meno problematico e rischioso. Per quanto riguarda, più nello specifico, la scelta del corso di studio, la questione non è esente da contraddizioni e sollecita un approfondimento, anche all’interno della stessa CNUDD (Conferenza Nazionale Universitaria dei Delegati dei Rettori per la Disabilità)7, in merito alle lauree con valore abilitante. Posto infatti che gli studenti sono totalmente liberi di scegliere qualunque tipo di indirizzo, è importante tuttavia domandarsi se il diritto allo studio sia da promuovere sempre e a qualunque costo o se, talvolta, non possa essere più importante orientare i soggetti con determinate minorazioni verso ambiti formativi che rappresentino anche un ponte per l’avvicinamento al mondo del lavoro. Il tema, segnalato anche in un’altra indagine recente (EADHE, 2014), è di rilevante interesse sia sul versante della ricerca, sia su quello organizzativo, pratico e socio-giuridico, dato il valore legale del titolo di studio nel nostro paese. Investire sulle azioni di orientamento in entrata e su modelli più attenti alle competenze dei soggetti significa anche facilitare la transizione degli studenti verso il mondo del lavoro (Cabral et alii, 2015). Rispetto all’orientamento in uscita, la procedura di matching tra il profilo dei giovani con bisogni speciali e le

6 7

L’analisi sui laureati con disabilità tra il 2009 e il 2014 evidenzia che il 55,8% non si è immatricolato ad UniTo all’età canonica (ovvero a 19/20 anni). Scopo della Conferenza Nazionale Universitaria dei Delegati dei Rettori per la Disabilità è condividere informazioni, progetti, dati in merito all’inclusione degli studenti con disabilità o con DSA nei contesti accademici, nell’ottica di una sempre migliore qualificazione del diritto allo studio per gli studenti con bisogni formativi speciali.

anno V | n. 2 | 2017

ROSA BELLACICCO

37


38

caratteristiche del contesto professionale appare come un processo ancora da raffinare in UniTo. L’indagine, inoltre, mette in luce che il canale principale per l’inserimento occupazionale è l’iniziativa dello stesso neolaureato, mediante il supporto di familiari o Associazioni. Ciò dimostra che l’azione dispiegata dall’università è strumento meno efficace rispetto all’intraprendenza soggettiva e non supporta ancora in maniera adeguata lo studente nella costruzione di una progettualità di vita futura, in linea con quanto si riscontra anche in letteratura (Boccuzzo, Fabbris, Nicolucci, 2011). Per quanto riguarda la socializzazione, sono pochi i giovani che hanno preso parte alle attività culturali, ricreative, sportive organizzate dall’Ateneo; la vita universitaria, per tali studenti, sembra scandita prevalentemente dal calendario delle lezioni e degli esami. Ciò chiama in causa un maggiore coinvolgimento di alcune risorse di contesto, come i compagni di corso e i Comitati Studenteschi, nella direzione di favorire la partecipazione attiva dei pari con disabilità alla vita universitaria, in tutte le sue forme. E, più in generale, rivela la necessità che l’Ateneo affianchi, all’erogazione di supporti supplementari e “aggiuntivi” da parte del Servizio Disabilità, maggiori sforzi sul versante della sensibilizzazione/formazione di tutte le diverse componenti dell’ambiente universitario e della riorganizzazione complessiva del sistema accademico, in direzione inclusiva (Pavone, Bellacicco, 2016). Per favorire il superamento di logiche assistenzialistiche e massimizzare la crescita di padronanza e autoefficacia degli studenti, occorre infatti introdurre dei cambiamenti strutturali su un piano organizzativo, didattico e culturale, nell’ottica di creare un contesto competente e ridurre il rischio di esclusione di ciascuno (D’Alessio, 2015; Garbo, 2013; Canevaro, 2006).

Riferimenti bibliografici

AHEAD (Association for Higher Education Access and Disability). (2016). Numbers of Students with Disabilities Studying in Higher Education in Ireland 2014/15. Dublin, AHEAD Educational Press. Beauchamp-Pryor K. (2013). Disabled students in Welsh higher education: A framework for equality and inclusion. Rotterdam: Sense Publishers. Bertellino R. (2007). Il bagno è perfetto, il problema è arrivarci. Il diritto allo studio delle persone disabili nell’Università di Torino. Torino: Silvio Zamorani. Bichi R. (2007). L’intervista biografica. Una proposta metodologica. Milano: Vita e Pensiero. Biggeri M., Ferrannini A. (2014). Opportunity Gap Analysis: Procedures and methods for applying the capability approach in development initiatives. Journal of Human Development and Capabilities, 15(1), 60-78. Biggeri M., Santi M. (2012). The missing dimensions of children’s well-being and well-becoming in education systems: capabilities and philosophy for children. Journal of human development and capabilities, 13(3), 373-395. Biggeri M., Ballet J., Comim F. (2011). Final remarks and conclusions: the promotion of children’s active participation. In M. Biggeri, J. Ballet, F. Comim (Eds.), Children and the Capability Approach (pp. 340-354). New York: Palgrave Macmillan. Biggeri M., Ferrannini A., Arciprete C. (in corso di pubblicazione). Il metodo partecipativo del focus group strutturato: caratteristiche e applicazione. Biggeri M., Libanora R. (2011). From Valuing to Evaluating: Tools and Procedures to Operationalize the Capability Approach. In M. Biggeri, J. Ballet, F. Comim (Eds.), Children and the Capability Approach (pp. 79-106). New York: Palgrave Macmillan. Boccuzzo G., Fabbris L., Nicolucci E. (2011). Il capitale umano dei laureati disabili. In L. Fabbris (Ed.), Criteri e indicatori per misurare l’efficacia delle attività universitarie (pp. 129-162). Padova: CLEUP.

Summer School Bressanone – Seconda parte


Boman T. et alii (2013). Can people with disabilities gain from education? Similarities and differences between occupational attainment among persons with and without disabilities. Work: A Journal of Prevention, Assessment and Rehabilitation, 49(2), 193-204. Brinckerhoff L.C., McGuire J.M., Shaw S.F. (2002). Postsecondary Education and Transition for Students with Learning Disabilities. Austin, TX: PRO-ED Inc. Brighouse H. (2000). Educational equality and the new selective schooling. London: Philosophy of Education Society of Great Britain. Cabral L.S.A. et alii (2015). Academic and Professional Guidance for Tertiary Students with Disabilities: Gathering Best Practices throughout European Universities. Open Journal of Social Sciences, 3(09), 48-59. Canevaro A. (2006). Le logiche del confine e del sentiero. Trento: Erickson. Cardano M. (2003). Tecniche di ricerca qualitativa. Percorsi di ricerca nelle scienze sociali. Roma: Carocci. Cawthon S.W., Cole E.V. (2010). Postsecondary students who have a learning disability: Student perspectives on accommodations access and obstacles. Journal of Postsecondary Education and Disability, 23(2), 112-128. CENSIS. (2016). Accompagnare le università verso una più ampia integrazione degli studenti con disabilità e DSA. Il punto di vista di: Delegati alla disabilità, operatori dei servizi e studenti. Roma. Claiborne L.B. et alii (2011). Supporting students with impairments in higher education: social inclusion or cold comfort? International Journal of Inclusive Education, 15(5), 513-527. Couzens D. et alii (2015). Support for students with hidden disabilities in universities: A case study. International Journal of Disability, Development and Education, 62(1), 24-41. D’Alessio S. (2015). Disability Studies in Education: che cosa sono e perché sono importanti per lo sviluppo di una scuola e un’università inclusive. L’integrazione scolastica e sociale, 14(2), 119127. de Anna L. (2016). Le esperienze di integrazione e inclusione nelle università tra passato e presente. Milano: FrancoAngeli. Defur S.H., Korinek L. (2008). The Evolution toward Lifelong Learning as a Critical Transition Outcome for the 21st Century. Exceptionality, 16, 178-191. Drèze J., Sen A.K. (2002). Democratic practice and social inequality in India. Journal of Asian and African Studies, 37(2), 6-37. Dutta A., Schiro-Geist C., Kundu M. (2009). Coordination of postsecondary transition services for students with disabilities. Journal of Rehabilitation, 75(1), 10-17. EADSNE (European Agency for Special Needs and Inclusive Education). (2006). Handicap ed Istruzione in Europa. Il sostegno nell’istruzione post-primaria. Pubblicazione Tematica. In https://www.european-agency.org/sites/default/files/special-needs-education-in-europevolume-2-provision-in-post-primary-education_Thematic-IT.pdf (ultima consultazione: 07/09/2017). EADHE (European action on disability within higher education). (2014). Local report analysis: University of Bologna. In <http://www.eadhe.eu/images/report/EADHE_WP3_Local_Report_UNIBO.pdf> (ultima consulazione: 07/09/2017) Ebersold S. (2012). Transitions to Tertiary Education and Work for Youth with Disabilities. Education and Training Policy. Paris: OECD Publishing. Eckes S.E., Ochoa T.A. (2005). Students with disabilities: Transitioning from high school to higher education. American Secondary Education, 33(3), 6-20. Fuller M., Bradley A., Healey M. (2004). Incorporating disabled students within an inclusive higher education environment. Disability & Society, 19(5), 455-468. Garbo R. (2013). Il percorso di studi universitario in un’ottica inclusiva. In M. D’Amico, G. Arconzo (a cura di). Università e persone con disabilità (pp. 45-55). Milano: FrancoAngeli. Hadjikakou K., Hartas D. (2008). Higher education provision for students with disabilities in Cyprus. Higher Education, 55(1), 103-119. Hanafin J. et alii (2007). Including young people with disabilities: Assessment challenges in higher education. Higher education, 54(3), 435-448. Holloway S. (2001). The experience of higher education from the perspective of disabled students. Disability and Society, 16(4), 597-615. Kendall L. (2016). Higher education and disability: Exploring student experiences. Cogent Education, 3(1), 1256142.

anno V | n. 2 | 2017

ROSA BELLACICCO

39


40

Kurth N., Mellar D. (2006). Student Perceptions of the Accommodation Process in Postsecondary Education. Journal of Postsecondary Education and Disability, 19(1), 71-84. Gilson C.L. et alii (2007). Gaining Access to Textbooks for Postsecondary Students with Visual Impairments. Journal of Postsecondary Education and Disability, 20(1), 28-39. Goode J. (2007). ‘Managing’ disability: early experiences of university students with disabilities. Disability & Society, 22(1), 35-48. Hong B.S. (2015). Qualitative analysis of the barriers college students with disabilities experience in higher education. Journal of College Student Development, 56(3), 209-226. Le Roux N., Marcellini A. (2011). L’insertion professionnelle des étudiants handicapés en France. Revue de questions et axes de recherche. ALTER-European Journal of Disability Research/Revue Européenne de Recherche sur le Handicap, 5(4), 281-296. Macleod G., Cebula K. R. (2009). Experiences of disabled students in initial teacher education. Cambridge Journal of Education, 39(4), 457-472. Madriaga M. (2007). Enduring disablism: Students with dyslexia and their pathways into UK higher education and beyond. Disability & Society, 22, 399-412. Moriña A., Cortés M.D., Melero N. (2014). Inclusive curricula in Spanish higher education? Students with disabilities speak out. Disability & Society, 29(1), 44-57. Mpofu E., Wilson K.B. (2004). Opportunity structure and transition practices with students with disabilities: the role of family, culture, and community. Journal of Applied Rehabilitation Counseling, 35(2), 9-16. Mullins L., Preyde M. (2013). The lived experience of students with an invisible disability at a Canadian university. Disability & Society, 28(2), 147-160. Muttini C., Marchisio C. (2005). La qualità della didattica universitaria nei confronti del disabile. In C. Coggi (Ed.). Domande di qualità. Le istanze degli studenti universitari (pp. 231-248). Lecce: Pensa MultiMedia. OECD. (2011). Inclusion of Students with Disabilities in Tertiary Education and Employment: Education and Training Policy. Paris: OECD Publishing. Pavone M. (2014). Studenti con disabilità all’università: un cantiere in evoluzione. L’integrazione scolastica e sociale, 13(4), 317-320. Pavone M., Bellacicco R. (2016). University: a universe of study and independent living opportunities for students with disabilities. Goals and critical issues. Education Sciences & Society-Open Access Journal, 1, 101-120. Pudlas K.A. (2003). Inclusive educational practice: Perceptions of students and teachers. Exceptionality Canada, 13(1), 49-64. Riddell S., Weedon E. (2014). Disabled students in higher education: Discourses of disability and the negotiation of identity. International Journal of Educational Research, 63, 38-46. Sachs D., Schreuer N. (2011). Inclusion of Students with Disabilities in Higher Education: Performance and participation in student’s experiences. Disability Studies Quarterly, 31(2). Saito M. (2003). Amartya Sen’s Capability Approach to Education: A Critical Exploration. Journal of Philosophy of Education, 37(1), 17-33. Sen A.K. (1999). Development as Freedom. Oxford: OUP. Sen A.K. (2009). The idea of justice. Cambridge: The Belknap Press of Harvard University Press. Shevlin M., Kenny M., McNeela E. (2004). Participation in higher education for students with disabilities: an Irish perspective. Disability & Society, 19(1), 15-30. Striano M. (2013). Alta formazione e inclusione sociale. In P. Valerio, M. Striano, S. Oliverio (a cura di). Nessuno escluso. Formazione, inclusione sociale e cittadinanza attiva (pp. 3-17). Napoli: Liguori. Strnadová I., Hájková V., Květoňová L. (2015). Voices of university students with disabilities: inclusive education on the tertiary level–a reality or a distant dream?. International Journal of Inclusive Education, 19(10), 1080-1095. Swift A. (2003). How not to be a hypocrite: School choice for the morally perplexed parent. London: Routledge. Terzi L. (2007). Capability and educational equality: The just distribution of resources to students with disabilities and special educational needs. Journal of Philosophy of Education, 41(4), 757773. Terzi L. (2010). Justice and Equality in Education: A Capability Perspective on Disability and Special Educational Needs. Londra: Bloomsbury Academic. Unterhalter E., Brighouse H. (2007). Distribution of What for Social Justice in Education? The Case

Summer School Bressanone – Seconda parte


of Education for All by 2015? In M. Walker, E. Unterhalter (Eds.). Amartya Sen’s capability approach and social justice in education (pp. 67-86). New York: Palgrave Macmillan. Vedeler J.S., Mossige S. (2010). Pathways into the labour market for Norwegians with mobility disabilities. Scandinavian Journal of Disability Research, 12(4), 257-271. Vickerman P., Blundell M. (2010). Hearing the voices of disabled students in higher education. Disability & Society, 25(1), 21-32. Walker M. (2008). A human capabilities framework for evaluating student learning. Teaching in Higher Education, 13(4), 477-487. Zepke N., Leach L., Prebble T. (2006). Being learner centred: One way to improve student retention?. Studies in Higher Education, 31(5), 587-600.

Riferimenti normativi

Legge 5 febbraio 1992, n. 104 - Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate. Legge 28 gennaio 1999, n. 17 - Integrazione e modifica della legge-quadro 5 febbraio 1992, n. 104, per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate. Legge 3 marzo 2009, n. 18 - Ratifica ed esecuzione della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, con Protocollo opzionale, fatta a New York il 13 dicembre 2006 e istituzione dell’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità.

41

anno V | n. 2 | 2017

ROSA BELLACICCO



Competenza emotiva, strategie di coping e atteggiamenti inclusivi nella relazione insegnante/alunno ipovedente

© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2282-5061 (in press) ISSN 2282-6041 (on line)

The aim of this study was to analyze the teacher / blind pupil relationship and to identify the factors that can influence this relationship. Specifically, it was investigated the correlation between certain teacher individual factors (emotional intelligence, inclusive self-efficacy, attitude towards inclusive practices) and the quality of the relationship that teachers engaged in activities supporting visually impaired children, identifying any factors that predict the quality of this social interaction. Fifty teachers (16 M and 34F; age: M = 41.45; SD = 7.862) took part in the study; they were asked to fill in: socio-demographic schedule, SACIE-R (Forlin et al., 2011), TAIS (Monsen et al., 2015), TEIQue-SF (Petrides, Furnham, 2003), COPE (Sica et al., 2008) TEIP (Sharma et al, 2012), STRS (Fraire et al., 2008). By correlational analysis, significant relationships emerge between the different factors investigated. In particular, higher level of teacher emotional competence is related to lower propensity to interact in a hostile and aggressive way. While those who perceive the inclusion of disabled pupil as worrying and complicated are also those who most likely tend to define relationships in a more conflictual and dysfunctional way. Finally, the teacher who perceives himself competent in using inclusive strategies believes that the inclusive process does not involve major implications and upsets for the special needs children.The analysis of linear regression seems to confirm, moreover, the fundamental role of emotional competence and of the effectiveness level that teacher believes to possess in order to face the challenges of inclusion in determining the quality of interaction between teacher and special educational needs student. It is obvious that these factors intersect with the contextual ones, that is, with a whole series of system variables and important alliances to overcome prejudices and offer more and adequate support. Working with people with visual disabilities requires therefore a continuous and proactive training of all the caregivers, a training that teaches how to activate the students to work with their difference, but, at the same time, responds to the teacher's need to work on their own self-regulation ability, because only under these conditions the educational value of inclusion is to be understood both by the services and by the schools.

abstract

Patrizia Oliva (Università degli Studi di Messina / poliva@unime.it) Anna Maria Murdaca (Università degli Studi di Messina / amurdaca@unime.it)

Key-words: Emotional competence, coping strategies, inclusive attitudes, teacher/pupil relationship, special needs education

Summer School Bressanone P.Oliva ha contribuito alla definizione dei paradigmi teorici di riferimento, effettuato l’analisi dei dati e partecipato allo sviluppo dell’impianto progettuale e metodologico della ricerca; AM. Murdaca ha definito gli obiettivi della ricerca, contribuito alla progettazione dell’impianto metodologico e dell’analisi dei dati, oltre ad aver supervisionato lo studio.

Italian Journal of Special Education for Inclusion

anno V | n. 2 | 2017

43


44

L'attenzione per gli alunni disabili ormai presente all'interno dei contesti formativi internazionali diventa ancora più incisiva nell'ottica dell'inclusione (HarjusolaWebb, Hubbell, Bedesem, 2012). Ciò in quanto, gli alunni con disabilità inseriti in classe hanno l’opportunità di interagire con i loro coetanei e con gli insegnanti e migliorare le loro capacità comunicative e sociali, oltre che il livello di apprendimento. Balza subito agli occhi la necessità, da parte degli educatori, di allestire ambienti di apprendimento inclusivi, guidati dal principio fondamentale secondo cui tutti i bambini hanno diritto a partecipare al gruppo classe, a prescindere dal grado di difficoltà fisica e/o intellettiva che presentano. Il successo dell’inclusione dipenderà, pertanto, dal livello di sviluppo delle potenzialità della persona con disabilità ai fini dell’apprendimento, della comunicazione, delle relazioni, della socializzazione e dell’autonomia. Senza valutare, quindi, il grado di normalizzazione raggiunto dal soggetto disabile e la riduzione del gap che lo separa dai compagni “normali” (Booth, Ainscow, 2008). Risulta dunque evidente l’importanza di operazioni progettuali, che non comprendono più e solo attività assimilative del bambino con disabilità e, nello specifico del bambino ipovedente, nel contesto scolastico, bensì di attività finemente strutturate, di cambiamenti nell’ambiente fisico quale la classe e, per esempio, di un’adeguata formazione del personale docente, che a partire dall'autovalutazione delle proprie competenze individuali e dalle proprie percezioni circa la disabilità, lo renda maggiormente consapevole del senso da dare all'inclusione e quindi in grado di relazionarsi in maniera efficace con tutti gli alunni, senza esclusioni. Quanto su evidenziato cozza, però, con quanto avviene in molte realtà scolastiche dove ancora la relazione con gli alunni con disabilità disorienta e può generare nel docente sentimenti di paura e fragilità, nonché compassione/ evitamento o iperprotezione/intromissione (Cooper, Jacobs, 2011). Un tale atteggiamento può spingere l’insegnante a percepire gli alunni con bisogni educativi speciali come un problema da delegare prevalentemente al docente di sostegno e ad insegnare seguendo pratiche didattiche routiniere e non aderenti ai bisogni speciali che emergono nel contesto classe (Conway, 2010). A tal proposito, numerosi studi hanno evidenziato uno squilibrio considerevole tra gli atteggiamenti degli insegnanti curriculari e quelli dei docenti di sostegno. In pratica, questi ultimi si mostrano maggiormente inclini a creare classi inclusive, in cui l’alunno con difficoltà non è percepito come minaccia o ostacolo alla didattica (Ianes, Demo, Zambotti, 2010) a differenza di molti insegnanti curriculari ancora convinti che gli studenti con disabilità non possano ricevere un’istruzione adeguata in una classe inclusiva, che rischia di minacciare la loro autostima e ostacolare il percorso di apprendimento (Boyle, Topping, JindalSnape, 2013). Il processo di inclusione appare, quindi, impegnativo e problematico e richiede che il docente sia in grado di rispondere alla moltitudine di bisogni speciali che emergono dal contesto scolastico utilizzando strategie di coping e comportamenti finalizzati al controllo e alla gestione dello stress e del disagio che la relazione con la diversità implica. Un ambiente educativo realmente inclusivo richiede, infatti, agli insegnanti ampie capacità di management individuale e abilità nel guidare e istruire in modo adeguato i bambini con e senza disabilità, al fine di fornire loro, in egual modo, relazioni adeguate, incoraggiando comportamenti socialmente desiderabili. Soltanto a queste condizioni il processo di incluSummer School Bressanone – Seconda parte


sione può garantire opportunità di interazione autentica tra tutti gli alunni, fondate sulla cooperazione e l’aiuto reciproco (Harjusola-Webb, Hubbell , Bedesem, 2012; Guralnick, 2011). Una delle variabili fondamentali per il successo dei programmi inclusivi è l’atteggiamento che l’insegnante dimostra nei confronti dell’inclusione e, in particolare, della disabilità (Loreman, Sharma, Forlin, 2011), in quanto sia l’approccio didattico utilizzato sia il livello di apprendimento degli alunni sembrano risentire di tale predisposizione (Grieve, 2009). Studi dimostrano che proprio l’atteggiamento più o meno inclusivo degli insegnanti e il loro modo di percepire la disabilità rappresentano importanti predittori del successo del processo di inclusione (Ross-Hill, 2009). Un atteggiamento positivo sprona gli insegnanti ad assumersi maggiori responsabilità nella formazione degli studenti con bisogni educativi speciali e ad utilizzare strategie didattiche più efficaci in classe (Ernst, Rogers, 2009). Coloro i quali, invece, si sentono a disagio e impotenti nei confronti della disabilità, hanno atteggiamenti più negativi verso l’inclusione e possono incontrare maggiori difficoltà nell’interagire con gli studenti disabili e nel fornire loro le adeguate opportunità di apprendimento. Lo sguardo positivo e incoraggiante del docente rappresenta uno dei fattori più importanti nella determinazione e agevolazione dei processi inclusivi (Sze, 2009) e nell’utilizzo di strategie didattiche facilitanti lo scambio e la valorizzazione delle differenze (Forlin, 2010). È evidente che il sostegno che il docente riceve dal contesto scolastico funge da ulteriore facilitatore del processo inclusivo, e lo aiuta in molti casi ad affrontare le difficoltà che determinate tipologie di disabilità piuttosto gravi possono innescare nella pratica educativa. Infatti, sebbene i fattori individuali degli insegnanti abbiano un’importanza notevole per la loro influenza “speculare” in quanto agiscono direttamente e indirettamente sulla percezione che l’insegnante ha dell’alunno e su quella che l’alunno ha dell’insegnante (Murdaca, Oliva, Panarello, 2016), è indubbio che il processo inclusivo debba essere supportato non solo dagli insegnanti, ma da tutto il personale scolastico e dalle famiglie, che in sinergia potranno creare le condizioni necessarie per concretizzare un autentico processo inclusivo e allontanare il rischio di burnout nei docenti (Murdaca, Oliva, Nuzzaci, 2014).

1. Obiettivo della ricerca

Lo scopo generale della presente ricerca è, pertanto, analizzare la relazione insegnante/alunno ipovedente e individuare i fattori che possono influenzare tale relazione. Nello specifico, si vuole indagare se vi è una correlazione tra determinati fattori individuali dell’insegnante (intelligenza emotiva, autoefficacia inclusiva, atteggiamento nei confronti delle pratiche inclusive) e la qualità della relazione in docenti di sostegno impegnati in attività di supporto a bambini ipovedenti, individuando eventuali fattori predittivi della qualità dell’interazione docente/alunno ipovedente.

anno V | n. 2 | 2017

PATRIZIA OLIvA, ANNA MARIA MURDACA

45


2. Partecipanti

Hanno preso parte alla ricerca 50 docenti (16M e 34F; età: M= 41,45 ; SD= 7,862 ); nello specifico, si tratta di 16 maschi e 34 femmine, tutti impegnati in attività di sostegno rivolti a studenti ipovedenti di scuole di primo e secondo grado. La totalità del campione è di nazionalità italiana. La maggior parte di loro ha conseguito la laurea (90,4%), di cui il 63,7% in ambito umanistico.

3. Strumenti

Ai partecipanti è stato chiesto di compilare i seguenti questionari:

46

– Scheda socio-anagrafica – SACIE-R (Forlin, Earle, Loreman, Sharma, 2011). La scala SACIE-R (Sentiments, Attitudes, and Concerns about Inclusive Education Revised) nella sua versione originaria prevede 60 item. Per la ricerca è stata utilizzata la versione recentemente standardizzata in lingua italiana (Murdaca, Oliva, Costa, 2016). La versione rivisitata consta di 15 item e richiede risposte da articolare su una scala Likert pensata a 4 livelli per eliminare la risposta intermedia neutrale: 1 = Fortemente d’accordo, 2 = D’accordo, 3 = In disaccordo; 4= Fortemente in disaccordo. Il questionario si compone di 3 sottoscale: opinioni, atteggiamenti e preoccupazioni, che consentono di valutare le opinioni nei riguardi dell’interazione con persone con disabilità (Opinioni), l’accoglienza degli studenti con differenti bisogni (Atteggiamenti) e le preoccupazioni degli insegnanti circa l’educazione inclusiva (Preoccupazioni). – TAIS (Monsen, Ewing, Boyle, 2015) La scala TAIS (Teacher Attitudes Toward Inclusive Education Scale) originariamente era composta da 65 item. La scala utilizzata in questo studio ne prende in considerazione solo 20 a cui il soggetto è chiamato a rispondere graduando la sua risposta su una scala di risposta che va da 1 a 8. In cui 1 =molto d’accordo e 8= molto in disaccordo, gli altri sono sono i passi intermedi tra i due estremi ma non è previsto il passo centrale che consente in genere di mantenere una posizione di neutralità. La TAIS prevede 4 sottoscale: problemi di inclusione, svantaggi sociali, implicazioni nella pratica educativa, implicazioni per il bambino. Le domande inerenti i problemi di inclusione valutano le eventuali difficoltà incontrate nel processo di inclusione del soggetto con bisogni speciali. Le domande inerenti gli svantaggi sociali valutano gli effetti che l’inclusione può avere sulla classe. Le domande inerenti le implicazioni nella pratica educativa riguardano le possibili modifiche nelle strategie educative e didattiche richieste dall’inclusione. Per finire, le domande della sottoscala implicazioni per il bambino riguardano le eventuali conseguenze che la pratica educativa inclusiva può avere sui bambini con bisogni speciali. – TEIQue-SF (Petrides & Furnham, 2003) è un Questionario composto da 30 Item che richiede risposte da articolare su una Scala di risposta che va da 1 a 7 (in cui 1= totalmente disaccordo e 7= totalmente d’accordo); Questo test fornisce informazioni e indicazioni sulla consapevolezza della pro-

Summer School Bressanone – Seconda parte


pria intelligenza emotiva, fornendo una base per attività di sviluppo e di formazione. Comprende quattro categorie chiamate “fattori”: Benessere (inteso come Ottimismo e autostima) , Autocontrollo ( inteso come auto-regolazione emotiva e controllo dello stress), Emotività( come Empatia ed espressione delle emozioni) e Socialità( come la capacità di sentirsi a proprio agio in diversi contesti). Ma nella short form si preferisce utilizzare un solo punteggio totale. – COPE (Sica, Magni, Altoè, Sighinolfi, Chiri, Franceschini, 2008) costituisce un miglioramento della precedente versione italiana del COPE, misura sviluppata originariamente negli Stati Uniti. È composto da cinque grandi dimensioni sostanzialmente indipendenti: Strategie di evitamento (maggiormente correlate con il disagio emotivo), Attitudine positiva e Orientamento al problema (si associano a un minor disagio e maggior benessere), Orientamento trascendente e Sostegno sociale (che non correlano con il benessere psicologico). Nella sua versione finale, il questionario è costituito da 60 item. Il questionario chiede di valutare con quale frequenza il soggetto mette in atto nelle situazioni difficili o stressanti quel particolare processo di coping; le possibilità di risposta sono 4, da «di solito non lo faccio» a «lo faccio quasi sempre» – TEIP- (Sharma et al, 2012.) è progettato per misurare l’autoefficacia dell’insegnante ad applicare pratiche inclusive nel contesto educativo. Lo studio originale ha identificato tre fattori: l’Efficacia nell’uso dell’istruzione inclusiva (EII), l’efficacia della collaborazione (CE) e l’Efficacia nella gestione del comportamento (EMB). La versione somministrata comprende 18 Item le cui risposte si articolano da 1 a 6 ( dove 1= Fortemente in disaccordo, 2= Non concordo, 3= Abbastanza in disaccordo, 4= Concordo, 5= Abbastanza d’accordo ,6= Pienamente d’accordo); – STRS-Student –versione italiana (Fraire, Longobardi, Sclavo, 2008) è un questionario composto da 28 item le cui risposte si articolano su una scala Likert a 5 punti, (1= sicuramente non si adatta,2=non si adatta moto, 3=non saprei,4=qualche volta si adatta,5 =si adatta sicuramente 9) .La versione originaria è stata elaborata da R. Pianta in collaborazione con altri ricercatori della Università della virginia; il STRS si propone di valutare la qualità del rapporto insegnante-alunno, dal punto di vista dell’educatore, mantenendo una particolare attenzione alla prevenzione e la soluzione di tutte le questioni legate alla iter educativo. Ciascuno dei tre fattori che compongono la scala intende analizzare una particolare dimensione del rapporto insegnante-alunno: Conflitti (come sono percepiti dall’insegnante gli aspetti negativi del rapporto), vicinanza (ovvero gli aspetti positivi emozionali della relazione insegnantealunno, spesso fondati sulla fiducia reciproca), Dipendenza (inteso come il livello di dipendenza dell’allievo nei confronti dell’insegnante).

4. Risultati 4.1 Correlazioni

Dall’analisi correlazionale emergono relazioni significative tra i diversi fattori indagati. In particolare, più elevato è il livello di competenza emotiva degli insegnanti

anno V | n. 2 | 2017

PATRIZIA OLIvA, ANNA MARIA MURDACA

47


minore sarà la propensione a interagire in maniera ostile e aggressiva nei confronti del bambino con disabilità (r=,-334; p=,03), maggiore sarà la probabilità che percepiscano la relazione in termini di vicinanza (r=,437; p=,004) e di dipendenza (r=,650; p=,000). Mentre, coloro che percepiscono come preoccupante e complicata l’inclusione dei soggetti disabili sono anche quelli che molto probabilmente tendono a definire i rapporti in maniera più conflittuale e disfunzionale (r=,330; p=,03). Inoltre, sembra che più il docente è in grado, attraverso adeguate strategie, di fronteggiare situazioni stressanti e problematiche più dimostra di avere opinioni positive e accoglienti nei riguardi dell’interazione con persone con disabilità (r=,306; p=,049), non utilizzando alcuna conflittualità e aggressività (r=,-307; p=,048) e improntando la relazione sulla reciprocità e sulla dipendenza (r=,342; p=,026). Mentre, coloro che utilizzano principalmente strategie di evitamento del problema, percepiscono come maggiormente preoccupante l’eventuale inclusione di soggetti con disabilità in classe o gruppi di lavoro (r=,409; p=,007), preferendo modalità interattive conflittuali e ostili (r=,386; p=,012). Infine, più il docente si ritiene in grado di saper utilizzare strategie che favoriscono l’inclusione di tutti gli alunni nel gruppo classe, minori sembrano essere le sue preoccupazioni verso l’attuazione di programmi educativi inclusivi (r=,-429; p=,005) e più positivi e accoglienti si rivelano i suoi atteggiamenti verso la disabilità (r=,-461; p=,002). Inoltre, l’insegnante che si percepisce competente nell’utilizzo di strategie inclusive ritiene che il processo inclusivo non comporti grosse implicazioni e stravolgimenti per il bambino con bisogni speciali (r=,-340; p=,043) e tende a preferire stili relazionali scarsamente conflittuali (r=,-380; p=,013).

48

4.2 Regressioni

L’analisi della regressione lineare mostra che l’intelligenza emotiva nel suo complesso sembra essere significativa nel favorire una relazione insegnante/alunno ipovedente caratterizzata da vicinanza affettiva (β= 335, t = 2.261, p = .04), che in molti casi può sfociare in processi di dipendenza emotiva (β= .468, t = 4,327, p = .000). Tale tendenza del docente all’iperprotezione dell’alunno in difficoltà e a compensare i suoi deficit sembra sia anche rinforzata dall’autoefficacia inclusiva del docente stesso, cioè da quanto egli si percepisce capace e competente nel realizzare autentici processi inclusivi all’interno della classe in cui opera (β= .296, t = 2,147, p = .042). L’impatto di un atteggiamento inclusivo positivo, che non considera problematico e rischioso l’inserimento di soggetti con disabilità nella routine scolastica, è anch’esso significativo per lo sviluppo di relazioni insegnante/alunno ipovedente improntate sulla prossimità/dipendenza (β= .293, t = 2,571, p = .01). Spesso, però, la predisposizione del docente ad avviare percorsi inclusivi e a interagire efficacemente con il bambino in difficoltà, non viene supportata da adeguate capacità individuali; i risultati, in tal senso, indicano un uso disfunzionale delle abilità di coping necessarie a fronteggiare le richieste che determinate disabilità impongono. Infatti, strategie di fronteggiamento non adeguate sembrano influenzare negativamente la relazione alunno/docente, in quanto proprio la scarsa capacità di resistere allo stress o ricorrere a strategie poco funzionali innesca conflittualità e senso di inadeguatezza nelle dinamiche relazionali (β= .293, t = 2,571, p = .016). Summer School Bressanone – Seconda parte


5. Conclusioni

La ricerca ha evidenziato risultati significativi che forniscono informazioni specifiche sul ruolo dell’intelligenza emotiva e delle strategie di coping nei confronti della percezione dell’inclusione, dell’auto-efficacia inclusiva e della qualità della relazione alunno-insegnante. In sintesi, i risultati confermano il ruolo fondamentale della competenza emotiva e del livello di efficacia che il docente ritiene di possedere per far fronte alle sfide dell’inclusione nel determinare la qualità dell’interazione insegnante/alunno con bisogni educativi speciali. È stato evidenziato infatti che gli insegnanti che hanno difficoltà a fronteggiare adeguatamente lo stress, percepiscono negativamente l’educazione inclusiva e valutano la relazione che li lega all’alunno disabile come conflittuale. Sembrerebbe quindi necessario lavorare sulla capacità di gestione dello stress del docente e attivare corsi di formazione, al fine di migliorare l’atteggiamento nei confronti dell’inclusione. Atteggiamenti maggiormente positivi verso l’educazione inclusiva sono difatti presenti negli insegnanti in grado di utilizzare strategie di coping attive di fronte alle difficoltà e che instaurano con l’alunno un rapporto di vicinanza, basato sulla fiducia reciproca e su una comunicazione soddisfacente, come è stato dimostrato anche dalla letteratura (Ernst, Roger, 2009). L’efficacia inclusiva è un importante fattore per la creazione di ambienti inclusivi di successo: il senso di auto-efficacia predice gli atteggiamenti degli insegnanti (Weisel, Dror, 2006). Anche in questo caso, i dati confermano che l’autoefficacia inclusiva è un elemento necessario affinché l’insegnante riesca ad affrontare attivamente lo stress che potrebbe sorgere in seguito alle particolari attenzioni richieste dall’alunno disabile. È ovvio che tali fattori si intersecano con quelli contestuali, ossia con tutta una serie di variabili di sistema e di alleanze importanti per abbattere i pregiudizi e offrire maggiori e adeguati sostegni. Lavorare con i soggetti con disabilità visiva richiede quindi una formazione continua e proattiva di tutti i caregiver, una formazione che insegni loro come attivare gli studenti a lavorare con la loro differenza, ma, al contempo, risponda al bisogno del docente di lavorare sulle proprie capacità di autoregolazione, perchè solo a queste condizioni la valenza educativa dell’inclusione può essere compresa sia dai servizi sia dalle scuole (Jordan, Schwartz, Mcghie-Richmond, 2009). Nonostante la ricerca abbia fornito spunti di riflessione interessanti e utili per approfondire tematiche così rilevanti, presenta tuttavia alcune limitazioni che bisogna prendere in considerazione allorquando si leggono e interpretano i risultati. Innanzitutto, la dimensione del campione è relativamente piccola e non rispecchia di conseguenza l’eterogeneità della popolazione degli studenti con disabilità e dei docenti. Ulteriori studi sono necessari quindi per determinare il peso dei fattori presi in esame sulla qualità della relazione docente/alunno disabile anche in presenza di variabili di disturbo altrettanto impattanti. Infine, sarebbe interessante indagare se le relazioni emerse tra i fattori presi in esame si confermano anche valutando tipologie di disabilità differenti e mettendo a confronto categorie di docenti differenti (sostegno vs curriculari). Studi futuri potrebbero includere, inoltre, accanto a misure indirette e selfanno V | n. 2 | 2017

PATRIZIA OLIvA, ANNA MARIA MURDACA

49


reported, misure più dirette del comportamento (ad esempio, osservazioni delle interazioni in classe) per aumentare ulteriormente la validità della ricerca. Sarebbe auspicabile infine prevedere studi longitudinali per valutare l’impatto a lungo termine delle variabili individuali connesse all’insegnante sulla qualità dei processi inclusivi e sulle dinamiche relazionali e come tale effetto varia nel tempo. Un altro aspetto che la ricerca futura dovrebbe tenere in considerazione è la possibilità di utilizzare un’analisi qualitativa dei dati da affiancare a metodi quantitativi; l’uso di disegni mixed methods favorirebbe, difatti, una maggiore comprensione dei meccanismi che sottostanno la psicodinamica delle relazioni docente/alunno disabile.

Riferimenti bibliografici

50

Booth T., Ainscow M. (2002). Index for Inclusion: developing learning and participation in schools. Bristol: CSIE (ed. it., L’index per l’inclusione, Erickson, Trento 2008). Boyle C., Topping K., Jindal-Snape D. (2013). Teachers’ Attitudes Towards Inclusion in High Schools. Teachers and Teaching: Theory and Practice, 19(5), 527-542. Conway R. (2010). Engaging teachers in supporting student behaviour change. In C. Forlin (Ed.), Teacher education for inclusion: Changing paradigms and innovative approaches (pp. 172179). London: Routledge. Cooper P., Jacobs B. (2011). Evidence of best practice models and out-comes in the education of children with emotional disturbance/behavioural dif-ficulties: An international review. Trim, Ireland: National Council for Special Education. Ernst C., Rogers M.R. (2009). Development of the inclusion attitude scale for high school teachers. Journal of Applied School Psychology, 25, 305-322. Forlin C. (2010). Reframing teacher education for inclusion. In C. Forlin (Ed.), Teacher education for inclusion: Changing paradigms and innova-tive approaches (pp. 3-10). Abingdon: Routledge. Forlin C., Earle C., Loreman T., Sharma U. (2011). The Sentiments, Attitudes andConcerns about Inclusive Education Revised (SACIE-R) scale formeasuring teachers’perceptions about inclusion. Exceptionality Education International, 21(3), 50-65. Grieve A.M. (2009). Teachers’ beliefs about inappropriate behaviour: challenging attitudes?. Journal of Research in Special Educational Needs, 9, 173-179. Guralnik M.J. (201l). Agenda for change: Early childhood inclusion. In M. Guralnick (Ed.), Early childhood inclusion: Focus on change (pp. 3-35). Baltimore, MD: Brookes. Harjusola-Webb S., Hubbell S.P., Bedesem P. (2012). Increasing prosocial behaviors of young children with disabilities in inclusive settings using a combination of peer-medicated intervention and social narratives. Beyond Behavior, 2(1), 29-36. Ianes D., Demo H., Zambotti F. (2010). Gli insegnanti e l’integrazione: atteggiamenti, opinioni e pratiche. Trento: Erickson. Jordan A., Schwartz E., McGhie-Richmond D. (2009). Preparing teachers for inclusive classrooms. Teaching and Teacher Education, 25(4), 535-542. Loreman T., Sharma U., Forlin C. (2011). Measuring teacher efficacy to implement inclusive practices. Journal of Research in Special Educational Needs, 12, 12-21. Murdaca A.M., Oliva P., Costa S. (Published online: 20 Dec 2016). Evaluating the perception of disability and the inclusive education of teachers: The Italian validation of the Sacie-R (Sentiments, Attitudes, and Concerns about Inclusive Education - Revised Scale) European Journal of Special Needs Education, DOI: 10.1080/08856257.2016.1267944. Murdaca A.M., Oliva P., Nuzzaci A. (2014). Fattori individuali e contestuali del burnout: una ricerca descrittiva sugli insegnanti curricolari e di sostegno. Giornale Italiano della Ricerca Educativa, VII, 12, 99-120. ISSN 2038-9736. Murdaca A.M., Oliva P., Panarello P. (2016). L’insegnante inclusivo: fattori individuali, percezione della disabilità e strategie didattiche / The teacher including: individual factors, perception of

Summer School Bressanone – Seconda parte


disability and teaching strategies. Formazione & Insegnamento, XIV, 3, ISSN 1973-4778 print – 2279-7505 on line doi: 107346/-fei-XIV-03-16_19 © Pensa MultiMedia. Ross-Hill R. (2009). Teacher attitude towards inclusion practices and special needs students. Journal of Research in Special Educational Needs, 9, 188-198. Sze S. (2009). A literature review: Pre-service teachers’ attitudes toward students with disabilities. Education, 130, 53-56. Weisel A., Dror O. (2006). School climate, sense of efficacy and Israeli teachers’ attitudes toward inclusion of students with special needs. Education, Citizenship and Social Justice, 1, 157-174.

51

anno V | n. 2 | 2017

PATRIZIA OLIvA, ANNA MARIA MURDACA



Inclusione scolastica ed educazione socio emotiva: risultati di una ricerca europea

Key-words: social emotional learning, school inclusion, evidence – based education, European research, primary school

Summer School Bressanone

Italian Journal of Special Education for Inclusion

anno V | n. 2 | 2017

© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2282-5061 (in press) ISSN 2282-6041 (on line)

The article introduces the results obtained through the use of the first version of the assessment tool “Inclusive Process Assessment Scale”, developed by University of Perugia and University of Udine within the European project European Assessment Protocol for Children’s SEL Skills (EAP_SEL) which ended in 2016. The project has seen the involvement of 5 European countries: Italy, Switzerland, Slovenia, Sweden, Croatia. Main focus of the evidence-based research was assessing the effectiveness of implementing social and emotional learning programs in different primary school contexts across Europe. The Italian partner also focused on assessing the impact of social emotional learning on the inclusive process promoted by Italian primary schools, while at the same time assessing its quality as well. The results gathered from this first version of the Scale, in addition to showing the efficacy of the intervention, provided a series of causes for reflection on the connection between social and emotional learning and inclusion in the Italian school context, thus inviting to further research in the field.

abstract

Alessia Signorelli (Università degli Studi di Perugia / alessia.signorelli@gmail.com)

53


Introduzione

La pubblicazione da parte del World Economic Forum (WEF) nel 2016 del documento New Vision for Education: Fostering Social and Emotional Learning through Technology ha evidenziato in maniera esplicita la necessità di porre al centro del discorso educativo l’acquisizione da parte dei giovani (in modo particolare da parte dei più piccoli) di competenze sociali e emotive (social –emotional skills). Nel documento si fa riferimento al fatto che lo sviluppo di queste competenze tramite l’educazione socio-emotiva (Social and Emotional Learning – SEL) non si limiti semplicemente a dotare i bambini e i giovani di capacità intra e interpersonali fini a se stesse, ma rivesta un ruolo molto più importante: Consider a classroom in which group work focuses not only on mastering academic material but also on how well students collaborate and communicate with one another. These skills are imperative for today’s youngest generations, who require a wide-ranging set of social and emotional abilities to prepare them for the demands of a rapidly changing workplace, position them to achieve better academic outcomes and equip them to contribute to society (WEF, 2016, p. 6).

54

Kaltner e Haidt (1999), nel loro contributo circa le funzioni sociali rivestite dalle emozioni a livello intrapersonale, diadico, di gruppo e culturale, affermano che: “Emotions inform people about social events and prepare their bodies and minds for action. Emotions co-ordinate social interactions [...] help individuals define their identities and play their roles within groups, and […] mark or strengthen boundaries between groups. Finally, emotions simultaneously create and are shaped by cultural practices and symbol systems” (p. 514). L’educazione socio-emotiva può essere definita come quel processo attraverso il quale bambini e adulti acquisiscono e mettono in pratica competenze, atteggiamenti e conoscenze tali da capire e gestire le proprie emozioni, comprendere il punto di vista altrui, fissare obiettivi, mostrare empatia, stabilire e mantenere relazioni sane e soddisfacenti e saper prendere decisioni responsabili (CASEL, 1997). L’educazione socio – emotiva, considerata da Connolly et al. (2016) come un termine ‘ombrello’ che comprende una varietà di obiettivi e capacità, ha come obiettivo principale l’acquisizione di determinate competenze raggruppate in cinque aree chiave (Cefai & Cavioni, 2014): autoconsapevolezza (self-awareness), autogestione (self-management), consapevolezza sociale (social awareness), capacità relazionali (relationships skills), e la capacità di prendere decisioni responsabili (responsible decision making) (CASEL, 2003, 2004, 2015; Cefai & Cavioni, 2014; Connolly et al., 2016, Durlak et al, 2011; Morganti & Signorelli, 2016; Oberle et al., 2016; Weissberg, Goren, Domitrovich, & Dusenbury, 2013). Svariati studi nel campo della psicologia dello sviluppo hanno evidenziato come, generalmente, lo sviluppo sociale e emotivo nei bambini cominci sin dalla nascita per poi continuare durante tutto l’arco dell’infanzia, attraverso risposte di tipo adattivo o maladattivo a determinate emozioni primarie quali rabbia, paura, fame; con il crescere dei bambini, cresce anche la loro capacità di identi-

Summer School Bressanone – Seconda parte


ficare le emozioni e di utilizzarle per comprendere la molteplicità di prospettive diverse dalle loro che possono incontrare nella loro vita di tutti i giorni, cominciando così a mettere in atto processi di empatia e comprensione dell’altro (Decety, 2015, Connolly et al., 2016). Un ruolo decisivo è svolto dagli adulti di riferimento, adulti che siano competenti: “[...]in the development of socio-emotional skills and capabilities [...]and adults can greatly impact the way children react to situations, and the rate at which they progress emotionally and socially.” (Connolly et al., 2016, p. 2). Tra questi adulti di riferimento che siano in grado di supportare lo sviluppo sociale e emotivo dei bambini non possono non rientrare gli insegnanti, proprio perché la scuola diventa – dopo la famiglia – la seconda comunità, nella quale si sviluppano attitudini, capacità e competenze. Schonfeld et al. (2015) ribadiscono come l’apprendimento, in modo particolare per i bambini, avvenga in un contesto sociale e come le loro abilità sociali e emotive li aiutino non solo da un punto di vista personale e relazionale, ma anche da quello scolastico e proprio per questo evidenziano l’importanza dell’introduzione di un curriculum SEL che sia in grado di dialogare e integrarsi con quello ‘classico’ delle discipline andando a formare un corpo unico di competenze emotive, sociali, prosociali e scolastiche che si intreccino e supportino reciprocamente. La scuola nel mondo di oggi, dunque, non può più limitarsi a formare gli studenti dal solo punto di vista delle conoscenze relative alle materie insegnate, ma deve impegnarsi a formare dei cittadini, delle persone che siano in grado di: “[...] interact in socially skilled and respectful ways; to practice positive, safe, and healthy behaviors; to contribute ethically and responsibly to their peer group, family, school, and community; and to possess basic competencies, work habits, and values as a foundation for meaningful employment and engaged citizenship” (Greenberg et al., 2003, p. 465). In altre parole la scuola deve fornire una varietà di competenze trasversali che ‘abbraccino’ tutta la persona nella sua completezza: intellettuale, emotiva, sociale e personale.

1. Programmi di educazione socio-emotiva: caratteristiche e implementazione

Il CASEL (Collective for Academic, Social and Emotional Learning) fondato a Chicago nella metà degli anni ’90 rappresenta il punto di riferimento per quanto riguarda la ricerca e lo sviluppo nel campo dell’educazione socio-emotiva (Morganti & Signorelli, 2016); attraverso la pubblicazione di due guide, una nel 2013 (Effective Social and Emotional Learning programs preschool and Elementary School Edition) e una nel 2015 (Middle and High School Edition), ha fornito delle linee guida per l’individuazione e l’implementazione di programmi di educazione socio-emotiva sviluppati nel corso degli anni da diversi studiosi in ambito statunitense, dove l’educazione socio-emotiva ha trovato un terreno di sviluppo molto fertile. I programmi SEL sono strutturati secondo l’acronimo SAFE, ossia: sequenced (le attività previste dal programma sono graduali e coordinate in maniera siste-

anno V | n. 2 | 2017

ALESSIA SIGNOrELLI

55


matica e organica, così da favorire un’acquisizione ottimale delle competenze target); active (il coinvolgimento di insegnanti e studenti nel processo di acquisizione e rinforzo delle cinque competenze chiave è attivo e concreto); focused (il programma si focalizza in maniera sistematica sull’acquisizione e sviluppo delle competenze chiave); explicit (è reso chiaro fin da subito che l’attenzione del programma e l’obiettivo finale delle attività presentate è quello dell’acquisizione delle cinque competenze chiave). Inoltre, il CASEL, in particolare nella prima delle due guide, quella rivolta alla scuola dell’infanzia e alla scuola primaria, afferma che un programma SEL, per poter diventare un CASEL SELect Program deve: “[...] - essere ben progettato e promuovere in modo sistematico le cinque competenze chiave SEL;

56

– fornire opportunità per la pratica educativa; – offrire una programmazione a lungo termine; – fornire una formazione di qualità a tutto il personale della scuola coinvolto, compresa la formazione iniziale ed il supporto continuo per garantire la corretta attuazione delle attività; – basarsi sulle evidenze, prove che documentino gli impatti positivi sul comportamento degli studenti e / o il loro rendimento scolastico; – includere nella ricerca un gruppo di controllo, oltre a quello sperimentale e misurazioni pre-post dei traguardi attesi; – integrare pienamente i contenuti dell’educazione socio-emotiva con quelli curriculari.” (Morganti & Signorelli, 2016, p.126)

Una caratteristica fondamentale dei programmi di educazione socio-emotiva è il loro essere evidence – based, ossia basati su evidenze ottenute dalla ricerca che siano in grado di provarne e documentarne l’efficacia. L’evidence – based education (EBE) il cui concetto di base venne introdotta da David Hargreaves nel 1996 – il quale contestava alla ricerca in ambito educativo la mancanza di un taglio più ‘scientifico’, paragonando la professione dell’insegnante a quella del medico – fa riferimento all’idea per cui le decisioni in ambito educativo e didattico debbano essere prese e giustificate sulla base di quanto offerto dalla ricerca sull’efficacia o meno di determinate pratiche didattiche (Vivanet, 2013; Cottini & Morganti, 2013; 2015); questo è il primo passo da compiere, l’insegnante deve poi essere in grado di trasformare quanto offerto dalla ricerca in azioni concrete e rilevanti per la propria classe in maniera sistematica e rigorosa senza però cadere in un neopositivismo semplicistico che rischierebbe di essere controproducente (Calvani & Vivanet, 2014; Blundell & Berardi, 2016; Morganti & Signorelli, 2016). È possibile rintracciare due approcci principali all’EBE: uno più rigido, che prevede l’utilizzo di disegni di ricerca di tipo rCT (randomized control trial)1 (Slavin, 1

Il disegno di ricerca rCT prevede la selezione di due gruppi campione, un gruppo intervento al quale viene somministrato il trattamento e un gruppo controllo al quale non è somministrato alcun trattamento. I soggetti che vanno a comporre i due campioni vengono assegnati in maniera random, ossia casuale, al gruppo intervento o a quello controllo – pur presentando, entrambi, alcune caratteristiche tali da poter rendere possibile la comparazione finale dei risultati; alla fine

Summer School Bressanone – Seconda parte


2004; 2008) e un altro invece più ‘flessibile’(Oakley et al., 2005) che prevede l’utilizzo di disegni di ricerca di tipo quantitativo e qualitativo; quest’ultimo modo di “fare” ricerca evidence – based sembra rispondere in maniera più efficace alle esigenze presentate dalla ricerca in ambito pedagogico e didattico, in modo particolare per quanto riguarda la ricerca che si occupa di inclusione scolastica (Cottini & Morganti, 2013; 2015).

La necessità di progettare programmi di educazione socio-emotiva nasce proprio dalla natura della stessa che necessita di un approccio sistematico e continuativo nel tempo affinché possano riscontrarsi dei risultati. L’importante meta-analisi condotta da Durlak et al. (2011) ha individuato 213 programmi SEL evidence – based con un campione totale di 270.034 studenti coinvolti (dalla scuola dell’infanzia alla scuola secondaria di secondo grado). I dati raccolti dalla meta-analisi mostravano degli incrementi in punti percentile (p.p.) nelle seguenti aree: abilità sociali e emotive (+22 p.p.); comportamenti sociali positivi (+9 p.p.), risultati scolastici (+11 p.p.). Domitrovich et al. (2010) evidenziano una vasta quantità di ricerche circa gli effetti positivi di questi programmi sullo sviluppo positivo di bambini e giovani e nella prevenzione dell'abuso di sostanze stupefacenti e alcolici, dei comportamenti aggressivi e problematici e dei problemi di salute mentale. Diversi ricercatori nel campo dell’educazione socio-emotiva inoltre hanno sottolineato proprio l’aspetto legato all’apprendimento (learning) di questo framework (Connelly et al., 2016; Oberle et al. 2016): “Focusing on learning implies that social and emotional competences can be acquired, practiced, enhanced, improved and fostered in all children [...] Social and emotional competences are most effectively taught in supportive, caring and well-managed learning environments, in which cooperation and mutual respect are the cultural norm.” (Oberle et al., 2016, p.7). Le competenze sociali e emotive, quindi, possono essere apprese da tutti i bambini ma, affinché questo apprendimento sia efficace, sono necessarie la sinergia di intenti e obiettivi tra insegnanti e allievi e la qualità dell’implementazione dei programmi SEL. Esistono diverse posizioni circa gli elementi che dovrebbero essere presi in considerazione quando si va a valutare la qualità di un programma SEL, che vanno dalla capacità di adattare il contenuto alla situazione della classe – dunque rendendo più ‘morbida’ l’idea di fedeltà al programma (Greenberg et al., 2005; Durlak & DuPree, 2008; Humphrey, 2013), al modo in cui questi programmi vengono adattati (Wigelsworth et al., 2010). reyes et al. (2012) analizzando tre aspetti, training degli insegnanti, dosaggio (ossia la quantità di lezioni condotte dagli insegnanti) e qualità dell’implementazione (atteggiamenti degli insegnanti e modo di somministrare le attività), sono giunti alla conclusione che, per ottenere dei risultati apprezzabili negli allievi,

della sperimentazione, tramite l’analisi dei dati raccolti, si stabilisce l’efficacia o meno dell’intervento posto in essere, paragonando tra loro i risultati ottenuti dai due gruppi.

anno V | n. 2 | 2017

ALESSIA SIGNOrELLI

57


non basta semplicemente ‘fare’ attività SEL; queste vanno poste in atto con frequenza e devono essere di qualità – l’insegnante deve credere in quello che fa e avere un atteggiamento propositivo e coinvolgente. Domitrovich et al. (2011), invece, individuano due fattori essenziali per la qualità dell’implementazione dei programmi SEL: la fedeltà al programma (ossia l’aderenza da parte degli insegnanti con la quale vengono replicate le attività proposte in modo tale da raggiungere i risultati attesi) e il dosaggio temporale (che si riferisce alla sistematicità temporale con la quale vengono realizzate le attività proposte dal programma). Quel che emerge da quanto affrontato fin qui è che affinché un programma SEL si dimostri efficace in termini di apprendimento, interiorizzazione e messa in atto – da parte degli allievi, ma anche degli insegnanti – delle cinque competenze chiave, è necessario operare interventi sistematici, che non siano ‘calati dall’alto’ o affrontati in maniera passiva né da insegnanti né dagli allievi ma che siano coinvolgenti, dinamici e significativi.

2. Che rapporto tra educazione socio-emotiva e inclusione? I risultati delle scuole primarie italiane nel progetto European Assessment Protocol for Children’s SEL Skills (EAP_SEL)

58

Fin qui abbiamo dedicato uno spazio – per quanto breve– alle azioni ‘tangibili’ e concrete che riguardano l’educazione socio-emotiva e la sua implementazione; esistono però degli aspetti indiretti e sottintesi i quali non sono certo di minore importanza e le cui ricadute rappresentano un ulteriore elemento fondamentale a favore dell’integrazione di programmi SEL all’interno della scuola. In modo particolare, nel momento in cui i bambini diventano consapevoli delle proprie emozioni: “[...] riescono meglio a capire e interpretare i loro impulsi e comportamenti, impedendo che questi degenerino in forme negative e non adeguate al contesto.” (Morganti & Bocci, 2017, p. 41). Esiste una vasta letteratura nel campo degli effetti positivi dei programmi SEL sugli outcomes comportamentali in quei bambini e ragazzi che ne sono stati esposti in maniera sistematica (Schonert – reichl et al., 2015; Schonert-reichl & Hymel, 2007) la quale evidenzia come una classe (o una scuola) SEL presentino un clima accogliente “[...] in cui gli allievi si sentono rispettati, valorizzati, autonomi di scegliere, in altre parole diventano il fulcro su cui ruota l’intero progetto educativo e formativo.” (Morganti & Bocci, 2017, p. 65). Questo clima, di conseguenza, sembrerebbe essere un terreno fertile per promuovere o migliorare l’inclusione scolastica. Il dialogo tra SEL e inclusione si presenta come un campo di ricerca ancora in divenire e in ampliamento poiché la maggioranza delle ricerche sugli effetti del SEL sono state svolte e vengono svolte prevalentemente in ambito statunitense, il cui sistema scolastico presenta nella sua organizzazione delle differenze con quello europeo, che a sua volta si presenta altrettanto variegato in termini di approccio all’inclusione rispetto al sistema scolastico italiano. Inoltre, ci si chiede se sia possibile replicare e come nel nostro sistema l’imSummer School Bressanone – Seconda parte


plementazione di programmi SEL pensati per quello statunitense, considerando inoltre il fatto che nella scuola italiana non vengono utilizzati, se non in casi del tutto eccezionali e per lo più afferenti a azioni progettuali specifiche ma limitate “[...] programmi educativi finalizzati all’acquisizione di competenze specifiche da parte degli allievi.” (Morganti & Signorelli, 2016, p. 128). Il rapporto tra inclusione e educazione socio-emotiva, o meglio, la possibile influenza che un programma di educazione socio-emotiva può avere sulla qualità dell’inclusione scolastica nel sistema educativo italiano, è stata una parte integrante del progetto di ricerca (2012-2016) europeo European Assessment Protocol for Children’s SEL Skills (EAP_SEL)2. Il progetto, formato da una partnership che ha visto il coinvolgimento di cinque paesi: Italia, Svezia, Svizzera, Croazia e Slovenia, presentava due elementi innovativi principali: 1) si è trattato del primo tentativo di implementare un programma SEL evidence – based nelle scuole primarie pubbliche dei paesi coinvolti; 2) si è cercato per la prima volta di creare e validare un protocollo europeo per la valutazione delle competenze sociali e emotive degli allievi di scuola primaria e il loro impatto sui processi inclusivi.

Il programma utilizzato in Italia è Promoting Alternative Thinking Strategies (PATHS®), un curriculum universale SEL creato a partire dagli anni ’80 da un team di ricercatori afferenti alla Penn State University, negli Stati Uniti e rivolto a educatori, insegnanti e consulenti educativi (Kusché & Greenberg, 1994; Greenberg at al., 2005); il PATHS® è uno dei curriculum SEL di maggior successo (Novak et al., 2016) ed è tra i più utilizzati, con 3000 classi di scuola primaria negli Stati Uniti e 500 scuole in altri paesi, tra cui il Medio Oriente, l’Asia e l’Australia (Fishbein et al., 2016). Il curriculum prevede un’implementazione che va da due o più volte alla settimana, dai 20 ai 30 minuti. Esistono numerose evidenze circa l’efficacia del PATHS® per quanto riguarda il miglioramento da parte dei bambini nella comprensione delle proprie emozioni, nell’autocontrollo, nelle competenze sociali e nella riduzione problemi di comportamento e aggressività (Conduct Problems Prevention research Group, 2010; Greenberg, Kusché, Cook, & Quamma, 1995; Fishbein et al., 2016; Morganti & Signorelli, 2016; Novak et al., 2016). risale al 2011 una versione aggiornata del curriculum PATHS® che presenta due kit, uno per la scuola dell’infanzia e uno per la scuola primaria (dalla 1^ alla 5^) (Morganti & Signorelli, 2016). L’approccio di ricerca del progetto EAP_SEL è stato di tipo evidence – based e si è fatto ricorso a un disegno rCT: in ciascun paese partner sono state selezionate 10 2

Progetto triennale Comenius (2012-2015) dal titolo: “European Assessment Protocol for Children’s SEL Skills” – ref.n. 527206 –LLP –2012 – IT, finanziato della Commissione europea nell’ambito del programma LifeLong Learning Programme. Partnership: Università di Perugia (Coordinatore), Università di Udine, Scuola Professionale della Svizzera Italiana (SUPSI), Università di Örebro (Svezia), Università di Zagabria (Croazia), Università di Lubiana (Slovenia). Sito web ufficiale: www.eap-sel.eu

anno V | n. 2 | 2017

ALESSIA SIGNOrELLI

59


classi prime di scuola primaria dove è stato condotto l’intervento SEL ed altre 10 classi prime di scuola primaria con la funzione di classi di controllo, dove non sono stati condotti interventi SEL. La selezione delle classi è avvenuta attraverso la rispondenza a criteri specifici che sono stati condivisi a livello di partneriato in modo da rendere i risultati finali confrontabili. Poiché il focus del partner italiano era quello di verificare l’incidenza dell’educazione socio-emotiva sull’inclusione scolastica, un criterio di selezione delle classi del campione italiano è stata la presenza di alunni con disabilità certificata e disturbi specifici dell’apprendimento (DSA), che nell’ordinamento italiano possono essere certificati e quindi usufruire di “[...]alcune azioni di supporto regolate da particolari disposizioni di legge (Legge 517/1977 e Legge 104/1992 per la disabilità; Legge 170/2010 per i DSA; Direttiva Ministeriale del 2012 per i BES).” (Morganti & Signorelli, 2016, p. 130). Per quanto riguarda l’Italia, sono stati selezionati 7 istituti scolastici (5 istituti comprensivi e 2 direzioni didattiche) nella provincia umbra di Terni. Il campione italiano dei bambini coinvolti (sia nelle classi sperimentali che in quelle controllo) era di 204, di cui 109 maschi e 95 femmine ed è risultato il più ampio di tutta la partnership; gli insegnanti coinvolti nelle classi sperimentali sono stati in tutto 45, tutte di sesso femminile, di età compresa tra i 30 e i 60 anni (questa fascia maggiormente rappresentata, con il 63% del campione di età compresa tra i 50 e i 60 anni). Anche nel caso del campione degli insegnanti coinvolti, quello italiano è risultato essere il più ampio dell’intero partenariato.

60

3. La ricerca italiana all’interno del progetto EAP_SEL

Come illustrato in precedenza, focus della ricerca italiana all’interno del progetto EAP_SEL è stato il rapporto tra educazione socio-emotiva e inclusione scolastica. Questo ha condotto alla formulazione di due domande di ricerca, “in che modo l’educazione socio-emotiva può influenzare i processi inclusivi promossi dalle istituzioni scolastiche?” e “come valutarla”? Queste due domande hanno portato alla progettazione e alla creazione di una “Scala di Valutazione dei Processi Inclusivi”, sviluppata dai due partner italiani (Università di Udine e Università di Perugia), che “[...]si pone come uno strumento valutativo e autovalutativo utile a consentire da un lato, la realizzazione di specifiche forme di misurazione e, dall’altro, la promozione di processi di riflessione sugli indicatori di qualità dell’educazione inclusiva, per contribuire alla progettazione e alla regolazione in itinere del progetto educativo della scuola e della classe.” (Cottini et al., 2016). Si tratta di una ‘prima’ versione della scala in seguito sottoposta a ulteriore validazione e affinamento ed utilizzata, nella sua nuova forma in un altro progetto di ricerca europeo, Erasmus Plus “Evidence Based Education: European Strategic Model for School Inclusion” (2014-2017)3. 3

Progetto europeo Erasmus Plus dal titolo: “Evidence Based Education: European Strategic Model for School Inclusion” (2014-2017) ref. No. 2014-1-IT02-KA201-003578. Partnership: Università di Perugia (Coordinatore), Università di Udine, Università Autonoma di Barcellona, Open University of the Netherlands, Università di Zagabria, Università di Lubiana. Sito web ufficiale: inclusive-education.net

Summer School Bressanone – Seconda parte


Questa prima versione è stata costruita partendo dall’Index for Inclusion (Booth & Ainscow, 2002; 2011) e considerando i tre fattori principali che concorrono a creare il costrutto di inclusione scolastica: 1) Creare culture inclusive; 2) produrre politiche inclusive; 3) sviluppare pratiche inclusive. Partendo da questi tre fattori, si è proseguito con la “[...] scelta e la definizione degli item relativi a ciascuna delle tre dimensioni dell’inclusione, selezionandoli sulla base di quelli ritenuti maggiormente significativi per il modello scolastico italiano. Ne è scaturito uno strumento che presentava dieci domande per ogni dimensione, associate a cinque indicatori di risposta. La valutazione prevedeva un’organizzazione dei punteggi su una scala a tre livelli” (Cottini et al., 2016, p. 69). I punteggi in questa prima fase erano: 0 la situazione descritta non si verifica mai o con una frequenza sporadica o coinvolge soltanto poche persone; 1 la situazione descritta si verifica frequentemente o coinvolge la maggior parte di persone; 2 la situazione descritta si verifica sempre o quasi o coinvolge la totalità delle persone, come esemplificato nelle Figure 1, 2, 3.

61

Fig. 1: Esempio di item con indicatori e punteggio, Dimensione A

Fig. 2: Esempio di item con indicatori e punteggio, Dimensione B

anno V | n. 2 | 2017

ALESSIA SIGNOrELLI


Fig. 3: Esempio di item con indicatori e punteggio, Dimensione C

62

L’utilizzo della scala ha permesso al partner italiano di individuare: attraverso la baseline (settembre 2013) il livello di inclusione complessivo percepito dalle classi sperimentali e dalle classi controllo al quale è seguito, in un momento successivo, il confronto delle differenze dei risultati ottenuti; nei due follow-up (maggio 2014 e maggio 2015) di intercettare eventuali cambiamenti nei risultati, siano essi in negativo o in positivo, oppure conferme di quanto emerso dalla baseline. Anche in questa fase, è stato condotto il confronto tra i risultati delle classi sperimentali e di quelle controllo. Infine, è stata condotta un’analisi della distribuzione della frequenza per i singoli item di ciascuna delle tre dimensioni in modo da individuare quali indicatori avessero ottenuto punteggi minori o maggiori (punteggio massimo per item=10), in modo da riuscire a raccogliere informazioni quanto più dettagliate circa la realtà scolastica coinvolta nel progetto di ricerca. Quest’analisi ha restituito dati piuttosto interessanti, sia nel confronto tra sperimentali e controllo, durante i tre timepoint di raccolta dati, che nel confronto ‘interno’ ai due gruppi durante lo svolgimento del progetto. L’analisi della frequenza ha permesso anche di ottenere informazioni circa le percezioni degli insegnanti coinvolti rispetto ai tre domini esplorati – culture, politiche e pratiche. Come si può notare nelle Figure 4, 5 alla baseline, nelle classi sperimentali, le dimensioni A (Culture inclusive) e B (Politiche inclusive) presentavano una maggioranza di punteggio massimo (rispettivamente 41% e 43%), mentre nella dimensione C (Pratiche Inclusive), il punteggio massimo raggiungeva il 34% (Figura 6).

Summer School Bressanone – Seconda parte


Fig. 4: Distribuzione punteggio massimo Dimensione A, classi sperimentali 2013

Fig. 5: Distribuzione punteggio massimo Dimensione B, classi sperimentali 2013

Fig. 6: Distribuzione punteggio massimo Dimensione C, classi sperimentali 2013

Diversa è la situazione riscontrata alla baseline nelle classi controllo. Nella Dimensione A (Figura 7), il punteggio massimo risultava assegnato solo per il 24% con una distribuzione più equa dal punteggio 9 al punteggio 7, rispetto alle sperimentali; la stessa situazione di equilibrio è stata rintracciata anche per la Dimensione B (Figura 8), mentre per la Dimensione C (Figura 9) il punteggio più frequentemente attribuito è 8, con un 33%, mentre il punteggio massimo risulta assegnato solo al 10%.

anno V | n. 2 | 2017

ALESSIA SIGNOrELLI

63


Fig. 7: Distribuzione punteggio massimo Dimensione A, classi controllo 2013

64

Fig. 8: Distribuzione punteggio massimo Dimensione B, classi controllo 2013

Fig. 9: Distribuzione punteggio massimo Dimensione C, classi controllo 2013

Al secondo timepoint, maggio 2014, la situazione della Dimensione A presentava lievi variazioni sia per le classi sperimentali (45%), che per le classi controllo (22%); la dimensione B, invece, presentava, nelle classi sperimentali, una decisa flessione, con il punteggio massimo riscontrato solo al 29% (Figura 10) e con una decisa redistribuzione dei punteggi rispetto alla baseline. Una situazione analoga è stata rintracciata nelle classi controllo (Figura 11): il punteggio massimo Summer School Bressanone – Seconda parte


risultava assegnato solo per il 10% mentre il punteggio 8 presentava un incremento, passando dal 18% al 24%. Flessioni nella distribuzione del punteggio massimo sono state riscontrate anche per la dimensione C per le classi sperimentali (da 34% a 27% e con redistribuzione piĂš equilibrata nei punteggi fino a 7), mentre per questa dimensione, le classi controllo non mostravano variazioni di rilievo.

Fig. 10: Distribuzione punteggio massimo Dimensione B, classi sperimentali 2014

65

Fig. 11: Distribuzione punteggio massimo Dimensione B, classi controllo 2014

Alla fine del progetto, la distribuzione del punteggio massimo risultava aumentata sia per le classi sperimentali che per le classi controllo in tutte e tre le dimensioni. In modo particolare, per la Dimensione A, la distribuzione del punteggio massimo nelle classi sperimentali era del 52%, mentre per le controllo del 40%; per la dimensione B 38% classi sperimentali e 29% classi controllo; nella dimensione C, invece, il punteggio massimo era distribuito al 36% per le sperimentali e al 34% per le classi controllo.

4. Interpretazione dei risultati

rispetto alla misurazione dei dati ottenuti tramite la somministrazione della Scala al campione italiano, nei tre timepoint, i risultati emersi sono piuttosto interesanno V | n. 2 | 2017

ALESSIA SIGNOrELLI


santi, soprattutto se si tiene in considerazione la vicinanza geografica degli istituti coinvolti e il fatto che, in qualche caso, le classi controllo e le classi sperimentali fossero parte di una stessa istituzione scolastica – con il rischio quindi di contaminazione. La comparazione delle risposte date dai due gruppi agli item presenti nelle tre dimensioni della scala, ha delineato un aumento del 27% dell’inclusività nelle classi sperimentali rispetto alle classi controllo alla fine del progetto. Laddove ad un primo sguardo può apparire in un certo senso modesto, in realtà, prendendo in considerazione quanto già esplicitato in precedenza – ossia la limitatezza del campione, la vicinanza geografica tra istituti e l’appartenenza di alcune classi controllo e sperimentali alla stessa istituzione scolastica – questo risultato denota, in realtà, la potenzialità dell’incidenza dell’educazione socio-emotiva sull’inclusione. Alla luce di tutto questo è possibile affermare che tale dato rappresenta una risposta positiva alla domanda di ricerca posta dal team italiano.

66

Una rapida lettura delle frequenze illustrate in questo contributo ha fatto sorgere diverse domande, in modo particolare per quanto riguarda i punteggi assegnati alle tre dimensioni, nel corso del progetto, da parte delle insegnanti delle classi sperimentali; poiché la Dimensione A conteneva item riguardanti quello che la scuola in generale, ma l’insegnante in particolare fa in termini di creazione di culture inclusive, ci si è chiesti se l’assegnazione del punteggio più alto non derivasse alla baseline da una questione di accettazione sociale (es.: “devo dimostrare che creo culture inclusive perché questo fa parte del mio ruolo ed è in linea con la tradizione inclusiva quarantennale dell’istituzione scolastica italiana – e anche per il fatto di essere il campione sperimentale – vogliamo dimostrare di ‘sapere il fatto nostro’). Indicativo che le altre due dimensioni, più connesse ad aspetti di politiche e pratiche, quindi inerenti anche all’idea di scuola come organizzazione in generale – avessero una distribuzione di frequenza sì alta, ma minore rispetto alla dimensione A – cosa questa che si è in un certo senso confermata sia nella seconda che nella terza e ultima raccolta dati. Interessante, in questo senso, è la ‘caduta’ di distribuzione avvenuta nel secondo timepoint, e cioè a sperimentazione avviata (fine del primo anno); anche in questo caso, le domande sono state molte, in particolar modo se questa flessione nei punteggi non riflettesse – sempre soprattutto per le insegnanti sperimentali – una presa di coscienza attivata dall’utilizzo del programma PATHS®, cosa che sembrerebbe confermata dalla risalita nei punteggi alla fine del progetto. Da questo punto di vista, se prendiamo questi dati in un’ottica qualitativa, sembra interessante sottolineare come il loro andamento sia una metafora, in un certo senso, del percorso degli insegnanti all’interno del progetto EAP_SEL; proprio l’idea della presa di coscienza rispetto al proprio agire didattico e educativo, è un fattore emerso molte volte nei vari incontri tra il team di ricerca italiano e le insegnanti coinvolte nella sperimentazione, le quali hanno spesso affermato di aver messo in campo, tramite il programma, una serie di competenze che non pensavano di possedere e di aver attuato un processo di crescita inclusiva insieme ai loro allievi.

Summer School Bressanone – Seconda parte


5. Conclusioni

Alla fine dei tre anni di progetto, le analisi di dati quantitativi e qualitativi, hanno permesso al gruppo di ricerca di rilevare, da parte degli insegnanti una maggiore consapevolezza delle proprie emozioni, con una conseguente crescita delle loro capacità personali e professionali; una modifica nelle loro pratiche didattiche, orientate ora a essere sempre più inclusive non solo in termini di metodologie poste in essere, ma anche di livello di partecipazione dei propri allievi; un miglioramento nel clima di classe che ha portato, a sua volta, a una maggiore vicinanza con i bambini nelle classi; la capacità di saper trasporre i concetti di inclusione e di educazione socio-emotiva dal piano dei principi a quello delle azioni concrete poste in essere ogni giorno nella loro pratica. Per quanto riguarda i bambini coinvolti nella sperimentazione, hanno dimostrato un’accresciuta consapevolezza delle proprie emozioni e di quelle degli altri, una maggiore attenzione ai bisogni altrui, e un deciso incremento degli atteggiamenti prosociali e responsabili, con un conseguente miglioramento delle relazioni sociali tra pari. I risultati illustrati invitano a porre in essere un approfondimento e un'espansione degli studi volti a indagare il legame tra educazione socio-emotiva e inclusione scolastica, in modo particolare in un contesto educativo come quello italiano che, pur vantando un’esperienza quarantennale per quanto riguarda l’integrazione di bambini con disabilità e bisogni educativi speciali all’interno delle scuole mainstream può sicuramente trarre beneficio dall’inserimento, all’interno del curriculum didattico, di programmi SEL che siano in grado di supportare insegnanti e allievi a scuola e fuori, ponendo così basi solide per quei ‘cittadini responsabili e partecipi’ descritti dalla letteratura in merito. Sicuramente è auspicabile che la ricerca in questo ambito continui a svilupparsi, in modo tale da poter condurre ulteriori studi, di durata maggiore, con campioni più ampi e differenziati, per poter dare ancora più solidità a questi primi outcomes che già mostrano di essere promettenti.

Riferimenti bibliografici Booth T., Ainscow M. (2002) The Index for Inclusion, 2nd edition. Centre for Studies on Inclusive Education. Booth T., Ainscow M. (2011). Index for inclusion: developing learning and participation in schools (3rd ed.). Centre for Studies on Inclusive Education. Blundell G., Berardi V. (2016). Towards evidence-based teaching, problem-based learning and metacognitive assessment cycles. Proceedings of the EDSIG Conference Las Vegas, Nevada USA http://iscap.info (Data di accesso: 10/08/2017). Calvani A., Vivanet G. (2014). Evidence Based Education e modelli di valutazione formativa per le scuole. ECPS Journal 9, 127-146. CASEL (2003). Safe and sound: An educational leader’s guide to evidence-based social and emotional learning programs. Chicago: Author. CASEL (2004). CASEL: The First Ten Years 1994-2004. Chicago: Author. CASEL (2013). The 2013 CASEL Guide: Effective Social and Emotional Learning Programs—Middle and High School Edition, Chicago: Author http://www.casel.org/middle-and-high-school-edition-casel-guide (Data di accesso 30/07/2017). CASEL (2015). The 2015 CASEL Guide: Effective Social and Emotional Learning Programs-Preschool and Elementary School Edition, Chicago: Author http://static.squarespace.com/static/ 513f7-

anno V | n. 2 | 2017

ALESSIA SIGNOrELLI

67


68

9f9e4b05ce7b70e9673/t/526a220de4b00a92c90436ba/1382687245993/2013-caselguide. pdf (Data di accesso 12/08/2017). Cefai C., Cavioni V. (2014). Social and Emotional Education in Primary School. New York: Springer Science + Business Media DOI:10.1007/978-1-4614-8752-4_2. Conduct Problems Prevention Research Group (2010). The effects of a multiyear universal socialemotional learning program: The role of student and school characteristics. Journal of Consulting and Clinical Psychology, 78, 156-168. Connolly P., Miller S., Mooney J., Sloan S., Hanratty J. (2016). Universal school based programmes for improving social and emotional outcomes in children aged 3-11 years: a systematic review and a meta-analysis, The Campbell Collaboration https://www.campbellcollaboration.org/library/universal-school-based-programmes-social-emotional-outcomes-ages-3-11.html (data di accesso: 8/08/2017). Cottini L., Fedeli D., Morganti A., Pascoletti S., Signorelli A., Zanon F., Zoletto D. (2016). A scale for assessing Italian schools and classes inclusiveness. Form@re, 16 (2), 65-87 http://www. fupress.com/ (data di accesso: 4 agosto 2017). Cottini L., Morganti A. (2013). Evidence based education and special education: a possible dialogue. Italian Journal of Special Education for Inclusion 1 (1) 66-79. Cottini L., Morganti A. (2015). Evidence-Based Education e pedagogia speciale. Principi e modelli per l’inclusione. Roma: Carocci. Decety, J. (2015). The mental pathways, development and functions of empathy. Current Opinion in Behavioral Sciences, 3, 1-6 DOI:10.1016/j.cobeha.2014.12.001 Domitrovich C., Gest S.D., Jones J., Gill S., Sanford DeRousie R. (2010). Implementation quality: Lessons learned in the context of the Head Start REDI trial. Early Childhood Research Quarterly, 25(3), 284-298. Domitrovich C., Bradshaw C., Greenberg M., Embry D., Poduska J., Ialongo N. (2011). Integrated models of school-based prevention: Logic and Theory. Psychology in the Schools, 47, (1), 71-88. Durlak J. A., Dupre E. P. (2008). Implementation matters: A review of research on the influence of implementation on program outcomes and the factors affecting implementation. American Journal of Community Psychology, 41, 327-350. Durlak J. A., Weissberg R. P., Dymnicki A. B., Taylor R. D., Schellinger K. B. (2011). The impact of enhancing students’ social and emotional learning: A meta-analysis of school-based universal interventions. Child Development, 82, 405-432. Dusenbury L., Calin S., Domitrovich C., Weissberg R.P. (2015). What Does Evidence-Based Instruction in Social and Emotional Learning Actually Look Like in Practice? A Brief on Findings from CASEL’s Program Reviews. Evidence-Based Instruction in Social and Emotional Learning, 1-6. Fishbein D.H., Domitrovich C., Williams J., Gitukui S., Guthire C., Shapiro D., Greenberg M. (2016). Short-term intervention effects of the PATHS Curriculum in young low-income children: capitalizing on plasticity, Journal of Primary Prevention https://www. ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/27785656 (data di accesso: 1/08/2017) DOI: 10.1007/s10935-016-0452-5 Greenberg M. T., Kusché C. A., Cook E. T., Quamma J. P. (1995). Promoting emotional competence in school-aged children: The effects of the PATHS Curriculum. Development and Psychopathology, 7, 117-136. Greenberg M. T., Weissberg R. P., O’Brien M. U., Zins J. E., Fredericks L., Resnik H., Elias M. J. (2003). Enhancing school-based prevention and youth development through coordinated social, emotional, and academic learning. American Psychologist, 58, 466-474. DOI: 10.1037/0003066X.58.6-7.466 Greenberg M. T., Domitrovich C. E., Graczyk P. A., Zins J. E. (2005). The study of implementation in school-based preventive interventions: Theory, research, and practice (Volume 3). Rockville, MD: Center for Mental Health Services, Substance Abuse and Mental Health Services Administration. Hargreaves H.D. (2007). Teaching as a research based profession: Possibilities and prospects (The Teacher Training Agency Lecture 1996). In M. Hammersley (ed.), Educational research and evidence-based practice (pp. 3-17). London: Open University Sage Publications. Humprey N. (2013). Social and Emotional Learning: a critical appraisal. London: SAGE Publication. Kaltner D., Hadt J. (1999). Social functions of emotions at four levels of analysis. Cognition and Emotion, 13 (5), 505-521. Kusché C. A., Greenberg M. T. (1994). The PATHS curriculum. Seattle, WA: Developmental Research and Programs.

Summer School Bressanone – Seconda parte


Morganti A., Signorelli A. (2016). Insegnanti alle prese con programmi educativi evidence-based: l’esperienza italiana del Promoting Alternative Thinking Strategies (PATHS®). Italian Journal of Special Education for Inclusion, 2 (4) 121-136. Morganti A., Bocci F. (Eds.) (2017). Didattica inclusiva nella scuola primaria -Educazione socio-emotiva e apprendimento cooperativo per costruire competenze inclusive attraverso i “compiti di realtà”. Firenze: Giunti. Novak M., Mihič J., Bašič J., Nix R.L. (2016). PATHS in Croatia: A school-based randomised-controlled trial of a social and emotional learning curriculum. International Journal of Psychology, 1-9 DOI: 10.1002/ijop.12262 Oakley A., Gough D., Sandy O., Thomas J. (2005). The politics of evidence and methodology: lessons from the EPPI-Centre. Evidence & Policy: A Journal of Research, Debate and Practice, 1 (1), 532. Oberle E., Domitrovich C.E., Meyers D.C., Weissberg P.R. (2016). Establishing systemic social and emotional learning approaches in schools: a framework for schoolwide implementation. Cambridge Journal of Education, DOI: 10.1080/0305764X.2015.1125450 Reyes M.R., Brackett M.A., Rivers S.E., Elbertson N.A., Salovey P. (2012). The Interaction Effects of Program Training, Dosage, and Implementation Quality on Targeted Student Outcomes for The RULER Approach to Social and Emotional Learning. School Psychology Review, (41) 1, 82-99. Schonert-Reichl K. A., Hymel S. (2007). Educating the Heart as well as the Mind: Social and Emotional Learning for School and Life Success. Canadian Education Association. Schonert-Reichl K.A., Oberle E., Stewart Lawlor M., Abbot D., Thomson K., Oberlander T.G., Diamond A. (2015). Enhancing cognitive and social–emotional development through a simple-toadminister mindfulness-based school program for elementary school shildren: A Randomized Controlled Trial. Developmental Psychology, 51 (1), 52-66. Schonfeld D. J., Adams R. E., Fredstrom B. K., Weissberg R. P., Gilman R., Voyce C., Tomlin R., SpeeseLinehan D. (2014). Cluster-Randomized Trial Demonstrating Impact on Academic Achievement of Elementary Social-Emotional Learning. School Psychology Quarterly. http://dx.doi.org/10.1037/spq0000099 Slavin R.E. (2004). Education Research Can and Must Address “What Works” Questions. Educational Researcher, 33 (1), 27-28. Slavin R.E. (2008). What Works? Issues in Synthesizing Educational Program Evaluations. Educational Researcher, 37 (1), 5-14. Vivanet G. (2013). Evidence Based Education: un quadro storico. Form@re, Open Journal per la formazione in rete, 2 (13), 41-51 http://www.fupress.com/formare (Data di accesso: 4/08/2017). Wigelsworth M., Humphrey N., Kalambouka A., Lendrum A. (2010). A review of key issues in the measurement of children’s social and emotional skills. Educational Psychology in Practice, 26, (2), 173-186. WEF –World Economic Forum (2016). New Vision for Education: Fostering Social and Emotional Learning through Technology. Weissberg R.P., Gullotta T.P., Durlak J.A., Domitrovich C. (2015). Handbook of Social and Emotional Learning Research and Practice. New York: Guildford Press.

anno V | n. 2 | 2017

ALESSIA SIGNOrELLI

69



La « bientraitance » : un nouveau système pour être en relation

To well-treat a disable child in a day care center we have to consider him with his family bonds, and we need to meet and to welcome him jointly with his family. Well-treating disables children means to support them with full respect of their family culture, and it also means to take decisions about their health care in a partnership with their parents. Attachment theory principles direct professional thoughts and professional actions and help staff to better appreciate children wellbeing. They also help professionals to think their presence next to them and their families.

© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2282-5061 (in press) ISSN 2282-6041 (on line)

Key-words: well-treating- Disability- Family-Day care center-attachment

1. Riflessione teorica

Italian Journal of Special Education for Inclusion

abstract

Margherita Merucci (Université Catholique de Lyon / mmerucciciliberto@univ-catholyon.fr)

anno V | n. 2 | 2017

71


72

Le respect de la personne et de son histoire, de sa dignité, de sa singularité, la manière d’être des professionnels au-delà d’une série d’actes, la valorisation de l’expression des usagers sont des principes qui sont censés orienter l’intervention des professionnels, mais ils mettent aussi en évidence la complexité et la difficulté de la pratique professionnelle quand on essaye de les décliner dans la réalité quotidienne. Dans cet article nous souhaitons proposer une réflexion autour des pratiques de bientraitance dans de situations de handicap. Si le contexte de référence qui est présenté dans ces pages est celui de l’accueil en institution, les questions soulevées et les considérations qui en découlent sont, à notre avis, communes à d’autres lieux d’accueil. Tous les professionnels travaillant en institution ont pris connaissance des préconisations de l’Agence Nationale de l’Evaluation et de la Qualité des Etablissements et Services Sociaux et Médico-Sociaux (A.N.E.S.M, 2008). Ce texte invite les professionnels à faire du questionnement permanent le centre de toute démarche qui doit orienter leur travail et cela dans le but de s’adapter continuellement à une situation donnée qui, elle-même, évolue dans le temps. Cela devient d’autant plus important et pressant là où la personne accueillie ne peut pas s’exprimer verbalement et ne peut pas manifester par elle-même ses désirs ou sa volonté à cause de son handicap. Comment prendre en compte les besoins des enfants, ceux des parents et ceux des professionnels au quotidien ? Cette article veut proposer une réflexion sur la bientraitance à partir d’une situation d’intervention « extrême » car elle échappe en grande partie au langage et souvent confronte le professionnel (mais aussi la famille) à la satisfaction des besoins les plus archaïques et fondamentaux. En particulier après avoir introduit le concept de « bientraitance » nous vous présenterons le contexte institutionnel d’intervention et les personnes accueillies, pour nous arrêter ensuite sur le concept de bien-être des enfants, des familles et des professionnels. Ce concept est ensuite articulé avec celui de culture, à la lumière des éclairages amenés par la théorie de l’attachement.

1. La Bientraitance

Comment construire une logique d’aide dans des situations où les sujets sont privés d’autonomie parce que leur handicap les place dans une situation de grande dépendance pour l’accomplissement des gestes de la vie quotidienne ? Comment les respecter dans leur qualité et leur dignité de sujets singuliers avec une histoire (dont parfois ils ne sont pas conscients, du moins pas dans le sens que nous « les valides » donnons à ce terme) ? Le sujet est extrêmement vaste et pour l’introduire nous citerons deux définitions de la bientraitance tirées de L’A.N.E.S.M.(2008) « …la bientraitance est une culture inspirant les actions individuelles et les relations collectives au sein d’un établissement ou d’un service. Elle vise à promouvoir le bien-être de l’usager en gardant présent à l’esprit le risque de maltraitance...» (ibid., p. 14) et,

1. Riflessione teorica


« ….Parce que la bientraitance est l’interprétation concrète et momentanée d’une série d’exigences, elle se définit dans le croisement et la rencontre des perspectives de toutes les parties en présence….. » (ibid., p. 14).

Ces deux définitions mettent en évidence

– La notion de culture : un espace-temps-langage qui dérive d’une co-costruction des apports de l’individu et de la société. La brève histoire que je vous présenterai du débat qui a animé notre petite institution veut bien être un exemple des modifications culturelles. Le regard que la société porte sur le handicap a changé. S’il y a toujours des facteurs personnels d’origine organique ou psychique (des aptitudes, des capacités et des incapacités) c’est dans l’interaction avec les facteurs environnementaux (promoteurs ou obstacles) que se réalisent les habitudes de vie qui favorisent ou empêchent la participation sociale de l’individu et qui déterminent son bien-être. – La notion de bien être : cette notion se construit à partir des besoins de la personne accueillie, dans notre cas l’enfant ainsi que sa famille, car il ne faut pas oublier qu’un enfant seul n’existe pas. – La notion d’exigence : on a parlé longtemps de « prise en charge », aujourd’hui on parle beaucoup de « prise en compte ». A’ ces deux termes je préfère le terme d’ «accompagnement », car «accompagner » signifie écouter les besoins et les désirs, les recevoir et construire ensemble des objectifs réalisables (en identifiant les limitations et les difficultés ainsi que les alternatives possibles).

2. L’institution

Dans l’institution (un Institut d’Education Motrice) sont accueillis en journée 36 enfants de 3 à 14 ans environ, du lundi au vendredi. Un petit internat en semaine avec une capacité d’accueil de 8 places y est associé, ainsi que deux classes sous la direction de l’Education Nationale. Tous les enfants présentent une déficience motrice qui peut être due à des souffrances périnatales, à des syndromes génétiques (évolutifs ou non), à des traumatismes crâniens ou encore avoir une étiologie inconnue. Les enfants nous sont adressés par la MDPH1 : le critère pour orienter dans notre structure est d’abord la présence du handicap moteur2. Au moment de sa création et pendant plusieurs années la structure a accueilli des enfants IMC (Infirmité Motrice Cérébrale). Au niveau institutionnel un premier effort d’ouverture a été effectué lors de l’accueil des enfants polyhandicapés (déficience motrice associée à déficience mentale sévère ou profonde). Un important débat a eu lieu au sein de la structure. Ces enfants en effet ne ré-

1 2

Depuis peu la Maison Des Personnes Handicapées a été rebaptisé Maison des autonomies La structure a été créé par un groupe de parents réunis en association et elle accueillait à l’origine que des enfants Infirmes Moteurs Cérébraux

anno V | n. 2 | 2017

MArgHErITA MErUCCI

73


74

pondaient pas aux sollicitations et aux exigences d’une ré-éducation de type fonctionnelle, ni aux exigences centrées sur les apprentissages cognitifs. Ils dérangeaient ou paraissaient inadaptés. En apparence ils ne relevaient pas du médical ou du pédagogique (scolaire). Toutefois l’institution propose aussi une dimension éducative et ces enfants inadaptés, déficients, et handicapés mentaux restent éducables quels qu’ils soient. Un premier débat qui répondait à la tentation de vouloir les confiner dans une seule unité a amené à la prise de décision de ne pas les isoler. En nous appuyant sur les travaux de E. Zucman (1998) nous avons choisi de suivre la différenciation des étapes de la vie et nous avons donc conservé une répartition par groupe d’âge qui permet aux enfants de suivre une évolution indispensable à tout être humain. Toutefois la pathologie des personnes accueillies devient de plus en plus complexe. En particulier aujourd’hui nous accueillons des enfants IMC, des enfants avec des syndromes cérébelleux, des syndromes génétiques mitochondriaux, des spina-bifida, des dystrophies musculaires (myopathies de Duchenne, et de Steiner etc.) ainsi que des enfants avec des maladies orphelines, et des traumatisés crâniens. Nous accueillons aussi un certain nombre d’enfants pour lesquels aucun diagnostic n’a été posé et dont l’étiologie de la pathologie motrice, cognitive et comportementale reste inconnue pour le moment. Pour certains enfants la situation se complique ultérieurement car ils présentent des troubles envahissants du comportement ou des comportements autistiques qui se greffent sur le handicap moteur. Nous nous apercevons très vite que le problème moteur n’est pas la pathologie dominante, et que la partie cachée de l’iceberg est bien plus importante que la partie émergente. Cependant une fois que la « prise en compte » du handicap moteur est définie, et la question des installations réglée, les troubles du comportement, non diagnostiqués auparavant, envahissent la scène. Le nouveau diagnostique engendre une crise au niveau familial et institutionnel ainsi que la nécessité d’une nouvelle réorganisation du système familial et de la prise en charge institutionnelle. Nous sommes là exposés à un premier risque de maltraitance : « le croisement et la rencontre des perspectives de toutes les parties en présence » (A.N.E.S.M., 2008, p.14) risque d’aboutir à une confrontation, à un entrechoc de perspectives inconciliables. Les convergences sont difficiles à trouver : le travail de construction d’un objectif commun entre ce qui est souhaité, ce qui est nécessaire et ce qui est réalisable entre les différentes parties nécessite du temps. Ce petit groupe d’enfants est difficile au contact, et interagir avec eux s’avère difficile. Ils représentent un véritable défi dans leur attitude de mise à distance de toute personne. Ils présentent tous un déficit au niveau moteur. Certains déambulent et ils peuvent se déplacer de façon autonome et sans appui seulement pour des courtes distances. D’autres ont besoin de recourir à des cadres de marche pour leurs déplacements et d’autres encore sont en fauteuil manuel. Tous ont des problèmes au niveau de la motricité fine ou ils présentent d’importants troubles dyspraxiques.

1. Riflessione teorica


3. Vignettes cliniques : le temps de l’accueil et le temps du repas

3.1 Le temps de l’accueil

Nous sommes une structure d’accueil qui succède souvent à l’accompagnement proposé par le C.A.M.S.P. L’orientation dans notre structure (que les parents choisissent parmi une liste de propositions qui leur est signifiée par La M.D.P.H.) se fait pour certains directement après le C.A.M.P.S., pour d’autres après un passage à l’école maternelle. La tentative d’intégration échouée, c’est avec beaucoup de souffrance que les parents acceptent l’institution spécialisée. Passer la porte de l’institut signifie entrer dans un monde parallèle. Si au départ il y a pour certains parents l’espoir de réintégrer le monde des valides (une fois que l’enfant aura appris à marcher, à parler…..), le parcours est jalonné de deuils successifs. Pour cet enfant la discrimination du « oui » et du « non » prend du temps à s’installer. Comment espérer une prise de parole ? L’hypotonie ou la raideur excessive ne s’améliorent pas pour cet autre : les parents espèreraient la marche, mais l’équipe leur propose un fauteuil manuel d’abord, électrique pour certains par la suite. La déglutition est problématique, l’équipe propose des repas mastiqués ou moulinés. Toutefois à la maison cet enfant mange en petits morceaux, pourquoi ne pourrait-il faire de même à l’institution ? Cette « régression » imposée est difficile à comprendre pour la famille. Pour les parents ce qui semblait au départ un oasis après le désert risque, s’ils ne sont pas suffisamment accompagnés, de devenir petit à petit un cauchemar, un lieu persécuteur qui leur rappelle l’inévitable dépendance à vie du handicap. Un moment de passage clé qui illustre bien une première avancée dans la prise de conscience de la sortie de la logique médicale de la guérison et l’entrée dans ce monde parallèle, c’est justement le passage de la poussette au fauteuil manuel. Les enfants qui arrivent à l’âge de 4/5 ans et qui ne déambulent pas arrivent en poussette : au niveau sociétal c’est encore un enfant valide qu’on promène. A la violence de l’entrée en institution suit la violence de l’imposition d’une installation différente, visible et marquante à jamais. Toutefois ce passage est nécessaire et il contribue au bien-être physique de l’enfant. Non plus recroquevillé de façon informe dans une poussette, il peut tenir droit, mieux orienter son regard, être à une hauteur différente, mieux contrôler son geste, être plus contenu dans son tonus. Pourquoi donc tant de difficultés ? Le fauteuil manuel devient le passeport pour un pays où on ne veut pas voyager, mais où on est obligé de vivre. Même au niveau sociétal il signifie le handicap et la différence dans sa totalité : le logo pour le handicap étant de partout un fauteuil roulant. La mise en place du fauteuil manuel c’est la preuve, si encore il en faudrait une, que le confort physique ne suffit pas à déterminer le bienêtre de la personne. Qu’en est-il de la bientraitance dans cette situation ? Au niveau institutionnel les positions se polarisent. Le gain objectif au niveau de la posture, ne peut pas être le seul critère, mais comment accompagner les parents et l’enfant à apprivoiser le nouveau regard qu’ils sont obligés à poser sur eux-mêmes ? Certes les appareillages sont indispensables, ils sont nécessaires

anno V | n. 2 | 2017

MArgHErITA MErUCCI

75


76

mais pas suffisants. L’angoisse des parents, leur anxiété, les difficiles rationalisations (« c’est pour son bien ») se répercutent sur l’enfant qui très sensible au climat de l’environnement, s’imprègne des émotions d’autrui comme une éponge s’imprègne d’eau. Quels sont les besoins de l’un et de l’autre ? Comment faire quand la satisfaction du besoin de l’un, devient violence pour l’autre ? Comment prendre en compte le vécu subjectif de chacun ? Ce qui est vécu comme une violence fait que nous, les professionnels, nous nous sentons maltraités : la colère explose et elle se déplace. Les critiques tombent. Aujourd’hui l’enfant à son retour à la maison avait une manche légèrement mouillée : « comment cela se fait que vous ne l’avez pas changé avant de le mettre dans le taxi ? …..Hier les lacets de ses chaussures étaient trop serrés et il avait une légère marque rouge sur la cheville…… » Ce sont toutes des reproches qui obligent les professionnels à se dire et à penser que, s’ils ne sont pas véritablement maltraitants vis-à-vis de l’enfant, ils ne sont pas bien traitants non-plus. Impossible pour les professionnels de ne pas se sentir maltraités à leur tour. Dans ce contexte la définition proposée par l’A.N.E.S.M. (2008) prend tout son sens : « la bientraitance est l’interprétation concrète et momentanée d’une série d’exigences, elle se définit dans le croisement et la rencontre des perspectives de toutes les parties en présence » (p. 14). Des exigences concrètes et momentanées se croisent, la situation se fait plus complexe avec la « mise en présence » des vécus et des objectifs de chacun. La nécessité de mettre en perspective le temps présent, de sortir de l’ici et maintenant pour le relier à un avant et à un après, devient l’enjeu prioritaire. Dans tout cela il devient primordial, tout en garantissant des prestations spécifiques et de qualité, de sortir de la dictature de la prestation pour ne pas perdre de vue la globalité des sujets (de l’enfant en premier lieu, de ses parents et du système familial3 dans sa complexité) et de lui fournir un accompagnement où l’ensemble des personnes est relié par un sens commun. Chaque situation a ses propres temps : à cette famille il faudra un mois ou deux de plus pour « accepter » tel ou tel-autre appareillage, ou pour comprendre pourquoi une « prestation » (la mise en place d’un suivi en ergothérapie par exemple) lui est refusée. A l’équipe il faudra du temps avant d’accéder à la demande pressante de la famille pour qu’un suivi en kinésithérapie soit assuré, même si on ne voit pas la nécessité et qu’il y a d’autres priorités, etc. C’est dans la souplesse et le dialogue que le compromis se met en place : c’est une nouvelle culture qui se construit, tant au niveau individuel qu’au niveau familial, institutionnel ou sociétal. 3.2 Le temps du repas

Un autre exemple de difficulté de « bien traiter » les enfants, les professionnels et par conséquence leurs familles c’est le temps très délicat du repas dans l’institution. Ce temps agit comme révélateur de la difficulté d’harmoniser les « ac3

Quand nous parlons de famille ou de système familial nous prenons comme référence les théories systémiques auxquelles nous renvoyons le lecteur.

1. Riflessione teorica


tions individuelles et les relations collectives au sein d’un établissement ou d’un service » (A.N.E.S.M., 2008, p.14). Le risque de devenir maltraitant n’est pas si loin. Les parties en présence sont habitées par des perspectives totalement différentes, les professionnels peuvent être sous-tension et la personne handicapée peut se retrouver en situation de grande vulnérabilité. Les repas pour l’enfant devraient être un moment important, qui lui permet de se rassurer, de faire une pause après une matinée où l’attention a été beaucoup sollicitée, d’entrer en contact avec les autres et de recevoir du « bon »4 dans une ambiance conviviale et sereine. Pour les professionnels il représente une partie importante de leur travail : éducation à l’autonomie (manger seul), éducation à la collectivité (attendre, harmoniser le rythme individuel au rythme collectif) expérimentation de la nouveauté (éducation au goût). Pour les familles bien qu’absentes à ce moment-là, il représente l’attache avec ce que de plus vital l’établissement peut fournir à leurs enfants (« a-t-il mangé ? quoi ? comment ? combien ? etc. »). Toutefois pour beaucoup d’enfants ce temps est loin d’être un moment de plaisir. Le risque de fausses routes rend la prise d’aliments angoissante. Le bruit, même relatif de la salle, les excite et les énerve. Devoir partager un adulte avec un autre enfant peut être intolérable. Et puis il y a les modalités de présentation de la nourriture. A la maison il mange en morceaux, mais dans l’établissement pour lui tout est mixé. La prise de risque est trop importante : le verdict médical est sans appel et sans choix (pour l’enfant, pour la famille et pour les équipes) il faut s’y plier. Mais les aliments n’ont pas de goût, l’assiette n’est pas belle à voir. Et puis il y a les régimes : cet enfant est obèse : son poids porte préjudice à sa santé et le limite en l’handicapant encore plus dans le peu de mouvements qu’il pourrait accomplir. Patrick, Fred sont tellement gros qu’ils n’arrivent plus à aller seuls aux toilettes, et pourtant ils pourraient bien le faire. Leur possibilité d’autonomie est compromise. Là aussi l’avis médical est clair. La famille de Patrick se rebelle : pourquoi priver l’enfant des satisfactions qu’il peut avoir ? De retour à la maison il s’empiffre : chips, coca, Nutella. A quoi bon ne pas le resservir à midi au sein de l’institution? Autour de l’assiette de Patrick ou de Fred le conflit s’installe, les mots volent et les accusations avec. Comment « bien traiter » l’enfant, sa famille, les professionnels qui s’occupent de lui au quotidien? Dans le cas spécifique on fera appel au médecin nutritionniste qui suit la famille de Patrick en consultation à l’hôpital. En qualité de tiers extérieur et personne de confiance de la famille, il prendra la responsabilité du suivi nutritionnel de Patrick. Au niveau institutionnel le conflit se déplacera ailleurs. Un groupe de réflexion sur les repas est mis en place, des intervenants extérieurs (y compris le médecin de la nutrition de Patrick) interviendront pour des formations « intra », un temps de repas aménagé pour ceux qui ont plus de difficultés, qui supportent mal le bruit etc. est organisé. Le souci de traiter au 4

Il est important d’essayer de préciser ce que nous entendons par « bon ». En effet non seulement la nourriture devrait être « bonne », avoir bon goût, sentir « bon », faire du bien. Mais le moment passé à table devrait être un « bon » moment, convivial et en relation avec les autres…. Le corps et l’esprit devraient se nourrir ensemble……

anno V | n. 2 | 2017

MArgHErITA MErUCCI

77


mieux tous les individus faisant partie de ce système extrêmement complexe est présent : l’enfant vulnérable est au centre d’un réseau et d’un système d’interactions qu’il faut soigner dans les détails. Il faut tirer des leçons de la crise, mettre en œuvre une réflexion pour la comprendre et la dépasser, tout en sachant que d’autres situations viendront nous solliciter autrement. La culture institutionnelle que nous pouvons véritablement créer c’est cette capacité de se remettre en question de façon globale, en « co-costruisant »5 notre réalité de travail et de vie à partir des apports des uns et des autres (des professionnels, des familles, des enfants, et de la société) afin de co-créer une réalité où il est bon de vivre et de travailler.

4. La place de l’attachement

78

Comment évaluer parmi tout cela le bienêtre des enfants ? Comme pour tous les êtres humains, les besoins fondamentaux des enfants que nous accueillons s’articulent autour des plusieurs pôles, mais c’est sur un besoin fondamental et parfois négligé que nous voulons attirer l’attention. Nous nous référons au besoin d’attachement. Pour cela, nous tenons à rappeler qu’en psychologie du développement l’attachement est considéré comme un système de régulation de la peur (et des émotions négatives qui en sont à l’origine) (Bowlby, 1969 ;Cupa, 2000 ; Miljkovith, 2001 ; guedeney N & guedeney A.,2002 ; Pierrehumbert, 2003) Pour la théorie des systèmes, chaque système a un but, une motivation et cette motivation est prédéfinie pour tous les membres du système et dans ce cas précis de l’attachement c’est la recherche de la proximité. Le système d’attachement a donc comme objectif de garder la proximité du bébé en fonctions de ses besoins avec la figure d’attachement. Un enfant a besoin avant tout de se sentir en sécurité. Il y a bien sûr des figures d’attachement primaires, principales (la mère dans la première année de vie en général), mais il y a aussi des figures d’attachement secondaires que l’enfant appelle au secours lorsqu’il ne se sent pas en sécurité. Nous pensons qu’une vigilance extrême doit être exercée afin de préserver ce lien : le parent et la mère en premier lieu si c’est elle la figure d’attachement primaire doit être mis en condition de bien exercer ce rôle afin d’aider l’enfant à construire au maximum un sens de sécurité interne. Les comportements qu’un individu met en place sont les moyens qu’il se donne pour atteindre un objectif, et ces comportements deviennent de plus en plus mentalisés au fur et à mesure que l’enfant se développe, jusqu’à mettre en place un système de représentations, là où il lui suffit de penser la proximité avec la figure d’attachement pour se sentir rassuré. L’enfant a besoin de créer des liens d’attachement et de s’accrocher à sa figure d’attachement lorsque la peur et les

5

Le terme de « co-construction » renvoie aux théories systémiques indiquant les modalités mises en places par tous les intervenants dans une situation spécifique pour crée ensemble une nouvelle représentation de la réalité et un nouveau système.

1. Riflessione teorica


émotions négatives l’envahissent. Devenir figure d’attachement signifie accepter son rôle de donneur de soin (le care-giver des anglais) qui conforte, protège, s’amuse avec, surveille, et organise les mondes émotionnels de l’enfant, pour lui permettre, une fois rassuré, de désactiver le système d’attachement et d’activer le système d’exploration du monde. Il ne peut pas y avoir ouverture au monde si on n’a pas un système d’attachement suffisamment organisé et sécure. Le processus d’attachement a donc une fonction essentiellement adaptative. Pouvonsnous dans notre qualité d’intervenants supporter que des liens si forts se créent ? Patrick est un jeune de 11 ans. Très tyrannique à la maison, jusqu’à s’imposer encore dans la chambre de ses parents, il s’est longtemps révélé très timide et inhibé dans un contexte social. Le père évite de mettre les pieds dans l’institution (des rencontres sont programmés, mais il y a toujours des empêchements de dernière minute qui le retiennent), la mère a préféré les contacts virtuels sur internet à des rencontres réelles, tout en rassurant l’équipe éducative de sa confiance. Dans nos séances de travail un lien s’est créé avec cet enfant, quand je suis dans l’institution je sens son regard me suivre, avec un sourire à peine esquissé il répond à mes mots, ou à mon sourire de loin. De façon discrète il ne me lâche pas des yeux : le besoin d’être réconforté par ma proximité, contribue à sa sécurité et lui permet d’explorer ailleurs. Comment évoquer cela et comment le travailler avec ses parents injoignables afin de créer une perspective commune ? Le chemin est long et parsemé d’embûches : arriver à une entente sur ce qui est souhaitable, sur ce qui est nécessaire et sur ce qui est réalisable se révèle un travail de lâcher-prise long et délicat. Nous estimons que la notion de bien-être des enfants est inséparable de la notion d’attachement. Il faut toujours être vigilant à que ce lien soit préservé, que d’autres liens d’attachement de plus en plus sécures puissent se mettre en place. Un enfant sécurisé c’est un enfant qui s’ouvre au monde, une institution attentive à ce type de fonctionnement c’est une institution respectueuse où les erreurs sont toujours possibles, mais aussi toujours réparables et exploitables pour une progression commune.

5. Conclusion

Pour conclure, nous croyons que le terme de « bientraitance » (qui est un terme de création récente dans la langue française), ne doit pas être définit comme étant le contraire de « maltraitance ». S’il est facile de les associer, ils ne sont pas vraiment opposables. « Traiter bien » ou « bien traiter » fait référence à un ensemble d’attitudes, de paroles, de comportements qui aident à grandir. C’est à l’adulte que revient la responsabilité de créer les conditions qui aident un enfant à évoluer, qui lui permettent de se développer. Lorsqu’un enfant est confié à une institution ce travail c’est l’œuvre d’une équipe et sa réalisation est longue et jamais achevée. Il s’agit en effet de s’ajuster à l’enfant et à sa famille avec l’enfant et sa famille. Il s’agit de lutter contre tout ce qui peut faire discontinuité et rupture. L’enfant qui n’a pas la possibilité d’anticiper est dans une condition de stress et d’insécurité, mais une fois sécurisé il peut devenir acteur. Tout doit être pris en compte : la proximité corporelle, le rythme adapté, la ritualisation nécesanno V | n. 2 | 2017

MArgHErITA MErUCCI

79


saire à la construction des séquences d’actions et au repérage dans le temps, la qualité du geste qui va être proposé, la prise de parole. L’environnement doit être organisé pour réunir les conditions de base pour garantir son bien-être. La bientraitance est surtout et avant tout une question de relation, d’interaction entre les différents intervenants (famille et professionnels) dans la co-costrution d’un système suffisamment stable pour garantir la continuité et suffisamment souple pour permettre l’évolution. La bientraitance s’incarne, elle ne s’applique pas : elle se vit dans le temps.

Bibliographie Agence Nationale de l’Evaluation et de la Qualité des Etablissements et Services Sociaux et Médico-Sociaux (ANESM). (2008). La bientraitance : définitions et repères pour la mise en œuvre. En ligne http://www.anesm.santé.gouv.fr Bowlby J. (2002). Attachement et perte (J. Kalmanovitch, Tr) Paris : Presses Universitaires de Frances (Œuvre originale publiée en 1969) Cupa D. (Ed) (2000). L’attachement. Paris : Editions E.D.K. Elkaim M. (Ed.)(1995). Panorama des thérapies familiales. Editions du Seuil. Guedeney N., Guedeney A. (2002). L’attachement, concepts et applications. Paris : Masson. Miljkovith R. (2001). L’attachement au cours de la vie. Paris : Presses Universitaires de France. Pierrehumbert B. (2003). Le premier lien. Paris : Odile Jacob. Zucman E. (1998). Accompagner les personnes polyhandicapées, réflexions autour des apports d’un groupe d’étude du CTNRHI. Paris.

80


Sostenere la motivazione degli alunni autistici. Un progetto di didattica inclusiva con la musicoterapia

Key-words: Inclusive Education, Social Motivation, Autism, Social Responsiveness Scale, Music Therapy.

2. Esiti della ricerca

Italian Journal of Special Education for Inclusion

anno V | n. 2 | 2017

Š Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2282-5061 (in press) ISSN 2282-6041 (on line)

This contribution presents the preliminary data of an exploratory study on social motivation within the inclusion oriented scholastic context concerning children and adolescents with autism spectrum disorders. To measure social behavior and the development of relational and communicative skills the Social Responsiveness Scale (SRS) (Constantino e Gruber, 2005) will be applied. The present study seeks to investigate the following possibilities: the use of SRS as an instrument for an inclusive education, that measures both the weaknesses and the strengths of the students with ASD; the validity of a music therapy program in the construction and distribution of body-soundmusic-centered communication, and subsequently the ability to recognize and develop autonomously the basic components of comprehension and communication processes. Future research might compare the data obtained in this study to verify, also on a national level, the impact of an inclusive education using music therapy activities, and its effects towards a better support of children and adolescents with autism spectrum disorders and towards an increased well-being in their scholastic and academic development.

abstract

Barbara De Angelis (UniversitĂ Roma Tre / barbara.deangelis@uniroma3.it)

81


Introduzione

82

Il contributo espone il progetto di una indagine sulla motivazione sociale degli studenti con autismo, da condurre nella scuola primaria, attraverso l’utilizzo della Social Responsiveness Scale (SRS) (Constantino, & Gruber, 2005; 2012), uno strumento di valutazione del comportamento sociale reciproco, della comunicazione e dei comportamenti ripetitivi e stereotipati caratteristici dello spettro autistico. A partire da un quadro teorico riguardante inclusione, musicoterapia e motivazione sociale, questo articolo illustra e suggerisce, anche in base alle esperienze elaborate in precedenti lavori (De Angelis, 1991; 1992; 2004), un approccio che può essere utilizzato per favorire e facilitare l’inclusione scolastica. Qui vengono analizzati gli ostacoli presenti nel processo di inclusione, si discute il ruolo della musicoterapia come strumento inclusivo e si propone infine un progetto di studio applicabile ad un contesto scolastico. Attualmente, dopo la stesura del progetto, sono state individuate le scuole che lo applicheranno e sono stati presi gli accordi preliminari a questo scopo. In particolare, come sarà precisato più avanti, sono state individuate le modalità di selezione delle classi partecipanti ed è cominciata anche l’azione di coinvolgimento e motivazione delle famiglie degli studenti partecipanti. La Musicoterapia è una pratica di intervento che utilizza la musica e i suoni, per attivare e regolare le emozioni e gli stati affettivi nell’interazione e nella relazione, indirizzandoli verso la costruzione di processi di socializzazione (Postacchini et al., 1997). La musica, inoltre, offre un mezzo di espressione, comunicazione e interazione che può essere facilmente assimilabile dai bambini rispetto ad altri mezzi (Trevarthen, 2002; Gold, Wigram, & Elefant, 2006). Questo tipo di intervento è particolarmente adatto in situazioni dove la comunicazione verbale è assente e l’espressione delle emozioni presenta alterazioni e anomalie (Venuti, 2003). I percorsi di intervento di musicoterapia si costruiscono sulle libere produzioni spontanee del soggetto, al fine di attivare abilità di attenzione condivisa, che sono alla base dell’interazione sociale e della comunicazione (Kim, Wigram, & Gold, 2008). Attraverso un processo di “sintonizzazione emotiva” (Stern, 1985; Siegel, 2001) il musicoterapista può organizzare e regolare competenze e modalità espressive di base innate, costituite dalla intensità, dalla forma, dalla scansione temporale, dal movimento e dal concetto di numero. Tali qualità, attraverso il lavoro sinestesico, facilitano e consentono il passaggio dall’unità sensoriale di base ai processi di sintonizzazione affettiva. Le considerazioni esposte sono facilmente verificabili ed applicabili nel lavoro con parametri sonoro-musicali (Postacchini et al., 1997). Reciprocità, intenzionalità, motivazione ed espressione emotiva, nello scambio intersoggettivo, sono infatti le aree dell’intervento musicoterapico, che si basa sul riconoscimento delle caratteristiche del funzionamento percettivo, della ritmicità e delle modalità di espressione del soggetto. Tale modello di intervento di musicoterapia si inscrive all’interno di un più vasto e complesso metodo di intervento per il Supporto Emotivo e di Attivazione dell’Intersoggettività (SEAI) che è frutto di esperienze in ambito clinico con bambini, adolescenti e adulti con autismo, di riflessioni su recenti ricerche scientifiche e di una loro sintesi sviluppata in campo multidisciplinare (Venuti, 2003; Venuti et al, 2008: Esposito e Venuti, 2008).

2. Esiti di ricerca


Gli studi sull’uso della musicoterapia in ambito scolastico rappresentano un campo di ricerca ancora poco approfondito, che vede l’alternarsi di differenti approcci sia teorici che pratici. Le ricerche applicative su tale costrutto in Italia sono state spesso lasciate alle iniziative di singole realtà, e nonostante la normativa scolastica permetta alle scuole di attivarsi collaborando con Università e associazioni, la realizzazione di pratiche condivise su reti nazionali è ancora in fase embrionale. Ricordiamo che un percorso di musicoterapia, focalizzato sulla costruzione e sulla condivisione gratificante di comunicazione corporeo-sonoro-musicale cooperativa, persegue obiettivi altamente condivisibili con quelli del gruppo classe. Essi sono infatti riferiti anche alla promozione delle componenti fondamentali del processo di comprensione, e al conseguimento dell’abilità di saper individuare ed elaborare autonomamente gli elementi importanti di una comunicazione. Se inserita tra le proposte inclusive della scuola, infatti, la musicoterapia è una risorsa per l’intera comunità in quanto offre un contributo significativo sia per la rimozione degli ostacoli all’apprendimento e alla partecipazione degli allievi e delle allieve, e per il potenziamento dei facilitatori, sia per la riduzione e l’eliminazione di ogni forma di esclusione (Chiappetta Cajola, Rizzo, 2016a). La scelta di avviare un percorso attraverso la SRS è dovuta al fatto che tale strumento (sia nella versione integrale sia nella versione qui considerata) risulta di facile utilizzo da parte degli insegnanti e permette di valutare aspetti che potrebbero sfuggire all’attenzione nel contesto scolastico. La SRS, infatti, è uno strumento che si può applicare facilmente e che richiede l’osservazione da parte di un genitore, oppure di un insegnante che conosce il bambino o l’adolescente, da almeno 6 mesi. Questo permette di confrontare differenze e somiglianze tra il comportamento in famiglia e quello in classe, e di controllare la generalizzazione, ovvero il processo di trasferimento di una competenza appresa da un ambito all’altro. Rispetto al processo di generalizzazione negli individui con autismo, tuttavia, si riscontrano diversi aspetti di problematicità (Plaisted, 2001; Hundert, Rowe, & Harrison, 2014) in quanto le osservazioni dei genitori e degli insegnanti possono essere diverse, sia a causa delle differenti prospettive e conoscenze con cui genitori e insegnanti valutano un comportamento, sia a causa delle variabili ambientali e dei diversi stimoli che a volte non facilitano il processo di generalizzazione (van der Ende, Verhulst, & Tiemeier, 2012; Achenbach, McConaughy, & Howell, 1987). Tali aspetti possono essere considerati, o eventualmente rinviati ai necessari approfondimenti, in quanto la SRS per la sua divisione in sottoscale permette di indagare elementi caratteristici del comportamento, come, per esempio, la motivazione sociale. È dunque possibile, usando tale strumento, affrontare due problematiche distinte e particolari nella ricerca sui disturbi dello spettro autistico, la generalizzazione e la motivazione sociale, e inoltre esaminare come la musicoterapia influisca sulla motivazione sociale di soggetti autistici. Il progetto qui presentato prevede una prima valutazione (v0), in cui la motivazione sociale viene misurata sia dal genitore sia dall’insegnante usando la sub-scala della SRS, e poi una fase sperimentale di 12 settimane nella quale la musicoterapia viene applicata due volte la settimana. Le valutazioni successive della motivazione sociale, effettuate per monitorare l’evoluzione del soggetto durante il percorso progettuale, sono previste ogni 4 settimane (v1, v2, v3).

anno V | n. 2 | 2017

BARBARA DE ANGELIS

83


Quadro teorico di riferimento

84

La possibilità di essere inseriti in un contesto inclusivo e di avere contatti con tutti i compagni di classe, è molto vantaggiosa per i bambini autistici al fine di sviluppare le loro abilità sociali attraverso un’azione didattica rivolta a tutti gli alunni, con programmi di insegnamento delle abilità prosociali (Cottini e Meazzini, 1997; Roche, 2002) e con programmi di insegnamento delle abilità assertive, come per esempio indicato da Cottini (2002) attraverso l’uso del problem solving interpersonale. Maich et al. (2015) hanno dimostrato che le social skills migliorano durante la partecipazione e la permanenza in un campo estivo, come è indicato nelle esperienze di osservazione diretta e documentato dai questionari sottoposti ai tutor dello stesso campo estivo. Inoltre, come mostrato nello studio comparativo di Camargo et al. (2014), alcuni interventi comportamentali aiutano i bambini autistici a sviluppare le abilità sociali, tanto più se vengono applicati in un contesto inclusivo che implica scelte didattico-organizzative efficaci per il pieno sviluppo delle potenzialità di ciascun allievo. Queste riflessioni, per un verso confermano la necessità di una didattica inclusiva mirata alla costruzione di contesti inclusivi (Bocci, 2013; 2015), per altro verso sollecitano, anche in linea con il nuovo decreto attuativo sull’inclusione (MIUR, 2017), a ripensare la formazione degli insegnanti in funzione di nuovi obiettivi (Chiappetta Cajola, 2008a; Chiappetta Cajola, & Ciraci, 2013; D’Alessio et al., 2015) per la scuola della full inclusion, tesa a promuovere il benessere di ciascun allievo all’interno di un sistema di relazioni positive e proattive. La musica in generale, e la musicoterapia in particolare, sono ottimi strumenti per migliorare l’abilità sociale nei bambini con autismo. Grazie ad un’indagine basata sulle osservazioni dei genitori, Hosseini et al. (2015) hanno riscontrato un impatto favorevole della musicoterapia, condotta secondo il metodo Orff, sull’abilità sociale nei bambini con autismo, misurabile anche a distanza di due mesi dall’ultimo intervento. Finnigan e Starr (2010) hanno notato che gli interventi musicali sono più efficaci rispetto a quelli non-musicali, ed hanno riscontrato un minore comportamento evitante nei soggetti osservati, deducendo che i bambini rispondono meglio al primo tipo di intervento perché la condizione musicale risulta per loro più motivante. Inoltre, la meta-analisi di Shi, Li e Xie (2016), condotta analizzando i dati di sei studi randomizzati e controllati, conferma effetti positivi sull’umore, l’abilità linguistica, il comportamento e l’abilità sociale nei bambini con autismo che hanno partecipato ad attività di musicoterapia. Altri studi sottolineano l’influenza della musica sulle social skills, ne prefigurano l’uso nella didattica inclusiva (De Angelis, 1992; Chiappetta Cajola et al., 2012; Chiappetta Cajola e Rizzo, 2016b) e discutono teorie e strategie per l’uso della musica e della musicoterapia come fattori ambientali che facilitano la partecipazione e l’apprendimento di tutti gli allievi (Chiappetta Cajola, & Rizzo, 2016a; 2016b). Come già osservato, secondo Reszka et al. (2014) i risultati delle valutazioni ottenute attraverso la SRS possono variare se sono rilevati da un genitore o dall’insegnante. Anche la rassegna di Haering (2017) riferisce che alla musicoterapia individuale (in cui un musicoterapista lavora con un singolo paziente invece che con un gruppo) viene attribuito un effetto minore dalle scale che misurano il

2. Esiti di ricerca


comportamento sociale basato sull’osservazione del genitore, e suppone che ciò possa essere causato dalla difficoltà, nei soggetti con autismo, di generalizzare le abilità apprese passando da un contesto ad un altro. Propone inoltre un two step concept per gli studi sulla musicoterapia, secondo cui la generalizzazione dovrebbe essere orientata e misurata rispetto all’intervento di musicoterapia nella classe, o in famiglia. In questo modo sarebbe possibile valutare l’impatto della musicoterapia su una abilità, ma anche sul trasferimento di quell’abilità in altre situazioni e contesti della quotidianità. Un argomento, questo, ancora poco indagato, se si considera che per quanto riguarda il processo della generalizzazione basato sulla musica, e inteso come un obiettivo da raggiungere attraverso un’accurata ed intenzionale programmazione di interventi, nella letteratura di riferimento, si può individuare solo lo studio di Schwartzberg e Silverman (2013), che combina le social stories con la musica. La ricerca neuroscientifica degli ultimi anni pone in relazione l’incapacità del soggetto con autismo di ricercare e provare interesse per le interazioni sociali, con la manifestazione della motivazione sociale, che risulta essere minore rispetto a quella dei coetanei (Chevallier et al. 2012b; Kohls et al. 2013; Carré et al. 2015). Tale aspetto, che riguarda la mancanza di coinvolgimento spontaneo nella condivisione di gioie e obiettivi con altre persone, ed è correlato alla rigidità che caratterizza i soggetti autistici, tanto da condurli a ricercare condizioni di stabilità (Cottini, 2008; Chevailler et al. 2012a), è una condizione che, tuttavia, non inficia la capacità di essere stimolati da altre fonti di piacere. La motivazione sociale viene misurata nella letteratura straniera con interviste semi-strutturate e questionari (Sedgewick et al., 2016), o con osservazioni effettuate, ad esempio, nell’ambito familiare (Wilde, Mitchell, & Oliver, 2016). Tra i metodi standardizzati per la valutazione dei disturbi dello spettro autistico, la SRS è attualmente la più usata quando si predispone un intervento sulle abilità di tipo sociale attraverso l’approccio musicale (La Gasse, 2017). Tuttavia, anche in questo caso, nella letteratura di riferimento non è stato possibile individuare l’applicazione della SRS in un contesto inclusivo. Alla luce degli interessi di ricerca mostrati negli ultimi anni verso la motivazione sociale dei bambini con autismo e verso l’importanza della musica quale fattore che favorisce lo sviluppo delle loro abilità, il presente studio ha l’intento di comprendere come la musicoterapia, in un contesto inclusivo, possa influire positivamente sulla motivazione sociale e come gli insegnanti possano contribuire al raggiungimento di tale obiettivo.

La Social Responsiveness Scale (SRS)

La SRS è un questionario, composto di 65 item, che valuta il comportamento sociale reciproco, la comunicazione e i comportamenti ripetitivi e stereotipati caratteristici dei disturbi dello spettro autistico. Il focus è il comportamento di bambini o adolescenti la cui età può essere compresa tra i 4 e i 18 anni. La SRS può essere compilata da un insegnante (SRS-T), un genitore (SRS-P) o un’altra persona che abbia familiarità con il comportamento e la storia di sviluppo del bambino o del ragazzo. Benchè gli insegnanti o i genitori somministrino gli stessi item, i profili del punteggio sono specifici per ognuno dei due gruppi. La misura anno V | n. 2 | 2017

BARBARA DE ANGELIS

85


del disagio sociale è data dal punteggio totale e permette confronti fra setting e valutatori differenti. Le caratteristiche chiave dello strumento sono le seguenti (Constantino e Gruber, 2005): misura il grado di compromissione sociale; distingue i Disturbi dello Spettro Autistico da altre condizioni; permette uno screening veloce (15’-20’); è utilizzabile anche per l’Asperger, e i Disturbi Pervasivi dello Sviluppo Non Altrimenti Specificati (PDD-NOS). Mediante le 65 domande i docenti e/o i genitori possono valutare gli studenti rispetto ad una serie di comportamenti osservabili (Es: Ha difficoltà a rispondere alle domande direttamente e finisce per girare intorno all’argomento; Non partecipa ad attività di gruppo spontaneamente; Riesce a compiere bene alcune azioni/attività, meno bene la gran parte delle altre) attraverso una scala Likert a 6 punti (1=mai; 2=molto raramente; 3=raramente; 4=occasionalmente; 5=frequentemente; 6=sempre). La distribuzione degli item nelle singole sottoscale è variabile. Lo strumento d’uso nei programmi di trattamento è costituito dalle cinque sub-scale qui sotto delineate, che possono essere utili per eseguire, analizzare e valutare programmi didattici (Constantino e Gruber, 2012) rivolti a:

86

– la Consapevolezza sociale: abilità nel cogliere i segnali sociali (aspetti sensoriali del comportamento sociale reciproco). – la Cognizione sociale: abilità nell’interpretare i segnali sociali una volta che sono stati percepiti (interpretazione cognitiva degli aspetti del comportamento sociale reciproco). – la Comunicazione sociale: include la comunicazione sociale espressiva (aspetti “motori” del comportamento sociale reciproco). – la Motivazione sociale: indica fino a che punto il soggetto è generalmente motivato a intraprendere un comportamento sociale-interpersonale (ansia sociale, inibizione e orientamento empatico). – i Manierismi autistici: includono comportamenti stereotipati o interessi altamente ristretti caratteristici dell’autismo

Nel presente studio le scale che vengono prese in considerazione riguardano l’area della motivazione sociale (SMS-SRS), sia nella versione che viene utilizzata dall’insegnante (SMS-SRS-T) sia in quella utilizzata dal genitore (SMS-SRS-P). Sembra utile ricordare che la scelta di avviare un percorso attraverso la SRS è dovuta al fatto che attraverso le sub-scale di questo strumento si può valutare la motivazione sociale, separata da altre competenze. La SRS è di facile utilizzo per gli insegnanti e richiede solo una osservazione attenta dell’alunno durante lo svolgimento dell’azione didattica quotidiana. Ciò permette di valutare aspetti che potrebbero sfuggire all’attenzione dell’insegnante non specificamente indirizzato al riconoscimento e all’interpretazione di un determinato comportamento. Rispetto ad altri strumenti per l’autismo, la SRS misura la compromissione in modo quantitativo, consentendo di rilevare anche livelli moderati di difficoltà e i loro effetti negativi sul funzionamento sociale. Questo la rende utile nei confronti di PDD-NOS, dell’Asperger e dei soggetti ad alto funzionamento. Permette inoltre di confrontare i risultati di genitori e di insegnanti, e di indagare, così, il grado di generalizzazione in un soggetto autistico nel processo di trasferimento di un’abilità raggiunta da un ambito ad un altro.

2. Esiti di ricerca


La scelta della sub scala1 sulla motivazione e sul funzionamento sociale è giustificata dal fatto che essa descrive aspetti comportamentali in linea con alcune competenze chiave per l’apprendimento permanente, descritte nella Raccomandazione Europea del 20062, e di seguito elencate:

– – – – –

comunicazione nella madrelingua; comunicazione nelle lingue straniere; consapevolezza ed espressione culturale; competenze sociali e civiche; imparare a imparare.

Si sottolinea che, sebbene utilizzata quasi esclusivamente per soggetti con disturbi dello spettro autistico, la SRS è stata validata su ampia scala per tutti i bambini e i ragazzi (Constantino, & Gruber, 2012; Duvekot et al., 2015). Nel progetto che qui si presenta la SRS risulta particolarmente utile, non solo perché entrambi i genitori possono occuparsi del test, e sia la madre che il padre possono elaborarlo senza che tale condizione ne alteri i risultati (Pearl et al., 2013), ma anche perché tramite le sue sub-scale lo strumento permette una progressiva flessibilità nella somministrazione, e nel corso dell’indagine questo può sicuramente favorire e incrementare l’interesse da parte di tutti i genitori.

La subscala della Motivazione sociale (SMS-SRS)

La rilevazione che si effettua con la sub-scala della motivazione sociale della SRS (SMS-SRS) sia nella versione compilata dal genitore (SMS-SRS-P) sia in quella utilizzata dall’insegnante (SMS-SRS-T) richiede solo 3-4 minuti e fa riferimento alla capacità di un soggetto di motivarsi e avviare comportamenti sociali e interpersonali, tutti fattori che possono essere influenzati da condizioni come ansia, inibizione e/o empatia. Il risultato va calcolato in base alle risposte: un punteggio più alto indica un maggiore deficit nelle social skills, e quindi una minore motivazione sociale.

Ipotesi e metodologia

Le ipotesi sulle quali è basato il progetto, e che di seguito si elencano, non sono mai state sviluppate fino ad ora in ambito scolastico con soggetti autistici inseriti in un gruppo classe. In particolare non è stato mai messo in atto l’uso della musicoterapia finalizzato alla motivazione sociale, né si riscontrano altre ricerche o indagini nella letteratura di riferimento. 1 2

Le altre sottoscale dello strumento originale fanno riferimento anche ad altre competenze chiave, come le abilità di lettura, musicali, matematiche, scientifiche e tecnologiche. UE, Raccomandazione 2006/962/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2006.

anno V | n. 2 | 2017

BARBARA DE ANGELIS

87


Le ipotesi da cui scaturisce il presente lavoro sono:

– La motivazione sociale migliora tramite la musicoterapia utilizzata in una classe scolastica inclusiva. La misurazione di tale incremento può essere effettuata attraverso SMS-SRS-T. – La motivazione sociale si generalizza dalla classe al contesto familiare, come può risultare dal confronto dei dati di SMS-SRS-T e SMS-SRS-P. – La SMS-SRS-T è uno strumento che permette agli insegnanti di valutare nella vita scolastica quotidiana la motivazione sociale specialmente negli alunni con autismo.

88

Nel corso di 12 settimane, 12 classi con almeno un soggetto autistico saranno sottoposte ad un intervento di musicoterapia mirata principalmente all’improvvisazione strumentale, all’espressione delle emozioni individuali, ad una maggiore attenzione all’espressione delle emozioni degli altri, e alla riflessione su diversi eventi musicali. Valutazioni attraverso la SMS-SRS saranno somministrate all’inizio (v0), dopo 4 settimane (v1), dopo 8 settimane (v2), e dopo 12 settimane (v3). Si prenderanno in esame sia la SMS-SRS-P che la SMS-SRS-T per comparare la motivazione sociale in ambito familiare e la motivazione in ambito scolastico, ovvero in classe, ed eventualmente, per misurare il processo di generalizzazione. Dal momento che la rilevazione attraverso SMS-SRS viene effettuata in pochi minuti e richiede l’impiego di pochissimo tempo da parte del genitore o dell’insegnante, potrà essere elaborata prima o dopo l’orario scolastico, quando per esempio l’alunno viene accompagnato a scuola. Ai fini di un coinvolgimento motivato e consapevole, e di una collaborazione fattiva al progetto da parte di tutti i partecipanti, si prevede la somministrazione di ulteriori strumenti di indagine: • Intervista qualitativa diretta agli insegnanti per raccogliere dati su:

– le loro conoscenze e le loro esperienze con la SMS-SRS; – il modo di affrontare le difficoltà e i problemi incontrati durante le 12 settimane del progetto; – il comportamento degli altri bambini nella classe nei confronti dei compagni con autismo. • Interviste o questionari rivolti ad alunni con autismo (lo strumento e la possibilità del suo uso saranno decisi e sperimentati, là dove è possibile, dopo la prima settimana del progetto): – le interviste saranno strutturate in modo semplice e comprensibile; – per la realizzazione dei questionari si potrà utilizzare una scala con tre parametri (sì, no, forse) espressi attraverso simboli di approvazione, disapprovazione o dubbio. • Interviste qualitative con i genitori per raccogliere dati su: – la loro esperienza con la SMS-SRS; – il comportamento dei fratelli e delle sorelle nei confronti degli alunni autistici; – i cambiamenti nel comportamento dei loro figli durante le 12 settimane del progetto.

2. Esiti di ricerca


Il campione

L’indagine all’interno di quattro scuole primarie della Provincia di Roma (l’Istituto Comprensivo Regina Elena, l’Istituto Comprensivo di Via Francesco Ferraironi, l’Istituto Comprensivo Carlo Alberto della Chiesa, la Scuola Primaria Aurelio Saffi), prevede la partecipazione di 284 alunni e 24 insegnanti (suddivisi tra insegnanti specializzati per il sostegno e insegnanti utilizzati per l’insegnamento curriculare). Per ognuno degli alunni verrà acquisito il consenso informato da parte dei genitori. Prima dell’inizio del progetto, previsto per la fine di febbraio 2018, ogni docente parteciperà ad un seminario di formazione (due incontri di circa 3 ore ciascuno) sulla musicoterapia e sull’utilizzo delle scale SMS-SRS-P e SMS-SRS-T, durante il quale svolgerà individualmente e in gruppo specifiche esercitazioni di training. Parteciperanno all’indagine le classi di scuola primaria in cui sia presente almeno un bambino autistico. Non verranno inclusi nel campione i gruppi classe che hanno già attivato esperienze di musicoterapia negli ultimi due anni, perché gli effetti a lungo termine dei precedenti interventi potrebbero interferire con i risultati del nostro studio.

Risultati attesi

Secondo la letteratura, nel periodo di realizzazione del progetto è probabile che l’abilità sociale e la motivazione sociale aumentino (Finnigan, & Starr, 2010; Shi, Lin, & Xie, 2016). È previsto che nelle prime 4 settimane non emergano cambiamenti significativi nei dati delle subscale SMS-SRS-P e SMS-SRS-T, perché i soggetti autistici hanno spesso bisogno di un po’ di tempo per abituarsi a nuove situazioni, come in questo caso le esperienze di musicoterapia. Ci si aspetta tuttavia che si verifichi un incremento delle social skills misurato con la SMS-SRS-T tra v1 e v2, e tra v2 e v3. Come indicato da Geretsegger (2016) è anche possibile che non si riscontri nessun cambiamento nella SMS-SRS-P, soprattutto in relazione all’obiettivo della capacità di generalizzazione. A tal riguardo Geretsegger (2016) propone alcuni dati sull’uso della musicoterapia nell’ambito di un setting individuale in cui è presente un solo musicoterapista per un singolo paziente. Mentre Haering (2017) restituisce i risultati basati sulle osservazioni effettuate dai genitori sull’uso della musicoterapia all’interno di un gruppo, rilevando che gli interventi effettuati all’interno di un gruppo determinano maggiori effetti rilevabili attraverso le subscale sopra indicate. L’informazione relativa alle scarse evidenze sulla possibilità di generalizzare le abilità sotto l’influenza della musicoterapia, può risultare di grande valore, perché dimostra che è necessario potenziare gli interventi per sostenere, in tale processo, i bambini con autismo (Matzies-Köhler, 2015). Un indicatore di riferimento da prendere in considerazione nell’ultima somministrazione, deriva dai lavori di Claussen e Thaut (1997) e Gfellner (1983), che hanno riscontrato come il cueing (la combinazione strategica di stimoli) basato su elementi melodici o ritmici aiuti a codificare e decodificare le informazioni. In tal senso il cueing potrebbe essere utile per approfondire la presente indagine prospettando il raggiungimento di ulteriori obiettivi di ricerca inerenti specificatamente il mo-

anno V | n. 2 | 2017

BARBARA DE ANGELIS

89


nitoraggio della generalizzazione tra classe scolastica e famiglia sotto l’influenza della musicoterapia. Anche in considerazione di una collaborazione tra Scuola e Università finalizzata alla formazione e alla creazione di pratiche didattiche inclusive condivise su reti nazionali, i dati raccolti attraverso il progetto qui delineato saranno esemplificativi di alcune nuove ipotesi di ricerca, come le seguenti:

– esaminare la validità e l’utilità della SRS come strumento utile durante il percorso scolastico di ogni soggetto autistico al fine di lavorare didatticamente sui suoi punti di debolezza, ma anche sui suoi punti di forza; – usare la SRS come strumento per monitorare in itinere lo sviluppo delle social skills; – valutare il processo di generalizzazione della motivazione sociale (dal contesto scolastico a quello familiare) attraverso l’uso della musicoterapia; – sperimentare una didattica in grado di sviluppare una attività di musicoterapia come attività valida per migliorare il benessere e lo sviluppo scolastico dei soggetti con autismo.

90

Sulla base di precedenti studi sull’uso della musicoterapia in ambito scolastico (Chiappetta Cajola et al., 2008; De Angelis, 2004) e di recenti ricerche applicative su tale costrutto (Pecoraro Esperson, 2006; Carr e Wigram, 2009; Chiappetta Cajola e Rizzo, 2016a; 2016b), l’ampliamento delle ipotesi attraverso l’uso della subscala SRS (SMS-SRS) potrebbe produrre acquisizioni importanti per facilitare l’apprendimento e, in particolare, l’interazione motivante negli alunni con autismo.

Bibliografia Achenbach T., McConaughy S., Howell C. (1987). Child/adolescent behavioral and emotional problems: Implications of cross-informant correlations for situational specificity. Psychological Bulletin, 101(2), 213-232. Bocci F. (2013). Dall’esclusione All’inclusione. L’evoluzione Del Sistema Scolastico Verso Una Didattica Inclusiva. In L. d’Alonzo (Ed.), DSA elementi di didattica per i bisogni educativi speciali (pp. 15-30). Milano: Etas. Bocci F. (2015). Dalla Didattica Speciale Per L’Inclusione Alla Didattica Inclusiva: L’Approccio Cooperativo E Metacognitivo. In L. d’Alonzo, F. Bocci, S. Pinnelli (Eds.), Didattica Speciale Per L’Inclusione (pp. 85-166). Brescia: La Scuola. Camargo S. et al. (2014). A Review of the Quality of Behaviorally-Based Intervention Research to Improve Social Interaction Skills of Children with ASD in Inclusive Settings. Journal of Autism and Developmental Disorders, 44(9), 2096-2116. Carr C., Wigram T. (2009). Music Therapy with Children and Adolescents in Mainstream Schools: A Systematic Review. British Journal of Music Therapy, 23(1), 3-18. Carré A. et al. (2015). Tracking Social Motivation Systems Deficits: The Affective Neuroscience View of Autism. Journal of Autism and Developmental Disorders, 45(10), 3351-3363. Chevallier C. (2012a). Brief report: Selective social anhedonia in high functioning autism. Journal of Autism and Developmental Disorders, 42(7), 1504-1509. Chevallier C. et al. (2012b). The social motivation theory of autism. Trends in Cognitive Sciences, 16(4), 231-239. Chiappetta Cajola L. (2008). Didattica per l’integrazione: processi regolativi per l’innalzamento della qualità dell’istruzione. Roma: Anicia.

2. Esiti di ricerca


Chiappetta Cajola L., Esperson Pecoraro P., Rizzo A. (2008). Musicoterapia per l’integrazione strategie didattiche e strumenti valutativi. Milano: Angeli. Chiappetta Cajola L. et al. (2012). Music and Children: The influence of music on social skills of children. In. Overy, K. et al. (a cura di), The Neurosciences and Music, New York: Annals of the New York Academy of Sciences. Chiappetta Cajola L., Ciraci A. (2013). Didattica inclusiva quali competenze per gli insegnanti? Roma: Armando. Chiappetta Cajola L., Rizzo A. (2016a). Didattica inclusiva e musicoterapia proposte operative in ottica ICF-CY ed EBE. Milano: Angeli. Chiappetta Cajola L., Rizzo A. (2016b). Musica e inclusione: teorie e strategie didattiche. Roma: Carocci. Claussen D., Thaut M. (1997). Music as a mnemonic device for children with learning disabilities. Canadian Journal of Music Therapy, 5, 55-66. Constantino J., Gruber C. (2005). Social Responsiveness Scale (SRS). Los Angeles: Western Psychological Services. Constantino J., Gruber C. (2012). Social Responsiveness Scale, Second Edition. Los Angeles, CA: Western Psychological Services. Cottini L. (1997). L’insegnamento delle abilità integranti. In P. Meazzini (Ed.), Handicap: passi verso l’autonomia (pp. 517-531). Firenze: Giunti. Cottini L. (2002). Il bambino autistico a scuola: quale integrazione? Psicologia e Scuola, 109, 1229. Cottini L. (2008). Autismo e integrazione scolastica: l’intervento “abilitativo” sui problemi comportamentali. American Journal of Mental Retardation (Edizione italiana), 6, 2, 413-432. D’Alessio S. et al. (2015). L’Approccio Dei Disability Studies Per Lo Sviluppo Delle Pratiche Scolastiche Inclusive In Italia. In R. Vianello, S. Di Nuovo (Eds.), Quale Scuola Inclusiva In Italia? Oltre Le Posizioni Ideologiche: Risultati Della Ricerca (pp. 151-179). Trento: Erickson. De Angelis B. (1988). Musicoterapia. Riforma Della Scuola, 34(6), 82-91. De Angelis B. (1991). Linguaggi Non Verbali E Musicoterapia. In L. DeAnna (Ed.), La Scuola E I Disabili (pp. 183-189). Roma: L’Ed. De Angelis B. (1992). La Musicoterapia In Ambito Scolastico. In L. DeAnna (Ed.), Il Diritto Allo Studio (pp. 18-21). Roma: L’Ed. De Angelis B. (2004). La musicoterapia e lo sviluppo della persona. In A. Favorini (Ed.), Musicoterapia E Danzaterapia. Disabilità Ed Esperienze Di Integrazione Scolastica (pp. 43-61). Milano: FrancoAngeli. D’Ulisse M. et al. (2001). Music therapy and Integration: application within schools. In Atti di Congresso, 5th European Music Therapy Congress, Napoli (Italia), 21-24/04/2001. Duvekot J., et al. (2015). The Screening Accuracy of the Parent and Teacher-Reported Social Responsiveness Scale (SRS): Comparison with the 3Di and ADOS. Journal of Autism and Developmental Disorders, 45(6), 1658-1672. Esposito G., de Falco S., Venuti P. (2008). Early communication signals in children with Autistic Spectrum Disorder (ASD). Journal of Intellectual Disability Research, 52(8), 677. Finnigan E., Starr E. (2010). Increasing social responsiveness in a child with autism: A comparison of music and non-music interventions. Autism, 14(4), 321-348. Geretsegger M. et al. (2016). Feasibility of a trial on improvisational music therapy for children with autism spectrum disorder. Journal of Music Therapy, 53(2), 93-120. Gfellner K. (1983). Music-based mnemonics as an aid to retention with normal and learning-disabled students. Journal of Music Therapy, 20, 179-189. Gold C., Wigram T., Elefant C. (2006). Music therapy for autistic spectrum disorder. Cochrane Database of Systematic Reviews, 2, articolo: CD004381. Haering S. (2017). The Social Responsiveness Scale (SRS) in the valuation of social skills in music and music therapy research: a literature research. European Journal of Multidisciplinary Studies, 6(1), 121-130. Hosseini M. et al. (2015). Music therapy: An effective approach in improving social skills of children with autism. Advanced Biomedical Research, 4(1), 157. Hundert J., Rowe S., Harrison E. (2014). The Combined Effects of Social Script Training and Peer Buddies on Generalized Peer Interaction of Children with ASD in Inclusive Classrooms. Focus on Autism and Other Developmental Disabilities, 29(4), 206-215. Kim J., Wigram T., Gold C. (2008). The Effects of Improvisational Music Therapy on Joint Attention

anno V | n. 2 | 2017

BARBARA DE ANGELIS

91


92

Behaviors in Autistic Children: A Randomized Controlled Study. Journal of Autism and Developmental Disorder, 38(9), 1758-1766. Kohls G. et al. (2013). Reward system dysfunction in autism spectrum disorders. Social Cognitive and Affective Neuroscience, 8(5), 565-572. LaGasse A. (2017). Social outcomes in children with autism spectrum disorder: A review of music therapy outcomes. Patient Related Outcome Measures, 8, 23-32. Maich K. et al. (2015). Developing Social Skills of Summer Campers with Autism Spectrum Disorder: A Case Study of Camps on TRACKS Implementation in an Inclusive Day-Camp Setting. Exceptionality Education International, 25(2), 27-41. Matzies-Köhler M. (2015). Autismus Adlerblick und Tunnelsicht 2: Tipps für Lehrer [Autismo vista aquila e tunnel vista 2: suggerimenti per gli insegnanti], CreateSpace, North Charleston. MIUR. (2017). Decreto Legislativo 13 aprile 2017, n. 66. Norme per la promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera c), della legge 13 luglio 2015, n. 107. Morganti A., Bocci F. (2017). (Eds.). Didattica inclusiva nella scuola primaria. Educazione socioemotiva e apprendimento cooperativo per costruire competenze inclusive attraverso i “compiti di realtà”. Firenze: Giunti. Pearl A. et al. (2013). Assessing Adolescent Social Competence Using the Social Responsiveness Scale: Should We Ask Both Parents or Will Just One Do? Autism: The International Journal of Research and Practice, 17(6), 736-742. Pecoraro Esperson P. (2006). The pleasure of being ‘differently able’: integration through music therapy in primary schools. Music Therapy Today, 7(2), 413-429. Plaisted K. (2001). Reduced generalization in autism: An alternative to weak central coherence. In J. Burack et al. (Ed.), The development of autism: Perspectives from theory and research (pp. 149-169). Mahwah, NJ: Lawrence Erlbaum. Postacchini L., Ricciotti A., Borghesi M. (1997). Lineamenti di musicoterapia. Roma: Carocci. Reszka S. et al. (2014). Brief Report: Concurrent Validity of Autism Symptom Severity Measures. Journal of Autism and Developmental Disorders, 44(2), 466-470. Roche R. (2002). L’ intelligenza prosociale. Imparare a comprendere e comunicare i sentimenti e le emozioni. Trento: Erickson. Schwartzberg E., Silverman M. (2013). Effects of music-based social stories on comprehension and generalization of social skills in children with autism spectrum disorders: A randomized effectiveness study. The Arts in Psychotherapy, 40(3), 331-337. Sedgewick F. et al. (2016). Gender Differences in the Social Motivation and Friendship Experiences of Autistic and Non-autistic Adolescents. Journal of Autism & Developmental Disorders, 46(4), 1297-1307. Shi Z., Lin G., Xie Q. (2016). Effects of music therapy on mood, language, behavior, and social skills in children with autism: A meta-analysis. Chinese Nursing Research, 3(3), 137-141. Siegel S. (2001). La mente relazionale. Milano: Raffaello Cortina. Stern, D.N. (1985). Il mondo interpersonale del bambino. Tornio: Boringheri. Trevarthen C. (2002). Autism, sympathy of motives and music therapy. Enfance, 54(1), 86-99. UE, Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2006, relativa a competenze chiave per l’apprendimento permanente (2006/962/CE). van der Ende J., Verhulst F., Tiemeier H. (2012). Agreement of informants on emotional and behavioral problems from childhood to adulthood. Psychological Assessment, 24(2), 293-300. Venuti P. (2003). L’autismo, percorsi d’intervento. Roma: Carocci. Venuti P., de Falco S., Esposito G., Bentenuto A., Villotti P., Bornstein M. H. (2008). Global affective quality and discrete synchronous behaviours in the interaction of mothers and children with Autism Spectrum Disorders, 7° Annual International Meeting for Autism Research (IMFAR), May 15-17, London, U.K. Wilde L., Mitchell A., Oliver C. (2016). Differences in Social Motivation in Children with Smith-Magenis Syndrome and Down Syndrome. Journal of Autism and Developmental Disorders, 46(6), 2148-2159.

2. Esiti di ricerca


Accessibilità alla conoscenza e Universal Design. Uno studio esplorativo con docenti e studenti universitari

The aim of the paper is to present a research about accessibility in higher education and, specifically, about the dimensions that can serve as facilitators or barriers. Concerning knowledge, as the focus of this paper, its accessibility implies to be understandable, available and usable by all people, to the greatest extent possible. Increasing accessibility means increasing participation and promoting flexibility in the identification of multiple ways for knowledge access. These words – participation, flexibility, pluralism – are at the basis of Universal Design (CAST, 2011). The study has been realized with a group of teachers and their students of some courses in Padova University and it aims to be a pilot study for developing a reflection about these issues in higher education. The specific aim is to explore the role of teachers’ values and practices in promoting access to knowledge, trying to understand which elements serve as facilitators or barriers (beliefs and values, practices, methods, assessment procedures). Results will be presented in relation to Universal Design principles.

© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2282-5061 (in press) ISSN 2282-6041 (on line)

Key-words: accessibility, inclusion, higher education, universal design

2. Esiti della ricerca

*

Sebbene il contributo sia frutto del lavoro condiviso tra gli autori, i paragrafi Introduzione, 2.4 e Considerazioni conclusive sono attribuibili a D. Aquario, i paragrafi 1. e 2.1 a E. Ghedin, i paragrafi 2.2 e 2.3 a I. Pais.

Italian Journal of Special Education for Inclusion

abstract

Debora Aquario (Università degli Studi di Padova / debora.aquario@unipd.it) Ignacio Pais (Università degli Studi di Padova / ignacio.pais@yahoo.com) Elisabetta Ghedin (Università degli Studi di Padova / elisabetta.ghedin@unipd.it)

anno V | n. 2 | 2017

93


Introduzione. La necessità di uno sguardo complesso

94

Il presente lavoro1 ha lo scopo di analizzare il processo dell’accesso alla conoscenza cercando di esplorare e comprendere le dimensioni che ruotano intorno ad esso e che possono agire da facilitatori o da barriere. Adottando il pensiero della complessità (Semeraro, 1991), si può affermare non solo che la genesi di questi elementi può essere di diversi tipi (di tipo fisico, soggettivo, pedagogico, sociale, culturale, istituzionale, etc.), ma anche che essi non possono essere determinati in modo mono-causale, né essere attribuiti al singolo individuo ma si costruiscono su interdipendenze tra la persona che conosce e l’ambiente da osservare, comprendere, interpretare. Infatti, la dinamica che muove tali elementi si svolge all’interno di una trama complessa, costituita da diverse dimensioni e fattori messi in gioco in un contesto specifico. Il pensiero complesso implica lo sviluppo e l’uso di una dinamica di flessibilità: il pensiero complesso è, innanzitutto, un pensiero che ‘mette in collegamento’. Presuppone l’idea di includere nel processo di interpretazione della realtà e di costruzione della conoscenza i concetti fondamentali e i rapporti logici che sono alla base del pensiero. In questo modo, la complessità costituisce un processo di pensiero investigativo essenzialmente interdisciplinare, che è condizione sine qua non per affrontare con successo la complessità del mondo. Nel contesto del presente studio, pensare l’accessibilità adottando questo sguardo comporta che essa venga compresa come una costruzione concettuale complessa derivante dall’interazione tra diverse dimensioni di analisi, in particolare tra l’individuo, le sue potenzialità e possibilità e le barriere (istituzionali, pedagogiche, culturali, sociali, soggettive, fisiche, etc.) che è possibile incontrare come ostacolo ad un accesso significativo alla conoscenza (Boggino, 2010; Boggino e Boggino, 2013). In altre parole, l’approccio scelto consente di avvicinarsi alla questione dell’accessibilità nel mondo universitario a partire da uno sguardo nuovo, entro il quale il fenomeno non è limitato alla questione dell’accessibilità dal punto di vista degli spazi fisici (senza ovviamente voler ridurre l’importanza di questo aspetto), ma tiene conto anche di altri accessi, primo tra tutti quello dell’accesso alla conoscenza. La novità consiste dunque nella possibilità di pensare l’accessibilità non solo da un punto di vista “fisico” o mirato sulle “persone disabili”, ma su tutta la popolazione appartenente ad un dato contesto. Il paradigma della complessità consente di operare questo “spostamento”, dai risultati ai processi, dai soggetti alle persone inserite in contesti, dal deficit alle differenze, dalle difficoltà individuali alle opportunità offerte dai contesti. Ciò nella convinzione che guardare fenomeni complessi, come l’accessibilità, da una lente “semplice”, riduzionista, lineare, non sia uno sguardo in grado di tenere conto del tessuto entro il quale interagiscono tutte le dimensioni possibili di analisi e comprensione di quei fenomeni.

1

Il presente studio si colloca in un quadro di ricerca più ampio, ideato e coordinato dal Prof. Norberto Boggino, presso il CIUNR (Consejo de Investigaciones de la Universidad Nacional de Rosario) dell’Università Nazionale di Rosario, Argentina.

2. Esiti della ricerca


1. Rendere accessibile la conoscenza: lo Universal Design for Learning

Un concetto chiave per l’individuo e le relazioni che costruisce con l’ambiente in cui è immerso è rappresentato dall’accessibilità, in quanto fattore che, a seconda del “grado”, condiziona sensibilmente la possibilità di costruire conoscenza in modo significativo. Se pensiamo ai luoghi il cui accesso è possibile e “facile” (accessibilità è infatti un costrutto ampiamente utilizzato in ambito geografico e architettonico), ci renderemo conto che tale elemento influenza l’“insediamento” in quei luoghi, così come la possibilità di utilizzarne le risorse. Si tratta dunque di un elemento di considerevole rilevanza e che risulta anche influenzato a sua volta da una molteplicità di fattori. Restando nell’ambito geografico, l’accessibilità di un luogo muta (di solito crescendo) con il passare del tempo, conseguentemente alla costruzione e messa in atto di soluzioni che facilitano il passaggio, aprendo varchi dove prima non c’erano (come i trafori che facilitano l’attraversamento di catene montuose) o costruendo strade alternative che deviano il flusso e consentono un facile accesso. Naturalmente la possibilità di avvicinarsi ed entrare in un luogo di per sé non è sufficiente per definire un luogo accessibile. Rendere accessibile un luogo, anche metaforico, corrisponde ad un ampliamento della partecipazione, attraverso la riduzione di eventuali ostacoli presenti e la promozione e il rinforzo degli elementi facilitanti. Ne deriva che un luogo con accessibilità ridotta risente degli svantaggi di una scarsa partecipazione e quindi dell’isolamento, mentre un grado elevato di accessibilità risulta essere un potenziale fattore positivo per lo sviluppo e la crescita dei luoghi che possiedono tale caratteristica. Nell’accessibilità rientra infatti anche l’utilizzabilità, come suggerisce anche l’uso di questo termine in campo tecnico/informatico. In ingegneria informatica, infatti, un’applicazione si può definire accessibile quando una delle sue proprietà fondamentali è che può essere utilizzata dal più ampio numero possibile di utenti. Nella Convenzione ONU sui diritti delle persone in situazione di disabilità (2007) si approfondisce bene cosa si intenda per accessibilità (art. 9): “Al fine di consentire alle persone con disabilità di vivere in maniera indipendente e di partecipare pienamente a tutti gli ambiti della vita, gli Stati Parti devono prendere misure appropriate per assicurare alle persone con disabilità, su base di eguaglianza con gli altri, l’accesso all’ambiente fisico, ai trasporti, all’informazione e alla comunicazione, compresi i sistemi e le tecnologie di informazione e comunicazione, e ad altre attrezzature e servizi aperti o offerti al pubblico, sia nelle aree urbane che nelle aree rurali. Queste misure, che includono l’identificazione e l’eliminazione di ostacoli e barriere all’accessibilità”

L’accessibilità e la fruibilità di prodotti, ambienti e servizi sono considerati principi atti a garantire l’espressione dei diritti fondamentali dell’uomo e ad evitare forme di discriminazione determinate dalla condizione di disabilità. L’accessibilità viene, riconosciuta come valore in sé, utile alla totalità degli individui e pertanto da tutelare, non solo nell’interesse dell’intera collettività che si presenta sempre più costituita da una variabilità di persone e da altrettante caratteristiche. Sul versante educativo e didattico, cosa comporta tale visione? Trasferendo il dianno V | n. 2 | 2017

DEBORA AQUARIO, IgNACIO PAIS, ELISABETTA ghEDIN

95


96

scorso in ambito educativo e didattico, e riferendoci alla conoscenza, in quanto oggetto di questo studio, l’accessibilità si traduce nell’essere comprensibile, raggiungibile e fruibile dal più ampio numero possibile di studenti. Da ciò si deduce che parlare di accessibilità e lavorare per la sua promozione significa agire in una prospettiva inclusiva con la finalità di individuare, in particolare, gli ostacoli all’apprendimento e alla partecipazione che le persone incontrano e valorizzare azioni e prassi positive che mettano al centro facilitatori di apprendimento appassionato. Isabelle Turmaine della International Association of Universities, ha affermato, in una recente conferenza sull’abbattimento delle barriere alla partecipazione in ambito universitario (Zero project, 2016), che sempre più università si stanno attrezzando per adottare delle linee guida capaci di migliorare l’accessibilità delle informazioni e incrementare l’uso delle risorse online e delle ICT al fine di rendere i contesti più inclusivi (Santi, Di Masi, 2017) il che significa aprire varchi di partecipazione e promuovere flessibilità nell’individuazione di percorsi multipli per l’accesso alla conoscenza. Queste parole – partecipazione, flessibilità, molteplicità – sono alla base del paradigma conosciuto come Universal Design, che spinge a ripensare la progettazione ponendosi nella prospettiva in base alla quale non si tratta più di cancellare le barriere ma di fare un “disegno senza barriere” (CAST, 2011). Quest’idea, in costante evoluzione, prende avvio nel 1989, quando l’architetto Ronald L. Mace mette in discussione il concetto di “accessibilità” e propone la filosofia della “Progettazione Universale”, creando così il “Center for Universal Design” all’interno della North Carolina State University (NCSU). L’idea di fondo dello Universal Design è che ciò che risulta progettato – fin dall’inizio e senza adattamenti a posteriori – per le persone che presentano una qualche difficoltà, sarà inevitabilmente adeguato anche per chi non ha particolari esigenze: si tratta, di fatto, di una progettazione di qualità con un’attenzione particolare alle esigenze di ciascuno. Oggi i concetti dello Universal Design sono usati in una varietà di contesti. Quando applicato al contesto educativo lo Universal Design for Learning (UDL) fa riferimento ad un sistema educativo reso flessibile, attraverso la strutturazione di un curricolo che può essere accessibile e fruibile da tutti gli studenti con abilità e backgrounds ampiamente differenti (Zeff, 2007). Lo UDL è costituito da una serie di principi per lo sviluppo di curricula che offrono a tutti gli studenti uguali opportunità di apprendimento. Nell’ambito di un lavoro volto a integrare l’UDL e il metodo dell’istruzione differenziata2 (Tomlinson, 2006), i membri del CAST considerano di poter intervenire sull’accessibilità del curriculo almeno a tre livelli: contenuti, processi ed esiti. Per quanto riguarda per esempio i contenuti, la proposta è di far ricorso a diversi supporti e formati affinché i materiali possano essere utilizzati in base alle preferenze di ciascun alunno per livelli e modalità di fruizione. Non dovrebbe quindi essere variato ciò che si insegna, ma il modo in cui gli studenti incontrano le in-

2

“L’istruzione differenziata è un’istruzione sensibile alle differenze. ha luogo quando l’insegnante diventa progressivamente capace di comprendere i suoi studenti come individui, si sente sempre più a suo agio con i significati e le strutture delle discipline che insegna ed è sempre più esperto nella flessibilità dell’istruzione allo scopo di allineare quest’ultima ai bisogni dello studente in modo da massimizzare le potenzialità di ogni ragazzo in una determinata area di apprendimento” (C.A. Tomlinson, 2006, p. 17).

2. Esiti della ricerca


formazioni per assicurarsi che tutti abbiano accesso all’essenziale (Casper & Leuchovius, 2005). L’attenzione è quindi al processo intendendo con esso il continuum entro cui lo studente dà senso e giunge a comprendere le informazioni, le idee, e le conoscenze fondamentali di un contenuto disciplinare. A partire da questa prospettiva, l’obiettivo implicito dell’educazione dovrebbe cambiare: non è più possibile parlare di “omogeneizzare” ma diventa urgente “diversificare”, identificando, comprendendo e incontrando le diversità che contraddistinguono ogni studente e che lo rendono unico (Meyer & Rose, 2005). E allora, come esito, diventa importante valorizzare tutte le diverse manifestazioni dei modi di apprendere degli studenti che si esprimono nei loro modi di essere e di fare (funzionamenti, Sen, 1992) e guidano le scelte verso la realizzazione dei loro personali progetti di vita. Dall’integrazione delle teorie basate sul funzionamento cerebrale, la ricerca sulle migliori pratiche didattiche e la crescita nel campo delle tecnologie adottabili nell’ambito dell’insegnamento, nascono i principi di un modello che rappresenta una valida esemplificazione di come l’apprendimento possa essere reso più soddisfacente per tutti gli studenti (Kurtts, 2006). L’UDL è un approccio educativo che si basa sull’idea che le reti neurologiche del cervello (riconoscitive, strategiche e affettive) siano gli elementi essenziali da considerare nel progettare curricula inclusivi attraverso percorsi che meglio indirizzano alle diversità e unicità di ciascun individuo nella sua esperienza di apprendimento (Courey, Tappe, Siker, & LePage, 2012). I principi, che saranno brevemente illustrati in seguito, sono descritti nelle Linee guida dell’UDL3. Il primo principio fa riferimento al fornire molteplici mezzi di rappresentazione, ed è riferito cioè ad accomodare ragionevolmente (Convenzione ONU, 2007) la pratica educativa a partire dalla considerazione della variabilità dei sistemi neuronali di riconoscimento. Questo principio è coerente con la prospettiva che gli studenti differiscono nel modo in cui percepiscono e comprendono le informazioni che vengono loro presentate. Declinare questo principio nell’insegnamento, significa che i docenti attivano, attraverso diverse modalità, le reti di riconoscimento che, essendo associate principalmente al “cosa” dell’apprendimento, individuano i concetti e le idee chiave da riconoscere (Rose et al., 2005). Si consente così agli studenti di acquisire informazioni e conoscenze in diversi modi, poiché ognuno ha preferenze uniche nelle modalità di acceso ai materiali didattici (per stili di apprendimento, provenienza culturale o stili cognitivi diversi, abilità differenti). Questo principio sottolinea quanto sia più funzionale all’accesso alle conoscenze da parte di tutti gli studenti, una progettazione che a priori preveda varie rappresentazioni di concetti e informazioni (Meyer & Rose, 2005). Il secondo principio riguarda il fornire molteplici mezzi di azione ed espressione. Questo principio è stato ideato per rispondere alla variabilità presente nei sistemi neuronali volti ai processi di rielaborazione ed espressione dei contenuti. Identificare diversi mezzi attraverso i quali far agire ed esprimere gli studenti consente di attivare le reti strategiche del cervello maggiormente legate al concetto del “come” si apprende (Rose & Meyer, 2002). Si tratta di strategie utili alla pianificazione e all’esecuzione delle azioni che seguono il momento in cui le informazioni vengono presentate; stra-

3

Universal Design for Learning guidelines, www.udlcenter.org

anno V | n. 2 | 2017

DEBORA AQUARIO, IgNACIO PAIS, ELISABETTA ghEDIN

97


98

tegie che riguardano la fase di dimostrazione di quanto assorbito delle suddette informazioni. Permettendo agli studenti di approfondire quello che sanno in diversi modi, gli si dà la possibilità di scegliere come condividere quanto hanno appreso (Evans, Williams, King, & Metcalf, 2010). Infine il terzo principio fornire molteplici mezzi di coinvolgimento ha come finalità non solo quella di rendere l’insegnamento accessibile a tutti considerando la comprensione e l’elaborazione dei contenuti, ma tiene anche conto dell’atteggiamento che lo studente ha nei confronti dell’apprendimento stesso, essendo esso indicatore fondamentale dell’efficacia di questo processo. Promuovere il coinvolgimento di uno studente in modo tale da garantire che mantenga un alto livello di interesse ed impegno, significa attivare i sistemi cerebrali così detti affettivi (emotivi). L’attivazione di questa rete neuronale consente di attribuire un significato al motivo per cui gli studenti agiscono sulle conoscenze in un determinato modo: il “perché” dell’apprendimento. Per coinvolgere e motivare gli studenti, l’apprendimento deve essere connesso ai problemi della vita reale, ponendo particolare attenzione alle interazioni sociali con il gruppo dei compagni che spesso possono consentire anche di apprendere in modo più efficace (Evans, Williams, King, & Metcalf, 2010). In generale, numerosi sono i motivi che possono influenzare la variazione individuale del coinvolgimento come ad esempio la dimensione culturale, l’inclinazione personale, la conoscenza pregressa. Alcuni studenti sono altamente coinvolti dalla spontaneità e dalle novità, mentre altri non sono coinvolti, o anche spaventati da questi aspetti, preferendo la rigida routine. Alcuni studenti potrebbero preferire lavorare da soli, mentre altri preferiscono lavorare con gli altri. Strategie utili per promuovere il coinvolgimento degli studenti sono: offrire scelte su come gli obiettivi didattici possano essere raggiunti e sugli strumenti di supporto utilizzabili; ottimizzare ciò che è rilevante, di valore e significativo per gli studenti; ridurre le minacce e le distrazioni negative per tutti allo scopo di creare uno spazio sicuro in cui possa avvenire l’apprendimento; regolare l’attenzione e l’interesse degli studenti in modo da sostenere lo sforzo e la concentrazione che richiede l’apprendimento. Sicuramente esse non rappresentano le uniche soluzioni possibili per favorire il coinvolgimento degli studenti, perché le differenze individuali possono far sì che emergano molte ragioni differenti come fattori di demotivazione (Meyer & Rose, 2005). In sintesi, la promessa dell’Universal Design for Learning è di rendere gli studenti motivati e felici, coinvolti nel loro processo di apprendimento, favorendo l’accessibilità alle opportunità di apprendimento e fornendo loro gli strumenti per esprimere la loro conoscenza (ghedin, 2017).

2. Un’indagine in alcuni corsi dell’Università degli Studi di Padova

2.1 Premesse e obiettivi della ricerca

Come accennato, l’approccio di riferimento è quello della complessità, che implica uno sguardo sistemico rispetto alla molteplicità di dimensioni in gioco e alle loro interrelazioni reciproche. Tale sguardo consente di prendere in consi-

2. Esiti della ricerca


derazione i dati emergenti come parte di un processo che si verifica all’interno di un contesto in cui è possibile non solo individuare le barriere e i facilitatori rispetto all’accesso alla conoscenza, ma anche la trama di relazioni tra i diversi aspetti. Una ricerca con queste premesse paradigmatiche deve coerentemente collocarsi all’interno di una metodologia qualitativa con un approccio interpretativo: questo non ci priva della possibilità di quantificare l’informazione, ma con uno sguardo che privilegia l’attribuzione di significato al dato (Sorzio, 2005). gli obiettivi riguardano dunque il tentativo di esplorare il ruolo assunto dai valori4 e dalle pratiche didattiche dei docenti nel promuovere l’accesso alla conoscenza. L’importanza risiede nella possibilità di comprendere se e quali sono gli elementi (in termini di presupposti epistemologici, approcci didattici, strategie di insegnamento/apprendimento, strategie di studio e modalità di esame) che possono agire in direzione ostacolante o facilitante nei processi di costruzione della conoscenza, cercando di cogliere anche le possibili influenze reciproche tra gli elementi stessi. Inoltre, i risultati emergenti saranno messi in relazione con la prospettiva della Progettazione Universale, tentando di esplorare la loro vicinanza rispetto ai principi cardine. Un’indagine di questo tipo emerge dalla necessità di avviare studi e ricavare dati sulla filosofia della Progettazione Universale all’interno dell’istruzione superiore, contesto in cui a livello internazionale è presente e radicata nella pratica e nel dibattito scientifico (Burgstahler, 2013; goff & higbee, 2008; Poore-Pariseau, 2013; griful-Freixenet et al., 2017; Black et al., 2015; Schelly et al., 2011), mostrando il suo potenziale inclusivo e i suoi benefici nella progettazione e nell’istruzione. 2.2 I partecipanti

I partecipanti sono un gruppo di docenti e studenti appartenenti a tre differenti Corsi di laurea dell’Università degli Studi di Padova (Scienze della Formazione Primaria, Scienze dell’Educazione e Servizio Sociale). Il contesto disciplinare è dunque rappresentato dalle Scienze Umane. All’interno di ciascun Corso di laurea è stato scelto un insegnamento del terzo anno, tutti e tre di area educativa: A (con 26 studenti), B (76 studenti) e C (42 studenti), per un totale complessivo di 144 studenti. I docenti che hanno preso parte all’indagine sono i tre docenti dei rispettivi insegnamenti.

4

Per valori qui si fa riferimento al significato che ne attribuiscono T. Booth e M. Ainscow nel Nuovo Index per l’inclusione: “I valori sono guide fondamentali e un impulso per l’azione. Ci spronano in avanti, indicano una direzione e definiscono una destinazione. Non possiamo sapere se stiamo facendo (o abbiamo fatto) la scelta giusta se non comprendiamo il rapporto tra le nostre azioni e i valori, poiché tali valori sono impliciti in tutte le azioni che coinvolgono gli altri e possono essere oggetto di un giudizio morale, che ne siamo consapevoli o meno. È il modo attraverso cui diciamo “questa è la cosa giusta da fare”. Sviluppando un quadro di valori dichiariamo come vogliamo vivere ed educarci insieme gli uni con gli altri, ora e in futuro” (p. 49).

anno V | n. 2 | 2017

DEBORA AQUARIO, IgNACIO PAIS, ELISABETTA ghEDIN

99


2.3 Gli strumenti 2.3.1 Intervista

L’intervista semi-strutturata, rivolta ai tre docenti titolari degli insegnamenti in cui sono stati raccolti i dati tramite i questionari (descritti nel paragrafo successivo), ha permesso di esplorare i seguenti temi (derivanti dal quadro teorico presentato precedentemente): a) i significati attribuiti ai processi di apprendimento, all’idea di differenza e al concetto di accessibilità; b) il ruolo delle strategie didattiche come possibili facilitatori/barriere rispetto alla costruzione della conoscenza e come risposta all’eterogeneità della popolazione studentesca; c) la percezione rispetto alle principali difficoltà incontrate dagli studenti nell’apprendimento delle conoscenze; d) il ruolo della valutazione nel processo di insegnamento e apprendimento; e) la tipologia di barriere che ostacolano l’accesso alla conoscenza.

2.3.2 Questionario

100

Per quanto riguarda gli studenti, i dati sono stati raccolti in modalità scritta tramite un questionario contenente domande a risposta chiusa (in cui veniva richiesto al rispondente di individuare, tra le opzioni, quella che più si avvicina alla propria posizione), e domande a risposta aperta presentate subito dopo la scelta della risposta chiusa, per far sì che gli studenti potessero giustificare e argomentare la risposta scelta in precedenza (per un totale di 10 domande). Lo strumento, già in uso presso l’Università di Rosario, è stato tradotto e rivisto alla luce di numerosi feedback ricevuti da un gruppo di studenti della Scuola di Psicologia che ne hanno testato la comprensibilità. I temi esplorati tramite il questionario rivolto agli studenti sono gli stessi presenti nell’intervista rivolta ai docenti. 2.4 Analisi dei dati e discussione dei risultati

Nell’analisi dei dati si metteranno in connessione le diverse dimensioni prese in considerazione e nello specifico, questo impegno si traduce in due aspetti: da un lato, i risultati delle interviste e dei questionari saranno presentati in maniera congiunta in modo da far emergere possibili letture trasversali, o quantomeno in relazione, tra docenti e studenti; dall’altro, lo sguardo complesso nella presentazione dei risultati implica una interconnessione tra le diverse domande per cercare di individuare incroci e possibili spiegazioni reciproche tra le varie risposte. Dalle analisi effettuate sui 144 questionari raccolti5 e sui testi delle 3 interviste effettuate con i docenti6, è emerso quanto segue.

5

6

Per quanto riguarda l’analisi dei dati raccolti tramite i questionari, si è proceduto ad un’analisi descrittiva con calcolo delle frequenze e delle percentuali di risposta per ciascuna domanda. Le risposte alle domande aperte invece sono state sottoposte ad una analisi testuale del contenuto. Le frasi virgolettate riportate nel paragrafo sono estrapolate dalle risposte e rappresentano quindi la voce degli studenti. I testi delle interviste sono stati importati nel software Atlas.ti 7. È stata dunque dapprima creata

2. Esiti della ricerca


Secondo gli studenti, le strategie didattiche sono state rese accessibili e fruibili nel 70% dei casi. Nonostante la “positività” delle percentuali, dai dati risulta che le strategie si possono presentare come ostacolo e come facilitatore in momenti diversi: ciò che a volte viene riconosciuto come facilitatore, in un momento o contesto diverso, si può presentare come barriera. Una dimensione in relazione con quanto appena presentato è la complessità dei contenuti: quando i contenuti sono complessi, le alternative (in termini di strategie didattiche) non risultano così flessibili e semplici da attuare. Emerge una consapevolezza da parte dei docenti delle dimensioni in gioco, della complessità del contesto e della molteplicità di fattori implicati: sono riconosciuti come fattori importanti non solo in riferimento alla propria pratica quotidiana, ma anche rispetto alla possibilità di agire e produrre movimenti e flessibilità sia sul piano didattico sia istituzionale. Nonostante ciò, a volte manca un’autocritica sul proprio agire, ad esempio nel momento in cui le barriere vengono “collocate” – dai docenti – negli studenti o nell’istituzione (in ogni caso esterne rispetto alla propria pratica). Per quanto riguarda i processi di costruzione delle conoscenze, il 35,4% degli studenti dichiara di aver incontrato difficoltà e, in particolare, il 41,5% ha percepito molta distanza tra le conoscenze pregresse e le conoscenze oggetto di apprendimento dei corsi. Per quanto riguarda la prova d’esame, l’86% ritiene che la valutazione sia parte integrante del processo di apprendimento. Riguardo alla considerazione di questo elemento come barriera o facilitatore rispetto all’apprendimento, il 77% ritiene che il formato specifico della prova d’esame possa favorire il proprio apprendimento e il restante 23% pensa che incontrerà difficoltà/ostacoli dovuti proprio al formato della prova d’esame. Come riporta un docente, la scelta di prova d’esame unica rappresenta potenzialmente una barriera perché “è come se tutte le persone dovessero passare per la stessa porta con la stessa altezza, grandezza e non tutte hanno la stessa conformazione”. Per quanto riguarda gli ostacoli incontrati durante tutto il percorso, in generale il 56,8% degli studenti ritiene di averli incontrati e la natura di tali ostacoli si divide in: ostacoli fisici: 1,8%; ostacoli di comprensione: 38%; di tipo didattico: 27%; istituzionali: 11%; relazionali: 11%; altri: 11,2%. Il tipo di ostacolo più segnalato è dunque quello che era stato denominato “di comprensione”. Il secondo più segnalato è di tipo didattico (questi due tipi di ostacoli rappresentano dunque il 65% degli ostacoli totali). Nelle risposte alla domanda successiva (in cui si chiedeva di spiegare sinteticamente l’ostacolo), quelli di tipo didattico sono stati specificati con i seguenti elementi: orario delle lezioni, complessità dei contenuti, organizzazione e struttura del corso, conoscenze pregresse. Quando invece l’ostacolo individuato era di comprensione, le risposte aperte indicavano principalmente la difficoltà di “comprendere le connessioni tra i contenuti spiegati”. Un altro aspetto spesso evidenziato nelle risposte degli studenti riguarda l’ostacolo “istituzionale” indicato come: “struttura dei corsi”. gli studenti evidenl’unità ermeneutica (hU), contenente tutte le risposte dei tre docenti, cui ha fatto seguito la selezione di quelle parti di testo (le quotations) che si consideravano rilevanti ai fini della ricerca e alle quali si è attribuito un codice che ne riassumeva il significato.

anno V | n. 2 | 2017

DEBORA AQUARIO, IgNACIO PAIS, ELISABETTA ghEDIN

101


ziano che la struttura dei corsi, da un punto di vista istituzionale, “non permette di apprendere”: ci sarebbe necessità di elaborare, riflettere e rielaborare le conoscenze, ma la struttura delle lezioni e delle proposte formative, fissate in spazi e tempi rigidi, non facilita un apprendimento significativo, mentre risulta facilitante per un insegnamento di tipo trasmissivo. La stessa barriera è stata individuata dai docenti intervistati, i quali percepiscono la struttura dei propri corsi come un elemento di rigidità che viene poi trasferita anche al modo di presentare i contenuti agli studenti e quindi alle strategie didattiche. La flessibilità, la libertà di proporre itinerari alternativi spesso resta un desiderio, come dichiarato da due docenti su tre. In questo senso, secondo i docenti, la flessibilità potrebbe tradursi in azioni, quali:

– creare dei contesti dove possano emergere progetti di vita, sensi per l’esistenza, aspirazioni inattese e alternative; – prevedere momenti dove lo studente possa essere protagonista del percorso e non solo un ricettore passivo (ad es. role playing con successiva discussione, lavoro di gruppo, ecc.); – utilizzare un contesto online o workshop in cui progettare attività che siano gestite dagli studenti; – far vedere un filmato dal quale può partire una discussione; – invitare un esperto per una testimonianza o un approfondimento; – cambiare l’itinerario o destrutturare una lezione.

102

Non sempre queste opzioni possono essere tradotte in azioni metodologiche vere e proprie a causa delle barriere citate precedentemente, tuttavia l’importanza della flessibilità e della differenziazione è convinzione di tutti i docenti intervistati e uno di loro lo spiega così: “attaccare ogni concetto con modi diversi, così ognuno può trovare il proprio punto di contatto”. Si può ipotizzare che la complessità dei contenuti segnalata dagli studenti come ostacolo all’apprendimento derivi, o comunque sia in stretta relazione con quanto segnalato dai docenti e che uno di loro ha esplicitato come “difficoltà di muoversi”.

3. Considerazioni conclusive

Come approfondito precedentemente, lo UD for Learning propone un framework utile per guidare la pratica educativa e didattica che fornisce flessibilità in tre direzioni: nelle forme in cui l’informazione è presentata, nei modi in cui gli studenti mostrano le proprie conoscenze, abilità e competenze, nei modi in cui gli studenti sono motivati e coinvolti nel processo di apprendimento. Questa flessibilità è un elemento importante che supporta nel ridurre le barriere nell’istruzione ed è tuttavia l’aspetto maggiormente rilevato dai docenti intervistati come deficitario o carente nella loro esperienza accademica. La Progettazione Universale potrebbe costituire una risposta in questa prospettiva. Come affermato precedentemente, infatti, le linee guida della Progettazione Universale sono pensate per affiancare il docente nella costruzione di un curricolo che sia fin dall’inizio inclusivo: la sfida non è quella di modificare i percorsi in corso d’opera perché siano 2. Esiti della ricerca


adatti rispetto ai singoli studenti, ma di immaginare un programma che fin dal suo concepimento sia pensato e costruito per tutta la popolazione studentesca nella sua variabilità interindividuale. Se ciò non accade, si costruiscono i “disabled curricula” nel linguaggio dello UD for Learning, ossia quei curricula che possono essere definiti disabili in riferimento a: i destinatari (quando non tengono conto della variabilità della popolazione studentesca), gli oggetti dell’insegnamento (i curricula che si concentrano sulla mera trasmissione di informazioni tralasciano la costruzione di apprendimenti e la realizzazione di attività volte intenzionalmente allo sviluppo di capacità come quelle di comprendere, valutare, costruire conoscenza) e le strategie didattiche (che possono essere riduttive rispetto all’ampia gamma di alternative possibili, cioè tutte quelle strade a disposizione dell’insegnante per giungere a comprensioni significative). In sintesi, possiamo affermare che la “disabilità” di un curricolo è da ricercare nella sua (in)capacità di differenziare, a vari livelli. Tali caratteristiche rendono i percorsi poco accessibili e poco flessibili e questo si traduce in una difficoltà da parte del docente di trovare strade molteplici di presentare i contenuti, di renderli fruibili e di permettere agli studenti diverse opzioni di esprimere quanto appreso, come emerso dagli strumenti utilizzati in questa indagine. Il quadro emergente dai dati raccolti consente di ricavare alcuni elementi, il primo dei quali è l’accordo tra docenti e studenti rispetto alla presenza di ostacoli sulla strada della costruzione della conoscenza, di natura diversa, ma comunque presenti e fattori di limitazione rispetto all’ampia gamma di strategie e approcci possibili di insegnamento e apprendimento. Emerge dunque un bisogno di miglioramento in questa direzione, dato ad esempio da possibili percorsi di formazione in ottica UDL (Schelly et al., 2011). In secondo luogo, emergono molteplici modi di differenziare e rendere accessibili e fruibili in modi diversi le conoscenze, soprattutto nelle aree della rappresentazione e in quella del coinvolgimento. Tutti e tre i docenti infatti dichiarano di avere nel loro repertorio e di mettere in pratica diversi mezzi per la percezione e la comprensione: tutti offrono molteplici alternative ad esempio per la visualizzazione delle informazioni (sonore, visive), per evidenziare i concetti chiave della materia, per supportare la memoria e le relazioni tra i concetti. Tuttavia, questa pluralità nelle modalità di rappresentare la conoscenza non è altrettanto bilanciata da una pluralità di scelte offerte allo studente dello strumento espressivo che meglio si adatta di volta in volta alle richieste del compito, alle sue capacità ed interessi, ecc. La Progettazione Universale sollecita e supporta i docenti ad ampliare la gamma di opzioni (non solo il testo scritto ad esempio, ma anche i disegni, i progetti, il movimento, la musica, l’arte) al fine di supportare ogni studente nell’apprendimento. Un risultato analogo alla prima area è emerso per quanto riguarda il coinvolgimento e la motivazione degli studenti. Anche in quest’ambito non si può pensare che esista un modo di coinvolgimento che possa essere appropriato per tutti gli studenti in tutti i contesti, per cui anche in questo caso la differenziazione nei modi di coinvolgimento diviene fondamentale. Un primo elemento emerso dalle risposte dei docenti e degli studenti è l’importanza della scelta individuale, cioè la possibilità data dal docente di ampie opportunità di scelta agli studenti nel percorso, negli strumenti, nella sequenza delle attività, nonché nella partecipazione alla valutazione. Un filone molto interessante dello Universal Design si occupa infatti proprio di rendere differenziate e accessibili le procedure valutative (Ketterlin-geller, 2005; Pooreanno V | n. 2 | 2017

DEBORA AQUARIO, IgNACIO PAIS, ELISABETTA ghEDIN

103


Pariseau, 2013; Aquario, 2015) e in questo senso i partecipanti alla nostra indagine hanno mostrato di accogliere positivamente questa flessibilità, soprattutto nei diversi formati delle prove valutative. Un altro elemento su cui i docenti hanno dichiarato di far leva per stimolare la motivazione, oltre all’incoraggiamento della partecipazione e della conseguente autonomia degli studenti, è la proposta di attività autentiche e significative. E poiché in un gruppo di individui con interessi diversi è impensabile credere che tutti trovino le stesse attività significative e rilevanti, allora fornire molteplici opzioni diventa anche in questo caso la scelta più appropriata (ad esempio proponendo attività basate sulla comunicazione e sulla collaborazione, usando bene il feedback, proponendo opzioni di scelta che possano variare i livelli di difficoltà e di sfida, sviluppando il pensiero riflessivo e autovalutativo). L’indagine presentata costituisce certamente un primo passo, che necessita di approfondimenti in termini di prosieguo della ricerca, utilizzando ad esempio i risultati come fonte di discussione con i docenti e gli studenti coinvolti. Lo scambio di punti di vista e il confronto potrebbero dar luogo ad interventi che potrebbero introdurre in via sperimentale alcuni cambiamenti nella progettazione degli insegnamenti e di cui si potrebbero rilevare gli effetti. Progettato in base ai principi dello UD, l’insegnamento deve essere pensato in modo da risultare accessibile e flessibile nella sua fruizione rispetto ad un’ampia varietà di abilità individuali. Concepita e organizzata in questo modo, l’attività didattica si offre come spazio in cui ciascuno studente può esercitare il suo diritto di scelta, definendo responsabilmente il modo in cui fruire ed essere incluso in una data attività.

104

Riferimenti bibliografici

Aquario D. (2015). Valutare senza escludere. Processi e strumenti valutativi per un’educazione inclusiva. Parma: Junior-Spaggiari. Black R. D., Weinberg L. A., Brodwin M. G. (2015). Universal Design for Learning and Instruction: Perspectives of Students with Disabilities in Higher Education. Exceptionality Education International, 25, 1-16. Boggino N. (2010). Los problemas de aprendizaje no existen. Propuestas alternativas desde el pensamiento de la complejidad. Rosario: Homo Sapiens Ediciones. Boggino N., Boggino P. (2013). Pensar una escuela accesible para todos. De las concepciones actuals sobre integracion, inclusion, NEE, a la accesibilidad universal. Rosario: Homo Sapiens Ediciones. Burgstahler S. (Ed.) (2013). Universal design in higher education: promising practices. Seattle: DOIT, University of Washington. Casper B., Leuchovius D. (2005). Universal Design for Learning and the Transition to a More Challenging Academic Curriculum: Making It in Middle School and Beyond. Minneapolis, MN: Parent Brief NCSET. CAST (2011). Universal Design for Learning guidelines (version 2.0). Wakefield, MA: Author. Courey S., Tappe P., Siker J., LePage P. (2012). Improved Lesson Planning With UDL. Teacher Education and Special Education 36 (1), 7-27. Evans C., Williams J., King L., Metcalf D. (2010). Modeling, Guided Instruction, and Application of UDL in a Rural Special Education Teacher preparation Program. Rural Special Education Quarterly, 29 (4), 41-48. Ghedin E. (2017). Felici di conoscere. Insegnamento inclusivo e apprendimento positivo a scuola. Napoli: Liguori. Goff E., Higbee J. L. (Eds.) (2008). Pedagogy and student services for institutional transformation: Implementing Universal design in higher education. Center for Research on Developmental Education and Urban Literacy, University of Minnesota.

2. Esiti della ricerca


Griful-Freixenet J., Struyven K., Verstichele M., Andries C. (2017). Higher education students with disabilities speaking out: perceived barriers and opportunities of the Universal Design for Learning framework. Disability and Society, 32, 1-23. Ketterlin-Geller L.R. (2005). Knowing what all students know: Procedures for developing universal design for assessment. Journal of Technology, Learning and Assessment, 4 (2), 1-23. Kurtts S. (2006). Universal Design for Learning in Inclusive Classrooms. Electronic Journal for Inclusive Education 1 (10). Meyer A., Rose D. (2005). The future in the Margins: The role of Technology and Disability in Educational Reform. In D. Rose, A. Meyer, C. Hitchcock The universally designed classroom: Accessible curriculum and digital technologies (pp. 13-35). Cambridge, MA: Harvard Education Press. ONU (2007). Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità. Roma: (trad. it. a cura del Ministero della Solidarietà sociale, Roma). Poore-Pariseau C. (2013). Universal Design in Assessments. In S. Burgstahler (Ed.). Universal design in higher education: Promising practices. Seattle: DO-IT, University of Washington. Rose D. H., Meyer A. (2002). Teaching every student in the digital age: Universal Design for Learning. Alexandria, VA: Association for Supervision and Curriculum Development. Rose D., Meyer A., Hitchcock C. (2005). The universally designed classroom: Accessible curriculum and digital technologies. Cambridge, MA: Harvard Education Press. Santi M., Di Masi D. (Eds.) (2017). InDeEP University. Un progetto di ricerca partecipata per una università inclusiva. Padova: Padova University Press. Schelly C.L., Davies P.L., Spooner C. L. (2011). Students perceptions of faculty implementation of Universal Design for Learning. Journal of Postsecondary Education and Disability, 24 (1), 1730. Semeraro R. (1988). Educazione ambientale, ecologia, istruzione, Milano: Franco Angeli (2^ edizione 1991). Sen A. K. (2001). Lo sviluppo è libertà. Perché non c’è crescita senza democrazia, Milano: Mondadori. Sorzio P. (2005). La ricerca qualitativa in educazione. Problemi e metodi. Roma: Carocci. Tomlinson C. A. (2006). Adempiere la promessa di una classe differenziata. Roma: LAS. Zeff R. (2007). Universal design across the curriculum. New Directions for Higher Education, 137, 27–44.

anno V | n. 2 | 2017

DEBORA AQUARIO, IgNACIO PAIS, ELISABETTA ghEDIN

105



L’inclusione del bambino con disabilità nei servizi per la prima infanzia: l’esperienza di “Melampo al nido”

The paper focuses on the strategy of inclusion of children with atypical development in the ECEC (Early Childhood Education and Care). First of all, the scientific literature and the theoretical framework that deals with the topic have been considered. It has been analyzed the Italian legislation concerning the inclusion of disable children in the Education System. After that, the article presents an inclusion project called “Melampo al nido” carried out in the ECEC of Sassari. The distinguishing feature of this project lies in the partnership of healthcare and education. In order to comprehend how inclusion has been promoted, a qualitative empirical research has been conducted. Moreover, this research aims to examine the notion and the strategies of inclusion in ECEC, in particular, the good practices and the pedagogical methods designed and employed by educators, the educational relationship between family and ECEC as also the way in which the latter collaborates with healthcare in order to promote the inclusion and to support the disable children in their development path.

© Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2282-5061 (in press) ISSN 2282-6041 (on line)

Key-words: ECEC, disability, inclusion, family, healthcare

2. Esiti della ricerca

*

Il presente articolo è il risultato della ricerca e del lavoro congiunto e condiviso dei due autori. Per quanto riguarda la stesura del testo, G. Filippo Dettori ha curato i §§ 2, 6 e 7 mentre Giovanna Pirisino ha curato i §§ 1, 3, 4, 5.

Italian Journal of Special Education for Inclusion

abstract

G. Filippo Dettori (Università degli Studi di Sassari / fdettori@uniss.it) Giovanna Pirisino (Università degli Studi di Sassari / pirisinogiovanna@gmail.com)

anno V | n. 2 | 2017

107


1. Riflessioni introduttive

108

Negli ultimi trent’anni, molti organismi internazionali hanno posto come prioritari gli interventi a favore dell’inclusione delle persone con disabilità in tutti i contesti di vita. Il modello bio-psico-sociale, proposto dall’ICF e adottato anche dalla Convenzione ONU, considera la disabilità non più come un modo di essere del soggetto, bensì come l’incontro fra l’individuo e la situazione, come uno svantaggio che può essere più o meno invalidante a seconda del rapporto che si crea tra la persona e l’ambiente (Pavone, 2014). Questa accezione fa sì che in primo piano vengano poste le potenzialità e le abilità dell’individuo in relazione ai diversi ambienti in cui vive, evidenziando la complessità e l’interdipendenza dei numerosi fattori che facilitano o ostacolano una reale inclusione nei diversi contesti di vita (Dettori, 2011). La Convenzione Onu del 2006 sui diritti delle persone con disabilità ha sottolineato l’importanza di un’inclusione caratterizzata da indipendenza, autonomia e libertà di scelta. Nell’articolo 24 viene, infatti, posto in luce il diritto di fruire di un’istruzione che favorisca il pieno sviluppo del potenziale umano e consenta altresì una partecipazione attiva nella società (Unicef, 2007, pp. 18-20). Si evidenzia, dunque, la necessità di creare e promuovere sistemi educativi inclusivi in grado di rispondere in maniera efficiente e adeguata ai reali bisogni delle persone con disabilità e delle loro famiglie. L’Italia, nel corso degli anni, ha promosso un sistema educativo di tipo inclusivo, già con le Leggi 118 del 1971 e 517 del 1977, si è decretata la chiusura delle scuole speciali ed è stata introdotta la figura dell’insegnante di sostegno per offrire il necessario supporto didattico allo studente disabile e all’intera classe ove questo è inserito. Il nostro Paese ha dunque avviato già da tempo un percorso di cambiamento delle istituzioni scolastiche a livello strutturale, organizzativo e funzionale. La Legge 104 del 1992 assicura l’accesso ai bambini con disabilità nei servizi per la prima infanzia, senza però prevedere nessun obbligo per l’istituzione nel garantire una giusta accoglienza e una reale inclusione, come indicato nell’articolo 13: Gli enti locali e le unità sanitarie locali possono altresì prevedere l’adeguamento dell’organizzazione e del funzionamento degli asili nido alle esigenze dei bambini con handicap.

La Legge in questione non dà indicazioni precise in termini organizzativi, delegando invece le iniziative e le strategie da applicare per l’inclusione alle risorse operative ed economiche degli Enti Locali (Cesaro, 2015). Tale vuoto normativo, che ha forti ripercussioni in senso attuativo, crea una situazione eterogenea sul territorio nazionale che ostacola una reale inclusione dei bambini con disabilità all’interno dei servizi 0-3 anni. La mancanza di norme specifiche incide in maniera significativa sulla qualità dell’inclusione nei primissimi anni di vita, nonostante sia ampiamente condiviso il principio secondo cui i servizi per la prima infanzia vadano considerati come vere e proprie agenzie in grado di promuovere il benessere dei bambini e lo sviluppo integrale della loro personalità (Pennazio, 2015) e che essi rappresentino un’opportunità per mettere in atto interventi educativi precoci per i bambini con difficoltà in età prescolare (Eurydice, Indire, 2015).

2. Esiti di ricerca


2. L’inclusione nei servizi per la prima infanzia

Numerose Raccomandazioni (COM 66, 2011) e Strategie (COM 2010, 2020), promosse dall’Unione Europea, riconoscono ai servizi per la prima infanzia il merito di incidere sullo svantaggio sociale ed al contempo favorire l’inclusione sociale dei bambini con difficoltà nello sviluppo. Specifiche ricerche confermano che l’inclusione in età prescolare sia fondamentale per lo sviluppo positivo delle abilità sociali anche per i bambini con disabilità (Lundqvist, Allodi Westling, Siljehag, 2016; Camargo, Rispoli, Ganz, Hong, Davis, Mason, 2014). L’accoglienza dei bambini con disabilità nei servizi per la prima infanzia, pertanto, deve configurarsi come un percorso riflessivo che ha reali effetti nelle pratiche quotidiane. Nella realtà, i servizi 0-3, seppure nascano come agenzie educative in grado di rispondere in maniera autentica ai bisogni di tutti i bambini, talvolta non sono sufficientemente pronti ad accogliere al loro interno un bimbo con disabilità grave: “l’ingresso di un bambino con disabilità porta il servizio a ripensare i propri schemi comunicativi e le proprie prassi” (Benedetti, 2015, p. 175). La riorganizzazione che il servizio deve attuare per assicurare un percorso educativo inclusivo non può prescindere dal considerare la dimensione relazionale sia nella progettazione che nella valutazione dei processi educativi e didattici. I servizi per la prima infanzia, infatti, si caratterizzano da una vera e propria “pedagogia della relazione” (Bondioli, Mantovani, 1987, p. 29) dove, grazie all’interazione con i coetanei, con gli adulti e con le figure di riferimento, il bambino costruisce e sviluppa la propria identità. L’intreccio dei rapporti che si crea fa sì che si sviluppi una rete in grado di sostenere e accogliere non solo il bambino nel suo sviluppo, ma anche gli educatori nella loro professionalizzazione e le famiglie nel proprio ruolo genitoriale. L’inserimento del bambino nei servizi per la prima infanzia spesso coincide con il primo distacco dal mondo familiare perciò risulta essenziale che si costruisca sin da subito un forte legame di fiducia tra operatori e genitori (Bondioli, Mantovani, 1987; Pennazio, 2015; Cesaro, 2015), a maggior ragione se il bambino si presenta più vulnerabile a causa delle difficoltà nello sviluppo. In questo caso, alle consuete preoccupazioni del genitore dovute alla separazione e al distacco, tipiche della fase dell’inserimento, si associano quelle relative alla preoccupazione per come la struttura sarà in grado di comprendere e rispondere alle specifiche difficoltà del bambino (Pennazio, 2015). È bene sottolineare che il momento in cui la famiglia di un bambino disabile si avvicina al mondo dei servizi 0-3 spesso coincide con quello delle prime diagnosi e delle relative certificazioni. I primi rapporti con gli educatori dei nidi talvolta sono difficili perché i genitori stanno contestualmente scoprendo, elaborando e metabolizzando la disabilità del proprio figlio. Accogliere un bambino con disabilità in un servizio per la prima infanzia significa anche accogliere la sua famiglia con il proprio vissuto, dar voce alle difficoltà e alle angosce, rispettare i silenzi, le assenze ed eventuali negazioni (Sbattella, 2008). Per queste ragioni la relazione profonda tra operatori del servizio e genitori non deve essere intesa come una condivisione di compiti, bensì come il riconoscimento reciproco del ruolo e del contributo educativo di ognuno (Grasselli, 2008). Tale riconoscimento va considerato come un percorso progettuale che la famiglia intraprende nel servizio e con il servizio, un processo difficile e graduale, talvolta caratterizzato da una forte tensione emotiva. Nell’affrontare il tema della disabilità nei servizi 0-3 il anno V | n. 2 | 2017

G. FILIPPO DETTORI, GIOvANNA PIRISINO

109


“rapporto triadico” (Foni, 1987, p. 177) tra operatori, bambini e genitori si trova a dover aggiungere altri elementi. Attorno alla famiglia di un bambino con disabilità ruotano, infatti, numerose istituzioni, prima fra tutte quella sanitaria. Il genitore è dunque spesso provato da continui colloqui con professionisti diversi (medici, fisioterapisti, logopedisti, ecc). L’educatore del nido, proprio perché stabilisce una relazione quotidiana, ha il delicato ruolo di rappresentare per il genitore un riferimento importante per discutere su difficoltà e limiti del bambino ma anche sulle sue risorse e i suoi progressi. L’osservazione sistematica effettuata durante le attività del nido, può essere utile ai diversi professionisti del sistema sanitario per comprendere, valutare e interpretare i comportamenti del bambino durante le interazioni con gli altri coetanei.

3. Melampo al Nido: un esempio di inclusione nei servizi 0/3

110

“Melampo1 al nido” è un progetto del Comune di Sassari che ha come obiettivo l’inclusione dei bambini con difficoltà neuropsicomotorie nei servizi per la prima infanzia. La fase sperimentale del progetto ha preso avvio nel 2005 per volere del Gruppo di Coordinamento pedagogico comunale e dell’Unità Operativa di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza dell’Asl n.1 di Sassari. Al termine di questa fase preliminare, durata un anno, le due istituzioni hanno definito un protocollo d’intesa fondato sulla collaborazione e l’integrazione dei servizi educativi e sanitari. Il protocollo stabilisce precisi accordi da parte dei due partner coinvolti: il Comune si impegna a garantire la presenza nell’organico dei servizi di educatori che svolgono un intervento individualizzato, mentre la Asl assicura la formazione specifica degli operatori, monitoraggio e collaborazione. La relazione introduttiva2 elaborata nella fase sperimentale spiega le motivazioni e i punti di forza del progetto e ne definisce le caratteristiche principali:

– Presa in carico globale: il progetto individua come indispensabile una “presa in carico globale” del bambino che consideri non solo aspetti puramente riabilitativi, ma soprattutto inerenti al contesto psicologico e all’ambiente in cui vive la sua famiglia. In questa prospettiva i servizi per la prima infanzia assumono un ruolo centrale in quanto permettono al bambino in difficoltà di vivere esperienze significative e coerenti con le cure che deve affrontare nelle strutture specialistiche. Proprio all’interno di un contesto naturale come quello dei servizi per la prima infanzia il bambino ha la possibilità di rafforzare ogni progresso. La presa in carico globale assume in questo progetto una prospettiva multidisciplinare dove, per ogni area di sviluppo, vengono considerati i punti di vista professionali dei medici e degli educatori. È proprio quest’in-

1 2

Melampo dal piede nero, figura della mitologia greca nota per le sue capacità divinatorie e curative. Relazione introduttiva, Allegato alla Deliberazione Giunta Municipale di Sassari, n. 557 del 20/12/2006.

2. Esiti di ricerca


tegrazione di “sguardi” a permettere la predisposizione di interventi efficaci e coerenti in grado di considerare e “pensare il bambino nella sua globalità” (Cantoia, 2008, p. 24). Con la stesura del PEI (Piano Educativo Individualizzato) da parte degli educatori vengono progettati per i bambini percorsi educativi che ne rispettino gli specifici ritmi, le potenzialità e le abilità; – Supporto delle famiglie: il progetto, oltre a prevedere un accompagnamento del bambino in difficoltà, prevede il supporto della famiglia e il suo coinvolgimento nelle varie attività e nella conoscenza e verifica del percorso educativo definito nel PEI, questo per far sì che ci possa essere un passaggio circolare di informazioni che permetta una continuità di interventi in tutti i contesti di vita; – Inserimento personalizzato: gli inserimenti dei bambini all’interno dei servizi avvengono in maniera personalizzata, tenendo conto delle loro necessità e dei loro bisogni. L’Azienda Sanitaria individua quale strategia sia maggiormente funzionale alla crescita e allo sviluppo del bambino; in base a ciò viene infatti stabilito se ha necessità di un educatore che svolga interventi individualizzati o di un diverso rapporto numerico rispetto a quello stabilito per la sua fascia d’età; – L’educatore con rapporto individuale: La figura dell’educatore con rapporto uno ad uno consente al bambino con disabilità di essere accompagnato nella realtà educativa del servizio in maniera mediata. La mediazione del contesto, infatti, permette al bambino di vivere esperienze funzionali e significative per il suo sviluppo. Se per certi versi la scelta di un educatore che svolge un intervento individualizzato può far pensare ad un’alterazione rispetto alla routine della sezione, per altri possiamo affermare che si pone come un necessario facilitatore per perseguire l’inclusione.

4. Piano della ricerca e analisi dei dati

L’obiettivo generale della ricerca è quello di individuare la percezione delle figure educative in merito alle strategie inclusive attuate nei servizi per la prima infanzia del Comune di Sassari, questo in virtù delle ricadute in termini di inclusione date dal progetto “Melampo al nido” presente nei servizi dell’Ente ormai da dodici anni. Le tematiche indagate fanno riferimento ad una realtà particolare e pertanto vanno considerate in relazione al contesto al quale si riferiscono. In virtù di tutto ciò sono state individuate delle domande di ricerca declinate successivamente in obiettivi specifici.

Domande di ricerca: – Quale significato assume il concetto di inclusione nei servizi per la prima infanzia del Comune di Sassari? – Quali sono le strategie promosse dagli educatori per rendere il servizio inclusivo? – Quali sono i risvolti che il progetto “Melampo al nido” ha nel complesso dei servizi per la prima infanzia?

anno V | n. 2 | 2017

G. FILIPPO DETTORI, GIOvANNA PIRISINO

111


Obiettivi: – Individuare le strategie e le metodologie utilizzate dagli educatori per promuovere un contesto inclusivo; – Comprendere come educatori, coordinatori e famiglie siano coinvolti nella promozione dell’inclusione; – Definire il rapporto che intercorre tra servizi educativi e sanitari.

Per riuscire a dare risposta alle domande di ricerca si è scelto di utilizzare una metodologia di tipo qualitativo per esplorare e comprendere più in profondità i concetti e le pratiche di inclusione promosse in questa specifica realtà. Lo strumento individuato per la ricerca è stato il focus group (Zammuner, 2003) in quanto permette al ricercatore di cogliere meglio le dinamiche che sottendono il percorso inclusivo del bambino con disabilità nella primissima infanzia. Per assicurare maggiore validità ed attendibilità allo strumento scelto, la traccia e la sequenza di domande sono state concepite tenendo in considerazione le peculiarità del contesto e del gruppo di soggetti coinvolti, in base a tutto ciò è stata infatti elaborata la struttura argomentativa. Le aree tematiche identificate sono le seguenti: 1. 2. 3. 4.

112

Il concetto di inclusione; L’inclusione nei servizi 0-3 anni; Pratiche e strategie inclusive; Relazioni significative.

Sono stati condotti 2 focus group: il primo ha coinvolto 9 educatrici impegnate nel rapporto uno ad uno con i bambini con disabilità, il secondo 5 membri del Gruppo di Coordinamento pedagogico del Comune di Sassari. Gli incontri, integralmente audioregistrati, hanno avuto la durata rispettivamente di 90 e 85 minuti. Successivamente, si è proceduto alla trascrizione integrale dei file audio e alla creazione del corpus testuale, analizzato utilizzando il software Atlas.ti per l’analisi del contenuto.

5. Risultati

I risultati emersi nella ricerca fanno riferimento al corpus testuale ricavato dalla trascrizione dei focus group. Le tematiche individuate sono state declinate in categorie interpretative in grado di esplicare l’analisi del contenuto. La tabella sottostante (Tab. 1) indica le sigle identificative utilizzate dal ricercatore per rendere più agevole al lettore la comprensione dei risultati dello studio ed al contempo per garantire l’anonimato dei partecipanti. Per facilitare la lettura, i risultati emersi vengono proposti attraverso 6 tabelle, nelle quali sono indicate tematiche, categorie e i passaggi del contenuto dei focus group ritenuti più significativi.

2. Esiti di ricerca


! !"#$%&&'#(%)

*+,%"#) '-%(.'$'/0.'1#))

2)

"#$%&'()*!

.&!/!&!0!

3)

+(()#,-&'()*!

!

) Tab. 1: Sigle identificative ) )

)

)

5.1 Contesto inclusivo

La prima tematica emersa dall’analisi del contenuto considera le caratteristiche di un contesto educativo inclusivo. Questo, secondo gli operatori coinvolti nella ricerca, va pensato sin dal momento della progettazione e va costruito quotidianamente grazie all’osservazione e alla rimodulazione degli interventi così come degli spazi e dei tempi. Si tratta di un percorso in cui l’inserimento nel gruppo dei pari assume particolare rilevanza (Tab. 2). ! !"#$%&'$()*(+,-%".%,(&-'/0.&1,( +2!3456)2(2(

47088,(9"&(8$7&(

+2!3456)2(:(

;7,<"%%$=&,-"(( 9&(."=&,-"("(;"&(

+2!3456)2(+(

>8$=&("(%"#8&(

+2!3456)2(?(

5.."71$=&,-"("( 7&#,90/$=&,-"(

! ! ! ! ! ! ! ! ! ! !

!" #$%#&'&" '('" )*+('(" ,*" +&--*.*'/*" 0(%*" (12$2&)*" $,,$" .*,$/&('*3" 4" #*,,(" )*+*.*" ,5&'2*.$/&('*" 06*" '$10*" 2.$" &," #$%#&'("06*"6$"+&)*.1&27"%(2(.&$"("0(8'&2&)$"*"&,".*12(" +*," 8.9::(" &'-$22&" )&*'*" 0('1&+*.$2(" 0(%*" 9'" #$%#&'(" 0('"09&"8&(0$.*;"*".*,$/&('$.1&""#$%&'" <5&'0,91&('*" +*)*" *11*.*" &'1*.&2$" '*," :.(8*22(" *+90$2&)(" 8*'*.$,*;" '('" 1(,(" '*," =*&3" >&" +*)*" :*'1$.*" $+" 9'" :.(8*22(" 06*" 0('2*'8$" :.(:(12*" $+$22*" $" 2922&3" ?+" *1*%:&(;" 1*" '*," '&+(" 0@A" 9'" #$%#&'(" '('" )*+*'2*;" *" &(" :.*1*'2(" 9'" :.(8*22(" 19,,$" 1*'1(.&$,&27;" '('" 0&" 1$.7" $,09'" 2&:(" +&" :.(#,*%$3" BCD" E9$,1&$1&" :.(8*22(" :9F" *11*.*"$+$22$2(":*."&,"#$%#&'("&'"+&--&0(,27""#$(&'" ?##&$%(" $)92(" #$%#&'&" '('" )*+*'2&" *" &'" E9*," 0$1(" 0&" )9(,*":.(:.&("9'$":.(8*22$/&('*"$"%('2*;"'*,"1*'1("06*" ,("1:$/&(",("+*)("$)*.*":.(8*22$2(":.&%$;"%(,2(":.&%$3" !'" 9'" 0$1(" $##&$%(" $)92(" &," 19::(.2(" +*," 2&-,(,(8(" B333D06*" 6$" +$2(" $,,*" *+90$2.&0&" &'+&0$/&('&" 0('0.*2*" 19" 0(%*"(.8$'&//$.*",("1:$/&("*",*"$22&)&27"")$%&'" G8'&"#$%#&'("A"$"1H;"$'06*"1*"6$",$"12*11$":$2(,(8&$"+&" 9'" $,2.(3" !," :*.&(+(" +&" (11*.)$/&('*" A" '*0*11$.&(" 0$:&.*" E9$,&"1('("&":9'2&"+&"-(./$"*"&",&%&2&"+&"E9*,"#$%#&'(3">*" 1(" 06*" 8,&" :&$00&('(" ,*" 0(12.9/&('&" :$.2&.F" 0('" E9*,,*" $22&)&27" $'06*" 1(,(" :*." 0('E9&12$.%&" ,$" 19$" -&+90&$3" I9*,,("A"%(,2("&%:(.2$'2*;"9'"#$%#&'("9'$")(,2$"06*"1&" -&+$"+*,,5*+90$2(.*"$,,(.$",J":(&":9(&":.(:(..*")*.$%*'2*" 2922(""#$*&'"

Tab. 2: Sintesi dell’analisi del contenuto Tematica I

5.2 L’educatore con rapporto individualizzato

L’educatore con rapporto individualizzato è uno dei punti cardine del progetto “Melampo al nido”. Questa figura garantisce al bambino con difficoltà una reale inclusione all’interno del servizio grazie alla mediazione e alla personalizzazione del contesto. Tutto ciò fa sì che gli educatori sentano un forte senso di responsabilità che si traduce da un lato in un forte carico emotivo e dall’altro nella necessità di ampliare e approfondire la propria formazione (Tab. 3).

anno V | n. 2 | 2017

G. FILIPPO DETTORI, GIOvANNA PIRISINO

113


! ! ! !"#$%&'$())*(@A"90'$%,7"(',-(7$88,7%,(&-9&1&90$/&==$%,( +2!3456)2(2(

B"9&$=&,-"("( 8"7.,-$/&==$=&,-"(9"/( ',-%".%,(

I9$'+("&,"#$%#&'(")&*'*"&'1*.&2("'*,"1*.)&/&("0('"&,".$::(.2(" &'+&)&+9$,&//$2(" '('" )&*'*" &1(,$2(" +$," 8.9::(3" K('" ,$" %*+&$/&('*"*",5$&92("+*,,5*+90$2(.*"&,"#$%#&'(".&*10*"$")&)*.*" &'" %(+(" &'0,91&)(" ,*" *1:*.&*'/*" 1&8'&-&0$2&)*" :.(:(12*" &'" 1*/&('*")$+&'"

+2!3456)2(:(

C"'"..&%D(9&( E,7#$=&,-"(.8"'&E&'$(

4")*.("06*",$"+&1$#&,&27"'('"A"9'",&%&2*":*.F;"&'&/&$,%*'2*;"+*)&" -$.*" &" 0('2&" 0('" 9'$" +&1$#&,&27" (88*22&)$3" <@*+90$2(.*" +*)*" $)*.*"9'$"-(.%$/&('*"*"9'$":.(-*11&('$,&27"06*"1*"06&$%$2$" &'" 9'" .$::(.2(" &'+&)&+9$,*" +*)*" &'2*.)*'&.*" 19&" ,&%&2&" +*," #$%#&'(""#$,&'"

+2!3456)2(+(

)#8$%%,("#,%&1,(

BCD"K&"1('("2$'2*"*%(/&('&"'*8$2&)*"*":(1&2&)*"06*"&,"#$%#&'(" 0('" +&1$#&,&27" *" ,$" 19$" -$%&8,&$" 2&" 1910&2$'(3" L'" 0$1("A" 12$2(" +*)$12$'2*;" %&" 6$" %*11(" -(.2*%*'2*" &'" +&10911&('*3" !(" '('" $)*)("8,&"12.9%*'2&":*."8*12&.*",$"1&29$/&('*;"2(.'$)("$"0$1$;" %&"1)*8,&$)(",$"'(22*"*":*'1$)(M"N0(1$"+*)("-$.*"&("*"+()*"%&" +*)("-*.%$.*OP""#$-&3"

Tab. 3: Sintesi dell’analisi del contenuto Tematica II

!

5.3 Il rapporto con le famiglie

114

La terza tematica emersa fa riferimento ai rapporti che si instaurano tra la famiglia del bambino in difficoltà e il servizio. I partecipanti alla ricerca concordano sulla opportunità di accogliere nel miglior modo possibile le necessità e i bisogni delle famiglie, tuttavia viene sottolineato come, spesso, i rapporti risultino difficili, questo in base al grado di accettazione e consapevolezza riguardo alla disabilità del bambino (Tab. 4). ! !"#$%&'$()))*()/(7$88,7%,(',-(/"(E$#&</&"( +2!3456)2(2(

2'',</&"-=$(

K&" 1('(" -$%&8,&*" 2.$9%$2&//$2*;" 0&" 1('(" -$%&8,&*" 10(')(,2*;" -$%&8,&*"-.$%%*'2$2*3"!,"0(%:&2("+*,"'&+(;"(,2.*",5$00(8,&*'/$" +*," #$%#&'(;" A" ,5$22*'/&('*" )*.1(" E9*12*" -$%&8,&*3" !'" $,09'&" 0$1&;" &," '&+(" A" 12$2(" &," ,9(8(" 06*" 6$" .&%*11(" &'" 1*12(" $,09'&" :*//&"8.$/&*"$,",$)(.("*+90$2&)(""#$%&'"

+2!3456)2(:(

2''"%%$=&,-"("9( "/$F,7$=&,-"(

!,".$::(.2("06*",$"-$%&8,&$"6$"0('"&,"'&+("1:*11("+&:*'+*"+$" E9$'2("E9*12$"$##&$"&'2*.&(.&//$2(",$"+&1$#&,&27"+*,"#$%#&'(3" >*"$..&)$"9'$"-$%&8,&$"06*"6$"8&7"$00*22$2(",*"+&--&0(,27"$,,(.$" 0&")*+*"0(%*"9'":9'2("+&"-(./$"*"9'"1(12*8'(3">*"0&"2.()&$%(" +$)$'2&"9'$"-$%&8,&$"06*"'('"6$"#*'"0$:&2("("06*"'('")9(,*" $00*22$.*;" $,,(.$" :(11&$%(" $'06*" *11*.*" 0('1&+*.$2&" Q&," '*%&0(Q""#$*&'"

!

Tab. 4: Sintesi dell’analisi del contenuto Tematica III

5.4 Integrazione tra intervento educativo e sanitario

Il progetto “Melampo al nido” si basa sulla collaborazione tra i servizi per la prima infanzia e quelli sanitari. L’integrazione degli interventi proposti e l’utilizzo di una metodologia condivisa costituiscono per gli operatori un presupposto essenziale per garantire un percorso educativo inclusivo. Durante i focus group sono stati trattati sia i punti di forza che le criticità del progetto (Tab. 5).

2. Esiti di ricerca


! ! !"#$%&'$()G*()-%"<7$=&,-"(%7$(&-%"71"-%,("90'$%&1,("(.$-&%$7&,( +2!3456)2(2(

6$88,7%,(%7$( "90'$=&,-"("(.$-&%D(

+2!3456)2(:(

B"%,9,/,<&"(',-9&1&."(

+2!3456)2(+(

H$7"(%"7$8&$($/(-&9,(

!

<5&'2*8.$/&('*" 2.$" 1$'&2$.&(" *" *+90$2&)(" A" 12$2$" )(,92$" :.(:.&(" :*.06H" 1&" :(11$" :$.,$.*" +&" &'0,91&('*" :*." &," #$%#&'("0('"+&1$#&,&273"<5*+90$2(.*"+*,"#&%#("&'"+&--&0(,27" +*)*" 0*.0$.*" +&" %*22*.*" &'1&*%*" E9*12&" +9*" %('+&" :*." :(2*.":(2*'/&$.*"&":9'2&"+&"-(./$"+*,"#$%#&'("")$%&'" I9$'+("9'"#$%#&'("6$"9'$":$2(,(8&$"06*"$::$.2&*'*"$,,(" 1:*22.(" $92&12&0(" *" +*)*" -$.*" +*,,*" 2*.$:&*" +&" 2&:(" 0(%:(.2$%*'2$,*;" +&)*'2$" -('+$%*'2$,*" 06*" 2922*" ,*" :*.1('*" 06*" $" )$.&(" 2&2(,(" 1&" $--&$'0$'(" $," #$%#&'(" 92&,&//&'(" ,$" %*+*1&%$" %(+$,&27" +&" 0(%9'&0$/&('*;" *" ,*" %*+*1&%*" %(+$,&27" :*." .&1:('+*.*" (" 0('2*'*.*" +*2*.%&'$2&"$22*88&$%*'2&"*".*$/&('&3"")$+&3"" !," :.(8*22(" R*,$%:(" &'&/&$,%*'2*" '('" :.*)*+*)$" ,5&'8.*11(" +*&" 2*.$:&12&" '*&" '&+&;" &'" .$8&('*" +*," -$22(" 06*" 2*.$:&$" *+" *+90$/&('*" 1('(" +9*" %('+&" 1*:$.$2&" *+" A" 8&912(" .&%$'8$'(" 1*:$.$2&3" K('" ,$" :$2(,(8&$" $92&12&0$;" :*.F;",$":.$11&;",$"'*0*11&27"$'06*":.$2&0$;"0&"6$":(.2$2("$" -$." *'2.$.*" 8.$+9$,%*'2*" &" 2*.$:&12&" $,,5&'2*.'(" +*&" '(12.&" 1*.)&/&".&0('(10*'+('*"&,")$,(.*"")$%&'"

Tab. 5: Sintesi dell’analisi del contenuto Tematica IV

5.5 Continuità con la scuola dell’infanzia

Uno dei momenti maggiormente delicati che il bambino e la famiglia devono affrontare riguarda il passaggio alla scuola dell’infanzia. I servizi 0-3 del Comune di Sassari accompagnano il bambino in difficoltà in questo percorso grazie ad un progetto di continuità. Tuttavia la ricerca ha individuato la tendenza da parte di ! alcune famiglie di rifiutare questo progetto (Tab. 6). ! ! ! !"#$%&'$(G*(+,-%&-0&%D(',-(/$(.'0,/$(9"//A&-E$-=&$( +2!3456)2(2(

;7,<"%%,(9&( ',-%&-0&%D(

S*," :.(8*22(" +&" 0('2&'9&27" 0('" ,$" >09(,$" +*,,@&'-$'/&$" )*'8('(" -&'$,&//$2&"+9*"("2.*"&'0('2.&"'*&"E9$,&"'(&"0((.+&'$2(.&;"&,"#$%#&'(" &'" +&--&0(,27;" ,@*+90$2(.*" *" &," 8*'&2(.*;" )&1&2&$%(" ,$" 109(,$" *" &" 0('2*12&"+()*"$'+.73"T,&"&'0('2.&")*'8('("$+*89$2$%*'2*":*'1$2&" 0('" $22&)&27" 06*" :*.%*22$'(" $," #$%#&'(" +&" &'2*8.$.1&" &'" E9*," 0('2*12(" :*." E9*,,$" 8&(.'$2$3" !," :*.0(.1(" +&" 0('2&'9&27" )&*'*" +(09%*'2$2(")$%&'!" K&" 1('(" 12$2&" 8*'&2(.&" 06*" '('" 6$''(" )(,92(" 06*" 1&" -$0*11*" &," :$11$88&("+&"0('1*8'*"0('",$">09(,$":*.06H"%$8$.&"6$''("&10.&22(" &," -&8,&(" :9." *11*'+(" &'" +&--&0(,27" 1*'/$" &," 1(12*8'(" *" E9&'+&" '('" 6$''(")(,92("06*"1&"0.*$11*"E9*12(":('2*;"BCD3"U$.$%*'2*":*.F"A" 1900*11(;" 1('(" )(,('27" +*,,*" -$%&8,&*" 0('2.(" ,*" E9$,&" '('" :(11&$%("$'+$.*"")$+&'"

+2!3456)2(:(

+,&-1,/<&#"-%,( 9"//"(E$#&</&"(

!

Tab. 6: Sintesi dell’analisi del contenuto Tematica V

5.6 I miglioramenti del progetto “Melampo al nido”

Durante i focus group sono state rilevate alcune criticità del progetto e possibili azioni di miglioramento da apportare. Gli operatori hanno espresso la necessità di avere un incontro preliminare con il bambino per comprenderne le difficoltà prima del suo inserimento e il bisogno di supporto psicologico per affrontare il carico emotivo (Tab. 7).

anno V | n. 2 | 2017

G. FILIPPO DETTORI, GIOvANNA PIRISINO

115


! ! ! !"#$%&'$(G)*()(#&</&,7$#"-%&(9"/(87,<"%%,(IB"/$#8,($/(-&9,I( +2!3456)2(2(

2<<&,7-$#"-%,( 9"/(87,%,',//,(

+2!3456)2(:(

)-',-%7,( 87"/&#&-$7"(

+2!3456)2(+(

>088,7%,( 8.&',/,<&',(

!," :.(2(0(,,(" A" +$" %&8,&(.$.*" 1(:.$22922(" :*." E9$'2(" .&89$.+$" &" .$::(.2&" 0('" ,$" .*2*" 1$'&2$.&$3" V(##&$%(;" &'-$22&;" &'0,9+*.*" '*," :.(2(0(,,(" 12.9229.*" :.&)$2*" *" 12.9229.*" 0(')*'/&('$2*3" ?'06*" :*.06H" &"'9%*.&" +*,,*"+&$8'(1&"*"&," '9%*.("+*&"#$%#&'&"1*8'$,$2&" 1('(" 1*%:.*" &'" $9%*'2(" *" ,$" 12.9229.$" 1$'&2$.&$" '$/&('$,*" '('" .&*10*"$":.*'+*.1&"0$.&0("+&"2922&"&"0$1&;"1(:.$22922("&'"2*%:&"#.*)&" ")$(&'"" V&0&$%("06*"0&")(..*##*"9'"&'0('2.(":.*,&%&'$.*"0('",5*E9&:*"*",$" -$%&8,&$M" &(" %&" 1('(" .&2.()$2$" $" 0('(10*.*" &" 8*'&2(.&" '*," 0,$11&0(" 0(,,(E9&("4"1*%:.*"9'":(5"$,"Q#9&(Q"&,"#$%#&'("0('"+&1$#&,&27;"'('" 1$&"%$&"#*'*"E9$,&"1('(",*"19*"+&--&0(,27"*"E9&'+&"'('"6$&"&,"2*%:(" +&":.*:$.$.2&"*"+&":.*+&1:(..*"+$"19#&2("&'2*.)*'2&"*+90$2&)&"%&.$2&" "#$*&'" 4" &%:(.2$'2*" &'1*.&.*" 9'" 19::(.2(" :1&0(,(8&0(" $'06*" :*." '(&" *+90$2.&0&;":*.06H"&'"0*.2*"1&29$/&('&"$##&$%("+&--&0(,27"$"8*12&.*"&," '(12.(" 0$.&0(" *%(2&)(3" ?,,*" )(,2*" 1&" .&106&$" +&" *'2.$.*" &'" #9.'(92" "#$-&'"

Tab. 7 Sintesi dell’analisi del contenuto Tematica VI

!

6. Discussione

116

I risultati presentati nel precedente paragrafo chiariscono l’importanza di un contesto educativo inclusivo pensato per i bambini di età compresa fra i 0 e i 3 anni, esso va strutturato affinché la routine quotidiana sia guidata da strategie didattiche definite in fase di progettazione da operatori competenti. Per contesto si intende “il tutto inscindibile di oggetti, odori, suoni, colori e persone che lo abitano e si relazionano in esso e con esso in uno sfondo che tutto contiene” (Borghi, 2015, p. 119); si tratta dunque della dimensione fisica e della dimensione relazionale dove si sviluppa il processo educativo. Lo spazio, come ripetuto più volte dagli operatori, risulta uno dei fattori principali che rendono il servizio facilitante o al contrario ostativo, infatti: Il modo nel quale è organizzato lo spazio […] invita i bambini e gli adulti a muoversi in una direzione o nell’altra, a compiere determinate azioni a entrare in contatto con determinati materiali […] Lo spazio invita ad interagire con gli altri oppure a isolarsi (Borghi, 2015, p.120).

Questa asserzione chiarisce come, per un bambino con disabilità, l’organizzazione dello spazio in un servizio per la prima infanzia sia particolarmente rilevante, può ad esempio accrescere l’autonomia o, al contrario, creare una maggiore dipendenza dall’adulto. La dimensione spaziale tuttavia non è sufficiente per definire il contesto educativo; la visione socio-costruttivista di vygotskij ha infatti messo in luce l’importanza dell’ambiente sociale, ossia “quell’insieme di relazioni e interazioni culturalmente guidate che concorrono allo sviluppo del bambino” (Fiorin, 2007, p. 153). Ciò spiega l’importanza delle interazioni con il gruppo dei pari, nelle parole degli intervistati viene spesso sottolineato come il rapporto individualizzato non indichi un allontanamento dal gruppo di sezione. La mediazione pertanto assume forte rilevanza nella creazione di un contesto educativo inclusivo che consenta il pieno sviluppo del potenziale di ogni bambino, infatti: 2. Esiti di ricerca


Se nessuno può sostituirsi al compito evolutivo del quale ogni persona è portatrice, tale compito può essere opportunamente stimolato, sostenuto e accompagnato grazie a numerose forme di mediazione (Pavone, 2014, p. 137).

I risultati hanno messo in luce che la relazione progettuale di aiuto e cura (Pavone, 2014) non può prescindere dal considerare l’ambiente e la trama di relazioni che il bambino vive quotidianamente. Ciò significa, in primo luogo, coinvolgere le famiglie e renderle partecipi del processo educativo. Secondo gli educatori, tutto ciò, risulta particolarmente difficoltoso e complesso in quanto, talvolta, vi è ancora una parziale accettazione, da parte dei genitori, delle difficoltà del bambino. Dalle parole degli operatori, infatti, appaiono evidenti molteplici comportamenti di resistenza e opposizione delle famiglie, che si configurano come modalità difensive legate a processi di misconoscimento che portano a negare le difficoltà del figlio. Sorrentino (2006, p. 56) chiarisce: Le reazioni difensive, gli adattamenti, le scelte esistenziali maturate in questi momenti possono essere assai differenti, dipendendo dall’organizzazione della personalità di ciascuno, dalle risorse soggettive […], queste dimensioni difensive perturbano l’equilibrio e spingono verso nuovi assetti adattativi che molto raramente appaiono foriere di benessere.

Risulta evidente dal confronto con gli operatori coinvolti nella ricerca, quanto siano necessari specifici supporti per i genitori, oltre agli interventi per il bambino con disabilità. Contribuire a sostenere e accompagnare la famiglia nel percorso di consapevolezza è dunque un compito sul quale il servizio per la prima infanzia deve investire. Come emerso dai risultati della ricerca, per adempiere al meglio a questo ruolo di accompagnamento è necessario possedere competenze specifiche che permettano di instaurare e mantenere relazioni positive, così come è necessario avere dei supporti psicologici che consentano di gestire in maniera adeguata le emozioni. Ciò per evitare che le relazioni con le famiglie diventino disfunzionali a causa dei vissuti negativi degli educatori, i quali, se non riconoscono e non danno significato in maniera appropriata alle emozioni, possono rimandare inconsciamente ai genitori una serie di significati negativi attraverso comportamenti verbali o non verbali (Cesaro, 2015). Gli operatori hanno sottolineato inoltre la necessità di maggiori supporti tecnici da parte della rete sanitaria, mettendo in luce che il rapporto tra pedagogia e medicina debba essere costruito e alimentato costantemente per riuscire a promuovere il suo sviluppo rispondendo agli specifici bisogni educativi del bambino. La richiesta di maggiori informazioni, da parte delle educatrici, sull’iter sanitario e sulla patologia del bambino nasce dall’esigenza di individuare precocemente interventi mirati; tuttavia, queste domande non trovano immediate risposte in quanto la diagnosi funzionale può essere elaborata solo dopo il compimento del terzo anno d’età. Assume, pertanto, forte rilevanza lo scambio di informazioni e comunicazioni tra le due istituzioni per riuscire a rimodulare, in corso d’opera, gli interventi didattici e sanitari e allo stesso modo per renderli coerenti tra loro. Secondo Bertolini (1994), infatti, il rapporto che intercorre tra medicina e pedagogia dovrebbe fondarsi su un dialogo teorico e pratico in grado di rendere esplicite le prospettive teoretiche e metodologiche comuni. anno V | n. 2 | 2017

G. FILIPPO DETTORI, GIOvANNA PIRISINO

117


L’insieme delle tematiche individuate nella ricerca ha fatto emergere un quadro complesso in cui l’inclusione dei bambini con disabilità nei servizi 0-3 dipende dall’interazione di numerosi fattori e di molteplici attori. In questa prospettiva “l’alleanza” (Favorini, 2007) tra le varie figure preposte alla cura educativa e riabilitativa del bambino risulta essenziale, non solo per l’inclusione del bambino ma anche per la realizzazione del suo progetto di vita. Pavone (2014, p. 103) afferma a questo proposito: La scelta di campo a favore di una progettualità di sintesi-educativa- sociale- riabilitativa- anticipata rispetto al tempo della scuola aiuterebbe a considerare il neonato con disabilità non solo come un corpo sofferente da «riparare», ma una persona nella sua globalità, inserita in una dimensione temporale di sviluppo, con bisogni comuni a quelli di tutti i bambini, oltre a qualche necessità sanitaria specifica.

7. Riflessioni conclusive e prospettive di ricerca

118

Il lavoro di ricerca ha analizzato i processi di inclusione dei bambini con disabilità nei servizi 0-3 del Comune di Sassari riuscendo in parte a rispondere alle domande di ricerca e agli obiettivi individuati. L’indagine empirica ha messo in luce le criticità e i punti di forza del progetto “Melampo al nido” che, grazie alla personalizzazione degli inserimenti e delle strategie promosse dal coordinamento, riesce a rispondere ai bisogni educativi dei bambini con disabilità. Almeno questa è la percezione degli operatori che vi operano e che sono stati coinvolti nello studio. È importante evidenziare che la ricerca, nel suo svolgersi, ha promosso un processo autovalutativo da parte del servizio, finalizzato a definire un piano di miglioramento da mettere in atto nei mesi futuri proprio grazie alle riflessioni emerse durante i focus group. Come emerge dalle recenti esperienze dei Nuclei Esterni di valutazione (a cura dell’Invalsi) che hanno coinvolto numerose scuole italiane, la presenza di un punto di vista esterno all’istituzione oggetto della valutazione, aiuta la stessa a individuare punti di forza e criticità e a migliorare le pratiche didattiche, organizzative e gestionali dei servizi educativi, partendo dalle considerazioni che gli operatori esterni sono riusciti a stimolare. Per avere risposte più esaustive finalizzate a comprendere meglio l’efficacia in termini inclusivi di “Melampo al nido” sarebbe utile ampliare l’indagine mediante il coinvolgimento delle famiglie dei bambini con disabilità per acquisire anche il loro importante punto di vista. In accordo con l’Amministrazione comunale, i ricercatori nei prossimi mesi proseguiranno la ricerca in questo senso proponendo delle interviste semi – strutturate ai genitori dei bambini con disabilità che usufruiscono del servizio. I risultati sopra proposti, tuttavia mettono in luce la necessità di una maggiore attenzione verso la tematica dell’inclusione oltre che a livello locale anche a livello nazionale e regionale. Studi mirati finalizzati a valutare la qualità dei processi educativi rivolti a realtà diverse, favorirebbero una maggiore comprensione di come debbano essere organizzati i servizi per bambini disabili di età compresa fra i 0 e i 3 anni. Tali riflessioni scientifiche aiuterebbero i decisori politici a definire precisi criteri a cui gli asili nido di tutto il territorio nazionale debbano attenersi nell’accogliere e promuovere percorsi educativi inclusivi per bambini

2. Esiti di ricerca


disabili, anche per colmare il vuoto normativo che tuttora fa sì che in ogni realtà si operi in maniera diversa. La mancanza di standard chiari, delega la qualità dei servizi alle scelte di educatori e coordinatori, senza però garantire una reale equità degli esiti relativamente ai processi che vengono messi in atto nei molteplici contesti.

Riferimenti bibliografici Benedetti S. (2003). Il nido di fronte alle differenze. In A. L. Galardini (Ed.), Crescere al nido. Gli spazi, i tempi, le attività, le relazioni. Roma: Carrocci. Bertolini P. (1994). Un possibile (necessario?) incontro tra la pedagogia e la medicina. In G. Bertolini (Ed.), Diventare medici. Il problema della conoscenza in medicina e nella formazione del medico (pp. 55-78). Milano: Guerini Studio. Bondioli A., Mantovani S. (Eds.) (1987). Manuale critico dell’asilo nido. Milano: Franco Angeli. Borghi B. Q. (2015). Nido d’infanzia. Buone prassi per promuovere il benessere e la qualità della vita dei bambini. Trento: Erickson. Camargo S. P. H., Rispoli M., Ganz J., Hong. E. R, Davis H., Mason R. (2014). A Review of the Quality of Behaviorally Based Intervention Research to Improve Social Interaction Skills of Children with ASD in Inclusive Settings. Journal of Autism and Developmental Disorders, 44, pp. 20962116. Canevaro A. (1999). Quel bambino là. Firenze: la nuova Italia. Cantoia M. (2008). I bambini apprendono quando… In Centro studi per l’infanzia e l’adolescenza Parma infanzia, S. Mantovani, P. Calidoni (Eds.), Accogliere per educare. Pratiche e saperi nei servizi educativi per l’infanzia. Trento: Erickson. Catarsi E. (2010). Il nido e il sistema integrato dei servizi per la prima infanzia in Italia. Firenze: Istituto degli Innocenti. Cesaro A. (2015). Asilo nido e integrazione del bambino con disabilità. Roma: Carocci. Chiappetta Cajola L., Rizzo A. L. (2014). Gioco e disabilità: l’ICF-CY nella progettazione didattica inclusiva nel nido e nella scuola dell’infanzia. Form@re, Open Journal per la formazione in rete, 3, 14, pp. 25- 42 (http://www.fupress.com/formare). Cottini L., Rosati Lanfranco (2008). Per una didattica speciale di qualità. Dalla conoscenza del deficit all’intervento inclusivo. Perugia: Morlacchi. Dettori G.F. (2011). Perdersi e Ritrovarsi. Una lettura pedagogica della disabilità in età adulta. Milano: Franco Angeli. Eurydice, Indire (Eds.) (2015). Bollettino di informazione Internazionale. Educazione e cura della prima infanzia. Una sintesi delle politiche e delle pratiche in Europa (http://www.indire.it/lucabas/lkmw_img/eurydice/Bollettino_2105_per_web.pdf). Fiorin I. (2007). La scuola luogo di relazioni e apprendimenti significativi. In A. Canevaro (Ed), Integrazione scolastica degli alunni con disabilità. Trent’anni di inclusione nella scuola italiana. Trento: Erickson. Foni A. (1987). La Programmazione. In A. Bondioli, S. Mantovani (Eds.), Manuale Critico dell’Asilo nido. Milano: Franco Angeli. Grasselli B. (2008). La famiglia con figlio disabile. L’aiuto che genera aiuto. Roma: Armando. Guralnick M. J., Connor R. T., Johnson L. C. (2011). The Peer Social Networks of Young Children with Down syndrome in Classroom Programmes. Journal of Applied Research in Intellectual Disabilities, 24, pp. 310-321. Lundqvist J., AllodiWestling M., Siljehag E. (2016). Characteristics of Swedish preschools that provide education and care to children with special educational needs. European Journal of Special Needs Education, 31, 1, pp. 124-139. Milani P., Pegoraro E. (2011). L’intervista nei contesti socio-educativi una guida pratica. Roma: Carocci. Pavone M. (2014). L’inclusione educativa. Indicazioni pedagogiche per la disabilità. Milano: Mondadori Università. Pennazio V. (2015). Progettazione educativa e accoglienza del bambino con disabilità all’asilo nido. Italian Journal of Special Education for inclusion, III, 1, pp. 183-195.

anno V | n. 2 | 2017

G. FILIPPO DETTORI, GIOvANNA PIRISINO

119


Benedetti S. (2015). Il nido di fronte alle differenze. In A. L. Galardini (Ed.), Crescere al nido. Gli spazi i tempi, le attività, le relazioni. Roma: Carocci. Sbattella F. (2008). Sorseggiare un tè presso i nidi accoglienti. In Centro studi per l’infanzia e l’adolescenza Parma infanzia, S. Mantovani, P. Calidoni (Eds.), Accogliere per educare. Pratiche e saperi nei servizi educativi per l’infanzia. Trento: Erickson. Sorrentino A. M. (2006). Figli disabili. La famiglia di fronte all’handicap. Milano: Raffaello Cortina. Vianello R. (2012). Potenziali di sviluppo e apprendimento nelle disabilità intellettive. Indicazioni per gli interventi educativi e didattici. Trento: Erickson. Unicef (2008). Come cambia la cura dell’infanzia, un quadro comparativo dei servizi educativi e della cura della prima infanzia nei paesi economicamente avanzati (https://www.unicefirc.org/publications/pdf/rc8_ita.pdf). Unicef (2007). Convenzione sui diritti delle persone con disabilità. Comitato per l’Unicef Onlus Roma (http://www.unicef.it/Allegati/Convenzione_diritti_persone_disabili.pdf). Zammuner V. L. (2003). I focus group. Bologna: Il Mulino.

Riferimenti normativi

120

Comunicazione della Commissione Europa 2020 – Una strategia per una crescita sostenibile e inclusiva –COM (2010) 2020. Decreto Presidente della Repubblica 24 febbraio 1994 – Atto di indirizzo e coordinamento relativo ai compiti delle unità sanitarie locali in materia di alunni portatori di handicap. In Gazzetta Ufficiale 6 aprile 1994, n.79. Legge 30 marzo 1971, n. 118 – Conversione in legge del D.L. 30 gennaio 1971, n. 5 e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili, in Gazzetta Ufficiale 2 aprile 1971, n. 82. (http://www.gazzettaufficiale.it/ricercaArchivioCompleto/serie_generale/1971) Legge 4 agosto 1977, n. 517 – Norme sulla valutazione degli alunni e sull’abolizione degli esami di riparazione nonché altre norme di modifica dell’ordinamento scolastico. In Gazzetta Ufficiale 18 agosto 1977. n. 224. (http://www.gazzettaufficiale.it/gazzetta/serie_generale/caricaDettaglio?dataPubblicazioneGazzetta=1977-08-18&numeroGazzetta=224) Legge 5 febbraio 1992, n. 104 – Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate. In Gazzetta Ufficiale, 17 febbraio 1992, n. 39. (http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1992/02/17/092G0108/sg) Raccomandazione dell’Unione Europea – Investire nell’infanzia per spezzare il circolo vizioso dello svantaggio sociale- 20 febbraio 2013. Relazione introduttiva, Allegato alla Deliberazione Giunta Municipale di Sassari, n. 557 del 20/12/2006.

2. Esiti di ricerca


Essential Questions and their use in developing metacognition in pre-primary and primary aged children

Key-words: metacognition, didactics, higher level thinking, pre-primary and primary curriculum, significant learning, special needs, inclusive education

2. Esiti della ricerca

Italian Journal of Special Education for Inclusion

anno V | n. 2 | 2017

Š Pensa MultiMedia Editore srl ISSN 2282-5061 (in press) ISSN 2282-6041 (on line)

This article deals with the introduction of Essential Question techniques in pre-primary and primary schools based on a study carried out in the United States from K-12 .This technique consists of using certain kinds of questions which focus on a deeper reflection on the content of study. All questions (non-EQs) used in Italian pre-primary and primary schools focus on the content of the curriculum being taught, and EQs are not used. The article describes how EQs differ from nonEQs and how the former can change the dynamic of learning at the pre-primary and primary level. The article goes on to describe the phases of a study on the introduction of EQs into the daily activities in a pre-primary and a primary school in Italy, where EQs had not been previously used. The research involves two second grade classes in primary school and two pre-primary school classes made up of children aged five. In children of this age, the use of Essential Questions (EQs) may stimulate metacognition processes. These processes may lead to higher level thinking while maintaining a higher degree of motivation, which continues to be an issue as well for children with special needs.

abstract

Nicoletta Rosati (UniversitĂ LUMSA, Roma / n.rosati2@lumsa.it)

121


Introduction

122

Essential Questions may be considered a technique to promote meaningful learning. These kinds of questions are part of a strategy to achieve what is considered “significant learning�. This means a process of learning that can be supported by previous knowledge (Ausubel, 1980) in order to facilitate the elaboration of new information. This technique can be an important aid for students with learning disorders and for those who are affected by intellectual disabilities. These students find difficulties in processing information and producing logical connections in their thinking process. Essential Questions, thanks to their focus on creating a logical sequence of ideas and guiding the expression of critical thinking, can facilitate the process of learning for students with learning disorders and with intellectual disabilities. Recently, other authors (McTighe &Wiggins, 2004; Mangieri & Block, 2007) have re-evaluated the idea of significant learning to focus on how the students can use what they have learned in school outside the classroom. Nowadays, significant learning is therefore linked to the idea of presenting authentic and relevant contexts in the classroom thus allowing the students to transfer what they learn inside the classroom into the real world. Students with special needs as mentioned above may often be excluded from participating in classroom experiences which propel them into authentic contexts. Teachers often have lower expectations for these types of students, and teachers may choose to avoid presenting challenges that may frustrate students with learning difficulties. A relevant context could be when a teacher asks students to comment on several poems studied in the course directing their comments not to the teacher, but to a publisher who is interested in publishing a book of poems for young people of their age. The publisher is actually not a real person, but the students do not know this, and so, this becomes an authentic situation for them. In addition, the poems would be directed at young people, which is relevant for the students in the class. In a didactical situation as above, inclusion for all the students is assured. The importance of motivating students while reinforcing critical thinking are two main aspects of current inclusive didactics (Cottini, 2016; Cornoldi, Gruppo MT & De Beni 2016; Caponi, Cornoldi, Falco, Focchiatti & Lucangeli, 2012; Brophy, 1996). With this aim in mind, using essential questions as a strategy when teaching creates motivation in the students and promotes critical thinking, the main characteristics of significant learning.

1. Essential Questions

Essential Questions (EQs) are relatively simple questions with the aim of gaining a deeper understanding of the problem presented and/or of scholastic content. The main characteristic of these questions is the opportunity that they offer to learners to go beyond the scope of information towards a deeper and higher vision of the problem or of the content itself. The problem is investigated in all its aspects by examining different points of view. The content is not the main focus of the students’ study, but rather, it represents a means to understanding every-

2. Esiti di ricerca


day life. For students with Learning Disorders, the use of EQs may represent a method to tackle the content of study and find a way to produce mind maps. The exercise that EQs allows learners to do is to guide their thinking process towards closer observation and toward an active consideration of the collected data. EQs stimulate the search for meaning, leading to an understanding of a possible transfer of knowledge to the students’ everyday lives. Using EQs should not be optional but required in a curriculum, as it makes students understand that learning must be active and not passive. In addition, there are other important reasons for using EQs: – – – – – – –

Questioning leads to meaningful learning Learning units become intellectually engaging for students Teachers are helped to prioritize standards Increased transparency for students Metacognition is promoted and enhanced Intra- and interdisciplinary connections are enabled Differentiation among students is supported.

The systematic use of EQs with students with intellectual disabilities can represent a method to guide the process of thinking and the consequent expression of thought. 1.1 Meanings of “Essential”

In reflecting on the word “essential”, we can distinguish three overlapping meanings. The first is “essential” as something important and timeless. This means that what students learn through the use of essential questions becomes natural and recurrent throughout their lives. For example, “What is justice?” or “What is the relationship between science and faith?” are questions that will be asked over and over in the course of a person’s life, but the answers will change. Different experiences, personal reflections on life events and changing points of view influence how we think, and consequently, how we answer essential questions. The second meaning for “essential” is “elemental” or “foundational”, as essential questions reflect the most significant arguments in the field of inquiry both historically and currently. For example, a question like “How can a history writer avoid influencing the readers with his personal point of view on the facts he talks about?” illustrates this point. The third meaning of “essential” refers to what is necessary for personal understanding. Essential questions help students to understand how to connect seemingly unrelated and abstract information, traditionally the province of experts, and how to apply this knowledge to their own needs. For example, in sports, students can learn how to create scoring opportunities by answering a question like “What strategy can we use to enhance our offense?” In other words, these Essential Questions can be applied to physical skills as well as non-physical ones.

anno V | n. 2 | 2017

NICoLETTA RoSATI

123


2. Questioning leads to meaningful learning

124

one of the main reasons to support the use of EQs is that these can lead to a deeper understanding of the concepts and of the process of learning so that students can transfer their learning to outside the classroom (McTighe, Wiggins, 2004; Wiggins, McTighe, 2005, 2007, 2011, 2012). For students with intellectual disabilities, even simple tasks, such as purchasing a snack, can be a challenge. EQs can guide these students to plan the necessary actions to function in the real world. Starting from goals, the teacher can unpack these in order to direct students’ attention to each component of the original goals, and students will have clear steps to follow in order to achieve them. The unpacking of the original goals involves the use of essential questions. For example, a primary teacher can unpack the aim of understanding the impact of geography, climate and natural resources on the lifestyle of the people living in a determined area by creating an EQ such as “How does the place where we live influence how we live?”. Thanks to the use of essential questions, students can acquire expert knowledge as the result of inquiry, argument and difference of opinion. EQs are a way for the students to delve into concepts and explore them. At a practical level, students can start from understanding issues and, through EQs, students can transfer their knowledge to their real lives and vice-versa. Essential Questions lead to targeted understanding. For example, if students are studying the main characteristics of the territory where they live (climate, geography and natural resources) and how these influence the lifestyle of the people living there, then, an Essential Question might be: “How do these characteristics influence your lifestyle?”. Another example might be while students are studying the nutritional elements found in food (fats, proteins, carbohydrates, etc.), the Essential Question could be: “If a person eats a sandwich for lunch every day, how will his health be affected by the combination of the nutritional elements contained in the sandwich?”.

3. The importance of teacher’s intent

Questions starting with “how” or “why”, while apparently leading to open-ended thought, may actually be asking for factual answers. Likewise, questions beginning with “what” or “who”, while apparently asking for factual answers, may encourage thinking and discussion. For example, the question: “Why did the French Revolution start?” can be answered in a single answer by looking it up in the textbook, while the question: “What makes a great leader?” leads to discussion and open-ended answers. Before formulating the essential questions which can lead to a higher order of thinking, the teacher should consider the purpose, the audience, the context and the impact of the questions. Teachers who have children with special needs in their classes can formulate EQs that are suitable to the issues these students face, such as having to prepare a meal or making a Mother’s Day gift. If we look at the question itself, we cannot decide if the question is essential or not without first considering the purpose behind the question. If the question

2. Esiti di ricerca


posed allows the students to express what they already know and then forces the students to question this knowledge, we can consider this to be an essential question. For example, “Is the water in the world running out?” “Can we have a map of the area where we live by using geometry”? “Can we talk about a virtual world existing next to the real world?” These kinds of questions may spark curiosity and evoke deeper thinking and discussion. These questions do not elicit only yes-no answers, but they provide stimuli for further thinking processes. Moreover, this technique may be useful in stimulating children with disabilities who do not spontaneously participate in class discussion. A question cannot be considered essential or non-essential merely on the basis of how it is worded. A teacher may pose a question that seems to be openended, but he is looking for a pat answer and, similarly, he may pose a question that appears to require a pat answer, but he is actually trying to evoke thoughtful analysis on the part of the students. For example, the teacher can count objects in multiples of two’s and then ask the children to continue counting. At the end of the activity the question could be: “What are we doing here and why?” This question seems to require a pat answer, but the teacher can use the same question to ask for further reasoning allowing students to reflect and become aware of their thinking (metacognition). In other words, whether a question is essential or not depends on the teacher’s purpose in asking it. This reflection underlines how important the teacher’s goals are and how he tries to accomplish these goals. 3.1 Topical and overarching EQs

125

Some EQs can be limited to a specific discipline or area of interest. For example, if we take the question: “What can we learn from our nation’s war of independence?”, the answer is open-ended, but it is not perpetual. on the other hand, an overarching EQ transfers across different disciplines and links them beyond the particular topic. For example, the EQ “What can and can we not learn from our nation’s past?” is both open-ended and perpetual, as it bears being asked over and over again. overarching EQs are useful in planning a cross-curriculum, focusing on soft skills that involve different disciplines, but these questions can also be applied to a long-term curriculum, from kindergarten through secondary school. For example, questions like: “How can water be important to our lives?” or “How can a tree contribute to the quality of our lives?” can be asked of students in any grade. Questions like these can be further unpacked for children with special needs to individualize the learning process. obviously, when dealing with children in kindergarten, the answers will reflect their limited experience. However, these children can still reach a first level of understanding of the cycle of water or of the relationship between trees and breathable air. As Bruner said, teachers can “come back” to the same topics through the years like spirals: every time the students attempt to answer the questions, they will gain a deeper knowledge and comprehension of the topics.

anno V | n. 2 | 2017

NICoLETTA RoSATI


4. Metacognitive and reflective Questions

The examples presented so far are linked to academic disciplines. There are other kinds of EQs dealing with the metacognitive and reflective dimensions of our personality, which can refer to the world outside the classroom. These are questions linked to the awareness of the personal process of learning and understanding. Questions like: “How can I remember the passage of the book that I have just read?” or “How can I manage my anxiety?” or “How can I improve my learning style in order to perform better?” are particularly useful to focus on personal development. These questions empower the metacognitive process of learning with the positive result of overcoming learning disorders such as dyslexia, dysgraphia, dysorthography and discalculia. (Cornoldi, 2017; Cornoldi, Zaccaria,2015; Stella, 2017, 2016; Stella, Savelli, 2011; Frith, 1985). Furthermore, metacognitive and reflective questions are fruitful toward forming reflective and thoughtful individuals. These questions can be posed in school as well as outside of school during one’s daily life. 4.1 Non-essential Questions

126

In schools, as in any other educative context, teachers and educators use many non-essential questions, which continue to be useful. Mc Tighe and Wiggins classify these questions as questions that lead, questions that guide and questions that hook (Mc Tighe, Wiggins, 2015). Questions that lead are questions that require only one correct answer, such as:

– – – –

What is the capital of China? What is the chemical symbol for water? Who was the president of Italy in 1978? How much is twenty and thirty-five?

Leading questions help the teacher to check the learner’s specific knowledge and thereby reinforce the student’s knowledge of facts. These questions can also be defined as rhetorical, which means that they point to specific facts with the aim of directing the students’ attention to these facts. They do not stimulate discussion, however. Guiding questions are broader than leading questions, but they are not openended. They guide the students toward a definite answer through inference rather than recall. For example: – Can you state Pithagoras’ theorem in your own words? – What were the main causes of the French Revolution? – When is a number considered “prime”?

These kinds of questions are useful as they allow teachers to achieve learning outcomes, however, these questions are not meant for long term inquiry and will not be revisited over time.

2. Esiti di ricerca


Although questions that hook are not considered essential, these questions serve to capture students’ attention and pique their interest. It may be useful to start a lesson or a didactic unit of a course with questions like “Is what you are eating making you fat?” as an opening question in a nutrition class, or “Are you the same height in Italy as you are in Australia?” as an opening question in a math class. Questions used in teaching can be classified into two types: those that are essential for the teacher to hook and guide versus “essential questions”, which allow students to examine ideas and processes that lead to a deeper understanding as part of continuous learning. With children with intellectual disabilities, non – essential questions are commonly used to elicit an answer more efficiently, but this kind of question may not prove to be motivating for most students. To increase motivation, the teacher can transform a non – EQ into an EQ. For example, a child draws an apple and the teacher asks what colour it is. If the child answers “red”, the teacher can introduce a series of EQs such as “Have you ever seen apples in the market?”, “Let’s find some photos of apples on the computer”, “What colour are these apples?”, “Can we draw an orange apple?” and “Why?” or “Why not”? According to the different answers the child gives, the teacher may produce new questions to help the child to reflect on his experience. This use of EQs increases students’ motivation when doing even a routine classroom task. 4.2 Methodological Tips

When a teacher wants to apply the EQ method, he should plan a long-term learning goal, as Essential Questions need to be revisited throughout the curriculum. The teacher can start with a unit to present the EQ by giving the students the opportunity of discussing, reflecting, and analysing. only one EQ should be presented per unit and it may require many units of study before students are prepared to answer it. Sometimes, the same question can be presented either as a guiding question or as an essential question. Everything depends on the teacher’s intent. If the teacher is looking for a final answer, even after discussion, reflection and analysis, we are dealing with a guiding question. If the teacher is looking for a continuous revisiting of the content stimulated by the question, we are dealing with an essential question.

Looking at what has been presented so far, we may ask ourselves if EQs are truly important in a syllabus. There are different reasons to use EQs, among which the most important one, in our opinion, is to produce thoughtful learning and engaged learners. There are other important reasons for using EQs in didactics, such as: – – – – –

they signal that inquiry is a key goal in education; they make the learning units more intellectually engaging; they help teachers to clarify the main standard; they help students to become aware of educative goals; they provide interdisciplinary connections;

anno V | n. 2 | 2017

NICoLETTA RoSATI

127


– they encourage metacognition; – they support a meaningful thought process (McTighe, Wiggins, 2015).

128

Signalling inquiry as a key goal is fundamental in making students active learners, constantly in search of new meanings without being stalled by the evidence of the situation they encounter. If we take the example of Socrates in Plato’s Dialogues, we can appreciate how important it is to develop the habit of thinking rather than accepting what others say without question. other examples that illustrate how important it is to develop one’s critical thinking are the fable of “The Emperor’s New Clothes” and the adventures of Winnie the Pooh. once the thinking habit is ingrained, a person is no longer susceptible to those who try to influence or convince him to accept without thinking. The ultimate aim of education and teaching is to make students better questioners, especially considering the fact that information and knowledge in the modern world is constantly changing and rapidly becoming obsolete. We need to prepare students to keep on using high level thinking skills in order to be able to question the complex challenges of today’s society. While this seems like an obvious choice, the majority of teachers use leading questions based on factual knowledge, which results in lower-level thinking (Pagliaro, 2011, p. 13). More recently, further research has been conducted suggesting that the majority of questions asked by the teachers from primary school through university (Albergaria Almeida, 2010) generate lower-level thinking (Wragg, Brown, 2001; Bentham, 2004; Wilen, 2004). The frequency of the questions in the classroom is extremely high, ranging from 300 to 400 a day (Levin & Long, 1981). For example, in a third grade class, a question is asked every 43 seconds and in a junior high school class every 10 to 15 seconds (Gambrel, 2015). Recently, Wiggins and McTighe visited classrooms and observed that, while there was an essential question on the board, inquiry was not sustained during the discussion, but there continued to be a focus on content (Wiggins, McTighe, 2016). They go on to say that according to their method of Understanding by Design, essential questions are placed in stage 1 in the course plan as the unit aim. This means that the aim focuses on inquiring and deepening understanding rather than acquiring content as a long term goal. Developing a deeper understanding comes over a period of time and cannot be arrived at by the mere transmission of information. Essential questions engage students so that they are able to construct knowledge and find meaning for themselves (Wiggins, McTighe, 2011, 2012). The way to make learning proactive and engaging is to organize units starting with thought-provoking questions. In this context, the content to be presented becomes the tool with which the students can answer the questions. The best thought-provoking questions are EQs because, as we said, they are those which awaken, heighten and challenge the thinking process. This is particularly important for students with special needs. Planning units based on thought-provoking questions has two main pedagogical aims. The first is to encourage students to pursue an inquiry without being satisfied with the obvious, superficial answers. The second aim is to motivate students to learn content in order to support inquiry. When these aims are 2. Esiti di ricerca


achieved, there is a high level of intrinsic and extrinsic motivation to study. To use an example of an athlete, his motivation helps to endure even the most tedious and exhausting training. Using EQs in a sport context, where an athlete needs to perform well and ultimately win, helps to “think the sport”, or rather, to have an awareness of the challenges posed by the EQs. Some examples of this type of question might be: “What do we need to do to improve our performance and win?” and “What can we do to reduce the effectiveness of our opponent?” Another example of the effectiveness of EQs is in student writing. Questions like: “What is your purpose?” and “Who is your audience?” are asked of the writers before peer review. In turn, reviewers are asked questions like: “To what extent does the writer achieve his purpose?” and “What are the most interesting and least interesting aspects of the writing?” Teachers and students interviewed after a writing experience where EQs were used to evaluate the students’ writing produced some interesting comments. The use of EQs allowed the teacher to take advantage of teachable moments to focus on aspects of student writing, such as idea development, organization, word choice and mechanics, and by doing so, the teacher was responsive to what was relevant to the students in terms of their writing.

5. Essential Questions and Modelling Metacognition

The function of EQs is not only to focus on learning. Through their use, EQs also serve as a model for students to learn how to formulate EQs and then to call upon these questions during independent thought. For this reason, only the expert (teacher) knows how to produce the model. The students are normally encouraged to pose their own questions, but the best EQs reflect the expert’s insights on the discipline. There is a seminal work by George Polya (1967) in which teachers’ questions become students’ EQs, thus allowing the students to face the challenges of problem solving. It is important to point out that the EQs framed by Polya not only involved abstract thought: issues, values, themes and concepts, but also in processes and strategies. EQs are essential in skill areas such as maths, world languages and even athletics and the performing arts. Success in any field depends on the ability to ask the right expert questions about strategies and attitudes, and then to apply the results. However, teaching through the use of EQs is useless if students are not faced with challenging problems. Skills are a means and not an end, even when dealing with students with disabilities. Teachers need to set up situations that stimulate the curiosity of students in order that they start to ask questions. Some of these questions can be transformed into EQs by the experts, who can then use these questions to support the process of learning. Thanks to these questions, students become aware of what they learn, and this metacognitive knowledge allows them to choose the right strategies to address and solve challenging problems. Another important consideration about metacognition modelling is represented by meaningful differentiation, which is based on students being different. Students have different learning styles, different skill levels and different experiences, but the use of the EQs should be the same for all the students in the class. anno V | n. 2 | 2017

NICoLETTA RoSATI

129


The focus of learning is on the thought not on the content. Essential questions should facilitate the thinking process and help the students to become aware of their personal learning mode. Carol Ann Tomlinson, one of the leading experts in differentiated instruction, recommends that teachers express maximum respect for the skills of each student (Tomlinson & McTighe, 2006). Using the same EQs in the class means that the teacher respects each student’s individual intelligence and capacity to think. The most important task for a teacher is to enhance learning and not to cover content (McTighe, Wiggins, 2013). The teacher should uncover the leading ideas and the processes generated by the content so that the students can make useful connections among concepts and are equipped to transfer what they learn to other meaningful contexts. This process of learning produces metacognitive knowledge and develops metacognitive processes in the students. The use of EQs seems to be useful even in the preparation of students for standardized tests. Several studies in the United States have demonstrated that the students that have been educated through EQs are more capable in coping with standardized tests (Marzano, Pickering & Pollock, 2001; Newmann, 1991).

6. Essential Questions: an experience in an Italian pre-primary and primary school

130

The following notes describe the project of introducing Essential Questions in the curriculum of a pre-primary and primary school. The method described the hypothesis, the sampling, the research tools, some of the activities introduced in the daily syllabus of a pre-primary and primary school and the result of this experience.

The hypothesis of the research First, the strategy of using Essential Questions in the classroom is not yet very common, and therefore, this experiment has been one of the first to be carried out in Italy. The hypothesis of the research is that with the use of EQs, metacognitive thinking processes are developed and enhanced in the primary and preprimary classrooms1.

The sampling The research involves two second grade classes, eighteen and twenty-three pupils respectively aged seven, eight males and ten females in one class and twelve females and thirteen males in the other class of the primary school. Also taking part in the study were two pre-primary classes, composed of twenty children each, aged five, nine males and eleven females in one class and seven males 1

The terms of pre-primary and primary schools were chosen to indicate respectively the last yearofpre-school and elementary school according to theuse of these terms in the official documents of the European Agency for Special Needs and Inclusive Education (European Agency for Special Needs and Inclusive Education, 2017).

2. Esiti di ricerca


and thirteen females in the other class. The sampling was taken randomly in the same school2, based on teachers’ willingness to participate in the experiment. The EQs were used in one of the two classes (one primary and one preprimary) while the other two classes were control groups where traditional methodology was used.

Research Tools In order to investigate school and pre-school age metacognitive processes, both the metacognitive reading questionnaire and the metacognitive writing questionnaire, elaborated by Friso, Drusi & Cornoldi research group (2016), were administered to primary and pre-primary experimental and control groups for pre-treatment and prescribing skills. In order to evaluate meta-memory, Wellmann and Yussen tables (Yussen & Bird, 1979) were used, adapted for Italy by Mazzoni and Tressoldi (1988) as well as the meta-memory tests (Cornoldi & Caponi, 2011). The results of the tests administered showed that the results of the metacognitive questionnaires were well correlated with the other measures. Consequently, the teachers and the researchers were able to have a description of the initial levels of metacognitive thinking skills of each child in the primary and pre-primary groups. At the end of the experimental experience, researchers produced a re-test using the metacognitive reading questionnaire and the metacognitive writing questionnaire as well as the meta-memory test.

Primary school At the beginning of the study, the teachers of both groups carried out diagnostics (Friso, Drusi & Cornoldi, 2016) to determine the level of metacognitive thinking skills. The results of these tests were almost the same for both groups. At this point, EQs were introduced in one of the groups. Teachers conducted the class in the usual fashion: introducing new content, explaining this content, allowing children to get hands-on experience, talking together about what they had done, the difference being that a section of each class activity included the use of EQs. Before introducing scientific concepts, the math and science teacher, for example, prepared some EQs, such as: “How can our bodies continue to live?” When the students answered: “Because we eat food”, the teacher formulated the next EQ: “How can food make our bodies work?” After this, all the children expressed their own ideas. According to the children’s answers, the teacher continued to formulate EQs to motivate the children to think independently and eventually become autonomous learners . If the children were unable to give the answer, they were encouraged to look up the information in their books or computers, or ask their peers. Some examples of EQs used by the teacher to introduce arithmetic activities were: “What is a number?” and “How can numbers help us outside the school?” The teacher continued to elaborate EQs on the basis 2

The schools involved in the research are: Istituto comprensivo “Vibio Mariano” – Roma, where the two pre-primary classes were located, and Istituto comprensivo “D.R.Chiodi” where the two primary classes were located.

anno V | n. 2 | 2017

NICoLETTA RoSATI

131


132

of children’s output. The importance of using these questions is not in the answers to the questions themselves, but rather in the exercise of thinking. This exercise of thinking allows pupils to become more critical and more aware of their ideas, thereby helping them to create links among different concepts. In doing so, children develop metacognitive knowledge to help them to plan their actions and predict the outcomes of these actions. The style of teaching in this class was characterized by focusing on the thinking process rather than on the content of the different subjects. The same approach was not followed in the control group, where the focus of teaching was on content only. The Essential Question technique was continued in the experimental group even when teaching other school subjects. During the experiment using the EQs, teachers noted down their observations on students’ responses and contribution to the talks. Both teachers and researchers discussed these notes to look for any improvement in the use of metacognitive thinking skills. After two months, the experimental group and the control group were compared as to their abilities to carry on a group discussion on everyday topics. Direct observation and video observation on conversation in the classroom were recorded, and the teachers filled in a check list about children’s behaviour during the conversation based on EQs. For example, students were asked how to solve the problem regarding the use of the school gym, which was under repair. Pupils had to suggest ways to continue with their physical education without the use of the gym. Children presented their solutions and commented on the different solutions while the teachers observed and recorded their behaviours. Children in the control group were able to give only limited suggestions such as: “We can wait until the gym is ready” and “We can stop PE” or “We can use the classroom for PE”. Children from the experimental group were more creative in the search for a solution: “Why don’t we ask one of the high schools nearby to let us use their gym until our gym is ready?” and “We can use the hallways without disturbing the students that are in class” or “on sunny days we can use the school courtyard when it is not full of students”. During the experimentation, it was clear that those children exposed to the EQ technique were inclined to find solutions which explored the problem in more depth, thus demonstrating more autonomous thought. on the contrary, children from the control group needed to be continuously guided by the teacher’s prompts before being able to come up with new solutions. These results were made clear in the observation log and in the video, as well as in the checklist, which included items such as “initiating conversation”, “keeping the conversation going through the use of follow-up questions and comments”, and “contributing new ideas relating to the initial topic”.

Pre-primary school Similar to the procedure used in the primary school, the experimental group and the control group in the pre-primary school were tested using metacognition questionnaires (Friso, Drusi & Cornoldi, 2016) and meta-memory (Cornoldi & Caponi, 2011) to measure the level of metacognitive thinking skills. The results did not show significant differences between the two groups. For the next two months, the didactical activities in the experimental group 2. Esiti di ricerca


focused on the use of EQs while the control group continued with traditional didactics focused on content. Teachers in the experimental group presented each activity using EQs before focusing on the content. For example, the teacher presented the cycle of water starting with EQs such as: “Where does rain come from?”, “Where does sea water come from?” and “Why do clouds move in the sky?” Children’s answers were compared in order to determine similarities and differences, on the basis of which the teacher produced new EQs. Children were then guided to ask for further information they needed to understand the cycle of water. They looked for different images and they were able to find links among the images by asking the teacher questions for understanding. Subsequently, the children were able to describe the cycle of water by linking together the different phases of the process and were autonomous in the elaboration of the content. on the contrary, in the control group, the teacher introduced the activity by focusing children’s attention directly on the content. The teacher showed the cycle of water using images and telling the story of the water drop and then asked children to repeat the different phases of the cycle using images. During the experiment, the children were observed and filmed. By using EQs, the teacher stimulated the children to come up with and to produce new ideas. In addition, these children were able to continue a discussion without further stimulus from the teacher. In the control group, the children were able to answer content questions but were unable to come up with any independent ideas. Consequently, they were unable to create a discussion based on their own questions, as happened in the experimental group. As in the primary school experiment, direct observation, video observation and a checklist were used to compile and document the results.

Results After the two- month period of experimentation, the children in both groups (experimental and control) in the primary and the pre-primary schools were retested (Friso, Drudi & Cornoldi, 2016; Cornoldi & Caponi 2011). In addition, children from pre-primary school were also tested with the 4-5 School Readiness Test (Zanetti & Cavioni, 2014). This test was administered in order to have a clearer picture of the overall development of the cognitive aspects of each child’s personality. This test was not used in primary school as it is an indicator only for children aged five. The outcomes of all the tests in both primary and pre-primary school indicated that the experimental group and the control group improved their performance in metacognitive aptitudes. The score for the experimental group in pre-primary was slightly higher (25%) than that of the control group. Similarly, the score for the experimental group in primary was also slightly higher (15%) than that of the control group. This suggests that the use of EQS can enhance the development of higher level thinking, however, further experimentation needs to be carried out to validate this claim.

anno V | n. 2 | 2017

NICoLETTA RoSATI

133


Conclusion

According to the results which came out of this study, an argument can be made for the use of EQs in the curriculum of pre-primary and primary school. Considering the data collected so far, we are led to believe that the systematic use of EQs can stimulate metacognitive processes and facilitate the development of higher level thinking, and subsequently, enhance critical thinking in pre-primary and primary aged children. It has already been established that stimulating metacognitive processes is an important strategy to help children with learning disabilities (Cornoldi, 2017; Stella, 2016; Lucangeli, 2012). Additional research should be carried out in Italy using a wider sampling and focusing on children with learning disabilities or those with potential learning disorders to determine how the use of EQs may benefit these types of learners. EQs involve and engage all types of learners, thus creating an inclusive atmosphere. Furthermore, EQs help to maintain a higher degree of motivation, which continues to be an issue for children with special educational needs. In the future, EQs could be introduced into the pre-primary and primary curricula as a standard technique for all subjects, once teachers have been trained in their use.

References

134

Albergaria Almeida P. (2010). Classroom questioning: Teacher’s perceptions and practises. Procedia- Social and Behavioral Science, 2(2), pp. 305-309. Ausbel D.P. (1980). Educazione e processi cognitivi. Milano: FrancoAngeli. Bentham S. (2004). A Teaching Assistant’s Guide to Child Development and Psychology in the Classroom. London and New York: RoutledgeFalmer. Brophy J. (1996). Teaching Problem Students. Washington DC: American Psychiatric Press. Caponi B., Cornoldi C., Falco G., Focchiatti R., Lucangeli D. (2012). MeMa. Valutare la metacognizione, gli atteggiamenti negative e l’ansia in matematica. Trento: Erickson. Cornoldi C. (2017). Le difficoltà di apprendimentoi a scuola. Far fatica a leggere, a scrivere e a capire. Bologna: Il Mulino. Cornoldi C., Caponi B. (2011) Memoria e metacognizione. Trento: Erickson. Cornoldi C., De Beni R., Gruppo MT (2015). Imparare a studiare. Strategie, stili cognitive, metacognizione e atteggiamenti nello studio. Trento: Erickson. Cornoldi C., Zaccaria S. (2015). In classe ho un bambino che… Per una scuola che include. L’insegnante di fronte a DSA e BES. Firenze: Giunti. Cottini L. (2016). Results evaluation in special and intercultural education. Form@are. Open Journal per la Formazione in rete, 16, 3, pp. 1-4. European Agency for Special Needs and Inclusive Education (2017). Inclusive Early Childhood Education. New insights and tools. Contributions from a European Study (M. Kyriazopoulou, P. Bartolo, E. Björck-Ǻkesson, C. Giné, F. Bellour, eds) Odense: EASNIE. Friso G., Drusi S., Cornoldi C. (2016). Metacognizione e avviamento alla letto-scrittura. Attività metacognitive per I bambini della scuola dell’infanzia. Trento: Erickson. Frith U. (1985). Beneath the surface of developmental dyslexia. In K. E. Patterson, J. C. Marshall, M. Downloaded at https://sites.google.com/site/utafrith/publications-1/reading—spellingand-dyslexia. Gambrel L. (2015). Getting students hooked on the reading habit. The Reading Teacher, 69, pp. 259-263. Levin T., Long R. (1981). Effective Instruction. Washington DC: Association for Supervision and Curriculum Development.

2. Esiti di ricerca


Lucangeli D. (2012). Il cervello è matematico. Brescia: La Scuola. Mangieri J.N., Block C. (2007). Advanced Educational Psychology: Creating Effective Schools and Powerful Thinkers. Niles, IL: Harcourt Brace Iovanovitch. Marzano R., Pickering D., Pollock J. (2001). Classroom Instruction that Works: Research-based Stategies for Increasing Student Achievement. Alexandria, VA: ASCD. Mazzoni G., Tressoldi E.P. (1988). Versione modificata delle prove di metamemoria di Yussen e Bird. Unpublished manuscript. Department of Psychology, University of Padova. McTighe J., Wiggins G. (2004). The Understanding by Design Professional Development Workbook. Alexandria, VA: ASCD. Newmann F. (1991). Promoting higher-order thinking in the teaching of social studies: Overview of a study of 16 high school departments. Theory and Research in Social Education, 19(4), pp. 22-27. Pagliaro M. (2011). Exemplary Classroom Questioning: Practices to Promote Thinking and Learning. Lanham, MD: Rowman and Littlefield Education. Pòlya G. (1967). Come risolvere problem di matematica, logica ed euristica nel metodo matematico. Milano: Feltrinelli. Stella G. (2017). La dislessia. Quando un bambino non riesce a leggere. Bologna: Il Mulino. Stella G. (2016). Tutta un’altra scuola. Firenze: Giunti. Stella G., Savelli E. (2011). La dislessia oggi. Prospettive di diagnosi e intervento in Italia dopo la legge 170. Trento: Erickson. Tomlinson C. A., McTighe J. (2006). Differentiated Instruction and Understanding by Design: Connecting Content and Kids. Alexandria, VA: ASCD Wiggins G., McTighe J. (2005). Understanding by Design. Alexandria, VA: ASCD. Wiggins G., McTighe J. (2007). Schooling by Design. Alexandria, VA: ASCD. Wiggins G., McTighe J. (2011). The Understanding by Design Guide to Creating High-quality Units. Alexandria, VA: ASCD. Wiggins G., McTighe J. (2012). The Understanding by Design Guide to Advanced Concepts in Creating and Reviewing Units. Alexandria, VA: ASCD. Wilen W.W. (2004). Refuting misconceptions about classroom discussion. Social Studies, 95 (1), pp. 33-39. Wragg E.C., Brown G. (2001). Questioning in the Primary School. London: RoutledgeFalmer. Yussen S.R., Bird J.E. (1979). The development of metacognitive awareness in memory, communication and attention. Journal of Experimental Child Psychology, 28, pp. 300-313 Zanetti M.A., Cavioni V. (eds) (2014). SR 4-5 School Readiness.Prove per l’individuazione delle abilità di base nel passaggio dalla scuola dell’infanzia alla scuola primaria. Trento: Erickson.

anno V | n. 2 | 2017

NICoLETTA RoSATI

135



1. Recensione

Morganti A. e Bocci F., Didattica inclusiva nella scuola primaria. Educazione socio-emotiva e Apprendimento cooperativo per costruire competenze inclusive attraverso i "compiti di realtà", Giunti Edu, Firenze, 2017, pp. 287 Ines Guerini / Università Roma Tre / ines.guerini@uniroma3.it Giorgia Ruzzante / Università di Padova / giorgia.ruzzante@phd.unipd.it

Il testo, a cura della professoressa Annalisa Morganti e del professor Fabio Bocci, è costituito da due sezioni ognuna ospitante quattro capitoli e precedute dalla Prefazione scritta dal professore Lucio Cottini. Il volume presenta inoltre un Glossario (metodologico e tecnologico) e un Workbook costituito da nove aree relative all’Educazione socio-emotiva (Autoconsapevolezza, Autogestione, Consapevolezza sociale, Relazioni interpersonali e Decisioni responsabili) e all’Apprendimento Cooperativo (Valorizzare le differenze, Peer tutoring, Cooperative Learning e Nuove tecnologie). Completano il libro le espansioni online raggiungibili attraverso l’apposito sito indicato. Grazie al libro, edito dalla Giunti, il mondo della scuola può finalmente avvalersi di un’ottima guida per mettere in atto una didattica inclusiva, che – come affermato nella Prefazione – «porta a considerare e valorizzare la diversità di ciascuno come una condizione di base, un a priori di cui tener conto per costruire ambienti in grado di accogliere tutti» (p. 6). Questione che risulta quanto mai attuale e dibattuta, data la configurazione delle scuole «chiamate ad accogliere una numerosità sempre più ampia di bisogni e a valorizzare e promuovere le differenze individuali, senza che nessuno sia lasciato indietro o escluso» (p. 13), come discusso nel primo capitolo (Dall’integrazione all’inclusione: lo sguardo si sposta sul contesto). Tuttavia gli autori avvertono nel secondo capitolo (I protagonisti dell’inclusione) la necessità di problematizzare il concetto di inclusione per evitare che si incorra in una visione sostanzialmente assistenzialistica (Dovigo, 2008; D’Alessio et al., 2015) degli studenti con bisogni educativi speciali (p. 16). Ed ecco dunque che l’inclusione, seguendo Stainback e Stainback (1990), «va intesa come un diritto, una modalità esistenziale, un imperativo etico, una base che nessuno deve guadagnarsi (per esempio dimostrando attraverso procedure mediche o medicalizzate di avere bisogni speciali o particolari)» (p.17). Caso contrario si arriva a quella che Bocci (2017: p.27) definisce la bessizzazione della scuola. Nel secondo capitolo inoltre gli autori, citando Mitchell (2015), ricordano l’importanza di rendere accessibile la didattica, proprio perché «i bisogni educativi speciali sono creati quando il curricolo non è reso accessibile a tutti gli studenti» (p. 23) e quindi, riprendendo Ainscow (1997), soffermano la loro attenzione sul fatto che «l’inclusione significa non chiedersi cosa è sbagliato “nel bambino”, ma che cosa c’è di sbagliato “nella scuola”» (p.20). Prospettiva questa dell’Index for Inclusion che ci ricorda che non solo «l’inclusione è un’impresa collettiva condiItalian Journal of Special Education for Inclusion

anno V | n. 2 | 2017

137


138

visa» (p. 25), ma che affinché «vi sia inclusione è necessaria praticarla, a partire dalla volontà stessa di volerlo fare» (p. 26). Così facendo si raggiunge «l’inclusività (Gardou, 2015) della scuola» (p. 26), a dimostrazione che «l’educazione inclusiva non ha nulla a che vedere con gli alunni inclusi o da includere in contesti regolari (comuni), ma è finalizzata a rendere inclusivi i contesti scolastici» (Bocci, 2016: p. 27). Fare didattica inclusiva significa allora «edificare un contesto di apprendimento accessibile dove ciascuno possa trovare il suo spazio di crescita personale e di partecipazione sociale» (p. 50), come spiegato nell’ultimo capitolo (La qualità dell’inclusione scolastica) della prima sezione. Ricordando ancora Mitchell (2008), gli autori ribadiscono l’importanza di «creare degli ambienti sicuri e stimolanti che garantiscano a tutti i bambini di migliorare la loro qualità di vita, il loro benessere personale e sociale» (p. 50). Ciò perché una comunità di apprendimento accessibile è sinonimo di efficacia dell’apprendimento stesso da parte di tutti gli allievi, nessuno escluso. È forse qui il caso di sottolineare che con accessibilità non ci si riferisce esclusivamente a quelle forme di barriera fisica alla partecipazione, ma che, per l’appunto, anche ambienti di apprendimento poco stimolanti costituiscono delle barriere alla partecipazione. Ciascun curricolo quindi dovrebbe considerare i principi dell’Universal Design for Learning (UDL) che consentono di «tenere conto delle capacità, dei bisogni, degli interessi e delle motivazioni di tutti gli allievi (Brownell, Smith, Crockett e Griffin, 2012)» (p.22). Motivare gli studenti tuttavia non è sempre così semplice e, anzi, molte volte nella scuola primaria non lo è affatto. Complice di ciò è chiaramente l’età dei bambini, che non consente loro di gestire le emozioni ed ecco che si urla se si è arrabbiati o si piange se un compagno fa uno scherzo poco gradito. Reazioni queste solitamente poco apprezzate dagli insegnanti. Eppure «[…] nessun adulto è in grado di impedire a un bambino di esprimere una sua emozione, poiché si tratta di un evento talmente complesso che rimane fuori dalla sfera della volontà individuale» (p. 36). Ciò che si può allora fare è educare alle emozioni, che «non significa certo fare a scuola “l’ora delle emozioni” (Morganti, 2012), ma far diventare le dimensioni emotive e sociali parte integrante del curriculum scolastico» (p. 45) – come viene ampiamente spiegato nel volume –. Nel capitolo terzo (Una scuola accogliente per tutti e per ciascuno), ad esempio, viene posta l’attenzione sull’importanza che le emozioni giocano nella creazione di un ambiente sereno di apprendimento (Clore e Huntsinger, 2007) e nel processo di apprendimento stesso. Infatti «emozioni piacevoli aiutano a prestare attenzione, ricordare, risolvere i problemi, prendere decisioni, pianificare un compito, quelle spiacevoli invece peggiorano l’attenzione e la memorizzazione» (p. 37). Citando gli studi sul cervello (Wentzel, 1999; Allen et al., 2011), gli autori, precisano che il modo migliore per apprendere è entrare in uno stato di attenzione rilassata (p. 38). Ecco che insegnare a gestire le emozioni non solo è «importante per il successo scolastico, il benessere personale e sociale di tutti i bambini» (p. 38), ma sviluppa quelle competenze relazionali essenziali «per stabilire e mantenere relazioni positive all’interno di un gruppo, nel rispetto di tutti e di ciascuno» (p. 43). Prerogativa questa non esclusiva della scuola, ma spendibile lungo l’intero arco della vita. Recensioni

anno V | n. 2 | 2017


Il capitolo quarto (La qualità dell’inclusione scolastica) tratta la tematica fondamentale della qualità dell’inclusione scolastica, attraverso la presentazione dell’approccio di ricerca Evidence-Based Education, ossia un orientamento della ricerca educativa basato sulle evidenze scientifiche applicato nell’ambito della pedagogia e didattica per l’inclusione. L’Italia, infatti, viene considerata il Paese che ha la normativa e il modello più avanzato del mondo in materia di inclusione, ma al contempo le viene contestato il fatto che il modello inclusivo italiano non è suffragato da dati di evidenza empirica. La scelta delle metodologie didattiche dovrebbe avvenire all’interno di quelle che hanno dimostrato maggiore efficacia, connettendo la dimensione delle culture e delle politiche con quella delle pratiche inclusive. Il volume propone la strada della ricerca applicata come metodologia in grado di verificare sul campo gli interventi didattici validati dalla ricerca educativa, consentendo così agli insegnanti di poter avere dei riferimenti operativi per il lavoro in classe supportati da evidenze e non semplicemente da credenze personali o routine. La didattica inclusiva riguarda non soltanto i bisogni educativi del singolo, ma la creazione di contesti di apprendimento accessibili per tutti gli alunni, attraverso l’eliminazione o la riduzione degli ostacoli all’apprendimento: ciò consente la creazione di un contesto scolastico inclusivo, ovvero una scuola capace di raggiungere tutti gli studenti. Questo avviene sia attraverso strategie volte a intervenire sul contesto (socio-costruttivismo), sia sul singolo soggetto (comportamentismo e cognitivismo). Al fine di valutare l’inclusione nel contesto scolastico italiano, a conclusione del capitolo viene proposta la Scala di Valutazione dei processi inclusivi, strumento messo a punto da Cottini et al. nel 2016. Relativamente invece alle competenze e alle metodologie, la seconda sezione del testo presenta proposte di itinerari didattici per concretizzare in classe, sia con interventi sui singoli allievi sia sul contesto-classe, la prospettiva inclusiva presentata nella prima parte del volume. Nel capitolo 5 (L’approccio didattico all’educazione socio-emotiva), ad esempio, si individua l’educazione socio-emotiva come approccio didattico per creare un clima inclusivo di istituto e di classe. Per la realizzazione concreta in classe dell’educazione socio-emotiva viene presentato un approccio misto, ossia un approccio in cui si integrano la dimensione dell’insegnamento sistematico e quella dell’integrazione nelle discipline del curricolo scolastico. Fondamentale è inoltre considerato il sostegno delle famiglie nei percorsi di educazione socio-emotiva. Nel capitolo 6 (Apprendere nell’inclusione: la didattica cooperativa e metacognitiva) sono presentate alcune delle metodologie didattiche inclusive da utilizzare in classe che hanno ricevuto maggiore validazione scientifica: l’apprendimento cooperativo – con riferimento in particolare alle prospettive del Learning Together di Johnson e Johnson e allo Structural Approach di Kagan – e il tutoring: entrambi gli approcci agiscono sia sul piano cognitivo che su quello socio-relazionale della classe. Un altro approccio didattico utile per creare un contesto-classe inclusivo è l’utilizzo della didattica metacognitiva, che punta sulla promozione della consapevolezza degli allievi rispetto ai propri processi cognitivi (conoscenza metacognitiva) ed al loro controllo mentre sono in atto (processi metacognitivi di controllo). Il capitolo 7 (Altre proposte per una didattica inclusiva centrata sulle differenze) prosegue nella presentazione di procedure e strategie di facilitazione in-

anno V | n. 2 | 2017

Recensioni

139


140

clusive, particolarmente indicate per alunni che hanno necessità di percorsi altamente strutturati: la task analysis, il prompting, il fading, lo shaping, il modeling e il chaining. Viene poi presentata la prospettiva offerta dalla didattica aperta, guidata dai principi della decentralizzazione dell’insegnamento e della differenziazione autodeterminata (Demo, 2015) e la didattica centrata sulle intelligenze multiple che, partendo dalla considerazione del fatto che ogni allievo accede ed elabora la conoscenza in maniera diversa, presuppone un cambiamento nella didattica nell’ottica della personalizzazione. L’ultimo capitolo (Come utilizzare le tecnologie quali veicoli di inclusione) è infine dedicato all’utilizzo delle tecnologie in ottica inclusiva, intendendo quindi il loro utilizzo non come limitato agli allievi in difficoltà nell’ottica dello strumento compensativo, ma come opportunità di apprendimento per tutti gli alunni nell’ottica dell’Universal Design for Learning. Inoltre, considerate le numerose opportunità di apprendimento significativo che le tecnologie offrono, nel volume vengono riportati come esempi di didattica inclusiva con approccio tecnologico il PROPIT (Progettare per la personalizzazione e l’inclusione con il supporto delle tecnologie), un progetto proposto dall’Università di Macerata, e la didattica con gli Episodi di Apprendimento Situato-EAS proposta da Rivoltella. Come il lettore avrà modo di leggere nelle pagine, il volume intende proporre – argomentandone la validità scientifica – una serie di metodologie e strategie da poter attuare in classe al fine di fare inclusione, tendendo a mente che «chiedere a una scuola e a una classe di trasformarsi in contesti inclusivi, significa chiedere loro di modificare, rinnovare e fortificare le loro capacità di raggiungere tutti gli studenti, garantendo e sostenendo esperienze di apprendimento significativo che tengano conto dei bisogni educativi speciali e specifici di tutti» (p. 55).

Recensioni

anno V | n. 2 | 2017


2. Recensione

Pinnelli S. e Fiorucci A., Rari ma non troppo, Progedit, Bari, 2017, pp. 124 di Lucia Rizzo / Università del Salento / rizzolucia90@gmail.com

Alla luce della rivoluzione socio-culturale a cui stiamo assistendo in tema di salute e sostegno delle persone fragili, le azioni socio-sanitare, sociali e comunitarie stanno ponendo particolare attenzione, al costrutto di “cura” secondo una accezione più ampia. Una cura che partendo dagli aspetti medico-sanitari e clinici tenga conto dello stato esistenziale della persona e dia voce ai suoi bisogni e al suo vissuto interiore. Il rinnovamento dell’agire sociale vede il modus operandi della cura orientato ad una visione “biopsicosociale” della persona, che non la considera più in relazione alla malattia ma al suo stato di salute secondo la logica dell’I.C.F. (International Classification of Functioning, 2001) dell’O.M.S. (Organizzazione Mondiale della Sanità). Un’ottica olistica che riformula semanticamente e attribuisce al costrutto di salute un significato positivo e dinamico-progettuale, definendolo come un modo di stare al mondo in presenza di una probabile alterazione biopsicosociale. Ogni persona in qualsiasi momento della vita può trovarsi a vivere una situazione di svantaggio che crea fragilità, per questa ragione il neo modello di salute considera la persona in tutte le sue dimensioni funzionali, strutturali e sociali con una particolare attenzione all’influenza esercitata dai contesti ambientali, familiari, abitativi e lavorativi. Questa metamorfosi di prospettiva è trattata con attenzione in Rari ma non troppo, un testo frutto di un lavoro di ricerca condotto da Stefania Pinnelli e Andrea Fiorucci del Centro di ricerca sulle Nuove Tecnologie per l’inclusione (CNTHI) dell’Università del Salento. Lo scritto illustra i risultati della ricerca sul progetto People with CIDP and Quality of life, orientato ad esplorare il tema della Qualità della vita relativa alla salute, per le persone con una malattia rara, la Polineuroradicolopatia Demielinizzante Infiammatoria Cronica. Il focus dello studio empirico è sulla Qualità della vita appresa come un costrutto soggettivo, volto a riferire la percezione che il paziente ha di sé, della relazione con gli altri e della sua capacità di soddisfare sogni, aspirazioni e compiti quotidiani, in rapporto al suo stato di salute. La riflessione pedagogica di Stefania Pinnelli invita i lettori a porre particolare attenzione sui concetti di mission e di welfare sociale intesi come apparato di relazioni professionalmente orientate all’autonomia e alla partecipazione sociale dei soggetti più fragili. Per soddisfare questo compito, un ruolo di fondamentale importanza è rivestito da educatori e pedagogisti, due figure professionali destinate a costruire le fondamenta per una società inclusiva basata sui valori dell’accoglienza e della solidarietà (pp. 4-5). L’autrice ribadisce l’esigenza di salvaguardare la dimensione sociale e della partecipazione della persona fragile, in particolar modo il bisogno di autorealizzazione e autodeterminazione, di dar voce ai vissuti e alle percezioni, la necessità di considerare il rapporto con l’ambiente e i contesti di vita, ovvero la necessità di essere partecipante attivo del proprio percorso di cura (p.12). anno V | n. 2 | 2017

Recensioni

141


142

“La libertà non è stare sopra un albero, non è neanche il volo di un moscone. La libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione”. Così cantava il grande Giorgio Gaber, sposando il concetto di libertà con quello di partecipazione. Concetto che gli autori tengono a sottolineare come diritto inalienabile della persona, intesa come “unità che contiene in sé i principi delle sue molteplici diversità” (p. 18). Una partecipazione resa possibile attraverso il processo di cura pedagogica, ovvero del prendersi cura dell’altro, per mezzo di una relazione attiva con l’altro che promuova la sua capacità di scelta, di autoregolazione, di autodeterminazione e, quindi di riprogettazione esistenziale (pp. 21-22). Gli autori mediante il loro prezioso lavoro intendono dar voce ai bisogni delle persone con una malattia rara per invitare la società a focalizzare lo sguardo verso il futuro e la progettualità di vita del paziente in relazione al contesto ambientale sociale e culturale di riferimento. I protagonisti del libro, infatti, sono proprio le persone più fragili, che attraverso un processo di auto-valutazione del percorso di cura, esprimono la percezione che hanno di se stessi e della loro vita, rispetto a obiettivi, aspettative personali e alla loro soddisfazione in relazione al proprio contesto sociale e di vita (p. 42). Il vissuto e le percezioni dei protagonisti emergono dall’approccio metodologico quali-quantitativo adottato dagli autori: l’analisi statistica del livello di qualità della vita percepito dai pazienti è completata dalla esplorazione del tema di ricerca secondo un approccio interpretativo-fenomenologico. Attraverso interviste semi-strutturate rivolte ai pazienti e ai clinici, e domande-stimolo utilizzate nei focus group con pazienti e caregivers, il testo propone una lettura narrativa e riflessiva delle opinioni eterogenee, nonché dei punti di accordo riguardanti le percezioni sulle aree di indagine ritenute essenziali per fotografare con un occhio poliedrico i bisogni e le difficoltà dei protagonisti al fine di comprenderli. Andrea Fiorucci, porta alla luce le aree più rilevanti per il raggiungimento di un buon livello di qualità della vita, relative all’area della dimensione socio-relazionale e del benessere psicologico. La percezione che la persona fragile ha di sé in relazione con l’ambiente circostante è influenzata dalla percezione che gli altri hanno di essa. Una percezione che restituise “lo sguardo degli altri”, costruttivo o discriminatorio, solidale o disabilitante. Emerge dal vissuto dei protagonisti quanto il benessere di una persona e il suo grado di soddisfazione siano complementari al complesso sistema di interazione con gli altri individui, ovvero quanto l’elemento relazione nel processo di cura faccia parte dello stesso piano teraupetico (p.72). Relazione ed educazione, mezzo e fine dell’azione pedagogicamente orientata, presentano etimologicamente lo stesso significato di “tirar fuori, trasmettere, portare qualcosa verso qualcuno”, ragion per cui, spetta all’agire professionale dell’educatore tutelare quel “portare” attraverso una cura pedagogica da intendere nel suo significato ontologico del “prendersi carico dell’altro nella sua integralità” (p. 106), sviluppando il suo potenziale e ri-progettando la sua esistenza al fine di abbattere qualsiasi tipo di barriera fisica, mentale, comportamentale e sociale. Il messaggio chiaro che il lavoro di Pinnelli e Fiorucci intende restituire riguarda, pertanto, la presa d’atto che il mezzo è il fine stesso dell’azione pedagogica declinato ad incoraggiare le diverse progettazioni di resilienza traducibili nel re-imparare a far funzionare le proprie capacità nonostante le difficoltà, con l’ideale di sostenere l’applicazione concreta del diritto all’esistenza, interpretato come diritto di essere considerato con attenzione e dignità, ovvero come cittadino partecipante attivo di una società democratica. Recensioni

anno V | n. 2 | 2017


3. Recensione

Rocco Mondello, I doni di Neqà, Armando Editore, Roma, 2017, pp. 42 di Fabio Bocci / Università Roma Tre / fabio.bocci@uniroma3.it

Rocco Mondello è uno psicoterapeuta con approccio sistemico relazionale. Nella sua attività si occupa prevalentemente di terapia familiare, sia individuale sia di coppia ma ha al suo attivo numerose collaborazioni con cooperative e associazioni per le quali svolge attività di consulenza, di supervisione, nonché di formazione. Inoltre sviluppa progetti educativi che sono poi realizzati sul territorio. Questa breve introduzione all’autore del libro che stiamo recensendo si rende necessaria, non solo per introdurlo doverosamente al lettore interessato ma anche perché ci suggerisce immediatamente qualcosa sul senso e sul significato della scrittura de I doni di Neqà, sui motivi di fondo che hanno spinto l’autore a scriverlo. Siamo infatti in presenza di un volume il cui intento è pedagogico. Un intento che è identificabile già a partire dal titolo. Neqà, in effetti, è la trascrizione al contrario del nome di un antico dio egizio chiamato Aqen. Costui, veniamo a sapere da una veloce ricerca in rete, è raramente menzionato nei testi egizi e abbiamo qualche sua notizia poiché compare sulle pareti della Tomba di Seti I, nella Valle dei Re, ed è citato nel Libro dei morti. Sappiamo, infatti, che Aqen significa protettore e che è un dio dell’oltretomba, venerato per essere un battelliere delle anime dei defunti e per svolgere la funzione di bocca del tempo, per mezzo della quale gli dei e i demoni svolgono la corda del tempo. A differenza di Aqen, il suo contrario Neqà nella storia qui narrata è un costruttore di canoe e traghetta Nilo, l’altro protagonista della narrazione, in una direzione inversa: dalla morte (o dal rischio della morte) alla vita. Siamo in presenza di una metafora, naturalmente, dell’azione psicoterapeutica e, in modo particolare, di un momento cruciale della terapia: quello della conclusione o meglio del compimento “naturale” della percorso psicoterapico. Si tratta di un “rito di passaggio”, di una “transizione ecologica” delicatissima, in cui ciascuno viene posto (in realtà si pone) di fonte a se stesso, alla sue potenzialità, alla sua unicità e irripetibilità, alle infinite possibilità di cui è portatore. Ma come per tutte le cose che ci mettono dinanzi alla possibilità di essere liberi, di autorealizzarci e di indirizzarci verso ciò che siamo, è questa una fase che può creare disagio, addirittura spaventare. A tal punto che molti individui non prendono in mano il loro coraggio (perché tutti lo abbiamo in potenza) e non intraprendono mai certi “viaggi” (e di riflesso molte relazioni) proprio per non dover affrontare questo momento. Negli anni Sessanta, nel pieno della rivoluzione culturale e dei costumi, nei campus statunitensi era di moda un motto (probabilmente ispirato a un aforisma di Oscar Wilde): attento ragazzo a ciò che vuoi, perché potresti ottenerlo.

anno V | n. 2 | 2017

Recensioni

143


144

In fondo il segreto – se è tale – sta proprio qui. Ottenere ciò che si desidera per davvero e affrontarlo, infine, nella piena autonomia della propria soggettività. E Rocco Mondello, facendo affidamento alla sua longeva esperienza di terapeuta ma, anche, di educatore, si concentra proprio su questo aspetto così rilevante e fondamentale. Lo fa in un piccolo volume che si presenta con le sembianze della fiaba o del raccontino illustrato e che ha l’aspirazione (ecco il suo valore pedagogico) di colmare un vulnus: parlare di psicoterapia ai “non addetti ai lavori” (in quanto operatori), ovvero agli stessi destinatari dell’azione terapeutica o, ancora, a coloro i quali ne avrebbero bisogno ma la temono. Come abbiamo avuto modo di scrivere nella breve postafazione del volume, è molto difficile parlare di psicoterapia senza essere manualistici... Difficilissimo, anzi impossibile, farlo pensando che il lettore sia il “paziente” (o cliente o utente a seconda dei contesti e degli approcci). Perché se si esce dalla consuetudine dell’ambito formativo canonico (quello accademico delle lezioni all’università o comunque strutturato della specializzazione o di altri analoghi contesti formativi) ci si può rendere conto di quanto rischi di essere artificiale (e per molti versi controproducente) questo parlare didascalico. Il lettore immagini, infatti, un regista (sia esso teatrale o cinematografico) che entra in scena e dice allo spettatore: ecco adesso uso questa posizione dell’attore o tale inquadratura per sottolineare questo o quello... Beninteso: sappiamo che ci sono stati e ci sono sperimentazioni in tal senso, orientate a rompere il diaframma tra narratore e lettore/spettatore (pensiamo a Jean-Luc Godard oppure all’altrettanto straordinario e visionario Alejandro Jodorowsky). Ma, per l’appunto, si tratta di sperimentazioni quasi sempre riservate a determinate élite, distribuite in circuiti di nicchia… Rocco Mondello per sfuggire sia al didascalico sia allo sperimentale – due modi di approcciare la narrazione che possono generare nello spettatore comune un senso di inadeguatezza, in quanto questi può ritenere di non possedere i codici specialistici per comprendere – si avventura sulla via della metafora. Metafora che, del resto, svolge una funzione fondamentale nella/dell’azione terapeutica e, più in generale, nella/della relazione d’aiuto, così come della relazione educativa. Un libro pensato e nato come dono ai pazienti, da consegnare alla fine della relazione terapeutica. Perché in fondo il terapeuta è − fenomenologicamente quando lo è, nella misura in cui lo è e lo fa – un costruttore di canoe. E il suo compito è quello di accompagnare i tanti Nilo che incontra nel suo percorso (eh sì!, perché anche il terapeuta compie un percorso) verso il futuro:

«Nilo si avvicinò a Neqà e lo strinse in un fugace, infinito abbraccio, poi si staccò da lui senza alzare lo sguardo, spinse SOLOMIA [il nome che Nilo ha dato alla canoa] nel fiume e saltandoci dentro cominciò a remare verso mezzogiorno senza mai voltarsi indietro… Neqà guardò Nilo, lo fissò a lungo e stranamente lo vide diventare un punto Recensioni

anno V | n. 2 | 2017


sempre più grande verso l’orizzonte infinito e in cuor suo gli augurò di raggiungere ogni luogo in cui il suo cuore lo avesse voluto portare» (pp. 38-39).

Ecco! Parlare di questo in modo accessibile a tutti (in effetti siamo in presenza di una fiaba che può essere utilizzata anche dal genitore, così come dall’insegnante o dall’educatore) è motivo di significatività e rende questa narrazione un piccolo gioiello, un dono che ha a che vedere con quella modalità di accostarsi al “fatto clinico” che Aleksandr Romanovič Lurija chiamava Scienza Romantica. La quale − ce lo ha insegnato tra gli altri Oliver Sacks − ha assoluta dignità scientifica: anzi completa e rende più intelligibile la stessa scienza dell’uomo, così misteriosa e straordinariamente affascinante.

145

anno V | n. 2 | 2017

Recensioni



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.