Rivista lasalliana 1-2012

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Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27-02-2004 n. 46) art. 1 comma 2 - CNS/AC - ROMA - “In caso di mancato recapito inviare al CMP Romanina per la restituzione al mittente previo pagamento dei resi”

ISSN 1826-2155

Rivista lasalliana

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trimestrale di cultura e formazione pedagogica Donato Petti La risposta lasalliana all’emergenza educativa Francesco Trisoglio San Giovanni Crisostomo: l’educatore di una popolazione smarrita e spaventata Felice Flavio La via istituzionale della carità Casale Umberto Fede e scienza: un dialogo necessario Dal Covolo Enrico Sull’idea di Università. Per una cultura della qualità Dario Antiseri In che cosa consiste l’interdisciplinarità Lorenzo Tébar Belmonte Repensar la pedagogía lasaliana Remo Luigi Guidi Alessandro Alessandrini Marco Paolantonio La prima Commissione Catechistica Lasalliana (1942-1975) Annalena Liberotti I proverbi, le festività, le ricette... da fonti di cultura a strumenti di dialogo

GENNAIO - MARZO 2012 • ANNO 79 – 1 (313)



RIVISTA LASALLIANA Trimestrale di cultura e formazione pedagogica fondata nel 1934 Anno 79 • numero 1 • gennaio-marzo 2012 Direttore DONATO PETTI

Comitato scientifico DARIO ANTISERI (Medodologia delle Scienze Sociali)

ITALO FIORIN (Pedagogia speciale)

PAOLO ASOLAN (Teologia pastorale)

REMO L. GUIDI (Questioni umanistico-rinascimentali)

ANTONIO AUGENTI (Educazione comparata)

PASQUALE MARIA MAINOLFI (Bioetica)

DENIS BIJU-DUVAL (Teologia dell’evangelizzazione)

ANTONELLO MASIA (Legislazione Universitaria)

GIORGIO CALABRESE (Scienze dell’alimentazione umana)

DIEGO MUÑOZ (Ricerche e Studi lasalliani)

PASQUALE CAPO (Gestione risorse professionali)

RAIMONDO MURANO (Formazione tecnico-professionale)

MARIA CZEREPANIAK-WALCZAK (Pedagogia)

CARLO NANNI (Scienze dell’educazione)

LUCIANO CHIAPPETTA (Legislazione scolastica)

STEFHANE OPPES (Filosofia teoretica)

MARIO CHIARAPINI (Direttore Rivista “Lasalliani in Italia”)

CARMELA PALUMBO (Autonomia scolastica)

GIUSEPPE COSENTINO (Ordinamenti scolastici)

MARCO PAOLANTONIO (Studi lasalliani)

ENRICO DAL COVOLO (Letteratura Cristiana Antica)

MAURIZIO PISCITELLI (Didattica)

GAETANO DAMMACCO (Diritto di libertà religiosa)

MARIO RUSCONI (Management scolastico)

GABRIELE DI GIOVANNI (Direttore “Sussidi per la catechesi”)

LORENZO TÉBAR BELMONTE (Pedagogia Lasalliana)

FLAVIO FELICE (Dottrine Economiche e Politiche)

ENRICO TRISOGLIO (Storia e Letteratura Patristica)

Collaboratori Roberto Alessandrini, Edwin Arteaga Tobòn, Bruno Bordone, Ernesto Borghi, Emilio Butturini, Angelo Piero Cappello, Umberto Casale, Robert Comte, Sergio De Carli, Alberto Di Giglio, Paulo Dullius, Andrea Forzoni, Oreste Gianfrancesco, Pedro Gil, Mariachiara Giorda, Edgar Hengemüle, Alain Houry, Antonio Iannaccone, Léon Lauraire, Lino Lauri, Annalena Liberotti, Herman Lombaerts, Anna Lucchiari, Matteo Mennini, Patrizia Moretti, Israel Nery, José María Pérez Navarro, Nicolò Pisanu, Francesco Pistoia, Gerard Rummery, Marica Spalletta, Giuseppe Tacconi, Roberto Zappalà.


DIREZIONE Donato Petti - Via dell’Imbrecciato, 181 - 00149 Roma 06.552.100.243 - E-mail: donato.petti@tiscali.it Le riviste in cambio e i libri per recensione vanno inviati alla Direzione ABBONAMENTI 2012 Italia Ordinario: Sostenitore: Europa Altri Continenti

e 24,00 (e e 18,00 - Docenti Lasalliani) e 50,00 e 30,00 $ 50 Usa

Un fascicolo separato

e 06,50

Si accettano donazioni, contributi ed erogazioni liberali. L’abbonamento ai 4 numeri annui decorre dal 1° gennaio e si intende continuativo, salvo disdetta scritta. Il versamento si effettua mediante bonifico bancario: codice Iban IT 27A02008 05020000005215702 intestato a: Provincia Congregazione Fratelli Scuole Cristiane Causale: Abbonamento a Rivista Lasalliana AMMINISTRAZIONE Viale del Vignola, 56 – 00196 Roma amministrazionecentro@lasalleitalia.it - 06.322.94.500 - Fax 06.323.6047 EDIZIONE Provincia Congregazione Fratelli Scuole Cristiane Via San Sebastianello, 3 - 00187 Roma SITO WEB: www.lasalliana.com Grafica: Federico Fiorini - 338 4583313 Stampa e spedizione: Stabilimento Tipolitografico Ugo Quintily S.p.A. V.le E. Ortolani, 149/151 - Zona Ind. di Acilia - 00125 Roma quintily@quintily.com - 06.521.69.299 ISSN 1826-2155. Registrazione del Tribunale di Torino n. 353, 26.01.1949 (Tribunale di Roma n. 233, 12.6.2007) Spedizione in abbonamento postale: Poste italiane DL 353/2003 (conv. in legge n. 46, 27.02.2004) art. 1 c. 2 - DCB Roma (Associata all’Unione Stampa Periodica Italiana) Responsabile legale: Donato Petti


Rivista lasalliana 79 (2012) 1

SOMMARIO EDITORIALE 011 Donato Petti La risposta lasalliana all’emergenza educativa Nel licenziare alle stampe il 1° numero del 2012, il nuovo Direttore, interpretando il sentimento dei lettori e degli operatori del variegato mondo lasalliano, ringrazia il predecessore Flavio Pajer, per il fecondo lavoro svolto con autorevolezza, competenza e professionalità. Di fronte alla sfida dell’emergenza educativa che pervade l’odierna società, complessa, secolarizzata, liquida, divisa, in un contesto sociale e culturale impregnato di nichilismo e di relativismo, l’Autore rilancia ai Lasalliani, educatori per vocazione, il progetto di una grande “alleanza per l’educazione”, fondata sulla missione lasalliana condivisa tra persone consacrate e laici, e la sfida della formazione iniziale e permanente, che la Provincia Italia sta attuando con il “Master per Educatori cristiani”, in convenzione dal 2003 con la Pontificia Università Lateranense.

The Lasallian answer to the educational emergency On passing the proofs of the first issue of 2012 for press, the new editor, interpreting the sentiments of the readers and staff of the varied Lasallian world, thanks his predecessor Flavio Pajer for his fruitful labours carried out so authoritatively and with such professional competence. Faced with the challenges of the educational emergency that pervades today’s complex, secularized, liquid and divided society, in a social and cultural context impregnated with nihilism and relativism, the writer reproposes to Lasallians, educators by vocation, the project of a great “alliance for education”, founded on a mission shared by both ordained brothers and lay people, and the challenge of the initial and on-going training of Lasallian educators that the La Salle Province in Italy has been providing since 2003 with the Master for Christian Educators in conjunction with the Pontificia Università Lateranese.


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STUDI 017 Francesco Trisoglio San Giovanni Crisostomo: l’educatore di una popolazione smarrita e spaventata Un inasprimento fiscale introdotto da Teodosio, provocò nel 387 ad Antiochia un irritato malcontento, del quale si mise a capo una banda di esaltati che profanarono le statue imperiali. Nella mentalità dell’epoca lo spregio all’imperatore si configurava come ribellione contro lo stato. All’esaltazione successe il terrore, nella previsione di una pesantissima ritorsione. Il vescovo Flaviano corse a Costantinopoli cercando di placare l’imperatore; nell’intervallo tra la sua partenza ed il suo rientro, Giovanni parlò alla plebe. Consigliò, illuminò, riprese; nelle tenebre dello sgomento accese una luce nella quale risplendono i più alti valori umani e divini. Una finissima nobiltà di spirito si espresse in una schietta eloquenza.

Saint John Chrysostom: Educator of a people bewildered and afraid A fiscal tightening introduced by Theodosius, in 387, provoked an angry reaction in Antioch, when a band of fanatics took control and violated the imperial statues. In the mentality of that time, contempt for the Emperor was considered as a rebellion against the government. After the excitement came fear, in expectation of a very harsh retaliation. Bishop Flavian went to Constantinople trying to appease the emperor; in the time period between his departure and his return, John spoke to the people. He counselled, enlightened, and repeated his efforts at both; from the darkness of dismay, he lit a light in which shone the highest human and divine values. A very refined nobility of spirit is expressed in straightforward eloquence.

031 Flavio Felice La via istituzionale della carità L’Autore presenta il tema della “via istituzionale della carità” introdotto da Benedetto XVI nella Caritas in veritate. La riflessione prende spunto, oltre che dall’Enciclica, da due importanti discorsi tenuti dal Santo Padre: il primo, pronunciato il 22 maggio 2010 davanti ai partecipanti al Convegno della Fondazione “Centesimus Annus”, nel quale il Pontefice ha ribadito il carattere plurale, poliarchico e sussidiario del concetto cattolico di “bene comune”; il secondo è quello pronunciato


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alle autorità civili presso Westminster, il 17 settembre 2010, nel quale elenca le istituzioni che, pur appartenendo alla tradizione politicoliberale tipicamente britannica, mostrano un alto grado di conformità con il pensiero sociale della Chiesa. L’articolo si conclude con una riflessione sulle ragioni della democrazia, evidenziando come le istituzioni siano lo strumento umile, ma necessario, che ci consentono di ricercare quotidianamente il doveroso consenso sul legittimo dissenso, in una società libera.

The institutional path of charity The author presents the theme of the institutional path of charity introduced by Benedict XVI in the Caritas in veritate. The reflexion was inspired by two important speeches given by the Holy Father as well as by the Encyclical. The first of these was delivered on May 22nd 2010 to the participants of the Congress of the Foundation Centesimus Aunus. In it the Pontiff reaffirms the plural, polyarchical and subsidiary nature of the catholic concept of “common good”. The second speech was given to the civil authorities in Westminster on 17th September 2010 and in which he lists the institutions which, while belonging to the typically British political-liberal tradition, show a high degree of conformity to the social thinking of the Church. The article concludes with a reflexion on the reasons of democracy, stressing how the institutions are a humble though necessary instrument which enables us to seek daily the required consensus on the legitimate dissension in a free society.

047 Umberto Casale Fede e scienza: un dialogo necessario «La religione senza la scienza è cieca, la scienza senza la religione è zoppa». Questa espressione di Albert Einstein evoca l’inscindibile rapporto fede-scienza, un tema che attraversa tutta la storia del Cristianesimo. Lo studio, che prende in considerazione tale questione di pregnante attualità è suddiviso in due parti: nella prima si ripercorre la lunga storia delle relazioni fede-scienza nei suoi passaggi essenziali; nella seconda sono ripresi alcuni interventi in materia di Joseph Ratzinger: sia i testi del teologo durante la docenza nelle Università tedesche, sia gli interventi del papa Benedetto XVI nel suo servizio magisteriale. Scrive il papa-teologo: «Non c’è alternativa: ragione e scienza, fede e teologia devono ritornare insieme, nell’autonomia, nella distinzione e nella complementarità, senza dissolversi l’una nell’altra. Non


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è in questione la tutela di qualche interesse. È in questione l’uomo, è in questione il mondo» (Benedetto XVI).

Faith and science: a necessary dialogue «Science without Religion is lame, Religion without Science is blind». This quote by Albert Einstein evokes the relationship between faith and science, a topic which has gone through the whole history of Christianity. The study concerns this subject of topical interest and is divided in two parts: in the first section, the long history of relations between faith and science is retraced in its essential features; in the second one you could find some of the Joseph Ratzinger’s speeches about the subject: both theologian’s texts, during his tenure in German Universities, and Pope Benedict XVI speeches are featured. The Pope-theologian writes: «There is no alternative: reason and science, faith and theology must come together without melting away into one another, in autonomy, distinction and complementarity. The point at issue is not the protection of interests of some kind, the point is the man, the point is the world».

PROPOSTE 059 Enrico Dal Covolo Sull’idea di Università. Per una cultura della qualità Il contributo di Enrico Dal Covolo, Rettore della Pontificia Università Lateranense, affronta il delicato e urgente tema della qualità del sapere e della necessità di una idea di Università coerente con una antropologia cristianamente ispirata. La teologia procedendo dalla Parola rivelata (e non iuxta principia propria) si spinge verso la mèta ultima e complessiva di verità, a cui anelano tutte le scienze dell’universitas, nella misura in cui esse sono – come devono essere – ministrae veritatis. Ma la teologia – se è vera teologia, cioè fedele alla sua epistemologia autentica – possiede un’istanza veritativa ulteriore, “trasversale” alle altre scienze, che la rende capace di porsi come compagna di viaggio degli altri saperi. Per realizzare concretamente questa idea di Università è indispensabile che la cultura della qualità divenga lo stile della vita accademica ordinaria.

On the idea of the University. For a culture of quality Bishop Enrico dal Covolo’s contribution addresses the delicate and urgent issue of the quality of knowledge and the need for an adequate concept of “uni-


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versity”, informed by a coherent Christian anthropology. Theology, which proceeds from the revealed Word of God (and not iuxta principia propria), is aimed at, and ultimately driven toward, the goal of comprehensive truth. Truth is the point upon which all university disciplines are focused, insofar as they are - or at least should be - ministrae veritatis. Theology - if it is true theology, that is true to its authentic epistemology - makes an additional claim upon the truth, one which is “transversal” to the other sciences, allowing it to propose itself as a suitable companion for the other scholastic disciplines. It is essential that a “culture of quality” in academic life becomes normative in order to effect a concrete realizzation of this ideal for a university.

065 Dario Antiseri In che cosa consiste l’interdisciplinarità L’interdisciplinarità non consiste nel parlare di un autore, di un evento storico o di una istituzione politica da diversi punti di vista: l’interdisciplinarità non è, insomma, un lavoro pluriprospettivistico. L’interdisciplinarità si risolve, piuttosto, nel lavoro che si compie per risolvere problemi tipici di una disciplina con mezzi teorici e tecnici necessari allo scopo e disponibili, qualora lo siano, da ogni altra disciplina e specializzazione.

What makes up interdisciplinary? Interdisciplinary does not mean speaking of an author, of an historical event or of a political institution from different points of view: interdisciplinary is not, in short, a multi-prospective work. Interdisciplinary is rather the work which is done to resolve the typical problems of a discipline with the theoretical and technical means necessary for the purpose and available, if they are, from every other discipline and specialization.

071 Lorenzo Tébar Belmonte Repensar la pedagogía lasaliana La pedagogía necesita actualizar sus métodos, para responder a las nuevas metas de la educación que mira al futuro. Si el educador pone resistencias al cambio es con razón, pues no le presentaron en su formación básica ni en la permanente la existencia de un nuevo paradigma que le ayude a construir la mente de los educandos y les forme para que aprendan a aprender y a pensar durante toda su vida. Necesitamos renovar nuestras buenas prácticas, innovar y compartir, como profesionales. Pero es fundamental una formación actual con visión de


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futuro. El reto está en encontrar los criterios que permitan una lectura actualizada de la Pedagogía lasaliana.

Rethinking Lasallian pedagogy Pedagogy needs to update its methods to meet the new goals of a forward-looking education. If the teacher poses resistance to change it is with good reason, because he was presented neither during his basic formation nor during his on-going experience with a new paradigm to help him shape the minds of his students and to form them so that they could learn to learn and to think throughout their lives. We need to renew our good practices, to innovate and to share, as professionals. But it is fundamental that current training has a vision for the future. The challenge is to find the criteria which allow for an updated reading of Lasallian pedagogy.

RICERCHE 091 Remo Luigi Guidi Alessandro Alessandrini Fratel Alessandro Alessandrini delle Scuole Cristiane (1878-1956) sviluppò una complessa attività negli ambiti della scuola, della politica, della scienza e della religione. Di particolare rilievo fu la sua opera di raccordo negli anni che immediatamente precedettero e seguirono il concordato (1929), per sciogliere le diffidenze reciproche tra i politici e gli uomini di chiesa. A capo del Segretariato Pro schola organizzò l’insegnamento negli istituti dipendenti dall’autorità ecclesiastica, e come primo Ispettore Nazionale dell’Insegnamento Religioso fece un’opera capillare di raccordo tra i vescovi e i provveditori, favorì innovazioni di metodi e contenuti nei programmi, impose al corpo docente corsi di aggiornamento, promosse dibattiti per portare la scuola al centro della vita dello Stato e della Chiesa. Qui si presta particolare attenzione alla sua realizzazione di più forte richiamo: l’Associazione Educatrice Italiana (A.E.I.) per la preparazione delle maestre d’infanzia, con diramazioni negli ospedali per la scolarizzazione dei bambini in lunga degenza, e sedi in Francia per il sostegno da offrire ai figli degli immigrati dopo il secondo conflitto mondiale.

Alessandro Alessandrini Brother Alessandro Alessandrini of the Brothers of the Christian Schools (1878-1956) was deeply involved in an array of activities affecting education,


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politics, learning, and religion. Of particular importance was his work as a middle man bringing together politicians and churchmen in the years before and after the Concordat of 1929. As the head of the Secretariat of Pro Schola, he organized instruction in institutions that were under ecclesiastical authority, and as the first National Inspector of Religious Education (Ispettore Nazionale dell’Insegnamento Religioso), he acted as a nodal point between bishops and local superintendents of education, he favoured innovation in methods and course content, he mandated courses for teachers to bring them up to date, and he promoted discussions and debates to make education a central concern of the State and of the Church. In this regard, we especially should note his success in founding a tremendously influential organization, the Associazione Educatrice Italiana (A.E.I.) for the training of teachers of children in their earliest years, with outreach to hospitals for the instruction of children enduring long hospital stays and with the establishment of seats in France for the aid of the children of immigrants after World War II.

107 Marco Paolantonio A settant’anni dalla nascita di una stagione catechistica d’eccezione. La prima Commissione Catechistica Lasalliana (1942-1975) L’articolo riassume per sommi capi le caratteristiche metodologiche e geostoriche della stagione di eccezionale vitalità d’apostolato catechistico che settant’anni fa, tra il 1942 e il 1975, caratterizzò le due Province lasalliane d’Italia. Promossa dal Centro Catechistico Lasalliano (CCL), fu tradotta in pratica da decine di Fratelli, che seppero contemperare l’ abituale impegno dell’insegnamento nelle loro istituzioni con la diffusione in tutt’Italia della metodologia ‘attivistica’ allora in auge, pienamente consonante con quella della secolare tradizione lasalliana. Almeno 35.000 furono gli incontri con sacerdoti, religiosi e suore, catechisti e seminaristi in migliaia di località disseminate nell’intera Penisola. La sintesi qui proposta si fonda sulle oltre 700 pagine degli Atti, custoditi nell’Archivio di Torino, che offrono una puntuale rassegna della quarantennale attività della CCL.

Looking back 70 years at the birth of an exceptional catechetical period. The first Lasallian Catechetical Commission (1942-1975) The article briefly summarizes the methodological and geo-historical aspects of a period of exceptional vitality in the catechetical apostolate that seventy years ago, between 1942 and 1975, characterized the two Lasallian provinces of Italy.


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Sponsored by the Lasallian Catechetical Center (CCL), the program was put into practice by tens of Brothers, who were able to reconcile their institutional teaching commitments together with the spread throughout Italy of the “activist” methodology then in vogue, fully consonant with that of the secular Lasallian tradition. At least 35,000 meetings were held with priests, religious and sisters, catechists and seminarians in thousands of localities throughout the entire peninsula. The synthesis proposed here is based on over 700 pages of the Atti (Acts), preserved in the archives of Turin, which offer a detailed review of forty years of activity of the CCL (Commissione Catechistica Lasalliana).

ESPERIENZE 129 Annalena Liberotti I proverbi, le festività, le ricette... da fonti di cultura a strumenti di dialogo

RECENSIONI 133 DONATO PETTI, Dialogo sull’educazione con Papa Benedetto XVI, Libreria Editrice Vaticana, 2011.

135 DARIO ANTISERI, Come si ragiona in filosofia e perché e come insegnare storia della filosofia, La Scuola, Brescia, 2011, pp. 181.

138 FRANCESCO ZACCARIA, Participation and beliefs in popular religiosity. An empirical-Theological Exploration Among Italian Catholics, Brill, Leiden-Boston, 2010, pp. 310.


Rivista Lasalliana 79 (2012) 1, 11-16

EDITORIALE LA RISPOSTA LASALLIANA ALL’EMERGENZA EDUCATIVA DI

DONATO PETTI

1. Un impegno che viene da lontano

el licenziare alle stampe il 1° numero del 2012, interpretando il sentimento dei lettori e degli operatori del variegato mondo lasalliano, desidero esprimere al Direttore Flavio Pajer l’apprezzamento e la gratitudine per il lavoro encomiabile svolto con autorevolezza, competenza e professionalità, nell’ultimo quadriennio, a servizio della cultura, delle scuole e dei centri educativi.

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Il pensiero ripercorre immediatamente i quattro periodi storici della Rivista, che hanno preceduto quello iniziato nel 2007: il periodo delle origini, dal 1934 al 1939, sotto la guida del fondatore, Fratel Goffredo Savoré; la stagione dal 1940 al 1962, contrassegnata dalla personalità di Fratel Emiliano Savino; la fase dal 1963 al 1983, guidata da Fratel Anselmo Balocco; e, infine, un altro lungo periodo, dal 1984 al 2006, caratterizzato dall’indimenticabile Fratel Secondino Scaglione. Durante il primo trentennio i collaboratori sono stati unicamente Fratelli delle Scuole Cristiane; in seguito - e sempre più accentuatamente - la partecipazione si è opportunamente ampliata, accogliendo il contributo di esperti e ricercatori nei settori che caratterizzano la Rivista. Questa linea resta immutata per il prossimo futuro, grazie anche alla disponibilità di autorevoli studiosi, docenti universitari ed esperti del mondo della scuola, della professionalità docente e della formazione che hanno aderito a far parte del Comitato scientifico della Rivista.


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Donato Petti

2. La nuova frontiera lasalliana dell’educazione La nuova Provincia Italia lasalliana, nata dall’unificazione delle due exProvince religiose di Torino e di Roma, dal 2003 ha accelerato una riflessione articolata, puntando su alcune linee direttrici che stanno cambiando il volto delle comunità scolastiche e dei centri educativi: la riscoperta della missione educativa condivisa tra persone consacrate e laici impegnati; la proposta profetica dell’associazione alla missione educativa; lo sforzo per una nuova organizzazione e gestione delle opere educative; e, alla base di tutte, la preparazione di una nuova classe di leaders dell’educazione, uomini e donne appassionati, capaci di raccogliere l’eredità plurisecolare lasalliana di educazione umana e cristiana dei giovani. L’impegno educativo di Rivista Lasalliana nel prossimo futuro parte dalla consapevolezza di alcune “sfide” che contrassegnano il nostro tempo: a) la sfida dell’emergenza educativa Benedetto XVI, la Conferenza Episcopale Italiana, le famiglie, gli insegnanti e gli operatori scolastici parlano coralmente di una vera e propria sfida, che pervade l’odierna società, complessa, magmatica, liquida, divisa, secolarizzata, in difficoltà a trasmettere ai ragazzi e ai giovani, oltre alle conoscenze, soprattutto i valori-base dell’esistenza. Papa Ratzinger, il 21 gennaio 2008, ha rivolto alla Chiesa e alla città di Roma la Lettera sul compito urgente dell’educazione, riproponendo, in maniera chiara e determinata, la centralità dell’educazione per la vita dei singoli e della collettività, in un contesto sociale e culturale impregnato di nichilismo e di relativismo, caratterizzato dalla confusione di linguaggi. I sintomi sono evidenti: genitori ed insegnanti, disorientati circa il loro ruolo di educatori, sono sempre più spesso tentati di abdicare ai propri compiti; diventa sempre più difficile proporre in maniera convincente alle nuove generazioni certezze e criteri, regole di vita e convincenti obiettivi per l’esistenza umana, sia come persone che come comunità. Sono in gioco chiaramente le basi stesse della convivenza e il futuro della società. Sempre più, infatti, l’educazione è ridotta a semplice trasmissione di conoscenze ed abilità, mentre si cerca di appagare il desiderio di felicità dei ragazzi e dei giovani colmandoli di oggetti di consumo e di gratificazioni effimere. Di fatto, si è venuta a creare una “frattura fra le generazioni”, che è l’effetto, piuttosto che la causa, di una crisi antropologica in atto. L’educazione, dunque, costituisce una reale questione emergente, non riconducibile alla pure indispensabile opera di riforma del sistema scolasti-


La risposta lasalliana all’emergenza educativa

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co ed universitario, perché investe tutti gli ambiti della vita sociale e interpella i singoli e le istituzioni. Sono entrate in crisi le categorie basilari della vita umana: quelle di comunità, di bene comune e, più radicalmente, quelle di bene e di verità. Specialmente nelle società occidentali: a) si assiste ad un pericoloso sfaldamento dell’ethos civile e ad un progressivo affievolimento della tensione alla solidarietà e alla fratellanza; b) si è ramificata una tale logica relativistica i cui frutti amari sono purtroppo evidenti: dal tentativo di considerare come diritti dell’uomo le conseguenze di certi stili egoistici di vita, al disinteresse per le necessità economiche e sociali dei più deboli, o la difesa selettiva dei diritti umani; c) sempre più la fede in Dio appare relegata ai margini dell’esistere umano e la sua presenza viene valutata come questione individuale e privata, di conseguenza marginale rispetto alle scelte della vita quotidiana. Riaffiorano, allora, e in maniera sempre più drammatica, gli interrogativi perenni: qual è il significato ultimo della vita, della storia umana, del pianeta? quale il futuro dell’umanità? Papa Ratzinger mette in evidenza che l’educazione della persona è un processo complesso, nel quale concorrono fattori umani, culturali, etici e religiosi, indispensabili per contrastare efficacemente il rischio costituito dallo squilibrio tra la crescita tanto rapida del nostro potere tecnico e la crescita ben più faticosa delle nostre risorse morali. Infatti, l’uomo è, sulla terra, la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa. Pertanto, è del tutto evidente l’importanza decisiva che rivestono l’educazione e la formazione della persona, non solo nella prima parte della vita, ma anche lungo tutto l’arco dell’esistenza. A fronte dei moderni modi di apprendere delle nuove generazioni – più affidati ai «non luoghi» mediatici e telematici che ai «luoghi» tradizionali della famiglia, della scuola, della parrocchia, delle associazioni, più vissuti secondo logiche informatiche che razionali, più in immagini che in concetti – l’educazione a tutti i livelli dovrà non solo insegnare «ad apprendere» ma soprattutto «ad essere»; dovrà promuovere una conoscenza critica, sistematica e integrata e, al contempo, favorire le capacità di «fare cultura»; dovrà collaborare allo sviluppo interiore, spirituale e morale delle persone, che permettono di assicurare alla storia un senso aperto al di più, al futuro e all’oltre. Occorre una nuova cultura della paideia, fondata su un umanesimo relazionale, aperto alla trascendenza, che rimetta al centro realmente la persona dell’alunno, che renda sempre più flessibili e adeguati i percorsi e le strutture, così da rispondere all’originalità e alla varietà delle situazioni personali e ambientali.


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b) La sfida lasalliana della missione condivisa A partire da qualche decennio avanza, all’interno della comunità cristiana, la riflessione illuminata e profetica sulla “missione educativa condivisa” (persone consacrate e cristiani laici), cioè la compresenza della diversità e della complementarietà di vocazioni e di carismi, frutto dell’ecclesiologia di comunione del Concilio Vaticano II1 e del successivo magistero pontificio.2 A incoraggiare tale prospettiva è stato Giovanni Paolo II con parole inequivocabili: “Uno dei frutti della dottrina della Chiesa come comunione, in questi anni, è stata la presa di coscienza che le sue varie componenti possono e devono unire le loro forze, in atteggiamento di collaborazione e di scambio di doni, per partecipare più efficacemente alla missione ecclesiale. Ciò contribuisce a dare un’immagine più articolata e completa della Chiesa stessa, oltre che a rendere più efficace la risposta alle grandi sfide del nostro tempo, grazie all’apporto corale dei diversi doni. Si può dire che è iniziato un nuovo capitolo, ricco di speranze, nella storia delle relazioni tra le persone consacrate e il laicato”. 3 Realizzando con creatività rinnovata la condivisione dell’unica missione educativa, persone consacrate e fedeli laici offrono all’educazione l’apporto della loro competenza e della loro specificità: da un lato, i consacrati portano alla scuola la ricchezza della loro tradizione educativa, modellata sul carisma originario delle rispettive Famiglie religiose; dall’altro gli educatori laici testimoniano la loro vocazione laicale, vissuta in forma ideale. I Lasalliani promuovono e favoriscono la sfida della nuova frontiera dell’educazione cristiana, incarnando nell’oggi il carisma fondativo di Jean Baptiste de La Salle, attuato e testimoniato da oltre trecento anni da innumerevoli schiere di educatori per vocazione. Questa esigenza-urgenza della missione educativa condivisa con i Laici non è solo una preoccupazione che scaturisce dalla diminuzione delle vocazioni religiose alla vita consacrata e sacerdotale, ma è una realtà teologica che affonda le sue radici nell’essere e nell’identità della Chiesa-Popolo di Dio.

1 Cf. Lumen gentium, nn. 4, 8, 13-15, 18, 21, 24-25; Dei Verbum, n. 10; Gaudium et spes, n. 32; Unitatis redintegratio, nn. 2-4, 14-15, 17-19, 22. 2 GIOVANNI PAOLO II, Esortazione Apostolica Christifideles Laici. 3 GIOVANNI PAOLO II, Esortazione Apostolica Vita Consecrata , n. 54.


La risposta lasalliana all’emergenza educativa

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c) La sfida della formazione Una prima, vera risposta al grido del Papa Benedetto XVI e della Chiesa italiana sull’emergenza educativa consiste, appunto, nella proposta di un’organica formazione iniziale e permanente indispensabile per guidare i processi educativi delle nuove generazioni. È quello che ha inteso realizzare la Provincia Italia dei Fratelli delle Scuole Cristiane, sulla scia di La Salle, dichiarato da Pio XII nel 1950 “Patrono degli Educatori cristiani”, istituendo, nel 2003, il “Master per Educatori cristiani”, in convenzione con la Pontificia Università Lateranense, attuato con ripetute edizioni nelle sedi di Roma, di Napoli, di Pompei, di Catania, di Torino, di Paderno del Grappa (TV) e frequentato da un cospicuo numero di Docenti in servizio e in attesa di incarichi e supplenze nelle scuole lasalliane, ma anche da Genitori e personale non docente, impegnati nell’approfondimento del loro ruolo educativo. Raccogliendo la sfida dell’emergenza educativa, Rivista lasalliana vuole favorire ed accompagnare: 1) il cammino vocazionale degli educatori, con la scoperta graduale della loro professione come un “ministero”, fondato sulla Parola di Dio e la dottrina spirituale di san Giovanni Battista de La Salle; 2) il processo di comunione per la missione, mediante la valorizzazione delle persone e lo sviluppo di una comunità ministeriale di educatori che vivono la loro vocazione come missione e considerano la comunità educativa come opera di Dio. Con il contributo di studi, proposte di esperienze e con chiari orientamenti, in una rinnovata alleanza per l’educazione orientata cristianamente, Rivista Lasalliana vuole offrire ai Docenti, ai Dirigenti e Coordinatori scolastici, ai Direttori amministrativi e a tutte le altre componenti della Famiglia Lasalliana le ragioni del dialogo fra le generazioni sui temi dell’educazione, in prospettiva interculturale e interreligiosa, attingendo alla tradizione pedagogico-didattica e alla spiritualità lasalliane; contemporaneamente, con la consapevolezza dei propri limiti e delle difficoltà oggettive, si propone: come strumento per la qualificazione e l’aggiornamento dei soggetti delle comunità educanti; come luogo di riflessione per la promozione della partecipazione e della corresponsabilità educativa all’elaborazione, all’attuazione e alla verifica del Progetto educativo; come mezzo di dibattito per l’attuazione in Italia, come in Europa, del diritto fondamentale della famiglia di scegliere l’educazione dei propri figli, senza condizionamenti economici, sociali, culturali e religiosi.



Rivista Lasalliana 79 (2012) 1, 17-30

SAN GIOVANNI CRISOSTOMO: L’EDUCATORE DI UNA POPOLAZIONE SMARRITA E SPAVENTATA FRANCESCO TRISOGLIO Professore emerito di Storia e Letteratura Patristica, Università di Torino

iovanni, dal V-VI secolo soprannominato Crisostomo per la sua ‘aurea’ eloquenza,1 fu anima assetata di perfezione, ingegno finissimo per gusto letterario e cuore generoso per la sua dedizione al prossimo. Si temprò lo spirito attraverso sei anni di aspro ascetismo monastico, finché si sentì chiamato ad effondere nella società quei tesori spirituali che si era acquisiti. E gli capitò presto un’occasione clamorosa per esplicare le sue alte doti quale guida delle anime. I torbidi di Antiochia lo trovarono provvidenziale maestro, che diresse la comunità con delicata comprensione di umanità e con lucida vigoria di richiami.

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L’antefatto La pressione dei barbari ai confini, nella seconda metà del IV secolo, stava diventando sempre più incalzante e minacciosa. Teodosio (al governo dal 379 al 395), che aveva un alto concetto della dignità dell’Impero ed una collaudata competenza come generale, per neutralizzare il pericolo, si vide costretto a potenziare l’esercito, con il conseguente incremento delle spese ed aumento delle tasse. ll provvedimento suscitò un ovvio malcontento, che offerse una facile esca alle manovre di mestatori di professione, i quali delle passioni popolari erano soliti approfittare. Gl. Downey,2 documentandosi soprattutto su Libanio, ha fornito una pre1

Giovanni nacque ad Antiochia circa nel 349; fu eletto vescovo di Costantinopoli nel 398; per scontri con l’imperatrice Eudossia venne esiliato nel 404 e morì il 14 settembre 407 a Comana nel Ponto. - ll testo delle orazioni sulle statue si trova in Patrologia greca, Migne, XLIX,15-222. 2 Gl. Downey, A History of Antioch in Syria from Seleucus to the Arab Conquest, Princeton 1961, pp. 428-429.


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cisa ricostruzione dell’ambiente. Esisteva un mestiere dell’applauso; una combriccola di associati acclamava ballerini ed attori teatrali; era un’industria della popolarità, che però non tardò ad assumere una coloritura politica, favorendo od ostacolando candidati alle elezioni locali; era una banda condotta da capipopolo che potevano infiammare l’esaltazione fino alla rivolta violenta. Un giorno, raccogliendo rinforzi dalla plebaglia, questi facinorosi attaccarono la sede del capo-quartiere (che era probabilmente il consularis della Siria Celso); ne abbatterono le balaustrate e la porta retrostante con un accanimento tale che i servi temettero che l’amministratore venisse ucciso, proprio come, in un altro torbido popolaresco, era stato ucciso il consularis della Siria Teofilo, 34 anni prima, nel 353. In questo caso però la turba non riuscì a penetrare e si limitò a gridare insulti. In seguito, questa feccia popolana si riversò su un bagno pubblico che si trovava nei pressi del tribunale e vi spezzarono le corde alle quali erano appese le lampade. Ma la rabbia anarchica andava ulteriormente avvelenandosi; si arrivò a prendere a sassate dei pannelli di legno, che recavano dipinti i ritratti della famiglia imperiale; li schernirono e li fecero a pezzi. Era un atto che rivestiva la gravità della laesa maiestas; questi ritratti ufficiali, eseguiti a Costantinopoli all’accessione del nuovo imperatore, venivano distribuiti nelle città dell’Impero e rivestivano un significato costituzionale e legale, essendo personificazioni della dignità imperiale. Si pensava che il potere dell’imperatore rivivesse nel suo ritratto e che l’imperatore fosse presente nella sua immagine in tutte le città dell’Impero. Il guasto all’immagine era una violenza all’imperatore stesso; così la profanazione passava da disordine a rivoluzione. Ma la teppaglia non si arrestò; dai ritratti di legno procedette alle statue di bronzo di Teodosio, dell’imperatrice Flaccilla e dei figli Arcadio ed Onorio. Furono gettate giù dai piedestalli, alcune spezzate ed altre trascinate in giro per la città. Si era andati ben oltre al malumore comprensibile, alla protesta scusabile, allo scoppio improvviso di un dispetto superficiale; qui c’era stato un piano che si era concretato in un’organizzazione. Quale sarebbe stata la risposta di Teodosio? Come persona poteva, umanamente ed evangelicamente, perdonare, ma come imperatore, che assurgeva a stato, lo poteva ancora? Appena sbollita l’esaltazione fanatica, sottentrò una paura raggelante.3 E poi, se ad abbattere materialmente le statue erano

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In Or. XI,1 Giovanni, dopo una schiarita di speranze, rievoca la situazione psicologica della città, appena superata: “Nei giorni passati eravamo in uno stato d’animo per nulla migliore di coloro che si dibattono tra i flutti in mezzo al mare e che, ad ogni singola ora, si aspettano il naufragio; durante tutto il giorno eravamo agitati da innumerevoli dicerie; eravamo sconvolti e turbati da ogni parte;


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certo stati pochi furfanti, la città come vi aveva assistito? C’era stata anche una connivenza, magari non tanto schermata? Teodosio era persona saggia e religiosamente convinta, ma con lui non c’era da scherzare. Dinanzi ai pubblici disordini era esposto a reagire d’impulso. I suoi scatti potevano essere duramente repressivi. Le profanazioni sulle statue risalgono probabilmente al 387. Nell’anno 388 avvenne l’episodio di Callinico, in cui Teodosio impose al vescovo cattolico della città di ricostruire, a sue spese, una sinagoga che era stata, direttamente o no, incendiata da monaci. Nel 390 avvenne la strage di Tessalonica, dove Teodosio ordinò una terribile rappresaglia (poi, troppo tardi, revocata). Erano eventi ancora futuri, ma provenivano da un temperamento che si poteva agevolmente conoscere, in quanto, allora, Teodosio era all’impero da quasi una decina di anni. Tutti potevano perfettamente sapere che nei reati di riottosità civica, e soprattutto politica, Teodosio aveva la mano pesante. Ad Antiochia se ne ebbe l’immediata, chiarissima, percezione. Ci fu irriflessione nel commettere una stoltissima colpa e, parallela, irriflessione ci dovette essere nel prospettarsi l’implacabile severità della pena; ci fu un’ondata generale di panico. Giovanni, durante il suo secondo anno di sacerdozio, intervenne a riportare gli spiriti all’oggettività dell’esame: riconoscimento della colpa ed accensione della speranza. Il momento liturgico era propizio ad entrambi gli atteggiamenti: il capriccio temerario e la conseguente predicazione avvennero durante la quaresima, tempo di esame di coscienza, di penitenza, di rettifica degli errori riscontrati. Le riflessioni immerse in questo clima acquistavano una maggiore obiettività ed una più facile accoglibilità. La parola, se era di Giovanni, s’imbibiva però di risonanze biblico-liturgiche che le conferivano una maggiore autorevolezza ed una più suggestiva persuasività.

La parola di Giovanni. Giovanni aveva la certezza della salvezza e parlava a chi aveva soltanto l’esperienza della rovina. Trasmetteva una forza; consolava senza usare parole consolatorie. Il suo vigore nasceva dall’obiettività del constatare una colpa che era stata, ancora prima, una stoltezza; si trattava di raddrizzare le

ogni giorno arrabattandoci ed affaccendandoci ad indagare: chi è arrivato dall’accampamento [dove in quel momento risiedeva l’imperatore]? quando è giunto? Che notizie ha portate? E quello che si dice è vero o falso? Passavamo le notti senza sonno; guardavamo la città come se dovesse essere ben presto distrutta”. L’efficacia descrittiva rende con nettezza le fluttuazioni deprimenti dell’angoscia. Sulla costernazione della popolazione, in XIII,1-2 porge un altro terso quadro di sgomento drammatico.


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idee e di correggere un comportamento. Occorreva far ragionare su base solida e far riconoscere che la storia la condizionano gli uomini, ma la conduce Dio. Il male è rovinoso, ma è riscattabile; la salvezza è sempre a portata di mano; è disponibile, basta volerla. Nella dolcezza del tono delle sue allocuzioni c’era la vigoria dello stimolo, che si faceva anche sfida. Alla storia dell’oggi poneva a sfondo quella biblica, che non era semplice lettura edificante, era sicuro binario verso un esito. La sua parola possedeva l’efficacia persuasiva di ciò che si fonda sulla lucida razionalità umana, che vede molto, e sulla tersa fede in Dio, che è pronto a riscattare tutto. Soffray4 ha quindi motivo di affermare che “i suoi discorsi furono abbastanza potenti per calmare una sedizione e per restituire il coraggio ad una moltitudine disperata” (p. II).

Il rianimatore e la sua metodologia Ed è proprio contro la disperazione che Giovanni parte in lotta; nella cupezza della disperazione egli scorge l’afflosciamento della rinuncia; è un disarmo che ha dell’imbelle, proprio il contrario di quella risolutezza di ricupero che egli vuole inculcare; nella sua sanità, umana per il temperamento e cristiana per la fede, sa che la definitività della sconfitta sta nell’accettarsi sconfitto. S’impegna quindi a dissipare quest’atmosfera deprimente e paralizzante: “Avrei voluto terminare qui il mio discorso... ma, come una nube densa che sia sopravvenuta e scorra sotto i raggi del sole ne respinge indietro tutto lo splendore, così anche la nube dello scoramento, poiché sta ferma dinanzi alla nostra anima, non lascia che sia agevole lo sviluppo del mio discorso” (Or II,3). Giovanni sa che è malagevole rincuorare degli accasciati, ma parla, tenace: 21 lunghi colloqui in meno di 40 giorni; non si rassegna al buio e termina solo quando è spuntata l’aurora della riscossa; sulla rinascita di Antiochia proietta la luce della risurrezione pasquale. Il suo motto programmatico è: “Scuotete via l’abbattimento” (II,3). Nel suo discorso inserisce immagini che suggeriscono potenza di superamento e saldezza di incrollabilità: “Il cristiano deve differire dagli increduli per il fatto che sopporta tutto nobilmente e che, per la speranza dei beni futuri, vola più in alto dell’urto dei mali umani. Il fedele sta sulla roccia, per cui resta inespugnabile agli assalti dei marosi” (ancora II,3). In quell’atmosfera di rassegnazione funerea, di fuga generale fa risuonare note di vittoria; non c’è nessun trionfalismo di maniera; c’è la magnanimità delle anime autenticamente virili. “Per questi motivi di speranza, impenniamoci le ali” (Ibid.).

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M. Soffray, Recherches sur la syntaxe de Saint Jean Chrysostome d’après les «Homélies sur les statues», Paris 1939.


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Infonde fiducia Nel disastro di Antiochia, il vescovo Flaviano era immediatamente partito, quale supplice avvocato di perdono, verso Teodosio; per la città era rimasto l’unica speranza; era un’autorità che si recava presso un’altra autorità, di diverso genere e di diversa grandezza di potere, ma pure sempre di grande prestigio. Attorno a quell’ambasceria Giovanni accende il conforto della fiducia. “L’imperatore è benevolo, Flaviano è fedele, cosicché, da entrambe le parti abbiamo buone speranze; ma più ancora noi abbiamo fiducia nella misericordia di Dio; infatti Egli si porrà mediatore tra l’imperatore che riceve la supplica ed il vescovo che la rivolge, intenerendo il cuore dell’imperatore e stimolando la lingua del vescovo, di questo facendo felicemente procedere la parole, di quello preparando la mente ad accogliere le parole e ad accondiscendere alle richieste con molta indulgenza” (III,2). Giovanni conferisce una forte credibilità alle sue speranze fondandole sulle basi più solide, l’affidabilità umana e l’intervento divino. Per dei credenti era una luce che si accendeva; nulla ancora di concreto, ma era un respiro per resistere fino all’esito auspicabile. Dei suoi ascoltatori Giovanni non fa però soltanto degli spettatori trepidanti, li trasforma anch’essi in operatori che agiscono; li stimola ad essere anch’essi mediatori: “Il nostro vescovo funge da ambasciatore; noi di qui facciamo da ambasciatori presso il re dei secoli; aiutiamolo con le preghiere” (III,2). L’attesa inerte snerva; la partecipazione diretta è tonica. Giovanni gioca tanto sulla fede quanto sulla psicologia; si incrementano a vicenda. “Non disperiamo dunque della nostra salvezza” (III.3) ed a provvidenziali ausiliari richiama la purificazione quaresimale, che apre l’accesso a Dio, e l’epoca primaverile, nella quale tutte le professioni si rilanciano nell’azione con una rinnovata alacrità; è un fervore generale che finisce per trascinare.

Preconizza la forza d’animo nelle difficoltà Il modello, umano e cristiano, che Giovanni propone e propugna è un animo alacre e vigoroso, che sappia affrontare difficoltà e pericoli e superarli vittoriosamente. Con un riconoscimento, nel quale c’era forse più incitamento che constatazione, complimenta: “Insieme a voi rendo grazie a Dio perché la sventura non ha smentito la vostra salda forza d’animo; il timore non ha dissolto la vostra energia; l’afflizione non ha spento il vostro ardore; il pericolo non ha fatto appassire il vostro zelo; il timore degli uomini non ha vinto il desiderio di Dio; la difficoltà del momento non ha abbattuto il vostro impegno e non soltanto non lo ha abbattuto, lo ha anche rinforzato; non soltanto non lo ha dissolto, lo ha anche intensificato; non soltanto non lo ha spento, lo ha anche maggiormente infiammato” (IV,1). È un plauso che è un programma; se non è proprio un punto realizzato di partenza, è certo quello auspicato di arrivo; ha l’intonazione di un pro-


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clama militare. Giovanni ha la sanità morale e la vigoria spirituale di fare del pericolo una prova e della prova un’occasione di vittoria. E non si tratta di un’occasionalità episodica; di insidie è disseminata tutta la vita e tutta la vita, conseguentemente, deve respirare magnanimità.

Dietro la prova mostra la ricompensa Nella difficoltà, aldilà dell’aspetto aspro di prova, Giovanni tende a vedere il risultato rasserenante del successo; la sventura è collaudo della grandezza dell’anima. Il pessimismo si apre in ottimismo; l’angoscia si dissipa in soddisfazione: “Se non c’è la prova non c’è neppure la corona; se non ci sono le lotte non ci sono i premi; se non c’è l’arena non ci sono gli onori; se non c’è la tribolazione non c’è il sollievo; se non c’è l’inverno non c’è l’estate; e questo è possibile vederlo non soltanto tra gli uomini, ma anche tra gli stessi semi. Anche per essi è necessario che avvengano molte piogge, un grande concorso di nubi, un freddo intenso, se deve venir su la spiga rigogliosa” (IV,1). Giovanni non ha l’ingenuità di ignorare, retoricamente, le asprezze della vita; ha la lucidità e la forza di farne gradini di elevazione; è l’eroismo del quotidiano che rifugge dalla spettacolarità per tradursi in merito e quindi in premio. Giovanni incoraggia senza illudere; la sua è un’austerità che promette ed insieme sfida: “Non è la natura delle prove ma la fiacchezza di coloro che sono provati che produce le cadute; pertanto, se vuoi vivere nella pienezza della soddisfazione e godere della distensione e del piacere, non cercare il piacere né la distensione; cerca invece un’anima piena di pazienza e capace di mostrare fermezza” (IV,2). Contro l’apparenza e l’opinione corrente, collega piacere e pazienza, distensione e fermezza; il paradosso stimola ad oltrepassare le opinioni superficiali per arrivare alla verità, nascosta ma reale. Il percorso è erto, ma conduce alla meta. Giovanni non è arrendevole; è impenetrabile alla ricerca della popolarità, ma dimostra una forza genuina che gli attira l’adesione della gente; la folla forse talora non lo segue (quanto era restia ad assecondarlo nell’astensione dal giuramento!), ma percepisce che aveva ragione. Ed il premio della virtù ardua allora non lo restringeva all’individuo, lo estendeva alla città. Egli aveva combattuto con uno zelo che sembrava arido di frutti contro l’abuso del giuramento; cambiando tattica per raggiungere lo stesso scopo, invece dei pericoli della trasgressione rappresenta i vantaggi dell’applicazione evocando un ambiente d’incantevole attrattiva: “Pensa che magnifica cosa sia sentir dire, in qualsiasi parte del mondo, che ad Antiochia si è imposto un costume che conviene ai cristiani... per cui nessuno pronuncia più un giuramento”, tutto il mondo lo verrà a sapere celebrando la città, e Dio le assegnerà una grande ricompensa (XIX,4). Giovanni non disdegna una venatura d’amor proprio se diventa incentivo di virtù, lo fa premiare da Dio.


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Aspira a recare conforto nell’avvilimento Questa visione idilliaca, se è stimolo, è forse, più ancora, avvio a quel rasserenamento che Giovanni si sentì la missione di diffondere in quell’atmosfera così inquieta e cupa. A scopo, instancabile, della sua parola egli si pose quello di curare le ferite dell’avvilimento che corrodeva gli Antiocheni con la medicina della consolazione: “Infatti l’avvilimento è una ferita dell’anima che va continuamente curata con parole delicate.Le acque termali non allentano l’enfiagione della carne quanto la forza delle parole consolatrici calma l’emozione dell’anima” (VI,1). Quest’alta psicagogia Giovanni se la rivendicava in nome della religione, la sola che possa penetrare nel profondo dell’anima. Avverte infatti di essere rimasto, nello sgomento generale, la sola voce autorevole e credibile “Se non sarò io a consolarvi, da quale altra parte riceverete la consolazione? I giudici spaventano, dunque i sacerdoti consolino; i governanti minacciano, dunque la Chiesa conforti” (ibid.). Non è contrapposizione, è integrazione; è utile alla pubblica moralità il potere coattivo dei magistrati nell’ambito esteriore, ma è indispensabile alla pace del cuore l’apostolato del sacerdote: due necessità, a diversa altezza e profondità. Giovanni però vede più lontano; per i laici quella sventura capitata era colpa ed era danno, per lui era stimolo al miglioramento morale; anche nelle disavventure riscontrava una provvidenzialità. Giovanni in mezzo a quello scompiglio scorgeva una Presenza che era rassicurante. Essa era entrata nella cronistoria di Antiochia con l’accorrere risoluto e disinteressato dei monaci, che si contrapponeva in netto antagonismo con l’atteggiamento delle autorità civili (VI,3).5 Giovanni, a conforto, richiama lo spettacolo d’intrepidezza dato dai monaci, che era sotto gli occhi di tutti, e rievoca quello dei tre giovani di Daniele (VI,5), che erano nella memoria di tutti. In entrambi agiva Dio, con diversa spettacolarità ma con uguale esito di salvezza.

Della forza fornisce la ricetta Della forza Giovanni presenta lo spettacolo, ma insieme ne rivela la sorgente. Conforta gli spaventati; non si limita però all’operazione esterna di depurare l’atmosfera dalla nube cupa che l’aduggiava rendendola irrespirabile, ma fornisce la ricetta per evitare, in anticipo, l’inquinamento. È di un’assoluta consequenzialità: se la salvezza può venire soltanto da Dio, la sicurezza non può scaturire che dall’andare a Dio: “O uomo, datti pensiero della vita secondo Dio e nessuno ti supererà mai; anche se tu sembri essere il più irri-

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Sui monaci che scendono dai monti ad impedire il tracollo della città vedi anche XVII,1-2 e sui filosofi che nella sventura l’abbandonano XVII,2.


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levante di tutti, sarai più potente di tutti; come, se tu trascuri la virtù dell’anima, anche se fossi il più potente di tutti, sarai facilmente signoreggiato da tutti coloro che ti tendono insidie” (VIII,2). L’accordo degli uomini con Dio produce, per un suo logico dinamismo interno, una stabilizzazione del bene, che si esplica in un rigoglio di beni. Il disastro, anche storico, è la conseguenza inevitabile di questo distacco dal supremo garante dell’ordine. La consolazione di Giovanni non è un buonismo del cuore, è lucidità della mente: l’uomo si ritrova ciò che costruisce; l’errore nell’erigere un edificio ne comporta, per insita consequenzialità, il crollo. Dei cristiani Giovanni presenta la fisionomia spirituale in lineamenti categorici: “Noi ci siamo messi con molto impegno a compiere ciò che piace a Dio; sia che egli ci tratti con asprezza, sia che ci percuota, sia che operi qualsiasi altra cosa di penoso; noi sopportiamo tutto con grande nobiltà di spirito, in quanto facciamo un favore non tanto a lui quanto a noi stessi; nel giorno del giudizio questo nostro comportamento ci si porrà davanti come difensore più di tutte le altre opere buone” (XX,5). L’adesione a Dio non è un esproprio della personalità, ne è la suprema realizzazione; la razionalità di questa comunione, pervasa di amore, si riflette su di noi sublimandoci. Della felicità indica le componenti Giovanni evita di presentare gli obblighi morali come imposizioni che ci vengano da una lontananza che non ha volto e quindi non suscita simpatia e fiducia. Il bene, se è dovere, è anche interesse; se si rivolge alla coscienza, fa anche appello a quell’intelligenza pratica che ha la persuasività del buon senso. Principio dinamico di equilibrio sociale e testimonianza di solidarietà umana era l’elemosina, il trasferimento della ricchezza dall’abbondante all’indispensabile. Giovanni provoca a riflettere, denunciando un’incoerenza irrazionale: si affidano le proprie ricchezze da gestire ad amministratori, che possono anche essere incapaci o disonesti, e non a Cristo, che corrisponde interessi altissimi (II,5-6): “Vuoi diventare ricco? Abbi Dio come amico e sarai il più ricco di tutti” (II,6). Della ricchezza, al di là del possesso nella sua staticità materiale, Giovanni indica il fine che la anima in una specie di consacrazione: “Dio ti ha fatto ricco, affinché tu aiuti i poveri, affinché tu dissolva i tuoi peccati mediante la liberalità verso gli altri; ti ha dato dei soldi, non perché li rinchiuda per la tua rovina, ma perché li effonda per la tua salvezza” (II,7). Non indulge alla retorica tribunizia di rivendicazioni o rivoluzioni sociali; dei beni vede la positività in quanto rivolti al bene; il valore non risiede nelle cose ma nella coscienza di chi le adopera. Giovanni, più che condannare, ama riscattare. Se nella ricchezza non vede colpa morale, riscontra però insufficienza psicologica: “Tutti amano la gioia, ma non tutti riescono a raggiungerla; non cono-


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scono infatti la via che vi conduce; molti credono che l’essere ricco ne sia la causa; se però la causa fosse questa, nessuno dei ricchi proverebbe mai la depressione dell’anima; ora invece molti ricchi giudicano che la vita sia invivibile; si augurano mille morti quando provano qualche sventura e quelli che sono gravemente scoraggiati sono, più di tutti, proprio i ricchi” (XVIII,1). Alla ricchezza la condanna proviene dall’interno; essa illude, esalta, ma è sterile; la morale si raccomanda da se stessa. Giovanni si impegna a dimostrare che è invece il fedele che prova una gioia perenne (XVIII,2) e rivendica alla responsabilità personale lo stato del proprio spirito in rapporto alla propria condotta: “Nessuno ci potrà rendere infelici se non ci facciamo tali noi stessi, come naturalmente, neppure felici se non ci rendiamo tali noi stessi, dopo la grazia di Dio” (XVIII,4). Tra esse segnala la necessità di conoscere se stessi e la saggezza di trarre profitto dai proprii errori. Questa autocostruzione esige ovviamente un’autoconoscenza, una visione chiara delle forze che si agitano dentro di noi e rischiano di sospingerci fuori strada. In conseguenza, come efficace rimedio contro la distorsione delle passioni, e specialmente dell’orgoglio e della cupidigia, invita ad un solerte esame della personalità umana: “Riflettiamo sulla nostra natura; consideriamo i nostri peccati; impariamo chi siamo e questo ci basta come materia per ogni forma di umiltà” (II,6). L’umiltà, su cui tanto insiste Giovanni, non è deprezzamento, è apprezzamento; non è negazione delle proprie doti, è riconoscimento dei loro limiti, è un’autovalutazione che si fa guida all’azione, trattenendo da eccessi e da imprudenze che comportano rovina. Le colpe personali entrano però nell’ambito della fallibilità umana, esposta a cedimenti; se il male sopravviene, si tratta comunque di non lasciarlo sedimentare. Giovanni cerca quindi di trarne un antidoto che conduca al suo superamento; l’errore, con lo sbandamento del suo percorso ed il fallimento del suo esito, induce a cercare una via che guidi con sicurezza alla meta proposta. Se la caduta può essere stata effetto di inesperienza, la ricaduta è stoltezza; Giovanni trae dall’auspicata uscita dai guai presenti lo stimolo ad una rinnovata purezza di vita: “Il passero, una volta preso nella trappola e poi riuscito a sfuggire ed il cervo caduto nella rete e fuggito, difficilmente verranno presi una seconda volta dai medesimi lacci; infatti a ciascuno l’esperienza diventa maestra di cautela” (XV,3). All’animale, che in forza dell’istinto evita la ricaduta, oppone l’uomo che, nonostante l’intelligenza, la ripete: “Noi invece, catturati sovente dai medesimi allettamenti, nei medesimi ricadiamo; noi, onorati della ragione, non imitiamo la preveggenza e la sollecitudine degli animali irrazionali” (ibid.). Giovanni non fa un’analisi della disavventura capitata alla sua città; approfitta di essa per una visione più larga, che include tutta la vita, facendosi norma universale. Non esula così dal suo quadro specifico; lo inserisce in una cornice che lo spiega; l’evento di Antiochia diventa una fattispecie della storia;


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è il frutto d’una legge e la conoscenza di quella legge si fa proposta di un comportamento. È severo nei suoi ammonimenti morali Giovanni quindi, se capisce la caduta, non ammette la ricaduta; è saldamente consequenziale; dall’uomo esige la coerenza. Il conforto che egli porge ha tutta la comprensione della fraternità umana, ma non ha nessuna arrendevolezza connivente ad una vita che ristagni in una sciatteria inerte o in un’abitudine di peccato. Della sventura antiochena non vede la causa nella malasorte ma nella mala condotta; e lo dice con franca risolutezza; conforta, ma non blandisce: “Vi predìco, e ve lo testimonio, che, anche quando sarà passata questa nube, se noi rimaniamo ancora in questa trascuratezza inerte, subiremo, di nuovo, dei guai, molto più inquietanti di quelli che adesso ci aspettiamo, poiché adesso io non ho tanta paura della collera dell’imperatore quanta ne ho della vostra rilassatezza morale. Non basta certo alla nostra difesa che facciamo pubbliche preghiere per due o tre giorni; è invece necessario compiere un cambiamento di tutta la vita e, allontanandosi dalla condotta cattiva, rimanere costantemente nella virtù” (III,7). Non è una teoria generale sull’immediatezza della sequenza colpacastigo, ma è una constatazione che, nel caso specifico, la connessione era apparsa esistente. Giovanni condanna l’emotività superficiale, per la quale, ad una punizione del peccato segue una resipiscenza momentanea seguìta dall’abituale rilassatezza dei costumi; è un’indegnità morale che non è meno miseria psicologica. Giovanni nei suoi richiami non si limita ad esortazioni generali al ben vivere che hanno tanta indeterminatezza di tracciato quanta inefficacia di applicazione. Segna vie precise che vanno, con altrettanta precisione, percorse: “Vi voglio proporre tre precetti, perché durante questo digiuno li pratichiate rettamente: non parlate male di nessuno, non abbiate nessuno come nemico, scacciate in maniera totale dalla vostra bocca la cattiva abitudine dei giuramenti” (III,7). Contro la mania del giuramento, che imperversava in Antiochia, Giovanni interviene con un’insistenza che potrebbe apparire straripante; in XIV,6 ne pone l’emenda in minaccioso contrappeso al perdono di Teodosio: “Come chiederemo la liberazione dalla terribile situazione che ci domina, quando non siamo stati capaci di adempiere neppure un solo precetto?” La colpa si duplica; all’inizio fu temerità di pochi dissennati; l’incerto riscatto si fa stoltezza di tutta la città ed il rimprovero da accusa severa passa a deplorazione accorata: “Oh, se mi fosse possibile spogliare le anime di coloro che giurano sovente e mettere sotto i loro occhi le ferite e le lividure che essi ricevono ogni giorno dai giuramenti!” (ibid.). Il patetico appesantisce il biasimo, in quanto la disapprovazione non è pronunziata da un giudice psicologicamente distante, ma da un amico morso dal rimpianto; quella mancata visione denuncia una cecità lamentevole.


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E lo è più ancora per il languore nella fede Giovanni incoraggia, ma esige che il sollievo dello spirito abbia una consapevole motivazione cristiana; la sua scarsità gli provoca un rimprovero che non manca di un’intonazione di dispetto: “Ho approvato la sollecitudine del prefetto, il quale, avendo visto che la città è in subbuglio e che tutti stanno deliberando di fuggire, è entrato in chiesa, vi ha confortati e vi ha condotti a buone speranze; però mi sono vergognato per voi e sono arrossito che, dopo i molti e lunghi discorsi che vi ho tenuti, abbiate avuto bisogno di un conforto che viene dal di fuori” (XVI,1) e continua con accenti ancora più acri. Infiltrazione di gelosia in una sorta di rivalità con il dignitario politico? Sordità psicologica dinanzi all’ovvia immediatezza d’effetto che aveva la parola del rappresentante dell’imperatore? Forse anche, ma c’è soprattutto la considerazione del valore della fede e dell’obbligo di renderla operante: “Non bisognava che voi vi faceste ammaestrare da lui, ma che foste voi ad ammaestrare tutti gl’increduli” ed a garante di questa sua esigenza assume 1 Cor 6,1. Giovanni rianima la debolezza degli ascoltatori, ma richiede loro dignità di convinzioni e vigoria di carattere. La sua vicinanza affettiva non è arrendevolezza; sta accanto ma sa anche mettersi più in alto; conosce le scuse ma non le accetta. Deplora un clima di inerzia psicologica: “La maggior parte del discorso che vi rivolgo si spende in esortazioni morali; questo non avrebbe dovuto avvenire, ma avreste dovuto imparare da voi stessi, direttamente, come badare ai vostri costumi ed affidare a me il compito di spiegarvi i significati e le dottrine delle Scritture” (XVI,2). Invita i fedeli ad una collaborazione che è corresponsabilità Il peccato più diffuso e più misconosciuto tra i cristiani è l’omissione; l’egoismo del non riconoscere l’altro come prossimo; il chiamarsi personalmente fuori da ogni responsabilità nelle inadempienze comunitarie. Giovanni denuncia la correità dell’inazione; ciascuno è chiamato all’intervento. Di fronte alle criminalità che hanno precipitato Antiochia nella catastrofe, proclama: “Non ci basta dire a nostra difesa: Non c’ero; non ne sapevo nulla; non ho preso parte a ciò che è avvenuto. Proprio per questo vieni punito e ne paghi una pena estrema, perché non c’eri; non li hai impediti, non hai trattenuto quelli che agivano male” (II,4). Giovanni si rende conto che dell’ambiente morale possiamo essere tutti vittime, ma che ne siamo anche coautori; ciascuno riceve influssi ed influssi emana; la grande storia (che coinvolge un imperatore) germoglia dalla storia minuta di ogni singolo individuo; ciascuno è persona ma è anche cittadino. Se c’è però una corresponsabilità nella connivenza al male, ne esiste pure una nel diffondere il bene; del messaggio religioso che ascolta in chiesa, il fedele ha l’incombenza di ripeterlo nell’ambiente domestico, in analogia alla


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discussione collettiva del bilancio economico familiare: “Ciascuno, ritiratosi in casa, chiami la moglie ed i figli e dica: oggi ci è stato imposto un impegno spirituale” (III,7). Un certo giorno riscontra che l’uditorio si è notevolmente infoltito; se ne compiace, attribuendolo all’interessamento con cui i frequentatori abituali avevano sollecitato altri, solitamente estranei, ad intervenire: “Ho esortato la vostra carità a tirarli alla chiesa ed a persuaderli che è lecito, anche dopo il nutrimento corporale, prendere parte al nutrimento spirituale; quando infatti voi, carissimi, avete fatto meglio?” (X,1) Vede negli ascoltatori assidui l’indispensabile azione complementare alla sua; quelli che egli non ha modo di attirare, i laici hanno aperta la possibilità di sospingerli. Questi volonterosi incrementavano l’efficacia pastorale del predicatore. Soprattutto essi non debbono mai scoraggiarsi; a chi esorta, con scarso successo, ad astenersi dal giuramento inculca la tenacia: “Tu lo hai detto una volta e non ti ha ascoltato; dillo dunque due volte, tre volte e tante volte, finché lo abbia convinto. Dio ci parla ogni giorno e non lo ascoltiamo, ma egli non cessa di parlare; imita anche tu questa cura premurosa per il tuo prossimo” (XVI,6). E con i suoi fedeli parla in immediatezza di rapporto Giovanni incoraggia i suoi fedeli a conversare con gli amici in libera disinvoltura di colloquio e con i suoi fedeli anch’egli talora s’intrattiene in spontanea naturalezza di dialogo. Se sovente lo immaginiamo parlare dall’ambone nel presentare verità ed esperienze che coinvolgono tutti ed hanno la loro forza cogente proprio nell’inevitabilità che tutti comprende; talora abbiamo invece l’impressione che dall’ambone discenda mescolandosi con i presenti. Dal ‘voi’ passa al ‘tu’; il contatto diventa diretto; la verità, invece che avvolgere dall’esterno sembra urgere dall’interno; l’ascoltatore diventa interlocutore; non deve solo ascoltare, è chiamato a rispondere. A Giovanni è abituale il ‘Dimmi’, nel quale l’insegnamento si fa stimolo e sfida. L’interpellato esce dall’anonimato; ne è estratto con il suo volto specifico; non si tratta soltanto di un coinvolgimento di cortesia; l’interrogato viene spesso inserito nella morsa di un dilemma nel quale deve scegliere tra l’adesione e l’assurdità; ma l’adesione finisce per salire da accondiscendenza ad impegno; messo alle strette, privo di vie d’uscita, l’interpellato scopre, per esperienza personale, che l’unico percorso è quello che gli è stato proposto. Il ‘tu’, pur senza perdere di riguardo, acquista talora una sfumatura di provocazione; dietro l’eventuale dissenso si stende come un velo di incompetenza: “Non sai che quelli che sono nei peccati, anche se vivono, sono morti, mentre quelli che vivono nella giustizia, anche se sono morti, vivono?” (V,2). Il paradosso incentiva la sfida e si fa assolutezza di rivelazione. Ad incalzare l’interrogato sembra quasi che, più che l’oratore, sia la verità stessa fattasi presente.


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Il dialogo, spesso, inverte la direzione e ad interrogare non è più il docente ma l’ascoltatore. Emerge, non di rado, il ‘Mi si obietta’, che, in genere, più che un’aporia sollevata effettivamente da un uditore e una difficoltà suggerita dall’oratore per prevenirla risolvendola in anticipo. Il dubbio, che, anche se chiarito, lascia facilmente una scia d’incertezza, viene preceduto dalla verità, che si appiana l’accesso. L’insegnamento da comunicazione passa volentieri a dialettica; anche l’ascoltatore viene fatto protagonista. Talora questo rapporto assume un tono d’immediatezza confidenziale: “Vuoi che ti dica un altro motivo per cui abbiamo paura della morte? È perché non abbiamo una coscienza pura” (V,4). È una trasmissione di esperienza, un invito a camminare fianco a fianco, una constatazione da fare insieme attingendo ai fatti ed agli usi abituali nella vita ordinaria. In qualche caso Giovanni parla a tu per tu, ma vorrebbe poterlo fare sempre e con tutti. Di fronte alla sostanziale inefficacia delle sue insistenti esortazioni ad evitare il giuramento, abuso che doveva essere particolarmente endemico ad Antiochia, si sfoga in un auspicio: “Oh, se mi fosse possibile stare con voi! Non avrei bisogno di tenere questo lungo discorso; ora però che questo non è possibile, al mio posto ricordate le mie parole e, quando siete seduti a tavola, immaginatevi che io entri, vi stia accanto e che risuonino queste parole che qui vi dico adesso. Dovunque voi parliate di me, a preferenza di tutto, ricordatevi di questo precetto e datemi in cambio questa ricompensa dell’amore che nutro per voi” (V,7). Lo zelo si esprime con una cordialità che non rifugge dal patetico; l’osservanza morale altrui gli si fa sospiro; l’interesse altrui diventa l’interesse suo. Suo cruccio è di non poter stare sempre insieme a loro; è un’impossibilità che quasi non accetta, facendosi simbolicamente supplire dalle sue parole. È una comunione che nasce dall’affetto, ma che va oltre l’affetto; dal sentimento, che è emotività facilmente volatile, penetra nella sostanza della vita: dall’unione di due arriva all’identificazione in uno: “Recentemente ho parlato a voi e adesso, ancora, parlo a voi; mi auguro proprio di parlare sempre con voi, se non con la presenza del corpo, almeno con la potenza dell’amore; io non ho infatti altra vita che voi e la preoccupazione della vostra salvezza... Perciò porto dovunque tutti voi nel mio pensiero, non soltanto qui, ma anche a casa” (IX,1). La sua parola non era esecuzione di un compito d’ufficio, era emanazione dell’anima, sgorgava “segnata bene dell’interna stampa” (Par. XVII,9); c’erano qui la confessione della sua vita e la radice della sua arte. Si sarebbe quasi detto che, più che per loro, parlasse per sé; la loro salvezza era diventata la sua. Ed era una salvezza che egli voleva universale; sulla soppressione del giuramento intima: “E nessuno mi dica che molti si sono corretti; non è questo che io cerco, ma che lo siano tutti; finché non vedo questo, non posso riprendere fiato” (XIII,4). Il pericolo altrui gli era soffocamento; la vita gli si giustificava nella purificazione di quanti dipendevano da lui. L’osservazione della realtà gli


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mostrava però quanto i suoi successi fossero precari; quella purificazione era troppo esposta al reinquinamento. Giovanni confessava, in candida amarezza, la sua delusione: gli argentieri trovano, il giorno dopo, il vaso come la vigilia lo hanno lasciato, “io invece non vi ritrovo tali e quali vi ho lasciati; dopo che vi ho presi e rimodellati con molta fatica, che vi ho corretti, che vi ho resi più ferventi, quando ve ne andate, le vicende degli affari da ogni parte vi circondano, vi stravolgono di nuovo e mi procurano una maggiore difficoltà. Perciò vi supplico e vi scongiuro che ci mettiate mano e che, quanto è l’impegno che io esplico per la vostra emendazione, altrettanta sia la sollecitudine che dimostrate voi per la vostra salvezza “ (XIII,5). Nel suo ardore apostolico Giovanni si sentiva, umanamente, impari e, all’apparenza, sconfitto. Si capisce quindi come sollecitasse l’assistenza di tutti i fedeli per l’intensificazione della sua opera. Di fronte all’ardua altezza del compito l’unica possibilità di successo gli appariva la mobilitazione coordinata di tutte le forze. Aveva intuito che il modo migliore per conoscere la propria fede era quello di trasmetterla agli altri. S’impara davvero insegnando. Giovanni fu un grande animatore; a chi era immerso nel buio dello spavento accendeva una luce di speranza; a tutti apriva invitanti visioni di elevazione spirituale; a tutti parlava con la schietta semplicità dell’amicizia, ma da quella spontaneità del quotidiano traspariva la fine eleganza di uno spirito d’artista, come da quella moderazione trapelava il sapiente equilibrio di un grande maestro di vita.


Rivista Lasalliana 79 (2012) 1, 31-46

LA VIA ISTITUZIONALE DELLA CARITÀ FLAVIO FELICE Professore di Dottrine Economiche e Politiche alla Pontificia Università Lateranense

This country’s Parliamentary tradition owes much to the national instinct for moderation, to the desire to achieve a genuine balance between the legitimate claims of government and the rights of those subject to it. While decisive steps have been taken at several points in your history to place limits on the exercise of power, the nation’s political institutions have been able to evolve with a remarkable degree of stability. In the process, Britain has emerged as a pluralist democracy which places great value on freedom of speech, freedom of political affiliation and respect for the rule of law, with a strong sense of the individual’s rights and duties, and of the equality of all citizens before the law. While couched in different language, Catholic social teaching has much in common with this approach, in its overriding concern to safeguard the unique dignity of every human person, created in the image and likeness of God, and in its emphasis on the duty of civil authority to foster the common good.1

Premessa d un anno dalla promulgazione della Caritas in veritate, in un discorso del 22 maggio 2010, dato ai partecipanti al Convegno Internazionale della Fondazione Centesimus Annus pro Pontifice, Benedetto XVI ribadisce che “Il bene comune è la finalità che dà senso al progresso e allo sviluppo”. In definitiva, il Papa individua nel “bene comune” una cifra che possa qualificare una tipologia di sviluppo che non si limiti ad accrescere la produzione di beni materiali, ma che tenga conto anche di fattori intangibili, considerati indispensabili, in quanto prerequisito, anche della produzione di ricchezza materiale. Il fattore intangibile per eccellenza è la promozione della dignità umana, una dignità che si esplica nella possibilità di esprimere nella libertà e nella responsabilità la propria vocazione a parteci-

A

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BENEDETTO XVI, Incontro con le Autorità civili, Westminster Hall - City of Westminster Venerdì, 17 settembre 2010.


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Flavio Felice

pare alle innumerevoli forme di vita sociale; dalla partecipazione politica a quella economica, senza escludere quella culturale. È a questo punto del discorso che Benedetto XVI introduce un tema ben presente in Caritas in veritate che credo incroci il titolo del presente saggio: “Per una teoria dell’agire politico virtuoso”. Un tema che introduce la Caritas in veritate e che forse avrebbe meritato di essere maggiormente approfondito da parte dei tanti commentatori. Mi riferisco al tema della cosiddetta “via istituzionale” ovvero “politica” della carità. Il Papa lo spiega nel discorso del 22 maggio 2010, affermando che “La politica deve avere il primato sulla finanza e l’etica deve orientare ogni attività”. Si badi bene che il Santo Padre distingue il “primato” delle istituzioni politiche dal ruolo di “orientamento” dell’etica, non confondendo i piani. Dunque, alla politica – con le sue istituzioni – non si chiede l’orientamento delle attività economiche, ma di assicurare con metodo democratico (“cooperativo”: una testa, un voto) il funzionamento delle istituzioni che tutelino e promuovano le condizioni in forza delle quali gli operatori potranno assumere liberalmente quelle decisioni che migliorano le loro esistenze – se ad esempio ammettiamo che in economia di mercato la concorrenza contribuisce ad elevare il rapporto qualità-prezzo dei beni e dei servizi disponibili, allora, compito della politica sarà di stabilire le regole (possibilmente di rango costituzionale per sottrarle alla discrezionalità delle mutevoli maggioranze parlamentari) affinché tale principio sia tutelato e promosso contro i tentativi di limitarlo e di piegarlo agli inevitabili interessi particolari, pubblici o privati che siano. Allora, il primato della politica si traduce nella capacità di dar vita ad istituzioni che sappiano rispondere ai problemi dell’umana contingenza, offrendo gli strumenti che consentano di giungere lì dove i singoli direttamente non riescono ad arrivare, nel rispetto dei principi di “poliarchia” e di “sussidiarietà” verticale ed orizzontale. Per questa ragione, ci ricorda Benedetto XVI, sempre nel paragrafo sette della Caritas in veritate, la “via istituzionale della carità” non è “meno qualificata ed incisiva” della via diretta. Il compito della politica, dunque, è definito “primario” da Benedetto XVI in quanto comporta «il prendersi cura e l’avvalersi di un complesso di istituzioni che strutturano giuridicamente, civilmente, politicamente, culturalmente il vivere sociale mondiale, in modo tale che prenda forma di pólis, di città dell’uomo». Oltretutto, Benedetto XVI sembrerebbe invitarci a non indulgere in una tanto retorica quanto enfatica, inutile e, alla fine, dannosa, declamazione del concetto di “bene comune” e precisa innanzitutto che tale concetto è in sé necessariamente plurale, declinando il “bene comune” in “beni”, di conseguenza, anche le istituzioni preposte al suo ottenimento è opportuno che rispondano al principio poliarchico e che siano articolate secondo il principio di sussidiarietà: «È allora decisivo che siano identificati quei beni a cui


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tutti i popoli debbono accedere in vista del loro compimento umano. E questo non in qualsiasi maniera, ma in una maniera ordinata ed armonica. Infatti, il bene comune è composto da più beni [corsivo aggiunto]: da beni materiali, cognitivi, istituzionali e da beni morali e spirituali, quest’ultimi superiori a cui i primi vanno subordinati».

La teoria politica Sotto il profilo teorico, per rendere ragione dell’Incipit tratto dal discorso di Benedetto XVI a Westminster del 17 settembre 2010, rileviamo che la Dottrina sociale della Chiesa ha sempre sostenuto la rilevanza per il cristiano e per ogni altro uomo di conoscere, di studiare e di trattare con gli strumenti della politica gli elementi costitutivi dello stato, contribuendo alla sua ordinata costituzione. Per questa ragione – sin da Leone XIII – la Dottrina sociale della Chiesa ha affermato la necessità dell’elaborazione di una teoria delle istituzioni politiche che assicuri «il normale sviluppo delle attività umane: di quelle spirituali e di quelle materiali, che sono entrambe indispensabili». La Centesimus annus propone un’organizzazione della società che segue la distinzione liberale classica dei tre poteri: legislativo, esecutivo, giudiziario. Tale distinzione è incoraggiata dalla visione realistica che la Chiesa e il Magistero sociale hanno della natura umana; secondo tale tradizione di pensiero, accanto al riconoscimento del bene che è in sé la socialità, c’è anche il riconoscimento delle conseguenze del peccato, che hanno ferito tanto la stessa socialità quanto l’esercizio pacifico del potere: «A tal fine è preferibile che ogni potere sia bilanciato da altri poteri e da altre sfere di competenza, che lo manterranno nel suo giusto limite».1

Nella Sollicitudo rei socialis, affrontando le cause del sottosviluppo, Giovanni Paolo II tratta, tra l’altro, anche il tema del contesto in cui vengono prese le decisioni politiche e in cui si esprime la volontà politica. Tale trattazione consente a Giovanni Paolo II di ribadire la posizione del Magistero sociale rispetto alle cosiddette strutture di peccato, già espressa fin dall’esortazione apostolica Reconciliatio et Poenitentia, scritta dopo il sinodo dei vescovi dedicato alla sacramento della Penitenza. Le strutture di peccato si radicano nel peccato dell’uomo e dunque hanno sempre a che fare con atti concreti di cui sono responsabili i singoli individui. Molto opportunamente, egli riporta in nota un passo centrale dell’esortazione, dove definisce anche il senso di questa espressione: «Orbene la Chiesa, quando parla di situazioni di peccato o denuncia come pec-

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GIOVANNI PAOLO II, Centesimus annus, cit., n. 44.


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Flavio Felice cati sociali certe situazioni o certi comportamenti collettivi di gruppi sociali più o meno vasti, o addirittura di intere Nazioni o gruppi di Nazioni, sa e proclama che tali casi di peccato sociale sono il frutto, l’accumulazione e la concentrazione di molti peccati personali. Si tratta di personalissimi peccati di chi genera o favorisce l’iniquità o la sfrutta; di chi, potendo fare qualcosa per evitare, o eliminare, o almeno limitare certi mali sociali, omette di farlo per pigrizia, per paura e omertà, per mascherata complicità o per indifferenza; di chi cerca rifugio nella presunta impossibilità di cambiare il mondo; e anche di chi pretende estraniarsi dalla fatica e dal sacrifico, accampando speciose ragioni di ordine superiore. Le vere responsabilità, dunque, sono delle persone. Una situazione e così un’istituzione, una struttura, una società – non è di per sé, soggetto di atti morali; perciò non può essere in se stessa buona o cattiva».2

Le strutture di peccato riflettono la natura dell’uomo che – decaduto dallo stato di grazia originario – è stato redento dalla passione di Cristo, ma rimanendo sempre libero di entrare nella sequela di Gesù o di rimanerne estraneo, sia in via teorica che nella prassi. Il peccato personale, quando non sia convertito e redento, finisce con il generare ricadute e situazioni sociali esse stesse di peccato, cioè di ingiustizia e di violenza. E questo avviene ed è possibile che avvenga, in forza della natura dell’uomo, che non si dà se non entro una rete di relazioni che lo struttura e lo fa persona. Nel bene e nel male, l’uomo è un essere sociale. «A questa analisi generale di ordine religioso si possono aggiungere alcune considerazioni particolari, per notare che tra le azioni e gli atteggiamenti opposti alla volontà di Dio e al bene del prossimo e le “strutture” che essi inducono, i più caratteristici sembrano oggi soprattutto due: da una parte, la brama esclusiva del profitto e dall’altra, la sete del potere col proposito di imporre agli altri la propria volontà. A ciascuno di questi atteggiamenti si può aggiungere, per caratterizzarli meglio, l’espressione: “a qualsiasi prezzo”. In altre parole, siamo di fronte all’assolutizzazione di atteggiamenti umani con tutte le possibili conseguenze».3

Nelle società in cui i sistemi sono opportunamente distinti e separati e i poteri divisi, azioni del genere appaiono chiaramente quanto meno contrarie alle legge; le istituzioni politiche e morali possono controllare, bilanciare ed eventualmente correggere le attività economiche. Similmente, la divisione dei poteri e una serie di contrappesi costituzionali, diminuiscono drasticamente la “brama di potere”.

La persona libera e responsabile Al centro della riflessione della Dottrina sociale della Chiesa sulla comunità politica troviamo ancora una volta l’antropologia che riconosce nell’uo-

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GIOVANNI PAOLO II, Sollicitudo rei socialis, cit., n. 36, nota 65. Ibid., n. 37.


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mo una persona libera e responsabile, capace di agire coscientemente, custode di diritti inalienabili. «La radice del moderno totalitarismo, dunque, è da individuare nella negazione della trascendente dignità della persona umana, immagine visibile del Dio invisibile e, proprio per questo, per sua natura stessa, soggetto di diritti che nessuno può violare: né l’individuo, né il gruppo, né la classe, né la nazione o lo stato».4

La riconduzione della Dottrina sociale della Chiesa all’uomo come a suo oggetto specifico, è davvero frequente: l’oggetto della Dottrina sociale della Chiesa resta sempre la dignità sacra dell’uomo, imago Dei, e la tutela dei suoi diritti. In realtà, non si tratta soltanto di un oggetto materiale da studiare nel senso epistemologico tecnico, quanto piuttosto della prospettiva e dell’orizzonte noetico complessivo; una sorta di primo e decisivo impulso all’analisi scientifica, sistematica e teoretica. Ciò significa almeno tre cose; innanzitutto che la fede cristiana non è compatibile con qualsiasi teorizzazione, forma e organizzazione di società (Benedetto XVI lo dice chiaramente nel discorso di Westminster, ancorando, pur non identificando, la Dottrina sociale della Chiesa all’esperimento istituzionale anglosassone). In secondo luogo, che essa produce orientamenti e suggestioni capaci di dare figura, ovvero spunti teorici, a modelli concreti di forma di società, pur non identificandosi mai con nessuno di essi, ma rimanendo aperta a interpretazioni diversificate, flessibili e cangianti, ma pur sempre ben caratterizzate e coerenti. Per tornare a quanto affermato da Benedetto XVI a Westminster, ricordiamo tra le istituzioni: “la tradizione parlamentare”; “l’equilibrio tra le legittime esigenze del potere dello stato e i diritti di coloro che gli sono soggetti”; “i limiti all’esercizio del potere”; “la libertà di espressione”; “la libertà di affiliazione politica”; “la rule of law” – il primato del diritto ovvero, secondo una definizione classica, la “modellizzazione della tradizione” –, “l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge”. In pratica, i caratteri politici capaci di promuovere la dignità della persona, il dovere che le autorità civili hanno di promuovere il bene comune ed una nozione di bene comune che si risolve nella visione plurale e poliarchica delle istituzioni politiche, economiche e culturali, irriducibile ad una prospettiva monistica e centralistica. Saranno proprio tali istituzioni tipiche dell’esperimento liberale anglosassone che faranno dire a Benedetto XVI che «La dottrina sociale cattolica, pur formulata in un linguaggio diverso, ha molto in comune con un tale approccio, se si considera la sua fondamentale preoccupazione per la salvaguardia della dignità di ogni singola persona, creata ad immagine e somiglianza di Dio, e la sua sottolineatura del dovere delle autorità civili di promuovere il bene comune».

4

Ibid., n. 43.


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Infine, che il riferimento antropologico non si riduce mai a sfondo e ad esortazione generica, ma si fa da un lato proposta teorica e dall’altro nervatura e trama di precise istanze sociali, tutt’altro che generiche: anzi, storicamente situate e concretamente suscitatrici di azione e di istituzioni sociali, politiche ed economiche: di azione sociale. La speciale forma assunta dall’ordine istituzionale, conforme teoricamente all’azione sociale nella prospettiva teorica della Dottrina sociale della Chiesa, sarà informata al principio di sussidiarietà e di poliarchia, cardini della moderna Dottrina sociale della Chiesa ed innalzati da Benedetto XVI a principi regolatori la “governance” della globalizzazione. In base al principio di sussidiarietà, espresso in modo autorevole e formale per la prima volta da Pio XI nell’enciclica Quadragesimo anno, l’autorità statale deve astenersi da tutte le questioni in cui i corpi sociali intermedi dimostrano di poter far fronte autonomamente e sufficientemente alle proprie necessità (scuola libera, impresa privata, istituti di credito), pena l’arrecare un grave danno ed uno sconvolgimento del retto ordine della società.

La cittadinanza Il rischio che si identifichi una particolare ed ipotetica agenda politica, tesa al raggiungimento di determinati fini, con l’ideale piattaforma politica dalla quale ci si attende la realizzazione del bene comune, è reale. Non esistono società perfette e dunque i rischi connessi a derive utopistiche rimangono alti e potenzialmente devastanti per la dignità umana: «qualsiasi società politica, che possiede la sua propria autonomia e le sue proprie leggi, non potrà mai esser confusa col Regno di Dio».5

Per questa ragione la Dottrina sociale della Chiesa ritiene che l’oggetto formale (l’assetto istituzionale) che definisce il bene comune di una società politica non potrà mai costituire un fine in sé: esso rimane di natura funzionale, in quanto svolge la funzione di favorire ed accrescere la dignità della persona. «Il bene comune si concreta nell’insieme di quelle condizioni sociali che consentono e favoriscono negli esseri umani, nelle famiglie e nelle associazioni il conseguimento più pieno della perfezione». 6

Il complesso istituzionale che persegue il raggiungimento del bene

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GIOVANNI PAOLO II, Centesimus annus, cit., n. 25. Costituzione pastorale su la Chiesa nel mondo contemporaneo (Gaudium et Spes), in Documenti. Il Concilio Vaticano II, a cura del Centro Dehoniano, Edizioni Dehoniane, Bologna 1967, n. 74. 6


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comune di una determinata società civile, dunque, è sempre funzionale, ed è pertanto subordinato al bene degli individui, delle famiglie e delle comunità nelle quali operano. Da ciò si ricava che una società civile autenticamente rispettosa della dignità della persona è assolutamente incompatibile con la teoria politica del totalitarismo di ogni tipo: “tutto nello Stato, dello Stato, per lo Stato, nulla al di fuori dello Stato”, così recitava il motto gentiliano con il quale Benito Mussolini descriveva il carattere essenziale del totalitarismo ed il mandato politico del fascismo. La teoria politica espressa dalla Dottrina sociale della Chiesa si oppone a quella del totalitarismo poiché: «La cultura e la prassi del totalitarismo comportano anche la negazione della Chiesa. Lo Stato, oppure il partito, che ritiene di poter realizzare nella storia il bene assoluto e si erge al di sopra di tutti i valori, non può tollerare che sia affermato un criterio oggettivo del bene e del male oltre la volontà dei governanti, il quale, in determinate circostanze, può servire a giudicare il loro comportamento. Ciò spiega perché il totalitarismo cerca di distruggere la Chiesa o, almeno, di assoggettarla, facendola strumento del proprio apparato ideologico».7

La nozione di bene comune di una società civile, nella prospettiva teorica della Dottrina sociale della Chiesa, ha non solo la funzione di definire gli strumenti dei quali si serve l’autorità politica, ma anche quella di precisare i limiti oltre i quali nessuna autorità dovrebbe andare. La teoria politica che emerge dalla Dottrina sociale della Chiesa riconosce agli individui, alle famiglie ed alle associazioni il diritto sovrano di contribuire all’edificazione della società civile e di quella particolare forma di essa che chiamiamo società politica. Il che è quanto dire che la Dottrina sociale della Chiesa promuove una visione poliarchica, quanto all’esercizio del potere, e pluralista, quanto al ventaglio delle intenzioni e degli interessi espressi del corpo sociale.

Le ragioni della democrazia Una delle accuse più frequenti rivolta alla Dottrina sociale della Chiesa, e ai cattolici in generale, riguarda il loro rapporto con la democrazia, cioè con quella forma di governo – oggi la più diffusa nei vari ordinamenti costituzionali – che si ritiene comunemente inconciliabile con una religione che invece professa dei dogmi, principio di quell’intolleranza che sarebbe il contrario della democrazia stessa. Esistono due elementi ribaditi dalla Dottrina sociale della Chiesa che risultano fondamentali per l’esistenza stessa della democrazia.

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GIOVANNI PAOLO II, Centesimus annus, n. 45.


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Un primo elemento è la composizione del rapporto esistente tra verità e libertà, che alcuni filoni della modernità considerano antagoniste: una composizione urgente, stante il potere enorme che la scienza e la tecnica pongono attualmente nelle mani dell’uomo, rischiando di volgersi ancora una volta contro di lui. Il dibattito sulle tecniche di fecondazione assistita e sulla riproduzione umana in generale, o quello sull’eutanasia e sull’aborto, rendono evidente la difficoltà per una certa idea di ragione riconoscere degli spazi di non-disponibilità, che vadano soltanto riconosciuti e accettati, non negoziati. La posta in gioco, qui, non è soltanto una corretta visione morale dell’uomo, ma anche dei fondamenti di una società libera e democratica, ossia delle sue istituzioni: ne andrebbe della tenuta stessa dello stato liberale, democratico e soggetto al diritto. Per dirla con le parole del Matteucci, sul piano strettamente politico, il liberalismo si presenta come una teoria dell’ordine politico, tesa alla limitazione del potere (kathechein-“moderamen” vs. kyberneîn-gubernaculum, per tornare alla distinzione tra i concetti di “governo” e di “governance”); in pratica, il difensore delle autonomie locali e della libertà della società civile, ovvero dell’autonoma capacità aggregativa ed organizzativa dei corpi intermedi, della loro funzione di mediare tra istanze particolari ed istanze generali, tra finalità sociali e obiettivi politico-strategici. Il liberalismo si è sempre contrapposto al potere centrale, il quale si presenta sotto forma di esercizio minuzioso e sistematico del potere, con i caratteri della varietà, della diversità e del pluralismo; caratteri tipici della società civile e ostentati come aspetti positivi. In definitiva, contro lo stato burocratico ed amministrativo, il liberalismo propone la riscoperta della politica, ovvero di quell’aspetto che rende unica l’azione politica: l’arte della composizione degli interessi, accettando il costo in termini di conflitto sociale che tale funzione architettonica comporta, dal momento che i conflitti politici, se contenuti all’interno del quadro costituzionale, sono l’espressione di un ordine – domestico, internazionale o globale che sia – che nasce proprio dalla vitalità e dal pluralismo della società civile, realtà che non andrebbero compresse da un’autorità di governo “monocratico”, ma coinvolte nei processi di “governance” con “moderazione”, “frenandone gli impeti e le passioni” (“moderamen globalizationis”), sotto la guida di coloro che, soggetti al “primato della legge”, alla prova della democrazia, hanno saputo coagulare il consenso intorno alla proposta di un indirizzo strategico, traducibile in istituzioni politiche, economiche e culturali che rispettino i principi di “sussidiarietà” e di “poliarchia”. È questo il senso dell’espressione di Benedetto XVI presente nel paragrafo 57 della Caritas in veritate, sulla quale ci siamo soffermati già in precedenza e nella quale si afferma che per evitare di dar vita ad un pericoloso potere universale di tipo monocratico…. “globalizationis modera-


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men formam induere debet subsidiarietatis”. In definitiva, scrive Matteucci, incrociando il problema istituzionale del liberalismo con il pericolo paventato da Benedetto XVI nel suddetto paragrafo dell’enciclica: «Il liberalismo, in continuità con il pensiero medioevale, si configura proprio come lotta contro l’affermarsi dello Stato assoluto, con posizioni apparentemente diverse nei diversi paesi, a seconda della maggiore o minore attuazione sul piano istituzionale dei principi dell’assolutismo».

E conclude: «…è proprio il pensiero liberale, da Tocqueville a Weber, a vedere nello Stato amministrativo la maggior minaccia alla politica e quindi alla libertà. Infine si rischia di non intendere la natura (liberale e non democratica) e le origini (medioevali e non moderne) di un istituto cardine degli attuali sistemi costituzional-pluralistici, quello del controllo di costituzionalità delle leggi, che serve appunto a garantire i diritti dei “singoli” cittadini contro la volontà della maggioranza e senza il quale ogni Dichiarazione dei diritti dell’uomo resta la mera espressione di un atto di buona volontà».8

La posizione della Dottrina sociale della Chiesa, dunque, è lineare. Se si vuole difendere la cultura liberale e democratica dalla sua autodissoluzione, essa va anzitutto sottratta dalla sua alleanza con la cultura dell’indifferenza, un’ermeneutica relativistica che tutto avvolge, dissolvendo le differenze, che per il liberalismo abbiamo constatato essere una ricchezza, in una presunta neutralità etico-antropologica ed inibendo, di conseguenza, il necessario e libero processo di discernimento etico. La ragione umana non può rinunciare alla verità sull’uomo, e tale verità viene a costituire un limite sano e costitutivo alle disponibilità della ragione. Se questo elemento costitutivo non fosse salvaguardato, allora le vittime di tale potere illimitato sarebbero proprio le nostre istituzioni politiche, economiche e culturali; in definitiva, saremmo proprio noi stessi, la nostra dignità e la nostra libertà. Su questo punto nevralgico del rapporto tra religione e politica, rispondendo ad un’intervista di Antonio Socci, l’allora Cardinal Ratzinger afferma: «Fino a Cristo l’identificazione di religione e stato, divinità e stato, era quasi necessaria per dare stabilità allo stato. Poi l’Islam ritorna a questa identificazione tra mondo politico e religioso, col pensiero che solo con il potere si può moralizzare l’umanità. In realtà, da Cristo stesso troviamo subito la posizione contraria: Dio non è di questo mondo, non ha legioni, così dice Cristo, Stalin dice non ha divisioni. Non ha un potere mondano, attira l’umanità a sé non con un potere esterno, politico, militare ma solo col potere della verità che convince, dell’amore che attrae. Egli dice “attirerò tutti a me”. Ma lo dice proprio dalla croce. E così crea questa distinzione tra imperatore e Dio, tra il mondo dell’imperatore al quale conviene lealtà, ma una lealtà critica, e il mondo di Dio, che è assoluto. Mentre non è assoluto lo stato».

8

N. MATTEUCCI, Liberalismo, Il Mulino, 2005, p. 577.


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A questo punto Socci osserva: «questo è uno straordinario punto di incontro tra il pensiero cristiano e cultura liberal-democratica», e il Cardinale risponde: «Io penso che la visione liberal-democratica non potesse nascere senza questo avvenimento cristiano che ha diviso i due mondi, così creando una nuova libertà. Lo stato è importante, si deve ubbidire alle leggi, ma non è l’ultimo potere. La distinzione tra lo stato e la realtà divina crea lo spazio di una libertà in cui una persona può anche opporsi allo stato. I martiri sono una testimonianza di questa limitazione del potere assoluto dello stato. Così è nata una storia di libertà. Anche se poi il pensiero liberal-democratico ha preso le sue strade, l’origine è proprio questa».9

Un secondo elemento è il fondamento stesso della democrazia intesa come articolazione di verità e di libertà. Si è d’accordo nel ritenere che le procedure democratiche valorizzano tale articolazione. Tuttavia, non vanno dimenticati o dati per scontati il presupposto sui quali tali procedure si fondano: l’inviolabile dignità di ogni uomo. Un tale presupposto si sottrae alla logica della maggioranza e della minoranza, da una dialettica che necessariamente segna quotidianamente vinti e vincitori; non soggiace all’opinione (arbitrio?) dei singoli individui, né a quella dello stato, dipendono “dal Creatore”, come significativamente afferma la dichiarazione d’indipendenza americana del 1776. Proprio in tale dipendenza pare meglio garantita la non-autarchia dello stato, ossia la sua liberalità. La storia del Novecento ha dimostrato l’insufficienza del principio per cui la maggioranza ha sempre ragione e può disporre della vita dei cittadini. La Dottrina sociale della Chiesa ha insistentemente posto sul tappeto del dibattito culturale, politico ed accademico la questione sull’incondizionatamente buono, che non può essere elusa proprio per il bene stesso dello stato. Questa possibilità che la democrazia possa scegliere il male – e dunque non sia una forma di governo che in via assoluta garantisca la vita sociale buona – è ben spiegata nella Centesimus annus, laddove si afferma che l’uomo porta in sé i segni del peccato originale. Tale verità non è solo parte integrante della rivelazione cristiana, ma offre allo stesso tempo un grande valore ermeneutico per la comprensione delle istituzioni sociali, politiche ed economiche. Il punto di partenza nel dibattito sui sistemi politici, di conseguenza, non può non tener conto del fatto che non esistono democrazie perfette. La forza e l’equilibrio di un ordinamento sociale dipenderanno dalla misura in cui si terrà in debito conto tale principio dell’antiperfettismo. «L’uomo tende verso il bene ma è pure capace di male; può trascendere il suo interesse immediato e, tuttavia, rimanere a esso legato. Quando gli uomini ritengono di

9

Intervista di Antonio Socci al Cardinal Joseph Ratzinger su “Il Giornale”, del 26 novembre 2006.


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possedere il segreto di un’organizzazione sociale perfetta che rende impossibile il male, ritengono anche di potenziare tutti i mezzi, anche la violenza o la menzogna, per realizzarla. La politica diventa allora una ‘religione secolare’, che si illude di costruire il paradiso in questo mondo».10

Nelle parole dell’enciclica risuonano quelle dell’allora arcivescovo di Cracovia, il quale nell’omelia dell’Epifania del 1977 ebbe a dire: «Ciò che Erode fa cela in sé un meccanismo di potere che si ripete molto spesso e che è insieme pericolosissimo. Tale meccanismo si manifesta quando, non potendo scegliere i mezzi, ci si pone solo il potere in quanto tale come fine, allo scopo di conservare il potere stesso. Allora nessun mezzo di violenza, di violenza drastica come quella usata a Betlemme, viene considerato cattivo a giudizio di questo potere».11

Tanto il brano tratto dall’enciclica Centesimus annus quanto quello estratto dall’omelia del 1979 evidenziano una posizione sul primato della dignità della persona e sul ruolo che le istituzioni politiche, economiche e culturali svolgono, affinché tale primato sia affermato – quanto meno sotto un profilo formale –, al punto che agli occhi di molti è sembrato cogliere un ideale tratto d’unione tra la Dottrina sociale della Chiesa e il liberalismo (liberalismo inteso come teoria dell’ordine politico, del limite del potere e, dunque, come teoria delle istituzioni politiche) che trova una formidabile corrispondenza nell’antiperfettismo, nell’anticostruttivismo e nel personalismo di Luigi Sturzo, così come nella teoria del personalismo liberale e dell’economia sociale di mercato di Wilhelm Röpke. Al fine di offrire un ulteriore elemento per comprendere in modo adeguato il contributo di Benedetto XVI, di Giovanni Paolo II e della tradizione della Dottrina sociale della Chiesa allo sviluppo di una teoria politica della libertà e della democrazia cristianamente intese, sottolineiamo alcune riflessioni presenti nel libro di Giovanni Paolo II Memoria e identità.12 Il filo conduttore è dato dal tentativo di rispondere al problema filosofico che sta alla base di una certa pretesa “moderna” di costruire il paradiso in terra, ben espresso dall’aforisma agostiniano dell’“amore di sé fino al disprezzo di Dio”. In forza di tale assunto, l’uomo si erge a giudice supremo del bene e del male ed è sotto gli occhi di tutti come una simile deriva sia divenuta tristemente parte della storia europea.13 D’altro canto, escludendo

10 11

GIOVANNI PAOLO II, Centesimus Annus, cit., n. 25.

K. WOJTYLA, Discorsi al popoli di Dio, a cura di F. Felice, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2007, p. 39. 12 GIOVANNI PAOLO II, Memoria e identità; Rizzoli, Milano 2005. 13 Scrive Giovanni Paolo II: «Fu proprio l’amor sui a spingere i progenitori verso l’iniziale ribellione e a determinare poi il successivo dilagare del peccato in tutta la storia dell’uomo. A questo si riferiscono le parole del Libro della Genesi: “Diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male (Gn 3,5), cioè sareste voi stessi a decidere di ciò che è bene e di ciò che è male»; ibid., p. 17.


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qualsiasi cedimento storicistico – filosofico o teologico che sia –, Giovanni Paolo II si domanda se la Redenzione non rappresenti la risposta al limite e alla debolezza congeniti nella natura dell’uomo; un’indagine teologica che, scendendo in profondità, raggiunga le radici stesse del male e ne scopra il superamento mediante l’opera di Cristo: “Colui che può porre un definitivo limite al male è Dio stesso”: «Vi è nell’uomo una debolezza congenita di natura morale, che va di pari passo con la fragilità del suo essere, con la sua fragilità psico-fisica. E a questa fragilità si accompagnano le molteplici sofferenze che la Bibbia, fin dalle sue prime pagine, indica come punizioni del peccato».14

Wojtyla si domanda se “Il mistero della Redenzione è forse la risposta a quel male storico che, sotto varie forme, ritorna nelle vicende dell’uomo”. E qui riprende un tema che, oltre a far breccia nei cuori di coloro che il 2 giugno 1979 accorsero da tutta la Polonia per ascoltarlo in Piazza della Vittoria a Varsavia, si rivelò deflagrante per le fondamenta stesse del regime comunista. Ecco le parole di Giovanni Paolo II: «Non è divenuto forse un segno di vittoria sul male il sacrificio di Massimiliano Kolbe nel campo di sterminio di Auschwitz? E non è stata tale vicenda di Edith Stein – grande pensatrice della scuola di Husserl – che, bruciata nel forno crematorio di Birkenau, condivise la sorte di molti altri figli e figlie di Israele? E oltre a queste due figure, che si è soliti nominare insieme, quanto altri, in quella storia dolorosa, si stagliano tra i compagni di prigionia per la grandezza della testimonianza resa a Cristo crocifisso e risorto!».15

Durante l’omelia del 7 giugno 1979 sulla spianata di Brzezinska, davanti al campo di concentramento di O´swe¸ecim-Auschwitz, il giovane Pontefice pronunciò frasi pesanti come macigni, disse – in sostanza, quanto ribadirà nell’enciclica programmatica Redemptor hominis – che l’intero messaggio cristiano poteva essere racchiuso nell’affermazione che il Dio vivente si era reso prossimo all’uomo e si era reso incontrabile nella figura concreta e storica di Gesù; proprio perché è Dio e rivela che Dio è una persona infinita, Gesù rivela anche l’uomo all’uomo. Era esattamente ciò che nazisti e comunisti avevano tentato di negare in tutte le maniere, con i lager, con i gulag, con la cultura della morte e della delazione; l’uomo era stato svuotato del significato più autentico, della sua soggettività e di qualsiasi riferimento alla dimensione spirituale. Paradossalmente, il campo di sterminio, in ultima istanza, è un luogo concepito per una finalità metafisica: dimostrare che non esistono valori autenticamente umani, che l’uomo può essere ridotto alla sua bestialità e che in quegli orribili luoghi nulla di umano possa accadere.

14 15

Ibid., p. 30. Ibid., p. 32.


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Si dà il caso, però, che proprio nel bel mezzo di quel male assoluto (“è mai possibile tornare a scrivere poesie e a fare filosofia dopo Auschwitz?” si chiedeva Adorno) un uomo, Padre Massimiliano Kolbe, offrendo volontariamente la propria vita per un fratello “riportò [sono le parole del Giovanni Paolo II] una vittoria spirituale simile a quella di Cristo”. Proprio lì, nel luogo costruito per annientare alla radice quanto di umano c’è nell’uomo, Kolbe vendica l’intera umanità e la mostra in tutta la sua grandezza. È, dunque, proprio ad Auschwitz, e non in un altrove filosofico, che quel dogma dello storicismo moderno e contemporaneo verrà contraddetto; è ad Auschwitz, per opera di Padre Kolbe, e non a Stalingrado, per opera dell’Armata Rossa, la quale sostituirà i lager con i gulag, ovvero nell’ecatombe immane di Hiroshima e di Nagasaki, per opera degli Alleati occidentali, che avviene la confutazione di quella pretesa metafisica che aveva portato l’uomo a concepire e a costruire luoghi come Auschwitz. In breve tale pretesa nichilista si può esprimere con il seguente assunto: non esistono valori autenticamente umani, valori in nome dei quali sia giusto sfidare il potere, in quanto l’uomo non è altro che la sua materia, una materia che può essere coartata per qualsiasi fine. Nell’omelia di fine anno del 1977, il vescovo Wojtyla affermerà con forza: «Quante volte proprio questo disprezzo, questa discriminazione e persecuzione che uomini esercitano su altri uomini è un cammino verso la gloria, verso una gloria meritata. Avremo sempre davanti agli occhi, noi polacchi, la figura di quel prigioniero distrutto nel lager di Auschwitz, nel bunker della morte, che Dio ricoprì di tale gloria, quasi volesse in lui ricoprire di gloria tutti quelli che sono passati e passano attraverso il grande disprezzo, attraverso la discriminazione e la persecuzione». Allora, il dono di Kolbe ristabilisce il nesso esistenziale tra verità e giustizia e con esso riabilita il principio che ci si possa opporre al potere totalitario. Dunque, quella di Kolbe, seguendo le parole di Giovanni Paolo II, non è riducibile ad una pur esemplare testimonianza, essa è una “vittoria” sul male assoluto. Ecco come Rocco Buttiglione, sulla scia dell’analisi di Wojtyla, commenta l’opera di Padre Kolbe: «Egli, con il sacrificio della sua vita, rende inutile il campo di sterminio, lo annulla spiritualmente mostrando al tempo stesso che l’umanità è ciò che vi è di più profondo nell’uomo». In quel luogo di infinito male, creato per annientare l’uomo, per negarne la sua natura spirituale, Kolbe finisce per mostrarne tutta la grandezza, ed in questo preciso istante il nostro martire fornisce la risposta alla domanda filosofica di Adorno alla quale non aveva saputo rispondere la filosofia contemporanea, nega la pretesa metafisica nichilista e ci fornisce l’antidoto contro ogni forma di totalitarismo.


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Conclusioni Se, come abbiamo mostrato, secondo Benedetto XVI, alla politica spetta il primato sulla finanza e sull’economia, all’etica spetta il compito di orientare le scelte degli attori sociali (solo le persone agiscono, soffrono, gioiscono e sperano). Alla “via istituzionale della carità” (la politica), dunque, compete la declinazione plurale del contenuto materiale del bene comune, conforme al suo immutabile oggetto formale, non in forza del potere coercitivo dello “Stato”, bensì in virtù della prospettiva antropologica che innerva e qualifica eticamente le scelte di coloro che operano nelle istituzioni. In pratica, si assumono le categorie politiche classiche del “liberalismo delle regole”, si pensi alla tradizione ordoliberale tedesca, all’umanesimo liberale di un Wilhelm Röpke, di un Luigi Einaudi o al popolarismo di Luigi Sturzo. È presente la consapevolezza che le virtù non si impongono per decreto, che un sistema che “renda impossibile il male” rappresenta la sempiterna tentazione del “serpente”, già stigmatizzata da Giovanni Paolo II e denunciata con forza da Benedetto XVI in Caritas in veritate; una sorta di fatale scorciatoia che ci protegga dai fastidi dell’umana contingenza. È qui che entra in gioco un ulteriore argomento: le ragioni della democrazia, democrazia che nella prospettiva della Dottrina sociale della Chiesa non è intesa soltanto come sistema politico, ma anche come un atteggiamento mentale ed un insieme di costumi e di consuetudini: «È infatti difficile non riconoscere che, se la società è composta di uomini, e che ogni uomo è un essere sociale, si deve attribuire a ciascuno una partecipazione – anche se indiretta [“via istituzionale” n.d.a.] – al potere».16 Simili ragioni, tanto per Giovanni Paolo II quanto per Benedetto XVI, sono di carattere etico: “il postulato della democrazia”, scrive papa Wojtyla, è “quello di formare società di cittadini liberi che insieme perseguono il bene comune”.17 Il bene comune più immediato, non ancora sufficiente ma indubbiamente necessario, è il riconoscimento reciproco delle regole del gioco democratico che si traducono in forme istituzionali. Opportunamente Wojtyla ha fatto notare come alla base dell’organizzazione statuale israelita non ci sia Abramo, bensì Mosè, in quanto artefice di una particolare forma di “rule of law” in senso biblico, fondato sul decalogo dato da Dio al popolo di Israele. Il rispetto di quelle dieci regole fondamentali delineano un’idea di democrazia al centro della quale troviamo un limite invalicabile posto al Legislatore; scrive Giovanni Paolo II: «La legge stabilita dall’uomo, dai parlamenti, e da ogni altra istanza legislativa umana, non può essere in contraddizione con la legge di natura cioè, in

16 17

Cfr. Giovanni Paolo II, Memoria e identità…, cit., p. 155-156. Ibid., pp. 158-159.


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definitiva, con l’eterna Legge di Dio».18 Il Legislatore, dunque, sarà soggetto alla legge – quanto di più vicino alla tradizione del rule of law, appunto – e dovrà attenersi a regole che evidenziano – per dirla con le parole della Dichiarazione d’Indipendenza (1776) delle tredici colonie americane – “verità di per se stesse evidenti, quali il diritto alla vita, alla libertà e al perseguimento della felicità”. Nella prospettiva della Dottrina Sociale della Chiesa, allora, sotto il profilo teorico, dire che la democrazia è il governo del popolo risulta del tutto insoddisfacente: il popolo esiste nella misura in cui si considerano le questioni esistenziali delle singole persone, le quali si relazionano l’un l’altre politicamente e rispondono alle reciproche aspettative ricorrendo alle istituzioni politiche, economiche e culturali; scrive a tal proposito Sturzo: «la base del fatto sociale è da ricercarsi solo nell’individuo umano preso nella sua concretezza e complessità e nella sua originaria irrisolvibilità […] in concreto si danno solo individui in società».19 Così come appare inadeguato affermare che la democrazia presenta in sé i germi del “bene comune”, in quanto si caratterizza e si differenzia da altri sistemi politici per il rispetto della regola della maggioranza: non fu forse un parlamento regolarmente eletto a consentire la salita al potere di Hitler? E che dire delle maggioranze bulgare? Allora, chi sostiene sotto il profilo teorico la democrazia e “la via istituzionale della carità” – anche cristianamente intese e comunque mai canonizzate – non può non sottolineare l’importanza delle regole del gioco, che per alcuni sono norme dedotte dal diritto naturale, mentre per altri sono regole convenzionali sedimentate nella storia e confermate dall’esperienza; regole convenzionali e procedure che diventano istituzioni, senza le quali, secondo Benedetto XVI, non possiamo vivere caritatevolmente l’esperienza politica. Saranno proprio le istituzioni a difesa della dignità della persona – quelle che dimostreremo di saper costruire e difendere – la cifra della nostra capacità di testimoniare un’azione politica cristianamente orientata ai principi di “poliarchia” e di “sussidiarietà”; una promozione ed una difesa della persona che dovranno concretizzarsi sul piano istituzionale, ricorrendo agli strumenti (partiti, sindacati, associazioni e istituzioni sociali) che noi stessi avremo saputo costruire e rendere disponibili a tutti i cittadini, a partire dalla capacità di coagulare il consenso democratico intorno alle nostre proposte politiche, battendo, di conseguenza, sul terreno della democrazia, quelle dei nostri avversari. Proposte politiche che possono esprimersi anche dall’oppo-

18 19

Ibid., p. 161. L. STURZO, La società sua natura e leggi, Zanichelli, Bologna 1960, p. 5.


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sizione e condurci fino all’obiezione di coscienza e a quella forma estrema di obiezione di coscienza che Padre Kolbe ci ha insegnato essere il martirio, qualora attraverso la dialettica maggioranza-minoranza non fossimo in grado, di fronte al corpo elettorale, di rendere ragione delle nostre buone ragioni. Se il nostro vivere da cristiani secondo virtù non si declina nella vita civile in capacità di edificare istituzioni abili ad offrire soluzioni ai problemi dell’umana contingenza e se esso non sarà conforme al rispetto di quelle istituzioni, di quelle regole e di quelle procedure, vorrà dire che, a dispetto anche delle eventuali migliori intenzioni, staremmo agendo come dei pessimi cittadini e politici cristiani e multa exempla docent. Infine, le istituzioni sono lo strumento umile, ma necessario, che ci consente di ricercare quotidianamente il doveroso consenso sul legittimo dissenso (è anche questo un altro modo per tradurre kathechein-“moderamen” vs. kyberneîn-gubernaculum), l’unica possibile definizione di azione politica democratica e poliarchica in una società libera che, nel contempo, assumendo la politica come “via indiretta della carità” ovvero “la via istituzionale della carità”, ci metta al riparo dalla tentazione del serpente di voler prendere il posto di Dio: “Eritis sicut dei cognoscentes bonum et malum”.


Rivista Lasalliana 79 (2012) 1, 47-58

FEDE E SCIENZA: UN DIALOGO NECESSARIO UMBERTO CASALE Professore di Teologia fondamentale presso la Facoltà Teologica di Torino

1. Per la storia dei rapporti fede-scienza nota l’affermazione di Albert Einstein (1879-1955, premio Nobel per la fisica nel 1921): «La scienza senza la religione è zoppa. La religione senza la scienza è cieca». Sul rapporto tra la fede cristiana e la scienza – un tema che attraversa tutta la storia del Cristianesimo – è più volte intervenuto Joseph Ratzinger, sia come teologo durante la docenza in diverse Facoltà di Teologia delle Università tedesche, sia durante il servizio pastorale prima come Arcivescovo di Monaco, poi come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, infine come eletto Vescovo di Roma, papa col nome di Benedetto XVI. Per comprendere il significato e la notevole rilevanza di questi interventi, è necessario ripensare, sia pure con sintetici passaggi, la storia e il dibattito sulle relazioni fede-scienza, per giungere fino ai nostri giorni, protesi alla ricerca, superati alcuni malintesi del passato, di un rapporto fondato sull’autonomia e sulla distinzione dei saperi, attraverso il dialogo e l’integrazione.1 Il percorso di questa lunga storia passa attraverso l’analisi delle tipologie dei rapporti fede-scienza: concordismo, che ricerca un accordo diretto tra fede e scienza, tra una pericope biblica e una conoscenza scientifica (posizione oggi assai superata, a rischio di fondamentalismo per entrambi gli interlocutori); discordismo: al contrario della precedente ritiene che scienza e fede (teologia, sapere della fede) si occupino di due realtà diverse, separati (incomunicabili) sia dal punto di vista ontologico, sia da quello epistemologico. La

È

1

J. RATZINGER-BENEDETTO XVI, Fede e scienza. Un dialogo necessario, Lindau, Torino 2010, pp. 97244; un’antologia di testi a cura di U. CASALE, Fede e scienza, comunicazione di saperi?, pp. 7-95.


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terza tipologia si fonda sull’articolazione dei saperi: mediante il dialogo si cerca un’integrazione fra le due forme del sapere.2 In secondo luogo è di certa importanza ripercorrere la parabola dell’epoca moderna, perché in essa vi è stato, come è noto, un grandioso sviluppo scientifico. La modernità, come ogni epoca culturale, ha una sua parabola esistenziale che va dalla nascita e dalla crescita fino al suo vertice, per poi conoscere una fase di crisi e di decadenza (il postmoderno). Nella fase della crescita fino al suo vertice essa è segnata da quattro grandi ‘rivoluzioni’: quella filosofico-culturale con l’illuminismo, dove avviene l’assolutizzazione della ragione strumentale in regime di separatezza dalla fede (I. Kant, 17241804); quella scientifica: da G. Galilei (1564-1642) a I. Newton (1642-1727) prende consistenza il metodo sperimentale, la sperimentazione scientifica come criterio di verità; così le scoperte in campo fisico e astronomico generano l’idea che il mondo non è governato direttamente da Dio, ma è retto da leggi fisiche deterministiche (sicché per ‘spiegare’ il mondo non è più necessario ricorrere all’ “ipotesi Dio”).3 Vi è poi la rivoluzione politica: consiste nel mutamento della fonte e della legittimazione del potere politico, non più vista in Dio, ma nel popolo, divenuto ‘nazione’ attraverso un “contratto sociale”; per J. Locke (1632-1704) la democrazia non è una forma di governo fra le altre, è la sola forma moderna dello Stato (tutto ciò troverà espressione, verso la fine del ‘700, nella rivoluzione americana prima, nella rivoluzione francese poi). Infine la rivoluzione industriale: con la nuova organizzazione del lavoro sorge il ‘capitalismo’, con diversi fenomeni indotti: urbanizzazione, abbandono della religione tradizionale. Il secolo XIX segna il vertice della modernità: si manifestano grandi sistemi di pensiero, radicati nello spirito illuministico: sorgono l’idealismo trascenden-

2

Cfr. l’importante e utile G, TANZELLA-NITTI, A. STRUMIA (a cura di), Dizionario interdisciplinare di scienza e fede, Urbaniana University Press-Città Nuova, Roma 2002, voll. I-II; anche M. Y. STUART (a cura di), Science and Religion dialogue, Wiley-Blackwell, Malden (Ma) 2001, voll. I-II. 3 Preparata dalla concezione illuministica della ragione quale unica fonte di conoscenza e di emancipazione da schemi chiusi, la rivoluzione scientifica investe la civiltà occidentale in tutti i suoi aspetti: «quella che era sorta come guerra di liberazione del pensiero finì col diventare guerra di conquista e di egemonia esclusiva dello scientismo […]. Il primo nemico da discreditare fu la religione, dalla teologia all’etica. Poi fu il turno della metafisica e, in seguito, tutte le forme della filosofia che non fossero mero commento o un’appendice del pensiero scientifico. Durante gli ultimi tre secoli l’obiettivo finale della scienza è stato di fagocitare l’intera attività mentale dell’uomo, sterminando idea per idea, tutte le forme di pensiero che riteneva a lei estranee. Quando però anche l’orizzonte della scienza fu infine ridimensionato dalla sua stessa critica, che ne è un imprescindibile tratto, questa si è trovata davanti all’abisso dell’incognito con alle spalle il deserto dello scientismo. In questo deserto dell’Occidente, senza punti di riferimento, la scienza è rimasta sola e procede senza sapere dove e perché»: C. RONCHI, L’albero della conoscenza. Luci e ombre della scienza, Jaca Book, Milano 2010, p. 248.


Fede e scienza: un dialogo necessario

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tale, immanentistico e storicista di G. Hegel (1770-1831), il materialismo storico di K. Marx (1818-1883), il positivismo di A. Comte (1798-1857), lo scientismo di E. Haeckel (1834-1919): tutti «-ismi» che divengono ideologie totalizzanti. Mentre sul piano culturale prevale il soggettivismo, la libertà assoluta, il primato della ragione (strumentale), un certo immanentismo; sul piano politico prevale la democrazia, la distinzione tra fede e politica, la separazione tra Stato e Chiesa; sul piano sociale si manifesta mobilità e continuo mutamento, urbanizzazione e cultura di massa; sul piano scientifico vi è un’assoluta fiducia nella razionalità scientifica, l’idea di progresso indefinito, la speranza che la scienza risolverà tutti i problemi del singolo e della società (l’ottimismo ottocentesco).4 Nel secolo ventesimo la parabola della modernità passa attraverso una serie di crisi che spingono tanti a parlare dell’ultima fase dell’epoca moderna, o addirittura alla sua conclusione (postmodernità). Gli eventi drammatici dei due conflitti mondiali (un “secolo di genocidi”, perpetrati da totalitarismi disumani) hanno finito per mettere in crisi l’idea di un’umanità incamminata sulla via luminosa di un progresso indefinito, l’ottimismo ottocentesco si tramuta in pessimismo esistenziale, viene svelato il carattere mitico di molti aspetti della modernità. Senza andare oltre in questa disanima, si può dire che tra i residui dei miti della modernità, sia rimasto in campo un certo scientismo: tale concezione, rifiutando di riconoscere come valide altre forme di conoscenza diverse da quelle che sono proprie delle scienze positive, afferma che soltanto la scienza è un sapere valido e veritiero, emarginando nel campo dell’immaginazione e dell’irrazionale sia il sapere estetico ed etico, sia la conoscenza religiosa e teologica.5 Sempre al fine di comprendere l’attuale situazione dei rapporti fedescienza e riconoscere il valore degli interventi di papa Ratzinger, occorre verificare la posizione della Chiesa e della Teologia in questo campo. Papi e teologi del ‘900 hanno dato un notevole contributo su questo tema, soprattutto con il Vaticano II e con Giovanni Paolo II (1920-2005, papa dal 1978): il papa polacco ha mostrato grande interesse per il ruolo della scienza nel mondo moderno e per il rapporto tra fede e scienza.6 «La scienza può puri-

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Cfr. U. CASALE, Il Dio comunicatore e l’avventura della fede, Elledici, Leumann (To) 2003, pp. 10-16. «Nonostante la critica epistemologica abbia ampiamente screditato questa posizione (l’affermazione “soltanto la scienza è un sapere valido e veritiero” è sicuramente un’affermazione non scientifica e dunque, secondo quella logica, non vera), essa ricompare qua e là: la scienza si prepara a dominare tutti gli aspetti della vita umana attraverso il progresso tecnologico»: U. CASALE, Fede e scienza, comunicazione di saperi?, cit., pp. 16-17; cfr. G. MUCCI, Il totalitarismo ideologico della scienza, in «La Civiltà Cattolica» 160 (2009), II, pp. 319-324. 6 Prezioso volume che contiene gli interventi dei papi (da Pio XI, che rifonda la Pontificia Accademia delle Scienze, all’attuale Benedetto XVI) sul tema M. SÁNCHEZ SORONDO, I Papi e la scienza nell’epoca contemporanea, Jaca Book, Milano 2009. 5


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ficare la religione – scrive papa Woytjla – dall’errore e dalla superstizione; la religione può purificare la scienza dall’idolatria e dai falsi assoluti […]. Soltanto un rapporto dinamico tra teologia e scienza può rivelare quei limiti che salvaguardano l’integrità delle due discipline in modo che la teologia non sconfini in una pseudoscienza e la scienza non diventi inconsciamente teologia». Nel 1979 papa Woytjla istituisce una commissione (teologi, scienziati, storici) per ripensare e approfondire il noto “caso Galilei”, al fine di superare incomprensioni, errori e malintesi da un lato, al fine di chiarire e poter così sviluppare il dialogo e l’integrazione tra fede e scienza, dall’altro.7 La posizione della Chiesa e della teologia sul tema fede-scienza è espressa nella Costituzione pastorale del Vaticano II Gaudium et Spes: «Molti nostri contemporanei sembrano temere che, se si fanno troppo stretti i legami tra attività umana e religione, venga impedita l’autonomia degli uomini, delle società, delle scienze. Se per autonomia delle realtà terrene intendiamo che le cose create e le stesse società hanno leggi e valori propri, che l’uomo gradatamente deve scoprire, usare e ordinare, allora si tratta di un’esigenza legittima, che non solo è postulata dagli uomini del nostro tempo, ma anche è conforme al volere del Creatore. Infatti è dalla stessa loro condizione di creature che le cose tutte ricevono la loro propria consistenza, verità, bontà, le loro leggi proprie e il loro ordine; e tutto ciò l’uomo è tenuto a rispettare, riconoscendo le esigenze di metodo proprie di ogni singola scienza o arte. Perciò la ricerca metodica di ogni disciplina, se procede in maniera veramente scientifica e secondo le norme morali, non sarà mai in reale contrasto con la fede, perché le realtà profane e le realtà della fede hanno origine dal medesimo Dio. Anzi, chi si sforza con umiltà e con perseveranza di scandagliare i segreti della realtà, anche senza avvertirlo viene come condotto dalla mano di Dio, il quale, mantenendo in esistenza tutte le cose, fa che siano quelle che sono».8 Diverse volte dopo il Concilio sia il magistero pontificio sia alcuni teolo-

7

I discorsi e gli interventi di Giovanni Paolo II in M. SÁNCHEZ SORONDO, I Papi e la scienza nell’epoca contemporanea, cit., pp. 381-419. Nelle conclusioni dei lavori della suddetta Commissione si afferma che è necessario approfondire i problemi che toccano la natura della scienza come quella della fede, cogliendo la distinzione tra la verità salvifica (della Bibbia) e verità empiriche sull’universo, riconoscendo che le diverse discipline richiedono una diversità di metodi: «Esistono due campi del sapere, quello che ha la sua fonte nella Rivelazione e quello che la ragione può scoprire con le sue forze. A quest’ultima appartengono le scienze sperimentali e la filosofia. La distinzione tra i due campi del sapere non deve essere intesa come un’opposizione, i due settori non sono del tutto estranei, ma hanno punti d’incontro»: Discorso alla pontificia Accademia delle Scienze (31 ottobre 1992), in ibid, pp. 328-329; cfr. E. BROVEDANI, Scienza, tecnica e fede nel magistero di Giovanni Paolo II, in «La Civiltà Cattolica» 134 (1983), IV, pp. 30-48. 8 CONCILIO VATICANO II, Gaudium et Spes (7 dicembre 1965), n. 36 (corsivi miei).


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gi sono intervenuti sul tema. Possiamo riassumere tutto questo in estrema sintesi: per l’intera umanità esiste un duplice ordine di sviluppo, il primo comprende la cultura, la ricerca scientifica e tecnica, tutto ciò che appartiene all’orizzonte dell’uomo. Il secondo sviluppo concerne quanto c’è di più profondo nell’essere umano allorché, trascendendo il mondo e se stesso, egli si volge verso Colui che è il Creatore di ogni cosa. Nella convergenza di questo duplice itinerario orizzontale e verticale, l’uomo può trovare il senso del suo essere e del suo agire, si realizza pienamente come essere spirituale e homo sapiens e così anche si interroga sulla possibilità e sulle condizioni di una “unità del sapere”.9 Un altro capitolo del percorso può essere dedicato al ripensamento della storia e del perfezionamento del metodo scientifico: nell’ambito della conoscenza umana, la scienza si occupa del reale nel suo aspetto di fenomeno, un insieme di dati sensibili riuniti in unità sintetica in virtù del riferimento a un noumeno come ideale regolatore. L’oggetto formale è dunque ciò che del reale è misurabile (il quantitativo), è l’ente sensibile come “materia intellegibile”; si occupa della molteplicità esteriore del reale, non del fatto, ma del meccanismo del fatto, mentre non si occupa delle finalità.10 L’osservazione guidata della scienza empirica è la sperimentazione, questa conduce all’induzione (dal particolare all’universale), ossia al confronto del nuovo dato con l’ipotesi di riferimento, con l’obiettivo di dare vita a una spiegazione d’insieme (la teoria scientifica), che riassuma l’insieme dei dati noti in modo da indirizzare la successiva osservazione (operazione detta deduzione: dall’universale al particolare). Il momento pratico è la tecnica, che applica al reale le teorie scientifiche. La scienza empirica dà così il via a diverse discipline sull’universo mondo (fisica, astronomia, chimica, biologia), sull’umano (medicina, neuro-biologia, scienze motorie…). Così è possibile precisare anche il metodo in filosofia e in teologia: l’oggetto formale della filosofia suppone la possibilità di osservare il reale a partire dall’ottica della ragione speculativa, ossia a partire dall’accoglimento di un reale intellegibile perché realtà stabile, la sua ricerca guidata è la fenomeno-

9

Cfr. G. TANZELLA-NITTI, Scienze naturali, utilizzo in teologia, in Dizionario interdisciplinare di scienza e fede, cit., II, pp. 1274-1277; P. POUPARD (a cura di), Il dialogo scienza e fede dopo Galileo, Piemme, Casale Monferrato (Al) 1996; L. GALLENI, Scienza e teologia. Proposte per una sintesi feconda, Queriniana, Brescia 1992; P. CODA, R. PRESILLA (a cura di), Interpretazioni del reale. Teologia, filosofia e scienze in dialogo, PUL-Mursia, Roma 2000. 10 Cfr. V. POSSENTI (a cura di), La questione della verità. Filosofia, scienze, teologia, Armando Editore, Roma 2003; G. TANZELLA-NITTI, Teologia e scienze. Le ragioni di un dialogo, Mursia, Roma 2000; D. MORETTI, Il metodo della scienza e la teologia, in «Rivista di Teologia dell’Evangelizzazione» 13 (2009), pp. 359-381.


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logia, mentre la spiegazione d’insieme forma il sistema filosofico e il suo momento pratico è l’etica filosofica. Così della teologia: il suo oggetto formale suppone la possibilità di osservare il reale dall’ottica della fede, dall’accoglienza della rivelazione del Dio di Gesù Cristo nello Spirito Santo. La sua indagine guidata è la teologia positiva, che ascolta e accerta i dati rivelati («auditus fidei»), mentre la spiegazione d’insieme è la teologia sistematica che organizza ed elabora i dati («intellectus fidei»), secondo un ordine o «hierarchia veritatum», mentre la sua dimensione pratica è la teologia morale. Una simile analisi permette di riconoscere non soltanto lo statuto epistemologico e la metodologia propria di ogni disciplina, ma anche di valutare la grande importanza della collaborazione e della complementarità delle molteplice forme del sapere umano.11 È infine possibile una ricognizione di alcuni modelli del rapporto fede-scienza: il conflitto, l’indipendenza, il dialogo, l’integrazione (J. Barbour);12 anche l’impostazione di alcuni teologi moderni ha messo in luce i dati dell’autonomia e della distinzione, la non separazione o estraneità, articolazione dei saperi e integrazione, non invasioni di campo (J. H. Newman, P. Teilhard de Chardin, P. Florenskij, K. Rahner).13 Il dialogo e l’integrazione sono possibili: ciascun sapere ha i suoi princípi, metodi e conclusioni; inoltre occorre ricordare che distinzione non vuol dire separazione o estraneità, i due settori non sono del tutto estranei l’un l’altro, ma hanno punti d’incontro.14 Le metodologie proprie di ciascuno permettono di mettere in evidenza aspetti diversi della realtà. Come ha scritto Max Planck (1858-1947, premio Nobel per la fisica nel 1918), lo scopritore della fisica quantistica, «fede e scienza hanno bisogno

11

Cfr. U. CASALE, Fede e scienza, comunicazione di saperi?, cit., 43-45; molto informato e utile R. TIMOSSI, L’illusione dell’ateismo. Perché la scienza non nega Dio San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2009. 12 G. BARBOUR, Religion and Science. Historical and contemporany issues, Scm Press. London 1998; ID., Religion in the Age of Science, Harper & Row, San Francisco 1990. 13 J. H. NEWMAN, Apologia pro vita sua, Jaca Book, Milano 1982; T. DE CHARDIN, Il fenomeno umano, Queriniana, Brescia 1995; J, POLKINGHORNE, Scienza e fede, R. Cortina, Milano 2000; K. RAHNER, Scienze naturali e fede razionale, in Nuovi Saggi IX, Paoline, Roma 1984, pp. 29-84; W. PANNENBERG, Epistemologia e teologia, Queriniana, Brescia 1999; P. FLORENSKIJ, Il simbolo e la forma. Scritti di filosofia della scienza, Bollati Boringhieri, Torino 2007. 14 «Il pensiero scientifico non è mai stato separato del tutto dal pensiero filosofico, le grandi rivoluzioni scientifiche sono sempre state determinate da cambiamenti filosofici, il pensiero scientifico – scienze fisiche – non si sviluppa in vacuo, ma si trova sempre all’interno di un quadro di idee, di principi fondamentali che abitualmente sono stati considerati appartenenti alla filosofia in senso proprio»: A. KOYRÉ, Dell’influenza delle concezioni filosofiche sull’evoluzione delle teorie scientifiche, in P. RENOLDI (a cura di), La verità degli eretici, il Saggiatore, Milano 1978, p. 105; D. ANTISERI, La conoscenza filosofica, in G. REALE, D. ANTISERI, Quale ragione?, R. Cortina, Milano 2001, pp. 107-152.


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l’una dell’altra per completarsi nella mente di ogni uomo che seriamente rifletta. Non è certo un caso che i massimi pensatori di tutti i tempi siano stati nature profondamente religiose».15 Ciò che occorre evitare sono le invasioni di campo, tipo quelle di certi fondamentalisti cristiani (soprattutto correnti protestanti americane) che pretendono di trarre da testi biblici delle teorie scientifiche, tipo quelle di certi fanatici scientisti che pretendono di fare della scienza una sorta di religione.16 Quando alcuni scienziati (R. Dawkins, S. Harris, P. Singer…), o taluni personaggi nostrani, ridotti a macchiette televisive (Hack, Odifreddi, Mainardi…) proclamano il loro ateismo, non dicono una dato scientifico inoppugnabile, bensì esprimono una loro discutibile opinione, spesso senza uno straccio di argomentazione. Costoro non sono divulgatori scientifici, ma propagandisti di un’ideologia ateistica e anti-cristiana (in realtà, idolatrica), propria delle potenze di questo mondo, delle lobbies economico-politiche, di cui i media sono la lingua biforcuta. L’invasione di campo di chi fa della scienza un’ideologia finisce col produrre distorsioni tanto del metodo scientifico, quanto della filosofia e della teologia. Non «la religione è una cattiva scienza» (come suppone R. Dawkins), semmai è lo scientismo una cattiva religione.17

2. Il pensiero di J. Ratzinger-Benedetto XVI Sul tema dei rapporti fede-scienza è più volte intervenuto il teologo Joseph Ratzinger, trattando la questione in varie pubblicazioni durante gli anni della docenza nelle Università tedesche; divenuto papa, egli ha continuato la linea di approfondimento già intrapresa da papa Wojtyla: «Non c’è alternativa – scrive Benedetto XVI – ragione e scienza, fede e teologia devono ritornare insieme, nell’autonomia, nella distinzione e nella complementarietà, cioè senza dissolversi l’una nell’altra. Non è in questione la tutela di qualche interesse, è in questione l’uomo, è in questione il mondo». Rinviando all’antologia segnalata più sopra, mi limito a riprendere alcuni spunti del pensiero ratzingheriano: il punto di partenza sta nell’osserva-

15

Cit. in G. R. TIMOSSI, L’illusione dell’ateismo, cit., pp. 159-160; cfr. M. PLANK, Religion und Naturwissenschaft, «Vorträge und Erinnerungen.», Hirzel Verlag, Stuttgart 1949. 16 Sbagliano sia gli atei scientisti che usano la scienza per confutare la fede nel Creatore, sbagliano i ‘creazionisti’ che pretendono di trasformare in teoria scientifica un dato biblico; cfr. K. GIBERSON, M. ARTIGAS, Profeti senza Dio, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2010; J. HAUGHT, Dio e il nuovo ateismo, Queriniana, Brescia 2009; G. LOHFINK, Dio non esiste!, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2010. 17 Ridurre la questione teologia a questione scientifica, o sostenere che la scienza è una religione sono operazioni non scientifiche, bensì idolatriche: «Chi vuole fare di Dio un oggetto e


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zione che la scienza naturale poggia su un presupposto filosofico, sul presupposto della strutturazione matematica e spirituale del mondo e, a partire da tale presupposto, sulla possibilità di decifrare l’enigma, e, nell’esperimento, di renderlo comprensibile e insieme utilizzabile. Il pensiero scientifico e l’applicazione tecnica sono basate sul presupposto che il mondo sia ordinato secondo leggi spirituali, abbia in sé spirito, che può essere imitato dal nostro spirito. Nel contempo la sua percezione è collegata all’esperienza e all’esperimento. All’interno del sapere scientifico questa limitazione è giusta e necessaria, se però questa viene dichiarata la forma unica e invalicabile del pensiero umano, il fondamento della stessa scienza diventa contraddittorio: essa infatti, nello stesso tempo, afferma e nega lo spirito. Per esemplificare Ratzinger riprende il tema scientifico dell’evoluzione: «si tratta di sapere se la dottrina evoluzionistica può presentarsi come una teoria universale di tutto il reale, al di là della quale ulteriori domande sull’origine non sono più lecite né necessarie, o se le domande ultime di tal genere superino il campo della ricerca scientifica naturale». Quest’ultimo problema non può essere risolto tramite argomenti scientifici, e anche la filosofia giunge qui al suo limite, «con la sua opzione a favore del primato della ragione il cristianesimo resta ancora oggi ‘razionalità’, l’orientarsi della religione verso una visione razionale del reale, l’éthos come parte di questa visione e la sua applicazione concreta sotto il primato dell’amore si legano l’un l’altro. Il primato del Lógos e il primato dell’Amore si rivelano identici. Il Lógos non appare solo

imporgli le nostre condizioni sperimentali di laboratorio non può trovare Dio, chi la pensa in questo modo fa di se stesso un dio e degrada così facendo non solo Dio, ma il mondo e se stesso»: J. RATZINGER, Gesù di Nazaret, Rizzoli, Milano 2007, vol. I, p. 60. Così se la scienza fa affermazioni su questioni e ambiti che esulano dal suo oggetto formale, non enuncia un dato scientificamente incontrovertibile, ma esprime un’opinione. R. Dawkins, parlando dell’uomo come prodotto geneticamente complesso, conclude che «Dio non esiste» e i credenti sono «scientificamente analfabeti»: non si tratta di affermazioni scientificamente provate, ma di una sua opinione, quella di chi pretende di surrogare la fede religiosa con la fede nella scienza (un’idolatria, che la sapienza biblica attribuisce «a chi è privo di intelligenza»: Is. 15,29). O, per fare un esempio più risibile: se un sedicente matematico dice che «tutti i credenti sono cretini», enuncia non un dato scientifico, bensì un’opinione: quella di un deficiente. Testi come R. Dawkins, L’illusione di Dio, Mondadori, Milano 2007; D. Mainardi, L’animale irrazionale, Mondadori, Milano 2002; P. Odifreddi, Il vangelo secondo la scienza, Einaudi, Torino 1999, più che libri di divulgazione scientifica sono pamphlets di propaganda del fondamentalismo scientista, ateistico e antireligioso, non fanno che ricalcare la grande legge dei “tre stadi” di A. Comte: questi superò a tal punto gli stadi teologico e metafisico, da fare di quello scientifico una nuova religione, proclamando se stesso gran sacerdote… Così lo scientismo e il positivismo hanno trovato «i loro fedeli e il loro culto, perché hanno un idolo – la scienza: cfr. H. DE LUBAC, Il dramma dell’umanesimo ateo, Morcelliana, Brescia 1996, p. 137.


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come ragione matematica alla base di tutte le cose, ma come amore creatore fino al punto di diventare com-passione verso la creatura».18 Se si tien conto di queste distinzioni si possono evitare distorsioni e confusioni,19 così fede ed evoluzione non sono due ottiche inconciliabili: la teologia della creazione parla del perché esiste qualcosa e non il nulla (piano ontologico), l’evoluzione affronta il perché ci sono queste specie e non altre (piano fenomenologico). Infatti la creazione afferma che l’essere nel suo complesso deriva da qualche punto, l’evoluzione invece descrive l’intima struttura dell’essere e vuole arrivare all’origine specifica di ogni realtà. L’affermazione di fede circa la creazione non riguarda tanto una lontana origine nel tempo dell’uomo, quanto piuttosto il fatto che egli sia in un particolare relazione con il Creatore (creatio continua), «il primo “Tu”, che una bocca umana pronunciò o balbettò a Dio, segna l’atto di nascita dello spirito nel mondo».20 Ratzinger considera i due approcci complementari e non escludenti. Complementari se ogni sapere sta nel suo ambito, nella sua epistemologia e metodologia, dialogando e integrandosi a vicenda.21 La fede e il suo sapere (teologia) affrontano domande di carattere spirituale e metafisico (che esulano dal campo della scienza), le affrontano non attraverso esperimenti (o con

18

J. RATZINGER, Fede, Verità. Tolleranza, Cantagalli, Siena 2003, pp. 189-191. Altrimenti si cade nella contraddizione di certi scientisti atei che si atteggiano a strenui difensori del relativismo, ma quando si tratta di propugnare l’evoluzionismo e l’ateismo si esprimono in termini assolutistici non dissimili da quelli dei fondamentalisti religiosi, così «l’invasione di campo di alcuni scienziati che fanno della scienza una dottrina filosofica o un’ideologia finisce col produrre delle distorsioni tanto del metodo scientifico, quanto della filosofia e della teologia». Mentre diversi filosofi e teologi nonché avveduti scienziati riconoscono che «è la visione dogmatica della conoscenza scientifica a essere profondamente sbagliata e contraria allo stesso metodo scientifico di una “scienza storica”, e questo errore di fondo risulta particolarmente presente nell’ateismo scientista»: R. G. TIMOSSI, L’illusione dell’ateismo, cit., pp. 298-299. 20 J. RATZINGER, La fede nella creazione e l’evoluzionismo, in H. J. SCHULZ (a cura di), Ma chi è questo Dio?, Paoline, Roma 1970, p. 272. «Affermare che il fondamento del cosmo e dei suoi sviluppi è la sapienza provvida del Creatore non è dire che la creazione ha a che fare con l’inizio della storia del mondo e della vita. Ciò implica piuttosto che il Creatore fonda questi sviluppi e li sostiene, li fissa e li mantiene costantemente»: BENEDETTO XVI, Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze (31 ottobre 2008), in M. SÁNCHEZ SORONDO, I Papi e la scienza nell’epoca contemporanea, cit., p. 485. 21 BENEDETTO XVI ritiene assurda la contrapposizione tra creazionismo ed evoluzionismo, perché «da una parte ci sono tante prove scientifiche a favore di un’evoluzione che appare come una realtà che dobbiamo vedere e che arricchisce la nostra conoscenza della vita e dell’essere come tale. Ma la dottrina dell’evoluzione non risponde a tutti i quesiti, soprattutto al grande quesito filosofico: da dove viene il tutto? E come il tutto prende un cammino che arriva finalmente all’uomo?»: Insegnamenti di Benedetto XVI, LEV, Città del Vaticano, vol. III (2007/1), p. 67. 19


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“il piccone del paleontologo”), ma attraverso la filosofia e la riflessione sulla Rivelazione: l’uomo, la persona o essere spirituale non è il prodotto del caso, ma «viene dalla libertà e dall’amore, da un atto libero e amoroso del Creatore».22 Avendo assunto il rapporto creazione-evoluzione come un capitolo importante del più generale tema fede-scienza, il papa-teologo prende sul serio la dottrina scientifica dell’evoluzione (in continuità con la riflessione di Giovanni Paolo II), vi è un’apertura di fondo verso l’ipotesi scientifica dell’evoluzione; d’altra parte vi è l’invito a superare la tentazione totalizzante di certe teorie scientifiche, a evitare l’assolutizzazione di ipotesi scientifiche, data la loro dipendenza da opzioni filosofiche e data ancora un’intrinseca debolezza. Per questo egli presta attenzione ai problemi metafisici e spirituali, per rispondere ai quali sono necessarie la filosofia e la teologia: la fede cristiana con la dottrina della creazione può dire “di più” rispetto all’evoluzionismo, la filosofia reclama qualcosa di ulteriore e la fede ci mostra il Lògos.23 Anche nelle tre encicliche scritte da Benedetto XVI si trovano spunti di riflessione sul nostro tema: nella prima – Deus caritas est – presenta con ammirevole acribia l’amore di Dio e l’amore umano, dove eros matura fino alla sua grandezza (agape), amori che si incrociano nel Crocifisso-Risorto, che pertanto rivela il volto di Dio-Agape (la comunione d’amore nel mistero trinitario), e il volto dell’uomo redento e compiuto nell’amore. Nella seconda parte, dove viene delineato il servizio della carità da parte della Chiesa, egli torna a richiamare l’importanza del rapporto fede-ragione: «Partendo dalla prospettiva di Dio, la fede libera la ragione dai suoi accecamenti e l’aiuta a essere meglio se stessa. La fede permette alla ragione di svolgere in modo migliore il suo compito e di vedere meglio ciò che le è proprio».24 La profonda riflessione sulla speranza – Spe salvi – contiene l’invito a un ripensamento, a una sorta di autocritica dell’età moderna e dello stesso cristianesimo: che cosa significa veramente ‘progresso’? La risposta è data dalla

22

J. RATZINGER, In principio Dio creò il cielo e la terra. Riflessioni sulla creazione e il peccato. Lindau, Torino 2006; ID., Introduzione al Cristianesimo, Queriniana, Brescia 200312, pp. 37-41. «Non siamo un prodotto casuale e senza senso dell’evoluzione. Ciascuno di noi è il frutto di un pensiero di Dio, ciascuno di noi è voluto, ciascuno è amato, ciascuno è necessario»: BENEDETTO XVI, Insegnamenti di Benedetto XVI, LEV, Città del Vaticano 2005, vol. I, p. 25. 23 J. RATZINGER, Fede nella creazione e teoria evoluzionistica, in Dogma e predicazione, Queriniana, Brescia 2005, pp. 135-136; cfr. V. AUCANTE, Création et évolution. La pensée de Benoit XVI, in «Nouvelle Revue Théologique» 130 (2008), pp. 610-618; A. PIOLA, Non litigare con Darwin. Chiesa ed evoluzionismo, Paoline, Milano 2009. 24 BENEDETTO XVI, Deus caritas est (25 dicembre 2005), LEV, Città del Vaticano 2006, n. 28; cfr. U. CASALE, “Dio è Amore”. Per un’intelligenza dell’enciclica di Benedetto XVI, in «Archivio Teologico Torinese» 13 (2007/1), pp. 48-70; 13 (2007/2), pp. 327-339.


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stessa parabola della modernità: una speranza umana e immanentistica non ha prodotto maggior libertà, uguaglianza, fraternità, è sfociata nell’inferno dei totalitarismi, dei genocidi, delle solitudini. Così anche la scienza e la tecnica si sono rivelate fallaci nelle loro pretese assolute e ambigue. «Senza dubbio esso [progresso] offre nuove possibilità per il bene, ma apre anche possibilità di male, possibilità che prima non esistevano. Se al progresso tecnico non corrisponde un progresso nella formazione etica dell’uomo, nella crescita dell’uomo interiore, allora esso non è un progresso, ma una minaccia per l’uomo e per il mondo».25 Ma la speranza cristiana escatologica distrae dalla storia o trasforma la storia? Sono necessari, spiega l’enciclica, sia il progresso materiale sia il progresso spirituale e morale: la scienza può contribuire molto all’umanizzazione del mondo, ma «la sola scienza non redime l’uomo. L’uomo viene redento mediante l’amore». Precisamente mediante l’amore incondizionato di Dio, detto e dato in Gesù: «Gesù Cristo ci ha redenti», sicché «la vera grande speranza dell’uomo, che resiste nonostante tutte le delusioni, può essere solo in Dio».26 Nell’enciclica sociale Caritas in veritate, papa Ratzinger, richiamandosi all’enciclica di Paolo VI, Populorum Progressio (26 marzo 1967), afferma che, per essere autentico, «il progresso deve essere integrale, l’autentico sviluppo dell’uomo riguarda unitariamente la totalità della persona in ogni dimensione» e, a motivo della complessità dello sviluppo integrale, occorre impegnarsi «per far interagire i diversi livelli del sapere umano in vista della promozione di un vero sviluppo dei popoli».27 Questa interdisciplinarità va ordinata secondo la carità, la quale non esclude il sapere, anzi lo richiede, lo promuove e lo anima dall’interno: così le valutazioni morali e la ricerca scientifica crescono insieme e la carità deve animarle in un tutto armonico interdisciplinare, fatto di unità e di distinzione.28 In conclusione: tutto l’impegno personale, teologico e pastorale di papa Benedetto è volto a condurre gli uomini e le donne a Gesù Cristo, in Lui sono contenuti «omnes thesauri sapientiae et scientiae» (Col. 2, 3), così i cristiani possono coniugare tra loro la teologia, la filosofia e le scienze – sia naturali, sia

25

BENEDETTO XVI, Spe salvi (30 novembre 2007), LEV, Città del Vaticano 2007, n. 22. BENEDETTO XVI, Spe salvi, cit., nn. 23. 25. 27; cfr. U. CASALE, “Spe salvi”. Intelligenza della II enciclica di Benedetto XVI, in «Archivio Teologico Torinese» 15 (2009/1), pp. 29-52. 27 BENEDETTO XVI, Caritas in veritate (29 giugno 2009), LEV, Città del Vaticano 2009, nn. 11. 3-25. 58. 28 Così scriveva Giovanni Paolo II: «Il rapporto tra religione e scienza va verso un nuovo e più variato interscambio, abbiamo cominciato a cercare insieme una comprensione più profonda delle rispettive discipline, nel fare questo abbiamo scoperto importanti domande che ci riguardano ambedue, e che sono di importanza vitale per la più ampia comunità umana della quale siamo entrambi al servizio»: Lettera a p. George V. Coyne, Direttore della Specola Vaticana (1 giugno 1988), in M. SÁNCHEZ SORONDO, I Papi e la scienza nell’epoca contemporanea, cit., p. 282. 26


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storiche – nel pieno rispetto dei loro metodi propri e della loro reciproca autonomia, così da mettere in luce la forza liberatrice del cristianesimo, il legame che unisce fede cristiana e libertà, una libertà intrinsecamente connessa all’amore-verità, che, appunto, ci fa liberi (cfr. Gv. 8, 32). In tal modo emerge altresì l’alto profilo esistenziale della fede cristiana, una fede teologale che è inseparabilmente pensiero e anima, corpo e affetti, libera risposta alla logica suprema dell’agape di Dio, fondamento delle relazioni umane del tempo vissuto affacciato all’eternità. L’idea cristiana della fede, generatrice dell’uomo nuovo, è compresa nei suoi rapporti con il lógos, il nómos, il páthos e l’éthos, le coordinate dell’antropologia compiuta.29 La giustizia della fede – per usare termini evangelici – possiede questa dinamica: la fede che salva (che perdona, trasforma, rende sapienti) diviene fede testimoniale: tutte le suddette coordinate sono coinvolte nell’esercizio della fede e nella comunicazione della fede. È, in sintesi, il tentativo – per molti versi riuscito – di mettere a tema la razionalità e l’umanità intrinseca della fede cristiana e di mostrare che nell’autocomunicazione della verità di Dio l’uomo accede alla sua propria verità.

29

Cfr. U. CASALE, Introduzione, in J. RATZINGER-BENEDETTO XVI, Fede, ragione, verità e amore. La teologia di Joseph Ratzinger, Lindau, Torino 2008, pp. 51ss.


Rivista Lasalliana 79 (2012) 1, 59-64

SULL’IDEA DI UNIVERSITÀ. PER UNA CULTURA DELLA QUALITÀ + ENRICO DAL COVOLO Rettore Magnifico della Pontificia Università Laterenense

1. L’idea di università l titolo del presente contributo – l’idea di università – riprende intenzionalmente quello del celebre volume di John Henry Newman, The Idea of a University.1 Non è il caso di addentrarci qui nelle laboriose e complesse vicende redazionali, che hanno segnato la stesura di quest’opera. Newman cominciò a scriverla già nel novembre del 1851 – era stato appena incaricato di presiedere alla fondazione dell’Università Cattolica di Dublino, dove poi fu Rettore dal 1854 al 1858 –, ma la pubblicò soltanto nel 1889, un anno prima di morire. Nel bel mezzo di questi quarant’anni di gestazione, si colloca la violenta e provocatoria denuncia di Friedrich Nietzsche. Scrivendo il 15 dicembre 1870 all’amico Erwin Rohde – il celebre filologo classico, che proprio in quell’anno aveva conseguito l’abilitazione presso l’Università di Kiel –, Nietzsche affermava: “L’università è un ostacolo a chi voglia dedicarsi totalmente alla ricerca della verità”. A questo riguardo il cardinale Angelo Scola, introducendo l’VIII Simposio Internazionale dei Docenti Universitari (Laterano, 23 giugno 2011), commentava: “Non mi pare il caso di soffermarmi su un giudizio così severo e discutibile. Ad ogni modo la questione ‘università’ rappresenta un problema, che sicuramente continuerà a darci del filo da torcere nei prossimi decenni”. Di fatto, proseguiva il cardinale, “l’interrogativo circa l’università

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Da qualche anno il volume è disponibile anche in lingua italiana, grazie alle cure di Angelo Bottone e di Vincenzo Cappelletti (L’idea di università, Edizioni Studium, Roma 2005, 242 pp.).


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– quale università? – costituisce un riverbero emblematico della domanda delle domande: quale uomo? La ragion d’essere dell’università e la modalità con cui viene proposta”, concludeva Scola, “concorrono a delineare la fisionomia dell’uomo, quale protagonista della nostra società”. Ma torniamo all’idea di università di Newman. A dire il vero, essa non appare del tutto coerente: al contrario, contiene una smaccata contraddizione fra la teoria e la prassi. Eppure, proprio questa incoerenza pare sommamente istruttiva e attuale, quando si considera il vivace dibattito che ne è seguito, e che tuttora continua. Semplificando al massimo il discorso, e co-stringendolo un poco alle argomentazioni che svolgeremo, potremmo dire così: da una parte Newman considera l’università come il luogo per l’insegnamento del sapere universale; dall’altra parte, però, egli è ben consapevole che nessuna università è stata (e che nessuna università sarà mai) il luogo del sapere universale, perché qualche branca disciplinare rimarrà pur sempre trascurata, anche nelle università fornite del più grande numero di facoltà. Ma ecco il correttivo che Newman introduce, affinché la sua idea di università non resti una pura – per quanto affascinante – utopia: la filosofia e la teologia vengono assunte a garanti della correlazione e della sintesi tra le varie discipline, e così il sapere – filosoficamente e teologicamente fondato – fa comunque dell’università il luogo del sapere universale. Molti oggi hanno rinunciato di fatto a una simile idea di università. Addirittura, c’è chi vorrebbe cambiare il nome di università, per ricorrere piuttosto al neologismo di multiversità. In effetti, la frammentazione e la demarcazione dei saperi sembra procedere in maniera implacabile. Il concetto di “scienza” o di “disciplina” passa sempre di più attraverso la delimitazione precisa (“a francobollo”) dei contenuti e del metodo relativo. E nel proprio ambito, ciascuna disciplina rivendica la propria autorità e la propria verità. Così l’interdisciplinarità, quando si realizza, appare più formale che reale, al punto che – ormai – si parla più volentieri di interculturalità (qualunque cosa essa voglia dire) che di interdisciplinarità. Le derive del relativismo sono evidenti, e non c’è bisogno di sottolinearle. Entra qui la sfida di Newman circa l’idea di università come luogo del sapere universale, in quanto filosoficamente e teologicamente fondato. Di recente – il 30 giugno scorso, durante la consegna dei riconoscimenti ai tre vincitori della prima edizione del “Premio Ratzinger” –, Benedetto XVI ha pronunciato un Discorso, che illumina di concretezza questa idea di università. Il Papa si è chiesto anzitutto che cosa sia davvero la teologia, perché, diceva, “se la teologia è scienza della fede…, sorge subito la domanda: è davvero


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possibile questo? O non è in sé una contraddizione? Scienza non è forse il contrario di fede? Non cessa la fede di essere fede, quando diventa scienza? E non cessa la scienza di essere scienza, quando è ordinata o subordinata alla fede?”. Si tratta in verità di una vexata quaestio, peraltro sempre attuale. “Tali questioni” – riconosce infatti Benedetto XVI –, “che già per la teologia medievale rappresentavano un serio problema, con il moderno concetto di scienza”, precisamente quello a cui abbiamo rapidamente alluso, “sono diventate ancora più impellenti, a prima vista addirittura senza soluzione”. Al di là delle argomentazioni successive – che il Papa sviluppa da pari suo – a noi qui interessa soprattutto la conclusione del discorso, là dove si legge: “Sono ben consapevole che con tutto ciò non è stata data una risposta circa la possibilità e il compito della retta teologia, ma è soltanto stata messa in luce la grandezza della sfida insita nella natura della teologia”. Da parte mia – se mi è permesso – vorrei parafrasare, e riconoscere onestamente che neanche questa mia nota giunge a dire qualche cosa di nuovo sul concetto di scienza, e neppure sul concetto di universitas scientiarum. Ma l’ultima osservazione del Papa è illuminante, quando egli aggiunge: “Tuttavia è proprio di questa sfida” – cioè della sfida insita nella natura della teologia, intimamente connessa con la filosofia –, “che l’uomo ha bisogno, perché essa ci spinge ad aprire la nostra ragione interrogandoci circa la verità stessa, circa il volto di Dio”. In effetti, dalle sue peculiari (e per certi aspetti paradossali) caratteristiche epistemologiche, la teologia ricava la propria forza di provocazione e di sfida nei confronti delle altre scienze – oggi sempre più specializzate nel metodo e nei contenuti, quanto più frammentate nell’universo del sapere –. Il fatto preciso che la teologia non procede iuxta principia propria, ma dalla Parola rivelata, la spinge – con motivazioni e risorse che non appartengono alle altre scienze – verso quella mèta ultima e complessiva di verità, a cui essa anela. Certo, a questa stessa mèta con-corrono in vario modo tutte le scienze dell’universitas, nella misura in cui esse sono – come devono essere – ministrae veritatis. Ma la teologia – se è vera teologia, cioè fedele alla sua epistemologia autentica – possiede un’istanza veritativa ulteriore, “trasversale” alle altre scienze, e ultimativa nel suo traguardo proprio. Ecco perché l’offerta formativa dell’università – che pure rimane fasciata anch’essa dalla “crisi globale” e dall’emergenza educativa del momento presente – dovrà perseguire, come mèta ultima, la sintesi filosofico-teologica, nel dialogo inesausto tra fede e ragione, tra “la scienza di Dio” e “le scienze dell’uomo”. Solo così l’università potrà dirsi degna del suo nome, ed essere luogo del sapere universale. Per riassumere e concludere, cito – senza commentarlo, perché non ce n’è proprio bisogno – un passo del più recente Discorso del Papa sull’università:


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Benedetto XVI lo ha pronunciato nella basilica del monastero di San Lorenzo, a El Escorial di Madrid, durante la XXVI Giornata Mondiale della Gioventù (16-21 agosto 2011). In tale occasione il Papa ha detto fra l’altro: “L’idea genuina di università è precisamente quello che ci preserva da una visione riduzionista e distorta dell’umano. In realtà, l’università è stata ed è tuttora chiamata ad essere sempre la casa dove si cerca la verità propria della persona umana… L’università incarna un ideale che non deve snaturarsi, né a causa di ideologie chiuse al dialogo razionale, né per servilismi ad una logica utilitaristica di semplice mercato”. E rivolgendosi direttamente ai docenti, Benedetto XVI ha aggiunto: “I giovani hanno bisogno di autentici maestri; persone aperte alla verità nei differenti rami del sapere, sapendo ascoltare e vivendo al proprio interno tale dialogo interdisciplinare; persone convinte, soprattutto, della capacità umana di avanzare nel cammino della verità… Questa alta aspirazione è la più preziosa che potete trasmettere in modo personale e vitale ai vostri studenti, e non semplicemente alcune tecniche strumentali ed anonime, o alcuni freddi dati”. “Se verità e bene sono uniti”, ha concluso il Papa, “così lo sono anche conoscenza e amore. Da questa unità deriva la coerenza di vita e di pensiero, l’esemplarità che si esige da ogni buon educatore”.

2. La cultura della qualità Questo sottotitolo è ricavato invece da un libro molto più recente. Esso si intitola proprio così: La cultura della qualità.2 Che cosa significa cultura della qualità? E soprattutto, che cosa intendiamo qui per promozione della qualità? “Promuovere la qualità di una Università/Facoltà” – risponde il nostro volume – “significa evidenziare il valore delle attività svolte da tale istituzione, consolidarne gli aspetti positivi e, laddove necessario, migliorare quelli carenti. A tale scopo risulta appropriata l’azione valutativa. Occorre, perciò, in primo luogo identificare i criteri che, sulla base della sua missione, ne definiscono la qualità [si continua a parlare, come è evidente, di una Università/Facoltà]. In secondo luogo, è necessario raccogliere informazioni pertinenti, valide e affidabili circa lo svolgersi dell’attività istituzionale secondo i criteri precedentemente identificati. Infine, va espresso un giudizio di merito, a partire dai suddetti criteri, circa la qualità dell’attività svolta, tenendo conto delle informazioni raccolte” (CQ, p. 27).

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Guida per le Facoltà Ecclesiastiche, ed è curato dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica (Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2011, 234 pp.). D’ora in poi: CQ.


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Anche qui, cerco di co-stringere al massimo i contenuti del volume, ai fini delle nostre argomentazioni. Per realizzare concretamente quell’idea di università, che abbiamo cercato di delineare fin qui, è indispensabile che la cultura della qualità divenga lo stile della vita accademica ordinaria. Ciò significa che le iniziative messe in atto per la promozione della qualità – pur con i loro eventuali limiti – non dovranno mai essere viste come un atto burocratico, fiscale, che bisogna pur adempiere (con un fastidio più o meno celato); e prima si finiscono, meglio è: via il dente, via il dolore! Significa piuttosto essere intimamente persuasi che le varie iniziative di valutazione e di promozione della qualità non puntano tanto a premiare o a punire un’istituzione accademica, un corso, un professore, un’attività… Si propongono invece di migliorare la possibilità di raggiungere i fini, per cui l’istituzione, il corso, il professore… agiscono. “Si tratta di offrire un sostegno alla realizzazione del processo formativo nel suo insieme e alla ricerca, e non di attuare una sorta di controllo fiscale o sanzionatorio” (CQ, p. 4). Da questo punto di vista, la valutazione e la promozione della qualità, con le iniziative connesse, devono rappresentare una sollecitudine permanente delle nostre università. Ritengo che il volume preparato dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica (al di là di ogni appartenenza confessionale) possa costituire un punto sicuro di riferimento. Rappresenta anche un’ottima Guida per l’autovalutazione: in verità, dobbiamo persuaderci che il protagonista più efficace della cultura della qualità è ciascuno di noi, ogni persona che partecipa alla vita dell’università.

3. Conclusione Edgar Morin, in un testo assai diffuso, ha delineato con chiarezza l’obiettivo formativo, a cui l’università deve puntare. Si tratta in effetti di un’osservazione di sintesi, con la quale possiamo concludere le nostre riflessioni: “L’obiettivo della formazione”, scrive questo filosofo francese, ancora vivente, salutato dai media, in maniera un po’ enfatica, come il padre del pensiero della complessità, nel tempo della globalizzazione; ebbene, secondo Morin, “l’obiettivo della formazione non è dare all’allievo una quantità sempre maggiore di conoscenze, ma è costituire in lui uno stato interiore profondo, una sorta di polarità dell’anima che lo orienti in senso definitivo, per tutta la vita. Ciò significa che imparare a vivere richiede non solo conoscenze, ma la trasformazione, nel proprio essere mentale, della conoscenza acquisita in sapienza, e l’incorporazione di questa sapienza nella propria vita”.3 3

E. Morin, La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, Raffaello Cortina Editore, Milano 2000, p. 45.



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IN CHE COSA CONSISTE L’INTERDISCIPLINARITÀ DARIO ANTISERI Professore di Medodologia delle Scienze Sociali

1. Problemi, teorie, discipline, specializzazioni esigenza della interdisciplinarità è un problema che presuppone lo sfaldarsi (in epoca moderna) del sapere in discipline e (in epoca contemporanea) delle discipline nelle diverse specializzazioni. E c’è subito da dire che lavoro interdisciplinare non significa affatto parlare un po’ di tutto; né l’interdisciplinarità consiste, come spesso si dice, e come talvolta si fa, nel prendere in considerazione un periodo, un autore o una istituzione per parlarne da più punti di vista. Il lavoro interdisciplinare non equivale al dilettantismo, né consiste nel pluriprospettivismo. La ricerca interdisciplinare, piuttosto, presuppone le discipline e si mette in atto ogni qualvolta si aggredisce un problema la cui soluzione comporti, di volta in volta, l’utilizzazione di sapere teorico e tecnico proveniente (quando è disponibile) dalle più varie discipline e dalle diverse specializzazioni. E questo implica che esplorare un angolo della ricerca (cioè interessarsi ad un ambito di problemi, conoscere un gruppo articolato di teorie, padroneggiare un certo numero di tecniche), cioè «specializzarsi», non significa affatto «chiudersi» sempre di più. La specializzazione è oggi necessaria, ma è proprio dall’interno di essa che risorge, di necessità, il contatto con altri angoli della provincia logica del mondo 3: quando dentro ad una disciplina specialistica scoppia un problema, questo è sì un problema tipico di quella disciplina, la cui soluzione richiede, in linea generale, l’essenziale aiuto di teorie e tecniche estraibili da altre discipline. Tutte queste osservazioni ci portano ai seguenti interrogativi: ma esistono le discipline?; esistono netti confini fra queste discipline?; come sono individuabili le discipline, cioè attraverso quali criteri lo sono, se lo sono? Ebbene, a siffatti interrogativi, Popper risponde in questo modo: «La credenza che ci siano cose come la fisica, la biologia o l’archeologia e che questi “campi di studio” siano distinguibili dall’oggetto delle loro indagini, mi sembra un residuo del tempo in cui si credeva che una teoria dovesse procedere da una definizio-

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ne del suo peculiare oggetto. Ma tale oggetto, o specie di cose, non costituisce, a mio avviso, una base per distinguere le discipline. Le discipline sono distinte, in parte, per ragioni storiche, per motivi di convenienza nell’amministrazione (si pensi all’organizzazione dell’insegnamento e degli impieghi) e, in parte, perché le teorie che si costruiscono per risolvere i nostri problemi tendono ad accrescersi all’interno di sistemi unificati. Tuttavia, tutta questa classificazione, e le relative distinzioni, costituiscono una questione relativamente priva di importanza e superficiale. Noi non siamo studiosi di certe materie, bensì di problemi. E i problemi possono passare attraverso i confini di qualsiasi materia o disciplina».1 Il ricercatore tende alla soluzione di problemi, è nei problemi che egli inciampa. E per risolvere i problemi si cercano mezzi, teorici e tecnici, da ovunque, da «qualsiasi disciplina», a patto che servano a risolvere i problemi. E Popper illustra questo fatto con un esempio. Basta ricordare, egli dice, che «un problema, proprio del geologo, come quello di stimare le probabilità di scoprire giacimenti di petrolio o di uranio in una certa regione, deve essere risolto con l’aiuto di teorie e di tecniche normalmente ritenute proprie della matematica, della fisica e della chimica. Meno ovvio, comunque, è il fatto che anche una scienza più “fondamentale”, come la fisica, possa aver bisogno di utilizzare una ricerca geologica, e delle teorie e tecniche geologiche, per risolvere un problema inerente ad una delle sue più astratte e fondamentali teorie: per esempio il problema costituito dal controllo di previsioni concernenti la stabilità o instabilità relative degli atomi di numero atomico pari o dispari».2 «Sono pronto a riconoscere – prosegue Popper – che numerosi problemi, anche se la loro soluzione coinvolge le più diverse discipline, appartengono nondimeno, in qualche senso, all’una o all’altra disciplina tradizionale: i due problemi appena menzionati, chiaramente appartengono alla geologia e alla fisica, rispettivamente. E questo perché ciascuno di essi sorge da una discussione caratteristica della tradizione della disciplina in questione. Un problema sorge dalla discussione di una qualche teoria, o dai controlli empirici che la sostengono; e le teorie, contrariamente agli oggetti di studio, possono costituire una disciplina (che potrebbe definirsi un gruppo non ben connesso di teorie, sottoposte a sfide, mutamenti e accrescimenti). Ma quanto precede non cambia il fatto che, a mio avviso, la classificazione in discipline è relativamente priva di importanza, e che noi non ci applichiamo allo studio di discipline, bensì di problemi». La distin-

1 K.R. POPPER, La natura dei problemi filosofici e le loro radici nella scienza, in Congetture e confutazioni, trad. it., il Mulino, Bologna, 1972, p. 118. 2 Op. cit., pp. 118-119.


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zione delle discipline, dirà Quine, è un problema che interessa presidi e bibliotecari. È un problema estraneo alla ricerca.

2. Che cosa non è e in che cosa, invece, consiste il lavoro interdisciplinare Innanzi tutto, ad evitare pseudo-problemi, sarà bene, dunque, ripetere e insistere sul fatto che l’interdisciplinarità non consiste nel parlare di tutto o un po’ di tutto. L’onniscente è un dilettante. E, d’altro canto, l’interdisciplinarità, cosa già detta, non consiste nemmeno, come tanto spesso si dice, nel prendere un periodo (es. il Seicento), un autore (es. Galileo), un evento (es. la rivoluzione francese), o una istituzione (es. la famiglia, o il Parlamento) per parlarne da più punti di vista. E quantunque qui la faccenda sia più seria che nel caso dei tuttologi, c’è da ribadire che questo tipo di lavoro pluri-prospettivistico non è ancora ricerca interdisciplinare. Come per Popper, anche per Giorgio Pasquali quel che conta sono i problemi, e questi «si aggrediscono – diceva appunto Pasquali – con tutti i mezzi possibili: senza badare ad etichette». D’altra parte è proprio in funzione della soluzione dei problemi che si inventano e provano le teorie. E le teorie possono costituire una disciplina, definibile quest’ultima (seguendo Popper) come un gruppo non ben connesso di teorie, sottoposte a sfide, mutamenti e accrescimenti. In altri termini: possiamo definire una disciplina come un insieme aperto (storicamente e teoricamente) di teorie e di tecniche messe in atto per risolvere famiglie più o meno connesse di problemi. È in questo senso che parliamo di ottica, di elettrologia, di virologia, di esegesi biblica, di archeologia, di storia della filosofia antica, di chirurgia plastica, di psicologia dell’età evolutiva, di sociologia del lavoro, ecc. La ricerca inizia sempre dai problemi. E questi sono aspettazioni deluse, scontri tra pezzi della nostra «memoria» culturale e pezzi di realtà. Questo è vero. Ma è anche vero che esistono le discipline, intese appunto come grappoli di teorie e tecniche di prova indirizzate alla soluzione di famiglie di problemi. E le discipline si configurano storicamente come tali (e come tali mutano, vengono inglobate una in un’altra, si moltiplicano) e per ragioni teoriche, ma anche per ragioni amministrative e didattiche. E col crescere del sapere, i vincoli, più o meno rigidi che si stabiliscono tra una disciplina e un’altra, sono tra i più impensabili. Quale archeologo, per esempio, poteva mai immaginare, solo pochi decenni fa, che si sarebbero usati, e con grande utilità, strumenti allora inconcepibili, come i magnetometri a protoni, per individuare siti da scavare? In realtà, ed è questo il punto che dobbiamo sempre di nuovo sottolineare, conoscere un gruppo articolato di teorie, padroneggiare un certo numero di tecniche, cioè specializzarsi, non vuol dire affatto chiudersi sempre di più. Tutt’altro. La specializzazione è oggi necessaria, ma è proprio la specializzazione a riproporre di continuo nuove relazioni tra gli angoli della provincia del


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sapere: più si esplora un angolo di questa provincia (e più altri esplorano altri angoli), e più si scorgono o si costruiscono nessi e relazioni che li attraversano e li collegano, mentre altre precedenti relazioni, magari strette, tra ambiti di sapere cadono o vengono messe da parte. La ricerca, dunque, prende sempre l’avvio da un problema. E siccome un problema scoppia sempre all’interno di una teoria, e dato che una teoria vive all’interno di un insieme di teorie costituenti storicamente una disciplina, un problema, in genere, è tipico di una disciplina, anche se avrà significato per altre discipline ed anche se, per risolverlo, necessiteranno di volta in volta pezzi teorici e tecnici provenienti da altre discipline. Così, per esempio, il problema dell’origine delle specie è un problema tipicamente biologico, anche se ha «significato» filosofico e religioso, e anche se per risolverlo occorrono mezzi fisici, chimici e geologici. Il problema della costituzione della materia è un problema tipicamente fisico, anche se per lo meno ha «significato» filosofico e anche se per risolverlo necessiteranno per lo meno mezzi matematici molto potenti. Anche il problema del codice genetico è un problema certamente tipico della biologia, anche se il suo «significato» trascende la biologia, e anche se, per risolverlo, sono necessari mezzi chimici e matematici. Quindi: l’interdisciplinarità è il lavoro che si compie, per risolvere problemi tipici di una disciplina, con i mezzi necessari allo scopo e disponibili da ogni altra disciplina e specializzazione. Ma ciò, come si comprenderà, non significa né parlare un po’ di tutto e né significa parlare di un oggetto da diversi punti di vista. Significa, invece, che allorché si lotta per la soluzione di un problema, all’interno di questo lavoro scoppiano ulteriori sotto-problemi che necessitano di altre competenze. Si deve costruire un ospedale pediatrico: c’è l’architetto che inventa il progetto. Ma i calcoli per la costruzione li risolve il matematico, che interviene con la sua competenza di matematico a risolvere i problemi di calcolo posti dal progetto. E con le loro specifiche competenze interverranno lo psicologo, l’urbanista, l’economista, ma costoro interverranno non per proporre un altro progetto, quanto piuttosto per risolvere i problemi che, nati dal progetto, necessitano della loro competenza. Il lavoro inter-disciplinare è come il lavoro di un’orchestra: si risolve un unico problema, avendo competenze diverse e suonando spartiti differenti. L’inter-disciplinarità presuppone la multi-disciplinarità. Può entrare in un lavoro inter-disciplinare solo chi possiede almeno una disciplina. Non entra in un’orchestra chi non suona strumento alcuno. Dunque: 1) l’interdisciplinarità non consiste nel parlare dilettantescamente di tutto o un po’ di tutto: questo lo fanno i «tuttologi»; 2) l’interdisciplinarità non consiste nemmeno nel parlare di un autore, di un evento o di una istituzione da diversi punti di vista: l’interdisciplinarità non è, insomma, un lavoro pluriprospettivistico e la ricerca interdisciplinare non è né riducibile né paragonabile ad un album fotografico; 3) noi non siamo studiosi di discipline, ma di problemi.


In che cosa consiste l’interdisciplinarità

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E tuttavia va fatto presente che: 4) le discipline esistono, che si evolvono storicamente (inglobandosi una in un’altra o, per esempio, moltiplicandosi), e che si configurano come grappoli (teoricamente e storicamente aperti) di teorie e di tecniche di prova messe in atto per risolvere nuclei più o meno connessi di problemi. Il nocciolo di tutto il discorso è che: 5) siccome un problema è spesso un urto tra una teoria e un pezzo di realtà che «disubbidisce alla teoria» o non si inquadra nella teoria, e siccome una teoria fa sempre parte, storicamente, di una disciplina, allora è certo che un problema è sempre tipico di una disciplina, anche se potrà aver «significato» per altre teorie e discipline, e anche se per risolverlo necessiteranno mezzi teorici e tecnici provenienti da altre discipline (che di volta in volta, quindi, si trasformeranno in discipline ausiliarie). Da tutto ciò segue che: 6) l’interdisciplinarità presuppone la multi-disciplinarità; 7) ed esige perentoriamente che, allorché si è alle prese con un problema, la cui soluzione genera batterie di sottoproblemi (e questa è la generalità dei casi) per i quali non si hanno le necessarie «competenze», allora: o queste competenze si acquistano (e questo, per i motivi più vari, non è sempre possibile) o si lavora in équipe. E si può di certo affermare che: 8) solo chi non ha avuto mai a che fare con un problema non sa cosa voglia dire interdisciplinarità.

3. Interdisciplinarità nella didattica E a questo punto non è male se si insiste un po’ sulla pratica, attraverso una serie di esempi. E cominciamo con un tipico «problema» di filosofia. Il professore di filosofia sta discutendo in classe il Manifesto del Partito Comunista di Marx ed Engels. Pare ovvio pensare che l’interpretazione di questo testo sia un compito tipico del professore di filosofia. Ma, d’altra parte, è chiaro che i mezzi per risolvere questo tipico problema dell’insegnamento della filosofia provengono da campi differenti. Nel Manifesto leggiamo: «Tutta la storia finora esistita è storia di lotta di classe». Già, ma cosa vuol dire «classe» per Marx? Questo concetto ha un significato univoco negli scritti di Marx, o no? Se non c’è classe senza la «coscienza di classe», e se la «coscienza di classe» nasce con la società industriale, come possono Marx ed Engels asserire che tutta la storia è storia di lotta di classe? O le cose non stanno così? Per rispondere c’è bisogno di una specifica competenza, vale a dire di un approfondito lavoro filologico. Ma le cose non si fermano qui, giacché Marx ed Engels pensano che la loro affermazione sia scientifica. Ma lo è veramente? Qui la questione è epistemologica. Ma non basta, poiché quando Marx ed Engels parlano di scienza, ne parlano come figli del loro tempo; e allora occorrono competenze di storia delle idee e di storia della scienza. In breve, per risolvere seriamente quello che è un tipico problema di filosofia, un problema dell’insegnante di filosofia, necessitano competenze provenienti dalla filologia, dall’epistemologia e dalla storia della scienza.


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Nell’ora di religione vien fuori questo problema: ma cosa vuol dire che una religione è vera, se tutte le religioni si presentano ognuna come la vera religione? Che cos’è la verità?, chiese Pilato lavandosi le mani. E se noi non vogliamo comportarci come Pilato, dovremo allora affrontare tutta una serie di sotto-problemi, che richiedono competenze differenti, dando quindi luogo ad un lavoro interdisciplinare. Che cosa vuol dire che una teoria chimica o fisica è vera? E quand’è, invece, che possiamo dire che un asserto matematico è vero? Possiamo parlare di un’etica «vera», o questo è impossibile? Cosa vuol dire, dunque, che una fede religiosa è vera? Si parte da questo problema, ma si vede subito che la questione originaria si polverizza in una cascata di ulteriori problemi che richiedono, per essere risolti, sapere proveniente da altre discipline. Se nel campo della storia dell’arte si dovrà parlare di un tipo di musica, del passaggio da un tipo di musica ad un altro, del successo di un musicista, non bastano conoscenze provenienti, per esempio, dalla teoria dell’armonia. Occorrono conoscenze anche di natura sociopolitica. C’è la sociologia della musica. Quale ceto consumò questa musica? Chi frequentava i teatri? A chi «parlava» questa musica? Ed è certo che queste non sono cose campate per aria: chi andava all’assalto della Bastiglia non poteva cantare un minuetto. Stabilire una diagnosi è un tipico problema di clinica medica. Ma un medico, per controllare la validità di una diagnosi, ha bisogno di analisi radiologiche, istopatologiche, immunologiche, ecc. E dietro la formulazione della diagnosi ci sono conoscenze fisiologiche, chimiche, anatomiche, ecc. Insomma, il medico risolve il suo problema, un problema di clinica, con l’ausilio di mezzi provenienti da discipline disparate. E torniamo ancora all’insegnante di storia dell’arte, il quale intenda spiegare l’architettura della città medioevale, e più in particolare la «piazza» della città medioevale, del libero Comune. Ebbene, la piazza del medioevo non solo rappresenta un problema di tecnica architettonica o di dislocazione urbanistica. La «piazza del libero Comune» coinvolge problemi sociali e politici: i problemi della funzione sociale e politica della piazza. Un critico testuale ricostruisce un testo e ricostruendo questo testo egli inciampa continuamente in problemi. E questi problemi non vengono risolti solo con mezzi «linguistici», ma con mezzi e informazioni provenienti, a seconda dei casi, da più parti: dall’archeologia, dalla storia dell’arte, dalla storia del potere politico, da quella delle consuetudini, ecc. E non è interdisciplinare il lavoro che si compie per risolvere un problema politico? E le indagini storiche non sono di tipo interdisciplinare? E la pedagogia non è fatta di ricerche interdisciplinari? E si potrebbe seguitare ancora. Ma penso ormai che una cosa è chiara: quel che conta sono i problemi. E la soluzione di un problema può attraversare i confini di qualsiasi materia e disciplina.


Rivista Lasalliana 79 (2012) 1, 71-90

REPENSAR LA PEDAGOGÍA LASALIANA CON VISIÓN DE FUTURO, A LA LUZ DE LA CORRIENTES PEDAGÓGICAS ACTUALES LORENZO TÉBAR BELMONTE Pedagogista, Segretario della Regione Lasalliana Europa e Medio Oriente

Introducción: Textos, iconos de la educación, preguntas clave l ritmo de vértigo al que nos somete la sociedad cambiante nos exige una honda revisión de nuestra pedagogía tradicional. Necesitamos reafirmar la identidad de la escuela lasaliana, en sus prácticas pedagógicas y en los valores compartidos. Si la sociedad cambia, la escuela no puede quedar indiferente. La pedagogía define la forma cómo la Escuela lleva a cabo su proyecto educativo. Por eso podemos preguntarnos: ¿Cuál es la pedagogía actual de los Centros Educativos La Salle de la RELEM, del mundo? ¿Cómo se enseña y se educa hoy en Francia, en España, en Italia, en cada uno de nuestros países? ¿Acaso buscamos responder con una educación innovadora a las nuevas exigencias de la sociedad de hoy? ¿Cómo preparan los profesores lasalianos el futuro de los educandos para vivir en una sociedad incierta? Me sentiría muy feliz de poder responder hoy a estas cuestiones. Me ilusiona trabajar sobre este tema, repensar la Pedagogía que nos legó La Salle, a la luz de las corrientes pedagógicas que más se destacan hoy, y poder llegar a una síntesis que pudiera orientar y dar unidad y calidad a la misión educativa de nuestros colegios. 300 años de tradición pedagógica bien merecen un alto en el camino y repensar qué estamos haciendo en el mundo de la educación, cómo enseñamos hoy, cómo aprenden los alumnos de hoy. Pero en lo primero que se me ocurre pensar es en redescubrir el inmenso valor de la palabra educación. La Educación encierra un tesoro, o mejor, ella misma es un tesoro. Tenemos iconos, símbolos, metáforas llenas de un hondo sentido, que merecen ser la pauta para ese redescubrimiento que genere pasión por esta misión trascendente.

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Todos los educadores tenemos nuestros referentes y nos hemos forjado nuestros iconos evocadores del sentido más hondo de la educación. ¿Cuál es nuestro icono? Compartir nuestros iconos nos ayuda a pensar en modelos a imitar, que sintetizan nuestro sistema de creencias sobre la educación. Aquí van algunos. - Jesús: Único maestro - Padre del hijo pródigo - Buen Pastor - Sembrador, jardinero - Buen samaritano - Puente-Mediador - Juan Bta.de La Salle

➝ Ejemplo, modelo, Palabra viva. Maestro interior ➝ Comprende, espera, acoge, ama gratuitamente ➝ Conoce a sus ovejas, las cuida y vive por ella ➝ Prepara, siembra, cultiva el campo para el fruto ➝ Compasivo anónimo, cuida, cura gratuitamente ➝ Puente accesible, acompaña, da vida y valores ➝ Eleva la educación cristiana a Ministerio eclesial

Mil frases bellas pueden revelar la grandiosidad, complejidad y trascendencia de una profesión que tiene mucho de vocación y que exige una formación cada día más prolongada y cuidada. La educación se ha convertido en la panacea insustituible para el pleno desarrollo de cada persona: Derecho y deber, asumidos por la sociedad, -Escuelas inclusivas-, pero sin la decidida voluntad que hacerla una respuesta forjadora de futuro. Vamos a repensar la Educación que nos une en Misión de Iglesia.

1. Motivar y justificar: destinatarios, objetivos La educación es –debería ser- la gran responsabilidad de toda la sociedad. Siendo hoy una tarea compleja, desvalorizada, difícil…, exige que nos acerquemos a ella, no para ahuyentarnos, sino para descubrir valores y motivos que justifiquen un cambio de paradigma, pues el momento de cambio estructural que vivimos exige una auténtica “revolución educativa” –pacífica, pero profunda, que cimente nuevos principios, nuevas metas, nuevas pedagogías… Muchos docentes claudican, abandonan este trabajo, en busca de otros más fáciles, menos fatigosos y desgastantes, más lucrativos y con más prestigio. Este es “el gran problema moral de Europa”, como lo definió O. González de Cardedal. Si una sociedad queda sin educadores, ha perdido el rumbo; si pierde sus referentes, si nadie transmite una cultura, si nadie enseña los valores, si no se aprende una ética y una sensibilidad humanizadora... Pero también suenan clamores positivos desde todas las instituciones. El recientemente fallecido premio Nobel de Física, G. Charpak, interpela a los educadores: “Sed sabios, convertíos en profetas”. En esta reflexión caben todos los implicados en la educación formal, no formal e informal: Profesionales, padres y toda la sociedad. Porque la educación debe ser no un acto, sino un clima, una cultura integral, la de la familia, la de las aulas, la del ocio… Los cambios estructurales superan la capacidad de adaptación de la


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escuela. Necesitamos adquirir conciencia de vivir un cambio constante. También la educación es cambio permanente, crecimiento y desarrollo potenciador para llegar a ser en plenitud. Pero esta misma complejidad de los cambios: socioestructurales, tecnológico, económico-laboral, axiológico-moral, competencial, religioso… pone radicales cuestiones a la educación, por su enorme impacto transformador. Educar va a significar ir contra-corriente, hacer de la educación una experiencia ética, de vivencias positivas… Es necesario resaltar la importancia que tiene el apoyo grupal y comunitario para la forja de actitudes y para avanzar entre tantas dificultades y tanta competitividad. Y las metas, las de la utopía: formar personas felices, libres, responsables, autónomas, comprometidas por un mundo en paz. La mirada sobre los elementos transformadores de nuestra sociedad, no nos debe apagar el ánimo para ver cuál es su impacto sobre la educación, a sabiendas que caminamos contra-corriente, para buscar juntos las formas más profesionales y científicas de educar. Necesitamos preguntarnos: ¿Qué educando queremos formar? ¿Qué tipo de persona esperamos formar al final de 12 o 18 años de educación en un centro La Salle?. ¿Pero qué exigencias implica este cambio? 1.1 Una sociedad en transformación constante, en cambio vertiginoso e irreversible, nos exige pensar en actualizar e innovar la pedagogía. Si cambia la sociedad, la escuela debe afrontar ella misma ese cambio. 1.2 Es necesario un nuevo de paradigma, fundado en los principios sólidos de la psicopedagogía, que responda eficazmente a los desafíos de la sociedad del conocimiento y cimente la profesionalidad de los educadores. 1.3 Las demandas formativas de nuestro tiempo exigen mayor preparación y profesionalidad científica, motivación y vocación a los educadores. 1.4 Necesitamos repensar los nuevos enfoques de una profesión compleja: Trabajo en equipo, interdisciplinariedad, centralidad en el alumno, formar para la vida, los nuevos medios, nuevos métodos, tecnologías y pedagogías; las exigencias de ejemplaridad y dedicación plena de los docentes; la dimensión evangelizadora de la educación: el reto de evangelizar educando. 1.5 Las exigencias crecientes en la educación y las necesidades de la juventud de hoy exigen la cultura de la formación permanente para responder con éxito a las nuevas demandas humanas y sociales, y para recuperar autoestima, el prestigio y la valoración social de la tarea docente. 1.6 La identidad y la calidad de un proyecto se mide por la suma de todos los miembros de la Comunidad educativa, pero una Comunidad lasaliana. 1.7 Es urgente ofrecer a todos los educadores un itinerario formativo que les permita descubrir la tarea docente como una vocación humanizadora y de radical trascendencia para la vida de los educandos y de la misma sociedad.


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Lorenzo Tébar Belmonte EL CAMBIOS ESENCIALES EN EL PARADIGMA EDUCATIVO DE

A

- La Enseñanza-Instrucción

Aprendizaje

- Contenidos curriculares

Protagonismo del Educando.

- Pedagogía conductista

Pedagogía Sociocognitiva.

- Producto-resultado

Proceso cognitivo.

- Aprendizaje disciplinar

Aprender a aprender.

- Una Educación FORMAL-

Una Educación FORMAL+INFORMAL + NO FORMAL

- ESCOLARIZADO.

Abierto al entorno social.

- Cerrada en el CONTENIDO

Centrada en la PERSONA del EDUCANDO.

- Marco del aula

Abierta a la sociedad y a la vida

2. Qué significa educar hoy: Definiciones inspiradoras Educar es una palabra “talismán”, polisémica, que se orienta hacia la utopía. Se impone una selección de definiciones para descubrir el común denominador que las preside y los ricos matices que el término encierra, con respecto de otros que pretenden suplantarla. Veamos algunas: - “¡No vayas hacia afuera, vuélvete a ti mismo! En el hombre interior vive la verdad. Esfuérzate, pues, para ir hacia donde está encendida la luz misma de la razón” (SAN AGUSTÍN: De Magistro, 430). - La educación es el estímulo del hombre para manifestar su ley interior a conciencia, en libertad y en autonomía, como ser pensante, reflexivo y en proceso de concientización”. (F. FROEBEL: La educación del hombre, 1826). - La educación aspira a que el niño se desarrolle lo máximo posible, dentro del seno de una comunidad benévola, para que más tarde sea un hombre fuerte y que, como adulto, sin hipocresía ni intereses egoístas, trabaje en una sociedad armoniosa y equilibrada (C. FREINET: La escuela francesa moderna: 1946). - “Se desea formar para la plenitud humana a todos y a cada uno de los hombres. Que todos los hombres sean educados integralmente, no en una materia, ni en unas pocas cosas, ni siquiera en muchas, sino en todas aquellas que perfeccionan la naturaleza humana, para que así todos sean rectamente formados e íntegramente educados. Que sepan reconocer lo verdadero y no se dejen engañar por lo falso; a amar lo bueno sin dejarse seducir por lo malo; a hacer lo que se debe hacer y preservarse de lo que se debe evitar; hablar sabiamente de todas las cosas; saber actuar siempre con prudencia y no temerariamente, con las cosas, con los hombres y con Dios y así no apartarse del objetivo de su felicidad”. (J.A. COMENIO: Pampaedia, 1670). - “La educación es un arte moral (o más bien una sabiduría práctica en la


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cual va incorporando un arte determinado. Los dos grandes errores contra los que debe luchar la educación: El primero es el olvido o la ignorancia de los fines. La supremacía de los medios sobre el fin, y la ausencia de toda finalidad concreta y de toda eficacia real, parecen ser el principal reproche que se puede hacer a la educación contemporánea. Y compensar la especialización: El culto de la especialización deshumaniza la vida humana” (J. MARITAIN: La educación en este momento crucial, 1965). - “La educación es un camino de interioridad. La educación se ve obligada a proporcionar las cartas náuticas de un mundo complejo y en perpetua agitación y, al mismo tiempo, la brújula para poder navegar por él”. (J. DELORS: La educación encierra un tesoro, 1996). - “El futuro de la humanidad está en manos de quienes sepan dar a la juventud razones para vivir y razones para esperar”. (Vaticano II, Gaudium et Spes). - “Puesto que las guerras nacen en la mente de los hombres, es en la mente de los hombres donde deben construirse los baluartes de la paz”. (Preámbulo carta fundacional de la UNESCO). Educar, es ciencia y es arte, pero, en esencia, es un acto de esperanza, que acoge, ama, cree y confía en el otro, como ser creado a imagen de Dios. Es una experiencia de mediación humanizadora, que ayuda a crecer, potenciar y lograr una vida en plenitud. Educar es un trabajo que se convierte en misión, gracias a una entrega gratuita a los demás por vocación. La educación se juega en la constante interacción de vivencias que forjan a la persona. Para todo educador lasaliano, la Escuela Cristiana debe entenderse como el instrumento privilegiado al servicio del Plan salvífico de Dios sobre el mundo. La primera misión de esta Escuela Cristiana es transmitir vida, humanizar a través del desarrollo pleno de cada educando: “La gloria de Dios es que el hombre viva. Y la vida del hombre es la visión de Dios” (San Ireneo).

3. El trípode de la educación: una síntesis Pretender una definición que sintetice la riqueza –“el tesoro”- que significa la educación, como experiencia vital, cultural, personalizadora, alfabetizadora, potenciadora…, resulta imposible, pues cada autor pone el acento en alguno de los ámbitos que abarca la construcción integral del ser humano. Por eso, toda definición completa de Educación debería abarcar estos tres ámbitos. La Educación representa el umbral de todo un campo semántico, pues ella abarca cuanto podemos decir de la acción intencional de desarrollo integral del ser humano a través de una pedagogía. El concepto de educación debe entenderse desde estos tres campos disciplinares que enmarcan su plena identidad:


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- Antropología: La Educación debe estar centrada en el conocimiento del sujeto que queremos formar, sus cualidades, necesidades y potencialidades. Conocer al educando es el primer paso para la plena construcción y formación de la persona. La auténtica antropología pedagógica exige un trato directo, interacción y relación personal. - Teleología: Que es la ciencia de los fines, que nos orienta hacia qué metas tendemos, qué tipo de persona queremos formar, con qué cualidades, actitudes y valores. Educar exige personalizar, socializar y formar al ciudadano para la vida. - Pedagogía: La ciencia que nos ayuda a buscar los medios más adecuados de todo orden para una educación integral de calidad.

4. Educar: Ciencia y arte. Educar-Instruir-Formar. De enseñar a aprender Los documentos actuales denuncian un insuficiente nivel científico en el profesorado, que influye en el estilo relación y de exigencia con otras disciplinas y en el rigor de sus conceptos. La formación interdisciplinar se diluye y la formación queda fragmentada y carente de las relaciones que dan sentido y reestructura a los conocimientos. Las Ciencias de la Educación aportan enfoques filosóficos y psicopedagógicos que justifican los principios que guían las decisiones en el aula, tanto antropológicas como de la enseñanza-aprendizaje. El docente que carece de bases psicopedagógicas se resiste al cambio que le exige las nuevas formas didácticas y la permanente adaptación al estilo y al ritmo de aprendizaje de los alumnos, en creciente diversidad. En la formación del profesorado se debe contar con las teorías implícitas, fruto de sus seguridades y de su experiencia anterior, que se oponen abandonar las seguridades y aplicar otras formas no asimiladas, que crean inseguridad y que sólo con el tiempo y la práctica se consiguen dominar. El mismo estilo socrático exige una constante elaboración de las cuestiones, traduciéndolas de los problemas dosificados al alcance de los alumnos, conforme van apareciendo. Las formas como se presenta la educación hoy, merecen un análisis crítico a cuanto lleva al reduccionismo y a la eliminación de una relación educativa rica en todas aquellas formas que expresan su intencionalidad, significatividad y trascendencia. Los procesos de enseñanza-aprendizaje implican una acomodación y una meta de asimilación reestructurante en el alumno. La obviedad de que no todo lo que el maestro enseña es comprendido o asimilado por el alumno, induce a pensar que la auténtica perspectiva a tener en cuenta es cómo aprende el alumno, cuáles son sus dificultades y cuáles los elementos que le ayudan. Otra visión de la praxis educativa nos obliga a diferenciar estos tres conceptos:


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- Instrucción: La transmisión científica de los saberes, explicitados como contenidos curriculares que forman el eje transversal de la enseñanza reglada en las aula. - Pedagogía: Es arte y ciencia, teoría y técnica de la Educación. El concepto fundamental de la pedagogía es la educabilidad del alumno” (Herbart). La educabilidad es la capacidad receptiva, disposición o plasticidad, -“modificabilidad” para R. Feuerstein- “potencialidad” ZDP, para Vygotski- la tendencia activa a aprender los contenidos y los valores necesarios para la formación integral. Hoy se subraya el papel imprescindible, la implicación y esfuerzo del sujeto en su propia formación. - Didáctica: Ciencia y arte de la enseñanza, de los métodos de instrucción que organiza los diversos procesos de aprendizaje. Puede ser: general y específica, según su extensión.

5. Elementos de la educación. Antinomias de los procesos educativos Todas las teorías de la educación coinciden en estos tres factores, como los más decisivos en la educación. La jerarquización de estos factores marca preferencias en cada corriente y hace que se dé más o menos importancia a los otros. De hecho cada uno tiene su carga, en el clima de desarrollo que se crea en toda colectividad. Tal vez hoy hablemos de ausencia de determinismos, pero de enormes condicionantes derivadas de los entornos socioculturales que despersonalizan al educando o claudican de su formación. YO+ NATURALEZA+SOCIEDAD Cada uno de estos componentes se influyen, condicionan y potencian entre sí, en un proceso complejo de interacciones. Nos importa también definir lo que es el acto educativo en sus tres elementos esenciales: El educador, el educando y los objetivos-contenidos de la formación. En él deben estar presentes tres criterios esenciales: La intencionalidad y reciprocidad, la significación y la trascendencia de los aprendizajes. La educación es un proceso dinámico de integración personal y cultural. Se orienta a la integración del educando en la cultura y también la asimilación de esa cultura, para recrearla, transformarla y seguir enriqueciéndola. - El educador se enfrenta a un cambio de rol fundamental, al dejar de ser el único depositario del saber, pasando a ser más bien el experto mediador que organiza, controla y adapta los procesos de enseñanza-aprendizaje, según el ritmo y estilo cognitivo de los educandos. Profesor motivador, profesor “pygmalión”… - El acto educativo conlleva amor, autoridad y ciencia, que exige la acogida y correspondencia del educando, que se convierte en el auténtico protagonista y centro del proceso de aprendizaje. En ningún momento se podrá pres-


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cindir del respeto y del sentido crítico, que desarrolla la inteligencia autónoma y la libertad de criterio. - Los objetivos a conseguir se expresan en contenidos curriculares, actitudes, valores, normas, estrategias, competencias fundamentales, etc, que construyen el bagaje de los programas de cada una de las materias o áreas disciplinares que los alumnos deben adquirir a lo largo de la escolarización. El desafío que aquí se plantea es mantener la tensión de la “equilateralidad” en todo el proceso. Se trata del esfuerzo constante de adaptación al ritmo del educando, pero sin olvidar que Mediador y Educando deben avanzar juntos hacia los objetivos propuestos. Ese caminar se realiza a prueba de paciencia para el mediador. Pero, sin duda, la cuestión que orienta el auténtico cambio pedagógico es llegar a conocer cómo aprenden los alumnos. Conocer las distintas formas de aprender y acomodarse a ellas para una mayor eficacia pedagógica, es el gran reto para los docentes. De la abundante investigación (Alonso, C.et alt. 1995) sobre el tema sintetizamos en este cuadro los cuatro estilos más generalizados que orientan el esfuerzo que se reclama del buen profesor mediador. Los Estilos de Aprendizaje de los alumnos: Estilo de aprendizaje

Características

1. ACTIVO

Animador, improvisador, descubridor, arriesgado, espontáneo.

2. REFLEXIVO

Ponderado, concienzudo, receptivo, analítico, exhaustivo.

3. TEÓRICO

Metódico, lógico, objetivo, crítico, estructurado.

4. PRAGMÁTICO

Experimentador, práctico, directo, eficaz, realista.

6. Corrientes pedagogicas actuales: elementos inspiradores La pedagogía es la ciencia del arte de educar. Según afirma Herbart, tiene una triple tarea: a) Mejorar la praxis educativa en las familias y en las escuelas; b) establecer una interpelación institucionalizada entre teoría praxis (ciencia y acción); y c) preparar y fundamentar, a través de la teoría, una competencia profesional en la práctica. Y concluye el mismo Herbart: “No hay profesión alguna en la cual la capacidad de filosofar (pensar) sea tan fundamental como en la profesión docente”.“Hay, pues, una preparación para el arte por la teoría (esta es mi conclusión); una preparación de la inteligencia y del corazón (antes de emprender la tarea de educar) en virtud de la cual la experiencia (que sólo podemos lograr realizando esa tarea), será instructiva para nosotros. Sólo en la práctica se aprende el arte, se adquiere el tacto, táctica, destreza, habilidad y flexibilidad, pero en esa práctica sólo aprende el arte aquel que antes ha aprendido a pensar la teoría; se ha apropiado de esa teoría, se rige por ella y está preparado para entender y para


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beneficiarse de la futura experiencia práctica”. (La primera lección sobre Pedagogía. En Bohm, p.62). La historia de la Pedagogía constituye un monumento creativo para responder al anhelo de formación de la persona, transmitir una cultura y unos valores, para transformar la sociedad. La creatividad ha ido abriendo caminos a los líderes, pedagogos y fundadores de escuelas. Aunque a la hora de seleccionar unos autores desaparecen los fundadores de Congregaciones religiosas, posiblemente este olvidado acento nos remita a una visión más científica que carismática. Pero justo es mencionar este olvido de los historiadores, como bien lo ha sabido remarcar el estudio que cada Congregación ha hecho de su Fundador o Fundadora, y entre nosotros, los más recientes de los Hnos. Léon Lauraire y Edgard Hengemule. Debe haber una correspondencia en todos los pasos del cambio: Las corrientes pedagógicas y teorías del aprendizaje nos ofrecen los fundamentos inspiradores, para determinar nuestros Métodos y estilos los de enseñanza. Pero éstos deben servir para adaptarlos a los estilos de aprendizaje de los alumnos, para responder a la cuestión clave: ¿Cómo aprenden hoy los alumnos? Y poder adecuar los procesos, el clima de relaciones y praxis pedagógica que nos lleve a conseguir las metas cada vez más elevadas.

RETOS ACTUALES

CORRIENTES SOCIOCOGNITIVAS ACTUALES

PRINCIPIOS PSICOPEDAGÓGICOS

2.Demandas de la Sociedad Global y del conocimiento

J. PIAGET: Constructivismo: Equilibración—Acomodación- Adaptación. Conflicto cognitivo.

- Protagonismo del educando - Provocar conflicto-novedad - Resolver el conflicto cognitivo - Adaptación –Asimilación

3.Impacto de las TIC-NNTT y hallazgos científicos

R. FEUERSTEIN: EAM. -Modificabilidad Cogniti- - Creer en el potencial del Alumno. va Estructural- Mediación. - Importancia de la mediación -Sistema de creencias. - Conocer las dificultades: FCD - Desarrollar habilidades: Operac. Mentales - Método: Mapa cognitivo

4.Crisis sociales: ValoresD.P. AUSUBEL: A.S. –Psicología del Aprendizaje Economía-Familia-Fronteras- Proceso de Aprendizaje Significativo

- Lograr experiencia de Apr. Significativo . Nivel de madurez del alumno . Conocimientos previos . Motivación y éxito . Aplicación de los aprendizajes

5.Nuevas profesiones: Competencias

- Desarrollo de las formas de Inteligencia - Método triádico: . Analítico- Crítico . Creativo-Sintético . Práctico-Contextual - Interdisciplinariedad y cooperación

R. STERNBERG: Razonamiento triádico. H. GARDNER: Desarrollo de la Inteligencia: I. Múltiples.

6.Sociedad. incierta

M. LIPMAN: Enseñar a pensar-Razonar: Filosofía. - Enseñar a pensar con la Filosofía. Formar ciudadanos. - La clase es comunidad centífica. - Formar conciencia ética-social


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RETOS ACTUALES 7. Aprender a lo largo de toda la vida

CORRIENTES SOCIOCOGNITIVAS ACTUALES L.A. MACHADO: Enseñar a Pensar: Proyecto de inteligencia.

8. Bajos resultados de OCDE- E. DE BONO: Enseñar estrategias para pensar. PISA G. DOMAN: Detección precoz del problema. J. FLAVELL: Metacognición

PRINCIPIOS PSICOPEDAGÓGICOS - Enseñar a descubrir relaciones - Importancia de los primeros años de desarrollo - Método científico: Ensayo/Error. - Aprender a resolver conflictos- Toma de decisiones - Atención temprana de los problemas - Toma de conciencia del alumno

En este río caudaloso de la educación debemos destacar aquellos autores que desde puntos de vista diversos (principios, destinatarios, finalidades, medios, métodos, etc.) han dejado honda huella en la historia de la Pedagogía. Frente a cada uno de los autores anotamos sus principios más esenciales que rigen su estilo educativo. La síntesis pretende destacar lo más peculiar que puede iluminarnos en esta búsqueda de un común denominador de una educación más científica, creativa e integral. En la Reforma educativa española, que abrió la escuela hacia la democracia y hacia las formas más actuales, se ofreció un elenco de programas modélicos que – “todos los profesores deberían conocer” (Cajas Rojas) y sirvieran de pauta renovadora para todos los docentes: para conocer los principios rectores de la educación del futuro, los programas más notorios y las herramientas con las que poder responder mejor a las necesidades de los educandos. Esta selección de programas está claramente orientada hacia una nueva visión sociocognitiva de la educación del futuro. De todas formas, es innegable el acierto de esta orientación, que coincide con las consignas que actualmente emanan tanto de la Comisión Europea, como de las orientaciones educativas que las Evaluaciones del programa PISA de la OCDE se proponen a las políticas educativas de los gobiernos que participan en esa organización mundial. A modo de síntesis, presentamos las coincidencias de tres enfoques distintos, pero coherentes y complementarios, que hoy se repiten como la esencia del nuevo paradigma educativo: Aprendizaje sgnificativo, Experiencia de Aprendizaje Mediado y Desarrollo cognitivo del Potencial del Educando. - Ausubel afianza los principios de los elementos constitutivos del aprendizaje significativo, que debe surgir de la adaptación al nivel de desarrollo del alumno- a partir de sus conocimientos previos –implicándolo, como protagonista- dando el salto de la aplicación a la vida de los aprendizajes. - Del mismo modo Feuerstein resalta la insustituible tarea mediadora del docente, como organizador, motivador y orientador de todo un proceso de adaptación, estimulación y crecimiento del alumno. El seguimiento del pro-


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ceso marcado por su más sabia síntesis, el mapa cognitivo, a través de la puesta en acción de toda una construcción de la mente del alumno con el desarrollo de sus habilidades cognitivas, para aprender a aprender y aprender a pensar. - Vygotski fue uno de los más geniales psicólogos del siglo XXI. Enseña una forma de entender cuáles son los procesos básicos y superiores del desarrollo, de una forma acumulativa, creciente. Su visión educativa influye en la fundamentación analítica y clínica de toda intervención psicopedagógica, porque se orienta a lograr un mayor desarrollo del potencial de aprendizaje. Su concepto clave es la Zona de Desarrollo Próximo (ZDP) que todo individuo posee como capacidad para aprender más rápidamente con la ayuda de un mediador, que si lo hace sólo, con su búsqueda y autoaprendizaje. Éste es el concepto central, donde se sitúa todo aprendizaje significativo o toda experiencia de aprendizaje mediado (EAM) de R. Feuerstein. Y le precede en nivel de desarrollo actual o real, con el que todo sujeto inicia su camino de desarrollo potencial o su carrera de aprendizaje. ¿Hasta qué nivel de desarrollo podemos llegar? En ese punto final confluirían todos los medios que nos podrían ayudar en esa “potenciación”: Buenos profesores, buenas competencias básicas, recursos, medios, tiempo, nuestra voluntad y deseo de aprender, etc. Estas pedagogías nos invitan a pensar que la mejor pedagogía es siempre la “preventiva”: La que evita los fracasos, pone los fundamentos para el éxito y ayuda a desarrollar el potencial del educando en cada etapa de su proceso evolutivo.

7. Aprendizajes y valores El mundo de los valores se aprende en el estilo de vida del aula cada día.“La medida del valor al cual estoy adherido reside en la magnitud del sacrificio que estoy dispuesto a hacer por él”. (Lavelle). Es un enorme reto educar en valores en tiempos inciertos… Se ha puesto en tela de juicio la “Educación en valores”: No se puede educar en valores, sino que los valores deben vivirse, experimentarse y saborearse. Esta primera nota nos recuerda a los educadores que nuestro influjo sobre el educando está condicionado más por nuestros ejemplos de vida que por nuestras palabras; en suma, que educamos más por lo que somos que por lo que decimos. Los valores no podemos imponerlos, sino tan solo proponerlos, ofrecerlos, degustarlos… Educar es un camino de sentido, una experiencia de descubrimiento de aquello que la existencia tiene de más valioso y enriquecedor para la vida de cada ser humano. La educación es, por tanto, un proceso humanizador, un itinerario de interioridad y profundización sobre aquello que nos permite lograr una cosmovisión más profunda y coherente. Nos chocamos con la


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falta de fundamento de muchos prejuicios y de una carente filosofía axiológica que nos permita descubrir qué son, por qué y para qué sirven los valores. La transmisión de valores queda estancada, si no obstruida, si antes de acercar a los alumnos a esa fuente de sentido, no los hemos vivido y saboreado los educadores. Los valores propuestos por el Congreso de Bangkok en 1982 para la escuela católica del siglo XXI (Respeto-Interioridad-Solidaridad-Creatividad) casan con los cuatro pilares de la educación, los cuatro aprendizajes genéricos, que J. Delors propuso para la Comunidad europea (Aprender a Ser, Aprender a Conocer, Aprender a vivir juntos, Aprender a hacer). Con coherencia resulta deslumbrante y puede servir como esquema de revisión de los valores que encarnan nuestros Proyectos Educativos actuales. La Escuela Católica no sólo educa en valores, sino que su gran distintivo debiera ser el “clima” de relaciones calidad y fraternas, donde la solidaridad y la cooperación se respiran en todo momento, con la propuesta de los valores explícitos del Evangelio y donde la persona de Jesús de Nazaret descubre la Buena Noticia de los hijos de Dios, invitados a compartir una vida que trasciende todas las realidades actuales.

8. ¿Como educar? Metodos y estrategias El debate actual se centra en dar la prioridad a alguno de los elementos del Sistema Educativo. Prevalece hoy el dilema entre Currículo y Método. Sin embargo, la orientación de todo el sistema está en el protagonismo del educando, que exige adaptar el sistema a las posibilidades y ritmos del educando –como nos hace entender cualquiera de las ciencias humanas. La Medicina se debe centrar en las necesidades del paciente-. Aunque para atender al educando, debamos pasar por la formación del docente, y sea éste, definitivamente, a quien tengamos que formar primero. Pero nos decantamos a favor de responder a la pregunta de todo docente-educador: ¿Cómo enseñar-educar hoy? ¿Con qué método? Quisiéramos ver en la propuesta metodológica la síntesis de la teoría y praxis, como así es, pues el análisis de las propuestas pedagógica y didácticas de hoy se sustentan en una teoría contrastada y en unos programas aplicados que nos llevan a la necesidad de conocer esas buenas prácticas y poder extraer una síntesis de aquellos métodos que mejor pueden inspirarnos una respuesta adecuada a una etapa escolar, a una disciplina y a un estilo o carisma pedagógico institucional.

9. Cuáles son los elementos de un modelo pedagógico Todo modelo pedagógico debe integrar coherentemente los elementos teóricos con los prácticos. Esta armonía debe proyectarse en el estilo peda-


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gógico que pone en juego cada uno de los elementos que constituyen esta síntesis: 9.1 El PARADIGMA: Sistema de creencias, principios psicopedagógicos, criterios y valores que inspiran e integran todos los elementos de la propuesta educativa. 9.2 Los FINES EDUCATIVOS: Teleología. Axiología- Expectativas. Metas. 9.3 El SUJETO: EDUCANDO: Bases Antropológicas y psicopedagógicas de su personalidad. Necesidades- potencialidades que caracterizan cada etapa educativa. 9.4 Los MEDIOS: Psicopedagógicos: - Contenidos: Todos los aprendizajes y competencias en los ámbitos que constituyen la formación integral. - Métodos de Enseñanza-Aprendizaje: Los pasos que sigue el acto educativo y las distintas didácticas que desarrollan los procesos de enseñanzaaprendizaje. Buenas prácticas. Innovación. - Taxonomía de habilidades cognitivas: operaciones mentales que construyen la mente y dinamizan todos los elementos de la formación integral de la persona. - Programas- Currículo: Contenidos disciplinares transversales. - Recursos Humanos, técnicos, sociales. 9.5 Los AGENTES: - Individuales: Educadores y Formadores- Mediadores. –Sociales: El Sistema Educativo, la Cdad. educativa, Familia, Política local, Instituciones, Asociaciones, Iglesia. - Agentes de formación, investigación, formativos, evaluación. 9.6 El CONTEXTO: Ambiente sociocultural- Relaciones- Organización escolar. Cultura escolar- Entorno-Mundo laboral-.Mass media- TIC. El paradigma del Desarrollo Integral que proponemos recoge cuanto permite dar una consistencia y riqueza a una acción educativa humanizadora, socializadora, integral y de calidad. La base teórica se nutre de las corrientes sociocognitivistas - humanistas, constructivistas, histórico – sociales, mediadoras del mundo psicopedagógico. El constructo teórico debe dar plena coherencia a la teoría y a la praxis educativa y, al mismo tiempo, dar forma a un método integrador de todos los elementos didácticos.

10. ¡Lo esencial! La clave del nuevo paradigma educativo Lo que debería concentrar el trabajo formativo de un docente para ayudar con su enseñanza a la construcción de la mente del alumno, se refiere a la taxonomía de las capacidades, las habilidades cognitivas u operaciones mentales que deben poner en juego con cada una de las actividades para aprender. El docente debe-


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ría conocer qué actividad mental exige a sus alumnos cada cuestión o cada actividad que propone en el aula. Sólo así el acto educativo tendrá intencionalidad, significado y trascendencia para el educando. Éste es realmente el campo donde hoy debería enfocarse la profesionalidad de los docentes, para llegar a ser expertos en la formación de la inteligencia, en desarrollar el potencial de cada alumno y preparar a cada alumno a aprender a aprender cualquier contenido o disciplina. Éste es el elemento que da integridad a la enseñanza y que, como consecuencia, exige un mayor cambio en la educación, pues exige la focalización de la orientación pedagógica de todos los educadores. Aprender es un proceso de interioridad, de transformación, asimilación y reestructuración de los conocimientos. Nuestro cerebro tiene la función esencial transformadora. Todo educador debería conocer los principios psicológicos que potencian el auténtico aprendizaje significativo. Los autores han aventurado sus métodos, pero pocos han dado una taxonomía que “construya” el edificio –Bloom, Piaget, Vygotski, Feuerstein…-nos han dejado, especialmente, una lista de estos procesos básicos y superiores que intervienen para elevar nuestro potencial de cada educando, desde percibir con claridad, identificar, comparar, inferir, clasificar, analizar, sintetizar, codificar, razonar, deducir, inducir…, hasta los mecanismos de la lógica formal, el pensamiento crítico, divergente, creativo y toma de decisiones. La ciencia y el arte del docente – su forma de modular, su adaptación a la diversidad, su esfuerzo de creatividad y su constante provocación del interés y motivación de los alumnos –auténticos energizantes de la educación- exigen trabajo experto – que se expresa en la forma táctica con que regula y maneja estos tres niveles crecientes de complejidad, abstracción y eficacia-, que constituyen la dinámica de adaptación del docente, cuando enseña o cuando actúa como verdadero “mediador” entre el alumno y los contenidos u objetivos que se propone lograr. A mayor complejidad debemos pedir una operación de baja abstracción, para ir elevándola a medida que el alumno se familiariza y domina el contenido. Si queremos exigir un alto nivel de abstracción debemos empezar por una actividad simple –nada compleja- para ir cambiando elementos que aumenten esa complejidad y exijan un mayor dedicación y uso de reflexión, atención y elaboración mental del alumno. Aclaremos estos tres niveles clave en el desempeño pedagógico del docente: 1. Nivel de Complejidad: Se manifiesta por el aumento de los datos o el número de elementos que intervienen en la actividad; por la novedad de la información; por la extrañeza o falta de familiaridad en los contenidos o modalidad del ropaje con los que recibimos la información; y por la duración, fatiga provocada o la misma monotonía de su ejecución. 2. Nivel de Abstracción: Se mide por la actividad interiorizada, sin tener medios sensibles en los que apoyarse; por la ausencia de imágenes reales,


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accesibles a los sentidos; y por la alta elaboración o empleo del razonamiento lógico. 3. Nivel de Eficacia: Se expresa por el elevado número de aciertos; por la eliminación de los errores o fallos de ejecución; por la menor fatiga experimentada, por la mayor rapidez en la realización y por el automatismo y eficiencia con que ejecutamos una actividad. Sintetizando, debemos afirmar, que el reto del docente se encuentra en dominar la combinación y aplicación de estos tres elementos, para lograr en todo momento de los educandos el mayor nivel de eficacia.

11. Los métodos pedagógicos Dewey definió el método como “el orden del desarrollo de las capacidades e intereses del niño”. Mientras que Schmieder afirma que “el método educativo es la reunión y síntesis de medidas educativas que se fundan sobre conocimientos psicológicos, sobre leyes lógicas, y que realizadas con habilidad personal de artista, alcanzan el fin previsto”. Resultaría aberrante aferrarse a un único método. Incluso no se definen los métodos empleados, porque realmente hay muchos métodos, pero lo importante es llegar a la síntesis – Gardner apuesta por esta inteligencia-capacidad, como la más importante para el siglo XXI- de teoría-praxis. Porque el reto de un método es poder justificar las razones psicopedagógicas por las que damos cada paso, qué buscamos y con qué medios –los mejores- para ser eficaces. De la misma manera que para movernos en un recorrido, para visitar una ciudad o hacer una excursión, necesitamos un mapa, R. Feuerstein ha diseñado un mapa cognitivo, un campo de mediación, donde aparecen los pasos que traducen el camino que debemos seguir -podemos hacer atajos y no esclavizarnos ciegamente a un guía- para conseguir un auténtico aprendizaje. Es el método que nos ha guiado para completarlo con los pasos más comunes que aparecen en las didácticas generales. Estos son los elementos de nuestra propuesta metodológocica mediadora: 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10.

Definición de objetivos de la lección, la sesión o del tema-capítulo. Selección de los criterios de mediación o interacción. Determinar los contenidos: Modalidad, conocimientos previos, tema. Selección de las funciones y operaciones mentales implicadas. Habilidades Planificación de la lección: Tiempos y formas de trabajo. Trabajo personal que deberá realizar el alumno: Actividades previstas. Interacción grupal, trabajo cooperativo y puesta en común. Insight: Elaboración de principios, generalización y aplicación del aprendizaje Evaluación. Síntesis y conclusiones.


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El método es el camino diseñado que nos marca los pasos esenciales que debemos programar para un aprendizaje eficaz. El método sintetiza la teoría y la praxis; exige flexibilidad en la duración y en el orden de las actividades, pues el ritmo del educando y la complejidad o novedad de los contenidos exigen una constante adaptación y revisión. El método debe estar regido por los principios psicopedagógicos que lo construyen, de modo que se puedan combinar en la praxis constante y en la interacción entre docente y alumnos. El método debe ser una tarea de revisión, formación y consenso en toda la comunidad educativa. Hay toda una floresta de métodos. Pero advirtamos, ante todo, que un método no es una suma de estrategias o técnicas, sino una serie de pasos estructuras, guiados por unos principios psicopedagógicos. La propuesta que ofrecemos (Tébar, L. 2003 y 2009), es fruto de una búsqueda científica, que responde a una síntesis de los elementos esenciales que intervienen en la Pedagogía. Se trata de la lectura del mapa cognitivo de Feuerstein, a través de las propuestas de las Didácticas generales, para extraer los elementos comunes y complementarios, que mejor pueden responder a una síntesis en la que se respondan al nuevo estilo del profesor mediador. La hipótesis investigada ha demostrado que aquellos elementos menos presentes en la actividad escolar de los docentes, son los más novedosos que aporta el paradigma de la mediación. En síntesis: Aquí se complementan los elementos del mapa cognitivo de Feuerstein con los aspectos más comunes de la Didáctica de las disciplinas curriculares. Toda propuesta pedagógica actual debe ser abierta, capaz de un eclecticismo integrador, que dé coherencia y complementariedad a una tarea tan compleja como la educación. De ahí que en la realización del perfil del profesor mediador hemos podido integrar las aportaciones que nos llegan desde muy diversas corrientes psicológicas y los más innovadores modelos pedagógicos. Cada estilo diferente aporta una serie de matices, sea a la forma de estilo relacional, didáctico, estratégico, actitudinal, etc. En la doble investigación realizada se dan la mano los dos temas: las características del profesor mediador (32 items del perfil) y las (10) etapas de la propuesta metodológica de mediación.

12. Conclusiones 1.

Profesionales: La escuela elemental lasaliana de la Guía de las Escuelas posee inmensas intuiciones psicopedagógicas. Pero la complejidad de la educación actual exige crecer en profesionalidad y un asiduo trabajo en equipo. Aunque no se pretenda la unidad del método, sí es imprescindible caminar hacia un sistema de creencias psicopedagógicas que fundamenten y den cohesión a esas misma intuiciones.


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2. Pedagogía lasaliana: Proponemos hacer una relectura de la Pedagogía Lasaliana, tras conocer los elementos más clarificadores y consistentes de las Corrientes Pedagógicas actuales, con visión de futuro. El vertiginoso cambio estructural que vive nuestra sociedad nos exige a los educadores lasalianos realizar esta búsqueda y una síntesis de la Pedagogía que hoy nos distingue, con fidelidad creadora. 3. Educadores cristianos: Creer en la educación cristiana y ejercerla con gozo. Renovar la autoestima de los docentes, fundamentando los auténticos motivos de una profesión y de una misión en tiempos difíciles. Incentivar con todo tipo de recursos. 4. Formación permanente: Necesitamos instaurar la cultura de la educación/formación permanente. Es necesario ejercer un decidido liderazgo para la innovación, acompañando a los Educadores (selección o formación)- al Equipo responsable de la formación permanente, programando los proyectos de innovación. : 5. Innovar: Innovar es responder creativamente a los desafíos de una educación pluricultural y multireligiosa. Utilizar medios de hoy. Debemos acometer proyectos que permitan elevar el nivel científico e innovador de nuestros educadores en las aulas. Crear situaciones para compartir buenas prácticas, experiencias e innovaciones exitosas. El empeño por actualizar y poner al día nuestros métodos llevará a muchos docentes a sentirse más competentes y profesionales y a recuperar su autoestima. Pero sin olvidar que la formación exige tiempo y esfuerzo. No engañarse ingenuamente con recetas. 6. La familia: Es urgente incorporar a las familias en la construcción de nuestro proyecto educativo, para llegar adonde la vida colegial no es capaz de llegar. Debemos contribuir a su formación y acompañamiento para una educación de calidad. 7. Crear lazos: Poseemos inmensas riquezas escondidas –incomunicadas- que en el orden educativo, pastoral, animación y gestión de los centros, podemos compartir para crear lazos institucionales de auténtica fraternidad, valiéndonos de los medios actuales. 8. Pastoral: A través de la acción pastoral y reflexiva, nuestros colegios deben brindar experiencias de interioridad y de síntesis de fe y cultura que orienten en el sentido de la vida. Debemos buscar con creatividad y dinamismo iniciativas y experiencias que fomenten la estima y los lazos que creamos por sentirnos Iglesia y Familia Lasaliana 9. Identidad: La identidad lasaliana debe forjarse con referencia a la Comunidad, a los jóvenes y a los más desfavorecidos. Nos debemos contagiar con experiencias y gestos de solidaridad y de gratuidad en favor de los alumnos más necesitados.


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10. Liderazgo compartido: Compatir liderazgo exige invitar, buscar y formar a nuevos líderes para el relevo en cargos de dirección, evitando improvisación y deficiencias por falta de preparación cualificada. ___________ Bibliografía Abdón, I. (2005): Aprendizaje y desarrollo de las competencias. Bogotá: Magisterio. Acevedo, T. (2003): Comprender y enseñar. Barcelona: Graó. Alonso, C., Gallego, D. y Honey, P. (1995): Los estilos de aprendizaje. Bilbao: Mensajero. Bohm, W. y Schiefelbein, E. (2004): Repensar la educación. Bogotá: U. Javeriana. Cano, E. (2007): Cómo mejorar las competencias de los docentes. Barcelona: Graó. Charpak, G. y Omnès, R. (2005): Sed sabios, convertíos en profetas. Barcelona: Anagrama. Claxton, G. (1990): Teaching to learn. Londres: Cassell. Comisión Europea (2003): Las competencias clave. Madrid: Eurídice. CIDE. Delors, J. (1996): La educación encierra un tesoro. Madrid: Santillana-MEC. Escamilla, A. (2008): Las competencias básicas. Barcelona: Graó. Faure, E. (1972): Apprendre à être. Paris: UNESCO. (1973): Aprender a ser. Madrid: Alianza-UNESCO. Ferry, L. (2007): Aprender a vivir. Madrid: Taurus. Feuerstein, R. (1980): Instrumental Enrichment. Glenview, Ill: Scott, Foresman and Company Feuerstein, R. (2008): La Pédagogie à visage humain. Paris: Le bord de l’eau. Flavell, J. H. (1985): El desarrollo cognitivo. Madrid: Aprendizaje Visor. Gardner, H. (2003): La inteligencia reformulada. Barcelona: Paidós. Girou, H.A. (1997): Los profesores como intelectuales. Barcelona: Paidós-MEC. Goleman, D. (2003): Las emociones destructivas. Bogotá: Vergara. Hargreaves, A. (2003): Teaching in the knowledge society. Barcelona: Anagrama. Hengemüle, E. (2007): Educar en y para la Vida. Bogotá: Universidad La Salle. Lipman M. (1987): Filosofía para niños. Madrid: De la Torre. - et alt. (1992): La filosofía en el aula. Madrid: De la Torre. Machado, L.A. (1990): La revolución de la inteligencia. Barcelona: Seix Barral. Maclure. S. y Davies, P. (1991): Learning to think: thinking to learn. Oxford: Pergamon-ECDE. Marchesi, A. (2004): Qué será de nosotros, los malos alumnos. Madrid: Alianza. (2007): Sobre el bienestar de los docentes: Competencias, emociones y valores. Madrid: Alianza. Martín, E. y Moreno, A. (2007): Competencia para aprender a aprender. Madrid: Alianza. Morin, E. (2001): Los siete saberes necesarios para la educación del futuro. Barcelona: Paidós Nassif, R. (1958): Pedagogía general. Buenos Aires: Kapelusz. Perkins, D. (1997): La escuela inteligente. Barcelona: Gedisa. Rey, B. et alt. (2006): Les compétences à l’école. Bruxelles: De Boeck. Tébar, L. (2003): El perfil del profesor mediador. Madrid: Santillana. (2009): El profesor mediador del aprendizaje. Bogotá: Magisterio. Vygotski, L (1995): El desarrollo de los procesos psicológicos superiores. Barcelona: Crítica.


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RIPENSARE LA PEDAGOGIA LASALLIANA (Sintesi) Noi lasalliani abbiamo una singolare responsabilità pedagogica in questi tempi di cambiamento e di rinnovamento, dovuta alla nostra plurisecolare esperienza ed alla dimensione internazionale della nostra presenza che potrebbe essere un punto di riferimento per molte altre agenzie educative. È necessaria però una guida che conosca le forze di maggior credito e permetta agli educatori di orientarsi verso l’assimilazione di un nuovo paradigma, coerente con le nuove esigenze della educazione nel campo della conoscenza. Nella vita odierna così convulsa, non è facile presentare una proposta che faccia uscire dall’oscurantismo e dalla routine gli educatori, solitamente i primi ad opporsi al cambiamento. Questa opposizione degli educatori verso una nuova pedagogia poggia su evidenti cause come l’insicurezza dinanzi alla novità, la mancanza di tempo per conoscere le basi psicopedagogiche atte a giustificare e recepire il mutamento. Educare implica professionalità, formazione umanistica (antropologica, filosofica[teleologica]) e psicopedagogica. Soltanto a partire da questi fondamenti si possono raggiungere le linee di un nuovo paradigma. In seguito però, bisogna conoscere dei modelli pratici che possano tradurre tutta questa teoria in una metodologia ben sperimentata. In questo saggio cerchiamo di presentare vari percorsi, a cominciare dal primo passo che consiste nel determinare e motivare i docenti rispetto ad un cambiamento che stenta ad arrivare. I risultati delle valutazioni dirigono verso un cambio che può arrivare soltanto attraverso la formazione e l’aggiornamento degli insegnanti. C’è bisogno di una pedagogia dal volto umano, con un suo stile e carisma. In questo campo la bibliografia è sovrabbondante, con documenti in tutte le lingue, manca però l’organizzazione di strutture innovative e professionalizzanti che ci aiutino ad elaborare una proposta che ispiri fiducia nei suoi frutti di qualità. Potremo progredire soltanto con la formazione.

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Abbiamo bisogno inoltre di criteri validi, che ci permettano di discernere la qualità dei formatori che man mano stanno presentando proposte capaci di attrarre ed entusiasmare gli educatori perché, a loro volta, contribuiscano alla formazione di cittadini critici ed autonomi, e che sappiano costruire la mente degli educandi permettendo loro di continuare ad apprendere durante la vita. Dove trovare le proposte del nuovo paradigma educativo capace di rispondere alla diversità, alle carenze e necessità dei nostri alunni a tutti i livelli? È importante, infatti, non cadere nella trappola delle ricette già predisposte; abbiamo bisogno di una metodologia condotta scientificamente e nello stesso tempo capace di adattarsi all’insegnamento di qualsiasi disciplina, consapevoli che l’essenziale è il modo di formare la mente e la maniera di come insegnare ad apprendere ed a pensare in ognuna delle materie curricolari. L’educatore non può dimenticare il suo ruolo di mediatore -importante ed imprescindibile in questa ardua professione - senza trascurare il fatto che centro e protagonista dell’apprendimento è proprio l’educando. È necessario leggere, discernere, condividere le esperienze che aiutino a scoprire dove si trova la sfida stessa del cambiamento tra uno stile tradizionale mnemonico e la nuova maniera di imparare cognitiva, cosciente. Per questo dobbiamo necessariamente capire che il nuovo punto di riferimento della psicologia dell’apprendimento sono proprio le abilità cognitive che dobbiamo suscitare nell’educando, facendo leva sulla diversità dei modi, delle strategie e strumenti, che sono dei semplici mezzi in questa costruzione. Il dado è tratto. Possiamo fare molto, ma soltanto se siamo pienamente convinti della necessità che il cambiamento pedagogico è necessario e, quali pedagoghi, ci organizziamo per progredire nelle riuscite esperienze e nel rinnovamento che traccia il cammino di tutta l’istituzione che desidera progredire e sopravvivere di fronte alla nostra società tanto competitiva. L’educazione dei giovani merita tale sforzo in questa missione così entusiasmante ed attuale. (Lorenzo Tébar Belmonte)


Rivista Lasalliana 79 (2012) 1, 91-106

FRATEL ALESSANDRO ALESSANDRINI DELLE SCUOLE CRISTIANE* REMO L. GUIDI Studioso di questioni umanistico-rinascimentali

ugenio Alessandrini (5\11\1878-10\1\1956), futuro fratel Alessandro delle Scuole Cristiane, venne alla luce a Montalto di Castro, dove la famiglia rimase per poco, prima di trasferirsi a Roma; giunto all’età scolare, il ragazzo fu iscritto al Collegio s. Giuseppe, in Piazza di Spagna (3\10\86), scuola a indirizzo francese aperta un trentennio prima ed eccone la ragione. I soldati d’oltralpe, che agli ordini dell’Oudinot avevano posto fine alla Repubblica Romana (3\7\1849) richiamando sul Tevere Pio IX, restarono al suo fianco per circa due decenni; accadde così che le famiglie della guarnigione, per ricostituirsi, dovettero raggiungere la città eterna. Rimaneva in sospeso, però, il problema dei figli, e l’inserirli nelle nostre aule parve ipotesi non opportuna; pertanto a Parigi sollecitarono i Fratelli delle Scuole Cristiane (fondati in Francia da s. Jean-Baptiste de La Salle [1651-1719])1 a prendersi cura di quei ragazzi. Da questa contingenza nacque il collegio s. Giuseppe, al fianco del quale Leone XIII volle si saldasse l’istituto tecnico de Merode (1900), legato al nome dell’arcivescovo belga che lasciò un segno durevole nell’urbanistica della capitale; il s. Giuseppe e il de Merode, pur diretti entrambi dagli stessi religiosi lasalliani, fecero capo, per lungo tempo, a due gestioni autonome. D’ora in poi, per quasi mezzo secolo, la storia di questa scuola porterà il sigillo di Alessandro, che entrato al noviziato dei Fratelli delle Scuole Cristia-

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* L’articolo lo si riproduce per gentile concessione dell’Archivio Storico Italiano dove comparve nel 2009, pp. 625-644. 1 In proposito si può vedere quanto ricostruivo in Jean-Baptiste de La Salle: un problema storiografico del Grand Siècle, Roma 1999; J.-B. de La Salle (1651-1719): un uomo e i suoi interpreti, «Nuova Antologia», CXXXVI, 2001, 345-357; Jean Baptiste de La Salle (1651-1719). Premessa per una ridefinizione della sua figura, «Archivio Storico Italiano», CLXI, 2003, 503-540.


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ne ne vestiva l’abito il 17 settembre del 1898, tornandovi l’anno appresso come insegnante alla primaria; laureatosi, poi, in fisica e matematica (1902) tenne cattedra al de Merode (1906), divenendone, da ultimo, preside (1911-21); in realtà ebbe anche una parentesi di due anni altrove (1922-23), ma il suo centro gravitazionale e la stessa residenza restarono lì.

1. Oltre il concetto tradizionale di scuola La congregazione del La Salle, fin dal suo nascere, ebbe un carattere assolutamente laicale (i suoi componenti, cioè, non dissero messa), e si riconobbe in esclusiva nelle attività scolastiche, anche se attraverso i libri e, dunque, lo sviluppo dei programmi, i religiosi estesero il proprio campo di azione al reinserimento dei disadattati e dei fuori quadro, essi restavano legati alle aule, non essendo fatti per mettersi in strada, negli ospedali, nelle botteghe, o dovunque la società relegasse i ragazzi sottraendoli allo studio per sfruttarne la manodopera. Un impegno sociale, insomma, che non contemplasse un’istruzione regolamentata non sembrava coniugabile con i traguardi di Jean-Baptiste, e ciò spiega l’assenza degli elementi in età prescolare dai suoi pur vasti piani operativi. E invece Alessandro, fondando l’Associazione Educatrice Italiana (=A.E.I. [eretta a ente morale con R. D. 12\8\’27 n. 1560]), andò a posizionarsi in quest’area, con lo scopo di dotare le scuole materne di maestre atte a proteggere la crescita dei piccoli, rimettendone l’incombenza a un personale di formazione religiosa, ma non bigotto, in grado di coniugare il rispetto per il fanciullo con la capacità di leggerne addentro le tendenze, per farsene guida e interprete presso la famiglia e la collettività. Questo non era un compito semplice, che divenne rischioso quando fratel Alessandro, preoccupatosi dei bambini affetti da patologie tali da imporre ricoveri ospedalieri a lunga degenza, volle includerli nel suo piano di recupero ed educazione; d’accordo, infatti, con la Segreteria di Stato del Vaticano, la Direzione Generale della Sanità Pubblica e il Ministero degli Interni, aggiunse ai corsi dell’A. E I. quello per Educatrici del fanciullo malato (1935),2 perché le ragazze uscite con quel diploma potessero dedicarsi, con competenza, e in sintonia con la scuola da cui provenivano gli infermi, a

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In una circolare si diceva, infatti, che i compiti stabiliti da quelle disposizioni potevano assolverli le «diplomate delle scuole magistrali dell’Associazione Educativa Italiana che abbiano frequentato le lezioni dei corsi di soccorso medico e sociale». – Qualche mese dopo il Ministero dell’Interno, Direzione Generale della Sanità Pubblica (30\6\’36), diramò una circolare ai prefetti delle principali città, per sensibilizzarli sugli sbocchi incoraggianti offerti da quell’innovativo modo di accostarsi ai fanciulli malati: «si va peraltro affermando la necessità di un nuovo compito assistenziale, integrativo di quello strettamente sanitario, particolarmente


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prendersene cura nell’ottica di una più facile integrazione nella normalità, a ristabilimento avvenuto. L’A.E.I. rilasciava il titolo di Soccorso medico-sociale,3 e gli esiti dovettero essere incoraggianti, se merita fede un protocollo del Ministero dell’Educazione Nazionale (n. 28135) inviato dal ministro Giuseppe Bottai al Comando Generale della G.I.L. (Direz. Gen. Servizi Sanitario e Assistenziale), che riproduco avendone trovato copia tra le carte di Alessandro, al quale fu trasmesso per conoscenza (23\8’40): ho ricevuto la lettera con la quale cotesto Comando Generale prospetta la particolare situazione in cui si trovano i bambini ricoverati nell’apposito reparto del Sanatorio Forlanini di Roma, che hanno dovuto, per la loro degenza, interrompere la frequenza alla scuola, chiede venga esaminata la possibilità di inviare al sanatorio stesso una maestra, allo scopo di far loro riprendere gli insegnamenti scolastici. Premesso che un simile provvedimento non potrebbe avere gli stessi effetti dei regolari corsi scolastici, ma avrebbe solo lo scopo di fornire ai piccoli ricoverati un’assistenza spirituale, che completerebbe quella sanitaria, osservo che tali fini vengono da tempo perseguiti dalla benemerita Associazione Educatrice Italiana (Corso Vittorio Emanuele, 51, Roma). Tale ente, d’intesa col Ministero dell’Interno (Direzione Generale della Sanità Pubblica) ha infatti istituito l’Opera per l’educazione dei fanciulli, sorta come ‘volontariato’ da parte delle ex allieve delle Scuole magistrali e dei Magisteri dell’Ente stesso, le quali adempiono con entusiasmo, con spirito di sacrificio e ottimi risultati, la loro benefica missione. Cotesto Comando Generale potrebbe pertanto prendere opportuni accordi al riguardo con la presidenza della predetta Associazione. – Il ministro G. Bottai.

2. Oltre la cattedra: interazione del maestro con la vita Da quanto precede si evince come fratel Alessandro Alessandrini non fu un teorico, ma una persona la quale, muovendo dalla realtà, risaliva a quanto la produceva, e se essa contraddiceva le attese era in grado di sottoporre carenze e inadeguatezze a una sorta di screening, per rimuovere gli ostacoli, sciogliere nodi gordiani, ridisegnare programmi, nell’intento di mettere a

nei reparti dei bambini, i quali per ragione di cura debbono talvolta sottostare a lunghe degenze e nei reparti che accolgono minorati psichici e fisici, per vizio congenito o da infortunio. Se costoro, mentre ricevono le cure mediche, verranno sottoposti anche ad un opportuno regime educativo, per sottrarli all’analfabetismo e per suscitare in essi capacità e attitudini lavorative, verrà a raggiungersi un duplice benefico risultato: della restituzione e del miglioramento della salute fisica e dell’indirizzo di tali infermi verso una delle tante forme di produttività personale e sociale». 3 «Quest’ opera (o questa nuova iniziativa) ha avuto subito le approvazioni e gli incoraggiamenti della Direzione Generale di Sanità Pubblica. S. E. l’on. Buffarini-Guidi (Sottosegretario di Stato agli Interni), con apposita circolare del 30 luglio 1936, ha dato disposizione perché l’opera sorgesse in dodici grandi centri d’Italia», A. ALESSANDRINI, «Rivista Lasalliana», IV, 1937, 167.


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norma le cose, secondo le linee guida concordate con il Palazzo dei politici e il Vaticano, che lo aveva posto a capo del Segretariato pro Schola, «per lo studio e la soluzione dei vari problemi relativi alla attività dei cattolici». Egli non ebbe in animo, dunque, di sconvolgere, ma di correggere, non eresse barricate, ma ideò collegamenti all’interno della scuola per farla interagire con l’esterno, come è pur accertato che non ridusse i compiti del maestro, ma li accrebbe, non restrinse gli spazi e gli orizzonti della scuola, ma li estese: in qualità di preside, infatti, volle che gli alunni ricevessero, dalla stessa cronaca e dagli accadimenti più tragici, quelle lezioni di vita in grado di favorirne la crescita e la maturità morale, ragion per cui non attese un attimo, dopo il terremoto di Avezzano (13\1\’15), a portarli sul luogo per soccorrere la popolazione;4 ma concesse anche ampi spazi del de Merode per installarvi un ospedale militare durante la guerra del ’15-’18, dove, insieme ai ragazzi e alle famiglie, subentrò al personale paramedico quando, dopo Caporetto, gli organici dovettero raggiungere il fronte lasciando al tutto sguarnite le corsie. La circostanza straordinaria permise ad Alessandro una grande autonomia, e allora organizzò lezioni in corsia per gli analfabeti, altri li iscrisse alle belle arti o al conservatorio, per altri mise in piedi una filodrammatica, con il proposito, a fine conflitto, di restituire all’Italia uomini reintegrati nel fisico e interiormente più ricchi. Gli organi di governo, subito dopo la fine delle ostilità, non gli nascosero il proprio compiacimento e dal Ministero della Guerra, guidato da V. I. Zuppelli, gli giunse questo attestato: «[…] alla S. V., che per un periodo di oltre tre anni, seppe condurre l’Istituto de Merode, nella sua transitoria funzione sanitaria, con tatto geniale, con acume di scienziato e con fervore di Apostolo, questo Ministero altamente apprezzando l’opera fatta di carità e di sapienza, della quale tanto si avvantaggiarono i nostri militari infermi, esprime, con ammirazione, vivi sensi di gratitudine. - Pel ministro firmato F. Della Valle».

C’era, poi, l’altro aspetto della sua indole portata, in modo istintivo, a promuovere il dialogo tra gli interlocutori più ostici, attestatisi su posizioni antitetiche negli snodi, a volte, della stessa area ideologica;5 l’archivio di

4 Il Regio Commissario Secondo Dezza, di stanza ad Avezzano, così gli scriveva (Prot. N. 1708 [2\3\’15]): «sono vivamente grato a V. S. e all’Istituto da lei così egregiamente diretto della caritatevole e proficua azione svolta a sollievo della popolazione di questa città, colpita tanto duramente dal disastro del 13 gennaio scorso. E son lieto di aver potuto constatare lo spirito di vera abnegazione di cui ella, signor professore, ed i suoi giovani hanno dato prova nello svolgimento della efficace e generosa opera soccorritrice. Gradisca i rinnovati sensi della mia distinta considerazione. Il R° Commissario Civile etc.». 5 Sulle sue capacità di raccordo e doti di ascolto di Alessandro scommetteva il cardinale Pietro Gasparri (13\8\’23) nel metterlo a capo del Segretariato, sapendolo in possesso di requisiti tecnici («attesa la sua ben nota ed apprezzata competenza in materia»), competenze didat-


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Alessandro documenta, e in modo esaustivo, come egli raccolse la fiducia degli ecclesiastici e dei laici,6 dei progressisti e dei nostalgici del passato, degli Ebrei7 e dei fascisti,8 dei ministri9 e della regina Elena,10 premesse che gli consentirono di preparare incontri, risolvere problemi, condurre al tavolo delle trattative gli indocili, trascorrere dall’aula di fisica del de Merode alla Carnia per il controllo della radiologia e radiografia negli ospedali da campo della Terza Armata (1917).11

tiche (sarebbe stato di sua pertinenza «esercitare opera di consulenza, di propaganda, di illustrazione dei principii cui devono ispirarsi il movimento educativo cattolico e l’azione scolastica in generale»), e versatilità di ingegno dovendosi portare «spesso nei vari centri diocesani per tenervi conferenze, partecipare a convegni, presiedere riunioni delle commissioni di segretariati». 6 Inviato al Cairo e ad Alessandria d’Egitto (1924) dal Ministero degli Esteri, per riferire sul modo come lì si adeguavano alle norme dell’insegnamento religioso sancite dal concordato, riceveva l’elogio di Andrea Cassulo delegato apostolico: «il suo efficace intervento è stato una vera e grande provvidenza per tutti». Anche Andrea Franzoni lo ringraziava per «per avere espletato l’incarico […] con molto acume» (8\8\’24). 7 Di passaggio noterò che il de Merode e l’Angelo Mai (case di cui Alessandro fu a capo) accolsero e protessero, insieme alle altre istituzioni dei fratelli a Roma, oltre 90 Ebrei durante le repressioni razziali. 8 Andrea Franzoni in qualche caso (17\12\1923), prima di trasmettere le circolari, si consigliava con Alessandro («eccole la minuta della nota circolare. Mi faccia sapere se sono fedelmente riprodotti i nostri accordi»), e una volta giunse a richiedere i suoi buoni uffici per avere la cattedra di pedagogia al Regio Istituto Superiore di Messina («ella è persona che può farlo»); Alessandro gli rispondeva (26\8\’24): «ho parlato anche a lungo, proprio oggi con Gentile […], sarà chiamato quanto prima. E’ questione di pochissimi giorni». 9 Il ministro Balbino Giuliano si complimentava con Alessandro nei termini seguenti (N. Prot. 1147 [20\11\1930]): «mi è nota l’opera che la S. V., per l’incarico ricevuto da questo ministero, ha finora svolta, nel campo dell’insegnamento religioso nelle scuole elementari del Regno. Nell’esprimere a V. S. il mio vivo compiacimento per i risultati ottenuti, ritengo conveniente ch’Ella assuma anche l’incarico di mantenere gli opportuni collegamenti fra le Autorità ecclesiastiche e quelle scolastiche, affinché vengano agevolmente composti gli eventuali dissensi in materia di insegnamento religioso negli Istituti d’istruzione media classica scientifica, magistrale, tecnica e artistica» 10 La regina, nell’intento di reperire i fondi per beneficenza, permise la vendita delle sue fotografie con autografo, e una di queste fu offerta ai ricoverati del de Merode, con la motivazione che segue: «signor direttore, Sua Maestà la Regina si è compiaciuta destinare, in segno di benevolenza a cotesto benemerito istituto, la propria fotografia con firma autografa. Ho pertanto il pregio di rimettere a Lei, con la presente, l’augusto dono, e mi valgo dell’opportunità per presentarle, signor direttore, la mia distinta osservanza. La dama di corte di servizio contessa di..». Firma non decifrata. 11 I suoi spostamenti sono documentati da non pochi lasciapassare, fattigli giungere dagli alti gradi dell’esercito, che autorizzavano «il rev. Alessandrini Eugenio, di Alessandro, professore di fisica, a transitare per la zona di guerra per recarsi a Vittorio Veneto in seguito ad invito di mons. Caroli, vescovo di Ceneda, ed ivi soggiornare per tre giorni per sistemare un impianto radiografico in quel seminario adibito ad ospedale» (5\9\’15); l’Intendenza Gene-


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E i riconoscimenti, in proposito, pervennero ad Alessandro dalle due sponde: quella ecclesiastica e quella civile. Scriveva di lui il cardinale Pietro Gasparri a un vescovo non meglio identificato (20\12\’23): […] affine di procurare e di facilitare questi contatti [con i circoli didattici e il provveditore], il professore Alessandro Alessandrini, delle Scuole Cristiane, che ha già felicemente trattato con grande zelo e competenza siffatte questioni a Roma, verrà costì per mettersi a disposizione di V. S.; ed essendo egli persona di piena fiducia della Santa Sede, lo raccomando caldamente alla benevolenza della S. V. certo che Ella lo favorirà del suo meglio nel delicato compito.

Dall’altro fronte Alessandro raccoglieva l’attestato che segue, fattogli pervenire dal ministro Giuliano Balbino (N. Prot. 1147 [20\11\1930]): mi è nota l’opera che la S. V., per l’incarico ricevuto da questo ministero, ha finora svolta, nel campo dell’insegnamento religioso nelle scuole elementari del Regno. Nell’esprimere a V. S. il mio vivo compiacimento per i risultati ottenuti, ritengo conveniente ch’Ella assuma anche l’incarico di mantenere gli opportuni collegamenti fra le Autorità ecclesiastiche e quelle scolastiche, affinché vengano agevolmente composti gli eventuali dissensi in materia di insegnamento religioso negli Istituti d’istruzione media classica scientifica, magistrale, tecnica e artistica

Questo cocktail bene assortito di tratti distintivi si rivelò prezioso quando, in funzione di ispettore generale per l’insegnamento religioso (1930), fece deporre la sfiducia reciproca a non pochi provveditori e vescovi, fattisi, per opposti motivi, gli uni sospettosi degli altri;12 e qui mi vengono in mente le controversie di competenze tra presuli e autorità civili avutesi a Gorizia (12\1\’31) e Milano (12\2\’32), risolte da Alessandro per diretta richiesta del ministro Giuliano Balbino. Per ragioni legate ai ruoli ricoperti e, soprattutto, all’A.E.I. Alessandro dovette spesso mettersi in viaggio per uniformare metodi e ritmi nelle varie istituzioni; in queste circostanze c’era nella sua agenda un susseguirsi sincopato di colloqui, conferenze, verifiche, discussioni e confronti per assistere, imporre e, se il caso, correggere; inoltre non mancavano mai le visite ai

rale del Regio Esercito gli rilasciava un «salvacondotto valevole per giorni 8, dal 7 maggio 1916 e serve per recarsi da Treviso a Udine e viceversa per ragioni tecnico-sanitarie». Il Comando Supremo, inoltre, lo autorizzava a «recarsi da Udine a Palmanova-Cerignano, Tricesimo-Tolmezzo e viceversa, per esaminare il funzionamento degli impianti radiografici nella zona di guerra ed ottenere a Cerignano il permesso per proseguire nel territorio delle operazione della 3ª Armata» (11\5\’16). 12 Con più d’uno dei provveditori Alessandro stabilì rapporti assai confidenziali e, non una volta, su quelle carte finirono note di cronaca domestica, attese per trasferimenti, e curiosità di vario genere; le testimonianze le tramandano le lettere inviategli da Umberto Renda (Torino), Gaetano Gasperoni (Venezia), Vincenzo Pera (Cagliari), Ambrogio Mondino (Triste e Zara), Mario Servetto (Cosenza) ecc.


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vescovi, ai provveditori e al mondo che gravitava attorno alle istituzioni scolastiche: ad essi doveva trasmettere gli orientamenti del Palazzo muovendosi su una sorta di terreno minato, per non costringere il Vaticano e il partito fascista a ridiscutere accordi raggiunti dopo mille sospetti. Il Segretariato pro Schola ebbe un Bollettino dal quale si ricava che nel mese corrente il direttore <fratel Alessandro> si è recato, per ragioni del suo ufficio, a Campobasso, a Firenze, a Milano, a Bologna, a Vicenza, a Venezia, a Udine. Nelle città suddette ha presenziato varie riunioni dei Segretariati per la scuola, degli insegnanti di religione, degli ispettori per l’insegnamento religioso ecc. A Vicenza tenne una conferenza al Pro Cultura, sul Valore morale dell’educazione fisica e un’altra conferenza ai maestri elementari sul tema Religiosità e religione. A Venezia presenziò una riunione dei delegati vescovili per l’insegnamento religioso di tutta la regione Veneta. A Udine tenne una lezione sull’azione scolastica alla settimana del clero per l’Azione Cattolica. Ebbe anche occasione di fare alcune conferenze d’indole religiosa a quei seminaristi e a un gruppo di 150 dirigenti e soci dei circoli giovanili cattolici maschili della diocesi.13

Gli impegni del fratello diventavano di giorno in giorno più numerosi e dispersivi, risultando dislocati su tutto lo scacchiere nazionale, sicché fu giocoforza per lui mettersi al fianco una segretaria, le cui garanzie e competenze, però, avrebbero dovuto essere di alto profilo, dovendo trasferirle un’opera di filtro su largo spettro per gestire, in prima battuta, l’organizzazione della sua agenda personale, lo spoglio della corrispondenza, il disbrigo delle pratiche burocratiche, i contatti esterni dell’Associazione, il vaglio delle richieste partite dall’autorità scolastica, il controllo amministrativo, i raccordi assidui tra il centro dell’ente e le sedi periferiche; c’era, da ultimo, una sorta di bouquet il quale, a somiglianza di una filigrana, doveva essere sotteso dietro ogni carta e ogni faccenda espletata, da individuarsi nella emersione di una spiritualità aperta, disponibile, disgiunta le mille miglia dal puritanesimo, dalla voglia propagandistica di far proseliti, ma che non temeva di esprimere le proprie scelte di appartenenza, per sentirsi in armonia con sé, e, dunque, meglio disposta a rendersi utile. Alessandro stava ancora nel pieno delle forze, quando il fisico, stanco di essere sottoposto a sovraccarichi di affaticamento14, gli ingiunse, con un 13

M. SBORCHIA, Un educatore apostolo cit., 161. Qui penserei allo strapazzo degli spostamenti, per cui parve lecito chiedere agevolazioni di viaggio al ministero dell’Aeronautica, dal quale così si rispondeva (prot. N. 19509 [2\12\’30]): «questo Ministero ben volentieri avrebbe aderito alla richiesta di concedere la tessera personale di libera percorrenza sulle aviolinee italiane al rev. prof. Alessandro Eugenio Alessandrini se le convenzioni stipulate con le società civili esercenti le linee stesse non escludessero tassativamente il rilascio di tessere di libera circolazione in considerazione dello scarso numero dei posti disponibili sui vari apparecchi delle linee. Nella impossibilità, quindi, di accogliere integralmente la richiesta di codesto ministero, lo scrivente sarà lieto di poter mettere a disposizione del predetto professore Alessandrini qualche biglietto gratuito per singoli viaggi […]. Il ministro F.to Balbo». 14


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perentorio altolà, di fermarsi per corrispondere un pedaggio che dovette sembrargli davvero esoso ed esorbitante; e a diagnosticargli la gravità del male fu suo fratello Paolo che, nel tentativo di sottrarlo a una morte precoce, fu dell’avviso di mandarlo a Parigi per una temibile operazione al cervello (1934). L’esito fu che Alessandro dovette iniziare ad arrendersi su molti fronti poco prima ritenuti irrinunciabili, relegandosi verso le linee esterne della stessa A.E.I., e a concedere spazi ad Annita Ferrari (1887-1992),15 sopravvissutagli per 49 anni e identificatasi tanto nei suoi piani di lavoro da subentrargli dovunque, soprattutto quando, dopo il 1943, egli perse pure la parola. Della operosità di Alessandro, dei suoi larghi contatti umani e dell’ampiezza dei suoi panorami mentali, dicevo, fa fede un archivio ricco di richiami per la ridondanza delle carte, la varietà dei contenuti e delle persone che vi emergono, per gli sbocchi su una granitura finissima di fatti e problemi colti da un punto di vista privilegiato, e trasmessi con l’immediatezza del testimone il quale non ambisce sostituirsi allo storico, ma si limita a registrare quanto ha pur visto e vissuto; egli non fu, e forse non volle nemmeno essere, un protagonista, per cui quando si trovò a interpretarne per un momento il ruolo, lo fece con l’urgenza di chi ambiva riposizionarsi subito dentro i ranghi. Cosa realmente racchiudano quelle carte oggi è difficile dirlo, visto come nessuno le ha mai studiate, e chi scrive, intuitane la natura composita, si è posto dei limiti ben precisi nel curiosarvi, ritenendosi pago di incidere percorsi periferici attorno a una personalità indubbiamente eclettica, in grado, dunque, di attrarre;16 ma lo ha fatto anche per rileggere nelle frange alcuni aspetti del vissuto, che marginali non erano quando accaddero.

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E infatti il cardinale Francesco Marmaggi comunicava al superiore generale frère JunienVictor (19\7\’40), che le condizioni di Alessandro imponevano di recidere gli impegni da lui gestiti per conto della Congregazione del Concilio; del fatto erano a conoscenza il segretario di stato (card. Luigi Maglione), il nunzio apostolico in Italia (Francesco Borgoncini Duca) e il direttore generale del Ministero dell’Educazione Nazionale, i quali concordi sollecitavano la nomina di un sostituto, ma «a tale riguardo –proseguiva Marmaggi– prego la signoria vostra reverendissima di esprimere il più vivo ringraziamento di questa sacra Congregazione al fratello Alessandrini per l’opera zelante da lui svolta nel campo dell’insegnamento religioso scolastico insieme al rammarico per il di lui allontanamento». 16 Se l’archivio di fratel Alessandro è arrivato fino ad oggi, lo si deve allo scrupoloso lavoro della Ferrari, e desta non poca meraviglia la mole dei documenti lì accolti in faldoni stracolmi, da lei battuti su una macchina da scrivere non ancora elettrica, e mai ferma; nel rileggere le seconde copie di quelle missive in carta vergatina, qua e là un po’ sbavate dalla carta carbone, passano sotto gli occhi del lettore capi di governo e ministri, presuli e capitani di industria tutti chiamati a riflettere sul mondo della scuola e i suoi annosi problemi.


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3. Oltre gli orizzonti pedagogici di J.-B. de La Salle Non è facile capacitarsi come mai un giorno fratel Alessandro finì per estendere le sue attenzioni ben oltre il contesto consentitigli dalla Conduite des Ecoles,17 cioè dalla magna charta pedagogica redatta da s. G. B. de la Salle e dai suoi primi discepoli, perché il volersi rivolgere alla educazione dei fanciulli in età prescolare lo avrebbe posto in un’area mai lambita dalla precettistica della sua congregazione, obbligandolo a confrontarsi in solitudine con incognite gravose e tutte da verificare. In altri termini immettersi in quel campo equivaleva a prefigurarsi un organismo con peculiarità e norme proprie, come anche gli si imponevano la creazione di uno staff manageriale e il tirocinio degli organici da scegliersi tra le donne, trattandosi, insomma, di dar vita a una sorta di giardini d’infanzia.18 E qui potevano sorgere blocchi istintivi nella mente di Alessandro, perché le donne, nella terminologia claustrale, erano le persone dell’altro sesso,19 da accogliere con esibito fastidio,20 da non far mai entrare in aula, né importa se erano solamente fanciulle: «on n’y laissera entrer ni fille ni femme pour quelque cause que ce soit à moins que ce ne soit pour visiter les enfants pauvres et qu’elles ne soient accompagnées de monsieur le curé de la paroisse ou de quelque autre ecclésiastique chargé du soin des pauvres de la ville».21 Queste idee, che per qualcuno potevano essere pregiudizi, avrebbero dovuto indurre Alessandro a non implicarsi in un progetto il quale non poteva andare in porto se non puntando proprio sulle donne; dovettero,

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Vedila in J.-B. DE LA SALLE, Oeuvres complète, Roma 1993, 596-729. Quando il 9\2\’25 Alessandro riunì nello studio di un notaio romano il gruppo di amici più solidali per ratificare le linee programmatiche di quella che sarebbe stata l’A.E.I., tra di essi c’erano anche Maddalena Patrizi-Gondi (presidente della Unione Donne Cattoliche e a capo della Unione Femminile Cattolica Italiana; durante il primo conflitto mondiale, inoltre, diresse l’ospedale dell’Addolorata [A. MORESCHINI, Enciclopedia Cattolica 9, 968]) e Armida Barelli cofondatrice dell’Università Cattolica. Queste signore e altre (tra cui Maria Carena, Rita Milani, Marta Moretti) ebbero in Alessandro un corrispondente discreto e affidabile, al quale ricorsero per risolvere i non pochi problemi gestionali sorti nell’organizzare il movimento cattolico delle donne. 19 «Lors qu’ils parleront a quelque personne d’ autre sexe, ils s’en éloignerons toujours de quelques pas et ne les envisageront jamais fixement», Règles des Frères des Ecoles Chrétiens, testo del 1705, in Cahier Lasallien 25, Roma 1965, 73. 20 «l’affabilité avec laquelle ils sont obligez de parler aux mères de écoliers pour ne les pas rebuter, ne doit pas les empêcher de garder cette retenue à leur égard, et ils auront soin de terminer avec elles en peu de mots», ivi. –Il corsivo fu aggiunto in una redazione posteriore della regola, ivi 21 Testo del 1718 in loc. cit., 45. 18


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comunque, abbattere le sue resistenze le richieste pervenutegli dall’esterno della istituzione, stando a una sua memoria vergata nel 1937 in ossequio a un sollecito fattogli dai superiori: per invito della giunta centrale di Azione Cattolica, e con l’augusta autorizzazione e un primo notevole sussidio del santo padre <Pio XI>, fondai l’Associazione Educatrice Italiana con lo scopo principale di provvedere alla assistenza e agli asili d’infanzia e di formare le maestre d’infanzia del grado preparatorio. L’associazione, in seguito, è stata eretta in ente morale <nel 1927>, ed è largamente sussidiata dal ministero. Attualmente ha 22 scuole di metodo, cioè magistrali (nella massima parte affidate a religiose), e assicura ormai la preparazione della quasi totalità delle maestre d’asilo per tutta Italia. Questa Associazione è amministrata da un consiglio di elette personalità, quasi tutte dirigenti di azione cattolica italiana, e io ne sono il direttore generale.22

Alessandro, pertanto, pianificò l’A.E.I. in un cenacolo di amici ricordati da Paolo VI, quando rievocò la sua amicizia con lo scomparso ( 23\1\’64): in quel novero di sodali, che stette vicino ad Alessandro, il pontefice includeva «in primo luogo, colui che fu maestro insigne di greco, il prof. sen. Nicola Festa, il quale fu il primo presidente generale dell’Associazione Educatrice Italiana. Al pio ricordo è giusto associare l’altro presidente generale dell’Associazione, difensore convinto della educazione cristiana nella società italiana in giorni molto difficili: il compianto prof. sen. Luigi Montresor. Né può obliarsi un altro valoroso militante, di recente scomparso, e che fu tra i più vicini a fratel Alessandro nel periodo della fondazione: l’on. avv. Camillo Corsanego, salito ormai anche egli al premio eterno, dopo una operosa vita di alto insegnamento e di coraggiosa affermazione degli ideali cristiani. Sembra infine doveroso far menzione d’un altro personaggio, divenuto cardinale di santa Chiesa? amico e collega del defunto pontefice nella Segreteria di Stato, il quale si interessava all’Associazione Educatrice, con viva benevolenza e cordialità: il compianto Domenico Tardini.

Ma a quella iniziativa dettero apporto pure Luigi Colombo, presidente generale dell’Azione Cattolica (1922-29),23 e Giuseppe Lombardo Radice all’epoca impegnato a redigere, alle dipendenze di Giovanni Gentile, i programmi ministeriali delle elementari;24 interlocutore saltuario del fra-

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La richiesta, partita dal Belgio, con la firma di fratel Candido Chiorra (12\10\’32), doveva mettere fine anche alle voci incontrollate sul conto di Alessandro, la cui attività risultava tanto insolita da autorizzare, tra i colleghi all’estero, le ipotesi più bizzarre. 23 Fu Alessandro a preparare per lui un promemoria (24\1\1923) da rimettere a Giovanni Gentile, volto a difendere i contenuti cristiani dell’insegnamento, a proporre indirizzi nella scelta di maestri e ispettori che avessero la fiducia della gerarchia, e le modalità in atto per risolvere eventuali dissidi di competenza tra autorità civili e religiose. 24 Nel mare di lettere inviate ad Alessandro non mancano quelle di Lombardo Radice, uscitegli di penna currenti calamo e, dunque, con grafia pressoché illeggibile, disordinate nell’assetto delle righe sullo specchio della pagina, e perfino con triplice sottolineature dei vocaboli; esse, però, rivelano una fiducia senza riserve per il corrispondente, al quale chiedeva, con garbo, una raccomandazione («caro Fratello, legga con animo sereno; e se crede spedisca con una sua giusta parola. Grazie»), o gli faceva sfoghi a cuore aperto, per il boicottaggio cui Sacconi ed altri fascisti lo stavano sottoponendo (25\11\’27), meritandosi, da ultimo, «una spe-


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tello fu anche Andrea Franzoni, a capo dell’Ente Nazionale per l’Educazione Fascista. Nacque, così, l’A.E.I. con uno scopo sociale,25 ma a forte caratura religiosa,26 testimoniata da un florilegio di piccole guide redatte da Alessandro, per incentivare la pietà delle educatrici,27 non certo per soffocarne la fantasia, in modo diverso non sarebbe stato, per dirla con Giovanni XXIII (capodanno del ’59), quell’uomo «aperto a tutti i problemi, e più particolarmente a quelli che hanno per fine l’educazione e l’elevazione dei giovani». Nella struttura mentale di fratel Alessandro le prospettive religiose servivano a promuovere lo slancio dell’individuo, non a opprimerlo, e la religione, lungi dall’essere un codice di divieti, andava intesa alla stregua di una opportunità straordinaria per realizzarsi nella pienezza delle proprie attitudini; il fatto, poi, che nell’A.E.I. cinque delle sue collaboratrici, «sulle quali egli fondava tante speranze per le sue opere»,28 prendessero il velo non deve trarre in inganno: quelle scelte nacquero dietro pulsioni autonome, non per plagio. Il tempo ha voluto risparmiare un suo ristretto numero di conferenze inedite al corpo docente dell’A.E.I., e in una di queste parlando delle amicizie particolari, affezione sentimentale cui andavano soggette le ragazze nei collegi, consigliava molta prudenza per mettere in guardia da intro-

cie di scomunica da gente cristiana e cattolica, perché…io non sono nelle grazie di Sacconi […], proprio io sono il reietto, le dico con cuore davvero cristiano, anche se paio meno cristiano di loro […]. Lei, ora, mi perdoni. E mi assolva, anzi!». Vivacissimo un suo foglio a mons. Angelo Zammarchi, per presunti torti subiti da chi gli voleva male, e girato, poi ad Alessandro (24\11\’27). 25 La formazione delle educatrici fu voluta per difendere l’infanzia, messa a rischio dalle madri che lavoravano, dalla emarginazione sociale, dalla ignoranza e dalla povertà; l’A.E.I. intendeva «fare delle scuole materne dei luoghi di stimolazione dei poteri percettivi dei bimbi», A. M. LUCCHIARI IPPOLITONI, 1925-1985 sintesi storica dell’A.E.I., Roma 1986, 9. 26 Il nome esatto dell’A.E.I., in realtà, era quello di Ente per la Educazione Cattolica e, nello statuto rilasciatole dalla Congregazione dei Seminari e degli Studi, così se ne precisavano i compiti (31\7\’43): essa «ha lo scopo di curare in Italia l’educazione cattolica dell’infanzia e della gioventù. Si interesserà, d’intesa con le competenti autorità ecclesiastiche, alla creazione di centri di studio, di opere ed istituzioni educative, e coopererà al migliore funzionamento di quelle già esistenti». Per il rilascio dell’originale fu pagata una tassa di lire 500, come dichiara il taxator Angelus Bresciani nel retro della pergamena. 27 I fascicoli non riportano l’anno di stampa, cf. La s. messa del bambino; Le divozioni dei bambini; La preghiera dei bambini; La vita morale dei bambini; I bambini e l’Eucarestia; I bambini e la Madonna, nell’ultima pagina di questo fascicolo si ricorda come nel Vangelo c’è scritto: «lasciate che i piccoli vengano a me! Diamo a Lui questa soddisfazione; rendiamo l’infanzia sempre più capace di preghiera». 28 La testimonianza la prendo da un appunto di Annita Ferrari.


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missioni più precipitose che sagge, più da moralisti accigliati e non da guide raccomandabili: col pretesto che bisogna opporsi all’inizio del male, si vogliono soffocare tutte le simpatie incipienti; bisogna pensare che forse le amicizie più preziose per la vita hanno origine sui banchi del collegio […]; non dobbiamo solo impedire gli affetti cattivi; bisogna anche dar modo all’affetto esuberante di incanalarsi. La vita è fatta non solo di negazioni; la vita è fatta specialmente di affermazioni.

Ma le idee di Alessandro andavano anche oltre. La scelta cristiana del corpo docente immesso nelle file dell’A.E.I. non poteva tramutarsi in proposito missionario, quasi che le aule dovessero essere una succursale del chiostro, e su questo punto la sua larghezza di vedute, forse, dovette suscitare meraviglia e sconcerto in qualche pavida ascoltatrice, avendo difeso la laicità delle ragazze, destinate a formarsi una famiglia, e a muoversi nelle articolazioni di una dinamica fatta di autonomia e responsabilità («abituiamo le alunne ad una vita di comunità religiosa e non le formiamo per la vita del mondo»); la religione, quindi, restava il regno di gente non soggetta a violenze, non contorta, non afflitta da scrupoli, e a quelle che si trovassero in angustie di spirito consigliava una salutare visita medica («ragazze che hanno idee fisse, scrupoli, timori di persecuzioni, fobie varie, angosce, manie mentali o tic nervosi, devono essere sottoposte a una vera terapia da parte del medico»). E in un intervento di fine anno scolastico a Trento fu ancora più chiaro (1937): «siamo portati ad attribuire allo spirito quello che molte volte è dovuto alla materia». Alessandro, pertanto, si posizionava parecchie lunghezze innanzi alla mentalità claustrale dei suoi giorni, superando anche quella di accreditati maîtres-àpenser; ma questo valeva nel suo rapporto con i laici, di cui comprese e rispettò i ruoli. Nell’intimo egli mantenne ritmi e, forse, valutazioni all’antica, per così esprimermi, se non per libera scelta, per adeguarsi a quanto gli significavano i superiori. Sta il fatto che dentro un cofanetto, nel quale credevo fosse rifluito un plico del suo disperso carteggio, mi sono imbattuto in una cordicella irta di nodi con la quale il sant’uomo si disciplinava, e, sempre lì, ma avvolto in una pezza grossolana come a ripararlo da occhi indiscreti, è comparso pure un cilizio provvisto di temibili punte con il quale costringere gli arti. E’ indubbio che la dimensione più consona per comprendere la figura e l’opera di Alessandro resta quella religiosa, ma, come notavo più sopra, essa rimase un approdo nel quale gettava le ancore solo dopo un lungo periplo nei regni dell’uomo, per comprenderlo e valorizzarlo; una religione la sua che, per sentirsi in armonia con Dio, gli chiedeva di non disconoscere la concretezza del mondo, e l’obbligo di soccorrerlo per migliorarlo, non per respingerlo come nelle epoche passato piacque a non pochi maestri di ascetica. L’A.E.I., quindi, non era un’anticamera per il noviziato, essendo aperta


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a un personale (docente e discente) ambizioso di qualifiche e di successi, all’interno di una dialettica mai statica e sempre pronta a ridiscutere le proprie certezze. Non certo a caso, parecchi decenni dopo, Giovanni Paolo II incoraggiava le educatrici a muoversi lungo questi dossi (2\3\’86): considerando il continuo sviluppo della realtà sociale e culturale italiana, si comprende come il vostro sodalizio abbia sentito e senta la necessità di assicurare alle educatrici una formazione professionale sempre più accurata e qualificata. Da qui il progetto e l’intento di portare i corsi ad un livello universitario.

Ma non poche scuole, dipendenti dall’autorità ecclesiastica, risultavano inadeguate perfino nel proporre il messaggio religioso in aula, vanificando le opportunità offerte dal concordato («una parte degli attuali insegnanti, pur essendo animata dai migliori propositi, si trova, di fatto, impreparata a tale insegnamento»29); e la diagnosi si faceva più pungente perché le carenze, oltre ad essere dei singoli, stavano raggiungendo le istituzioni, come emerge da una preoccupata verifica fatta in un incontro ristretto al quale, insieme al cardinale Gaetano Bisleti, partecipò pure fratel Alessandro (23\4\’29): «tranne alcune lodevoli eccezioni –si disse in quella circostanza– una gran parte di essi <istituti religiosi> rivela deficienze notevoli nella cultura degli insegnanti, nella elaborazione dei programmi, nei risultati raggiunti». E il ritardo didattico rischiava di farsi macroscopico nell’insegnamento della religione, con grande disagio della gerarchia battutasi con fermezza e a lungo in materia, per imporre i propri punti di vista nel concordato;30 si constatava, dunque, di essersi conquistati un diritto, e di non avere i mezzi idonei per ben esercitarlo, perciò, anche con il concorso dell’Università Cattolica, si organizzarono un po’ ovunque centri di aggiornamento per gli uomini in cattedra, mentre si nutrivano perplessità sulla persona cui far redigere il quinterno di religione, da includere nel testo unico. Il ministro

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A. ALESSANDRINI, L’insegnamento della religione nelle scuole pubbliche del Regno d’Italia, Roma 1925, 3s. Con termini più incisivi, in un promemoria circa la pubblicazione di una rivista per insegnanti medi (23\10\32), un Luigi Rivara, a me non noto altrimenti, firmava una vero atto di accusa, perché, a suo modo di intendere, «nel caso specifico dell’insegnamento sedicente cattolico, spesso si deve costatare che di cattolico negli istituti non c’è che il nome». 30 Luigi Colombo, presidente dell’Azione Cattolica e portavoce del Vaticano, in un memoriale a Giovanni Gentile chiedeva, fin dal 24\1\’23, «che l’insegnamento religioso cattolico, sia riconosciuto come elemento organico e materia obbligatoria dell’istruzione elementare, in tutti i suoi gradi: inferiore, superiore e corso popolare […]. Che la dichiarazione di idoneità degli insegnanti incaricati di impartire l’istruzione religiosa e possibilmente la loro scelta vengano demandate alla competente Autorità ecclesiastica», M. SBORCHIA, Un educatore apostolo cit., 115.


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Giuseppe Belluzzo, comunque, non soffriva certo di simili angustie, scrisse, infatti, ad Alessandro (18\12\’28): «per la redazione della parte che riguarda l’insegnamento della religione nelle singole classi, la Commissione intende dare incarico alla S. V., come persona che per alto valore e per altissimo sentire è ben degna di assolvere questo compito. Qualora la S. V. non possa assolvere personalmente l’incarico, vorrà designare persona di suo gradimento che possa compiere il lavoro.31

Ma i progressi erano lenti per cui Alessandro, in una conferenza tenuta a Roma, ritornò sul tema segnalando, ancora una volta (4\12\’29), «l’impreparazione del clero al nuovo, delicato, difficile incarico»; e le sue parole avevano il vincolo della concretezza e dell’esperienza, derivategli dagli anni di insegnamento, dai contatti umani su un vasto scacchiere del territorio e dagli anni di presidenza al de Merode.32 Il risultato fu che si ideò un corso universitario, con annesso collegio per le religiose, nell’ottica di rivitalizzare la scuola cattolica immettendovi leve capaci di rispondere, in virtù di una migliore formazione, alle esigenze del momento.33 La scuola per Alessandro doveva assolvere, e nel migliore dei modi, i suoi compiti, e cioè promuovere la crescita di quanti la frequentavano, e i moduli adottati dall’A.E.I. raccolsero le simpatie dell’attento cardinale G. Bisleti, prefetto della Congregazione dei Seminari e delle Università degli Studi, che così gli scriveva (26\9\’32): per ben corrispondere alla fiducia del sommo pontefice <Pio XI> ho deliberato di nominare una commissione di persone competenti per dottrina e conoscenza dei problemi scolastici […]. Con il presente foglio prego la Signoria Vostra di farne parte.

I contributi di Alessandro non dovettero deludere il presule, che così gliene rendeva atto (21\6\’33): ringrazio la S. V. dell’opera che presta con tanta diligenza e voglio sperare, continuerà a prestare a servizio di questo sacro dicastero.

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M. SBORCHIA, Un educatore apostolo cit., 137. Due mesi dopo quell’incontro Alessandro inviava a mons. Beniamino Nardone, poi arcivescovo in partibus (1962), gli appunti richiestigli sulle scuole cattoliche, e il referto risultava davvero impietoso («manca qualsiasi efficace azione di coordinamento, assistenza, vigilanza dal punto di vista religioso, morale, didattico, igienico»); però egli si diceva a disposizione per studiare ogni possibile rimedio: «li esamini <gli appunti>, e faccia tutte le correzioni e le aggiunte che crede. Mi telefoni quando desidera che ne parliamo insieme». 33 Una circolare della Sacra Congregazione dei Religiosi non datata (prot. N. 3702\20) portava a conoscenza che «in Castelnuovo Fogliani, presso Piacenza, viene costituito, in relazione con l’università cattolica del s. Cuore di Milano, l’Apostolico Istituto del s. Cuore», con una sezione di magistero per sole religiose: «annesso a tale sezione […] è eretto un pensionato per le suore delle varie congregazioni che frequenteranno i corsi di detta scuola». 32


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L’A.E.I. doveva essere, nella mente del fondatore, un percorso capace di promuovere nelle iscritte sentimenti e propositi di emergere per sentirsi realizzate, e, perciò, in possesso di quell’ottimismo necessario a chiunque si affianchi alle giovani generazioni, al contatto con le quali Alessandro sollecitava un continuo aggiornamento; anche per le sue alunne, perciò, egli mise in cantiere un corso universitario, al quale potessero accedere quelle che volevano impegnarsi con i figli dei nostri emigrati. D’accordo con Luigi Volpicelli, per un trentennio titolare della cattedra di pedagogia al magistero di Roma, ratificò una Convenzione tra l’Istituto di Pedagogia della R. Facoltà di Magistero di Roma e l’A. E. I. (30\2\’41), nell’intento di istituire «uno speciale corso di studio per il perfezionamento degli insegnanti italiani che aspirano all’insegnamento nelle suola italiane all’estero». Il ciclo si sarebbe articolato in sezione A (per scuole medie e superiori, secondo la vecchia denominazione) e sezione B (per le elementari) e per un triennio, a titolo di esperimento, avrebbe avuto la durata di un anno (dal 1° ottobre al 30 settembre).34 Lo sbocco più naturale di quel corso, al momento, parve la Francia, Paese in cui la situazione dei nostri emigrati, subito dopo la guerra, seguitava a destare problemi, né i recenti ricordi delle truppe italiane alleate con quelle tedesche, che tanti mali danni avevano fatto oltralpe, erano tali da conquistarci stima e simpatie. E a farne le spese erano, soprattutto, i figli dei nostri connazionali, che stentavano a integrarsi. I due Stati compresero che la soluzione del problema avrebbe avuto risvolti positivi per entrambe le parti, e la Chiesa stessa, attraverso i buoni uffici di Angelo Roncalli amico di Alessandro, all’epoca Nunzio a Parigi, spingeva in tal senso;35 comunque si richiesero cinque anni di negoziati a livello diplomatico tra i due Stati, prima di giungere all’apertura di una filiale dell’Associazione in Francia (A.E.E.F.I.),

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Non tralascerei di sottolineare un dettaglio della Convenzione (che fu incoraggiata anche dal Ministero degli Affari Esteri), nel quale la formazione morale delle educatrici fu riconosciuta come un valore: «presente l’importanza che nel campo della politica internazionale italiana ha, non solo la specializzazione didattica, ma la particolare formazione morale e politica delle insegnanti destinate alle regie scuole italiane all’estero». Un qualcosa in seguito fu fatto alla Cattolica di Milano con un corso di pedagogia affidato ad Aldo Agazzi (Rep. n. 4 del 7\6\’60), per facilitare quanti aspiravano alla direzione didattica, a una carriera ispettiva, o solamente a prendere una laurea. 35 In una lettera assai cordiale da Parigi il futuro pontefice gli scriveva tra l’altro (26\2\’45): «appena mi riesca di tornare in Italia, non dubiti che verrò a cercarla. Penso che ci troveremo invecchiati amendue. Ma che cosa è poi questo invecchiare, se non uno scioglierci dalla nostra corteccia invernale, mentre sotto vibrano i segni della nuova germinazione?». – Per quello che riguarda i rapporti del futuro pontefice con la congregazione si vedano le documentate pagine di S. SCAGLIONE, Echi lasalliani nelle ‘Memorie ed appunti 1919’ di papa Giovanni XXIII, «Rivista Lasalliana», LXXIII, 2006, 199-203.


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con l’Accordo approvato dalla Presidenza del Consiglio transalpino (26\4\’50). L’attività della Associazione lì si tradusse in sei uffici regionali e in 23 dipartimenti organizzati,36 che consentirono di intraprendere corsi di adattamento (un periodo prescolare, cioè, nel quale i ragazzi venivano preparati, superando le resistenze della lingua e quelle psicologiche, prima del riposizionamento in corsi regolari); per quelli nati in Francia, invece, c’erano cicli di lingua, letteratura e civiltà italiana, ma non vennero dimenticati nemmeno gli adulti, per i quali si attivarono corsi di francese, suddivisi in inferiore, medio e superiore, per aiutarli a conoscere quanto riguardava la nazione ospite. Nella storia dell’A.E.I. c’è un aspetto che non andrebbe taciuto, ed emerge dai ricordi di guerra (1940-45): quando, cioè, in quella circostanza tragica l’Europa andava a ferro e fuoco, all’Associazione si preoccupavano di assicurare il funzionamento della scuola, la frequenza alle lezioni e la regolarità degli esami, quasi a non frapporre ritardi, a conflitto finito, all’inserimento delle ragazze nel mondo del lavoro. Di ciò la Ferrari ne scrisse al ministro Vincenzo Arangio Ruiz che, nel risponderle, rilevava (20\7\’45): ho appreso con piacere dalla relazione che ella mi ha fatto pervenire, che le scuole magistrali dell’alta Italia, dipendenti da cotesta benemerita associazione, hanno regolarmente funzionato, nonostante l’eccezionalità delle circostanze, nel lungo periodo dell’occupazione nazi-fascista; ed è stato per me motivo di vivo compiacimento apprendere che alunne ed insegnanti delle scuole stesse hanno attivamente collaborato con le forze italiane di resistenza e che talune di esse hanno anche prestato servizio alla dipendenza di reparti partigiani […].

Della dedizione alla scuola espressa dall’organico dell’A.E.I., serbarono memoria al ministero della Pubblica Istruzione, perché non una volta chiesero alla Ferrari di intervenire nei congressi, e se Carlo Vischia, la sollecitava «a far parte della Consulta Didattica incaricata di elaborare i programmi del magistero per l’infanzia», anni prima il ministro Guido Gonella, dovendo riunire una Commissione d’Inchiesta per la riforma della scuola, le scriveva (17\12\’47): è mia intenzione ascoltare il parere di amici autorevoli intorno all’impostazione di tale inchiesta. Il parere che le domando verte soprattutto sui principi ideali che dovranno informare questa fase preliminare di studio per la riforma, nonché sulla maniera organica di impostare l’inchiesta.

36

A. M. LUCCHIARI IPPOLITONI, infra


Rivista Lasalliana 79 (2012) 1, 107-126

A settant’anni dalla nascita di una stagione catechistica d’eccezione

LA PRIMA COMMISSIONE CATECHISTICA LASALLIANA (1942-1975) MARCO PAOLANTONIO Docente di Lettere e Coordinatore educativo-didattico nelle Scuole Lasalliane

Il contesto storico on è possibile capire pienamente il fervore e l’indirizzo ideologico dei quarant’anni di animazione catechistica operata in tutt’Italia dalla Commissione Catechistica Lasalliana (CCL) se non ci riferisce al movimento ‘attivistico’. Con maggior proprietà definito come quello delle ‘Scuole Nuove’ (SN), riguardò la riforma pedagogico-didattica, iniziata negli ultimi anni dell’Ottocento, ed ebbe manifestazioni particolarmente significative nella prima metà del XX secolo. Pur nella varietà delle realizzazioni, il movimento registrò una buona convergenza su principi educativi condivisi: centralità dell’allievo, primato dell’esperienza sollecitata soprattutto da interessi spontanei, appello alla collaborazione tra uguali, interazione ‘socratica’ docente-discente, introduzione di attività pratiche (manipolazione, questionari attivi, ricerche,…).

N

Anche se gli autori delle prime esperienze italiane preferirono parlare di ‘Casa del fanciullo’ (R. e C. Agazzi), di ‘Casa dei bambini’ (M. Montessori), di ‘Rinnovata’ (G. Pizzigoni), di ‘Casa serena’ (M. Boschetti-Alberti), privilegiando metodo e didattica (che in definitiva costituiscono l’apporto più significativo alla storia della scuola), è opportuno ricordare che le esperienze scolastiche rispondono a concezioni filosofiche e pedagogiche differenziate. Nel caso delle SN riserve e contrasti non si verificarono per lo più nell’adozione di metodologie didattiche, anche se assai diverse erano le teorie pedagogiche da cui muovevano. Tra le più diffuse ci furono il monismo evoluzionista e lo strumentalismo pragmatista, il biologismo e il sociologismo, teorie in netto con-


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trasto con la concezione cattolica dell’educazione.1 Lo sottolineò con vigore M. Casotti e ne trassero pratici indirizzi d’azione pedagogisti come G. Nosengo, L. Pavanelli, CM. Veneziani, G. Modugno F. Tonolo e, per anticipare il tema di cui ci occuperemo, fr. Candido Chiorra e fr. Leone di Maria.2 Il Casotti, passato dall’idealismo gentiliano al neotomismo, pur rimanendo filosofo per vocazione e formazione, si dedicò alla pedagogia proprio nel periodo in cui in Italia si andava affermando la metodologia delle SN. Al Lombardo-Radice che lo annoverava fra gli ‘attivisti’, rispose: ‘Sì, attivista, se così volete: ma alla maniera di S. Tommaso d’Aquino e non a quella del Ferrière. Sì, se voi acconsentirete a mettere il termine di ‘attività’ a quello di ‘autoeducazione’, e il termine di ‘spontaneità’ al posto di ‘creazione’, che conviene solo a Dio.’ 3

E dopo aver esposto i suoi contro-motivi alle trenta proposizioni del Ferrière, concludeva: ‘Scuola veramente attiva non può essere che una scuola intimamente religiosa. Religiosa non già nel senso che vi si aggiungono, come dall’esterno, un insegnamento religioso, e, magari, delle pratiche di pietà. Ottima cosa l‘uno e le altre, ma a condizione di passare, da appendici e aggiunte di lusso, ad anima di tutta la scuola e di tutti gli insegnamenti… Dirò piuttosto, servendomi d’un termine caro agli esistenzialisti, che una scuola davvero attiva importa una scelta alla quale, giorno per giorno, deve essere indirizzato, dal maestro, lo scolaro: scelta fra l’atomismo enciclopedico e disordinato dei fatti, degli oggetti, delle materie considerato come fine a se stesso, e l’organica vitalità dei medesimi oggetti quando, nel loro essere, si riferiscono tutti all’Essere che solo ha dato loro l’esistenza e senza il quale ricadrebbero nel nulla: e divengono perciò come dice il Rosmini mezzi della conoscenza dell’amore di Dio.’4

La disamina teorica del Casotti si tradusse, come si vedrà, nella prassi metodologico-didattica dei Fratelli italiani che a partire dal 1942 fecero confluire le loro energie nella CCL e nelle attività che ne derivarono.

Gli antesignani È bene tuttavia precisare che, prima di quella data, la catechesi dei lasalliani italiani aveva già prodotto notevoli frutti, attribuibili a spiccate perso-

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I più noti revisori critici in ottica cristiana furono: il Foerster, che rivendicò il primato dei valori etici e religiosi, il Dévaud nei riguardi del Ferrière (là dove prevale il biologismo), il Claparède in quelli del Decroly (là dove prevale lo strumentalismo) il De Hovre nei confronti del sociologismo del Dewey, del Durkheim, del Nactorp. 2 Attività e meriti sottesi ai nomi si possono trovare in Silvio Riva, La pedagogia religiosa del Novecento in Italia, Ed. Antonianum –Roma, Ed. La Scuola, Brescia 1972. 3 M. Casotti, La pedagogia di S. Tommaso d’Aquino, La Scuola, Brescia 1937, p. 7. E proseguiva: Amico vostro finché studiate, in concreto, i mezzi migliori per garantire, nella scuola, l’effettivo lavoro e la gioiosa collaborazione dello scolaro: nemico, cortese, ma fierissimo, quando quello sforzo gioioso ignora o, peggio, disprezza la salutare frusta della mortificazione cristiana, e diventa così – uso l’espressione dell’enciclica pontificia – ‘naturalistico’, anche se giustificato da teorie più o meno idealistiche.’ 4 M. Casotti, Scuola attiva, 5ª ediz., La Scuola, Brescia, pp. 159-161.


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nalità quali quelle di fr. Candido Chiorra, fr. Leone di Maria (Teresio Napione), fr. Remo di Gesù (Giuseppe Re), fr. Agilberto Gatti e fr. Anselmo Balocco. Accennarvi, sia pur brevemente e con uno spicilegio di scritti anteriori al 1942, contribuirà ad aggiungere ulteriori elementi di conoscenza.

Fr. Candido Chiorra (1861-1941) Conobbe certamente il movimento delle SN e dei pedagogisti che ne avevano diffuso i principi, ma i suoi scritti non riflettono temi e tecniche della pedagogia ‘scientifica’. Dell’attivismo in atto fu convinto e sperimentato interprete. Esperto di contenuti dottrinali destinati alla catechesi, venne sollecitato a valutare importanti documenti destinati all’insegnamento religioso.5 Fu il primo a occupare, nel seminario arcivescovile di Torino, la cattedra di catechetica6 dall’ottobre del 1907, ‘e certamente il primo anche in Italia.’ (Riva, 208). Le riflessioni e le proposte di metodo ebbero vasta eco, basti ricordare i giudizi lusinghieri espressi dal Casotti, dal Nosengo, dal Riva sull’opuscolo ‘Formiamo il bimbo al soprannaturale’. Varie edizioni ebbero i quattro volumetti della Corona infantile (19301943): raccolta di una serie di episodi, tratti dall’esperienza religiosa dei piccoli; primo gradino di una catechesi attiva (che ovviamente non può risolversi e ridursi a questo). Contributi e indirizzi di didattica minore che fr. Candido lasciò in eredità a ‘Sussidi per la riflessione e il catechismo’, la rivista dei lasalliani in Italia. Per i primi tre anni ne caratterizzarono il nerbo e la sostanza. Fr. Candido non vide la nascita della CCL, ma ne fu uno dei maggiori ispiratori, come ricordò l’Assistente fr. Francesco nel convocare il primo convegno.7

Fr. Leone di Maria (1892-1969) Scrisse e parlò di metodologia e didattica catechistica con riconosciuta competenza (gli chiesero prefazioni a loro studi Casotti, Nosengo, Riva).8 Ebbe la pas-

5

Nell’archivio FSC di Torino si trova l’interessante carteggio intercorso tra il card. Gasparri e fr. Candido a riguardo della traduzione in italiano del catechismo scritto in latino dal cardinale. Fr. Candido, fatto notare che il linguaggio della traduzione era impervio, suggerì il modo di adattare il messaggio alla capacità intellettiva dei catechizzandi, distinguendo gli adulti dai giovani e questi dai bambini. Il cardinale ringraziò fr. Candido di cuore e fece tesoro di critiche e suggerimenti. 6 Considerata un corollario del corso di ‘sacra eloquenza nella facoltà di teologia. 7 S. Riva, op. cit., p. 208. 8 22 febbraio 1942.


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sione per l’insegnamento, che esercitò ogniqualvolta gli fu possibile.9 Un saggio della vasta preparazione metodologica compare in Metodi e forme dell’insegnamento dove, presentando un ‘diorama’ dei metodi allora più diffusi, osserva: “E’ lecito parlare di un metodo ideale? E’ sempre lecito mirarvi almeno come a un… ideale! E quale sarà?... All’incirca quello intravisto da Tolstoi quando dichiarava che il vero metodo è di averli tutti. E cioè: più in alto del conflitto fra i vari metodi, nell’armonia raggiunta col togliere da ognuno di essi ciò che ha di meglio, e fonderlo in salda unità, secondo il proprio stile e la sensibilità propria, con aderenza perfetta ai bisogni degli alunni, senza esclusione preconcetta di nessun metodo, senza dedizione cieca ed esclusiva a nessun altro, con piena libertà di spirito. Direi ideale quel metodo che, serbata sempre l’adeguazione pratica alle esigenze dell’uditorio, dal momento liturgico al momento psicologico, proceda in modo prevalentemente induttivo, sollecitando la massima attività e collaborazione degli alunni, valendosi di tutti i mezzi d’intuizione adatti al caso: usando all’occorrenza un procedimento deduttivo; così come profittando delle ottime suggestioni dei metodi detti storico, evangelico, liturgico, eucaristico; e senza rifiutare dal morto e rimorto metodo mnemonico ciò che di solo buono contiene, cioè l’assicurare alla memoria le formule fondamentali, chiarite bene da spiegazioni precedenti. Una specie di eclettismo, insomma? Proprio. Il Maestro Divino ha fatto precisamente così: prevalenza di induzione, senza escludere in vari casi la deduzione; attività sempre sollecitata da tutti o parte degli uditori; uso pressoché continuo dei mezzi di intuizione; richiami frequenti ai fatti della storia biblica; ripetizione voluta dei concetti fondamentali che gli premeva si incidessero nella memoria di tutti (preghiera…carità…culto interno).

I principi di metodo e le conseguenti traduzioni didattiche vennero riassunti, come si vedrà trattando del primo convegno della CCL, nel ‘decalogo’ che caratterizzava il Metodo catechistico lasalliano. Dall’anno della costituzione, il 1942, al 1968, quello che precedette la morte, fr. L. fu il presidente carismatico della CCL, esemplare nell’impegno, instancabile nel motivare e nell’aprire prospettive apostoliche sempre nuove.

Fr. Remo di Gesù (1894-1969) Nell’articolo L’attivismo lasalliano nei catechismi ricapitolativi (1939),10 dopo essersi ‘sintonizzato’ con i luminari dell’attivismo cristiano – Dévaud, Casotti, Nosengo (e fr. Leone di M.) – sviluppa il tema a lui caro, scrivendo: ‘Di tutte le forme che può assumere la lezione di religione, quella che, forse, si presta di più ai metodi ‘attivisti’, è la ricapitolazione metodica del programma spiegato e studiato. Infatti, perché le ripetizioni siano utili e gradite agli alunni, bisogna presentarle sotto forma interessante, dando ad esse il carattere di lezioni nuove. Occorre un vero ‘attivismo’ per coordinare in modo geniale le nozioni apprese, rielaborare variamente il programma, riformulare tutta una parte di catechismo o un complesso di verità. I risultati ottenuti sono veramente incoraggianti. Si è effettivamente sperimentato che i catechismi ricapitolativi così intesi, destano l’attenzione dell’alun-

9 S. Riva annotò (op. cit. p. 218): ‘La sua attività rasenta dimensioni colossali: istituzioni, iniziative, corsi, insegnamento, incarichi, ispezioni di insegnamento della religione, scritti, convegni, congressi, viaggi di studio, impegni e uffici superiori della sua congregazione…’. 10 E nel volumetto del 1939 Le doti del catechista pare abbozzare un’autobiografia professionale.


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no, esercitano la memoria, danno il senso della sicurezza, provocano tutto un intenso lavorio interiore. Questo fervore di attività intellettuale, che farà irradiare anche fuori della scuola e fino alle rispettive case, lezioni più interessanti e più ricche di riflessi sulla vita pratica cristiana vista così spesso nel suo insieme, è in piena armonia con la Carta delle Scuola,11 che vuole la collaborazione attiva dell’alunno, e quella sempre più consapevole della famiglia.’

Fr. Remo fece parte del CCL fin dagli inizi e fu uno dei principali diffusori in Italia (in centinaia di località e con migliaia di interventi) della catechesi lasalliana. Autore di apprezzati testi di religione, fu un epigono di fr. Candido Chiorra nel proporre Virtù in esempi, con una serie di ponderosi volumi che ebbero una notevole fortuna editoriale.

Fr. Agilberto Gatti (1905-1977) Aveva affrontato il tema anche nell’articolo Scuole attivistiche e Scuola Lasalliana (1941).12 Richiamate le ragioni di una critica argomentata alle posizioni del Claparède, del Ferrière, del Decroly, fa sue quelle del Casotti e le trasferisce nella didattica lasalliana: ‘Idee guida del metodo lasalliano sono: dare al fanciullo la massima chiarezza nella formola, rendergliela indelebile nella memoria, portarlo alla pratica di quanto fu insegnato. Iniziata la lezione con breve ricapitolazione della materia precedentemente spiegata, a mezzo di domande, il maestro propone l’argomento della lezione. Con procedimento deduttivoinduttivo o soltanto induttivo, a seconda del caso, con un linguaggio sempre alla portata del fanciullo, usando di continuo domande e sottodomande il maestro conduce i suoi alunni alla cognizione esatta e chiara della verità contenuta nella formola. Il dialogo procede sempre in modo serrato; anche con i concetti minori, le parole non del tutto usuali vengono spiegati, chiariti […]. Domande corte e precise: qua sta non poco l’abilità del maestro sia nel lavoro di analisi e di sintesi che deve arrivare alla completa comprensione della formola. Abilità poi ed arte che deve anche essere capace, nel guidare il lavoro intellettivo del fanciullo, di imbrigliare e di suscitare l’attività di tutta la scolaresca. Perciò il maestro deve sempre usare un linguaggio semplice, deve sapersi giovare di tutti i mezzi intuitivi che facilitino la comprensione e l’attenzione e parlare alla fantasia e ai sensi del fanciullo.’

‘Operaio della prima ora’ nella CCL, fr. Agilberto ne fu un animatore convinto e instancabile. La sua presenza negli Atti è da primato, come autore di testi,13 conferenziere, relatore, direttore per quasi vent’anni della rivista ‘Sussidi per la riflessione e il catechismo’.

Fr. Anselmo Balocco (1910-2005) Fu parte attiva della CCL fin dalle origini, contribuendo, con un’eccellente preparazione professionale – laurea in lettere, in filosofia, in teologia e

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In Rivista lasalliana, 1939, 1, 66-75. È quella pubblicata dal Bottai nel febbraio del 1939. 13 In Rivista lasalliana, 1941, 1, 80-91. 12


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licenza in scienze bibliche – alla diffusione di una didattica catechistica fondata su saldi principi di metodo.14

Costituzione e programmi della prima CCL Una breve annotazione su Rivista lasalliana15 data la nascita della prima16 Commissione Catechistica Lasalliana: ‘Il Fratel Francesco di Maria, assistente per l’Italia e Colonie dell’On.mo Fratel Superiore generale, costituiva nella festa della Cattedra di san Pietro in Roma, una commissione catechistica permanente perché “la questione catechistica, già tanto in onore fra noi per merito principalmente di SUSSIDI fosse ancor meglio avvalorata, ora soprattutto che detta questione appassiona vivamente il Clero e le altre Congregazioni religiose.” Nominava presidente della Commissione il Fratel Leone di Maria, Postulatore generale, membri rappresentanti il distretto di Roma i CC.FF. Alberto di Maria e Remo di Gesù, per il distretto di Torino i CC.FF. Giovannino e Agilberto, segretario Fr. Terenzio Igino. Il nostro movimento catechistico si impernia soprattutto su SUSSIDI, edito dal Gonzaga di Milano, il cui direttore, Fr. Afrodisio, è stato pure chiamato a far parte della Commissione. La competenza delle persone scelte e il sicuro appoggio di tutti i Car.mi Fratelli che hanno sempre fatto del catechismo la base della loro educazione, fanno certi d’un proficuo e copioso lavoro. Rivista lasalliana non è estranea a questo movimento; si compiace anzi d’esserne stata in realtà la prima iniziatrice con gli scritti di Fr. Leone17 e Fr. Remo,18 per non citare che i più noti, e non mancherà di ragguagliare i suoi lettori in compendiose sintesi del lavoro e dei frutti che tutti ci auguriamo dalla nuova commissione.’

Puntualmente registrate dagli Atti,19 le 31 tappe dell’annuale cammino della CCL si susseguirono con l’unica interruzione degli anni 1944 – 1946 dovuta al conflitto mondiale. La lettura delle 551 pagine, alle quali vanno aggiunte le 111 di tre convegni, offre una documentazione delle attività e delle energie loro sottese che animarono le due Province religiose italiane. Ne è stato tratto un Compendio, destinato all’Archivio di Torino dei FSC dove rimarrà, probabilmente dimenticato, a memoria di una stagione di eccezionale vitalità catechistica. L’autore, consapevole della scarsa utilità pratica del suo lavoro, vi ha tuttavia atteso con un affetto prossimo alla venerazione verso i tanti Confratelli che per decenni lavorarono in campo catechistico, abitualmente aggiungendovi la fatica della quotidiana ‘corvée’ scolastica.

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Ebbe, come si vedrà, il primo incarico ‘ufficiale’ nel primo Convegno della CCL (26 aprile 1942). Scrisse, su richiesta della CCL (Atti del 3 agosto 1947) Lineamenti di catechetica (1948); e la trilogia Educazione catechistica – Organizzazione catechistica – Didattica catechistica (1950). 16 Vol. XVII, (N. 1/2, anno IX, marzo-giugno 1942/XX, p. 128. 17 Che ha come ambito di attività gli anni 1942-1986. Le succederà la seconda, con sede a Roma, tuttora operante. 18 Doti del catechista (RL 1939, 2, 235-356). 19 Il catechismo sui principali misteri (RL 1939, 2, 257-284). 15


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La prima riunione della CCL ebbe luogo nella Villa Amalia, in Erba (Como) il 26 aprile 1942. Vi presero parte tutti i membri del gruppo designato in febbraio dall’assistente fr. Francesco, che ne aveva comunicato la creazione alle due Province religiose italiane FSC il 22 febbraio di quell’anno. Per una circostanza non fortuita, erano presenti i due Visitatori provinciali, i Direttori delle case di formazione e i Fratelli reclutatori.20 Nell’introdurre i lavori, il Presidente ricordò che le attività da progettare poggiavano già sul sicuro terreno delle esperienze consolidate di diversi Fratelli quali: cattedre di catechesi in seminari italiani,21 incontri catechistici (giornate, settimane, congressi); l’incarico dell’ispezione generale sull’Insegnamento della Religione in tutte le scuole d’Italia22 e quello di preparare il testo di religione per tutti gli effettivi dell’ A.C. italiana.23 La direzione e la collaborazione alla rivista Sussidi, diffusa in tutta Italia, assicuravano poi una presenza significativa nel panorama catechistico nazionale. L’ordine del giorno prevedeva l’esame di due proposte pratiche e di una premessa teorica. - Proposte pratiche 1. conseguimento di una specifica preparazione professionale dei Fratelli chiamati sempre più frequentemente a tenere conferenze e corsi, mediante: a) un Corso da tenere a Fano nella seconda metà dell’anno; b) la scelta dei partecipanti24 (otto-nove per Provincia religiosa), ognuno dei quali avrebbe già dovuto riferire su almeno un argomento di metodologia prefissato, da approfondire dialetticamente, in sede di convegno, a vantaggio suo e di altri; 2. animazione catechistica di tutti i Fratelli delle Province religiose, dedicando ai temi dell’educazione religiosa almeno una giornata dell’annuale ritiro spirituale. - Premessa teorica Il Presidente fece notare che occorreva innanzitutto precisare il concetto di ‘Metodo Catechistico Lasalliano’, di cui si sarebbe necessariamente dovuto parlare. Armonizzando e sintetizzando gli apporti scritti chiesti in precedenza ai presenti, diede lettura del seguente testo: 20

Archivio Biblioteca FSC, Centro La Salle, Torino. Il termine designava i Fratelli incaricati di individuare nelle comunità giovanili - scuole, convitti, parrocchie - ragazzi a cui proporre l’esperienza della vita religiosa nei ‘piccoli noviziati’ della Congregazione.

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Si allude, è evidente, a fr. Candido Chiorra. Fr. Alessandro Alessandrini dal 1923 al 1943; fr. Leone di Maria dal 1943 al 1952. 24 Fu lo stesso fr. Leone di Maria, con pubblicazioni che vanno dal 1940 al 1951. 23


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Metodo Catechistico Lasalliano - Evitando di restringere il MCL al solo ed esclusivo procedimento analitico, che parte dalla fomola del Testo e la spiega smembrandola, sebbene questo sia procedimento usato da molti, perché più facile per il catechista; - precisando che per MCL non s’intende quello che risulta unicamente da precetti espliciti del Santo Fondatore, ma anche dalla tradizione dell’Istituto che egli fondò ed è quasi il suo ‘corpo mistico’, tradizione rappresentata: a) dai documenti delle nostre metodiche, a cominciare dalla Norma delle Scuole e dal Manuale del catechista; b) dalle Circolari dei Superiori Gemerali, e specie di quella n. 300 sull’Insegnamento Religioso; c) dalla prassi dei Fratelli più coscienziosi e competenti; - si crede di poter asserire che il MCL poggia sui seguenti principi basilari: 1. Il testo del catechismo deve essere spiegato, non solo fatto imparare meccanicamente a memoria: 2. nello spiegarlo, bisogna servirsi di domande e sottodomande, non valersi del discorso seguito: 3. per rendere la spiegazione chiara e interessante, si devono usare mezzi intuitivi e sussidi didattici; racconti, paragoni, esempi, citazioni, contrapposti, immagini, lavagna, disegno, ecc; 4. si deve mirare a un frutto pratico che si specifica agli alunni in ogni lezione; 5. si devono far apprendere a memoria le formole del testo Sono ancora usanze tipiche lasalliane le seguenti: 6. cominciare e finire la lezione di catechismo con una preghiera; 7. far eseguire alcune strofe di un canto sacro; 8. far precedere, possibilmente, la lezione di catechismo da un esercizio che riposi e calmi lo spirito, come: scrittura, disegno, ginnastica: 9. al principio ricapitolare in breve, con opportune domande, la lezione precedente, e al termine fare un breve riepilogo della materia svolta; 10. fare periodicamente il prezioso lavoro di sintesi, cioè il catechismo ricapitolativo, da noi detto su ‘i Principali Misteri’.25 Questo ‘primo tempo’ della riunione si era limitato a prendere in esame la lezione di Catechismo, non l’educazione religiosa lasalliana in genere ‘che – come precisò il presidente – abbraccia altri santi accorgimenti pedagogici’. Il ‘secondo tempo’ iniziò con il doveroso riconoscimento di quanti avevano ‘ben meritato del problema catechistico, oltre che con l’insegnamento quotidiano in

25 Cui si richiedevano requisiti, quali: essere professi perpetui, avere ottimo spirito religioso, possedere buona cultura generale e un’eccellente cultura religiosa, godere ‘di una notevole facilità nel parlare in pubblico’, non presentare lacune o difetti tali da nuocere al compito, anche di rappresentanza, loro affidato.


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classe, con particolari lavori’,26 e dei quali furono elencati i nomi ‘a doverosa memoria’.27 L’ordine del giorno portava poi: Proposte per la formazione di una migliore coscienza catechistica nei Fratelli e si fondava sul ‘referendum’ ‘provocato dal C.F. Agilberto fra un buon numero di Confratelli amanti del Catechismo’. Gli argomenti discussi furono: 1. Catechismo di formazione 2. Catechismo nelle classi.28 Ogni istituzioni avrebbe dovuto assicurare e curare lo svolgimento delle gare di religione, adottando opportuni criteri nella differenziazione della materia per corso e in quelli di valutazione; stimolando fra le classi parallele un’emulazione sanamente educativa. 3. Composizione dei testi catechistici.29 - Il ‘terzo tempo’ della riunione riguardava la rivista ‘SUSSIDI’. Quattro gli aspetti presi in considerazione: 1. Lo scopo particolare a cui la rivista tende.30 26

A mo’ di sunto segue nella relazione il Decalogo Catechistico Lasalliano (redatto in distici di incerta metrica e suddiviso in due ‘tavole’): Prima tavola: 1. Spiegar il ‘testo’ ragionatamente; 2. Non predicar, ma interrogar frequente; 3. Usar ‘mezzi intuitivi’, attivamente; 4.Proporre il ‘frutto pratico’ espediente; 5. Far le risposte ben studiare a mente – Seconda tavola - 6. A inizio e fine far pregar piamente; 7. E un cantico eseguir sommessamente; 8. Occupazione calma precedente; 9. Riassumer prima e poi, succintamente; 10. Ai ‘Principai Mister’ tornar sovente. 27 * ‘Conferenze e Corsi Catechistici in Seminari e Congressi, con pubblicazioni di metodica, con la collaborazione a Riviste Catechistiche e specie a SUSSIDI’; * i meriti di Rivista lasalliana – e del fondatore, fr. Goffredo (Giuseppe Savorè, presente al convegno – per le ‘tante e belle trattazioni relative al problema catechistico lasalliano’- ; * quelli delle Pubblicazioni Scolastiche Religiose Musicali, di fr. Albertino Berruti (assente), altrettanto ospitali; * la preziosa opera d’animazione di fr. Alcime, Procuratore Generale presso la S. Sede, con la circolare 300 sull’Insegnamento Religioso; * ‘l’onore procacciato all’Istituto d fr. Alessandro [Alessandrini] nella sua qualità di Ispettore dell’Insegnamento Religioso nelle pubbliche scuole’. 28 Il Fr. Alcime, Procuratore Generale; il Fr. Leone di Maria, Postulatore Generale; i ff. Direttori Aquilino, Costanzo, Giovannino, Gioviniano, Giustino, Goffredo, Isidoro di Maria, Nazario, Remo di Gesù, Zaccaria; i Fratelli Procuratori Albertino, Arcangelo, Savino; i Fratelli: Afrodisio, Agilberto, Alberto di Maria, Alessandro A., Alfonso Nilo Alfredo, Anacleto, Angelino, Armando, Arnolfo, Beniamino, Bertrando, Cassiano, Costantino* Dario Luigi, Luigi, Edoardo, Enrico, Ernesto, Gabriele, Giovanni Berckmans, Guido Luigi, Gregorio, Stefano, Vincenzo. 29 Agli inconvenienti e alla trascuratezza lamentati si poteva, e si doveva, ovviare: a) precisando bene il programma per ogni classe; b) svolgendo con serietà l’annuale esame di catechismo; c) il Direttore era tenuto a controllare l’osservanza dei due aspetti sopra esposti; d) il Fr. Provinciale, in occasione della visita annuale alla Comunità, doveva accertarsi della serietà e della competenza con cui in ogni classe era impartito l’insegnamento della religione; e) ‘si facciano rivivere le gare [di religione] fra le classi, badando che non si limitino alla pura recita a memoria.’, concluse il documento. 30 Si sarebbe cominciato con un testo per la Scuola Media Unica, il più richiesto. Seduta stante, per diretto intervento dell’Assistente fr. Francesco, l’incarico venne assegnato a fr. Agilberto, che, ‘con edificante prontezza e semplicità’, accettò.


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2. ‘SUSSIDI’ di fronte alla pedagogia moderna, si ritenne valida la linea metodologica dell’attivismo fino a quel momento seguita ‘che sembra essere stata quella intermedia di un sano conservatorismo, che lascia la porta aperta a nuove correnti.’ 3. ‘SUSSIDI’ di fronte alla tradizione lasalliana: si auspicò che la tradizione pedagogica lasalliana venisse illustrata anche teoricamente in brevi articoli, suggerendo ‘di non fare vani sbandieramenti di ‘Lasallianità’,31 ma ‘di rimanere sempre aperti a tutte le nuove iniziative’.32 4. Diffusione di ‘SUSSIDI’. La relazione del direttore, fr. Afrodisio, sottolineò il favore incontrato dalla Rivista.33 A conclusione dell’argomento e dell’incontro, il Presidente ringraziò pubblicamente, per l’intelligente, onerosa fatica condotta con esemplare discrezione, fr. Afrodisio che, schermendosi, chiese in cambio una più ampia e decisa collaborazione da parte dei Fratelli e volle inoltre ricordati i meriti dell’ex-Visitatore provinciale fr. Costanzo Scudo – che aveva favorito la nascita della rivista – e del compianto Assistente fr. Candido Chiorra, che l’aveva seguita e appoggiata con vera passione, anticipandone la formula della ‘catechesi per esempi’.

Lo specimen di uno degli anni di più intensa attività Nei paragrafi finali si forniranno dati numerici e ‘geografici’ che aiutano a capire intensità e vastità dell’azione catechistica promossa dalla CCL. Qui riproduciamo, ampiamente sfrondato, il compendio (due pagine e mezzo) degli Atti (32 pagine fitte) riguardanti il 9° Convegno tenuto a Milano (Ist. Gonzaga) il 9 ottobre 1953, limitando gli argomenti a quelli dell’attività cate-

31 Rispetto ad altre pubblicazioni consimili ‘Sussidi’ doveva continuare a segnalarsi per il carattere prevalentemente pratico delle proposte. Per renderla sempre più utile si chiedeva che: a) non comparissero articoli di contenuto solo teorico, poco apprezzati dalla maggior parte dei lettori; b) per la stessa ragione, si evitassero trattazioni unicamente d’indole tecnica o scientifica; c) si offrissero lezioni modello, anche se svolte compiutamente solo in parte; d) si privilegiassero argomenti monotematici (‘Comandamenti’, ‘Sacramenti’); e) venissero offerti sussidi soprattutto per il corso elementare e le corrispondenti classi parrocchiali; f) si desse spazio anche alla spiegazione dei Vangeli domenicali; g) si presentassero con più frequenza disegni significativi, facili da riprodurre alla lavagna; h) si abbondasse nell’aneddotica, soprattutto se contemporanea. 32 ‘cosa che invece di guadagnare le altrui simpatie le allontanerebbe, restringendo il campo d’azione.’ 33 ‘per accogliere quel tanto di buono che può essere da noi utilmente accolto. È anche questa una delle confortevoli caratteristiche di tutta la pedagogia lasalliana.’.


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chistica vera e propria.34 Valga come saggio delle attività in essere e di quelle prospettate, delle energie in atto e di quelle sollecitate.

• Attività catechistica della Provincia romana - Adunanze della Sottocommissione: una plenaria a Salerno (Ist. Mutilatini) e una parziale a Benevento (Collegio La Salle). ‘Furono trattati e discussi i problemi inerenti all’attività catechistica di ciascun membro della Sottocommissione’. - Gare di religione. Quella organizzata per classi (dalla 3ª elementare alle terminali) ‘organizzata con il Distretto di Torino, ha avuto esito lusinghiero[…]. Vi hanno partecipato 173 classi con 5000 concorrenti, dei quali entrati in finale 850.’35 - Attività speciali. A Pompei: Mostra di catechismo.- Nel carcere di Rebibbia azione catechistica di quattro mesi fra i detenuti svolta dai ff. Luigi e Manlio del Collegio S. Giuseppe – Attività catechistica alla Borgata Prenestina, animata da fr. Temistocle e da giovani del Collegio S. Giuseppe (38 frequentanti, divisi in 13 classi) e conclusa con un esame finale e una gita-premio a Montecassino – Collaborazione a ‘Sussidi’: fr. Raffaele, 3 articoli; uno ciascuno dei ff. Nazario, Massimo, Orazio, Romeo, Siro, Temistocle. - Attività dei Fratelli conferenzieri. Nella Giornata catechistica durante i Ritiri, sul tema ‘Far studiare il Catechismo’ hanno parlato – ad Albano i ff. Vittorino (Elementari), Teodoro (Medie), Remigio (Superiori) – a Roma i ff. Francesco (Elementari), Orazio (Medie), Teodato (Superiori) – a Castello (Ritiro dei ’20 giorni’) i ff. Vittorino e Siro. - Centri di attività catechistica36 a) Centro Sannita-Campano (Benevento, Napoli, Torre del Greco:-b) Centro Romano (Roma e Fano): - Risultati finali delle Gare di Religione: 173 le classi partecipanti.37

34

Anno 1940-41: 200 abbonati tra i Fratelli, 580 all’esterno. Anno 1941-42: stesso numero di abbonati tra i Fratelli; 1500 abbonati esterni. 35 Il sommario recava: Presenti – Rendiconto finanziario – Attività catechistica della Provincia di Roma – Attività catechistiche della Provincia di Torino – Giornate catechistiche ai Ritiri spirituali – Attività del Presidente - Prospetto delle conferenze – Gli ‘Atti’ precedenti – Norme per la Gara di Religione – L’azione catechistica presso i Fratelli – Anno Mariano – Rivista ‘Sussidi’ – CCL per il 1953-‘54. 36 Riportate in fondo al presente articolo (v. anno 1959-’60.) 37 Alle pp. 9-10 degli Atti sono elencati istituti, classi e alunni che si segnalarono.


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• Attività catechistiche della Provincia piemontese38 - Riunione della Sottocommissione: (Mercoledì Santo, al Collegio S. Giuseppe di Torino). Si stabilisce: a) di dedicare ai problemi catechistici anche giornate al di fuori dei Ritiri annuali; b) di curare nelle Comunità il Catechismo di formazione; di assicurare in tutti gli Istituti l’insegnamento catechistico secondo tradizione e qualità. - Pubblicazioni catechistiche: Fr. Anselmo, volumetti per le classi elementari, ‘Segui Gesù’ (2ª) e ‘Ama Gesù’ (3ª), Edizioni A. & C.. Per la Collana ‘Sussidi’: fr. Angelino, L’avvento del Regno; fr. Anselmo, Le feste del Signore; fr. Dario Luigi, I Novissimi: fr. Eusebio, I primi Venerdì e I Novissimi. Per la rivista ‘Sussidi’ fr. Secondino tenne per tutto l’anno la rubrica ‘Vangeli catechistici’; fr. Eusebio quella delle ’20 lezioni’; due articoli ciascuno pubblicarono i ff. Angelino e Gottardo, uno ciascuno i ff. Artemio, Beniamino, Emiliano, Tullio. - Propaganda catechistica.39 - Cattedre di catechetica nei Seminari. Fr. Alfredo, nel Seminario Maggiore di Parma; fr. Beniamino, Pontificio Istituto delle Missioni Estere e Seminario Teologico dei Carmelitani (Milano); fr. Bertrando, Seminario Maggiore di Vercelli; fr. Timoteo, Seminario Teologico di Torino; fr. Anselmo, Lasallianum - Giornate catechistiche ai Ritiri spirituali. A Triuggio animò fr. Anselmo; a Torino fr. Giovannino; al ritiro dei ’30 giorni’ per i giovani Fratelli delle due Province: fr. Anselmo. Tema comune: ‘Far studiare il catechismo’. Altre Giornate catechistiche. Nelle due a Rivalta per i Fratelli in formazione, i ff. Anselmo e Beniamino - Esito della Gara di cultura religiosa40 alla quale parteciparono tutte le scuole della Provincia.

• Attività del Presidente41 1. Ispezione dell’Insegnamento religioso: ‘Venne fatta nelle Diocesi di Pistoia, Prato, Viterbo, Pescia, Palestrina, Anagni, Montefiascone e Acquapendente, Bagnoregio, Civita Castellana e Orte, Grosseto e, parzialmente, in quella di Roma. 2. Corsi di catechetica ‘Vennero tenuti alla Pontificia Università Gregoriana; al Secondo Noviziato nostro di Roma e di Bordighera, Al Secondo Noviziato dei ‘Frères du Sacré Coeur’ canadesi. 3. Conferenze di propaganda catechistica. ‘In totale furono 290 ed ebbero luogo, oltre che nelle Diocesi sopra nominate, nelle seguenti località: Vittorio V., Tradate, Castelletto del Garda, Padova, Venezia, Lecce, Fermo, Montecatini, Val-

38

Relazione di fr. Anselmo. Riportati in fondo al presente articolo (v. anno 1959-’60.) 40 Le pp. 14-15 degli Atti menzionano scuole, corsi, classi e vincitori. 41 Che, come precisò, apparteneva al’Distretto delle Casa Generalizia’. 39


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lombrosa, Cosenza, Rimini, Torino, Livorno, Genova, La Spezia, Ivrea, Casale, Cuneo, Tarragona (Spagna); seguono: 4. Collaborazione a ‘Sussidi’. 5. Collaborazione ad altre riviste. 6. Nuove pubblicazioni. 7. Conversazioni alla Radio Vaticana. 8. Partecipazione a varie commissioni nazionali ed internazionali). • Prospetto generale delle conferenze42 • Gli ‘Atti’ precedenti I ‘voti’ espressi dai Fratelli nei vari Congressi vennero quasi totalmente realizzati; alcuni però attendevano ancora di esserlo’.43 • Norme per la Gara di Religione. Si ribadirono le 12 già pubblicate negli scorsi anni, annotando alcune delle osservazioni che servivano a migliorare la prassi. • L’azione catechistica presso i Fratelli Il Presidente illustrò l’eccellente iniziativa di animazione catechistica attuata dai fratelli spagnoli, in particolare nell’annuale ‘quattro giorni catechistica’ a cui tutti i Fratelli insegnanti erano tenuti a partecipare. In Italia avrebbe potuto costituire un’ulteriore ottima occasione di aggiornamento professionale, già in parte realizzata nel Lasallianum, il corso estivo frequentato dai giovani Fratelli delle due Province. • Anno Mariano 1. ‘L’On.mo Fr. Vicario Generale ne aveva fatto oggetto della Circolare n. 341, del 15 maggio. La CCL ne raccomandava la diffusione insieme con la pratica di alcune iniziative: rosario in famiglia, mostra artistica Mariana, mezzi pratici già pubblicati da ‘Sussidi (fr. Leone di M., Piccolo Catechismo Mariano; fr. Afrodisio, Volantino Mariano). 5. ‘Sussidi’ avrebbe raccolto e pubblicato i contributi di molti Fratelli che si dissero subito disponibili a fornirne. • Rivista ‘SUSSIDI’. 5.200 gli abbonati, senza contare i Fratelli, cui andavano aggiunti i 370 insegnanti che ricevevano la rivista in omaggio per aver adottato i testi di Religione A. & C. 42

Riportato nella tabella al fondo del presente articolo. Ad es.: indirizzare gli alunni al conseguimento del diploma di catechista; realizzare una serie di tabelloni catechistici murali; porre in maggior evidenza le parole del papa riguardanti l’animazione catechistica.

43


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Marco Paolantonio

• Commissione Catechistica Lasalliana per l’anno 1953 -1954. Presidente: fr. Leone di M., - Membri per Roma, i ff. Siro Vittorio, Teobaldo, Massimo; per Torino, i ff. Anselmo, Agilberto, Beniamino. Sottocommissione della Provincia di Roma. Fr. Siro Vittorio (presidente), e i ff. Temistocle, Teodato, Teofilo, Ugolino, Vittorino; - Sottocommissione della Provincia di Torino: fr. Anselmo (presidente), e i ff. Alfonso, Arnolfo, Giovannino, Giustino.

1970 – Nasce il Centro Studi per l’Educazione Religiosa “Fratel Leone di Maria” A ricordo di fr. Leone di M., morto nel febbraio del 1970, il Centro fu costituito nell’autunno dello stesso anno, con sede a Roma in Villa Flaminia. Vi si raccolse materiale documentativo sull’azione catechistica FSC; libri delle biblioteche personali di fr. Leone di M. e di fr. Remo di G.;44 la collezione di riviste catechistiche italiane e straniere. Era in formazione un archivio dei Catechismi di interesse storico (dal Tridentino a Gasparri; catechismi del La Salle e commenti; Atti del magistero; Atti dei principali Congressi catechistici; monografie del Centro Catechistico Nazionale). Il Centro, affidato a fr. Anselmo, trasferì la sede a Torino nel 1980. L’attività, che nel tempo era assai diminuita, cessò del tutto nel 1994; gran parte della documentazione è andata dispersa. In un articolo su Rivista lasalliana del 197145 dopo aver ripercorso gli avvenimenti che avevano portato alla creazione del Centro, fr. Anselmo pubblicò, traendole dagli Atti, 21 tabelle che, a partire dagli anni 1952-’53, traducevano in cifre l’attività svolta dai Fratelli conferenzieri fino al 1975. È quella che, ulteriormente semplificata46 si trova sotto. Anche se mosso da mera curiosità, chi scorre pagine e tabelle degli Atti (e del Compendio) rimane impressionato dalle decine di migliaia di conferenze e dalle migliaia di località, dislocate in tutt’Italia, in cui vennero tenute.

Solo contabilità? Il rischio della semplice (e forse compiaciuta) contabilità va però corretto, e nobilitato, considerando la sostanza educativo-apostolica dell’azione svolta, richiesta sempre perché ritenuta significativa e utile dalle categorie di uditori che operano in campo catechistico: clero e religiosi, seminaristi, suore, insegnanti, catechisti, membri di associazioni, ecc. Nell’arco di tren-

44

Morto quell’anno. Il Centro Studi per l’Educazione Religiosa ‘Fr. Leone di Maria’, RL 1971, 1, 3-13. 46 Scompaiono le distinzioni fra i contributi delle due Province, del Presidente e del Segretario. 45


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t’anni, numerosissimi vescovi e Uffici catechistici diocesani ne attestarono la validità, avanzando richieste in numero tale da non poter essere soddisfatte. Per giusto senso delle proporzioni è opportuno convenire con Silvio Riva47 che, com’era nella tradizione dell’Istituto,48 si trattò di un perfezionamento didattico della pedagogia religiosa, non certo di nuovi apporti teorici o di metodologie didattiche innovative.

Oltre 35.000 conferenze… La tabella riassume in modo evidente e significativo il lavoro svolto ‘fuori sede’ dai Fratelli e perciò quasi sempre da aggiungere a quello prestato nell’istituzione alla quale appartenevano. Anche una rapida scorsa permette di appurare: - l’assenza di dati antecedenti il 1953, dovuta al fatto che prima di tale date il resoconto veniva dato con elenchi (e non si è ritenuto necessario trascriverli, visto che ci è proposto di dare un’idea dell’attività, sia pure in modo circostanziato e documentato, non di fornire un’esatta contabilità); - una flessione nel periodo attorno al 1970, anno in cui fr. Agilberto e fr. Beniamino dovettero ridurre la loro attività, notoriamente intensa, a causa di gravi disturbi cardiaci; - il calo di prestazioni diventa poi evidente nel 1969 quando, a distanza di pochi mesi, vennero a mancare i ff. Leone di M. e Remo di G. L’incidenza di tali eventi si può verificare con l’apporto della nota che segue. Un cenno a parte meritano le performances, davvero eccezionali di fr. Remo di Gesù: 700 incontri nell’anno 1958 –’59, 900 nel 1959 –’60, 1090 nel 1960 –’61, 938 nel 1961 –’62, 605 nel 1962 –’63, 850 nel 1963 –’64, 898 nel 1964 –’65, 636 nel 1965 –’66, 611 nel 1966 –’67, 375 nel 1967 –’68, 346 nel 1968 –’6949 = 7949. Le cifre sono tanto più stupefacenti quando si consideri che gli incontri avvennero annualmente in numerosissime località sparse per l’Italia intera. Ovviamente occorrerebbe conoscere i criteri, probabilmente non corrispondenti a quelli usuali, con cui venne tenuta questa contabilità; sta di fatto che essa ebbe negli Atti l’imprimatur di fr. Leone di M., presidente, e di fr. Anselmo segretario della CCL a partire dal 1959, entrambi per nulla propensi ad avallare approssimazioni e tanto meno panzane.

47

È il titolo con cui Silvio Riva apre il capitolo dell’op.cit. (p. 321) dedicato ai lasalliani,.. Il Riva ricorda ‘Il famoso Manuale del Catechista, che ha come autore l’Istituto dei Fratelli delle Scuole Cristiane, pubblicato in lingua francese nel 1907 e, in edizione abbreviata, in italiano, nel 1910.’(p. 325). 49 La morte lo colse nel 1970. 48


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Marco Paolantonio

Si segnalarono per un’attività intensa anche fr. Agilberto Gatti (5563) fr. Beniamino (3856), fr. Anselmo Balocco (2138), fr. Leone di Maria (1458), fr. Giovannino Verri, fr. Temistocle Capocchi, fr. Sigismondo Barbano, fr. Siro Ferranti, …

catechisti

genitori

167

314

194

139

1954-‘55

319

225

293

200

157

1955-‘56

394

218

236

246

186

1956-‘57

269

191

313

310

1957-‘58

261

138

270

137

1958-‘59

422

164

504

1959-‘60

376

225

463

1960-‘61

312

232

1961-‘62

317

1962-‘63

391

1963-‘64 1964-‘65

totale

insegnanti

120

varie

suore

473

assist. colonie

seminaristi

1953-‘54

associazioni

clero e religiosi

Prospetto riassuntivo

90

80

194

1771

125

119

127

283

1848

185

101

30

268

1864

213

172

148

375

1991

267

126

70

339

1608

328

235

109

76

417

2254

229

431

121

112

714

2671

479

249

184

140

89

505

2214

124

449

204

206

123

63

193

1679

67

475

215

213

70

103

117

1651

276

156

382

211

311

72

124

132

1664

381

228

414

243

222

147

74

335

2044

1965-‘66

366

135

440

253

239

96

136

252

1917

1966-‘67

335

113

502

254

196

109

116

278

1903

1967-‘68

330

187

*

506

217

121

219

236

1945

1968-‘69

218

139

415

222

230

67

77

122

1490

1969-‘70

133

62

377

121

126

62

13

99

993

1970-‘71

117

18

379

34

54

45

6

35

688

1971-‘72

254

530

130

62

66

12

29

1083

1972-‘73

77

38

347

101

131

48

8

72

822

4

1973-‘74

47

152

29

124

102

1974-75

30

22

138

41

126

73

5158

2802

7725

5143

4324

2318

totali

1760

24

99

579**

63

521

45

475

5339 35.096

*

La tabella offre questo ‘buco’ anomalo accanto a un numero insolitamente alto di incontri con gli insegnanti. ** Nel totale figurano 219 incontri elencati negli Atti ma non nelle tabelle negli anni 1960-’61, 1964-’65, 1967-’68.

…in migliaia di località Un ulteriore tassello che permette di valutare anche ‘geograficamente’ il trentennale impegno dei Fratelli che facevano capo alla prima CCL è


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l’elenco delle località in cui avvennero gli incontri. Il Compendio li elenca in 18 fitte pagine. Per ragioni di misura e di opportunità, riproduciamo solo gli elementi offerti tra il 1958 e il 1962, uno dei periodi dell’impegno più intenso. 1958-’59 - Provincia di Roma – Italia Settentrionale: Castelletto, Mantova, Cervia, Imola; - Marche-Umbria: Ascoli P., Baloz di Montegallo, Cantiano, Città di Castello, Costacciaro, Roccantica, Scheggia, Umbertide; - Toscana: S. Martino sul Flora, Marciano, Siena, Massa Marittima, Monsummano, Montecatini Terme, e Alto, Pescia, Piombino; - Lazio: Roma, Albano, Anagni, Castelforte, Cori, Fondi, Formia, Gaeta, Minturno, Nepi, Palombara, Palestrina, Ronciglione, Velletri, Viterbo; - Abruzzo: Pescara, Chieti, Casalbordino, Castelfrontano, Filetto, Fossacesia, Fresiagrandinara, Guardiegrele, Lanciano, Miracoli, Orsogna, Penne, Pollutri, Pretoro, Rocca S. Giovanni, S. Eusanio, S. Vito Chietino, Vasto; - Campania: Puglia, Napoli, Torre del Greco, Benevento, Cerreto, Foggia, Montecalvo, Sala Consilina, Teggiano; - Calabria: Cassano, Castrovillari, Laino, Borgo, Castello, Marcellina, Mormanno, S. Maria, Soriano Calabro, Trebisacce; - Sardegna: S. Gavino Monreale, Terralba, Olzai, Villacidro, Nuoro. - Provincia di Torino – Piemonte: Biella, Torino, Vercelli; - Lombardia: Monza, Milano, Treviglio, Palazzolo S/Oglio, Bergamo, Seregno, Busto Arsizio, Brescia, Monguzzo (Milano), Saronno, Voghera, Crema, Calolzio Corte (Bergamo), Romano Lombardo (Bergamo), Vigevano, Lecco, Agrate Brianza, Mantova Soresina (Cremona), Abbiategrasso (Milano); - Emilia: Parma, Ravenna, Modena, Reggio E., Fidenza, Salsomaggiore, Guastalla, Piacenza, Denore (Ferrara), Rovigo; - Marche: Senigallia, Fermo, Jesi; - Toscana: Massa, Viareggio; - Altrove: Roma, Chieti; - Venezie: Vicenza, La Mendola (Bolzano), Verona, Asolo (Treviso), Treviso, Crespano, Possagno, Trabaseleghe (Treviso), Castelfranco Veneto, Castelletto del Garda (Verona). 1959-’60 - Negli Atti mancano le località riguardanti la Provincia di Roma. - Provincia di Torino – Piemonte: Biella, Torino, Vercelli, Novara, Alessandria; - Lombardia: Milano, Cremona, Voghera, Palazzolo S/Oglio, Saronno, Brescia, Crema, Bergamo, Torre Boldone, Vigevano, Luino, Gallarate, Vimercate, Seregno; - Liguria: Albenga, Imperia, Savona, Ventimiglia, La Spezia, Sanremo, Bordighera; - Venezie: Bassano del Grappa, Verona, Vicenza, Asolo, Castelli di Asolo, Treviso, Trieste; - Emilia-Romagna: Parma, Portomaggiore, Denore, Busseto, Salsomaggiore, Fidenza, Modena, Bologna Reggio E., Guastalla; - Toscana: Massa; - Altri luoghi: Roma, Frascati, Catania.


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Marco Paolantonio

1960-’61 - Provincia di Roma - fr. Remo di G.: 1092 incontri nell’anno, 50.000 gli ascoltatori.50 Operarono inoltre i ff. Leonardo e Paolo (S. Venerina, Catania, Acireale); fr. Leone di G. (Roma-Villa Flaminia); fr. Maurelio (Torre del Greco, Nola, Salerno e Cilento); fr. Temistocle (Roma, Manciano, Montepulciano Piancastagnaio, Vivo d’Orcia, Borgata Prenestina). - Provincia di Torino – Piemonte: Torino, Biella, Grugliasco, Pianezza, Tortona, Ivrea, Vercelli, Novara. – Lombardia: Vigevano, Bergamo, Mortara, Crema, Milano, Saronno, Luino, Voghera; - Venezia: Trieste, S. Stefano di Cadore, Padova; - Emilia-R.: Parma, Guastalla, Bologna; - Liguria: San Remo, Bordighera; - Altrove: Ancona, Massa, Carrara, P.zza al Serchio. 1961-’62 - Provincia di Roma - Italia Settentrionale: Milano, Borgomanero, Clusone, Ivrea, Sanremo, Coldirodi, Pietra Ligure, Albenga, Loano, Tortona, Carpi, Mirandola, Concordia, La Spezia; - Italia Centrale: Pesaro, Fano e località delle due Diocesi, Fermo; Firenze, Fiesole, Massa, Carrara, Aulla, Grosset, Garfagnana (varie località); Roma, Aprilia, Grottaferrata, Gaeta, Formia, Minturno, Fondi, Castelforte; - Italia Meridionale: Cerreto, Telese, Guardiasanframondi; Avellino, S. Angelo de’ Lombardi, Lacedonia, Montella; Potenza, Marsinuovo, Lagonero, Molirano, Lauria; Sapri, Maratea, Molfetta, Terlizzi, Giovinazzo; Mormanno, Laino; - Italia Insulare: Portoferraio, Marciana; Nuoro; Palermo, Cefalù, Petraliasottana, Caltavolturo. - Provincia di Torino – Piemonte: Borgomanero, Novara, Torino, Biella, Tortona, Vercelli, Grugliasco, Pianezza; - Lombardia: Milano, Cinisello, Crema, Vimercate, Caravaggio, Varese, Cremona, Vigevano, Pavia, Erba, Saronno, Voghera, Abbiategrasso, Desio, Seveso, Arluno; - Liguria: Genova, Sanremo; - Venezie: Bassano del Grappa, Venezia, Vicenza; - Emilia: Ferrara, Piacenza; - Toscana: Massa; - Altrove: Urbino.

50 Cifre tanto più straordinarie se collegate alle relative trasferte. Le località toccate furono: - nell’Italia settentrionale: Albenga, Bergamo e Scanzo, Brescia, Carpi, Clusone, Coldirodi, Cremona, Este, Imola, Ivrea, Lanzo d’Intelvi, Loano, Piacenza, Pietra Ligure, Reggio E., S. Piero fin Bagno e S. Sofia di Romagna, S. Remo, Tortona, Vigevano; - nell’Italia centrale: Assisi, Aulla, Carrara, Fermo, Fiesole, Figline e S. Giovanni Valdarno, Firenze, Follonica, Grosseto, La Spezia, Massa, Massa Marittima, Montevarchi, Orbetello, Porto S. Stefano, Roma, Stia e Pontevecchio; - nell’Italia centro-meridionale: Albano, Anagni, Aprilia, Fiuggi, Genazzano, Grottaferrata, S. Gabriele (Isola Gran Sasso), Tolfa, Vasta e Casalbordino; - nell’Italia meridionale e insulare: Catanzaro, Cerreto Sannita, Crotone, Giovinazzo, Guardia Sanframondi, Laino, La Maddalena, Molfetta, Montecalvo, Mormanno, Nuoro, Pico, Farnese, Soverato, Squillace, S. Vito all’Jonio, Telese, Terlizzi.


La prima Commissione Catechistica Lasalliana (1942-1975)

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1962-’63 - Provincia di Roma – Italia settentrionale: Milano, Pozza (Val di Fassa), Soràga, Mendola, Cremona, Modena, Bertinoro, Forlimpopoli. – Italia centrale: Pesaro, Urbino, Formignano, Jesi, Ascoli Piceno; Sansepolcro, San Piero in Bagno, Massa Carrara, Aulla, Monzone, Licciana Nardi, Fordinovo, Gallicano, Castelnuovo Garfagnana, Camporgiano, Piazza al Serchio, Massa Marittima, Marciano – Lazio: Roma, Grottaferrata, Ferentino, Allumiere, Tolfa, Palestrina, Canino, Veroli, Borgata Prenestina – Italia meridionale: Avellino, Mercogliano, Giovinazzo, Salerno; Cosenza, Cassano all’Jonio, Castrovillari, Scalea, Mormanno, Camigliatello, Castelluccio Inferiore, Montalto Uffugo, San Fili, Rotonda, S. Vincenzo La Costa; - Isole: Caltavuturo, Castelbuono, Montemaggiore, S. Venerina; Cagliari, Bosa (Nuoro). - Provincia di Torino – Piemonte: Novara, Stresa, Torino, Vercelli, Biella, Grugliasco, Cuorgné; - Lombardia: Milano, Villasanta (Monza), Crema, Monza, Porlezza, Saronno, Tradate, Seregno, Pavia, Abbiategrasso, Vigevano, Gazzada, Bresso, Desio, Chiavenna; - Liguria: Sanremo, Bordighera; Venezie: Vicenza, Crespano del Grappa, Verona, Padova; - Emilia: Piacenza, Ferrara, Comacchio, Salsomaggiore; - Toscana: Massa Apuania, Piazza del Serchio, Pescia; - Altrove: Roma, Spagna, Perù. * * * L’indice dei temi assunti svolti è chiara testimonianza di una competenza pedagogico-catechetica necessariamente ‘datata’: il catechismo, il catechista e le sue doti, l’uditorio, metodo e forme di insegnamento, la preparazione, l’interrogazione, la memorizzazione, la spiegazione del testo condotta con opportuna alternanza in modo induttivo o deduttivo, una catechesi a misura di alunno, il coinvolgimento attivo del singolo e del gruppo, il ‘frutto pratico’ da annoverare fra gli impegni quotidiani, catechismi speciali, ricapitolazioni,… Si può estendere all’intera attività che fa capo al primo CCL il giudizio che il Riva diede di fr. Leone di M.; ‘ appare più l’opera di didatti che di pedagogisti, ma la didattica è troppo densa di vitalismo, di contenuti comportamentali e relazionali per rimpicciolirla esclusivamente nel settore didattico.’51 Giusto inoltre convenire che nel tempo in cui operò fece opera d’autentica avanguardia.

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Op. cit. p. 220.


JEAN-BAPTISTE DE LA SALLE

OPERE COMPLETE in 6 volumi, rilegati con sovracoperta, 22 x 15 cm. Prima edizione italiana a cura di SERAFINO BARBAGLIA

1. Scritti Spirituali / 1 Raccolta di vari Trattati brevi – Regole – Scritti personali. Presentazione di A. HOURY – Introduzione di M. SAUVAGE e M.-A. HERMANS, pp. 544.

2. Scritti Spirituali / 2 Meditazioni – Spiegazione del metodo di orazione. Presentazione di J. JOHNSTON, pp. 1194.

3. Scritti Pedagogici Guida delle Scuole cristiane – Regole di buona creanza e di cortesia cristiana. Edizione italiana a cura di R. C. MEOLI, pp. 480.

4. Scritti Catechistici I doveri del cristiano verso Dio. Traduzione e note a cura di G. DI GIOVANNI e I. CARUGNO, pp. 862.

5. Istruzioni e Preghiere Istruzioni e preghiere – Esercizi di pietà – Canti spirituali, Traduzione e note a cura di S. BARBAGLIA e I. CARUGNO. Presentazione di Á. RODRIGUEZ ECHEVERRÍA, pp. 470.

6. Le Lettere Traduzione e note a cura di S. BARBAGLIA. Introduzione di R. L. GUIDI, pp. 560. CITTÀ NUOVA EDITRICE Via degli Scipioni, 265 – 00192 Roma tel. 063216212 – comm.editrice@cittanuova.it Per informazioni e ordinazioni: Viale del Vignola, 56 - 00196 Roma tel. 06.322.94.503 - E-mail: gabriele.pomatto@gmail.com tel. 06.322.94.235 - E-mail: fedoardo@pcn.net


ESPERIENZE



Rivista Lasalliana 79 (2012) 1, 129-130

I PROVERBI, LE FESTIVITÀ, LE RICETTE… DA FONTI DI CULTURA A STRUMENTI DI DIALOGO DI ANNALENA LIBEROTTI Docente alla Scuola Secondaria di I grado, Istituto Comprensivo “Ten. F. Petrucci” di Montecastrilli (Terni)

a diversi anni ormai nella nostra scuola è al centro dell’attenzione l’argomento della multiculturalità forse perché non è solo un qualcosa di cui si sente parlare tanto ma è una realtà che si vive tutti i giorni. Da ricerche geografiche effettuate con gli alunni, abbiamo scoperto che la nostra regione, l’Umbria, costituisce un crocevia importante di varie culture e di diverse religioni provenienti da diversi continenti. Ciò lo si deve, oltre alla presenza di una prestigiosa Università per stranieri, quella di Perugia, all’estrema bellezza delle colline umbre, alla temperatura mite delle nostre valli e al clima accogliente della nostra gente. Anche il nostro paese Castel dell’Aquila, in provincia di Terni, come tutto il territorio circostante, da circa un ventennio, sta conoscendo questo flusso. Hanno cominciato alcune famiglie albanesi, poi nordafricane, macedoni ed infine bulgare ed ucraine, le quali si sono mosse con i loro nuclei familiari per assolvere ad una primaria esigenza dell’uomo: il lavoro. A differenza di ciò che si sente spesso alla tv o leggiamo sui giornali, il fenomeno migratorio, qui, non ha creato contraccolpi e non ha alterato i ritmi di vita; ci ha imposto, tuttavia, un impegnativo rispetto reciproco. Fortunatamente da noi non ci sono ‘scontri di civiltà’, non esistono guerre di religione e non si fanno graduatorie su chi è più giusto o più bravo. Noi, come scuola, abbiamo deciso di instaurare con loro un dialogo, capire in che cosa siamo uguali o differenti, sapere e conoscere i fondamenti della loro cultura e della loro religione. Attraverso incontri e conversazioni abbiamo capito che mondi diversi possono convivere e completarsi; abbiamo, infatti, scoperto che molti di loro cucinano le nostre ricette, trasmettono il loro sapere pronunciando gli stessi nostri proverbi. Ecco, perciò, come nel 2005 nacque l’idea di fare tutti insieme, nell’ambito di un laboratorio scolastico, un calendario dal titolo ‘modi di dire, modi di man-

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Annalena Liberotti

giare, modi di credere’, un progetto interculturale e interreligioso, che contiene al suo interno tutte le festività delle tre religioni monoteiste più importanti, Cristianesimo Ebraismo e Islamismo, le ricette tipiche da realizzare nei giorni di festa, i proverbi dello stesso significato, ma in lingue diverse. A conclusione del laboratorio si è organizzata una grande festa, per la quale ogni famiglia ha preparato una specialità del proprio paese d’origine e dove c’è stato un totale scambio di sapori, odori, pensieri e musiche. Un reale momento questo, non di semplice accoglienza, ma di vera e propria integrazione dell’altro, che troppo spesso ed erroneamente è considerato diverso. Ancora oggi la nostra scuola porta avanti progetti incentrati su scambi culturali e linguistici, in particolare con la vicina Francia. I ragazzi vengono ospitati e ospitano una settimana l’anno coetanei francesi, instaurando bellissime amicizie che durano nel tempo e si estendono anche alle famiglie. Inoltre abbiamo partecipato, e tutt’ora siamo inseriti, in progetti Comenius che hanno visto come partners numerose nazioni, quali la Germania, la Francia, la Grecia, la Polonia e la Turchia, intessendo con loro bellissimi rapporti attraverso lavori comuni, incontri nei diversi paesi, amicizie particolari ed esperienze irripetibili. Tutto ciò ci porta ad una profonda riflessione sul fatto che l’uomo di oggi, restio quasi a comunicare con l’uomo della porta accanto, ha bisogno invece di rapportarsi con l’altro e con la ‘diversità’ perché solo in questo modo, secondo noi, ha la possibilità di vivere momenti determinanti per avviare o consolidare un dialogo proficuo ed efficace con culture e civiltà diverse.


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DONATO PETTI, Dialogo sull’educazione con Papa Benedetto XVI, LibreriaEditrice Vaticana, 2011. Un dialogo: è la cosa più comune al mondo; questo invece, tra quelli del mondo, è uno dei più rari; nell’ordinaria abitudinarietà spicca per originalità. Il dialogo sorge, spontaneamente, ad ogni incontro; questo avviene invece, inconsuetamente, in un incontro straordinario, nel quale si compenetrano presenza ed assenza. Il colloquio si sviluppa, abitualmente, tra persone più o meno del medesimo livello sociale; qui il livello è fortemente differenziato. I due interlocutori, su una ben diversa piattaforma, si incontrano tuttavia nella comunione degli interessi sui medesimi valori. Sono animati da un identico zelo. Lo scambio di idee tra domanda e risposta prende, di solito, la forma dell’intervista: momento prefissato, tempo misurato, argomento predeterminato. Qui abbiamo un appuntamento fuori orario, indipendente da accordi e su temi a circonferenza totale. Il Papa è portavoce di Cristo, che si definì Maestro; quando parla insegna,

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ma lo fa in un determinato ambiente, a determinati ascoltatori, in una durata che ha l’estensione regolata dal buon senso e dal buon gusto. Il suo messaggio è un gheriglio avvolto da un guscio e da un mallo; è inserito in circostanze contingenti, che riducono l’essenzialità della sua comunicazione; ne risulta un quadro in una cornice tanto ampia da menomare l’evidenza dell’immagine. L’Autore ha depurato la sostanza nutriente dalle superfluità occasionali; ha radunato quello che era disperso; ha concentrato quello che era diluito; ha sistematizzato quello che era sparpagliato alla mercé delle circostanze. Non ha intervistato Papa Benedetto, metodo consueto con i grandi personaggi, a risparmio del loro tempo e a riguardo della loro disponibilità; lo ha sollevato da entrambi, evitandogli duplicazioni; ha ricuperato le dichiarazioni originarie; non lo ha ingabbiato in una griglia di domande preconfezionate; lo ha lasciato parlare nella genuinità della sua spontaneità immediata; non ha filtrato il suo pensiero attraverso al proprio, procedimento sempre esposto al sospetto di una soggettivizzazione personale; ha lasciato che si esprimesse in una libera iniziativa di temi e di angolazioni; semplicemente, lo ha trasposto da allora ad ora; ha collocato il lettore davanti a lui. Ha raccolto ‘tutto’ quello che il Papa ha detto nel susseguirsi del tempo e lo ha ha disposto in un’organicità di trattazione che è efficienza didattica per agevolarne la recezione. La gente non ha, d’ordinario, la possibilità di raggiungere tutte le dichiarazioni del Papa; non ha la capacità di coordinarle; non ha la destrezza di comporle in unitarietà di dottrina; il compito, che richiede una solerte tenacia ed un’oculata perizia costruttiva, se lo è assunto Donato Petti e ne offre il risulta-


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to a quanti hanno svegli interessi culturali e spirituali. L’area nella quale ci si muove è di fondamentale importanza; è quell’educazione che alla vita fornisce le motivazioni del suo esserci ed i metodi per scoprirne le attrattive che la rendono appagante. L’educazione, radice e frutto della cultura, è l’illuminazione della vita, che ne rivela la natura, ne mostra la sublimità, ne giustifica il fine, il quale, mentre la trascende, la corona. Educare è vedere e far vedere; è conoscere il cammino e segnalarlo agli altri, è procurarsi la forza per la marcia e somministrarla agli altri. È la missione più alta per ogni uomo, quella più impegnativa, quella più esaltante, ma insieme anche la più ardua e perciò, specialmente ora, la più disattesa. Le grandi centrali formative, dalla famiglia alla scuola, dal mondo laico a quello religioso, in questo campo, soffrono oggi difficoltà di respiro. Incombe una ridotta capacità di visione; stagna sulla società attuale un’atmosfera nebbiosa che affanna il respiro ed offusca lo sguardo. Con una sveglia perspicacia il Papa si è impegnato a diradare questa foschia e ad imprimere un nuovo slancio all’attività educativa, commentandola in tutte le sue valenze È una panoramica a visione completa: vi si compongono attualità e storia, antropologia e psicologia, morale e costume, natura e fede, laicità e religiosità, pedagogia cattolica e finalizzazione ai valori. Il Papa non dà precetti, porge nozioni, che però, nella loro tersa obiettività, finiscono per diventare cogenti; la sua è la razionalità che protegge la ragione dalle contraddizioni del razionalismo il quale, mentre l’assolutizza contro il trascendente, la mutila imprigionandola nell’immanente sperimentale e concreto. Dagli interventi del Papa emerge una

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totalità che fa sicurezza; non ha renitenze che possano denunziare riluttanza davanti a questioni alle quali si ignora o si teme la risposta; guarda in tranquilla franchezza in tutte le direzioni. Dichiara responsabilità e le conforta indicando le vie del successo; non fa sconti a compromessi che mortifichino la coscienza ed insieme si astiene da ogni asprezza rigoristica. Domina dovunque la schiettezza di chi conosce la realtà, l’accetta nella sua bontà (il mondo fu creato da Dio come cosa buona) e l’apprezza nella sua positività. È una formulazione dottrinale che si fa automaticamente esortazione ed incoraggiamento; rasserena la vita. È un dono di grande valore e di puntuale attualità. Lo stato della sua offerta potrebbe però sminuirne l’efficacia per una difficoltà d’accesso, che esclude la grande maggioranza dei destinatari, riducendosi all’esigua schiera degli specialisti. L’Autore ha quindi avuto il segnalato merito, non solo di offrire la chiave di questo scrigno, ma di esporne egli stesso alla vista i grandi tesori. Li presenta in un’originalità che ne evidenzia la persuasiva razionalità ed in una perspicuità che appiana le asperità alla marcia di raggiungimento. La concisione rimuove l’obiezione della mancanza di tempo ed aiuta l’impressione nella memoria, rendendone stabile il possesso. Questo dialogo, ben lungi dall’essere un’interpretazione, è una presentazione; trasporta il passato nel presente; il Papa dal Vaticano entra nella stanza di ogni fedele, si mette a sua disposizione in ogni momento. Il dialogo si fa confidenza ed il Magistero diventa amicizia personale. Donato Petti si è fatto fine e premuroso introduttore. Sarebbe deplorevole storditaggine il non approfittarne. Francesco Trisoglio


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DARIO ANTISERI, Come si ragiona in filosofia e perché e come insegnare storia della filosofia, La Scuola, Brescia, 2011, pp. 181. È proprio vero che non si può imparare a pensare filosoficamente se non esercitando la riflessione filosofica. Di ciò si deve ora tener conto mentre si è sollecitati a riflettere sulla questione del ragionamento in filosofia dal prezioso volume di Dario Antiseri Come si ragiona in filosofia e perché e come insegnare storia della filosofia. Il volume definisce i termini di un problema attualissimo che s’impone particolarmente all’attenzione degli insegnanti e degli studiosi nel momento in cui nel nostro Paese si deve governare un profondo rinnovamento grazie alla riforma dell’istruzione scolastica. Cosa vuol dire oggi – allora – studiare la filosofia e insegnare la storia della filosofia? Studiare la storia della filosofia, diremo innanzitutto, non significa ripercorrere un semplice repertorio di idee che si susseguono nei secoli, idee quasi ridotte a cristalli di un pensiero autoreferenziale, ma diventar consapevoli dei problemi molteplici e mutevoli che sono sottesi a quelle forme di sapere assoggettate al potere del lògos nel loro divenire storico. Antiseri scrive: «Le idee – ha detto Einstein – sono la cosa più reale che esista al mondo. E non ci vuole molto a comprendere che, tra queste ‘cose più reali’, le più importanti storicamente, socialmente e personalmente sono proprio le idee filosofiche: su Dio e la non esistenza di Dio, su questo o un altro Dio; su questo o quest’altro o nessun senso della storia; sulla natura umana; sui principi dell’etica accettata, sulle regole della convivenza umana» (p. 10). L’Autore pone dunque in risalto la valenza della filosofia come campo di “idee decisive”. Ma tale consapevolezza

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non esime al tempo stesso dal porre una domanda centrale nel volume in discussione, e cruciale per il sapere filosofico: «com’è possibile un controllo razionale di idee tanto importanti e decisive come quelle filosofiche?» (ibidem). Se il sapere scientifico, l’episteme, in riferimento alla realtà fattuale è tale in ragione del potere del soggetto conoscente di istituire tecniche di controllo rigoroso, le idee filosofiche a differenza di quelle scientifiche non sono passibili di prova e fattualmente falsificabili. «Se fossero fattualmente falsificabili sarebbero scientifiche e non filosofiche» (p. 11). Ben sappiamo che il sapere filosofico non è una forma di sapere fattuale né una forma di sapere incontrovertibile, bensì un sapere la cui peculiare natura risiede esclusivamente nell’argomentazione e nella discussione critica. La tradizione della discussione critica, nata nella Ionia, costituisce «una innovazione straordinaria e fondamentale per la configurazione della civiltà occidentale» (p. 94), la quale a partire dai Presocratici segna, grazie a una “pluralità di dottrine”, una vera rottura rispetto alla tradizione dogmatica. «Ma, allora, dobbiamo forse ammettere – scrive Antiseri riconoscendo l’impossibilità del controllo fattuale del sapere filosofico - che una teoria filosofica vale l’altra, che i filosofi non hanno fatto e non fanno e non possono fare altro che agitarsi nella notte della più pura arbitrarietà?» (p. 11). Se le teorie scientifiche sono razionali, lo sono anche le forme del sapere filosofico? Richiamandosi a Karl Popper, Joseph Agassi, John Watkins e William Bartley, Antiseri affronta il problema alla luce della tesi fondamentale – secondo la prospettiva del razionalismo critico – secondo cui «le teorie filosofiche sono razionali se e quando sono criticabili» (p. 12). E ciò non senza risvolti importanti e


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pronunciamenti in difesa di una filosofia che non ama disperdersi nella “verbosità”, nella “confusione” e nell’ ”arroganza” (anche se tali “malattie” sono “non sempre esorcizzabili” (p. 13) ). L’idea di controllo come possibilità di critica è posta dunque semplicemente – a nostro avviso – in funzione di quella vigilanza che deve essere sempre esercitata nei confronti di quei labirinti del pensiero pensante frutto di logomachie tanto vane quanto – sovente - inconcludenti. Le teorie filosofiche sono razionali «in quanto criticabili teoricamente, cioè in base a idee e teorie all’epoca accettate e, per quanto consolidate, anch’esse non assolute e sempre sotto assedio» (ibidem). Diventa così possibile «la stesura di una storia scientifica delle idee filosofiche» (ibidem), e ciò alla luce di un fine lavoro filologico, di un’interrogazione volta a scorgere, nell’opera di un filosofo, continuità e discontinuità delle idee, linee argomentative e confutazioni di teorie alternative, filiazioni intellettuali e problemi che nella storia del pensiero alcune volte sono lasciati irrisolti. E leggendo le assai coinvolgenti pagine del volume in discussione ci si accorge – è inutile negarlo – che non si tratta a ben vedere solo di una definizione di status del sapere filosofico ma soprattutto del riconoscimento di una moralità intrinseca alla comunicazione ed elaborazione del discorso filosofico. Nell’insegnamento filosofico l’atteggiamento critico di cui stiamo dicendo vanta dunque la prerogativa di porsi come antidoto al sapere sentenziale che condanna e assolve. Ma una volta ritenuta illegittima una storia della filosofia sentenziosa, quale sarà la “via aurea” dell’insegnamento filosofico? «C’è un metodo, una via aurea, su cui basarsi per produrre una buona didattica della storia della filosofia?» (p.

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16). Questa via aurea – Antiseri sostiene esiste ed è segnata dai problemi, dalle domande, dalle Vorverständnis o precomprensioni (“opinioni o pregiudizi sulla fede, sulla politica […]”) che costituiscono il background da cui muovere per seminare dubbi e sollecitare - naturalmente - risposte. Il semplice “buon senso” diventerà un momento significativo in quanto scaturigine dell’argomentazione filosofica a vantaggio della quale non si lesinerà tempo e si eviterà di essere parsimoniosi nell’esposizione manualistica. Una volta evidenziata tutta l’importanza del momento motivazionale nella pratica didattica dell’insegnante di filosofia, nel volume assume un rilievo teorico particolare la questione rilevante della natura dei problemi e delle teorie filosofiche e a tal riguardo si apre al nostro sguardo uno scenario novecentesco molto interessante, quello scenario, che si avvale di una miriade di contributi critici, del neopositivismo logico al quale l’Autore – dobbiamo ricordare – ha rivolto una particolare attenzione a partire dall’importante volume Dal neopositivismo logico alla filosofia analitica, del 1966. E non a caso tale scenario è oggetto di esplorazione critica. Com’è noto gli scienziati e i filosofi del Circolo di Vienna, volendo reagire all’irrazionalismo e allo spiritualismo dilaganti a fine Ottocento, anzi alle “oscurità” del sapere filosofico, rivolgono le loro invettive critiche ad una filosofia concepita come “filosofia prima” o metafisica. Ma i neopositivisti eccedono: ed eccedono visibilmente innanzitutto, a nostro avviso, quando si voglia considerare che la filosofia non coincide necessariamente con la metafisica. Ma eccedono – soprattutto – quando dichiarano che la metafisica è addirittura priva di senso.


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Purtuttavia i neopositivisti ancor oggi offrono “chances”di riflessione. La ricerca di un antidoto ad una filosofia che si vuol far coincidere con la metafisica conduce alla ridefinizione dello status della disciplina filosofia. La filosofia dai Circolisti viene concepita come analisi del linguaggio. Nel milieu neopositivista si dànno - a ben vedere - alcune alternative che non si sintetizzano: 1) la filosofia è analisi del discorso quotidiano (Wittgenstein); 2) la filosofia non può risolversi nell’analisi del linguaggio (Russell e Popper). Richiamandosi alle controversie sorte fra Wittgenstein e Popper (avvincente è il racconto della “lite di Cambridge”) l’Autore pone in piena luce l’irriducibilità delle questioni autenticamente filosofiche, includendo nel ventaglio di tali questioni – differentemente dalla preclusiva opzione neopositivistica – proprio quella metafisica la quale storicamente si è rivelata talvolta molto influente, come ben sappiamo, nel processo della scoperta scientifica. Perciò nel volume un excursus delle tesi antimetafisiche di Rudolf Carnap, Moritz Schlick e Otto Neurath risulta molto efficace per rendersi conto della svolta, di cui parla Schlick, nel modo di concepire lo status e il ruolo della filosofia, nonché delle questioni teoriche implicate da tale svolta. In Die Wende der Philosophie (“Erkenntnis”, I, 1930) Schlick afferma che l’attività della filosofia si riduce alla chiarificazione del senso degli enunciati. La filosofia esplica le proposizioni. La scienza le verifica. Ma, avverte l’Autore, «se questa nuova modalità di praticare la filosofia potrà apparire come la negazione più decisa della filosofia tradizionale, per altri aspetti essa è in realtà il punto di arrivo di un lungo cammino del pensiero umano» (p. 107). Perché? Rievocando le

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tesi contenute nello scritto schlickiano L’école de Vienne et la philosophie traditionnelle (1937), egli scrive che «per Schlick, difatti, il primo filosofo del linguaggio non è stato né Leibniz, né Russell, né Poincaré, ma addirittura Socrate» (ibidem). I neopositivisti secondo Schlick, egli tiene a precisare, sono «gli eredi della posizione socratica per il fatto che, come quella di Socrate, anche la filosofia del linguaggio è essenzialmente critica, cioè non speculativa e sistematica» (ibidem). Con i riferimenti anche all’antimetafisica di Carnap e Neurath si disegna un ampio panorama delle posizioni dei Circolisti. Ma di fronte alla forte esigenza dei neopositivisti di espungere la metafisica dal campo del sapere filosofico che voglia essere dotato di senso, o meglio del sapere filosofico risolto dai Circolisti nella Wissenschaftliche Weltauffassung (concezione scientifica del mondo), nel bel volume di Antiseri non è elusa una domanda fondamentale: «l’argomentazione filosofica dei neopositivisti è chiara. Ma è anche valida?» (p. 112). Si tratta di una domanda interessante con la quale si vuole dare in fondo voce all’esigenza di promuovere un ineludibile ripensamento dei problemi afferenti all’assolutizzazione, da parte dei neopositivisti, di quel criterio di significanza (principio di verificazione) in base al quale si vuole demarcare nettamente la scienza dalla metafisica, il discorso significante da quello insignificante, mentre a Vienna contemporaneamente la posizione filosofica di Popper molto più cautamente – lungo i sentieri del razionalismo critico – non elude questioni così importanti aprendo, dopo il wittgensteiniano principio di uso e la filosofia analitica di Oxford e Cambridge, «la strada ad un esame dei rapporti storici, logici e metodologici tra teorie attualmente falsificabili, cioè scien-


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tifiche, e teorie metafisiche che, se criticabili, sono addirittura razionali» (pp. 112113). Popper infatti non ha mai dichiarato che la metafisica è insensata, sebbene egli abbia inteso individuare un criterio in grado di demarcare nettamente la scienza dalla metafisica. Il volume offre dunque molteplici “chances” di riflessione critica sui diversi aspetti del sapere filosofico, e sarebbe impossibile delineare qui un quadro esaustivo delle numerose questioni affrontate dall’Autore in modo convincente e avvincente e con la consueta chiarezza espositiva che caratterizza la sua produzione. Il suo impianto è organizzato nel modo che segue: Introduzione. Perché e come studiare storia della filosofia. Parte prima: La logica del ragionamento filosofico. Cap. 1. Sono razionali solo le teorie scientifiche o anche quelle filosofiche?. Cap. II. Come orientarsi nella terra di nessuno tra l’impero della verità analitiche e l’impero degli asserti sintetici. Cap. III. Perché è proprio nella Ionia, con i Presocratici, che ha inizio la storia del pensiero filosofico. Parte seconda. Teorie filosofiche criticabili e criticate. Cap. IV. La metafisica davanti al tribunale del “principio di verificazione”. Cap. V. Il metodo con cui lavora l’ermeneuta è davvero diverso da quello del fisico? Cap. VI. Teorie filosofiche fra uso e abuso della ragione. Ciascun capitolo si articola poi in numerosi paragrafi. Concludendo questa breve nota diciamo che nel volume in discussione l’argomentazione sostenuta, l’ampio apparato di note esplicative e i cospicui riferimenti bibliografici fanno del lavoro di Antiseri un punto di riferimento di primaria importanza e imprescindibile nel dibattito contemporaneo sul sapere filosofico e il suo insegnamento. Allora, perché non partire da tale lavoro critico per affrontare

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le questioni che nella scuola riformata oggi s’impongono prepotentemente e attendono urgenti e ineludibili risposte? Mirella Fortino

FRANCESCO ZACCARIA, Participation and beliefs in popular religiosity. An empirical-Theological Exploration Among Italian Catholics, Brill, Leiden-Boston, 2010, pp. 310. Discepolo di J.A. Van der Ven, pastoralista olandese noto per una elaborazione scientifica della riflessione teologicopratica, definita sinteticamente “teologia pratica empirica”, l’autore presenta in questo volume la sua ricerca per il conseguimento del dottorato in teologia, presso le Università di Nimega e Lovanio, edita ora nella prestigiosa collana Empirical Studies in Theology, diretta dallo stesso J. A. Van der Ven. In termini essenzialissimi, conviene, preliminarmente, ricordare che la teologia pratica empirica valorizza con metodologia rigorosa e sicura l’incontro fra la riflessione teologica sistematica e l’analisi empirica della prassi nel suo contesto, in dialogo con le scienze sociali e dell’uomo e mediante l’elaborazione statistica della realtà religiosa, nei suoi vari aspetti (cioè come pratiche pastorali, rappresentazioni di fede, modelli di chiesa e di azione ecclesiale, modelli di rapporto chiesa-mondo, e così via). Lo studio prende in considerazione il tema della partecipazione ecclesiale e della fede nella religiosità popolare (=RP), esaminando un campione di 1288 fedeli, membri di confraternite laicali e di gruppi di preghiera di P. Pio, attivi nelle parrocchie della diocesi di ConversanoMonopoli, e ne studia la partecipazione anche alla vita delle comunità parroc-


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chiali, e, successivamente, le rappresentazioni di fede relative a Dio, alla sofferenza, a Gesù Cristo e alla Chiesa. Della partecipazione alle varie pratiche della RP studia, infine, gli effetti sulla loro fede, sintetizzando in un capitolo conclusivo i dati acquisiti nei vari momenti e sui vari aspetti della ricerca, e segnalando ulteriori spazi di indagine per la riflessione e indicazioni per l’azione pastorale. Con molta consapevolezza della complessità del lavoro, l’A. ne precisa saggiamente i limiti; così pure, alla fine, l’A. non enfatizza né tantomeno assolutizza o universalizza i dati rilevati. Naturalmente, questa ultima affermazione non toglie certezza scientifica ai tanti e interessanti risultati conseguiti. Il metodo di lavoro, che si rivolge per la prima volta in Italia allo studio della partecipazione e delle rappresentazioni di fede nel mondo della RP, prende come punto di partenza le posizioni teologiche più significative nei vari settori dell’indagine (cosa viene affermato della RP, della partecipazione ecclesiale, della concezione di Dio, della sofferenza, di Gesù Cristo, della Chiesa…) fornendo il quadro sintetico e oggettivo di riferimento per la rilevazione, il confronto e la valutazione dei risultati ottenuti dall’indagine sul campione scelto. Nel capitolo introduttivo (pp.1-28) l’A. illustra il motivo della scelta del tema; qui la fase di preparazione dell’indagine appare in tutta la sua complessità e meticolosità, poiché dalla presentazione delle elaborazioni di teologia sistematica sui vari temi, si passa alle ipotesi da verificare, alla operazionalizzazione delle rappresentazioni concettuali, alla formulazione degli items, alla messa a punto degli strumenti di analisi e valutazione, considerando le seguenti variabili (sesso, età, cultura, importanza attribuita alla

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religione e coinvolgimento ecclesiale), utilizzando con padronanza e precisione gli specifici metodi elaborati dagli studiosi della ricerca sociale e socio-religiosa, o, se e quando necessario, giustificando gli opportuni adattamenti al proprio campo di lavoro. Solo a queste condizioni si realizza il corretto dialogo tra teologia e scienze socio-statistiche e la ricerca offre risultati validi sul piano scientifico. La prima questione, relativa alla partecipazione nella RP, trova adeguate risposte nel cap.II (p.29-72) e nel cap.VII (vedi più oltre), in cui si presentano gli effetti della partecipazione alla RP sulla fede e le sue rappresentazioni. Premesso che la RP è stata studiata da due punti di vista (di opposizione alla religione ufficiale o di complementarietà), la ricerca ha optato per la seconda ipotesi, giustificata dallo studio della relazione tra le pratiche della RP e la Liturgia della Chiesa, relazione che dal punto di vista della RP è descritta come relazione di compatibilità o affinità, e dal punto di vista della Liturgia come valorizzazione e purificazione. L’A. afferma che la legittimazione teorica di questo punto viene dalla teologia sacramentaria e dal concetto di sacramento, certamente più ampio, e non limitabile ai sette sacramenti, in quanto esteso alla Chiesa come corpo di Cristo e come realizzazione visibile della salvezza di Cristo nella storia. Ne consegue che le pratiche della RP, compiute da membri del corpo di Cristo, si pongono in complementarietà con la liturgia ufficiale della Chiesa cattolica sulla via di un reciproco influsso e interdipendenza. La RP è vista come un fenomeno interno alla Chiesa cattolica. Di fronte alle difficoltà di una definizione concettuale globale della RP, l’A. ne propone una operazionale, in termini di credenza e di ritualità. La credenza signi-


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fica che questa partecipazione alle forme di RP (nel caso, le confraternite e i gruppi di preghiera di san Pio) unisce questi fedeli a tutti gli altri fedeli della Chiesa cattolica, anche se sono distinti dalla partecipazione a figure concrete ufficiali di Chiesa, come la parrocchia. La ritualità significa che, con la partecipazione alle loro pratiche (che vanno dalla venerazione delle reliquie alle processioni, ai pellegrinaggi, voti, preghiere, rosari ecc.), questi fedeli sono dentro il patrimonio rituale della Chiesa, anche se secondo forme distinte dalla liturgia ufficiale. La scala costruita dall’alto al basso livello di partecipazione, combinando credenza e ritualità, si esprime nella differenza tra più intensa o più debole partecipazione alle pratiche, e sostanzialmente sta dentro la teoria economica della religione, che spiega la diversità delle denominazioni e forme del “mercato” religioso del cattolicesimo italiano. La ricerca mostra che i membri con più alto livello di partecipazione sono anche più coinvolti nelle attività della parrocchia e che la RP è un fenomeno non marginale né contrapposto alla religione ufficiale. Un certo dualismo è comunque espresso dal fatto che i fedeli della parrocchia guardano alla RP come alla “religione del popolo” e alla religione ufficiale come alla religione dell’élite intellettuale. Da ultimo: elemento di convergenza è il coinvolgimento nella Chiesa; di distinzione è l’educazione. Il capitolo III (p.73-98) prende in considerazione la fede in Dio, punto fondamentale in ogni discorso teologico, che la letteratura sulla RP ha sempre considerato particolarmente problematico e carente: quale immagine di Dio è messa in risalto nella RP, e perché la fede espressa nella RP è differente rispetto all’insegnamento ufficiale della Chiesa? L’A. intende

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verificare se davvero la fede in Dio nella RP è come viene descritta, cioè non corrispondente alla fede tradizionale della Chiesa; descrive, perciò, la fede tradizionale in Dio come incentrata su un’immagine iconica, personale, immanente-trascendente di Dio, mentre la non tradizionale è carente di una o di tutte tali caratteristiche. Una sintetica ma incisiva esposizione della storia della teologia e dello sviluppo dei dommi su Dio Uno-Trino permette di compilare un elenco teorico della fede tradizionale e non tradizionale, di elaborare 7 formulazioni teoriche della fede in Dio e, con la somministrazione di questionari e la loro analisi, di verificare empiricamente la situazione esistente nella RP, e tra coloro che hanno un basso o alto livello di partecipazione. Il capitolo IV (99-141) riguarda il rapporto e la visione di fede sulla sofferenza. Emerge con chiarezza che esso, pur partendo da considerazioni generalissime (perché l’uomo soffre? Da dove viene il dolore?), viene visto in stretta relazione con Dio: c’entra e come la sofferenza dell’uomo con un Dio che è amore? L’A. pone la questione sul piano della teodicea, partendo da un’opportuna chiarificazione dei termini in gioco; poi ricostruisce l’intricata vicenda del pensiero teologico sul tema, a partire dal contributo di Agostino fino all’approccio “teopatico” (Dio non è indifferente all’umano soffrire, Dio stesso soffre nella sofferenza del Cristo Crocifisso; in Lui trova luce e risposta il mistero di ogni umano soffrire). Nella proposta di concettualizzazione teologica previa alla operazionalizzazione degli items, l’A. si richiama ad alcuni studi sul processo di superamento della sofferenza (è una difficoltà o una risorsa? E come può diventare una risorsa?), poi con riferimento al mondo della RP esemplifica le varie possibilita’ di


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comprensione della sofferenza (come castigo di Dio, come mezzo di partecipazione al mistero della propria salvezza, come opportunità di comprendere e di crescere nella fede, come rivelazione di un Dio che soffre con l’uomo) e dei conseguenti atteggiamenti dei fedeli della RP (la lamentazione con Dio e l’accusa di subire sofferenze ingiustamente). Nel capitolo V (143-187) sulla fede in Gesù Cristo il discorso prende le mosse dall’esistenza nella storia della ricerca teologica su Gesù Cristo di due approcci, noti come cristologia dall’alto e cristologia dal basso, che coesistono anche nel Concilio e nella teologia attuale. L’A. formula l’ipotesi che le pratiche della RP accentuino primariamente l’umanità di Cristo, ne richiama il percorso storico risalente alle devozioni medioevali sostenute dalla spiritualità monastica e francescana, con sviluppi ulteriori nella devotio moderna e nella spiritualità dell’Imitatio Christi, affermando la possibile complementarietà tra l’approccio cristologico dal basso e l’accento sull’umanità di Gesù tipico della RP, alla luce dei concetti teologici di salvezza cristiana come imitatio Christi e lo stretto rapporto tra memoria passionis e memoria resurrectionis, illustrato con esplicito riferimento al pensiero di J.B. Metz. L’A. propone quindi alcuni items sui vari approcci, riferendosi in primo luogo alla cristologia dall’alto, e poi a 5 cristologie dal basso, di cui una “che si pone fuori dalla dialettica tra umanità e divinità di Gesù Cristo” (in quanto non accetta la sua divinità), allo scopo di vedere se la cristologia della RP merita o meno il giudizio di “cristologia incompleta”, espresso da alcuni autori. Il capitolo VI (p.189-224) è relativo alla Chiesa, in sé e nel suo rapporto con il mondo e la società. L’A. identifica con chiarezza ambiti e nodi della questione:

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tra essi, il rapporto con la Chiesa cattolica e quindi la riflessione ecclesiologica in ambito cattolico; la distinzione utilizzata in ambito conciliare tra chiesa “ad intra” e “ad extra”; per la RP, il ruolo dei laici nella chiesa e dentro la relazione chiesasocietà. Per il primo aspetto, propone riflessioni sintetiche sulla ecclesiologia di comunione, sulla partecipazione nella liturgia e nella vita della comunita’ parrocchiale, sul ruolo dei laici e la funzione di leadership nella chiesa; analizza funzioni e dimensioni in progressione, come l’informazione, la consultazione, il dialogo, la corresponsabilità nella decisione, l’autonomia. Per il secondo, richiama la dottrina conciliare del reciproco influsso chiesa-mondo, l’identità sacramentale ed escatologica della chiesa, il ruolo dei laici nel reciproco scambio chiesa-società, come capacità critica, competenza professionale, apertura culturale, istanza profetica, influenza sulla politica e sulla pubblica opinione. In breve, si tratta di una sintesi rigorosa e chiara che, oltre l’indagine, ha anche il valore di indicazione del cammino da percorrere oggi nella chiesa italiana con lungimirante fedeltà al Vaticano II e senza risparmio di energie, per il bene della Chiesa e per il suo servizio all’uomo. Il capitolo VII (p.225-248) sugli effetti della partecipazione alle pratiche della RP muove dall’ipotesi che la partecipazione religiosa può influenzare la fede delle persone, ipotesi basata sulle prospettive di tre differenti discipline, la teologia, la sociologia e la psicologia. Il dato teologico, innanzitutto, è sintetizzato nell’assioma lex orandi, lex credendi attribuito a Prospero di Aquitania, ma costantemente ribadito nell’insegnamento ufficiale della chiesa: la liturgia eleva e nutre la fede. Ma anche la prospettiva sociologica sostiene l’importanza della interio-


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rizzazione dei simboli, favorita dagli attuali sistemi di comunicazione sociale, e quella psicologica, fondata sulla teoria della conoscenza a partire dall’esperienza corporale, assegna un’importanza capitale al corpo nella formazione dei processi mentali. L’A. si mostra consapevole delle obiezioni esistenti sull’applicazione di tali teorie alla riflessione sulla fede; per i suoi limiti, esse potrebbero giungere a negare la stessa trascendenza e sottovalutare l’importanza della comunità, della cultura e della società nel processo di conoscenza. Per la verifica empirica, l’A. ha “operazionalizzato” le rappresentazioni concettuali, formulando in totale ben 72 items (14 sulla fede in Dio, 17 sulla sofferenza, 24 per la cristologia, 17 per la ecclesiologia) che sono stati somministrati al campione rappresentativo scelto, verificando il loro accordo o disaccordo con le formulazioni; poi ha esaminato le risposte con riferimento al livello di alta e bassa partecipazione dei fedeli alle pratiche della RP; ha studiato le variabili legate all’età, al sesso, all’istruzione, all’importanza attribuita alla religione e al coinvolgimento ecclesiale; ha controllato le cosiddette analisi di regressione. Il risultato, a cui l’A., è che sostanzialmente le rappresentazioni religiose e di fede dei partecipanti alla RP esprimono consenso con le

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formulazioni di fede ufficiali della chiesa cattolica, e che la partecipazione alle pratiche di RP hanno effetti positivi sulle rappresentazioni di fede. Verrebbero provati, percio’, come privi di fondamento tanti rilievi mossi alla RP. Il capitolo VIII (p.249-271) riassume i risultati della ricerca, in rapporto alle ipotesi formulate in avvio del lavoro, ed ampiamente esposte e discusse nei capitoli 2-7, e raccoglie osservazioni e proposte per ulteriori ricerche e per l’azione pastorale. Seguono le appendici 1-4 che riguardano gli strumenti di misurazione, i fattori di analisi, i tests di Scheffé, il rapporto fede e genere (maschile-femminile), la bibliografia, e l’indice analitico. Una mia lapidaria considerazione conclusiva: i partecipanti alle varie forme di RP (considerati da alcuni autori che se ne sono occupati come “figli di un Dio minore” o “cristiani dimezzati” o come lontani dalla realtà e dalla concezione conciliare chiamata “popolo di Dio”, e da far maturare con ogni sforzo verso la fede “matura”), alla luce della presente ricerca sono inquadrati più obiettivamente. La RP, così come conclude l’Autore, è presente dentro la Chiesa cattolica come forma complementare della “religione ufficiale”. Ciro Sarnataro


LA SALLE BIOGRAFIE DI GIOVANNI BATTISTA DE LA SALLE FRÈRE BERNARD Vita di Giovanni Battista de La Salle trad. it. e presentazione di Bruno Bordone, Vercelli 2007, pp. 153 L’autore ha vissuto in comunità con il La Salle ed ha attinto dalla viva voce dei primi Fratelli le testimonianze che trasmette. Più che biografo è un testimone che offre con limpidità il La Salle nella sua veste di fondatore di una comunità di uomini affascinati da un giovane prete e votati a tenere insieme e in associazione le scuole gratuite.

FRANÇOIS-ELIE MAILLEFER Vita di Giovanni Battista de La Salle trad. it. e presentazione di Bruno Bordone, Vercelli 2007, pp. 301 Nipote del La Salle, l’autore scrisse su incarico della famiglia La Salle. Suo scopo è delineare il volto dello zio in tutta la sua autenticità attingendo a fonti sicure e trattandole con competenza. Con esemplare incisività presenta il giovane Jean-Baptiste alla ricerca della sua vocazione, teso a realizzare il piano di Dio tra l’affetto dei suoi figli spirituali e le resistenze di quanti non capivano il valore profetico delle sue scelte.

ELIO D’AURORA Monsieur de La Salle – una fedeltà che vive Editrice A&C, Torino 1984, pp. 275 La vita del La Salle si svolge nell’irriducibile realismo di una società dibattuta da crisi di coscienza, statolatria, ambizioni del potere, sete di ricchezze, necessità di rigenerarsi. La Salle non colloca la sua pedagogia nelle belle lettere, ma nelle arti e nei mestieri, presagendo il travaglio di un rivolgimento politico e sociale che l’Europa stava covando. Nella Francia del Re Sole, tra guerre miserie e pestilenze, ad onta dello splendore del Grand Siècle, La Salle rovesciò le concezioni pedagogiche di una società che nutriva solo disprezzo o falsa pietà per i ceti popolari. D’Aurora mette tutto questo in risalto con una brillante e documentata biografia.

MICHEL FIÉVET Giovanni Battista de La Salle maestro di educatori trad. it. di Serafino Barbaglia, Città nuova, Roma 1997, pp. 190 L’autore è un professore, sposato, che ha collaborato a lungo con i Fratelli scoprendo poco a poco il loro Fondatore. Affascinato dalla personalità del La Salle ne ha approfondito il profilo come santo e come pedagogista, tanto da riuscire a svelare agli stessi Fratelli aspetti inesplorati della fisionomia del loro Padre e Fondatore. •••

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CHARLES LAPIERRE, FSC Giovanni Battista de La Salle - cammina alla mia presenza Città Nuova, Roma 2006, pp. 234 L’autore ricostruisce l’itinerario del La Salle nel realizzare la vita che Dio gli ha chiesto “camminando alla sua presenza” e risponde a quanti desiderano conoscerlo come pedagogista e istitutore di grande attualità, ma anche a genitori ed educatori, che vedono in lui un modello da incarnare e un ideale da trasmettere ai giovani.

TERESIO BOSCO, SDB Giovanni Battista de La Salle – la forza di donare la vita Elledici, Leumann (To) 2004, pp. 44 Tratteggia la figura e l’opera del La Salle, pioniere dell’educazione in un tempo decisamente diverso dalla nostra epoca, specie in ambito scolastico ed educativo. La lettura del breve ritratto rende attuale la passione che il santo ebbe per la gioventù dell’epoca. E che i Fratelli delle scuole cristiane continuano a vivere oggi.

MANUEL OLIVÉ, FSC Giovanni Battista de La Salle – una vita per i giovani Istituto Gonzaga, Milano s.d., pp. 96 Biografia agile, incisiva, essenziale. Ricca di illustrazioni, è quanto mai adatta anche ai preadolescenti per iniziare un percorso di conoscenza di un santo educatore che per dedicarsi alla promozione dei ragazzi più poveri ha lasciato il ceto dei benestanti coinvolgendo nell’avventura altri giovani generosi per istituire le scuole gratuite.

LEO C. BURKHARD, FSC Un birichino di Parigi trad. it. di Camillo Coffano, Editrice A.&C., Milano 1961, pp. 160 Una storia romanzata alla gloria del pioniere e santo protettore delle scuole popolari. Tutte le vicende richiamano dei fatti storici. Al fine di garantire l’unità del racconto, l’autore ha ideato il personaggio del narratore attribuendogli dei fatti accaduti a molti. È lui – questo birichino di Parigi trascinato nella scia dell’eroe – che vi parla.

Giovanni Battista de La Salle Fondatore dei FSC e Patrono degli educatori fumetto di G. Signori e F. Pescador – Prov. Italia FSC, Roma 2008, pp. 207 I disegni, il testo e la sceneggiatura del fumetto, mentre non impediscono l’accostamento degli adulti alla vicenda storica e all’opera del La Salle, favoriscono invece un interessante e attento approccio all’opera del santo anche ai più piccini. •••

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Rivista Lasalliana, pubblicazione trimestrale di cultura e formazione pedagogica, fondata in Torino nel 1934, si ispira alla tradizione educativa di Jean-Baptiste de La Salle (1651-1719) e delle Scuole Cristiane da lui fondate. Affronta il problema educativo in un’ottica prevalentemente scolastica, offrendo strumenti di lettura valutativa dei contesti culturali e stimoli orientativi all’esercizio della professione docente. Promuove studi storici sulle fonti bibliografiche della vita e degli scritti del La Salle, sull’evoluzione della pedagogia e della spiritualità del movimento lasalliano, aggiorna su ricerche in corso, avvalendosi della collaborazione di un gruppo internazionale di consulenti. È redatta da un Comitato di Lasalliani della Provincia Italia e di altri esperti in scienze umane, pedagogiche e religiose operanti con ruoli di ricerca, docenza e formazione in istituzioni scolastiche, para-scolastiche e universitarie.

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