Quaderni vicentini - Il caso Goldin a Treviso - parte 2

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dei Lavori pubblici; il consolidamento strutturale della Sala dei Teleri dove, tolto il controsoffitto, erano apparse vistose crepe riconducibili al terremoto del 20 maggio 2012 con epicentro in Emilia. Inoltre, secondo quanto pattuito con Linea d’Ombra nel contratto di concessione degli spazi museali per mostre, sono state ritinteggiate le sale espositive; forniti e installati serramenti blindati e porte tagliafuoco; riparati l’impianto di riscaldamento e la centralina antincendio. In vista del riallestimento della Pinacoteca a inizio 2018, viene costituita nel mese di novembre una Commissione incaricata di elaborare il progetto museologico - cioè scegliere con precisi criteri artistici e culturali le opere da esporre - per la riapertura al pubblico della Galleria Permanente del Museo di Santa Caterina. Del gruppo di lavoro fanno parte Andrea Bellieni, Enrica Cozzi, Eugenio Manzato, Sergio Marinelli, insieme al Conservatore dei Musei e al Dirigente Lippi. Mentre con delibera del Consiglio Comunale 43-492 del 30 settembre 2016, si era approvato l’inserimento nell’Elenco degli Incarichi di un professionista per “l’individuazione di soluzioni museografiche per l’esposizione delle raccolte di arte antica (secc. XIII-XIX) nel complesso di Santa Caterina”. Il professionista dovrà lavorare in stretta collaborazione con la commissione per la Galleria Permanente del Museo e stendere il progetto museografico per il riallestimento della Pinacoteca. Riallestimento Pinacoteca e restauro Sala Ipogea saranno il quarto progetto per Santa Caterina. Ma, mentre per il restauro dell’Ipogea è stata già stanziata la somma di 1.200.000, per i costi di lavori e materiali d’arredo necessari al riallestimento della Pinacoteca non sono ancora state fatte cifre.

L’uso improprio del Museo di Santa Caterina L’intera vicenda fin qui riassunta rivela due problemi di fondo per Santa Caterina. Il primo è l’inadeguatezza di un edificio fragile dal punto di vista architettonico, con stanze piccole e direttamente comunicanti, a ospitare eventi che possano richiamare un alto numero di visitatori in tempi molto ridotti. Ma il problema più grave è la trasformazione di una sede museale in uno spazio promiscuo, in cui le esigenze dell’esposizione temporanea mettono in secondo piano la visibilità e la fruibilità delle collezioni permanenti. Gli interventi dell’Amministrazione nel Museo di Santa Caterina, tra 2015 e 2016, hanno marcato un sostanziale cambio di destinazione d’uso di alcune sale, tolte alle attività ordinarie del Museo e destinate a un uso improprio. L’ex-Chiesa di Santa Caterina - corpo integrante del Museo -, che conserva importanti cicli di affreschi tardogotici e ospita gli affreschi staccati delle Storie di Sant’Orsola di Tommaso da Modena, è stata adibita da tempo ad auditorium, destinazione che, oltre a mettere in pericolo l’incolumità di opere tanto fragili e preziose, ha reso difficoltosa la visita del sito in occasione di conferenze, dibattiti, incontri che spesso nulla hanno a che fare con l’ambito culturale del Museo.


Oltre a questo, da qualche tempo l’Amministrazione ha individuato nella ex Chiesa uno spazio per la celebrazione di matrimoni civili, dando la possibilità di svolgere rinfreschi e banchetti nuziali nei due chiostri attigui. La Chiesa e il Chiostro grande hanno spesso ospitato in passato, in orario serale, piccoli concerti di musica classica con un numero di spettatori rispettoso dei limiti di capienza - 350 spettatori è il limite massimo sicurezza consentito -, senza installazioni di strutture invasive e pericolose per il patrimonio monumentale e artistico. Da due anni, invece, la Chiesa ha ospitato eventi che potevano mettere a rischio gli affreschi: nell’agosto del 2015 è stata sede della trasmissione televisiva “Parallelo Italia”; mentre nel 2016, per tre lunedì successivi, 12, 19, 26 settembre, Marco Goldin vi ha tenuto le “lezioni” introduttive alla mostra Storie dell’Impressionismo, superando ogni volta le cinquecento persone in sala, ma con l’autorizzazione volante, direttamente “in loco”, del sindaco Manildo che se ne assumeva la responsabilità - come dai resoconti dei quotidiani Gazzettino e Tribuna del 14, 19 e 28 settembre. Tanto che l’ex assessore alla Cultura Vittorio Zanini si è sentito in dovere di inviare un’allarmata lettera pubblica al Sindaco - “Tribuna” del 7 ottobre - in cui chiede “perché è stato consentito di superare il numero previsto e consentito dai regolamenti del Museo, di spettatori in occasione delle tre serate tenute da Marco Goldin” e “perché si mettono a rischio (…) gli affreschi di Tommaso da Modena”. Gli spazi sono stati concessi anche per il “Pinarello Festival”, dal 29 al 31 ottobre 2016, in occasione del primo fine settimana di apertura della mostra, per celebrare i Vent’anni di Linea d’Ombra. In queste giornate, ideate a curate da Marco Goldin, si sono tenuti alcuni concerti di musica pop, tra cui due di Franco Battiato. Fino ai primi mesi del 2015, un’ampia sala della struttura conventuale, intitolata alla storica dell’arte Clara Rosso Coletti, era adibita a sala conferenze. Durante la mostra “Escher” questo ambiente, privato delle pannellature che preservavano le pareti ma consentivano la visione degli affreschi sopravvissuti, è diventato sede del laboratorio didattico della mostra e, insieme, spogliatoio per il personale di Arthemisia, oltre che sala microfonaggio gruppi. Ora la sala Rosso Coletti è passata a guardaroba per la mostra di Linea d’Ombra, con l’inserimento di arredi specifici e la copertura delle pareti con nuove pannelli che hanno nascosto gli affreschi, contravvenendo così alle prescrizioni della Soprintendenza (16/6/2015). Da mesi non esiste più un guardaroba per i visitatori del Museo. Fino a febbraio 2015 l’aula didattica era in un’ampia sala vicina al chiostro piccolo, attigua all’allora guardaroba e ai bagni, consentendo così alle classi di muoversi agevolmente e in sicurezza. Poi, con la mostra “Escher”, l’attività didattica è stata trasferita nella Sala Ipogea, mentre lo spazio liberato - senza alcun intervento migliorativo - è stato adibito a bookshop per Escher. All’apertura delle mostre di Goldin l’aula didattica è stata nuovamente trasferita, questa volta in una stanza ricavata da un deposito interno al Museo, dal momento che la Sala Ipogea ospita una delle tre mostre di Linea d’Ombra,

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“Da Guttuso a Vedova a Schifano”. Fino all’inizio del 2015, il vano a sinistra della porta d’ingresso al Museo era usato come biglietteria e bookshop. Ora lo spazio è diventato una control room (sala di controllo) e il bookshop del Museo non esiste più. Si possono acquistare solo alcune pubblicazioni, esposte in un piccolo spazio nel bookshop di Linea d’Ombra. La biglietteria del Museo è stata di fatto eliminata e l’emissione dei biglietti per la parte delle collezioni permanenti visibili viene gestita direttamente dal personale di Linea d’Ombra: i visitatori interessati alle sole collezioni museali sono costretti a sottostare alle esigenze della mostra, compresi i tempi di attesa alla cassa. La sezione archeologica, al piano terra, non è stata toccata, ma la fruizione degli spazi è stata resa difficile e disagevole, dal momento che i visitatori della mostra temporanea raggiungono il guardaroba attraversando il settore archeologico.

L’impatto della Grande Mostra sulla realtà museale e cittadina Pur non disponendo, al momento, di tutti i dati per valutare appieno l’impatto dei lavori e degli interventi legati alla mostra di Linea d’Ombra sulla realtà museale cittadina, in base all’esperienza della mostra “Escher” e a quella fatta in oramai cinque mesi di Impressionisti, è possibile tirare le somme individuando alcuni elementi molto preoccupanti. I lavori realizzati nel 2015 e nel 2016 a Santa Caterina hanno comportato la perdita di arredi e pannellature in molti casi ancora in buono stato. Gli interventi alle sale del primo piano, lungo la “manica lunga”, cioè le strutture in cartongesso sovrapposte ai muri, hanno ridotto i volumi delle stanze, ma hanno soprattutto cancellato la realtà architettonica dell’edificio storico, chiudendo anche le aperture verso l’esterno, peraltro alterate dall’inserimento di griglie di sicurezza. Lungo lo scalone seicentesco è stata installata una porta a vetri, con parti in metallo inserite nella muratura, che rompe senza necessità la continuità della scalinata ed è quindi funzionale alla sola “grande mostra”. L’autorizzazione, da parte della Soprintendenza, a inserire alcuni elementi - griglie alle finestre, inferriate con porte automatiche - è legata alla reversibilità degli interventi. Alla fine della mostra sarà quindi necessario riportare in luce le finestre, togliere le inferriate delle porte, ecc.: ma su chi ricadranno i costi dello smantellamento di queste strutture temporanee? Sarà l’Amministrazione a doversi accollare le spese per eliminare le “cose in più” ereditate dalla Grande Mostra e ripristinare secondo le prescrizioni della Soprintendenza? I costi di queste “superfetazioni”, legate alla mostra temporanea, sono stati sostenuti in toto da Goldin o sono gravati anche sull’Amministrazione? Riuscire a districarsi tra le spese dell’uno e dell’altra non sarà semplice, ma a fine mostra per il sindaco sarà un obbligo renderle pubbliche, in nome della tanto sbandierata trasparenza amministrativa.


Tolte le griglie alle finestre del Museo, le inferriate delle porte di scorrimento, i cartongessi che ostruiscono le finestre, alla fine cosa rimarrà delle opere di miglioria del Museo e quindi del “dono” di 640.000 euro di Goldin alla città? Dall’inizio dei lavori, e in particolare dal mese di settembre 2015, la Pinacoteca non è stata più visibile nella sua interezza, restando per periodi anche molto lunghi inaccessibile al pubblico. E lo rimarrà, molto parzialmente visibile o del tutto smobilitata, fino a dicembre 2017, cioè per ben 26 mesi complessivi. Consideriamo anche che a motivo dei lavori la collezione permanente è stata smontata e riallestita più volte, con evidenti rischi per l’integrità delle opere e costi di spostamenti gravati in toto sulle casse comunali. Durante la mostra “Escher”, 31 ottobre - 3 aprile 2016, soltanto una selezione delle opere “più significative” è stata esposta, senza alcun apparente criterio museologico, nella “manica lunga” e negli ambienti adiacenti, in molti casi senza didascalie. Nei mesi successivi alla mostra Escher (aprile-giugno 2016) è stato necessario un nuovo disallestimento per lavorare negli ambienti contigui alla “manica lunga”: alcune opere sono state spostate nelle sale delle ex Scuderie, invisibili al pubblico fino all’estate per problemi organizzativi del Museo, altre sono state collocate nei depositi, altre ancora sono state “esiliate” in alcuni ambienti dell’“area Mezzanini” al terzo piano, stanze molto piccole riattate per l’occasione e precedentemente deposito di vario materiale del museo, visitabili solo dopo laboriose richieste. Le opere nell’area ex Scuderie, piccola selezione ordinata in base a criteri tematici, sono state esposte a luglio ma a fine agosto 2016 sono state tolte, per consentire nuovi lavori in vista della Grande Mostra. Nei mesi di settembre e ottobre 2016 la Pinacoteca è stata chiusa definitivamente e sono rimaste disponibili per il pubblico solo la sezione archeologica, i Mezzanini e la Chiesa con gli affreschi staccati di Tommaso da Modena. Una selezione della permanente, trenta opere, è stata ricollocata nella “manica lunga”, entrando dunque a far parte del percorso espositivo di Linea d’Ombra e visibile solo con il biglietto degli Impressionisti. Il pubblico interessato alle sole collezioni del Museo, oltre alla sezione archeologica, può vedere appena una piccola selezione della permanente, nei Mezzanini. Da maggio a dicembre 2017, per otto mesi la Pinacoteca resterà chiusa al pubblico per il parziale smantellamento di strutture e arredi installati per l’esposizione temporanea, in modo da poter metter mano alla risistemazione delle sale e al riallestimento delle opere della collezione permanente, secondo un nuovo piano museologico e museografico. Gli spazi per le attività specifiche del Museo - aula didattica, bookshop, guardaroba - sono stati ridotti al minimo o eliminati, con evidente disagio per il pubblico interessato alle sole collezioni di Santa Caterina o a svolgere le attività didattico-educative incentrate sul patrimonio cittadino. Il pubblico di “Storie dell’Impressionismo”, con il biglietto della mostra ha potuto vedere trenta tra le più prestigiose opere della collezione museale, senza che Linea d’Ombra abbia corrisposto un solo euro del biglietto al Comune di Treviso.

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Le lamentele dei visitatori

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Anche per la mostra sugli Impressionisti, come per “Escher”, l’alto afflusso di visitatori - in particolare nei fine settimana e nell’ultimo mese di apertura - ha creato disagi non solo all’ingresso e nella biglietteria, inadeguati a sostenere l’impatto di centinaia di visitatori in tempi molto ristretti, ma anche le sale sono risultate troppo anguste per una visione adeguata delle opere, con varie lamentele riportate apertamente sui social. Alcuni importanti ambienti espositivi, come la Chiesa e la sezione archeologica, sono in questi mesi sede sia delle attività ordinarie del Museo che corridoi di passaggio per i visitatori della mostra. Da metà al 27 ottobre 2016, per consentire l’allestimento della mostra, il Museo di Santa Caterina è stato chiuso al pubblico e sono state interrotte tutte le attività: di fatto un’interruzione di servizio di dieci giorni per consentire a un privato di “movimentare” le opere della sua mostra. La volontà di trasformare Santa Caterina in uno spazio per grandi esposizioni temporanee, mettendo in secondo piano la primaria funzione di Museo Civico, ha avuto importanti ripercussioni anche sulle altre sedi museali cittadine, in particolare sul nuovo Bailo. A più riprese, come si è accennato, l’Amministrazione ha sottolineato la necessità di trovare finanziamenti per completare il restauro della seconda parte di questo Museo, anche attraverso un crowdfunding di cui però non ha mai fornito dettagli e modalità operative. Come già ricordato, si sarebbe tuttavia potuto ottenere parte dei fondi proprio attraverso il bando regionale DGR Veneto 2047 del 3/11/2013, con buone possibilità di riuscita presentando il progetto di completamento del Bailo, il cui primo stralcio aveva già goduto di un finanziamento europeo.

Il ruolo ondivago della Sovrintendenza Se ci si chiede come tutto ciò sia stato possibile e perché non ci siano stati interventi risoluti da parte della Soprintendenza - autorità e arbitro in materia - nello sbrogliare l’imbarazzante groviglio “Museo di Santa Caterina”, basta scorrere le dichiarazioni raccolte dalla giornalista Veronica Rodenigo per Il giornale dell’arte on line, del 3 ottobre 2016, da cui appare chiaro il ruolo ondivago della Soprintendenza, che si fa scavalcare dall’incalzare dei lavori e detta prescrizioni a futura memoria: non si fa, ma, se ormai si è fatto, “tutto è reversibile al 100%”. Gli architetti Andrea Alberti, dirigente, e Giuseppe Rallo, funzionario, della Soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Venezia e le province di Belluno, Padova e Treviso, Luca Maioli, storico dell’arte della stessa Soprintendenza, interpellati su Santa Caterina da Rodenigo, rilasciano dichiarazioni che non chiedono commenti. Luca Maioli: “Non è stato consegnato un piano museologico definitivo bensì parziale”, e “a mostre concluse, il museo sarà oggetto di riallestimento se-


Casa dei Carraresi, Treviso. A lungo fu anche casa di Marco Goldin, finché durò l’idillio con il padrone di Fondazione Cassamarca, De Poli.

condo un piano museologico definitivo per il quale verrà istituita un’apposita commissione scientifica”. Ribadiscono Rallo e Alberti: “(…) l’intervento attuale porta migliorie che a mostre concluse potranno essere o confermate o reinterpretate; (…) tutte le operazioni saranno reversibili al 100%”. Le grate alle finestre e le inferriate dei singoli ingressi “sono state approvate come soluzione temporanea”. Anche Maioli si appella alla “temporaneità” pur ammettendo le criticità. “Un piano organico lo abbiamo richiesto. Teniamo la situazione sotto controllo ma l’iter autorizzativo non mette a repentaglio la tutela delle opere. Lo smembramento della collezione ha carattere di temporaneità. Non si tratta di una resa da parte della Soprintendenza”. Mentre Ugo Soragni, a capo della Direzione generale Musei del Mibact, si smarca dicendo di non disporre “alla luce del mio incarico attuale, di notizie aggiornate sulla vicenda che spetta comunque alle Soprintendenze territoriali competenti”. È l’eterno 8 settembre delle autorità di controllo italiane. Alla fine, facendo un riepilogo delle spese sostenute e impegnate dai vari attori al Museo di Santa Margherita nelle delibere di Giunta dal 2014 al 2016, arriviamo all’ingombrante somma di 3.845.000 euro, dei quali 3.205.000 dal Comune (2.925.000 da casse del Comune di Treviso, 275.000 da Art Bonus) e 640.000 da Linea d’Ombra - pur se per Linea d’Ombra non sono a tutt’oggi stati forniti i dati dettagliati di spesa, riferiti ai lavori autonomamente sostenuti e pagati all’interno del Museo di Santa Caterina. E manca ancora all’appello l’impegno di spesa per il riallestimento museografico della Pinacoteca.

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Il tortuoso e incerto percorso di restauri, adeguamenti, interventi provvisori La realtà dei Musei di Treviso, alla luce del tortuoso e incerto percorso di restauri e adeguamenti, ci obbliga a qualche riflessione sulle politiche culturali dell’Amministrazione comunale di Treviso. Nei confronti del sindaco, e della sua Giunta, grandi erano state le aspettative e le speranze sul tema della cultura, dopo il ventennio di governo della Lega, che, se da una parte era riuscita a ottenere il finanziamento per il primo stralcio del restauro del Museo Bailo - grazie all’allora Assessore Vittorio Zanini di Forza Italia - dall’altra, però, aveva compiuto la scelta fortemente penalizzante per i Musei Civici di sopprimere la figura del Direttore e di accorpare musei e biblioteche in un unico settore a guida di un dirigente comunale, decisione fatale che preparava il terreno ai futuri disastri. Un sintetico bilancio di cosa è stato fatto fino a oggi nel settore dei Musei fa capire bene le scelte prioritarie della nuova Amministrazione. Al Museo Bailo, superando gli ostacoli burocratico-amministrativi di partenza - ricorsi al TAR su assegnazione appalto lavori -, viene finito il primo stralcio del restauro e inaugurato il nuovo allestimento; rimane il secondo stralcio per completare il restauro, un proposito che però si è perso nel rumore di fondo delle grandi mostre e non se ne parla più. Museo Santa Caterina: a dicembre 2017 verranno completati i lavori di risistemazione della Pinacoteca e conclusi ristrutturazione e adeguamento agli “standard espositivi internazionali” nella Sala Ipogea, per farne una possibile sede di “grandi mostre”. Ca’ da Noal rimane a tutt’oggi inagibile. Risulta evidente che l’obiettivo culturale strategico, perseguito con ostinata volontà politica in questi tre anni e mezzo è stato quello di inseguire il “grande evento”, la Grande Mostra, forzando i limiti di un Museo, Santa Caterina, palesemente inadeguato a questo scopo. Un ex-convento dalle strutture fragili, dotato di spazi pur affascinanti, ma spesso angusti, adatto, oltre che alle sue collezioni permanenti, a ospitare piccole e preziose mostre. In altre parole, adatto a visitatori che chiedono tempi larghi e calmi, ben altro dal piglio urgente e frettoloso imposto alle masse delle Grandi Mostre.

La scelta, i motivi, i costi Questa scelta culturale, tuttavia, ha vincolato per molti anni a venire, insieme a ingenti risorse economiche, anche le più importanti decisioni di politica culturale per la città. Su questa scelta hanno pesato ragioni squisitamente politiche che poco, però, hanno a che fare con una progettualità culturale degna di questo nome, ben definita e trasparente in linee d’indirizzo, obiettivi e prospettive sul futuro dei Musei Civici. Si è badato invece a marcare il distacco da un lascito prestigioso - il re-


stauro del Bailo - maturato, però, nel corso del lungo ventennio di governo gentiliniano-leghista. Si rendeva necessario bilanciare il Bailo rinnovato con l’inaugurazione di una “grande mostra”, da celebrare nell’autunno 2015, proprio in concomitanza con la riapertura del Museo rimesso a nuovo. Oltre che assecondare la pressione dei commercianti del centro di Treviso, desiderosi di rinverdire i fasti goldiniani a Ca’ dei Carraresi. Su questo sfondo entrano in scena le Grandi Mostre e il loro massimo officiante, Goldin, imprenditore dell’arte, dotato di non comuni capacità organizzative, abile nell’accontentare e mettere d’accordo commercianti e politici, suscitando, con robusti investimenti, clamori mediatici capaci di “emozionare” l’opinione pubblica e nascondere la mancanza di progettualità della Giunta. Non si poteva usare Ca’ dei Carraresi di Fondazione Cassamarca, sede storica a Treviso per questo genere di esposizioni temporanee, a causa di vecchie ruggini tra il Presidente di Fondazione Dino De Poli e il curatore Goldin - nate in occasione dell’ultima mostra di Linea d’Ombra a Treviso, tra ottobre 2003 e marzo 2004, L’oro e l’azzurro. Da Cezanne a Bonnard - e allora si individua come sede alternativa l’incolpevole Santa Caterina. L’Amministrazione comunale, contro ogni buon senso, mette mano al progetto più improbabile e costoso, dando il via, nei due anni a seguire, a una vera e propria sarabanda di lavori e delibere, che vedrà avvicendarsi curatori di mostre - da Goldin ad Arthemisia, poi di nuovo Goldin - e fiorire diversi progetti di adeguamento strutturale - ben tre - con conseguenti disallestimenti e riallestimenti, più o meno improvvisati, della Pinacoteca. Un lavorio inesausto e dal futuro incerto, degno della Fabbrica di san Pietro.

Si potevano fare scelte diverse? Si potevano fare scelte diverse per mettere davvero “al centro” la valorizzazione delle realtà museale di Treviso e gettare solide basi di un serio sistema museale. Per cominciare si poteva puntare su un diverso utilizzo delle risorse. Dei 3.205.000 euro finora messi a bilancio, e in parte spesi, dal Comune per Santa Caterina trovano effettiva e pressante motivazione 1.600.000 euro (di cui 800.000 euro per messa in sicurezza urgente di travi e tetti). Così il complesso di Santa Caterina avrebbe avuto una ridefinizione e sistemazione decorosa, a misura delle esigenze della città. E quei soldi sarebbero bastati anche per il rilancio e la promozione costante - depliant, manifesti, sito, social - delle attività museali, a vantaggio di cittadini e turisti. La Sala Ipogea avrebbe potuto comunque aspettare una tornata successiva, sacrificata per ora a necessità più urgenti. I fondi rimanenti avrebbero avuto miglior investitimento sul secondo stralcio di restauro del Bailo. A questi si sarebbero probabilmente aggiunti anche altri soldi, quelli del bando regionale del 3 novembre 2013, per il quale il progetto di completamento del Bailo - invece che di Santa Caterina - vantava ottime credenziali di partenza. Il primo stralcio del progetto era infatti già stato approvato e finanziato con

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2.500.000 euro: per concludere i lavori servono altri 2.500.000 euro. Completando il restauro del Museo Bailo, ci sarebbero stati anche i tanto agognati spazi per mostre temporanee, quelli sì adeguati agli standard internazionali e adatti a ospitare esposizioni di alto livello. Il Museo completato poteva essere il cardine per la ridefinizione dell’intero sistema museale cittadino. Era e, ancor più oggi, è necessario recuperare il ruolo e la figura del direttore dei Musei nella pianta organica dei dipendenti del Comune, per colmare l’attuale grave lacuna di competenze tecnico-scientifiche e riprendere in mano una sorvegliata gestione dei Musei Civici. Mai come in questi mesi si è fatta sentire la mancanza di una figura istituzionale investita dell’autorità capace di arginare l’ingombrante invadenza di politici e privati.

Dilazioni, deroghe, concessioni della discutibile Sovrintendenza Non bisogna dimenticare che il travagliato percorso dei musei trevigiani, soprattutto per quanto riguarda il complesso di Santa Caterina, è stato accompagnato e reso possibile anche dall’atteggiamento accondiscendente della Soprintendenza dei Beni Architettonici e Paesaggistici del Veneto: troppa disponibilità a concedere dilazioni e deroghe su lavori e allestimenti, sia pure “temporanei”, rispetto a prescrizioni dichiarate “improrogabili”, almeno su carta. Tanta, troppa “pazienza” a piegarsi alle esigenze e ai tempi pasticciati di un’Amministrazione guidata da politici impazienti e ispirata da oculati curatori-organizzatori privati. Nel frattempo la storia avvincente delle Grandi Mostre non finisce a Treviso il primo maggio 2017: continua, e la prossima puntata sarà nuovamente ambientata proprio a Vicenza, dal 7 ottobre 2017, per sei mesi, intitolata “Van Gogh. Tra il grano e il cielo”, con un significativo lapsus, involontario, che avrebbe fatto sorridere Freud, che pur amava molto l’arte. Comunque un ritorno ai fasti di un rassicurante e recente passato, grazie alla nobile e munifica ospitalità dell’assessore alla Cultura Bulgarini D’Elci, che prosaicamente scalda i motori per le elezioni comunali di primavera 2018. E allora via dall’ingrata e rancorosa Treviso. Anche se, mai dire mai… a qualcuno servirà senz’altro un aiuto, per le elezioni comunali a Treviso nel 2018. A chi? Lega e centrodestra, centrosinistra? Non importa, Franza o Spagna… Quando si dice la fortuna.


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