e 12,00
01
Gennaio Febbraio 2019
anno VIII n.01
ESTRATTO FOTO
IMAGING
VIDEO
FINE ART
STORIE DI FOTOGRAFI E DI FOTOGRAFIA
IMAGE MAG GENNAIO n FEBBRAIO 2019
Roberto
Rocchi
Cara fotografia, tanti auguri La fotografia festeggia tanti compleanni, sin da quando Joseph Nicéphore Niépce scattò un’immagine dalla veduta dalla sua finestra a Le Gras. Nel 1841 l’inglese William Fox Talbot introdusse il negativo di carta, dando vita allo scatto riproducibile più volte. Un’altra ricorrenza celebra il 7 gennaio del 1839, quando lo studioso Francois Arago presentò all’Accademia Francese delle Scienze il lavoro di Louis Daguerre: la fotografia, che oggi dunque compirebbe 180 anni. Nel tempo, le candeline si sono accese per altre innovazioni: il rullino, il colore, le pellicole istantanee, le diapositive, il digitale; tanti testa - coda che hanno fatto evolvere la fotografia, rafforzandola potremmo dire, senza più
farla tornare indietro. Le invasioni barbariche digitali (scherziamo, ovviamente) hanno cambiato il nostro modo di vivere, modificando comportamenti, abitudini, addirittura cancellando strumenti e mestieri. La fotografia è rimasta solida al suo posto, testimone del tempo, quale strumento di conoscenza e documentazione. Le mostre sono sempre più frequenti (solo a Milano se ne contano trecento all’anno), così come i momenti formativi; addirittura sono comparsi romanzi a tema fotografico. Insomma, l’immagine fissa dilaga, con sempre delle novità estratte dal cilindro: se ne ha voglia, la desideriamo. Tanti auguri, fotografia.
COVER STORY
EDITORIALE
Mosè Franchi
1.CARA FOTOGRAFIA, TANTI AUGURI La fotografia compie 180 anni.
QUESTIONE DI LIBRI
68. LA BIBLIOTECA CHE VORREI I testi che non dovrebbero mai mancare nei nostri scaffali.
CAFÉ FOTOGRAFICO EVENTI&MOSTRE 14. PERSONE, FATTI, CURIOSITÀ Notizie da non perdere.
CONOSCIAMOLI MEGLIO
Roberto Rocchi 4. LE STORIE DESIDERATE
L’ALTRA COVER STORY
HI-END
PORTFOLIO
Un autore amatissimo e inimitabile, considerato il “fotografo della commedia umana”.
COMUNITÀ FOTOGRAFICA
Comitato editoriale Mosè Franchi, Roberto Mazzonzelli, Francesco Cito, Stefano Messina, Massimo Reggia, Lido Andreella
www.imagemag.it Direttore responsabile Mosè Franchi Direzione artistica Massimo Reggia
Progetto grafico Visiva S.r.l. - www.visiva-adv.it Realizzazione grafica Gino Durso Davide Lanzino, Ilaria Nigro
UNO DI NOI
72. DUE COME NOI
Le borse fotografiche, accessori spesso sottovalutati, ma che possono fare la differenza nel divenire della nostra passione.
16. IL MOVIMENTO COMPOSTO
Mostre, eventi, manifestazioni, fiere, workshop e seminari.
60. ELLIOTT ERWITT, L’IRONIA, L’INTELLIGENZA
64. LE BORSE DEL FOTOGRAFO
Lorenzo Scaccini
70. DA VEDERE & PER PARTECIPARE
66. INSTAGRAM, IL SOCIAL, L’ASSOCIAZIONE
Instagram è il “social” che adesso fa tendenza: scopriremo che ha anche un forte carattere locale, guidato com’è da un’Associazione.
Stampa Cortona Moduli Cherubini S.r.l.
Distributore esclusivo per l’Italia Consorzio Gruppo Immagine
Image Mag è una pubblicazione Consorzio Gruppo Immagine
Periodicità bimestrale
Redazione Consorzio Gruppo Immagine Viale Andrea Doria, 35 - 20124 Milano Tel. 02/23167863 e-mail: info@imagemag.it
La rubrica “Uno di Noi” raddoppia. Due, questa volta, sono i personaggi che entrano a farne parte: Vivian Maier e Francesca Diotallevi.
24. ROBERTO PESTARINO
LA NOTTE, IL VETRO, I RIFLESSI
30. ADOLFO VALENTE
INTIMITÀ DI UN INCONTRO
36. GIANLUCA POLLINI MOUNTAINS
42. ILARIA TOSCANO LA LUCE NEL BUIO
48. SIL CONTI
RACCONTI DI STORIE VERE
54. DARIO APOSTOLI SOGLIE
Image Mag è una testata registrata presso il Tribunale di Milano con autorizzazione n. 237 del 1 Giugno 2012
Prezzo copia 12,00 euro. Arretrati 20,00 euro. Abbonamento a 6 numeri: ritiro in negozio Photop 42,00 euro, spedizione postale 62,00 euro
È proibita la riproduzione di tutto o parte del contenuto senza l’autorizzazione scritta dell’Editore. L’Editore è a disposizione per regolare i diritti delle immagini i cui titolari non siano stati reperiti.
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Image Mag è la prestigiosa rivista bimestrale interamente dedicata alla fotografia e ai suoi interpreti. È l’espressione del desiderio di parlare ad appassionati di fotografia usando la lingua degli appassionati di fotografia. Una rivista che presenta immagini stupefacenti realizzate da celebri professionisti e lavori di appassionati che compongono gli epici portfolio, cuore e anima di questo straordinario magazine.
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LE STORIE DESIDERATE
ROCCHI
pagina quattro
Š foto di Roberto Rocchi
paginacinque
COVER STORY I GRANDI PROTAGONISTI DEL PALCOSCENICO FOTOGRAFICO
C
onosciamo Roberto Rocchi da molti anni e lo chiamiamo spesso, anche solo per scambiare due parole. Di lui ci piace il garbo, l’educazione innata, l’estetica che è già nella parola; e poi, un minuto non lo nega mai, anche se sta lavorando. Il tempo: da qui ci piacerebbe iniziare per parlare delle sue fotografie. Quello che ci offre, con i suoi scatti, sono frammenti di esistenza, forse solo d’idee o pensieri; piccoli “corti” da usare per salire su una “vita parallela”: vera, finta, auspicabile, comunque percorribile. Non siamo soli, dove ci accompagna Roberto; comunque troveremo un incontro, un’altra persona. Anche lì non sappiamo quale potrà essere il nostro destino, perché a un certo punto molto (o tutto) dipende da noi: da chi guarda. Non è poco quanto detto, perché ci muoviamo in un ambito dove la complicità domina sovrana. Si tratta però di un gioco a più mani: tra autore, soggetto e guardante; un’energia che si amplifica, sempre; solo per questioni di coerenza. Il merito di Roberto? Enorme. Riesce a mettere in fase emozioni e aspettative, perché le ha già percorse. I suoi scatti potrebbero fungere da incipit di romanzi, perché da lì parte tutto: forse il meglio. Già, perché quella “vita parallela” non è un treno fermo, ma un convoglio in corsa; e per salirci non bisogna pensare, bensì agire; prontamente poi. C’è dell’altro? Certamente. Tanta complessità merita un “terreno di coltura” abilitante; ecco quindi l’estetica, la cura del dettaglio, la composizione equilibrata, l’uso attento delle luci. Nei sogni, anche in quelli a occhi aperti, il disordine non esiste; compare semmai solo quello che serve. Del resto, “l’incontro possibile” non prevede il superfluo e nemmeno la ridondanza, ma insegue una storia. Desiderata, peraltro. Roberto, quando hai iniziato a fotografare? E perché? Ho iniziato per caso, forse come tanti. Era il ’67. Avevo in mano un diploma in ragioneria, con l’intenzione di proseguire gli studi presso la Facoltà di Economia e Commercio. La mia passione, però, era la pittura; e disegnavo anche molto bene. Ho trovato lavoro presso uno studio di pubblicità, mentre aspettavo di partire per il servizio militare. Tra le mie mansioni vi era anche quella di andare a consegnare le bozze e i provini ai fotografi. Fu uno di questi a chiamarmi presso il suo studio (Pierluigi Praturlon), con una proposta di lavoro: mi aveva preso in simpatia. Lui operava nell’ambiente del cinema ed era anche riconosciuto; aveva avuto un ruolo nella Dolce Vita e lo chiamavano “Il Capo”. Fino a allora non avevo mai tenuto una fotocamera in mano, ma l’ambiente mi piaceva: soprattutto quelle grandi foto che aveva alle pareti. “Mannaggia”, dissi, “Mi piacerebbe lavorare qui, ma mi aspetta la naja”. “Ti mando mio fratello”, aggiunsi.
pagina sei
Insomma, sei partito per il servizio militare e hai trovato lavoro a tuo fratello... Esatto. Il mio rapporto con la fotografia è iniziato lì, se pure con mio fratello; anche perché tempo dopo mi ha ricambiato la cortesia: un laboratorio lo cercava e lui ha mandato me. Ho lavorato alcune settimane per un fotografo, poi ho declinato. Tempo dopo mi ha contattato ancora, perché cercavano un assistente. Era la Balsamo Editore: lì iniziava realmente la mia carriera. Provavi passione per la fotografia? Onestamente no, ma era tanto vicina alla mia pittura: entrambe avrebbero permesso di esprimermi. “Dipingevo con la luce”, potrei dirti; ma l’affermazione, agli occhi di oggi, appare più come una battuta. È straordinaria la semplicità con la quale tu e tuo fratello trovavate lavoro... Io fui assunto subito da Balsamo Editore: allora succedeva. Ho anche dei bei ricordi, perché sono rimasto lì per undici anni, cui sono seguiti i cinque di Rizzoli. Un bel giorno però Rizzoli... Lo sappiamo, chiude; ma io ho continuato a portare avanti la mia fotografia: quella fatta di celebrità e glamour (termine che non amo, anche se esplicito),
particolarmente in Francia e Germania. C’è stato un momento nel quale ti sei detto: “Ce l’ho fatta”? C’è stato sicuramente, anche se l’ho vissuto non percependolo a fondo. Dopo qualche mese con Playboy, mi affidavano le cose importanti; il che era un bel segnale. Credo di aver trascorso alcuni anni significativi, anche se non sono mai stato un carrierista. Col senno di poi, avrei potuto raggiungere obiettivi maggiormente prestigiosi; probabilmente sarebbe bastato cambiare città. Io stavo bene a Roma, però; e la mia storia è andata avanti da sé. Una carriera come la tua deve essere piena di episodi particolari, curiosi; te ne ricordi alcuni? È vero, avrei tanto da raccontare. Ricordo con affetto il primo servizio. Ero “in panchina”, allora; questo per spiegarti che vestivo ancora i panni dell’assistente. C’era il Festival di Avignone e dovevamo produrre un servizio su un gruppo teatrale d’avanguardia, scattando di sera. Gli attori erano romani e simpatici; nacque persino un’amicizia. Tutto andò bene, soprattutto per merito loro: erano belli; avevano i capelli lunghi e gli sguardi accesi. Bello, l’episodio. In esso c’è tutto: la
L’ALTRA COVER STORY NUOVE TENDENZE ALLA RIBALTA DELLA FOTOGRAFIA
LORENZO SCACCINI
IL MOVIMENTO COMPOSTO Incontriamo Lorenzo Scaccini, fotografo milanese, e ci sarebbe piaciuto farlo da tempo. Ci lega un’amicizia profonda, fatta di fotografia, ma anche d’altro. Di lui, tra le tante cose, ci piace la coerenza: si comporta alla stessa maniera in studio, fuori, a cena, con gli amici. Proprio per questo, prima di fare il fotografo lui ne incarna l’essenza, scoprendo e accettando il proprio essere, senza false impostazioni. Insomma, in lui non c’è finzione, il che lo rende preferibile dai soggetti che ritrae abitualmente. Già, Lorenzo si occupa di bambini, con sensibilità. Scopriremo che li fa giocare, correre; che li tratta “da bambini”: col rispetto di chi li ama davvero. Ci ha messo a disposizione molti scatti (grazie!), tutti da gustare: fino in fondo. C’è movimento, in quelle immagini, perfino teatralità; ma poi, anche la forza della composizione: quella di chi ha avuto timore della strada che stava per intraprendere, pur avendo scelto (forse) molto tempo prima. Ci dice di quanto abbia sperimentato agli albori del mestiere, e non stentiamo a credergli. Quanto ci restituisce è frutto della “palestra” e delle idee; dei progetti e della volontà. Lo incontreremo ancora, Lorenzo: con altri lavori. Dove arriverà, sarà costretto ad aspettarci. Se lo farà, saremo lì per capire. Come oggi, in un mondo bambino, tra movimento e composizione. Parcheggiamo nel cortile dello studio. Lui, Lorenzo Scaccini, ci apre il portone; dentro: il mondo dei sogni, e forse qualcosa in più. Bank, flash, rotaie, fondali, pannelli riflettenti, banchi ottici, tanto spazio. Su una colonna: un metro che misura l’altezza arriva a 1,50, per i bambini. Più in alto una tacca: arriva a 2,09; è di Danilo Gallinari, campione nostrano della NBA, nonché figlio d’arte. Vittorio, suo padre, a Milano ha vinto tutto, anche se al tiro non la metteva neanche in una vasca da bagno. “Danilo è venuto a trovarci per una campagna”, ci dice Lorenzo, “Così abbiamo inciso la tacca”. Entriamo nell’ufficio. Foto alle pareti (riconosciamo Maldini, Donadoni), il computer sul tavolo e una chitarra sul divano. “È la mia passione di oggi”, ci spiega riferendosi allo strumento, “Suono qui ed anche in casa, dove peraltro ho una Martin”. “Lo faccio per me stesso, nulla d’impegnativo”. “Mi piace, ecco tutto; così ripercorro il country di Crosby, Still, Nash, & Young”. Questo è stato il primo contatto con Lorenzo, quello di due bambini (chi scrive e Lui) animati da passioni coerenti, portate avanti con la curiosità di chi gioca: ancora oggi.
pagina sedici
Š foto di Lorenzo Scaccini
paginadiciassette
PORTFOLIO Roberto Pestarino
LA NOTTE, IL VETRO, I RIFLESSI È una ricerca acuta, quella che ci troviamo di fronte. Profonda. Scovare i rifessi nelle vetrine, di notte, evitando i passanti, è un po’ come cercare se stessi. È una questione di armonie, assonanze, simmetrie, colori; ma anche espressioni: quelle dei manichini, testimoni muti del tempo e delle tendenze, delle passioni o dei tormenti più comuni. Vogliamo pensare che il portfolio di Roberto Pestarino rappresenti anche un avvicinamento, una via d’ingresso alla fotografia che potrebbe portarlo altrove. “È il primo progetto serio che seguo”, ci dice; il che parla di un approccio attento e vagliato, di una persona che peraltro per lungo tempo ha sempre rifiutato la fotografia (parole dell’autore). Del lavoro ci sono piaciuti i titoli, ulteriori interpretazioni dell’astratto che viene proposto. Lì scorgiamo i modelli mentali, i riflessi (sempre loro) ai sentimenti umani più comuni, ma anche molti richiami al mondo artistico (Modigliani, De Chirico). Vi sono altri paralleli da poter fare, uno tra tutti quelli con Saul Leiter. Il fotografo americano si è avvicinato molto alla street photography, essendone stato un interprete vivace. Oltretutto, spesso dalle vetrine esaminava la città, la gente, oltrepassando i riflessi. Si tratta di un altro punto di vista, forse; ma la ricerca è la medesima, sviluppata sullo stesso piano. Sarà il tempo a fornire le sue risposte e aspettiamo Roberto anche altrove: al di là della notte, del vetro, dei riflessi.
pagina ventiquattro
Š foto di Roberto Pestarino - Gioco cinese
paginaventicinque
Chiara Š foto di Adolfo Valente
pagina trenta
PORTFOLIO Adolfo Valente
INTIMITÀ di un INCONTRO Nomi che si susseguono nell’elenco dei file: Bianca, Chiara, Ilaria, altre, tutte donne; questo ci appare quando apriamo la cartella ricevuta da Adolfo Valente, l’autore del portfolio. Poco, molto poco, rispetto a quanto possiamo scorgere aprendo ogni singolo file. Potremmo parlare della raffinatezza, dello stile, perfino di una composizione accurata e di una complessità (soggetto – contesto) ben gestita. Non basterebbe, però, a descrivere la vera sostanza che abbiamo sotto gli occhi. Andiamo con ordine. Adolfo (lo conosciamo da anni) non scatta a caso. A lui non bastano sensazioni superficiali per fare click, quelle che nascono da uno scenario gradevole, da una persona piacente, da una circostanza per ricordare. La sua ricerca è intima, profonda; un terreno di scambio dove occorre portare in dote un’intimità dedicata, un desiderio profondo. Quand’è così, con l’estro di un regista, Adolfo mette in moto il proprio pensiero fotografico: propone e chiede, come in qualsiasi appuntamento di livello. Ecco che allora prende forma un racconto a due, tra dare e avere; ma anche una sorta di vita parallela (storia anch’essa) che come una scaglia fugge dal tempo del momento, per dipanarsi nella fantasia e nelle idee. Si troveranno soli i due, fotografo e soggetto; ma ricchi entrambi di una dote ricevuta in dono, quella di una vita possibile, diversa; un testa coda tra oggi e domani, vero, plausibile, percorribile. Storia e racconto sono anche questo: la forza della possibilità proponibile nell’intimità di un incontro.
paginatrentuno
PORTFOLIO Gianluca Pollini
Mountains “Mountains” è il lavoro dal quale sono state tratte le immagini che vediamo. A proporcele è Gianluca Pollini, fotografo bolognese, che da subito offre alla nostra vista un paesaggio di qualità, per rigore compositivo e B/N d’altri tempi. Immaginiamo che anche le eventuali stampe (acquistabili) seguano la stessa falsariga. Che dire? È bello tuffarsi nelle fotografie di Gianluca. Ci si appoggia allo schienale, allacciando le mani dietro la nuca, e si guarda: con rispetto. In ogni scatto, i centri dell’attenzione sono molteplici; e lo sguardo insegue l’equilibrio, alla stregua di un vento leggero che soffi tra i bianchi (puliti), i neri (profondi) e una gamma tonale intensa e suadente. Cambiamo immagine e riconosciamo quella montagna, ne indoviniamo
© foto di Gianluca Pollini
pagina trentasei
il nome, percependone la potenza e il potere. È lei a comandare, a dettare le regole; e Gianluca ne imbriglia il mistero con la maestria del suo obiettivo. Vibra un mugolio nascosto, in quanto vediamo; una sorta di brusio sottile che ci parla di silenzio, intimità, istante eterno. Ci viene in mente anche Ansel Adams. “Non ci sono regole per una buona fotografia”, diceva, “Ci sono solo buone fotografie”; e crediamo che l’aforisma calzi bene per il lavoro di Gianluca. Siamo però indotti a pensare come qui il tempo la faccia da padrone: senza misura e nemmeno frammenti; un lungo incedere tra nubi e cieli scuri, aliti di bianco che sfiorano le vette. Il tutto è già domani: oltre la storia, la nostra vita, e quanto ci è concesso di vedere.
paginatrentasette
PORTFOLIO Ilaria Toscano
LA LUCE NEL BUIO Correva l’anno 1949, il fotografo Gjon Mili e lo staff della rivista LIFE fecero visita a Picasso. Mili parlò all’artista di una delle sue tecniche fotografiche: collegava delle piccole luci sulle lame dei pattini dei pattinatori di ghiaccio e li ritraeva mentre danzavano nel buio. Picasso ne rimase incuriosito, ma anche affascinato. Alla fine posò per il fotografo albanese durante cinque sessioni. Nacquero così i “Disegni di luce di Picasso”, fonte d’ispirazione per Ilaria Toscano, la fotografa autrice del lavoro che vediamo. Tutto il portfolio ci appare originale, proprio per la sua artigianalità. Traspare comunque una sorta di spiritualità, dove, tra buio e luce, è il tempo a mettersi in mostra: quello che diviene e che enfatizza i gesti. Anzi, è proprio lì che inizia la ricerca di Ilaria: studiare un’azione che possa esprimersi nell’oscurità, di per se stessa, come soggetto principale. E allora Lei si mette a leggere, a misurare, a comprendere come una movenza possa raccontare semplicemente manifestandosi. È tutta una questione di tempo: quello discontinuo, però; fatto per il fotografo. Sarà lui a conferirgli armonia, come nelle immagini che vediamo: di luci nel buio, appunto.
pagina quarantadue
Š foto di Ilaria Toscano
paginaquarantatre
PORTFOLIO Sil Conti
RACCONTI DI
STORIE VERE Sil ci tiene a dirlo: “Creo racconti tratti da storie vere”. L’affermazione è decisa, perentoria, e rimbomba solo a rileggerla. In fotografia può esistere un racconto non vero? Semplicemente falso? È difficile, perché per esserlo dovrebbe anche ingannare, cioè trasmettere sentimenti non plausibili, dissonanti addirittura. Però Sil (nome d’arte di Silvia) ha le sue ragioni, per il modo col quale sceglie, sviluppa e interpreta le storie che desidera narrare. Lei le trova da più parti, osservando sempre, senza mai soffermarsi dove il lavoro le risulterebbe più semplice, o a portata di mano. A volte sono i dettagli a emergere, delle semplici posture; in altre occasioni le figure intere o anche dei ritratti ambientati. Un fronte d’intervento così ampio presuppone una “certificazione” personale, la stessa che possa affermare, senza indugi: “Tutto vero, dovete saperlo”. Non è solo una questione di verità, quindi; ma nell’affermazione esiste una dichiarazione d’intenti profonda e assoluta, che poi è quella dell’impegno: assiduo, continuo, costante. Sil le storie le cerca, le vuole, le sente già dal sentimento, dalla passione che ne sgorga. Il racconto, nel suo caso, non può che essere stretto, preciso, verticale, attinto poi da un bacino ampio. Di storia vera si tratta, quindi; per l’appunto.
pagina quarantotto
Š foto di Sil Conti
paginaquarantanove
PORTFOLIO Dario Apostoli
Soglie © foto di Dario Apostoli
pagina cinquantaquattro
La SCELTA
Franco Fontana
di
Da anni Franco Fontana tiene workshop in ogni angolo de mondo: delle avventure “tutta in salita”, dove gli studenti vengono spinti a essere liberi, a “rendere visibile l’invisibile che è dentro di loro”. È l’identità di ciascuno a saltar fuori, l’autonomia creativa che appartiene a tutti. Sono nati così “Quellzi di Franco Fontana”; che sicuramente rappresentano un movimento nuovo, un’ondata d’energia nel panorama della fotografia. Hanno seguito i Workshop del Maestro: alcuni di loro compiendo i primi passi, altri affermandosi; di sicuro tutti prendendo coscienza di se stessi. Il progetto parte da lontano, ma il proselitismo ha convinto il Maestro, ed anche tanti alunni, a rischiare; perché senza una posta in gioco non si arriva a nulla. Sono così nate tante mostre, tenute su tutto il territorio nazionale. Da questa volta, e per ogni uscita di Image Mag, Franco Fontana ci proporrà un autore tra “Quelli di …”. I fotografi che impareremo a conoscere hanno cercato di mostrare un loro mondo, viaggiando fuori e dentro loro stessi. Da parte nostra rimarrà la sensazione nell’aver allungato un viaggio, testimoni a nostra volta di quando gli autori erano lì, di fronte al loro “vedere”, col tempo che si è fermato per le ragioni dell’anima.
paginacinquantacinque
CONOSCIAMOLI MEGLIO GLI AUTORI, IL LINGUAGGIO, LO STILE
ELLIOTT ERWITT,
L’IRONIA, L’INTELLIGENZA “IO MI CONSIDERO UN “PROFESSIONALE”, MA LE FOTOGRAFIE CHE AMO SONO QUELLE CHE FACCIO PER HOBBY”
UNA MOSTRA PER COMPRENDERE E RISCOPRIRE ELLIOTT Abbiamo visitato la mostra Personae, di Elliott Erwitt, presso le Sale dei Paggi della Reggia di Venaria (TO). La stessa rimarrà installata fino al 24 febbraio. La retrospettiva è composta da immagini sia in bianco e nero che a colori. I suoi lavori “monocromatici” rappresentano delle icone della fotografia, mentre la sua produzione a colori è quasi del tutto inedita, più rara a vedersi. Il percorso espositivo mette in evidenza l’eleganza compositiva, la profonda umanità, l’ironia e talvolta la comicità del grande fotografo americano: tutte caratteristiche che rendono Erwitt un autore amatissimo e inimitabile, considerato il “fotografo della commedia umana”. PREMESSA Non è facile parlare di Elliott Erwitt. Abbiamo visto più volte le sue immagini, tra mostre e libri; il destino ci ha anche concesso il privilegio di stringergli la mano, ma ogni volta ci troviamo al punto di partenza. Sì perché il suo lavoro, facile a digerirsi, divertente persino, svanisce in una bolla di sapone, rilanciando significati ulteriori, allungati in idee e riflessioni. Molti suoi colleghi ci hanno parlato di lui (anche questo ha rappresentato un privilegio). Gianni
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USA. Reno, Nevada. 1960. ‘The Misfits’ © Elliott Erwitt/MAGNUM PHOTOS
CONOSCIAMOLI MEGLIO GLI AUTORI, IL LINGUAGGIO, LO STILE
USA. Las Vegas, Nevada. 1957. Showgirls. © Elliott Erwitt/MAGNUM PHOTOS
Berengo Gardin, amico di Erwitt, nonché coautore del libro “Un’amicizia ai sali d’argento”, ne riconosce il valore iconico assoluto, la capacità di indagare la persona, la sensibilità, l’ironia, la profondità del lavoro. Ferdinando Scianna, collega in Magnum, nel suo libro (un capolavoro) “Obiettivo Ambiguo”, quasi ne attribuisce un valore terapeutico. Il fotografo siciliano suggerisce di conservare un volume di Erwitt nella cassetta del pronto intervento, per i momenti bui! Subito dopo, però, ne conferma l’intelligenza, la capacità di saper far coesistere, nella stessa immagine, significati contrapposti. Qual è la verità, allora? Perché, personalmente, di fronte alle fotografie di Erwitt ci sentiamo incompleti? Del resto sarebbe troppo semplice goderne della sola ironia, anche perché c’è molto dell’altro. Alle volte ci siamo anche commossi, esplorando Erwitt; e poi meravigliati, con un senso di sbigottimento e gratificazione. Ecco allora l’idea: nel corso dell’articolo cercheremo di approfondire l’autore, nel tentativo di trovarne l’elemento ispiratore, la scintilla illuminante, ripercorrendo pure la sua vita. Alla fine ripartiremo dall’America, la sua, la nostra; la nazione che l’ha accolto sin dall’infanzia e che forse gli ha offerto la possibilità di guardare come lui avrebbe voluto, ancor prima di donarci le tante icone della sua carriera. Forse si tratta di un atto presuntuoso, ma noi lo intraprenderemo con tutto il rispetto possibile, consci di trovarci di fronte a un gigante della fotografia.
RIFLESSIONI COMPOSITIVE Siamo in California, nel 1956. Lo specchietto di un’auto riflette due amanti che si baciano. I denti di lei sono bianchissimi, l’amore trabocca. La composizione e di quelle classiche: vige la regola dei “terzi”, ma il tutto vive tra il centro d’attenzione (il retrovisore, appunto) e il contesto: quel mare sfocato a restituire certezza, forza, racconto. Ecco quindi gli elementi contrapposti, che esistono in bilico tra loro e non solo per una questione estetica. I flutti sullo sfondo, fuori fuoco, non “impastano” il contenuto, ma consentono a chi guarda di costruirsi una propria visione dei fatti, una storia che gli appartenga. Altro esempio. Siamo in Francia questa volta, esattamente in Provenza (1955). Scorgiamo una bicicletta, un uomo ai pedali e un bambino seduto dietro. Due baguette giacciono sul portapacchi. Qui emerge un’altra caratteristica del pensiero fotografico di Erwitt: quella saper godere della vita, e dei suoi piaceri, attraverso la fotografia. La costruzione compositiva è imponente, con le linee guida che ci portano lontano, oltre il soggetto. Il resto è dolcezza, intimità persino, col bambino che guarda il fotografo in bilico tra pane e padre (forse), tra affetto e bisogno soddisfatto.
a volte anche ironici, ma sempre in grado di suscitare empatia nell’osservatore. Ciò che emerge da queste fotografie sono le emozioni proprie degli esseri umani, viste e rappresentate in modo semplice e schietto, e sempre caratterizzate da un tocco di umorismo. Erwitt ha avuto modo di dire: “Uno dei risultati più importanti che puoi raggiungere, è far ridere la gente”. “Se poi riesci, come ha fatto Chaplin, ad alternare il riso con il pianto, hai ottenuto la conquista più importante in assoluto”. “Non miro necessariamente a tanto, ma riconosco che si tratta del traguardo supremo”. Anche qui riconosciamo il contrapporsi di due entità separate, di due sentimenti lontani, suffragati appunto dal riso e dal pianto. Il fotografo ha sempre nutrito grande stima per Chaplin, che più volte ha detto (parafrasiamo): “La felicità sta nella gioia di essere tristi”. Forse Erwitt ha condiviso con il regista la visione della vita, quella che accenna, dichiara, esige, restituisce; ma che alla fine, col passare del tempo, smussa gli angoli. La malinconia diventa così un sentimento a tendere, il risultato dei ricordi, il mescolarsi continuo di sensazioni dissimili, come appunto quelle del pianto e del riso.
FOTOGRAFIA E IRONIA Erwitt con i suoi scatti ci offre una visione del mondo molto personale, che ignora per lo più il paesaggio, per concentrarsi quasi esclusivamente su persone e animali, colti in atteggiamenti molto spesso insignificanti e
Torniamo all’inizio, a quanto abbiamo affermato nelle premesse. Erwitt sembra facile, soprattutto quand’è ironico; ma la visione si allunga, oltre il momento e le persone. Il suo segreto sta proprio nel chiamare in causa sentimenti “grandi”, universali, definitivi. Ogni fotografia
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