LIBRO DIGITALE
L’ULTIMA PELLICOLA
Il cinema digitale, il satellite e la seconda vita della sala cinematografica di Giovanni Carrada e Mauro Mennuni Prefazione di NICOLA BORRELLI, Direttore Generale per il Cinema - Ministero per i Beni e le Attività Culturali Introduzione di GIULIANO BERRETTA, Presidente di Eutelsat
(Più che) ringraziamenti Questa pubblicazione non è stata scritta da esperti di cinema, ma da due persone abituate a osservare e descrivere i processi di innovazione nei settori più vari. Spesso, infatti, un occhio esterno riesce a percepire con più chiarezza che cosa potrebbe o dovrebbe avvenire. Le pagine che state per leggere sono tuttavia il frutto di una serie di interviste con persone che hanno una conoscenza profonda della filiera cinematografica, e che qui vogliamo ringraziare: Nicola Borrelli (Direttore Generale per il Cinema del MiBAC), Elisabetta Brunella (Segretario Generale di MEDIA Salles), Gianni Celata (Docente di Economia dell’Informazione e della Comunicazione presso l’Università di Roma Sapienza), Angelo D’Alessio (Direttore Internazionale della SMPTE, Chairman Europeo dell’EDCF), Paolo Dalla Chiara (Responsabile per le relazioni esterne di Eutelsat per l’Italia), Enrico Di Mambro (AGIS), Franco Montini (giornalista e critico cinematografico), Walter Munarini (Direttore Generale di Open Sky), Sandro Scarpa (AGIS-ANEC Lazio) e Walter Vacchino (Gestore Cinema Ariston di Sanremo). Ogni errore o imprecisione, naturalmente, sono soltanto farina del nostro sacco.
Giovanni Carrada e Mauro Mennuni
L’ULTIMA PELLICOLA Il cinema digitale, il satellite e la seconda vita della sala cinematografica Prefazione di Nicola Borrelli e introduzione di Giuliano Berretta
COMMUNICATIONS
Presentazione
La missione della Direzione Generale per il cinema del Ministero per i Beni e le Attività Culturali è chiarissima: sviluppare e promuovere il cinema e l’industria cinematografica nazionali. È per questo motivo che ho molto apprezzato la tempestiva pubblicazione di questo libro, che propone un’analisi lucida e informata del passaggio decisivo che la distribuzione e le sale cinematografiche italiane stanno oggi attraversando: la transizione dalla proiezione con pellicola alla proiezione digitale. Oggi il nostro cinema, come quello di tutti gli altri paesi, ha infatti di fronte una grande minaccia, ma anche una altrettanto grande opportunità. In questo momento una delle preoccupazioni principali della nostra Direzione Generale è che questa trasformazione possa lasciarsi dietro troppe “vittime” fra quelle sale di città e monosale che si trovano più indietro nel processo di digitalizzazione, ma dalle quali ancora dipendono, ad oggi, in larga misura gli incassi, e quindi la sopravvivenza, del cinema italiano di qualità. Fino a poco tempo fa, anche grazie all’avvento della agevolazioni fiscali, la digitalizzazione delle sale italiane era sostanzialmente in linea con quella dei grandi paesi europei con i quali ci dobbiamo confrontare come Francia, Spagna, Germania e Gran Bretagna. L’incertezza legata al rinnovo delle agevolazioni, ha contribuito ad accumulare un certo ritardo che deve essere al più presto colmato. In questa ottica, uno dei principali obiettivi della nostra Direzione Generale è quindi quello di condurre in porto in tempi molto brevi l’adeguamento che consentirà anche alle sale di città e alle monosale di usufruire con più facilità degli incentivi fiscali esistenti e di portare a termine il proprio adeguamento tecnologico. A livello internazionale infatti i giochi si stanno facendo rapidamente e il nostro sistema distributivo e le nostre sale cinematografiche non possono permettersi di lasciarsi sorprendere da un eventuale switch-off della pellicola deciso fuori dai nostri confini. L’auspicio, infine, è che grazie alle nuove possibilità di distribuzione offerte dal digitale e dal satellite, oltre che naturalmente all’inventiva e all’imprenditorialità dei gestori, un sistema di sale interamente digitalizzato sappia domani approfittare delle grandi opportunità offerte dalla multiprogrammazione. In questo modo non solo la sala cinematografica, ma l’intera industria cinematografica nazionale potrà vivere una “seconda vita”. Straordinaria come la prima. Nicola Borrelli Direttore, Direzione Generale per il cinema, Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Introduzione
Non è per togliermi un sassolino dalla scarpa che oggi vorrei ricordare il battesimo un po’ tempestoso del cinema digitale, ma semplicemente per riflettere su quanto sia difficile per tutti noi capire, accettare e poi contribuire a creare il futuro reso possibile dall’innovazione tecnologica. Il suo primo passo, il cinema digitale l’ha fatto a Venezia in occasione della 52a Mostra Internazionale del Cinema, nel 1995. Era l’anno del centenario della prima proiezione dei fratelli Lumière, e noi di Eutelsat pensammo di celebrarlo organizzando la prima trasmissione via satellite fra Venezia e Parigi e la prima proiezione in formato digitale di un lungometraggio. La scelta cadde su Umberto D., il capolavoro di Vittorio De Sica del 1952, che era appena stato restaurato. Contrariamente a quanto oggi sarebbe ovvio pensare, la proiezione non ebbe però luogo al Lido di Venezia, perché l’establishment cinematografico rifiutò – naturalmente senza aver assistito a una sola proiezione – persino l’idea che la pellicola potesse essere sostituita da un file digitale. Critici, registi, montatori, attori, un po’ tutto il mondo del cinema si trovò d’accordo sul fatto che il formato digitale non avrebbe mai potuto eguagliare la definizione, il calore e il “fascino” della celluloide. Tante furono le polemiche, che una proiezione a Venezia era fuori discussione. Da Venezia avvenne quindi la trasmissione, mentre la proiezione fu fatta in un salone dell’hotel Meridien Montparnasse a Parigi. Con grande soddisfazione degli spettatori, se non ricordo male. Infatti l’Umberto D. era stato digitalizzato in un laboratorio specializzato della Canon in Inghilterra già in formato D5, equivalente all’attuale standard 2K cinematografico, perché l’intera operazione era figlia del primo sistema di compressione e trasmissione digitale in alta definizione realizzato da Eutelsat in collaborazione con RAI, Telettra e Thomson grazie a un finanziamento dell’Unione Europea. Già nel febbraio precedente, un cortometraggio di qualità cinematografica era stato trasmesso sempre da Venezia a Bruxelles, dove fu proiettato in occasione del G7 presieduto da Al Gore e dedicato alla società dell’informazione. Sedici anni dopo siamo di nuovo a Venezia, ma per discutere come arrivare preparati alla ormai prossima “ultima pellicola”, cioè all’ultimo film di prima visione proiettato con la tecnologia dei fratelli Lumière. Milioni di spettatori hanno ormai apprezzato la straordinaria qualità del cinema digitale, a 2 o a 4K, in due come in tre dimensioni, mentre il satellite sta già rivoluzionando la distribuzione cinematografica, spalancando nuove opportunità ai distributori come ai gestori delle sale. Pochi tuttavia hanno finora compreso quali opportunità saranno create dall’accoppiata digitale più satellite. Per questo, come sedici anni fa, abbiamo ripreso l’iniziativa chiedendo a Giovanni Carrada di realizzare una piccola inchiesta fra alcune persone che più di altre in questi ultimi anni si sono sforzate di guardare un po’ più lontano e capire che cosa sta per accadere al cinema. Il risultato è questo libretto digitale, un supporto ideale per addetti e non addetti ai lavori perché è chiaro, completo e breve. Ma soprattutto tempestivo: la “seconda vita della sala cinematografica”, come recita il sottotitolo, è alle porte. Sbrigatevi a entrare, perché il film sta iniziando proprio in questo momento. Giuliano Berretta Presidente di Eutelsat
La pellicola è morta. Viva la pellicola! Giovanni Carrada e Mauro Mennun
È già con nostalgia, come sempre accade quando dobbiamo lasciare qualcuno o qualcosa al quale dobbiamo tanto, che guardiamo al giorno in cui in un cinema italiano verrà proiettato l’ultimo film di prima visione in pellicola. Perché quel giorno si sta avvicinando, e molto più rapidamente di quanto immaginiamo. Dopo quasi 120 anni di vita, anche la “fabbrica dei sogni” sta infatti affrontando quella digitalizzazione che ha già trasformato la stampa, la fotografia, la musica, i libri, la televisione, la radio, i giochi, l’home video. Proprio l’esperienza degli altri media ci insegna però che è meglio correre incontro ai cambiamenti, per avere il tempo di imparare a cogliere quanto portano di buono e soprattutto avvantaggiarsi nella competizione futura. L’alternativa è subirli, magari perché ci si è lasciati sorprendere quando non si è ancora pronti. Attenzione infatti a non confondere la nostalgia, che è un sentimento nobile, con l’arretratezza, che è una posizione perdente. A decidere quando arriverà lo switch-off dalla pellicola analogica al file digitale non saranno infatti i gestori delle sale né il mondo del cinema italiano. Sarà con tutta probabilità la grande distribuzione internazionale, e lo farà nel momento in cui valuterà che le economie di scala e di piattaforma rese possibili dal digitale hanno ormai superato il valore creato dalle sale che hanno ancora bisogno della pellicola. Chi per quella data non avrà ancora digitalizzato la propria sala rischia così di subire un fortissimo innalzamento dei costi nel migliore dei casi, di essere escluso da molte delle prime visioni, o nel caso peggiore di essere rapidamente costretto alla chiusura. Ma questa è una prospettiva che l’Italia non si può assolutamente permettere. La perdita delle monosale di città e dei piccoli centri, che sono oggi più indietro nel processo di digitalizzazione e sembrano le più vulnerabili, avrebbe conseguenze drammatiche rispettivamente per il cinema di qualità e per una parte non piccola degli italiani. La buona notizia è che i vantaggi della digitalizzazione possono di gran lunga superare i costi necessari per l’adeguamento dei sistemi di proiezione. Solo l’abitudine a un modello di business che è rimasto sostanzialmente lo stesso per più di un secolo può impedire di vederli. E non parliamo solo della qualità visiva, del 3D o della semplificazione della gestione della sala. Con il digitale più il satellite, che permette di inviare anche a tutte le sale, rapidamente e a bassissimo costo, film, trailer, spot pubblicitari e qualsiasi altro tipo di contenuti, si elimina infatti il collo di bottiglia distributivo costituito dall’alto costo delle copie in pellicola e da quello della logistica necessaria per portarle fisicamente alle sale e poi ritirarle. Ed è qui che tutto cambia.
Se infatti non c’è più un limite così stretto ai film o agli altri tipi di contenuti che si possono proiettare, è possibile aumentare e soprattutto segmentare l’offerta al pubblico. Così come stanno già facendo gli altri media. In altre parole, diventa possibile offrire a ogni spettatore ciò che più desidera, quando lo desidera, dove lo desidera. Perché proporre un solo film in tutti gli orari, per settimane? Perché anche in una grande città si devono poter vedere solo pochi film? Finalmente, anche la sala cinematografica può fare del vero marketing. Lo scopo di questa pubblicazione non è quindi solo quello di presentare che cosa sono e come funzionano la proiezione digitale e la distribuzione via satellite, ma quello di rimettere insieme tutti i pezzi del puzzle – le tecnologie, la gestione della sala, il mercato, la programmazione – e aiutare il mondo del cinema a immaginare il proprio futuro prossimo. Un futuro che sarà senz’altro molto più ricco sia in termini di biglietti venduti, a vantaggio quindi dell’intera filiera cinematografica, sia in termini di soddisfazione, perché la distribuzione e la gestione delle sale diventeranno lavori molto, ma molto più interessanti. Messo in difficoltà dalla competizione con gli altri media e le altre offerte per il tempo libero, grazie al digitale e al satellite il cinema potrà finalmente riscoprire quello che è sempre stato il suo vero business: offrire esperienze uniche da vivere insieme agli altri. In un’epoca in cui i “media della solitudine” – uno schermo sempre più piccolo e una cuffietta nelle orecchie – tendono a isolare fra loro le persone, il cinema può tornare a essere un’esperienza straordinaria. E affrontare così la sua seconda vita.
sommario
1
Il cinema cambia, ma dove sta andando?
pag. 11
2
Perché è arrivato il momento di abbandonare la pellicola?
pag. 12
3
Che cosa vuol dire per una sala passare al digitale?
pag. 13
4
Quando vincerà il digitale?
pag. 15
5
Perché il cinema digitale non ha senso senza il satellite?
pag. 16
6
Perché una sala cinematografica digitale può vendere molti più biglietti?
pag. 18
7
Come cambierà il mestiere di gestore di una sala?
pag. 20
8
Chi guadagnerà da un cinema tutto digitale?
pag. 22
Glossario
pag. 23
1
Il cinema cambia, ma dove sta andando? Prese tutte insieme, le sale cinematografiche italiane non appaiono un’industria in crescita. Solo grazie alla straordinaria simpatia (fra gli altri) di Claudio Bisio, protagonista di “Benvenuti al Sud”, blockbuster di casa nostra, il 2010 è riuscito a essere un anno molto redditizio per il mercato del cinema, in controtendenza rispetto a praticamente tutti gli altri: 110 milioni di ingressi. Gli incassi medi sono aumentati in misura anche maggiore rispetto agli ingressi in sala: al 14,5% di ingressi in più rispetto all’anno precedente è corrisposto un aumento del 21,5% degli incassi, grazie soprattutto all’aumento del prezzo del biglietto (fino al 40-50% in più rispetto a un biglietto normale) per le proiezioni digitali dei film in 3D. Anche la recessione può aver contribuito positivamente agli incassi cinematografici: nei periodi di crisi le persone sono più inclini a rinunciare a svaghi costosi e il cinema diventa un’alternativa economica per trascorrere in compagnia il tempo libero. Ma il 2010 resta comunque un caso isolato. Dal 2003, infatti, il numero di presenze al cinema oscilla tra i 90 e i 110 milioni e neanche i blockbuster più gettonati riescono a far variare di molto i numeri al botteghino. Il numero di schermi è in crescita, ma quello delle sale diminuisce: per ogni sala che chiude, il cinema italiano diventa un po’ più povero. Nel 2006 in Italia si contavano 3.062 schermi, che nel 2010 sono saliti a 3.217. Ma questo trend positivo non è distribuito in modo omogeneo fra i vari tipi di complessi. I cinema monosala continuano infatti a diminuire, e se nel 2006 rappresentavano il 23,3% degli schermi, nel 2010 sono diventati appena il 17,1%. Anche i complessi tra 2 e 4 schermi sono diminuiti, seppur di poco. L’aumento del parco schermi italiano è avvenuto praticamente tutto nei complessi tra 5 e 7 sale e nei multiplex, tanto che nel 2010 questi due tipi di esercizi hanno rappresentato insieme più della metà degli schermi a disposizione del pubblico: il 56,8%, per la precisione. Anche se grazie alle tecnologie digitali e agli sforzi dei gestori esistono ancora nuove sale che aprono i battenti, sono sempre di più quelle che abbassano la saracinesca per l’ultima volta, spesso privando un altro po’ di italiani dell’accesso alla “Settima Arte”. Soprattutto nei piccoli centri. Alla fine di ogni anno, infatti, il saldo fra le sale che aprono e quelle che chiudono è sempre negativo. Di questa situazione soffre in realtà tutto il cinema italiano. Il Multimedia Lab dell’Università di Roma Sapienza ha realizzato una simulazione che dimostra come alla chiusura di circa 132 monosale negli ultimi anni sia corrisposta una perdita del 7% circa del box office e del 10% circa del box office dei film italiani. Se si considera che i film d’autore proiettati nei cinema d’essai staccano mediamente più biglietti di quanto non accada per gli stessi film nelle sale delle grandi città, appare chiaro che la chiusura delle sale di profondità rappresenta una perdita non solo economica, ma soprattutto culturale per il cinema in generale e per quello italiano in particolare. Le sale che chiudono sono quelle soffocate dalla “tenaglia” dei costi fissi e di un prezzo del biglietto fermo ormai da anni. Nel 2000, a cavallo della transizione lira-euro, il prezzo di un biglietto al cinema aveva raggiunto le 13-
11 14.000 lire. Negli ultimi dieci anni il prezzo medio del biglietto è rimasto praticamente fermo, tanto che alla fine del 2010 era di circa 6,30 euro, per aumentare poi di poco nei sei mesi successivi. Anche il rincaro di un euro previsto per il 1° luglio 2011 è saltato. Il pubblico non ha di che lamentarsi, perché il costo di una serata al cinema è praticamente immobile da un decennio. Per i gestori delle sale, però, questo significa combattere ogni mese con i costi fissi a monte della trasmissione di una pellicola: per il personale, per gli operatori, per la pellicola 35 mm (pari a quasi la metà del prezzo del biglietto) oltre a una quantità di nuovi adempimenti, ad esempio in fatto di sicurezza. A questi spesso si aggiunge il minimo garantito che l’esercente deve al distributore per alcune pellicole. I costi fissi insomma poi tanto fissi non sono, perché di fatto negli anni hanno continuato ad aumentare. Con il flusso di spettatori che si sposta verso le grandi sale e i multiplex, i piccoli esercizi devono quindi spartirsi una fetta sempre minore di incassi, e far quadrare i conti è sempre più difficile. Se però molti temono lo spettro della chiusura, altri riescono ad accogliere un pubblico sempre più numeroso. I multiplex moltiplicano numero di schermi e incassi grazie a un’offerta molto più ampia. Come quasi sempre accade quando si scava nei dati medi, anche fra le sale cinematografiche italiane, accanto a qualcuno che resta indietro, c’è qualcun altro che avanza. Chi ce la fa sono le sale con 5-7 schermi e i multiplex, che nel 2006 si spartivano già il 64,3% degli incassi. Nel 2010, invece, per ogni 100 euro incassati nelle sale italiane, 73,6 euro entrano nella casse di una multisala con più di 5 schermi. Perché? Il segreto è nell’offerta: chi ha a disposizione più sale offre maggiore scelta rispetto a un esercizio più piccolo. I più grandi fruitori di questa maggiore offerta sono i giovani, che oggi rappresentano il pubblico preferenziale dei grandi complessi. Le famiglie e gli over 40, gli anziani in particolare, preferiscono ancora recarsi al cinema sotto casa piuttosto che al multiplex lontano chilometri che li obbliga a spostarsi in macchina. Ma se rischiano la chiusura le piccole sale, che offrono film di qualità più che blockbuster, il rischio è quello di perdersi per strada il loro prezioso pubblico di adulti esigenti. L’offerta di un numero maggiore di film fra i quali scegliere non è però la sola causa della migrazione del pubblico da un tipo di sala all’altro. I multiplex possono contare sugli incassi delle prime visioni, perché i distributori preferiscono dare le limitate copie a disposizione a chi attira più pubblico. Il cinema è un business, prima di essere un’arte. Poiché tra duplicazione e logistica il costo di una pellicola è alto, e se ne può dunque produrre un numero limitato, i distributori preferiscono consegnare le copie ai multiplex, che possono garantire maggiori incassi, anziché alle piccole sale. In questo modo, però, contribuiscono alla migrazione del pubblico lontano dalle piccole sale, perché gli esercenti minori non possono offrire il film del momento. Le prime visioni arrivano ai cinema di profondità solo in seconda battuta, quando più che “prime” sono quasi “seconde” visioni, considerato che molti le hanno già potute vedere nei multiplex più vicini. Quindi, i “mostri” da 5, 7 o 13 sale attirano non solo perché hanno una maggiore offerta, ma anche per via delle prime visioni. Secondo un’elaborazione (non ufficiale) della SIAE, il 40% degli incassi nelle sale proviene dalla sola prima settimana di programmazione, il 60% dalle sole prime due settimane. E non finisce qui. I multiplex sono anche degli aggregatori sociali: qui si può mangiare scambiandosi opinioni, idee e risate prima e dopo il cinema. Non di solo pane vive l’uomo, ma neanche di solo cinema. Anzi, una pizza non guasta mai e con una birra
12 o un gelato ci sono tutti i motivi per scegliere un multiplex. Non c’è infatti multiplex che si rispetti senza che al suo interno, o nelle immediate vicinanze, sia possibile trovare uno o più bar, pizzerie, ristoranti, birrerie, gelaterie o fast-food. La ristorazione rappresenta una fetta consistente dei guadagni, alimentata soprattutto da chi, come i giovani, non disdegna un pasto frugale in compagnia. In realtà i multiplex non hanno inventato nulla. Hanno solo riunito gli ingredienti base per fare di un luogo un aggregatore sociale: qualcosa da fare insieme (andare al cinema), qualcosa da mangiare insieme (pizza, pasta, birra, carne o gelato), qualcosa di cui discutere e ridere insieme (il film appena visto, per esempio). Così competono meglio per quella risorsa scarsa che è il tempo libero delle persone. La maggior parte delle piccole sale può invece offrire solo qualche snack acquistabile presso un anonimo distributore o la storica figura del “bibitaro” di sala. In ultima analisi, perché i multiplex guadagnano? Perché aumentano l’offerta, e non solo di film. Allargare il mercato aumentando l’offerta è tuttavia quello che hanno fatto già tutti gli altri media, quelli che hanno superato la loro transizione tecnologica. Il bello, infatti, è che entro una certa misura i consumi culturali non si saturano con l’aumentare dell’offerta, ma al contrario aumentano. Anche il cinema può scoprire la sua “coda lunga”, ovvero la possibilità di commercializzare anche i titoli che oggi non possono essere distribuiti. Grazie alla digitalizzazione e ai nuovi canali di distribuzione, a cominciare naturalmente da Internet, il modello di business è radicalmente mutato in quasi tutti i campi della comunicazione a pagamento: tv, libri, musica, home video, giochi, etc. Prima, l’offerta di contenuti aveva un limite rappresentato dallo spazio disponibile nel punto vendita, come gli scaffali per libro, CD musicali o DVD, oppure i canali per i programmi televisivi. La conseguenza era che solo un numero limitato di titoli – quelli di maggior successo, in genere pochi punti percentuali di tutta l’offerta disponibile – poteva essere messo in vendita. Tutto il resto era escluso. Con i negozi su Internet, o con la moltiplicazione dei canali televisivi, questo limite non esiste praticamente più e l’offerta si è ingigantita. Se un negozio di musica può proporre qualche migliaio di album, iTunes ne può offrire milioni. La stessa cosa vale per una libreria e per Amazon, per i canali televisivi analogici e per le centinaia di canali disponibili con il digitale terrestre e il satellite. A volte la “coda lunga” può valere persino di più della “coda corta”. E il cinema? Fino a oggi, a causa dell’alto costo della copia in pellicola e della logistica necessaria per distribuirla alla sala, oltre che della difficoltà di cambiarla fra uno spettacolo e l’altro, la coda del cinema è stata cortissima: nelle sale c’è spazio solo per pochi titoli, in genere blockbuster o presunti tali. Di fatto, il modello di business della sala cinematografica è rimasto più o meno immutato per oltre un secolo. Tutto però potrebbe cambiare – anzi, certamente cambierà – con il passaggio dalla pellicola al digitale e soprattutto con la distribuzione via satellite, perché questo spazio si allargherà enormemente. La “coda lunga” del cinema, insomma, inizia ad agitarsi.
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Perché è arrivato il momento di abbandonare la pellicola? Anche per il cinema è arrivato il momento della “convergenza digitale”, la codifica delle informazioni nello stesso linguaggio di 0 e di 1 che ha già trasformato gli altri media. Nel 2003, sul set di Saraband, Ingmar Bergman annuncia che questo sarà il suo ultimo film. Un’uscita di scena che ha però tutta l’aria di un debutto: Saraband è, infatti, anche il primo film a essere stato girato e montato interamente in digitale e distribuito solo nelle sale con proiettori DLP Cinema. Ma l’avvento del digitale nella cinematografia risale a molto prima. Dagli effetti speciali di Guerre Stellari e di Alien negli anni ’70 a E.T L’extraterrestre o Ritorno al futuro negli anni ’80. Poi è il momento dell’uso del morphing 3D in Terminator II – Il giorno del giudizio o dei dinosauri di Jurassic Park degli anni ’90, fino ai disegni animati interamente in digitale di Toy Story. Dalla fine di quegli anni in poi i film che escono nelle sale sembrano uno show-reel di effetti speciali tutti nuovi. Le sequenze a “fetta di tempo” di Matrix lasciano tutti col fiato sospeso, non meno dell’intera ambientazione digitalizzata di Star Wars Episodio 1: La minaccia fantasma. Per tutto il primo decennio del terzo millennio le tecnologie di manipolazione digitale delle immagini sfornano incessantemente effetti visivi che prima erano solo immaginabili. Nel 2009 Avatar (3D) sancisce l’approdo definitivo del 3D al cinema, e da allora i film e i lungometraggi animati in 3D non hanno fatto che aumentare. In realtà, cinema digitale non vuol dire soltanto effetti speciali ma anche nuove possibilità espressive. Se il linguaggio cinematografico che conosciamo è stato costruito sulle specifiche tecniche della pellicola, un nuovo linguaggio sta nascendo grazie alla diffusione dei nuovi supporti digitali. Lo stesso 3D rappresenta un mondo ancora da esplorare, perché potrebbe ad essere usato persino per le commedie, grazie alla capacità di restituire al pubblico quella profondità e quella dimensione teatrale che oggi il cinema non può dare. La digitalizzazione ha già rinnovato ormai quasi tutta la filiera cinematografica, abbassandone i costi. Oggi il cinema digitale è telecamere digitali, montaggio digitale ed effetti digitali, distribuzione digitale e proiezione digitale al cinema o sul televisore digitale di casa, anche se la penetrazione non è avvenuta nella stessa misura in tutti i settori. Nella produzione, del digitale si apprezzano soprattutto la praticità e l’economicità, che abbassano la barriera all’ingresso nel mercato. Nella post-produzione, la digitalizzazione è nella sua fase più avanzata, con punte del 100% per quanto riguarda gli effetti speciali e il montaggio e solo di poco più basse per la gradazione del colore. Complessivamente, le economie di scala e di piattaforma rese possibili dalla migrazione sul digitale possono comportare – secondo il Multimedia Lab dell’Università di Roma Sapienza – un risparmio di circa il 10% sui costi di produzione e postproduzione per un film di produzione italiana medio. È quindi un paradosso che nell’ultimo segmento della filiera, al momento della proiezione, si debba ancora riconvertire il segnale digitale in pellicola analogica. Con la digitalizzazione, gli spettatori possono godere uno spettacolo sempre migliore. Se la produzione può usufruire di nuovi vantaggi economici e i registi di nuove possibilità espressive, va
comunque salvaguardata (anzi sperabilmente migliorata) l’esperienza dello spettatore. Per quanto il giudizio finale in sala sia sempre fortemente determinato dal grado di “educazione alla qualità delle immagini” e sia in ultima analisi un fatto soggettivo, la ripresa e la proiezione digitale restituiscono ormai immagini di qualità paragonabili, e per certi versi superiori, a quelle della pellicola. Ci sono infatti alcuni vantaggi specifici offerti dai film e dai proiettori cinema digitali che non sfuggirebbero neanche al pubblico più inesperto: le immagini sono sempre completamente sprovviste di polveri e striature, tipiche delle pellicole sia nuove che usurate; la stabilità delle immagini è totale perché non è influenzata dalle vibrazioni meccaniche tipiche dei proiettori 35 mm; la silenziosità dei proiettori non ha nulla a che vedere con il più silente dei proiettori 35 mm (anche se ai nostalgici piace il rumore della pellicola che scorre); la luminosità è perfettamente ripartita sullo schermo; la definizione, il colore e il contrasto ottenibili con una copia digitale e un proiettore cinema digitale sono equivalenti, se non superiori, a quelli delle migliori pellicole in circolazione. L’esperienza vissuta in sala può essere ulteriormente migliorata con impianti audio 7.1, che rendono unica la visione di un film 3D stereoscopico. Naturalmente, comprimendo tutto in file, il digitale permette anche una più semplice gestione e proiezione di film in lingua originale, doppiati o sottotitolati. Per una volta, il freddo digitale può rendere più vera e calda l’atmosfera in sala. Per completare la digitalizzazione della filiera cinematografica mancano ancora parte della distribuzione e della proiezione, per le quali i vantaggi sono anche maggiori. Il riversamento su pellicola dei contenuti digitali che escono dalla post-produzione, con uno spreco ormai non più giustificabile di tempo e di denaro, è oggi il vero collo di bottiglia nella filiera del cinema, l’ostacolo che ancora impedisce di godere dei vantaggi della “convergenza digitale”. L’alter ego digitale della ingombrante “pizza” in triacetato di cellulosa è il DCP (Digital Cinema Package), una sequenza di dati digitali codificati e criptati che codificano i suoni e le immagini del film. Nel 2008, il Centro Nazionale della Cinematografia di Parigi ha stilato una tabella dei costi di duplicazione di film in celluloide e in digitale. Da 1 a 9 copie duplicate in digitale il costo è di 300 euro a copia, a fronte dei 2.000 euro di ogni singola copia in pellicola: il risparmio è dell’85%. A mano a mano che il numero delle copie aumenta, il costo per copia diminuisce, ma anche oltre le 300 copie, quando una pellicola costa ancora più di 730 euro, il DCP costa appena 150 euro e consente quindi di mantenere un risparmio dell’80%. La distribuzione digitale permette mediamente di avere a disposizione 500 copie digitali al costo di 70 copie in pellicola. Ciascuna copia DCP, del peso di 150-300 gigabyte, può essere memorizzata in un piccolo hard disk. I vantaggi non sono tuttavia solo per il distributore, ma anche per la sala, che può così disporre più facilmente delle prime visioni, e per le piccole produzioni, i cui film vengono in genere distribuiti in numeri esigui. La digitalizzazione della distribuzione è però ancora nelle terre di mezzo tra analogico e digitale, perché molte sale usano ancora i proiettori 35 mm e i distributori continuano a produrre film in pellicola. Per cogliere tutti i vantaggi del digitale occorre quindi giungere quanto prima a uno switch-off dell’analogico, cioè alla completa digitalizzazione delle sale. I numeri lasciano ben sperare, perché secondo le ultime rilevazioni di MEDIA Salles, il progetto del programma MEDIA dell’Unione Europea per la promozione dei film europei, il 29% degli schermi d’Europa era già digitale al 1° gennaio 2011 e, come vedremo, questa percentuale non fa che aumentare.
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Che cosa vuol dire per una sala passare al digitale? Il primo passo è sostituire il vecchio proiettore per la pellicola con un proiettore cinema digitale secondo gli standard internazionali 2K o 4K. Il passaggio al digitale comporta l’ammodernamento del proiettore, della postazione di gestione della sala e la creazione di un archivio. I proiettori cinema digitali e un proiettore 35 mm hanno ben poco in comune. È diverso il funzionamento: soprattutto fili e circuiti in quelli digitali a fronte di numerose componenti meccaniche nel 35 mm. È diversa la fonte delle immagini: un file digitale per i primi (il DCP) e la pellicola per il secondo. E diverso è il metodo di conversione della fonte in immagini luminose: mentre il proiettore 35 mm utilizza una sorgente luminosa dietro la pellicola, nei due tipi di proiettori cinema digitali in commercio si utilizzano sistemi a luce riflessa molto diversi tra loro. Proprio in virtù delle differenti tecnologie usate nei proiettori digitali sul mercato la SMPTE (Society of Motion Picture and Television Engineers), l’organismo cui i grandi produttori e distributori globali hanno affidato la scelta degli standard internazionali di interoperabilità delle tecnologie digitali per il cinema, ha definito conformi solo due tipi di proiettori: i DLP Cinema della Texas Instruments e i proiettori SXRD della Sony. Anche se quelli della Texas Instruments sono commercializzati da altre case costruttrici, i DLP Cinema e gli SXRD sono gli unici proiettori cinema digitali realmente interoperabili con i file DCP nel formato JPEG 2000, quello standardizzato dalla SMPTE per i film e gli altri contenuti digitali al cinema. I semplici proiettori digitali non sono infatti in grado di leggere e gestirne direttamente le informazioni e proiettarne i contenuti. Altra caratteristica specifica dei proiettori cinema digitali riconosciuta dalla SMPTE è la risoluzione minima di 2K (2048 x 1080 pixel). I DCP in circolazione, infatti, hanno una risoluzione pari a 2K o anche superiore (4K, pari a 4096 x 2160 pixel) perché un proiettore con risoluzione inferiore non permetterebbe di ottenere la definizione sufficiente per offrire agli spettatori una proiezione di qualità. Naturalmente i proiettori cinema digitali, oltre a essere interoperabili con i file JPEG 2000, sono compatibili con altri formati video digitali e possono riprodurre i contenuti da diverse sorgenti (DVD, Blu-ray Disc, hard disk, live…) semplicemente collegando il proiettore a un video-scaler. Al posto della vecchia bobina c’è un server, mentre lo storage centrale funziona come un magazzino di tutte le copie possedute dalla sala. Anche se il rumore del proiettore meccanico era in grado di tacitare i brusii di sala, oggi la bobina di pellicola ha fatto il suo tempo. Al suo posto c’è uno strumento digitale forse meno fascinoso ma molto più efficiente: il server. Il server è in sostanza un computer nel quale si scarica il file DCP in cui è codificato il film o il trailer digitale, che lo trasmette poi al proiettore, il quale a sua volta lo decripta e lo converte in luci e suoni. Un server contiene generalmente un film, o anche di più a seconda della sua capacità, più la pubblicità e tutti i trailer che precedono la sua proiezione. Considerato il fondamentale compito del server (un proiettore senza server è inutilizzabile come un proiettore 35 mm senza bobine), l’SMPTE ha stabilito che i proiettori cinema digitali di nuova generazione avranno il server integrato, ossia all’interno del proiettore.
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14 Una sala non è però vincolata alle dimensioni del server per conservare i suoi contenuti digitali. Ogni gestore può infatti dotare la sua struttura di un hard disk di notevole capacità che funzioni come un archivio, ma con le dimensioni di una scatola anziché di una stanza vera e propria! Questo archivio centrale è la Sky Library (perché “Sky”, lo scopriremo tra poco) della sala cinematografica, dalla quale si possono pescare film o altri contenuti da trasferire nei server dei proiettori al momento giusto. Le dimensioni della Sky Library dipendono solo dalle esigenze del gestore e non esiste un limite formale al numero di film in esso contenuti. Basta ad esempio un assemblaggio di hard disk con una capacità di 20 terabyte (oggi acquistabili con una spesa approssimativa di 100 euro per ogni terabyte di spazio) per disporre di una Sky Library di circa 80 film. Lo schermo va cambiato solo se si usano alcune tecnologie di visualizzazione del 3D che ne richiedono uno speciale. La conversione alla proiezione digitale non implica necessariamente la sostituzione dello schermo. Va da sé che uno schermo vecchio o rovinato non è la soluzione migliore neanche per le proiezioni in 35 mm. Gli schermi datati, infatti, non restituiscono una buona luminosità delle immagini e se ingialliti ne modificano la temperatura di colore riducendo la qualità della visione per il pubblico. Se la sala è dotata di uno schermo perforato per la diffusione del suono possono verificarsi delle interferenze spaziali con i pixel di luce proiettati, e la luminosità dell’immagine si riduce impoverendo lo spettacolo. Il problema può però essere evitato utilizzando schermi senza un disegno predeterminato nella foratura. In questo modo l’interferenza si verificherà in punti casuali dello schermo e l’effetto di riduzione della luminosità sarà meno evidente. La sostituzione dello schermo è indispensabile solo con specifiche tecnologie di visione 3D a luce polarizzata che richiedono particolari schermi riflettenti (o silver screen), mentre le altre tecnologie 3D disponibili utilizzano i normali schermi bianchi. L’ultima parola è quindi del gestore, che sceglierà tra la tecnologia di visione 3D attivo (occhiali con otturatore a cristalli liquidi) e quella del 3D passivo (occhiali con lenti a filtraggio cromatico o con lenti polarizzate) quella più adatta alla sua sala, al suo pubblico e al suo budget. L’impianto audio non deve necessariamente essere cambiato, se non per offrire al pubblico la migliore esperienza sonora disponibile insieme al 3D stereoscopico. Ciò che vale per lo schermo, vale anche per l’impianto audio: non è necessario alcun tipo di sostituzione se il gestore decide per l’acquisto di un proiettore cinema digitale. Dotare la sala di un sistema audio Dolby Surround 7.1 a otto canali potrebbe però essere un buon investimento. L’audio 7.1 trasporta gli spettatori in una sensazione sonora a 360°, avvolgente e realistica, che aggiunge valore soprattutto alle rappresentazioni stereoscopiche offerte dalla tecnologia 3D. Mai come oggi infatti il cinema è riuscito a restituire esperienze sensoriali tanto prossime alla realtà. Per far funzionare nel migliore dei modi una fabbrica dei sogni così avanzata serve tuttavia un sistema di gestione semplice e funzionale come il Theater Management System. Con un Theater Management System la gestione di tutte le sale, dal montaggio della composition alla proiezione, diventa più semplice. Grazie al passaggio al digitale, il gestore può anche ottimizzare i processi e le attività di gestione della sala dotandosi di un TMS (Theater Management System – Sistema di Gestione di Sala) che corrisponda alle necessità e sia adeguato alle infrastrutture del suo esercizio. Il TMS è la postazione di regia unica del cinema, dalla quale si possono controllare tutte le sale di proiezione. Qui si esegue il controllo dell’integrità
dei file e l’assemblaggio del palinsesto della proiezione a partire dai file separati dei trailer e del film contenuti nella Sky Library, e da qui, per mezzo di una rete cablata interna, il tutto viene smistato in circa 40 minuti al proiettore desiderato. Sempre da qui, infine, e con un solo proiezionista, si dirige e si controlla la proiezione in tutte le sale, senza spostare hard disk o persone. Non c’è tuttavia bisogno di dotarsi subito di un TMS completo, ed esistono diverse soluzioni intermedie. È meglio digitalizzare tutte le sale, perché il cinema ibrido analogico/digitale comporta inevitabilmente diseconomie e maggiore complessità di gestione. Volendo passare al digitale, è meglio digitalizzare tutti gli schermi o solo alcuni? La risposta non è né ovvia né semplice, ma digitalizzarne solo una parte (la metà per esempio) è probabilmente la scelta meno felice. In questo modo resterebbero le diseconomie di logistica e di gestione legate ai diversi processi di reperibilità e movimentazione di copie digitali e in pellicola. I costi di queste differenze logistiche sarebbero sia a carico degli esercenti, sia a carico dei distributori che devono eseguire due diversi processi produttivi e logistici, uno per le pellicole e uno per gli hard disk. Anche una volta che le copie analogiche e digitali sono giunte a destinazione, tuttavia, la situazione non migliora. Per spostare le proiezioni da una sala digitale a una per il 35 mm, o viceversa, è necessario avere il film in duplice copia (digitale e pellicola), oppure disporre in ogni sala di due proiettori (cinema digitale e 35 mm). In un sistema ibrido analogico-digitale tutta la programmazione dipende infatti imprescindibilmente dall’attrezzatura di sala e le variazioni sono molto difficili e in alcuni casi impossibili. In un complesso completamente digitale, invece, tutte le sale sono interscambiabili attraverso una regia centrale. Cambiare istantaneamente la sala di proiezione o far girare gli stessi contenuti su più schermi contemporaneamente non solo è possibile, ma è anche molto semplice. E nel caso in cui il gestore abbia dotato il cinema di ricevitore satellitare per proiezioni in diretta, gli eventi live possono servire anche tutti gli schermi insieme. La libertà di variazione della programmazione di sala diventa tale da poter eseguire agilmente in una giornata persino quattro o più proiezioni differenti consecutive su uno stesso schermo. Così, anche i piccoli complessi possono diventare dei “micromultiplex” a programmazione oraria. Si possono inoltre spostare le proiezioni da uno schermo all’altro anche all’ultimo minuto a seconda della capienza delle sale a disposizione e dei biglietti venduti. Dal punto di vista operativo, la sala full digital è insomma molto più flessibile. Digitalizzare tutti gli schermi potrebbe tuttavia precludere al gestore di proiettare vecchie pellicole non ancora convertite in formato digitale. Riservare solo a una sala un sistema di doppia proiezione, digitale e analogico – come hanno scelto di fare alcuni gestori lungimiranti – può consentire di non perdersi né oggi né in futuro quelle perle della cinematografia italiana e mondiale del passato non ancora digitalizzate. “Proiezionisti digitali” si diventa, se si è già proiezionisti della pellicola oppure informatici, grazie a un semplice corso di aggiornamento professionale. I proiettori cinema digitali, i server e i Theater Management Systems sono tecnologie estremamente affidabili, e i casi di cattivo funzionamento di una sala sono quasi sempre dovuti a involontari errori procedurali di addetti ai lavori poco avvezzi all’uso delle nuove tecnologie. Per questo è molto importante che il personale riceva una formazione specifica. La nuova figura del “proiezionista digitale” nasce infatti con un corso di appena 120 ore, 60 di teoria e 60 di pratica, capace di trasformare proiezionisti 35 mm e informatici l’uno nell’altro. Come sempre accade con le tecnologie digitali, infatti, la maggiore complessità dei sistemi è in realtà gestita automaticamente dai software, ed è quindi “nascosta” dietro procedure relativamente semplici.
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Quando vincerà il digitale?
Se poi guardiamo con maggiore attenzione il mercato, scopriamo che i paesi in cui si vende il maggior numero di biglietti sono anche quelli che vantano la maggiore fetta percentuale di cinema digitali sul totale di quelli del continente: in testa c’è infatti la Francia con il 18,2% degli schermi digitali europei, seguita da Regno Unito (13,6%), Germania (12,1%), Russia (9,1%), Italia (8,8%) e Spagna (7,3%). I driver della digitalizzazione sono dunque particolarmente forti. E l’Italia, che fa?
Il digitale ha in realtà già vinto anche nel cinema, e chi l’ha scelto per primo ha potuto beneficiarne prima degli altri. Nel 2007 il cinema Ariston di Sanremo (quello del Festival) ha deciso coraggiosamente di essere il primo esercizio italiano a scommettere sulla digitalizzazione. Oggi tutte le sue sei sale sono digitalizzate e tra queste spiccano l’Ariston, cinema teatro da 1.909 posti che attualmente ospita il Festival di Sanremo, e il Roof 4, 33 posti, che sono rispettivamente la sala cinematografica più grande e la più piccola d’Italia. Delle sei sale, cinque sono dotate di tecnologie 3D: due (l’Ariston e il Ritz) con sistema MasterImage 3D con occhialini usa e getta; tre (Roof sala 1, sala 2, sala 3) con sistema Dolby 3D con occhiali riutilizzabili. I server dolby con proiettori Barco Cinemeccanica delle singole sale sono collegati ad un server centrale, a sua volta collegato con la parabola di ricezione Open Sky. Da questa postazione vengono realizzati tutti i programmi delle singole sale: film, presentazioni, spot pubblicitari, intervalli, etc. Nell’anno 2000 è stato effettuato uno dei primi collegamenti via satellite da Berlino con proiezione di film nell’ambito del progetto europeo Babelsberg. Per realizzare tutto questo l’Ariston non ha avuto fortuna, ha saputo solo precorrere i tempi giocando in coppia con qualcuno che ha già vinto in partenza: il digitale. La conversione di immagini, suoni e caratteri in una lingua universale fatta di 0 e di 1, nella quale si possono elaborare e trasmettere grazie a tecnologie e software sempre più sofisticati ed economici, ha già trasformato per sempre la scrittura, la stampa, la musica, la fotografia, i giochi e l’home video. Il digitale avanza ora velocemente anche nella filiera cinematografica, scalzando l’ultimo baluardo dell’analogico: la pellicola di proiezione. Per questo tutto il mondo del cinema non ha più alcun dubbio sul fatto che si tratta di una migrazione ineluttabile. La vera domanda infatti non è se, ma quando esattamente avverrà lo switch-off della pellicola. Perché è su questo “quando” che si gioca buona parte del business dei vari attori della filiera cinematografica.
Pur trainata innanzitutto dai nuovi film 3D, la digitalizzazione in Italia non è al passo con quella europea. Dopo aver gettato un’occhiata nel giardino del vicino, guardiamo un po’ quello di casa nostra. In Italia, nel triennio 2009-2011, siamo passati da 46 a 474 cinema digitali, mentre gli schermi digitali sono passati da 80 a 912. Un aumento di oltre il 1.000% in soli 3 anni! Come nel resto del mondo, questo boom del digitale è stato promosso soprattutto dall’affermazione di film distribuiti in digitale per la visione 3D, Avatar primo tra tutti. Non è un caso se a gennaio 2011, vista anche la piccola differenza di prezzo fra digitale 2D e digitale 3D, l’81,5% degli schermi digitali europei (e il 92,3% di quelli italiani) erano dotati anche di sistema 3D. Se però ci confrontiamo con gli altri paesi, scopriamo che se ogni cinema europeo possiede mediamente 2,5 schermi digitali, quelli italiani ne possiedono 1,9. Gli schermi digitali sono ad esempio 2,2 in Germania, 2,6 in Spagna e 3,1 nel Regno Unito. Non siamo piazzati troppo bene neanche nella classifica delle percentuali di schermi digitali: siamo infatti al 23% contro il 27% della Germania, il 34% della Francia, il 38% della Russia e del Regno Unito e il 65% del Belgio. Insomma, abbiamo un ritardo da recuperare.
L’Europa corre: gli schermi digitalizzati sono già uno su tre, e diventeranno uno su due tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012. Dal 1° gennaio 2010 al 1° gennaio 2011, in Europa (compresi i paesi che non fanno parte dell’Unione Europea) il numero degli schermi digitali è aumentato del 120,9%. Questo balzo in avanti è avvenuto soprattutto grazie alle decisioni dei dieci maggiori esercenti, che da soli possiedono un terzo degli schermi digitali del continente. Ancora nel 2005, in Europa esistevano appena 45 cinema digitali. Nei cinque anni seguenti sono diventati 2.366 e al 1° gennaio 2011 erano già saliti a 4.120: il 33% del totale, con un incremento del 74,1% nell’ultimo anno. La vera sorpresa arriva però dal grande freddo. I mercati scandinavi sono arrivati persino a triplicare o quadruplicare la percentuale di digitalizzazione in un solo anno. È il caso della Danimarca (+444% rispetto a gennaio 2010), della Norvegia (+339%) e della Svezia (+308%). Il numero complessivo degli schermi digitali è salito quindi a quota 10.346: il 29% di tutti quelli esistenti all’inizio del 2011, contro il 13,4% dell’anno precedente. Le ultime previsioni di MEDIA Salles superano poi tutte le aspettative: tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012 sarà digitale il 50% degli schermi europei e probabilmente anche di quelli mondiali.
L’economia della digitalizzazione delle sale migliora, e gli incentivi pubblici continuano. Solo qualche anno fa, il costo per digitalizzare una sala di proiezione si aggirava intorno ai 100 mila euro, mentre oggi è già possibile farlo con molto meno. Chi ha già convertito la propria sala al digitale ha usufruito di un credito di imposta pari al 30% della spesa, e molti anche di sostegni regionali. A farlo sono state soprattutto le grandi sale, che hanno potuto scaricare spese e contributi per il personale, cosa che le piccole riescono a fare in misura minore. Per questo il Ministero per i Beni e le Attività Culturali sta lavorando per ottenere la cessione del credito a terzi, per esempio agli stessi fornitori dei proiettori, rendendo così fruibile il credito di imposta anche per le piccole sale. Un’altra strada che sarà probabilmente presto percorribile è quella di far rientrare l’acquisto di nuovi proiettori cinema digitali tra le spese eleggibili per gli incentivi alle innovazioni. Si tratta di una sorta di acquisto del proiettore in leasing, con la garanzia dello Stato che coprirà forse fino al 60% della spesa. Più aumentano gli schermi digitalizzati, più aumentano i DCP digitali rispetto alle pellicole, più schermi verranno digitalizzati. L’evoluzione digitale del mercato cinematografico è guidata in larga parte anche dalle dinamiche economiche di distribuzione che si sviluppano durante il periodo di “convivenza” tra analogico e digitale. Il circuito fra le sale e la distribuzione assume la configurazione di un sistema a feedback positivo. A una maggiore digitalizzazione della distribuzione corrispondono infatti maggiori economie di scala e piattaforma – distribuite fra le due parti – determinate da tutti i vantaggi che il passaggio comporta: riduzione netta del costo della copia; semplificazione della logistica; possibilità di riuso dei supporti; migliore tracciabilità delle copie; aumento della sicurezza contro la pirateria; ridimensionamento dei costi di magazzino e di smaltimento; minore impatto sull’ambiente; flessibilità nella gestione e distribuzione dei trailer.
16 Attenzione al “tipping point”, la soglia di schermi digitalizzati superata la quale lo switch-off della distribuzione precipita. La metà degli schermi che sarà digitalizzata in Europa tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012 rappresenta in realtà una percentuale molto più alta del mercato in termini di biglietti venduti, valutabile probabilmente intorno al 70%. Questo vuol dire che si avvicina rapidamente il momento in cui per le case di distribuzione internazionali comincerà a diventare più economico rinunciare a distribuire le vecchie pellicole 35 mm, perché le economie rese possibili dal digitale varranno di più del mercato residuo della pellicola. È naturalmente difficile leggere nelle intenzioni dei grandi distributori – se pure delle decisioni a questo proposito sono già state prese – ma più osservatori del mercato sembrano convinti che il “tipping point” potrebbe collocarsi poco oltre la digitalizzazione del 60% delle sale, cosa che dovrebbe avvenire per l’inizio del 2014 in Italia, con un po’ di ritardo rispetto al resto d’Europa e del mondo. Di lì a breve, secondo la “vox populi” del settore, quando le sale digitalizzate rappresenteranno più o meno l’85% dei biglietti venduti, i distributori potrebbero sacrificare quel 15% di mercato costituito dagli esercizi ancora sprovvisti di proiettori cinema digitali. Quando arriverà, la decisione dei distributori sarà rapida e rischierà di mandare all’improvviso fuori dal mercato gli esercenti che si saranno attardati troppo. La palla, insomma, sta per passare dalle mani degli esercenti a quella dei distributori. Attenzione alle decisioni di chi fa il mercato, ovvero le major americane. Il mercato può essere crudele come la giungla, e spesso i più forti decidono la sorte degli altri. Così potrebbe accadere anche per la digitalizzazione delle sale. Volenti o nolenti, ci toccherà completarla al più presto, e non perché dobbiamo impegnarci a far avverare le previsioni statistiche, ma perché forse c’è qualcuno che sta alacremente lavorando allo switch-off e pensa già a una data. Alcune “voci di corridoio” hanno riferito che qualche major americana sta impiantando sistemi di distribuzione digitale con base a Londra, per distribuire i propri titoli soltanto in digitale già dal 2013. Visto il peso della produzione americana sul nostro mercato – rappresenta più del 60% dei film proiettati – il gestore ancora “analogico” rischierà di non poter più proiettare quasi il 60% dei film di nuova uscita. Nella migliore delle ipotesi la sala sarà costretta a un ammodernamento costoso e immediato, nella peggiore alla chiusura. Reggerebbe infatti un mercato distributivo parallelo limitato solo ai vecchi titoli in pellicola, ancora più oneroso di quello attuale? L’eventuale falcidia delle piccole sale comporterebbe una perdita non solo economica ma anche culturale, perché il cinema italiano d’autore è proiettato soprattutto in questo tipo di esercizi, che rappresentano il 30% delle sale italiane e degli incassi. Che cosa vogliamo fare? Aspetteremo le decisioni altrui pagando un prezzo pesante in termini di chiusure di sale, o sapremo invece anticiparne le mosse? Il momento giusto per adeguarsi, come in tutte le cose, è un po’ prima degli altri. Vinceranno infatti i primi che riusciranno a fare la quadra fra investimento e ritorni futuri proponendo al pubblico anche ciò che non si aspetta. Perché i conti si fanno davvero interessanti proprio quando si scopre che la “torta”, cioè i ricavi della sala, possono diventare sostanzialmente maggiori rispetto a oggi. Per riuscirci, però, serve l’aiuto di un’altra tecnologia: il satellite.
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Perché il cinema digitale non ha senso senza il satellite? Il satellite è un sistema di distribuzione più “democratico” della fibra ottica e dell’hard disk. Recapitare alla sala un film in formato digitale anziché in pellicola è sempre più semplice ed economico, qualunque sia il mezzo usato. Con l’eccezione di alcuni grandi centri, tuttavia, la fibra ottica arriva solo alle centrali Telecom. Se il digital divide per i servizi ADSL è ancora una realtà per una parte non piccola del paese, figuriamoci per quanto riguarda i collegamenti in banda ultralarga che sono necessari per trasferire i DCP, i file dei lungometraggi. Di una rete di nuova generazione che porti la fibra fino a ogni utenza, quindi anche a ogni sala cinematografica, si parla da anni, ma i progetti si sono finora scontrati con i costi, che sono dell’ordine di alcuni miliardi di euro. E ci vorrebbero comunque anni di lavori per posare tutti i cavi. Di cinema raggiunti dalla fibra ottica, infatti, non ce n’è ancora nessuno. La seconda possibilità è recapitare alla sala un drive, cioè un hard disk. Il DCP, del peso di 150-300 gigabyte, viene memorizzato nell’hard disk, in genere in non più di 300-400 copie. Il drive viene spedito dalla casa di distribuzione alla sala, custodito in una valigetta che lo protegge dagli urti nella fase di trasporto su ruote. Quando giunge al cinema, il DCP deve essere trasferito dall’hard disk allo storage centrale, o al server della sala, mediante un cavo che impiega circa 4-6 ore per completare il trasferimento. A questo punto l’hard disk ritorna al mittente che prima ne cancella il contenuto e poi ne verifica il funzionamento prima di riutilizzarlo per un altro film o copia. Il drive comporta una riduzione del costo copia da circa 1.000 e più euro fino a 150 euro, e ha contribuito ad aumentare il numero di copie disponibili sul mercato per ciascun titolo, ma lascia completamente inalterata rispetto alla pellicola la catena logistica, sia per la distribuzione sia per l’esercizio. Poiché ogni drive è destinato a una specifica sala, rimane anche il problema di rigidità dell’offerta legata al necessario trasporto fisico, che dipende sia dal tempo sia dal personale a disposizione. Il drive, in sostanza, non comporta grandi vantaggi per l’esercente, se non quello di un parziale abbattimento dei costi di distribuzione. Non è dunque la soluzione definitiva. Il satellite, invece, può recapitare a basso costo (circa 90 euro!) un DCP in qualsiasi luogo, anche nel cinema del paesino più remoto d’Italia, perché trasmette in tutta Italia contemporaneamente, ed è l’unico mezzo che consente di trasmettere e ricevere eventi in diretta, sia normali sia in 3D. Dematerializzando completamente la distribuzione, il satellite la rende finalmente più “democratica” senza distinzioni di chi, dove, cosa, quando. E anche più ecologica. Se la distribuzione dei titoli cinematografici passasse domani totalmente al satellite, i 500.000 chilometri di strada percorsi ogni anno dai furgoni per la logistica di pellicole e hard disk sarebbero annullati, insieme all’emissione di circa 200 tonnellate di CO2. Il satellite semplifica il lavoro del distributore perché il teleporto di Open Sky per Eutelsat pensa a (quasi) tutto. Open Sky è stato un vero pioniere dello sviluppo del cinema digitale, occupandosene sin dal 2006. Si è dedicato alla messa a punto sia dell’infrastruttura di sala (decoder e impianto) sia dell’architettura del teleporto (antenne trasmittenti, push server e NOC con un software dedicato per il cinema), ma soprattutto
17 ha creato tutti i processi di lavoro e il relativo help desk per esercenti e distributori. Dalla collaborazione con Eutelsat è nata quella che oggi è la più grande e operativa realtà di distribuzione cinematografica satellitare europea. La trasmissione dei film e degli altri contenuti digitali via satellite, possibile grazie alla sinergia tra Open Sky ed Eutelsat, consente un radicale snellimento delle operazioni necessarie alla distribuzione, che si riducono di fatto a una sola: consegnare solo una copia del DCP al teleporto di Open Sky. Sarà poi il teleporto a eseguire la distribuzione del DCP nel numero di copie stabilito e solo ai cinema dotati dell’apposito decoder satellitare. A Vicenza il teleporto Open Sky per Eutelsat è una struttura dotata di un’antenna da 3 metri che ™trasmette su un trasponder dedicato del satellite ATLANTIC BIRDTM (nelle versioni AB2 e AB3, situate in orbita a 8° e 5° Ovest), considerato il migliore per il cinema digitale. Nel teleporto avviene l’operazione di incameramento del DCP, che viene inserito in appositi apparati chiamati push server incaricati della trasmissione a tutti i cinema. Per scongiurare la perdita dei file, il teleporto è dotato di un’interfaccia per il backup totale con i teleporti di Torino e Rambouillet (Parigi). Terminata la fase di caricamento sul server del teleporto, il DCP viene inviato simultaneamente a tutti i cinema a una velocità di 70 megabit al secondo. Questa velocità di trasmissione implica il trasferimento di più di 30 gigabyte all’ora, che si traduce in un tempo di distribuzione variabile dalle 4, alle 6, alle 10 ore a seconda delle dimensioni dei DCP. In meno di 10 ore, il distributore può consegnare il film, i trailer o gli altri tipi di contenuti a sua disposizione, a tutte le sale che desidera. Il satellite assicura insomma una distribuzione veloce, contemporanea in tutte le sale, economica, ecologica, affidabile. La trasmissione via satellite azzera il rischio di pirateria, perché solo chi è autorizzato può leggere e proiettare i file criptati. In teoria, tutti potrebbero ricevere i DCP dal satellite semplicemente orientando una parabola nella direzione giusta. In pratica, invece, il file trasmesso può essere decodificato solo dal decoder e poi decriptato solo dal proiettore per mezzo di un chip e di una chiave di decodifica che viene fornita esclusivamente alla sala autorizzata. Qualsiasi file intercettato o trafugato è quindi illeggibile e non riproducibile. Ogni singola copia di un file DCP ha il proprio file di decrittazione, senza il quale non è possibile proiettare né vedere il film. Open Sky-Eutelsat si occupa a distanza anche di (quasi) tutto quello che avviene nella sala. La ricezione del DCP nel cinema avviene mediante l’apparato satellitare professionale fornito da Open Sky-Eutelsat, il maggiore fornitore italiano del servizio di distribuzione satellitare. Il ricevitore è dotato di opportuni software di controllo e di un hard disk interno per la memorizzazione del DCP ricevuto. Solo tre sono le regole d’oro da sapere per far funzionare questo apparato satellitare: tenerlo sempre acceso e alimentato, accertarsi che sia collegato all’antenna satellitare e assicurarsi che il decoder sia connesso correttamente a internet. Un apparato spento o non collegato all’antenna o non connesso a internet non permette, ovviamente, né la ricezione dei DCP né il controllo da remoto. Tutto il resto lo fanno i software e il personale di Open Sky-Eutelsat, e non serve quindi alcun tipo di formazione del personale di sala. Con i software che regolano il processo di distribuzione di Open Sky-Eutelsat, il rischio di errori o di file compromessi è praticamente azzerato. Se durante la ricezione un cinema perde accidentalmente dei pacchetti di dati, non è necessario ricominciare la trasmissione da capo. Le parti mancanti vengono individuate dal ricevitore e richieste al push server centrale di Open Sky. Il push server centrale raccoglie allora la richiesta di correzione di errori proveniente dal cinema e ritrasmette al ricevitore in ascolto solo
le parti mancanti. Quando è stato interamente memorizzato sul ricevitore, il DCP può essere trasferito allo storage server o al server del proiettore, in soli 40 minuti, con un cavo gigabit ethernet. Per lavorare con affidabilità e alle massime prestazioni, tutti gli apparati necessari alla ricezione sono stati specificatamente progettati per il cinema digitale e ottimizzati da Open Sky-Eutelsat. Inoltre, per garantire l’efficienza delle operazioni di distribuzione e la prontezza di intervento in caso di necessità, lo staff specializzato del Centro di Controllo per la Rete di Cinema (NOC – Network Operating Center) esegue un monitoraggio continuo della rete. Nonostante tutte le misure di controllo adottate, per non lasciare nulla al caso, Open Sky-Eutelsat ha attivato anche un help desk, telefonico e via e-mail, da contattare qualora gli esercenti incontrassero delle difficoltà durante l’uso o il funzionamento delle apparecchiature. 210 strutture italiane hanno già adottato il servizio di distribuzione satellitare, e sono oggi le uniche a poter offrire le proiezioni live. Tra queste, più di 150 offrono anche i live 3D. La distribuzione via satellite può essere riassunta in soli sei passaggi: distributore – teleporto – satellite – antenna del cinema – decoder del cinema – storage centrale del cinema – server di ogni proiettore. Di questi, solo il primo passaggio compete al distributore e l’ultimo all’esercente, e tutti gli altri a Open SkyEutelsat. Il digitale, quindi, non complica la vita del distributore e del gestore, ma la semplifica. Lo hanno capito bene le 210 strutture (per un totale ci circa 600 sale) in tutta Italia che già ricevono i contenuti digitali, sia live che film 2D, attraverso il Centro di controllo e di assistenza di Open Sky-Eutelsat. Per la fine dell’anno il loro numero è destinato a crescere fino a raggiungere le 300 strutture nel circuito satellitare. Di quelle già attive, oggi più di 150 cinema sono stati attrezzati anche per le proiezioni live 3D. Nella fase iniziale di sviluppo delle sale digitali, Eutelsat ha investito nel progetto “100 sale in rete” fornendo l’equipaggiamento di ricezione, che ha tuttavia un costo di poche migliaia di euro. Con una catena distributiva così rapida ed efficiente si moltiplicano e diventano più flessibili le finestre temporali di offerta ed è garantita una programmazione di contenuti diversi nello stesso giorno a ore diverse, a un costo accessibile per il gestore. L’eliminazione del numero chiuso delle copie apre inoltre la porta all’uguaglianza di opportunità di proiezione tra multisala e sale di profondità. Il satellite è inoltre l’unico strumento che consente una reale possibilità di arricchimento dell’offerta perché può veicolare film e qualsiasi altro contenuto (trailer, pubblicità, documentari, corti, demo-promozionali, etc.) al più basso costo possibile, così come eventi live e live 3D al costo di trasmissione di poco più di 1.500 euro/ora. Open Sky-Eutelsat è l’unica realtà europea che ha attrezzato delle sale per il live 3D e ha già fornito la trasmissione live dei mondiali di calcio del 2010 e la finale di coppa Italia nel 2011. Tutte le trasmissioni avvengono rispettando i migliori standard qualitativi disponibili: DCP in formato JPEG 2000 e live in diretta FULL HD e Audio AC3, con trasmissione criptata e possibilità di selezionare le sale abilitate, anche in visione 3D. Il satellite è l’unico vero presupposto per la multiprogrammazione di contenuti, registrati o in diretta. Una volta installato, l’impianto di ricezione satellitare non ha più alcun costo ulteriore per il gestore della sala perché i costi di trasmissione competono al distributore. Con la distribuzione digitale via satellite, quindi, cambia solo il mezzo di trasmissione (non più hard disk né pellicola), mentre restano immutate la modalità di contrattazione tra gestori e distributori. Si apre tuttavia la possibilità di programmare molti più contenuti – film, trailer, pubblicità, corti, eventi live,
18 ecc. – a tutto vantaggio sia dei distributori sia dei gestori, oltre che del pubblico, naturalmente. Per comprendere la validità del sistema satellitare, alcuni esempi pratici dei vantaggi “satellitari” possono servire più di mille parole. Con la distribuzione satellitare diventa più semplice, per esempio, organizzare un mini-festival o promuovere rassegne settoriali. Oggi fare una rassegna vuol dire movimentare venti o più pellicole. Con il digitale più il satellite non c’è più la movimentazione fisica e si abbattono i costi: dallo stesso incasso si ottiene un guadagno maggiore. Per il distributore, invece, questo vuol dire poter rivalorizzare le sue library, oggi di fatto non sfruttate. Poiché la distribuzione satellitare riduce anche il tempo dedicato alla distribuzione e alla logistica, il gestore noterà anche un altro effetto positivo. Grazie all’eliminazione dei tempi morti legati alla movimentazione fisica di hard disk e pellicole il personale avrà più tempo a disposizione per migliorare la qualità del servizio.
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Perché una sala cinematografica digitale può vendere molti più biglietti?
Il digitale può trasformare un cinema in un luogo che aggrega persone di età, interessi e magari anche paesi diversi. Esiste un cinema a Roma che ha una storia travagliata: è il vecchio cinema Aquila. Nato come cinema nel secondo dopoguerra, passò poi negli anni Settanta sotto il controllo della malavita organizzata fino a naufragare, diventando un cinema porno. Grazie alla tenacia degli abitanti del quartiere Pigneto, che volevano un cinema degno di questo nome, fu posto però sotto sequestro nel 2004. Dal 2008 ha riaperto come Nuovo Cinema Aquila, un nome che riporta alla memoria di tutti il titolo di una commovente pellicola, con la soddisfazione di tutto il quartiere e non solo. Le sue tre sale sono dotate di proiettori a pellicola e digitali che proiettano prime visioni, persino blockbuster, ma anche cinema d’essai e di autori indipendenti e di culto. Non sono rare le anteprime, e il pubblico può seguire anche festival e rassegne organizzate. La sala trasmette e riceve anche eventi live. Il risultato è che il pubblico si è aperto come un ventaglio: giovani e anziani, famiglie e bambini, cinefili e gente che del cinema non può fare a meno, e tanti, tanti studenti universitari. Anche le scuole, le comunità straniere e le associazioni trovano nel Nuovo Cinema Aquila un luogo sul quale convergere perché mossi da uno spirito di condivisione legato alle proiezioni sapientemente scelte dallo staff del cinema. Com’è stato possibile trasformare un relitto in una nave ammiraglia del cinema romano? Grazie all’uso oculato delle nuove opportunità offerte da proiettori cinema digitali, distribuzione satellitare e multiprogrammazione. Il Nuovo Cinema Aquila è rinato come centro culturale perché è gestito da persone con la voglia e le idee per cambiare il modo di pensare la sala, e in grado di fare un’efficace comunicazione indirizzata sia alla stampa sia direttamente al pubblico. Così oggi il Nuovo Cinema Aquila è un aggregatore sociale e tutti gli effetti, e molto più di un multiplex in periferia. La multiprogrammazione consente di creare un palinsesto molto più ampio e in grado di attirare nuovi pubblici. Non esiste nessuna legge incisa nella pietra che obblighi le sale all’offerta di soli film, né tanto meno dello stesso film in tutti gli orari del giorno per più settimane. Questo è solo il modello di business cui le ha obbligate la scarsità delle copie dei film e la laboriosità della logistica delle pellicole. La multiprogrammazione, ossia la proiezione di diversi spettacoli cinematografici a seconda dei giorni e dell’ora, ma soprattutto la differenziazione dell’offerta per tipi di contenuti e tipi di pubblico, è oggi il nuovo business della sala. Finalmente anche la sala può fare del vero marketing, cioè ritagliare la propria offerta su specifici segmenti di pubblico o sulle caratteristiche del pubblico strettamente locale. Con il vantaggio, per la sala di quartiere o del piccolo centro, di avere quasi il monopolio locale su un bacino di utenza che le accorda la sua preferenza innanzitutto perché è la più vicina.
19 Se a questo aggiungiamo che oggi, nella sua nuova configurazione, una sala cinematografica può servire anche ad altro, differenziando inoltre il prezzo del biglietto, diventa possibile cominciare a immaginare quale potrà essere il suo nuovo modello di business. Se distributori e gestori imparano a sfruttare la “coda lunga” del cinema possono allargare notevolmente il loro bacino di utenza. Abbiamo già accennato al fenomeno della “coda lunga” e dei vantaggi che un commerciante può trarne. Ma come può essere tradotta la “coda lunga” nell’ambiente cinematografico? Preso un film qualsiasi, per un gestore non vale la pena proiettarlo se gli incassi ottenuti nell’arco di due settimane non sono pari almeno al prezzo pagato al distributore più una parte dei costi fissi di gestione della sala. Possiamo dire che non vale la pena proiettare questo “film esempio” se non vengono a vederlo poniamo almeno 1.500 persone in due settimane. Ma esistono centinaia di film, film d’autore, d’essai, film restaurati e cult, documentari, vari altri spettacoli e trasmissioni live, che chiamiamo genericamente “contenuti complementari”, che non riuscirebbero mai a vedere 1.500 ingressi in due settimane perché hanno un pubblico di nicchia. Ma proiettati uno dopo l’altro, anche con una sola replica ciascuno e a un orario studiato, nell’arco delle due settimane possono far staccare al cinema molto più di 1.500 biglietti. Infatti, se opportunamente reclamizzato, il contenuto da “coda lunga” attira pubblico che proviene anche fuori dal solito bacino di utenza del cinema che lo proietta, perché, per chi ci tiene, l’evento è unico e imperdibile nel suo genere. Per il gestore sarebbe possibile anche vendere nello stesso giorno due biglietti ad un unico cliente intenzionato a vedere, per esempio, due diversi spettacoli consecutivi nella stessa sala. La “coda lunga” è insomma un’opportunità assolutamente interessante anche per il cinema, a patto che il costo della distribuzione sia basso: qualcosa che è reso possibile solo dalla digitalizzazione più il satellite. Parafrasando Shakespeare, si può dire che “Ci sono molte più cose proiettabili in una sala di quante ne sono state sognate dal cinema fino a oggi”. Nella “coda lunga” rientrano tutte le proiezioni che verrebbero scartate perché antieconomiche se dovessero essere programmate per un lungo periodo, ma che diventano redditizie anche con una o poche proiezioni grazie alla flessibilità e alla riduzione dei costi rese possibili dall’accoppiata digitale più satellite. L’elenco della “coda lunga” è lunghissimo: film in lingua per stranieri europei o extracomunitari (se voi abitaste in India per esempio, non paghereste volentieri un biglietto per vedere una volta al mese un film nella vostra lingua che tanto vi manca?), film d’autore, film d’essai, film restaurati e cult, cortometraggi singoli in testa ai film o in rassegne, ma anche documentari, contenuti sperimentali, tutto il cinema indipendente presentato ai festival e che generalmente in seguito non è mai più proiettato, matinée per le scuole, e poi ancora proiezioni per pubblici di nicchia come balletti, concerti, opere liriche ed eventi sia in diretta che registrati e, perché no, letture di prosa e spettacoli per l’infanzia. Oppure, collegamenti con convention aziendali o manifestazioni politiche. La stessa pubblicità offre delle opportunità probabilmente ancora poco sfruttate, perché grazie alla flessibilità del digitale più il satellite diventa possibile proporre gli spot giusti al pubblico giusto (un pubblico, quello del cinema, più qualificato rispetto a quello televisivo) abbinandolo al film. L’elenco delle opportunità è probabilmente ancora lungo, e starà alla fantasia e all’imprenditorialità dei gestori trovarne di nuove. L’importante è ricordare qual è il vero business del cinema: offrire esperienze uniche e collettive.
I contenuti complementari al momento sono forniti da poche società di distribuzione specializzate, ma il mercato è giovane e gli stessi distributori devono ancora scoprirne le opportunità. Che la sala possa diventare più di un semplice cinema è già dimostrato da molte esperienze, sia in Italia che all’estero. Ma dove reperire i contenuti complementari? Per il momento la scelta è abbastanza ristretta, tanto da poter contare i principali distributori di questi servizi sulle dita di una mano. I contenuti complementari disponibili presso questo giovane mercato spaziano dai documentari 2D o 3D fino ai concerti, all’opera o al balletto e il teatro, ma ce n’è per i più piccoli con i cartoni animati, e per i più grandi che vogliono corti, film di culto e grandi classici, nuovi titoli ed eventi live in italiano o in lingua originale. In un mercato che non ha ancora espresso tutto il suo potenziale esistono ancora dei margini di crescita e i distributori dovrebbero trovare un modo per coglierne le opportunità. Ma per una diffusione capillare e sistematica dei nuovi contenuti anche gli esercenti devono fare la loro parte: richiamare la gente al cinema per vederli. La multiprogrammazione funziona se il pubblico giusto viene adeguatamente informato. La multiprogrammazione ha la capacità di portare al cinema più persone, di età e interessi diversi, e anche nei giorni e negli orari oggi caratterizzati da minore affluenza. Ma se il pubblico non ne è adeguatamente informato, non saprà mai che cosa si perde di bello al cinema! La promozione dei film e dei contenuti alternativi corre in larga parte su tre binari: classica promozione a mezzo stampa cartacea e on-line, contatto diretto con il pubblico e promozione sullo schermo stesso del cinema. Limitarsi a comunicare titolo del film e orari degli spettacoli non basta più. L’ufficio stampa della sala ha l’importante compito di avvisare le testate giornalistiche cartacee e on-line – ma potrebbe essere utile informare anche i blogger più seguiti del settore – di quali nuovi eventi (rassegne, eventi insoliti, proiezioni alternative…) sono in programma oltre alle normali proiezioni dei titoli più recenti. Il contatto diretto attraverso mailing list è un altro modo di avvisare il pubblico che ha lasciato il proprio indirizzo e-mail per essere ricontattato in occasioni che lo interessano. Alcune sale usano già Facebook e Twitter, i due social network sui quali è d’obbligo essere presenti quotidianamente, per raggiungere all’istante decine, centinaia, migliaia di utenti che le seguono in attesa delle ultime offerte programmate in sala. Il terzo binario di comunicazione è il più semplice da sfruttare, perché è quello sul quale il treno dei desideri del pubblico non può evitare di passare: è il grande schermo. Se i trailer cinematografici sono il principale mezzo di promozione di un film, quale occasione migliore di farli vedere in modo mirato al pubblico che è già in sala per vedere qualcosa di simile? La quantità di trailer a disposizione con la distribuzione digitale, e satellitare in particolare, sommata alla facilità di assemblaggio di una sequenza di trailer nel TMS, diventano per l’esercizio uno strumento fondamentale di promozione mirata. Allargare il proprio pubblico vuol dire più persone e le persone chiamano altre persone per passaparola. Si perpetua così un circolo virtuoso, innescato dalla tecnologia e valorizzato dalla cultura insita nei contenuti, che consente alla sala di staccare più biglietti. Tutto questo, però, bisogna saperlo fare.
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Come cambierà il mestiere di gestore di una sala?
La digitalizzazione del sistema di proiezione si porta dietro una lunga serie di cambiamenti. Quando si assiste a un cambio epocale nel settore cinematografico come quello della dematerializzazione dei contenuti, l’esperienza degli altri media insegna che si modificano non solo il modo di distribuire i contenuti e le attrezzature per veicolarli, ma anche tutto ciò che ruota attorno a essi. Cambia il modo di proporre i contenuti al cinema e le vie di reclamizzazione. Cambia il modo di fare marketing e il modo di fare business. Cambiano gli spazi in cui si offrono i contenuti e cambia il modo di viverli. Cambiano i rapporti di lavoro e cambiano persino i lavori, si rinnovano e a volte nascono nuove professioni. Cambiano persino i costumi della gente e quindi cambiano le persone e con esse il loro modo di vivere. Il cambiamento si diffonde come un virus, ma in positivo, e non c’è modo migliore di affrontarlo di quello di partecipare attivamente al suo sviluppo. Imparare a gestire e a sfruttare il digitale più il satellite vuol dire saper fare più di “un multiplex in una sala sola”. Il successo del multiplex si cela, e neanche troppo, dietro la grande offerta legata all’elevato numero di schermi a sua disposizione, che attira al botteghino tanti pubblici, ognuno con le sue differenze e preferenze cinematografiche. La principale necessità della piccola/media sala, oggi quella rimasta più indietro nel processo di innovazione, è quindi quella di attirare il maggior numero di pubblici possibili con i pochi o l’unico schermo a disposizione. Finalmente i film e tutti gli altri contenuti in formato digitale, uniti alla rivoluzione satellitare della distribuzione, permettono di soddisfare tanti pubblici in un solo cinema. Il gestore, però, deve rinnovare il modo di attirare il pubblico, diventare davvero un imprenditore e imparare ad armonizzare i nuovi contenuti a sua disposizione in un palinsesto a orari accattivante. Quello che i multiplex in parte fanno già, le piccole sale devo sforzarsi di fare di più e meglio. La sala piccola/media sala deve essere più di “un multiplex in una sala sola”. Sfruttando le nicchie di pubblico che il multiplex non attira perché generalmente poco redditizie, e soprattutto la sua vicinanza, ha l’opportunità di cogliere tutti i vantaggi economici che scaturiscono dallo sfruttamento della “coda lunga” cinematografica e dall’offerta di eventi, ma anche dagli incontri che a volte esulano anche dal settore cinematografico. La sala può diventare un centro culturale o un luogo del tempo libero a più vasto raggio e respiro, ma bisogna saper gestire le novità. Il mestiere del gestore di sala si arricchisce di nuove mansioni: conoscere meglio il pubblico e costruire un palinsesto in grado di attirarlo. Il mestiere del gestore cambia. Ma non si tratta di uno sconvolgimento, bensì di un arricchimento delle sue mansioni. Con la nuova autonomia resa possibile dalla digitalizzazione più il satellite, alla capacità di gestione della sala si deve affiancare la capacità di fare marketing. Conoscere meglio il pubblico del proprio bacino geografico e i suoi gusti, ma anche la nuova offerta dei distributori, lo aiuteranno nella
scelta dei titoli e dei contenuti alternativi. La sala non avrà più un cartellone per ciascuno schermo, ma una programmazione per ciascuno schermo. Occorrerà quindi saper costruire dei palinsesti, simili agli attuali programmi televisivi, che tengano conto dei pubblici a cui sono diretti e degli orari che questi prediligono. Sarà sua la responsabilità di valutare quanto e in che modo differenziare i prezzi, perché contenuti differenti e proiezioni a orari insoliti possono avere prezzi al pubblico differenti. I palinsesti possono essere studiati per creare nuove forme di fidelizzazione, collocando a orari precisi con cadenza settimanale le proiezioni relative a particolari tipi di abbonamento. Possono, per esempio, essere proiettati film in lingua indiana, inglese o francese e perché no in rumeno o filippino ogni giovedì in prima serata. Oppure si può organizzare un percorso cinefilo su un tema particolare come “i cani che hanno commosso il cinema” selezionando i più famosi titoli a quattro zampe che hanno fatto piangere il pubblico in sala, come Antartica (1984), 4 cuccioli da salvare (1987), Io & Marley (2008) e il recente Haciko – il tuo migliore amico (2009). Ma mille altri sono i temi che si possono scovare ispirandosi ai film cult, pescando tra quelli di un attore di fama internazionale o allestendo particolari percorsi culturali. Un’offerta ben articolata, varia e continuativa, può essere capace di venire incontro a una domanda oggi solo latente. Al pubblico le immagini sullo schermo non bastano più: vuole tornare a casa arricchito da una user experience più coinvolgente. I contenuti non sono l’unica cosa che attira gli spettatori: anche la cornice è importante. Una sala che offre un buon servizio di ristorazione o dei buffet per gli spettatori delle rassegne e dei percorsi tematici, magari in concomitanza con una piccola mostra fotografica esposta sulle pareti dell’atrio, predispone il pubblico a ritornare volentieri lì dove è stato accolto con un piacevole “entertainment di sala”. Perché offrire anche entertainment di sala? Le poche (purtroppo) indagini a disposizione e l’esperienza di alcuni esercenti dimostrano come il pubblico vive l’andare al cinema non solo come momento per la visione del film, ma anche come un’opportunità per arricchire la propria esperienza, la sua cosiddetta “user experience”. La sala deve quindi aprirsi a un coinvolgimento dello spettatore che vada oltre la semplice proiezione: presentazioni dei film, incontri con autori e attori, cicli di proiezioni dedicate a un paese o a un tema e quant’altro possa fargli vivere un coinvolgimento vero in quella macchina dei sogni, delle sensibilità e delle emozioni che è il cinema nella sala cinematografica. Se cambiano i contenuti cambia anche il modo di vivere la sala, che diventa un luogo da vivere sia prima sia dopo lo spettacolo. Quanto più la sala è intesa come multi-arts venue, tanto più entrano in gioco i nuovi contenuti complementari ai film, tanto più si apre uno spazio di offerta diversificata per i distributori. E il cinema può essere anche un “bar speciale” con camerieri e cameriere che indossano gli abiti di personaggi di celluloide e che hanno lasciato il segno sullo schermo e nella memoria. Ma può trasformarsi persino in un “pub-piccolo museo del cinema” in cui ordinare cocktail che hanno nomi di film da sorseggiare mentre fotografie, locandine, oggetti di scena e vecchi proiettori 35 mm tirati fuori dalle cantine ripercorrono proprio la storia di quella sala e dei personaggi che in lei e nelle sue proiezioni hanno vissuto. Gli spazi dell’atrio possono diventare una piccola galleria d’arte che espone mensilmente le opere o le fotografie di artisti giovani o maturi, sconosciuti o di fama. Un monitor incorniciato da pellicole giganti può trasmettere in loop i trailer di film, concerti, opere, liriche, eventi live e rassegne di prossima proiezione. Queste sono naturalmente solo delle prime idee per cominciare a immaginare un cinema che sia molto più di un luogo per proiettare un film.
21 La digitalizzazione richiede di nuovi modelli di business, alcuni già pronti e altri ancora da inventare. Come i fotogrammi di una pellicola, tutto scorre e cambia. Ora che il ciclo secolare della “prima vita” del cinema va chiudendosi con l’esaurimento della distribuzione e della proiezione di pellicole, anche il modo di fare business con il cinema è a un punto di svolta. Occorre trovare nuovi modelli di business attivando collaborazioni con nuove figure professionali o, se ci si sente all’altezza, anche da soli. Il gestore di sala può affidarsi ad analisti del mercato che collaborino a stretto contatto con la nuova figura professionale che si occupa del palinsesto. E chi meglio dei giovani laureati in storia del cinema e scienze della comunicazione potrebbe essere in grado di organizzare un palinsesto accattivante, con autori e titoli validi anche se magari meno conosciuti, se guidato dalle indicazioni di chi è in grado di conoscere gli interessi del pubblico sviluppando indagini ad hoc per la sala? Un palinsesto caratterizza la sala all’interno del suo quartiere e la trasforma in polo di aggregazione sociale nel tessuto metropolitano. Ed è ancora più vero per le sale dei piccoli centri. Il Cinema All Digital (proiettori cinema digitali, contenuti digitali, distribuzione digitale via satellite) potrebbe addirittura facilitare la riapertura delle sale scomparse nei piccoli e nei grandi centri. Le realtà minori potrebbero offrire proiezioni di contenuti on demand per piccoli gruppi o associazioni anche più facilmente degli esercizi con grandi volumi d’affari. Anche i distributori possono cimentarsi nella creazione di “pacchetti” studiati appositamente per certe fasce di pubblico e offrirli poi già pronti agli esercizi. All’innovazione tecnologica che sta trasformando il cinema deve necessariamente seguire un’innovazione nei processi di gestione, nei modelli di business e nei mestieri, e soprattutto nel modo di fare spettacolo.
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Chi guadagnerà da un cinema tutto digitale?
La “tenaglia” si allenta: la diminuzione dei costi e l’aumento dei ricavi premieranno il gestore della sala, ma anche tutto il resto della filiera. Oggi dobbiamo fare uno sforzo di immaginazione, più che di analisi, per capire come sarà il mercato della sala cinematografica una volta che la distribuzione sarà completamente digitalizzata e via satellite. Ma non è uno sforzo poi molto grande. Il peso dei costi si ridurrà grazie alla completa dematerializzazione della catena distributiva e alla semplificazione della gestione delle proiezioni. La “torta” dei ricavi è invece destinata ad aumentare grazie a un’offerta di film più ampia e mirata, al contributo di contenuti complementari, all’attrazione di nuovi segmenti di pubblico e alla diversificazione dei prezzi. Il gestore avrà infatti la possibilità di fissare un prezzo del biglietto che considera equo per il tipo di spettacolo che offre, determinato anche dai servizi e degli eventi di contorno. Il distributore potrà invece commercializzare più contenuti oltre ai semplici lungometraggi. Nel cinema, secondo una stima fornita dal Multimedia Lab dell’Università di Roma Sapienza, i ricavi provenienti dai soli contenuti aggiuntivi a livello globale potrebbe raggiungere il miliardo di dollari già nel 2014. Riuscire o meno ad approfittare delle nuove opportunità dipenderà naturalmente dall’imprenditorialità e dall’immaginazione – questa sì – di ogni singolo operatore. Prevedere il successo di un film è proverbialmente difficile, ma proprio questo è il bello del cinema. In ogni caso, la rinascita della sala sarà una boccata d’ossigeno per l’intera filiera cinematografica. Faranno eccezione solo i produttori e i duplicatori di pellicole, che dovranno necessariamente reinventarsi un mestiere. Ma questa è una conseguenza inevitabile di ogni “distruzione creatrice” operata dall’innovazione. I veri vincitori saranno gli spettatori, che avranno un’alternativa in più ai “media della solitudine”. Se distributori e gestori – e altre figure che certamente nasceranno nei prossimi anni intorno al cinema digitale – sapranno fare il loro mestiere, la sala cinematografica potrà diventare un luogo in cui trascorrere insoliti pomeriggi e serate. Ogni tanto potremo infatti lasciare spenti e a casa i “media della solitudine” di cui ci siamo circondati negli ultimi anni: cuffie e cuffiette per ascoltare musica da soli; computer sempre più piccoli e sempre con noi che ci impediscono di chiacchierare col vicino; cellulari che ormai sono computer, telefono, fotocamera, radio e iPod insieme; televisori sempre più sofisticati che promettono esperienze sonore e visivi come quelle del cinema, ma che sappiamo bene essere lungi dall’emozionante esperienza di condivisione che si vive in sala. Perché la dimensione sociale è ormai diventata quasi più preziosa degli stessi contenuti. Digitalizzata e collegata via satellite, la sala può ritrovare la sua “vera” natura di luogo in cui radunare persone che hanno voglia di vivere insieme un’esperienza unica. Dopo il boom del digitale e dei social network che nell’ultimo decennio hanno incollato allo schermo milioni di adolescenti e adulti di tutto il mondo – gli utenti di Facebook hanno ad esempio quasi raggiunto i 20 milioni in Italia e i 750 milioni nel mondo – le persone hanno iniziato a prendere coscienza del fatto che
passano ormai più tempo da sole di fronte a un piccolo schermo che fisicamente insieme agli altri. Il desiderio di vivere esperienze vere e collettive è infatti mutato e rinnovato. Oggi le relazioni sociali si instaurano e si rafforzano anche sul web, ma se non trovano una loro espressione nella vita reale lasciano un alone di incompiuto sia alla relazione che al senso della giornata. Il social networking allarga la propria rete di conoscenze ma queste devono poi manifestarsi anche nella vita vera. Uscire per vedersi, condividere qualcosa e parlare è ancora fondamentale. Quanti giovani al primo appuntamento invitano una ragazza al cinema? Quanti amici per rivedersi dopo tanto tempo decidono per la fortunata accoppiata pizza&cinema? La gente ha ancora bisogno di esperienze autentiche e collettive, meglio ancora se queste sono proposte in una formula più ricca come il festival, gli incontri con personaggi da aspettare insieme, eventi irripetibili: è proprio la virtualizzazione di ogni esperienza ad aver reso oggi più preziose le esperienze vere. Il cinema può quindi ritrovare la sua vocazione di sempre: far condividere emozioni nello stesso luogo con un gruppo di persone di cui ciascuno si sente parte. Non è la pellicola, pardon, il film in sé la sua vocazione: la sua funzione di posto di svago e luogo sociale ha il sopravvento. A tutte le sale, piccole e grandi, delle metropoli come dei piccoli centri, la digitalizzazione e la distribuzione via satellite offrono insomma una nuova chance, la possibilità di una nuova vita. E il momento di coglierla al volo è ora.
glossario 3D attivo Metodo di visualizzazione 3D che utilizza occhiali con otturatore a cristalli liquidi sincronizzati tramite infrarossi con il proiettore di sala. Il proiettore riproduce il filmato 3D a 144 fotogrammi al secondo, destinati alternativamente 72 solo all’occhio destro e 72 solo al sinistro, la cui visione è determinata dall’oscuramento alternato e sincronizzato della lente dell’occhio opposto. Il cervello poi ricompone le due immagini provenienti da ciascun occhio e restituisce la sensazione di profondità tipica del 3D. Gli occhiali di tipo 3D attivo (XpanD 3D) consentono di avere una luminosità uniforme su tutto lo schermo, che è bianco e non metallizzato come per la visione 3D a luce polarizzata. 3D passivo Include due diversi metodi di visualizzazione 3D, fino a 144 fotogrammi al secondo: con schermo bianco e lenti di vetro a filtraggio cromatico (Dolby 3D) oppure con silver screen – schermo metallizzato – e lenti a polarizzazione circolare (Real D e MasterImage 3D). Le lenti degli occhiali dei sistemi 3D passivi, pur utilizzando meccanismi differenti, filtrano le immagini proiettate sullo schermo in modo da offrire all’occhio destro solo i fotogrammi a lui destinati e all’occhio sinistro gli altri. Il risultato è anche in questo caso un’immagine tridimensionale. Il vantaggio delle tecnologie con occhiali 3D passivi risiede nella economicità degli occhialini rispetto alla tecnologia del 3D attivo.
23 AB2 - AB3 Acronimo che identifica i satelliti ATLANTIC BIRD TM 2 e 3 di Eutelsat, in orbita rispettivamente nella posizione a 8° e 5° Ovest. Il teleporto Open Sky di Vicenza utilizza l’AB2 e l’AB3 per la distribuzione satellitare dei contenuti per il cinema digitale perché al momento sono considerati da Eutelsat la miglior coppia di satelliti per questo tipo di trasmissioni che richiedono velocità di trasmissione fino a 72 Mbit/s (l’uso di due satelliti garantisce ridondanza e maggiore disponibilità di banda). Oggi il circuito di Eutelsat in Europa, con circa 600 cinema che ricevono da questi satelliti per un totale di 2.000 schermi, è il maggior circuito cinema a distribuzione satellitare del continente. Cinema Server Player esterno o integrato al proiettore cinema digitale sul quale è memorizzato il DCP prima della sua proiezione. Durante la proiezione invia il flusso di dati audio-video al proiettore. Coda lunga Termine coniato da Chris Anderson, apparso per la prima volta su Wired Magazine come “The Long Tail” nel 2004, per descrivere i modelli di business on-line secondo i quali contenuti offerti a un pubblico di nicchia consentono ricavi in alcuni casi persino superiori a quelli derivati dai prodotti più commerciali. La coda lunga è tipicamente costituita da tutti quei prodotti che non possono essere esposti in un negozio fisico né riversati su un supporto fisico perché una bassa domanda li cataloga come antieconomici. Il commercio e la distribuzione digitale, però, abbassano quasi a zero il costo
del prodotto che, dematerializzato, può essere commercializzato in una o infinite copie senza costi aggiuntivi. Un prodotto che si posizione nella coda lunga è in genere venduto solo poche volte, ma contribuisce insieme a tutti gli altri prodotti della coda a generare ricavi che oscillano tra il 20% e il 40% del totale delle vendite. I più eclatanti casi di questo modello di business sono i fenomeni commerciali on-line come Amazon, Netflix o Rhapsody. Nella trasposizione cinematografica della “coda lunga” rientrano tutte le proiezioni destinate a pubblici di nicchia, che verrebbero scartate perché antieconomiche se dovessero essere programmate per un lungo periodo: film in lingua, d’autore, d’essai, restaurati e cult, cortometraggi, documentari, contenuti sperimentali, cinema indipendente, matinée, balletti, concerti, opere liriche ed eventi sia in diretta che registrati. Convergenza digitale È il fenomeno di trasposizione in formato digitale di tutte le tipologie di comunicazione esistenti (stampa, fotografia, cinematografia, musica, arte…) caratterizzate tradizionalmente da supporti, metodi e strumenti tecnologici diversi. La convergenza digitale abilita nuove forme espressive, consente una più rapida condivisione dei contenuti, non più costretti da limitazioni di tempo e di spazio, e facilita la loro diffusione e distribuzione contribuendo al passaggio dalla società dell’informazione alla società della conoscenza. DCP Acronimo di Digital Cinema Package, una sequenza di
dati digitali codificati e criptati che codificano i suoni e le immagini del film o di qualunque altro contenuto destinato alla proiezione con proiettori cinema digitali.
nei server dei proiettori cinema digitali. Le dimensioni della Sky Library dipendono solo dalle esigenze del gestore e non esiste un limite formale al numero di DCP in esso contenuti.
DLP Acronimo di Digital Light Processing Cinema, tecnologia sviluppata dalla Texas Instruments e utilizzata nel proiettore cinema digitale DLP Cinema.
Multiplex Sala cinematografica con più di 7 schermi.
EDCF Acronimo di European Digital Cinema Forum. Eutelsat Operatore satellitare leader nel mercato europeo, con capacità commercializzata su 27 satelliti che forniscono servizi fissi e mobili per le telecomunicazioni a tutta l’Europa, oltre che al Medio Oriente, l’Africa, molte parti dell’Asia e delle Americhe. Eutelsat fornisce in Europa la banda “cinema” sui satelliti AB2 e AB3. IDU Acronimo di In Door Unit, apparato satellitare “interno”, costituito da ricevitore professionale. JPEG 2000 Standard di compressione adottato dalla SMPTE per essere interoperabile con i proiettori cinema digitali. LMS Acronimo di Library Management System (la Sky Library di Open Sky, per esempio). È un NAS (Network Attached Storage) di notevole capacità con la funzione di archivio per i DCP ricevuti con distribuzione via satellite. Dalla Sky Library è possibile trasferire qualsiasi DCP
Multiprogrammazione Programmazione giornaliera e settimanale di vari contenuti – film, trailer, pubblicità, corti, eventi live, ecc. – da proiettare in giorni e orari studiati e differenziati a seconda del tipo di contenuto e di pubblico cui sono diretti. Multisala Sala cinematografica dotata di 5-7 schermi. NOC Acronimo di Network Operating Center, o Centro di Controllo per la Rete di Cinema, che esegue il monitoraggio continuo della rete di distribuzione satellitare e offre un servizio di help desk, telefonico e via e-mail, per gli esercenti, prima e durante l’uso o il funzionamento delle apparecchiature di ricezione satellitare dei contenuti per il cinema digitale. In Italia e in Europa il servizio è fornito da Open Sky. ODU Acronimo di Out Door Unit, apparto satellitare “esterno”, costituito da antenna e LNB (amplificatore). Push server Apparato del teleporto incaricato della trasmissione dei DCP a tutti i cinema collegati via satellite. Per l’Europa Open Sky trasmette dai satelliti Eutelsat.
SMPTE Acronimo di Society of Motion Picture and Television Engineers, l’organismo che si occupa della scelta degli standard internazionali di interoperabilità delle tecnologie digitali per il cinema. Storage centrale Sinonimo di LMS o Sky Library. Switch-off Nel settore cinematografico, passaggio definitivo dalla pellicola analogica al file digitale. Il passaggio sarà graduale, ma più sarà breve il periodo durante il quale coesisteranno i due sistemi, migliori saranno le ricadute economiche. SXRD Acronimo di Silicon X-tal Reflective Display, tecnologia sviluppata dalla Sony e utilizzata nel proiettore cinema digitale SXRD della medesima casa. Teleporto Struttura che contiene le attrezzature ricetrasmittenti (antenna da 3,5 metri, High Power Amplifier da 750W in banda Ku) capaci di incamerare la copia master del DCP che deve essere distribuita a tutti i cinema collegati via satellite. Per garantire la massima affidabilità, il teleporto è dotato di un’interfaccia per il backup totale con altri teleporti. TMS Acronimo di Theater Management System o Sistema di Gestione di Sala. È la postazione del cinema dalla quale si controllano: tutte le sale di proiezione, l’integrità dei file e l’assemblaggio del palinsesto, la proiezione a partire dai file separati dei trailer e dei film contenuti nella Sky Library.
Libro presentato in anteprima nell'ambito della 68째 Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia Casa degli Autori alla "Pagoda" - 9 Settembre 2011 Per ulteriori informazioni: Pentastudio T. +39 0444 543133 - events@pentastudio.it