e 10,00
Marzo Aprile 2013
anno II n.02
foto
imaging
video
fine arT
Storie di fotografi e di fotografia
“Non mi sono mai piaciute le ‘Barbie’ e neanche le donne troppo perfette” Lifestyle Le sperimentazioni
e il lavoro ad alto tasso di creatività firmato Umberto Stefanelli
Tecnologia Nuove reflex,
compatte hi-end e accessori per stuzzicare gli appetiti fotografici
Barbieri
Gian Paolo Barbieri, un grande fotografo che per trent’anni ha raccontato la moda, un maestro dell’immagine arteficie di un modo di intendere e immaginare la bellezza femminile
Fiere, Festival e Cultura può un’emozione durare per sempre? C’è una nuova generazione di fotocamere e videocamere capaci di rendere immortale ogni tua emozione, indimenticabile ogni ricordo, desiderabile ogni istante della tua vita. Guarda pure il mondo a modo tuo, ma fallo attraverso la qualità professionale di Sony.
The Power of Imaging BE MOVED
Vieni a scoprirle a PHOTOSHOW, le riconoscerai a prima vista.
Fiera Milano City Padiglione 3 22/25 marzo 2013 dalle 10 alle 18
La capacità di vivere la fotografia realizzando immagini “consapevoli” cariche di emozioni e significati e non semplici appunti digitali da inviare tramite sms o da “postare” sul social network preferito, passa dalla conoscenza della storia e della cultura fotografica. È un approccio fondamentale se si vuole far crescere costantemente il proprio talento creativo. È una tappa imprescindibile se si vuole diffondere e aumentare l’amore e la passione per le immagini. In questi giorni si inaugurano due importanti appuntamenti per il mondo fotografico del nostro Paese, Photoshow, la grande fiera dedicata alle attrezzature e alle tecnologie imaging, e Photofestival la più imponente rassegna di mostre fotografiche che ogni anno trasforma Milano nella capitale italiana della fotografia. Troverete una presentazione di questo spettacolare a pagina 12. Image Mag partecipa a questi appuntamenti con grande piacere perché sono la concretizzazione della medesima filosofia che anima il nostro progetto editoriale: siamo convinti che la promozione della creatività e della
cultura sia un contributo basilare per il benessere e la civiltà e quindi sia di importanza cruciale per il miglioramento delle nostre comunità e dell’intera nostra società.
Il contributo di Image Mag a questo percorso di crescita, che può addirittura portare valore aggiunto sul territorio e quindi risorse economiche, consiste nella celebrazione dei grandi autori che hanno reso il tessuto culturale italiano così unico e bello. Nelle prossime pagine potrete apprezzare una piccola antologia che ripercorre alcune tappe fondamentali della spettacolare carriera di Gian Paolo Barbieri con alcuni dei sue più celebri e sontuosi scatti di moda. Da questo numero, inoltre, seguendo i vostri suggerimenti, dedichiamo ancora più spazio alle immagini, inserendo un numero maggiore di portfolio con più pagine riservate ai lavori di abili fotografi “dilettanti” e di straordinari professionisti completate, come di consueto, dagli interventi dei nostri esperti e da una panoramica sulle fotocamere e gli accessori più interessanti. Buona fotografia a tutti!
Mauro Fabbri
(
“Un buon fotografo è una persona che comunica un fatto, tocca il cuore, fa diventare l’osservatore una persona diversa”. Irving Penn
scopri di più su www.sony.it
)
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STORIE DI FOTOGRAFI E DI FOTOGRAFIA
Image Mag è la prestigiosa rivista bimestrale interamente dedicata alla fotografia e ai suoi interpreti.È l’espressione del desiderio di parlare ad appassionati di fotografia usando la lingua degli appassionati di fotografia. Una rivista che presenta immagini stupefacenti realizzate da celebri professionisti e lavori di appassionati che compongono gli epici portfolio, cuore e anima di questo straordinario magazine.
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BARI
LA FELTRINELLI LIBRI E MUSICA Via Melo, 119 - Tel. 080.5207501
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GALLERIA CARLA SOZZANI Corso Como, 10 - Tel. 02.653531 LA FELTRINELLI LIBRI E MUSICA Piazza Piemonte, 1 - Tel. 02.43354230 LIBRERIA CORTINA S.R.L. Via Ampere, 20 - Tel. 02.25060593
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cover story I grandi protagonisti del palcoscenico fotografico
Barbieri dalla dolce vita agli imponenti lavori di ricerca personale passando per trent’anni di grande fotografia al servizio della moda. Gian Paolo Barbieri non è solo un maestro dell’immagine è l’arteficie di un modo di intendere e immaginare la bellezza femminile
Lo studio è grande, esotico, elegante. Di fronte a noi Giampaolo Barbieri, il fotografo che abbiamo sempre ammirato per le immagini che da sempre ci propone. Siamo emozionati. Non è facile incontrare tanta raffinatezza e quel garbo “colto” che è frutto della conoscenza e della ricerca incessante che porta all’autorevolezza, al senso delle cose. In un lato dello studio vediamo le fotografie di una mostra. Riconosciamo Monica Bellucci e poi donne affascinanti, inarrivabili. In una parola, seducenti. Così ci accorgiamo che le abbiamo sempre sognate per come Gian Paolo Barbieri ce le ha proposte. Molti dicono che le donne di Barbieri siano più “personaggi” che belle, e siamo d’accordo. Altri le accomunano, per stile, a Cecil Beaton, ma qui dissentiamo un poco. Di Barbieri non colpisce la sola scenografia, bensì la sua capacità di trasportarci in un labirinto complesso di suggestioni dove non abita né l’ambiguità di Newton, e nemmeno il “potere” di Avedon. In quel luogo prende vita una magia antica, la fotografia vera. Qual è stato il tuo approccio alla fotografia? Ci sarebbe da scrivere un romanzo, anche perché devo andare indietro ai tempi dei compagni di scuola. Ricordo quelli con i quali legavo di più, due ragazze e un ragazzo: con loro organizzavamo delle riunioni culturali. Amavamo molto il cinema e si parodiava la lirica. L’appartamento della mia amica, con quattro sedie, diventava d’incanto un teatro, anche se ci trovavamo in camera da letto. Lei possedeva una fotocamera e con quella ho iniziato a fotografare, documentando le rappresentazioni che organizzavamo.
Il cinema è quello che ritroviamo in tante tue immagini... Per me rappresentava qualcosa di sacro: impazzivo per la bellezza che mi ispirava sin dallo schermo bianco. Lì è nata la mia passione. Il “noir” degli anni ’40 mi ha restituito tantissimo: per luci e composizione. Il neorealismo era un’altra cosa, maggiormente immediato, forse più artigianale. La Terra Trema (Luchino Visconti, 1948 ndr.) arrivò a scioccarmi; poi giunse Pasolini, che mi diede il “La”. Un’ispirazione forte… Quando scattavo un ritratto alle amiche avevo in mente le cartoline delle attrici di Hollywood e mi arrangiavo come potevo. Costruivo di tutto: una lampadina in un tubo della stufa diventava un illuminatore da studio. Dopo cosa è successo? Lavoravo con mio padre con alterne fortuneUn giorno gli chiesi di poter andare a Cinecittà. Quella era la mia vita, nonostante avessi anche trovato il tempo per terminare gli studi. Pensai a un rifiuto, ma non fu così: “Sta a te scegliere”, mi rispose.
FOTOGRAFIA & SEDUZIONE Gian Paolo Barbieri nasce a Milano nel 1938, in una famiglia di grossisti di tessuti. Proprio nel grande magazzino di tessuti di suo padre acquisisce le competenze che gli saranno utili nel suo fare fotografia di moda. Durante l’adolescenza è il teatro a esercitare un potente fascino su di lui: entra nella scuola di recitazione del Teatro Filodrammatici. Diventa attore, operatore e costumista. Quando andava al cinema cercava di capire come le attrici potessero risultare così belle perciò utilizzava tutto ciò che aveva in cantina per ricreare quella luce. Il cinema gli diede il senso del movimento e l’occasione di portare la moda italiana, nata su fondo bianco in pedana, in esterno, dandole un’anima diversa.
Hai vissuto nella Roma della Dolce Vita? Ho vissuto a Roma un anno, lavorando anche nel cinema. Abitavo in una pensione e il periodo è quello che tu dici. Andavo spesso alle feste, nei salotti buoni, dove c’era sempre un angolo buffet verso il quale mi dirigevo quando non c’era nessuno. Un giorno mi avvicinò un signore che mi chiese: “Come ti chiami?”. “Barbieri?”. Poi continuò: “Conosco la tua ditta, sono cliente”. Incontrai nuovamente quella persona a casa di un conte, un nobile che possedeva una galleria d’arte.
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cover story I grandi protagonisti del palcoscenico fotografico
Barbieri dalla dolce vita agli imponenti lavori di ricerca personale passando per trent’anni di grande fotografia al servizio della moda. Gian Paolo Barbieri non è solo un maestro dell’immagine è l’arteficie di un modo di intendere e immaginare la bellezza femminile
Lo studio è grande, esotico, elegante. Di fronte a noi Giampaolo Barbieri, il fotografo che abbiamo sempre ammirato per le immagini che da sempre ci propone. Siamo emozionati. Non è facile incontrare tanta raffinatezza e quel garbo “colto” che è frutto della conoscenza e della ricerca incessante che porta all’autorevolezza, al senso delle cose. In un lato dello studio vediamo le fotografie di una mostra. Riconosciamo Monica Bellucci e poi donne affascinanti, inarrivabili. In una parola, seducenti. Così ci accorgiamo che le abbiamo sempre sognate per come Gian Paolo Barbieri ce le ha proposte. Molti dicono che le donne di Barbieri siano più “personaggi” che belle, e siamo d’accordo. Altri le accomunano, per stile, a Cecil Beaton, ma qui dissentiamo un poco. Di Barbieri non colpisce la sola scenografia, bensì la sua capacità di trasportarci in un labirinto complesso di suggestioni dove non abita né l’ambiguità di Newton, e nemmeno il “potere” di Avedon. In quel luogo prende vita una magia antica, la fotografia vera. Qual è stato il tuo approccio alla fotografia? Ci sarebbe da scrivere un romanzo, anche perché devo andare indietro ai tempi dei compagni di scuola. Ricordo quelli con i quali legavo di più, due ragazze e un ragazzo: con loro organizzavamo delle riunioni culturali. Amavamo molto il cinema e si parodiava la lirica. L’appartamento della mia amica, con quattro sedie, diventava d’incanto un teatro, anche se ci trovavamo in camera da letto. Lei possedeva una fotocamera e con quella ho iniziato a fotografare, documentando le rappresentazioni che organizzavamo.
Il cinema è quello che ritroviamo in tante tue immagini... Per me rappresentava qualcosa di sacro: impazzivo per la bellezza che mi ispirava sin dallo schermo bianco. Lì è nata la mia passione. Il “noir” degli anni ’40 mi ha restituito tantissimo: per luci e composizione. Il neorealismo era un’altra cosa, maggiormente immediato, forse più artigianale. La Terra Trema (Luchino Visconti, 1948 ndr.) arrivò a scioccarmi; poi giunse Pasolini, che mi diede il “La”. Un’ispirazione forte… Quando scattavo un ritratto alle amiche avevo in mente le cartoline delle attrici di Hollywood e mi arrangiavo come potevo. Costruivo di tutto: una lampadina in un tubo della stufa diventava un illuminatore da studio. Dopo cosa è successo? Lavoravo con mio padre con alterne fortuneUn giorno gli chiesi di poter andare a Cinecittà. Quella era la mia vita, nonostante avessi anche trovato il tempo per terminare gli studi. Pensai a un rifiuto, ma non fu così: “Sta a te scegliere”, mi rispose.
FOTOGRAFIA & SEDUZIONE Gian Paolo Barbieri nasce a Milano nel 1938, in una famiglia di grossisti di tessuti. Proprio nel grande magazzino di tessuti di suo padre acquisisce le competenze che gli saranno utili nel suo fare fotografia di moda. Durante l’adolescenza è il teatro a esercitare un potente fascino su di lui: entra nella scuola di recitazione del Teatro Filodrammatici. Diventa attore, operatore e costumista. Quando andava al cinema cercava di capire come le attrici potessero risultare così belle perciò utilizzava tutto ciò che aveva in cantina per ricreare quella luce. Il cinema gli diede il senso del movimento e l’occasione di portare la moda italiana, nata su fondo bianco in pedana, in esterno, dandole un’anima diversa.
Hai vissuto nella Roma della Dolce Vita? Ho vissuto a Roma un anno, lavorando anche nel cinema. Abitavo in una pensione e il periodo è quello che tu dici. Andavo spesso alle feste, nei salotti buoni, dove c’era sempre un angolo buffet verso il quale mi dirigevo quando non c’era nessuno. Un giorno mi avvicinò un signore che mi chiese: “Come ti chiami?”. “Barbieri?”. Poi continuò: “Conosco la tua ditta, sono cliente”. Incontrai nuovamente quella persona a casa di un conte, un nobile che possedeva una galleria d’arte.
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cover story I grandi protagonisti del palcoscenico fotografico
“Roma non fa per te”, mi disse. E poi aggiunse: “Fammi vedere le tue foto”. “Io scatto per mangiare”, risposi, ma lui insistette. Voleva che gli mostrassi le mie immagini. Io obbedii e lui, dopo uno sguardo attento, suggerì: “Tu hai una grande sensibilità, sei tagliato per la moda”. Eravamo negli anni ’60 e allora in Italia c’erano solo le sartorie. È stato il tuo ingresso nella moda? In un certo senso, sì. Quella persona - si chiamava Gustave Zumsteg - mi disse: “Se torni a Milano, potrò darti una mano”. Così feci e poco tempo dopo ricevetti una lettera: mi proponeva di fare l’assistente di Tom Kublin a Parigi. Mi presentai vestito come un lord, il che mi fece sentire subito inadeguato. “Non presentarti così in studio”, disse il fotografo, aggiungendo: “Se funzioni, bene. In caso contrario te ne torni a Milano”. Rimasi col maestro venti giorni, i più duri della mia vita, ma lui fu soddisfatto del mio lavoro, affermando anche che non aveva mai avuto un’assistente come me. Mi diede persino il permesso di scattare un rullino a una modella. Un periodo di apprendimento intenso, direi... Nel frattempo, a Milano, io avevo aperto uno studio, organizzato in un abbaino. Essendo autodidatta, studiavo la luce dei maestri della pittura. Poi mi cimentavo con sorgenti luminose improvvisate: candele, lampadine, abat-jour. Ho iniziato con i ritratti che proponevo alle amiche e alle signore bene. Il locale era angusto, arredato alla parigina. Invitavo le clienti il pomeriggio, perché speravo non avessero bisogno del bagno. Ricordo che stampavo in ginocchio. Gli inizi sono realmente da romanzo, quando hai avuto la consapevolezza di avercela fatta? Lo spirito col quale ho affrontato la fotografia è stato sempre quello degli esordi. Un giorno mi dico© foto di Gian Paolo Barbieri
pagina sei
© foto di Gian Paolo Barbieri
paginasette
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STORIE DI FOTOGRAFI E DI FOTOGRAFIA
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lifestyle
con delle ambizioni modeste. Successivamente, intorno ai venticinque anni, un amico mi ha chiamato a casa sua per stampare in camera oscura. Tutto è iniziato lì, come per incanto. Ho iniziato ad amare la fotografia, trasformandola poi in professione intorno ai ventotto anni.
rumors, tendenze e personaggi al centro del mirino
“L’ART” diventa “FINE”
È stata passione? Sì, indubbiamente. Comunque io credo molto nell’istinto, anche se alle volte mi riscopro razionale. Di sicuro le decisioni più importanti le ho prese senza pensarci troppo. La passione è figlia dell’istinto, o magari anche il contrario. Sta di fatto che l’una e l’altro mi hanno guidato verso la fotografia. La passione vive anche oggi? Assolutamente, anche se in maniera particolare. Vado a fasi alterne, con momenti di grande intensità e pause più o meno lunghe di disinteresse. Non me ne faccio una colpa, anzi... Credo che la refrattarietà sia necessaria per rimpolpare la creatività, perfino la passione. È il “vuoto fotografico” a incrementare il desiderio di progettare con le immagini. La tua fotografia vive di progetti? È l’alternanza di atteggiamento che mi pone di fronte a progetti lunghi, veri e validi solo quando meritano di essere mostrati. Una delle lezioni più importanti mi è stata impartita mentre, per lavoro, soggiornavo a New York. Sulle prime credevo di avere vita facile là, poi mi sono reso conto di essere inadeguato: dovevo riiniziare da capo. Un art director giovane mi offrì dei consigli. Io gli portavo i miei lavori e lui mi suggeriva cosa cambiare per migliorarli. A un certo punto disse: “Ottimo risultato, ma è fatto per me”. “Tu devi compiacere prima te stesso, poi trovare coloro che amano quanto hai prodotto”.
Umberto Stefanelli. Un autore che trasmette emozione creativa autentica e che è capace con disarmante semplicità di scardinare l’ortodossia fotografica
Ti sono stati utili quei consigli? Compresi che non potevo produrre lavori in serie. Tutte le volte che mi venivano proposti dei confini rigidi andavo in confusione. Ecco quindi l’arte che mi consente di sperimentare strumenti, mezzi, linguaggio. Attenzione: nelle consegne dei lavori sono estremamente puntuale, ma per il resto so di dover creare in completa autonomia.
© foto di Umberto Stefanelli
Umberto Stefanelli ci è piaciuto subito e la sensazione positiva è cresciuta durante l’intervista diventata confronto, idea, modo di capire. Un’intervista che non ha richiesto appunti perché molti valori sono rimasti nella memoria, senza sforzo. Le parole di Umberto evidenziano tanti punti cardine di tipo fotografico: il progetto (lunghissimo, nel suo caso), il percorso artistico, l’emozione da provare e far riprovare. Oltre a ciò, nulla, non una parola fuori posto, non un afori-
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sma retorico, neanche un po’ di enfasi. Si definisce fotografo fine art e lì comincia a scardinare i normali dettami dell’odierna fotografia. Non è l’aspetto tecnico che conta e nemmeno valgono le false abilità. È solo una questione di contenuti, proponibili come “art” e quindi “fine”. Il resto non conta, se non quella sperimentazione assidua e puntigliosa che però si sposa con una curiosità innata. Non ci sono scorciatoie nel percorso artistico di Umberto, nemmeno logi-
che di prodotto. Lui è passato anche sopra alle tendenze, lasciando che si consumassero pian piano. Così molto spesso si è trovato da solo. Come con quella Polaroid, primo grande amore e diventata nel tempo linguaggio dell’espressione. “Questioni di percezione visiva”, ci dice spesso. E noi gli andiamo dietro, ascoltando, convinti come siamo che quella da lui tracciata sia veramente la via maestra. Per un attimo ci viene in mente la storia della fo-
tografia, con tutti i suoi padri: Daguerre, Niepce, Fox Talbot, Bayard. Tutti hanno avuto da dire di tecnica, di metodo, di scienza. Uno solo, spesso dimenticato (Sir Herschel), un giorno, in una lettera datata 28 Febbraio 1839, ha parlato di fotografia per come lui la vedeva. In un attimo è riuscito a unificare i processi in essere, ma anche tutti quelli futuri, digitale compreso. Umberto ci ha parlato di “fine art”. Anche questo sarà un termine aggregante? Può darsi, ma
bisogna accettarne il prezzo, perché il percorso artistico è estenuante, come tutte quelle cose che nella vita non ci vengono insegnate del tutto. Umberto, quando hai iniziato a fotografare e perché? Ho iniziato a fotografare per hobby, con la Polaroid del padre (una 600, per intenderci), ma senza grandi convinzioni. Intorno ai vent’anni, ho preso in mano una Canon FTb; anche qui
Come hai curato la tua formazione? Da autodidatta. Posso dirti che sono particolarmente curioso, in tutto. Ne ho avuto la prova con un’altra passione che vivo da tempo, l’enogastronomia. Tendo a sviscerare tutto, specialmente a livello culturale (libri o altro). Da lì nasce la sperimentazione, base vera - anch’essa - della mia fotografia. Per il resto, in tanti hanno concorso alla mia formazione. Anche quel fotografo toscano (Giancarlo d’Emilio) per il quale sono stato prima assistente, poi socio. Lui è stato importante per me, assieme all’analisi dei lavori dei grandi fotografi. Hai avuto degli elementi ispiratori? Sì, i molti fotografi che ho ammirato, anche in campi diversi dal mio. Robert Frank è uno
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lifestyle
con delle ambizioni modeste. Successivamente, intorno ai venticinque anni, un amico mi ha chiamato a casa sua per stampare in camera oscura. Tutto è iniziato lì, come per incanto. Ho iniziato ad amare la fotografia, trasformandola poi in professione intorno ai ventotto anni.
rumors, tendenze e personaggi al centro del mirino
“L’ART” diventa “FINE”
È stata passione? Sì, indubbiamente. Comunque io credo molto nell’istinto, anche se alle volte mi riscopro razionale. Di sicuro le decisioni più importanti le ho prese senza pensarci troppo. La passione è figlia dell’istinto, o magari anche il contrario. Sta di fatto che l’una e l’altro mi hanno guidato verso la fotografia. La passione vive anche oggi? Assolutamente, anche se in maniera particolare. Vado a fasi alterne, con momenti di grande intensità e pause più o meno lunghe di disinteresse. Non me ne faccio una colpa, anzi... Credo che la refrattarietà sia necessaria per rimpolpare la creatività, perfino la passione. È il “vuoto fotografico” a incrementare il desiderio di progettare con le immagini. La tua fotografia vive di progetti? È l’alternanza di atteggiamento che mi pone di fronte a progetti lunghi, veri e validi solo quando meritano di essere mostrati. Una delle lezioni più importanti mi è stata impartita mentre, per lavoro, soggiornavo a New York. Sulle prime credevo di avere vita facile là, poi mi sono reso conto di essere inadeguato: dovevo riiniziare da capo. Un art director giovane mi offrì dei consigli. Io gli portavo i miei lavori e lui mi suggeriva cosa cambiare per migliorarli. A un certo punto disse: “Ottimo risultato, ma è fatto per me”. “Tu devi compiacere prima te stesso, poi trovare coloro che amano quanto hai prodotto”.
Umberto Stefanelli. Un autore che trasmette emozione creativa autentica e che è capace con disarmante semplicità di scardinare l’ortodossia fotografica
Ti sono stati utili quei consigli? Compresi che non potevo produrre lavori in serie. Tutte le volte che mi venivano proposti dei confini rigidi andavo in confusione. Ecco quindi l’arte che mi consente di sperimentare strumenti, mezzi, linguaggio. Attenzione: nelle consegne dei lavori sono estremamente puntuale, ma per il resto so di dover creare in completa autonomia.
© foto di Umberto Stefanelli
Umberto Stefanelli ci è piaciuto subito e la sensazione positiva è cresciuta durante l’intervista diventata confronto, idea, modo di capire. Un’intervista che non ha richiesto appunti perché molti valori sono rimasti nella memoria, senza sforzo. Le parole di Umberto evidenziano tanti punti cardine di tipo fotografico: il progetto (lunghissimo, nel suo caso), il percorso artistico, l’emozione da provare e far riprovare. Oltre a ciò, nulla, non una parola fuori posto, non un afori-
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sma retorico, neanche un po’ di enfasi. Si definisce fotografo fine art e lì comincia a scardinare i normali dettami dell’odierna fotografia. Non è l’aspetto tecnico che conta e nemmeno valgono le false abilità. È solo una questione di contenuti, proponibili come “art” e quindi “fine”. Il resto non conta, se non quella sperimentazione assidua e puntigliosa che però si sposa con una curiosità innata. Non ci sono scorciatoie nel percorso artistico di Umberto, nemmeno logi-
che di prodotto. Lui è passato anche sopra alle tendenze, lasciando che si consumassero pian piano. Così molto spesso si è trovato da solo. Come con quella Polaroid, primo grande amore e diventata nel tempo linguaggio dell’espressione. “Questioni di percezione visiva”, ci dice spesso. E noi gli andiamo dietro, ascoltando, convinti come siamo che quella da lui tracciata sia veramente la via maestra. Per un attimo ci viene in mente la storia della fo-
tografia, con tutti i suoi padri: Daguerre, Niepce, Fox Talbot, Bayard. Tutti hanno avuto da dire di tecnica, di metodo, di scienza. Uno solo, spesso dimenticato (Sir Herschel), un giorno, in una lettera datata 28 Febbraio 1839, ha parlato di fotografia per come lui la vedeva. In un attimo è riuscito a unificare i processi in essere, ma anche tutti quelli futuri, digitale compreso. Umberto ci ha parlato di “fine art”. Anche questo sarà un termine aggregante? Può darsi, ma
bisogna accettarne il prezzo, perché il percorso artistico è estenuante, come tutte quelle cose che nella vita non ci vengono insegnate del tutto. Umberto, quando hai iniziato a fotografare e perché? Ho iniziato a fotografare per hobby, con la Polaroid del padre (una 600, per intenderci), ma senza grandi convinzioni. Intorno ai vent’anni, ho preso in mano una Canon FTb; anche qui
Come hai curato la tua formazione? Da autodidatta. Posso dirti che sono particolarmente curioso, in tutto. Ne ho avuto la prova con un’altra passione che vivo da tempo, l’enogastronomia. Tendo a sviscerare tutto, specialmente a livello culturale (libri o altro). Da lì nasce la sperimentazione, base vera - anch’essa - della mia fotografia. Per il resto, in tanti hanno concorso alla mia formazione. Anche quel fotografo toscano (Giancarlo d’Emilio) per il quale sono stato prima assistente, poi socio. Lui è stato importante per me, assieme all’analisi dei lavori dei grandi fotografi. Hai avuto degli elementi ispiratori? Sì, i molti fotografi che ho ammirato, anche in campi diversi dal mio. Robert Frank è uno
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portfolio Corrado Maggi
Americans © foto di Corrado Maggi
© foto di Corrado Maggi
Sarà che ha l’occhio per il dettaglio rivelatore di una complessità. Sarà che si pone in una visuale inedita per osservare e fermare paesaggi, volti, ambienti anche a costo di farli diventare stranianti. Sarà per questo gusto dell’interpretazione che la fotografia di Corrado Maggi riesce ad esempio a rendere una città che pensavi amica, straniera. Un centro diventa periferia, perché di quel territorio urbano coglie il suo volto alienante. E poi, i particolari, che diventano simboli di un tutto, sineddoche urbana e del paesaggio dell’anima. Il fregio di un marmo riporta a un’identità architettonica, il mare dell’infanzia è tutto nel legno scolorito di una barca. Quel ballo è Cuba e non solo a Cuba. Lo spicchio di una gomena sullo sfondo di vernice lucida di una prua diventa l’approdo. pagina venti
“La fotografica di Maggi sposta gli assi e i baricentri, ti strattona per farti avere visuali ignote, ti costringe allo stupore. A volte succede che tira fuori un’anima che il paesaggio non sapeva di avere. Dal dettaglio nasce quasi sempre uno stato d’animo. Come le sue foto, asciutte e ben poco propense a farsi prendere da un gusto naif o della sovrabbondanza, Corrado è sempre ancorato al reale, al viaggio. Sa d’istinto qual è la verità delle cose che vede, quale particolare gli parla, con quale urgenza. Poche parole, quelle giuste. Belle. Brutte. Universali”.
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portfolio Corrado Maggi
Americans © foto di Corrado Maggi
© foto di Corrado Maggi
Sarà che ha l’occhio per il dettaglio rivelatore di una complessità. Sarà che si pone in una visuale inedita per osservare e fermare paesaggi, volti, ambienti anche a costo di farli diventare stranianti. Sarà per questo gusto dell’interpretazione che la fotografia di Corrado Maggi riesce ad esempio a rendere una città che pensavi amica, straniera. Un centro diventa periferia, perché di quel territorio urbano coglie il suo volto alienante. E poi, i particolari, che diventano simboli di un tutto, sineddoche urbana e del paesaggio dell’anima. Il fregio di un marmo riporta a un’identità architettonica, il mare dell’infanzia è tutto nel legno scolorito di una barca. Quel ballo è Cuba e non solo a Cuba. Lo spicchio di una gomena sullo sfondo di vernice lucida di una prua diventa l’approdo. pagina venti
“La fotografica di Maggi sposta gli assi e i baricentri, ti strattona per farti avere visuali ignote, ti costringe allo stupore. A volte succede che tira fuori un’anima che il paesaggio non sapeva di avere. Dal dettaglio nasce quasi sempre uno stato d’animo. Come le sue foto, asciutte e ben poco propense a farsi prendere da un gusto naif o della sovrabbondanza, Corrado è sempre ancorato al reale, al viaggio. Sa d’istinto qual è la verità delle cose che vede, quale particolare gli parla, con quale urgenza. Poche parole, quelle giuste. Belle. Brutte. Universali”.
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portfolio Diego Mola
nw200
© foto di Diego Mola
“Odore di gomma bruciata, normali strade cittadine chiuse al traffico per l’occasione. Piloti di una classe e coraggio superiori alla media e una folla proveniente da tutto il mondo che li incita a pochi centimetri di distanza. Questa è la North West 200. Una tra le più belle corse stradali di tutto il pianeta
paginaventisei
che si svolge ogni anno in Irlanda del Nord, toccando le cittadine di Portrush, Portstewart e Coleraine. L’essenza del motociclismo in una terra di spettacolare bellezza”. Diego Mola, appassionato di immagini da sempre, diplomato in fotografia, ha saputo catturare l’essenza di una competizione estrema e
spettacolare. Una delle fotografie di questo reportage ha ricevuto recentemente il premio “Roberto Patrignani”, giornalista, scrittore e pilota con la passione per le corse stradali. Mola usa con uguale perizia sia l’analogico sia il digitale: “amo troppo la pellicola per metterla da parte”.
portfolio Diego Mola
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© foto di Diego Mola
“Odore di gomma bruciata, normali strade cittadine chiuse al traffico per l’occasione. Piloti di una classe e coraggio superiori alla media e una folla proveniente da tutto il mondo che li incita a pochi centimetri di distanza. Questa è la North West 200. Una tra le più belle corse stradali di tutto il pianeta
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che si svolge ogni anno in Irlanda del Nord, toccando le cittadine di Portrush, Portstewart e Coleraine. L’essenza del motociclismo in una terra di spettacolare bellezza”. Diego Mola, appassionato di immagini da sempre, diplomato in fotografia, ha saputo catturare l’essenza di una competizione estrema e
spettacolare. Una delle fotografie di questo reportage ha ricevuto recentemente il premio “Roberto Patrignani”, giornalista, scrittore e pilota con la passione per le corse stradali. Mola usa con uguale perizia sia l’analogico sia il digitale: “amo troppo la pellicola per metterla da parte”.
portfolio Patrizia Campanella “Cerco di distillare la presenza umana, di isolarla dai contesti massivi, a volte scegliendo di evocarla attraverso un’ombra, una rappresentazione grafica od elettro nica. A volte solo per allusione, attraverso quelli che mi piace chiamare oggetti sostitutivi. È un progetto aperto, al cui interno vedo deline arsi i temi della coerenza formale e del rigore, che considero fondanti dell’espressione fotografica. © foto di Patrizia Campanella
Urban sights I
l lavoro Urban Sights raccoglie in tutto trentasei fotografie in bianco e nero, una serie che si inserisce nel più ampio progetto “Nelle Città” e conferma l’interessedell’autrice per l’approofndimento del tema
della città intesa come luogo dell’abitare e quindi delle relazioni che stabilisce con chi la vive, cittadino stanziale o viaggiatore in transito.
“Il range urbano non risponde a criteri di gerarchia dimensionale, comprendendo anche centri ‘minimi’ e ‘non-luoghi’ come aeroporti e centri commerciali. Io guardo gli spazi e i manufatti come spazi del gioco, del dialogo amoroso, di pause assorte, insomma attimi di vita quotidiana. pagina trentadue
© foto di Patrizia Campanella
paginatrentatre
portfolio Patrizia Campanella “Cerco di distillare la presenza umana, di isolarla dai contesti massivi, a volte scegliendo di evocarla attraverso un’ombra, una rappresentazione grafica od elettro nica. A volte solo per allusione, attraverso quelli che mi piace chiamare oggetti sostitutivi. È un progetto aperto, al cui interno vedo deline arsi i temi della coerenza formale e del rigore, che considero fondanti dell’espressione fotografica. © foto di Patrizia Campanella
Urban sights I
l lavoro Urban Sights raccoglie in tutto trentasei fotografie in bianco e nero, una serie che si inserisce nel più ampio progetto “Nelle Città” e conferma l’interessedell’autrice per l’approofndimento del tema
della città intesa come luogo dell’abitare e quindi delle relazioni che stabilisce con chi la vive, cittadino stanziale o viaggiatore in transito.
“Il range urbano non risponde a criteri di gerarchia dimensionale, comprendendo anche centri ‘minimi’ e ‘non-luoghi’ come aeroporti e centri commerciali. Io guardo gli spazi e i manufatti come spazi del gioco, del dialogo amoroso, di pause assorte, insomma attimi di vita quotidiana. pagina trentadue
© foto di Patrizia Campanella
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portfolio Roberto Nisi
Chateau
© foto di Roberto Nisi
“Siamo tutti stretti nella morsa frenetica della vita quotidiana. In questa routine alienannte per me la fotografia rappresenta un momento di libertà intesa come possibilità di scelta, di espressione, d’interpretazione e anche di sperimentazione. Amo particolarmente i colori accesi, saturi e contrastati tipici delle vecchie pellicole Fujifilm Velvia”. La grande passione per i viaggi di Roberto Nisi lo ha portato a esplorare il linguaggio del reportage per raccontare e celebrare i luoghi visitati. “Mi interessa molto anche la fotografia paesaggistica e nello specifico il paesaggio urbano in tutte le sue sfaccettature. Le foto presentate in questo portfolio ritraggono scorci della Loira in Francia. Una località meravigliosa celebre per i suoi manieri di una bellezza unica sia all’esterno, con strutture e giardini fiabeschi, sia all’interno con arredamenti sontuosi”.
paginatrentotto
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portfolio Roberto Nisi
Chateau
© foto di Roberto Nisi
“Siamo tutti stretti nella morsa frenetica della vita quotidiana. In questa routine alienannte per me la fotografia rappresenta un momento di libertà intesa come possibilità di scelta, di espressione, d’interpretazione e anche di sperimentazione. Amo particolarmente i colori accesi, saturi e contrastati tipici delle vecchie pellicole Fujifilm Velvia”. La grande passione per i viaggi di Roberto Nisi lo ha portato a esplorare il linguaggio del reportage per raccontare e celebrare i luoghi visitati. “Mi interessa molto anche la fotografia paesaggistica e nello specifico il paesaggio urbano in tutte le sue sfaccettature. Le foto presentate in questo portfolio ritraggono scorci della Loira in Francia. Una località meravigliosa celebre per i suoi manieri di una bellezza unica sia all’esterno, con strutture e giardini fiabeschi, sia all’interno con arredamenti sontuosi”.
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portfolio Giorgio Magini
© foto di Giorgio Magini
apocalittica “Un domani, quando l’essere umano sarà un’altra delle razze animali estinte, ciò che resterà a testimoniarne la presenza nei secoli saranno i suoi manufatti, le sue opere architettoniche. Ambienti ed edifici, un tempo vivi e brulicanti, ora vuoti e
paginaquarantaquattro
decadenti, progressivamente riconquistati da quella natura a cui erano stati strappati. Ciò che sbigottisce è il forte contrasto tra il progressivo deteriorarsi di ciò che è artefatto e il crescere rigoglioso di ciò che è vivo. Il verde intenso di alberi, fogliame, erba
© foto di Giorgio Magini
e muschi contrapposto ai toni rossi e arancio di ruggine, laterizi e mattoni ed ai bianchi sporchi degli intonaci e delle murature. Le architetture dell’uomo soccombono al passare del tempo e ci ricordano come la nostra opera sia effimera”.
paginaquarantacinque
portfolio Giorgio Magini
© foto di Giorgio Magini
apocalittica “Un domani, quando l’essere umano sarà un’altra delle razze animali estinte, ciò che resterà a testimoniarne la presenza nei secoli saranno i suoi manufatti, le sue opere architettoniche. Ambienti ed edifici, un tempo vivi e brulicanti, ora vuoti e
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decadenti, progressivamente riconquistati da quella natura a cui erano stati strappati. Ciò che sbigottisce è il forte contrasto tra il progressivo deteriorarsi di ciò che è artefatto e il crescere rigoglioso di ciò che è vivo. Il verde intenso di alberi, fogliame, erba
© foto di Giorgio Magini
e muschi contrapposto ai toni rossi e arancio di ruggine, laterizi e mattoni ed ai bianchi sporchi degli intonaci e delle murature. Le architetture dell’uomo soccombono al passare del tempo e ci ricordano come la nostra opera sia effimera”.
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portfolio Marco Urso
Wildlife “D
opo essere stato per quasi trent’anni il responsabile di un Tour Operator internazionale ho deciso di cambiare lavoro e vita e dedicarmi alla mia passione di sempre: la fotografia.
Con i miei “compagni di viag gio”, appassionati fotografi, quando posso condivido principalmente mete naturalistiche e antropologiche, lontano dai circuiti turistici, per riscoprire gli aspet ti più veri dell’uomo e della natura”. La fotografia per Marco Urso è diventata così non solo un mez zo per sperimentare tecniche e liberare creatività, ma anche per ritrovare, nelle innumerevoli sfaccet tature della natura, i gesti e i valori più genuini e di conseguenza migliorare se stessi. Nelle immagini di Urso ci si ritrova spesso a emozionarsi per una scena di af fet to tra mamma e cucciolo nella savana africana piut tosto che constatare la disarmante semplicità e candore di certe popolazioni con una visione dell’esistenza antitetica rispet to alla nostra. “Tra queste “pieghe” di vita”, spiega Urso. “Si fa strada la mia passione per un media, la fotografia, che con l’av vento del digitale ha arricchito il proprio fascino creando motivi di conversazione e ag gregazione, senza nulla togliere ai ricordi dell’analogico e dei pomerig gi passati in camera oscura, accompagnato dall’odore acre dell’acido acetico e le foto appena sviluppate appese ad asciugare”.
pagina cinquanta
portfolio Marco Urso
Wildlife “D
opo essere stato per quasi trent’anni il responsabile di un Tour Operator internazionale ho deciso di cambiare lavoro e vita e dedicarmi alla mia passione di sempre: la fotografia.
Con i miei “compagni di viag gio”, appassionati fotografi, quando posso condivido principalmente mete naturalistiche e antropologiche, lontano dai circuiti turistici, per riscoprire gli aspet ti più veri dell’uomo e della natura”. La fotografia per Marco Urso è diventata così non solo un mez zo per sperimentare tecniche e liberare creatività, ma anche per ritrovare, nelle innumerevoli sfaccet tature della natura, i gesti e i valori più genuini e di conseguenza migliorare se stessi. Nelle immagini di Urso ci si ritrova spesso a emozionarsi per una scena di af fet to tra mamma e cucciolo nella savana africana piut tosto che constatare la disarmante semplicità e candore di certe popolazioni con una visione dell’esistenza antitetica rispet to alla nostra. “Tra queste “pieghe” di vita”, spiega Urso. “Si fa strada la mia passione per un media, la fotografia, che con l’av vento del digitale ha arricchito il proprio fascino creando motivi di conversazione e ag gregazione, senza nulla togliere ai ricordi dell’analogico e dei pomerig gi passati in camera oscura, accompagnato dall’odore acre dell’acido acetico e le foto appena sviluppate appese ad asciugare”.
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FINE ART
STORIE DI FOTOGRAFI E DI FOTOGRAFIA
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