Periodico italiano magazine n. 57

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giudiziale di chi si ritiene portavoce del territorio” ...............................................................................................................

Pietro Vereni:

“La ‘rigenerazione’ dei quartieri dev’essere differenziata” Il docente associato di antropologia culturale dell’Università di Tor Vergata, veneziano d’origine ma romano d’adozione, è stato uno dei protagonisti per la riqualificazione di Ex Fienile, nel cuore di Tor Bella Monaca, facendolo diventare uno spazio da restituire al quartiere e all’intera comunità capitolina Pietro Vereni, quali sono gli effetti di lungo corso del fallimento dell’economia turistica legata alla vivibilità e al decoro dei quartieri nelle grandi città? “Sono effetti non sostenibili, perché si ‘mangiano’ il capitale invece di farlo fruttare. In questo caso specifico, il capitale dev’essere tradotto anche in senso energetico, spaziale e sociale. Il cuore dello sviluppo dell’economia turistica nasce intorno a un bene potenzialmente attraente: un panorama, una statua, una chiesa, un ballo tradizionale, una festa popolare. Si inizia a pensare che valga la pena investirci per trarne ricchezza, facendo venire a goderne persone che, però, non ne sono le originarie destinatarie. Da veneziano, sono cresciuto dentro questo modello: la Serenissima è un depositato di Storia, una lunghissima consuetudine che si chiama città. Solo in un secondo momento si trasforma in ‘oggetto di investimento’ semplicemente mettendola in mostra, rendendola disponibile per altri. Non considerando che l’attrattività del bene viene

consumata dal suo stesso essere visto, nel momento in cui si decide che Trastevere è un quartiere ‘caratteristico’, i vecchi artigiani devono uscirne, perché conviene trasformare la bottega in un ‘wine bar’, in un ‘sushi bar’, o in un negozio di articoli di firma. Sono questi gli esercizi commerciali che soddisfano l’esigenza di estrarre ricchezza dal turista. Quanto più il bene è originariamente attraente, tanto più si consuma la sua spendibilità. Nel lungo periodo, tutte le monoculture sono destinate a fallire, che sia un grande centro come Venezia, un intero Paese come l’Italia, o addirittura un continente come l’Africa. Se non c’è ‘differenziazione’ di investimenti, il terziario diventa solo un palcoscenico. E qualunque sia la ricchezza di partenza non potrà che essere dilapidata”. In che modo si potrebbe instaurare un argine tra rigenerazione urbana e speculazione edilizia? “Con una definizione meno politica e più tecnica di rigenerazione: gli architetti non parlano di rigenerazione urbana con la

stessa leggerezza con cui spesso viene maneggiata dagli attori politici. Mi sembra un ‘trucco’ della politica, dettato, forse, anche dalla poca conoscenza da parte di settori dell’amministrazione pubblica, non specializzata negli spazi urbani. Inoltre, è necessario riformulare anche la domanda: non tanto di ‘quale rigenerazione’ si sta parlando, bensì ‘di chi sia il termine della rigenerazione’. Fermandosi al primo quesito, sembra si parli di un corpo che presuntivamente viene dato per morto, proponendo delle ricette per reiniettarne la vita. Dunque, dobbiamo chiederci quale sia il ‘corpo’ che

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