attualità
Il dilatare dei costi dell’opera e i rallentamenti nella realizzazione las ................................................................................
Il groviglio economico
della Torino-Lione
Secondo alcuni epigoni dell’eversione di estrema sinistra, uno Stato debole e corrotto non dovrebbe riformare se stesso, bensì suicidarsi: una visione alquanto singolare, oltreché astratta La linea Torino-Lione non ha niente di eccezionale rispetto a tutte le altre ad alta velocità. Il 40% dell’investimento iniziale doveva essere a carico dello Stato italiano, a fondo perduto. Il restante 60% doveva essere reperito tra i privati. Nessuno, tuttavia, volle investire sull’opera, poiché mancava qualsiasi garanzia di recupero dell’investimento. Si cercò, pertanto, di agevolare il settore privato, inserendo come clauola di contratto la garanzia del Tesoro, sia sulla restituzione, sia sugli interessi di chi avrebbe affiancato la ‘Tav’ - società controllata dalle Ferrovie dello Stato – nella successiva gestione dell’opera. La composizione della ‘Tav’ fu dunque completata con la partecipazione di alcune banche, quasi tutte d’interesse pubblico. Questo ‘peccato originale’ è il solo e unico vero problema della ‘Tav’, poiché la sua composizione societaria ha finito col diventare un ‘groviglio’ di gruppi d’interesse che hanno determinato il dilatare dei costi dell’opera, rallentandone la realizzazione. Si tratta di società che hanno sempre svolto funzioni intermediarie, che
hanno consentito di aggirare le regole europee nello scegliere i ‘general contractors’ o le ditte di progettazione, quelle di consulenza e quelle di costruzione, al di fuori di qualsiasi meccanismo competitivo. Questo è il vero ‘nodo’ della questione, che ha sempre lasciato perplessi anche molti di coloro che, in linea di principio, sono favorevoli alla costruzione della linea. Ma si sa: erano gli anni della prima Repubblica. E situazioni come quella dell’alta velocità servivano anche a svolgere un ruolo di ‘pozzo senza fondo’ per la ripartizione di tangenti, incarichi e relativi stipendi. Tuttavia, la Torino-Lione - è bene ricordarlo – è anche una linea autorizzata dal governo e dal parlamento con un decreto legge, successivamente convertito. Il progetto ha superato, in passato, sia il vaglio del Consiglio di Stato, sia quello dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato. La restituzione ritardata dei prestiti privati risulta, inoltre, inserita attraverso una serie di dispositivi di legge. E i sindacati confederali sono sempre stati favorevoli alla costruzione
dell’opera, poiché essa potrebbe incentivare la creazione di nuovi posti di lavoro sia per via diretta, sia indiretta, cioè attraverso l’indotto: studi professionali, società di progettazione, nuove società miste collocate nel settore dei lavori pubblici. Il continuo richiamo ai ‘poteri forti’, a Partiti politici o alle vecchie questioni che videro coinvolti i vari Necci e Pacini Battaglia sono, in realtà, relative alla gestione complessiva della società incaricata di costruire le nuove linee ad alta velocità in tutto il Paese. Ma chi è contrario alla costruzione della Torino-Lione ‘sposta’ il dato delle inchieste di quel periodo totalmente sui lavori in Val di Susa. C’è chi sottolinea che le varie ‘società di comodo’, create in seguito alle inchieste di Tangentopoli, siano servite ai sindacati confederali al fine di ‘piazzare’ alcuni propri uomini in ‘posizioni-chiave’. La vicenda di Sergio D’Antoni ne rappresenta un classico esempio: 100 milioni di lire consegnati alla Cisl, da lui guidata in quel periodo. Ma Sergio D’Antoni non ricopriva alcuna carica pubblica. E Antonio Di Pietro lo con-
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