Swing

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Swing Caroline Peyron Black Napkin

Maggio 2018 Chiesa di San Giuseppe delle Scalze a Pontecorvo, Napoli


Black Napkin & Peyron: swing a 4 mani Marco De Gemmis

Quasi non conoscendosi sul piano personale e con poco più che una “impressione” di reciproca stima e simpatia, «durante passeggiate flâneuses glaneuses per strade e giardini» Black Napkin & Peyron decidono di procurarsi dei grandi quaderni quadrati e riempirli: «Su uno intervieni tu e sull’altro io, e poi ce li scambiamo». Questo accadrà 4 volte: per 8 album gonfiati dal collage, da figure e parole a volte di loro conio ma più spesso pescate nel mare agitatissimo e di frequente inquinato dell’iconosfera o in quello un po’ meno esuberante dello scritto e del detto. It Don't Mean a Thing (If It Ain't Got That Swing): «Non significa nulla se non ha quello swing / Non significa niente, tutto quello che devi fare è swing


/ Non fa differenza se è dolce o caldo / Basta dare al ritmo tutto quello che hai / Non significa nulla se non ha quello swing». Se l’Autrice e l’Autore, suggestionati, al nascere di un’impresa seria come un gioco, anche dal celebre pezzo di Duke Ellington, abbiano swing, se il loro incontro abbia avuto e prodotto swing, questo lo giudicherà l’osservatore. Sono stati swinging i Due? Il loro ping pong di immagini e parole “significa”? Ha ritmo trascina comunica sorprende come un’inattesa sventola ‒ swing, per i pugili ‒ o come suoni efficaci? L’opera a 4 mani racchiusa nei quaderni lavorati 2 per volta dall’ottobre 2015 al marzo 2018 non aveva alcun tema deciso a tavolino, né obiettivo prestabilito se non quello di verificare strada facendo cosa l’assenza di progetto avrebbe sortito, e neppure si poneva limiti quanto a materiali e tecniche: swing, del resto, vuol dire pure “libertà d’azione, libero corso”: e allora, ecco disegno e pittura, qualche frammento vegetale, fotografie scattate da loro stessi o da familiari oppure da sconosciuti a sconosciuti, e cartoline, e centinaia di ritagli da libri, giornali i più vari, carte per rilegare o regalare e ogni sorta di stampati. E la scrittura, le parole: Die Welt in Bildern, dice una grande copertina che copre per intero quella di uno degli album, dove un frammento di testo è incollato per chiederci, con Brancusi, «Perché scrivere? Perché non limitarsi a far vedere delle fotografie?»: che non è, evidentemente, il pensiero dell’Autrice e dell’Autore, che non abdicano allo strapotere delle immagini ma anzi le scelgono con oculatezza e poi, accostandole tra impertinenza e pertinenza associativa nelle pagine, le “discutono” per noi: mostrando di voler governare criticamente la voracità tipica del collezionismo patologico e della compulsione scopica. In 2 pagine vis-à-vis di un quaderno 2 porte di carta, ciascuna a 2 ante, possono aprirsi per svelare una 2 nudi di marmo antichi, l’altra 2 nudi in carne e ossa di qualche decennio fa: negli album tutti i tempi della storia sono simultanei, ma anche l’indubbio e il dubbio gusto vanno a braccetto, l’alto e il basso si alternano, ogni tradizionale gerarchia si annulla. Porte bustine ripiegature, e affiancamenti sovrapposizioni incastri: più o meno discreti o invadenti, complici o con ironia censuranti il già fatto dall’altra o dall’altro, spiazzanti (i Due spesso si saranno detti «questo proprio non me l’aspettavo…»), criptici o trasparenti, oppure liberi quasi quanto in una “partita” di Cadavre exquis, accalcati nello spazio dei fogli o esaltati dal vuoto intorno, e ogni tanto suggeriti dal puro significante: la regola era “nessuna regola”, scansando pure la minaccia delle proprie “resistenze” inevitabilmente in agguato, che all’idea e alla costruzione avrebbero tolto smalto e swing.


Chi ne conosca gli autonomi diversissimi percorsi e moventi artistici può anche scoprire, leggendo nella stratigrafia degli interventi, quale dei Due abbia per primo messo mano a una pagina o a un quaderno e quale all’altro: perché ne riconoscerà i diversi modi: l’inchiostro e i colori e il cucire e i mosaici di carta e i graffi dorati sulle foto manipolate e la grafia delle parole manoscritte dell’Autrice; e il variegato esprimersi dell’Autore, che non pronamente ma molto “dall’interno” fa i conti con un’epoca che per dire si affida sempre più all’immagine fotografica o filmata e che gli suggerisce anche di preferire, quando occorra, alla scrittura di sua mano la parola stampata. Ma qui le cifre individuali sono cosa di relativo interesse: che risiede, anzi, proprio nel vicendevole modificarsi, nel combinarsi di linguaggi e tecniche espressive, nei nessi strettissimi o laschi, nei cortocircuiti felici o nei pur possibili fallimenti (perché «alcuni accostamenti germogliano, altri no») prodotti dal botta-e-risposta, e nel forse progressivo orientarsi del dialogo, percorso da leitmotive figurali e testuali che esplicitano le fissazioni e i temi personali, costretti, qualora già non lo fossero, a farsi condivisi. E l’invasiva nudità dei corpi è solo una delle tracce fra le tante da seguire: quella dell’ossessione che più affiora, variamente declinata: «l’eros è naturalmente presente dall’inizio: esplicito, provocatorio, discreto, sublimato, ironico, amoroso, e dove non lo si aspetta», ci dicono, e non di rado mescolato al sacro. Gli 8 album invitano a sbrogliare la matassa delle associazioni più che a una serena esperienza percettiva: quella “interattività” che è la materia principale con cui è costruito il gioco si confermerà inevitabilmente nel variabilissimo impegno degli osservatori, negli individuali orientamenti dei loro sguardi, nelle non univoche interpretazioni: a ciascuno di noi la sua lettura, l’opera è aperta, sono dinamiche le cose e le immagini che contiene perché parlano fra loro toccandosi delicatamente o strattonandosi, così che una è costretta da un’altra e un’altra ancora a smuovere la propria fissità e insieme diventano poli di una dialettica imprevista. Al centro del lavoro, che è pure l’intrecciarsi e condizionarsi di 2 autoritratti interiori dai quali di tanto in tanto, con parsimonia, si affacciano anche il volto (e qualche sogno trascritto) dell’Autrice (al passato più che al presente) e quello dell’Autore (al presente), ci sono le donne e gli uomini del pensiero, della storia, del mito, di tutte le arti che possiamo ascoltare leggere guardare, e chi neppure si conosce per nome: non importa se dipinti o scolpiti o filmati o evocanti parole o fotografati. E anche i luoghi sono quasi sempre quelli frequentatissimi, scelti per lo più tra le mete nel frattempo


visitate in vacanza o per lavoro: città traboccanti arte, o il mare bello della Grecia, raggiungibilissimo sogno collettivo. Ma donne e uomini, prelevati dallo straboccante magazzino delle immagini e finiti nei quaderni, qui sono pure o prima di tutto oggetti cartacei, già essi feticci che a loro volta raffigurano e “trasportano” altri feticci personali dei Due: cose, corpi, corpi/cose, dettagli carichi di messaggi emotivi e simbolici, più volte replicati ad assecondare una coazione a ripetere e messi come fili rossi a organizzare in qualche modo il materiale dando non poca coerenza e compattezza a qualcosa che con ogni evidenza, a dispetto della mancanza di un’intenzione programmatica, è divenuto ben altro che un magma indifferenziato. Quanto ai personaggi che vi si incontrano, i quaderni non sono certo una bombardante rassegna di icone popolari, se affianco a esse, che pure non difettano, puoi trovare ogni sorta di sofisticati o eccelsi campioni spesso fuori moda e tutt’altro che pop: e come per le antologie può divertire la verifica delle inclusioni ed esclusioni («Ma come, X non compare mai?», mi sono chiesto più di una volta, e, mentre me lo dicevo, semmai X appariva) di nomi appartenuti a ogni campo del fare e del sapere, tramite i quali Black Napkin & Peyron si lanciano le loro provocazioni.


Inter/view di Raffaella Bosso

Raffaella Bosso. Partiamo da una definizione del genere a cui la vostra opera può essere riferita: zibaldone, canzoniere o romanzo? Immagini, oggetti e testi sono disposti in modo apparentemente rapsodico, e l'ordine cronologico dei quaderni si ricava solo dai bigliettini "volanti" inseriti tra le loro pagine; eppure mi pare che si possa cogliere una trama, un'evoluzione interna, uno sviluppo del dialogo tra le vostre due voci. Black Napkin. È importante che i quaderni vengano presentati in mostra nel loro ordine progressivo, cronologico; però la mia preoccupazione principale è sempre stata quella di non creare una narrazione, di spezzare i meccanismi del racconto. Mi preoccupa l'idea di dare un senso rassicurante


alle cose e penso che il romanzo sia un genere rassicurante, a prescindere dagli esiti delle vicende raccontate. Può darsi d'altra parte che nella sequenza dei quaderni si possa cogliere uno sviluppo; rivedendo a posteriori tutto il nostro lavoro ci siamo accorti che emergono delle costanti, anche se ci siamo dati piena libertà di azione. Caroline Peyron. Quando abbiamo iniziato a lavorare l'idea di fondo era quella di non imporci temi e di garantirci a vicenda una piena libertà di intervento sul lavoro altrui. Se si può cogliere un racconto, questo è il racconto di una relazione: sono rare le pagine in cui l'uno non sia intervenuto sulle scelte dell'altra e viceversa. Le due opere di grande formato che presenteremo, una mia e l'altra di Black Napkin, in qualche modo sono state generate dai quaderni e non a caso rappresentano Afrodite e Hermes, un elemento femminile e uno maschile, i nostri alter ego. R. Un altro genere a cui il vostro lavoro può essere accostato è quello della tenzone poetica, uno scambio fitto e spesso molto provocatorio che obbedisce a criteri formali comuni. Nei quaderni si sente una forte tensione dialettica tra le due voci, con accordi e attriti, domande e inviti reciproci; i due personaggi-narratori appaiono decisamente polarizzati. C. Questo è vero, però io sento di essere cambiata nel corso di questo lavoro. All'inizio volevo dare un po' di senso a quello che facevamo, cercavo di rispondere alle provocazioni di Black Napkin. Poi ci sono state delle cose di lui che mi hanno affascinata e di cui mi sono in un certo senso appropriata, e mi sono posta sempre meno sulla difensiva: non avevo bisogno di presentarmi, di mostrare quanto fossi bella, intelligente, colta eccetera. Quando abbiamo cominciato a lavorare ci conoscevamo davvero poco, ma dopo le lunghe passeggiate iniziali che abbiamo fatto insieme c'è stato un momento in cui mi sono sentita tranquilla e ho osato di più. BN. È chiaro che Caroline ed io usiamo linguaggi molto differenti, però a un certo punto ci siamo trovati tanto immersi nel nostro lavoro comune da avere difficoltà, sfogliando i quaderni, a distinguere gli interventi dell'uno da quelli dell'altra. C. Talvolta è anche successo che, lavorando ciascuno su un quaderno, arrivavamo alla stessa immagine o alla stessa concatenazione di immagini, come se prendessimo la stessa strada indipendentemente. Io non avevo mai lavorato a quattro mani con qualcuno, entrare nella testa di un uomo è un'esperienza; con una donna ci sarebbe stato il rischio del rispecchiamento, che sarebbe stato noioso. Noi apparteniamo a due sessi, due culture, due generazioni diversi, e questo mi è piaciuto molto. Perciò


nei quaderni io definisco il nostro gioco come il movimento di due pezzi che non combaciano del tutto: se si fossero incastrati perfettamente il gioco avrebbe perso di interesse. R. L'intervento sul lavoro dell'altro comporta anche la cancellazione o la copertura delle immagini. C. Coprire le immagini ha significato anche sottrarre alla vista una parte del nostro lavoro. La cancellazione non era mai un gesto aggressivo, non abbiamo mai strappato niente, ma abbiamo velato, rivestito. Era un nascondere aggiungendo. R. In alcuni casi si ha la sensazione che le immagini coperte siano perfino messe in maggiore evidenza. Il lettore/osservatore è invitato a compiere dei gesti precisi, in una sorta di svelamento rituale. BN. Una delle cose che più mi interessano è che si crei un rapporto attivo con coloro che sfoglieranno i quaderni. C. I nostri lettori ripeteranno i gesti che abbiamo fatto ogni volta che ci siamo scambiati i quaderni, andando alla scoperta degli interventi dell'altro. Il momento dello scambio e dell'apertura dei quaderni è sempre stato per noi un rituale fondamentale. R. Una delle differenze più evidenti tra voi due sta nel fatto che Caroline si mostra, Black Napkin per lo più si sottrae allo sguardo. Caroline lascia una scia di indizi sulla sua persona: la grafia, una lingua molto personale in bilico tra Italiano e Francese, la sua storia, la sua famiglia, perfino il racconto dei suoi sogni. BN. D'altra parte lei si presenta come Caroline Peyron, io come Black Napkin, non uso nemmeno il mio nome. C. Abbastanza rapidamente ho capito che le immagini dei miei familiari, per me così intime, appena finivano nelle mani di Black Napkin diventavano foto di persone qualsiasi. Questa è stata una sensazione liberatoria e bella. D'altra parte molte azioni di Black Napkin sono diventate per me segno di una grande intimità: dopo tutto questo lavoro non posso dire che lui si nasconda. Io mi sono esposta attraverso la mia storia, ma lui si è molto esposto mettendo a nudo le sue manie, le sue ossessioni; riesco a riconoscerlo nelle immagini apparentemente anonime che impiega, anche se l'unica volta che ha utilizzato la scrittura mi ha chiesto di ricoprire le parole con la mia grafia perché la sua non gli piace. BN. Perché nella mia scrittura ci sono io.


C. Ma non hai l'ingenuità di pensare che con il tuo lavoro ti nascondi o ti cancelli: ti mostri. BN. È soltanto una forma di narcisismo diversa. C. Black Napkin ha dovuto fare i conti con degli aspetti molto intimi della mia persona, e io con i suoi. Questo fare i conti con i fantasmi dell'altro ti spinge a parlare di te. R. Se doveste scegliere una terza persona (vivente o no) che partecipi allo scambio dei quaderni chi invitereste? C. In tre il gioco sarebbe complicato: direi quattro piuttosto, ma non so chi inviterei. Il fatto di non sentirmi mai soffocata mi ha permesso di lavorare con Black Napkin: lui mantiene così tanto le distanze che ti permette di sentirti libera di agire. E poi non c'era rivalità. Se penso a un altro artista sento che ci sarebbe rivalità. BN. Mi viene in mente il verso "S'io fossi balbuziente come Dante o Petrarca" di Majakovskij. Proprio perché io impiego le immagini e sono tanto parco con le parole mi piacerebbe che un poeta "visivo" come Dante scambiasse i quaderni con noi. C. In fondo questi "terzi personaggi" li abbiamo evocati nei quaderni attraverso le citazioni e le allusioni che accumuliamo. R. Caroline, nei tuoi interventi si riconoscono due poli: da un lato i collagemosaici, che danno grande risalto ai colori, in generale impiegando diverse sfumature di una stessa tinta; dall'altro la china densa e nera con cui ricopri talvolta gran parte della pagina. Non a caso in uno dei sogni che racconti ti trovi in una stanza con delle ciotole di vernice colorata e, al centro, una piena di vernice nera. C. Negli ultimi tempi io ero dilaniata tra l'impiego del colore e il disegno in bianco e nero, che rappresentano le due facce della mia formazione: una ascetica e protestante, l'altra esuberante e barocca. Per molto tempo non sono riuscita a dipingere, poi l'espediente dei collage di carta colorata mi ha permesso di tornare a usare il colore. R. Black Napkin, tu usi la parola quasi esclusivamente attraverso frasi ritagliate da libri e riviste, come se fossi alla continua ricerca di parole utilizzate da altri che tu possa fare proprie. BN. Con le parole ritagliate faccio la stessa operazione che metto in pratica con le immagini. Io penso che sia stato già detto abbastanza e prodotto abbastanza e che il rischio è che tutte queste cose vengano dimenticate. Si


tratta di un lavoro di tipo archeologico, come se si recuperassero frammenti di testi e discorsi nello stesso modo in cui in uno scavo archeologico si recuperano materiali eterogenei, apparentemente incoerenti e privi di senso, emersi quasi per caso. Lo stesso accade con le parole e le immagini. È un modo di salvarle da una perdita complessiva. R. A me questo sistema faceva un po' pensare alla tecnica mantica della Sibilla, con le sorti scritte sulle foglie che venivano sparpagliate, pescate a caso e poi investite di un significato a seconda di chi le estraeva. BN. Questo è un accostamento possibile. Mi capita di ritagliare le frasi che più mi interessano, di conservarle e poi di ripescarle per associarle alle immagini. Talvolta anche solo una singola parola, anche presa da giornali stranieri. R. A volte l'associazione tra parola e immagine è tanto calzante che sembra che tu disponga di un archivio sterminato di ritagli. C. Io penso che tante altre parole potrebbero essere azzeccate quanto quelle che Black Napkin sceglie. Il suo modo di dare un senso è quello di connettere casualmente due elementi: due elementi che vengono connessi tra loro creano comunque un senso. In questo anche consiste il nostro lavoro: chi può dire se le cose che abbiamo fatto hanno un significato o una coerenza? Il solo fatto di metterle in una cornice con una intenzione, su un quadro, questo dà senso. BN. Queste associazioni rivelano molto di chi le fa. Questo per me vuol dire uscire allo scoperto e dare vita a un'operazione originale. Il caso ha voluto che attraverso me passassero queste parole e queste immagini e trovassero una coincidenza e un significato. Lévi-Strauss diceva "io sono il crocevia delle cose che si sono verificate in me", non ho fatto niente, ma alcuni eventi sono passati attraverso di me. C. Sono molto d'accordo con questa idea. La mia traversata del deserto è stata una traversata del senso. In un certo modo mi sono liberata dal senso. O, meglio, dall'interpretazione. In questi anni di lavoro Black Napkin ed io non abbiamo mai interpretato le cose che facevamo; piuttosto, quando scoprivamo il lavoro dell'altro, puntavamo il dito e ridevamo insieme. Attraverso questo riso, che è proprio del gioco, riconoscevamo degli aspetti, ci riconoscevamo a vicenda. Penso che abbiamo sempre mantenuto la leggerezza di non interpretare, perché l'interpretazione avrebbe interrotto il gioco.


BN. Dai quaderni emerge il tentativo di recuperare l'io, la memoria, gli eventi che ci sono capitati, ciò che ne resta. Sarebbe stato riduttivo e troppo semplicistico cadere nel giochino delle interpretazioni. R. Sono numerosissimi e centrali i riferimenti all'antichità classica nei quaderni. Un antico metabolizzato, desacralizzato, che si fonde perfettamente con tutti i linguaggi fino al contemporaneo. Che significa la presenza dell'Antico per un archeologo? BN. Di certo si tratta di un Antico "estetico": mi interessano il discorso sull'Antico come bellezza della memoria e la riflessione su come la classicità possa diventare un feticcio. R. Un altro comportamento tipico dell'archeologo è quello di raccogliere ed esporre oggetti di vario tipo. C. Questa è stata per noi una cosa fondamentale. La prima volta che abbiamo passeggiato insieme Black Napkin ha raccolto una piuma di gallina, che abbiamo conservato. Anche in mostra esporremo gli oggetti che hanno accompagnato e variamente ispirato il nostro lavoro. R. Mi sembra che Caroline attinga talvolta anche al repertorio biblico. C. Sì, anche questo fa parte della mia formazione: fin da piccola ho studiato i testi biblici. R. Black Napkin però non coglie mai queste tua suggestioni bibliche. BN. Per me la religione è una cosa molto intima. E poi c'è troppa interpretazione nella Bibbia. R. C'è troppa interpretazione sulla Bibbia. BN. Sulla Bibbia, sì. C. Però una volta Black Napkin cita il comandamento "Non desiderare la donna altrui"; e io gli rispondo "Non produrre immagini di Dio invano". BN. Davvero? Non lo ricordo. Lo avrò ritagliato da qualche parte. R. Parliamo delle due statue, vostri alter-ego. Per Caroline l'Afrodite accovacciata appare fin dalle prime pagine del primo quaderno. C. Devo dire che in passato le statue mi annoiavano. Sono davvero entrata in contatto con le statue quando ho incontrato al Louvre questa Venere, che trovo di una bellezza incredibile perché la donna è piegata, si vedono le


pieghe della carne, si vede la mano dell'Eros poggiata sulla sua schiena. Questa, le due repliche di Roma e quella del British sono bellissime. R. Secondo te tra l'Eros e l'Afrodite, in questo gesto, c'è un rapporto filiale o erotico? C. Senza alcun dubbio erotico. Mi chiedevo perché fossi tanto attratta da questa statua e un giorno, in analisi, ho capito: perché le donne quando fanno la pipì si accovacciano, mentre gli uomini restano in piedi. Quindi lei rappresenta a pieno la donna, piegata, non eretta in una posizione fallica. Io stavo meditando un'opera integralmente ispirata a questa statua: quando ho incontrato Black Napkin avevo iniziato a lavorare su un quaderno che esporremo tra i materiali in mostra. R. In una delle ultime immagini del quaderno IV,2, e dunque alla fine del vostro percorso, l'Afrodite accovacciata appare come particolare di un quadro, in forma di statuetta tra mani maschili. Chi di voi due ha aggiunto questa immagine? Mi è sembrato un po' forte che una delle ultime rappresentazioni del tuo alter ego stesse come oggetto tra le mani di un uomo. C. Ma certo che va bene che la donna stia in mano a un uomo! In questo io non sono affatto femminista. R. L'Hermes di Black Napkin invece si manifesta piuttosto tardi: in tutta la prima parte del vostro percorso il suo alter ego sembra piuttosto l'Ercole Farnese, che comunque continua a fare capolino anche nei quaderni III e IV. BN. In effetti all'inizio pensavo che di tutta l'antichità si potesse selezionare l'Ercole Farnese come rappresentazione dell'uomo. Poi, lavorando ‒ e immaginando di dover riprodurre questa statua in un'opera di grandi dimensioni ‒, mi sono accorto che l'Ercole non mi convinceva, per l'atteggiamento, perché è rappresentato in posizione di riposo. Altre opere, anche belle, come gli originali greci arcaici dell'Acropoli di Atene, mi parevano però un po' abusate; l'Efebo di Kritios è molto interessante, ma è un fanciullo. La mia scelta è caduta alla fine sull'Hermes del Vaticano, che è un'opera prassitelica, dall'andamento sinuoso; è l’uomo al centro del mondo. Mi pare che rappresenti a pieno l’idea di memoria; è importante anche che la statua ci sia giunta in stato frammentario, priva di un braccio. Sono arrivato a questa immagine proprio grazie a un ex voto a forma di braccio che mi aveva regalato Caroline.


C. E poi nella nostra riflessione funziona il legame Hermes/Afrodite. R. Proprio alla fine, nel quaderno IV,2, due foto di Hermes e Afrodite sono finalmente vicine. Nello stesso quaderno appare l'unica foto in cui siete presenti entrambi. BN. Mi ha messo lei! R. Ma tu non ti sei coperto né nascosto. BN. Sì, mi pareva giusto che ci fossimo. R. Mi pare che Caroline, pur definendosi non femminista, ogni tanto reagisca alla sovraesposizione del corpo femminile e all'esibizione così forte dell'eros che attraversano i quaderni. Ad esempio a un certo punto disegna dei ragni che mi sembrano un chiaro riferimento all'opera della Bourgeois, un'artista che mette radicalmente in discussione un certo tipo di discorso maschile sul corpo della donna. C. Sì, certo, i ragni rinviano alla Bourgeois. BN. L'esibizione del nudo femminile non ha però per me una valenza esclusivamente sessuale. Il problema è piuttosto quello del corpo della donna come mistero, come un'immagine che cerchi sempre, una cosa nota, conosciuta, ma che ha una forza che ti attrae in modo costante. Per affermare la sua identità l'uomo disegna fin da piccolo, in modo irriverente, il fallo, ma ha timore di esibirlo; la donna mostra il suo sesso, non lo trasforma in segno. C. È vero che io modero questa tendenza, ma in generale mi trovo d'accordo con le parole di Black Napkin. Freud chiede "Che cosa vuole la donna?", ed è questa la questione che l'uomo si pone. Ma se la pone anche la donna, perché la donna non sa che cosa sia una donna. Per me è stato molto bello potermi porre queste questioni insieme a un uomo. BN. Questo interrograsi sulla forza del corpo e degli sguardi parte anche dalla raccolta di foto d'epoca di nudi. Spogliate degli abiti dell’epoca, pose, occhi e corpi sono quelli di ogni donna da sempre. R. Quindi a te, Caroline, non sembra che talvolta l'uso che Black Napkin fa delle immagini vada al di là della possibilità di essere recepito da una sensibilità femminile. BN. Qualche volta lei ha sminuzzato le mie immagini. C. Sì, soprattutto all'inizio sentivo l'esigenza di intervenire sulle immagini del sesso femminile, non riuscivo a guardarle, non capivo. Talvolta coprivo o


sminuzzavo, ma se non avessi sopportato queste sollecitazioni non avrei continuato questo gioco, invece sono andata avanti. BN. È una sorta di attrazione visiva. Io ho provato anche con altri stimoli visivi che Caroline non ha raccolto, come l'immagine del topo morto. R. In effetti quello della morte non è un tema che ricorre nei quaderni. C. C'è la citazione di Bataille, c'è la poesia di Baudelaire, ma ricorda che noi non abbiamo lavorato su dei temi. R. Nel quaderno III,1 l'elemento erotico si fa dominante e spesso è accostato a immagini di pezzi di carne. Dopo questo trionfo dell'eros e della carnalità, nelle ultime pagine del quaderno appaiono solo città antiche e moderne, ordinate e prive di figure umane. C'è un nesso tra le due cose? Una specie di inconscio desiderio di ordine, di razionalità? BN. Quelle immagini di pezzi di carne sono tratte da due riviste che avevo recuperato al Centre Pompidou: una l'avevo tenuta per me, l'altra l'avevo data a Caroline. Poi abbiamo trovato il dipinto che rappresenta i macellai e così si è sviluppata questa provocazione sulla carne mostrata, esibita. C. Sono partita dalle parole. In Italiano c'è una sola parola per indicare la carne, mentre in Francese ne abbiamo due: viande, che indica la carne morta, e chair che si usa per la carne vivente. Questa è una differenza fondamentale. Non credo invece che ci sia un nesso tra la carne e le immagini di città: talvolta i temi si sviluppano da un puro significante, da una linea, una suggestione visiva, un colore. È la famosa "catena dei significanti", e muovermi in questo modo è una delle cose che ho imparato da Black Napkin. Non a caso il titolo del nostro lavoro è Swing: quando balli con qualcuno non hai delle idee prestabilite sui passi che farai, bisogna seguirsi a vicenda e questo ti mette in condizione di ballare con te stessa. C'erano dei momenti in cui pensavamo "oddio, ma che cosa posso fare con questa immagine?", ma poi all'improvviso partiva un'idea, un'associazione e si entrava nel ritmo. Nello swing, appunto. R. Nell'ultima pagina di questo quaderno così incentrato sulla figura della donna Caroline scrive che il ruolo dell'artista è quello di "écarter les vieux clichés". C. È un'affermazione ironica, perché è evidente che i clichés non si scartano, siamo intrisi di clichés. Se non sbaglio si tratta di una frase di Éluard, che si allontanò dai surrealisti e lavorò a lungo sui clichés. I clichés sono sempre vecchi, e un nuovo cliché è già un vecchio cliché.


R. Il quaderno parallelo a III,1 ‒ il III,2 ‒ è invece pervaso dal tema della vista, dello sguardo, anche con riferimenti a quanto di terribile può derivare dall'azione del guardare: il mito di Atteone e quello di Egeo e Teseo, ad esempio. BN. L'aspetto voyeuristico dello sguardo sul corpo era un elemento centrale della nostra riflessione, perciò i due quaderni si sviluppano in parallelo. D'altra parte nemmeno lo sguardo sull'eros è uno sguardo neutro, senza tragedia, anzi: ad esempio le foto di nudo degli anni Dieci e Venti sono molto potenti, non lasciano indifferenti. C. Se una traccia, una riflessione c'è stata, è stata sulla questione di che cosa sia un'immagine. A un certo punto ci siamo resi conto che stavamo facendo questa riflessione, i significanti ci hanno portato in questa direzione, ma non si è trattato di un lavoro conscio quanto di un processo inconscio. In questo tipo di percorso i significanti ti portano su vie che riflettono le tue ossessioni, e tu cominci a fare delle associazioni fino a quando naturalmente il processo si esaurisce e si passa ad altro, a un'altra sponda. R. Caroline, perché, tra tutti gli autori che citi, "L." ‒ che appare molte volte a partire dal quaderno II,2 ‒, è sempre puntato? C. Lacan è l'Innominato perché la sua opera è una cosa molto privata per me. Chi vuole lo riconosce, ma io faccio mie le sue parole, dunque non serve citarlo esplicitamente come fonte. R. Caroline, che funzione ha la lunga citazione del Catalogo di Leporello dal Don Giovanni di Mozart? C. Quello è per ridere, per prendere in giro Black Napkin. R. L'ironia è molto presente nel vostro lavoro. C. e BN. È stata fondamentale. C. Ridevamo moltissimo. Abbiamo sempre esercitato ironia e umorismo. BN. Non ci siamo mai presi sul serio. R. Quando e in che modo decidevate che un quaderno era finito e che era l'ora di passare a uno nuovo? BN. Io penso che nessuno dei quaderni sia compiutamente "finito". In linea di principio un quaderno finisce quando dalla pagina bianca si passa a


quella nera in cui ci sono talmente tante immagini accumulate che nulla è più leggibile. Nella realtà ci siamo fatti guidare da un criterio estetico. C. Ancor più che a ogni quaderno, a ogni pagina ci siamo chiesti "ma qui è finito?": a risponderci è stata un'evidenza puramente estetica, che ci diceva che la pagina, più o meno piena di immagini, aveva trovato la sua forma e che c'era il rischio che aggiungendo dell'altro avremmo distrutto il lavoro fatto. Ogni tanto però siamo anche tornati su quaderni precedenti, pur avendo già iniziato a lavorare sui nuovi. R. Qualche volta vi siete arrabbiati tra di voi? Avete qualche rimpianto? C. e BN. No, mai; e nessun rimpianto.

R. Dove conserverete i quaderni dopo la mostra? C. Siamo anche disposti a venderli, e comunque non ci abbiamo pensato. In questo gioco c'è del feticismo e i quaderni sono come la traccia del nostro gioco, ma il rapporto che ho con le mie opere è questo: nel momento in cui ci lavoro sono la cosa più importante per me, quando sono finite diventano un oggetto come un altro. BN. Soprattutto nel momento in cui l'opera è toccata da un altro, è sottoposta all'osservazione di un pubblico, non è più tua, quindi i quaderni già non sono più nostri.


Chiesa di San Giuseppe delle Scalze a Pontecorvo, Napoli 5 maggio, 12 -18 9 maggio, 17-19 12 maggio, 15-18 16 maggio, 17-19 19 maggio, 15-18 23 maggio, 17-19 25 maggio, 16-19 Info: 3405717602


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