photoSHOWall la mostra in studio

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La mostra in studio



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La mostra in studio


La mostra in studio

Fotografie di Barbara Cerri

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La mostra in studio

Fotografie di Barbara Cerri

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La mostra in studio

Fotografie di Barbara Cerri

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La mostra in cartolina (Milano) photoSHOWall

Fotografie di Barbara Cerri

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La mostra in cartolina (Pavia) photoSHOWall

Fotografie di Barbara Cerri

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Le opere in mostra

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ANTALAYA CITY Barbara Cerri

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E' un lavoro che nasce da un viaggio in Turchia dove civiltà e cultura, così diverse, riescono a catturare grande curiosità e interesse. Mercati di mille colori, tram, insegne... per le strade c'è chi lavora, passeggia e chi prega.. Gli occhi si appoggiano freneticamente in quel “caos tranquillo” dove il tutto è ordinato e il ritmo è quasi lento.

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Tutte le cose nuove creano spiazzamenti psicologici e, come in questo caso, visivi. Ciò è dovuto al fatto che ci siamo abituati a particolari modalità che abbiamo finito per considerare inamovibili e indiscutibili. Quando prendiamo in considerazione una mostra fotografica, per esempio, ci scatta in automatico un progetto molto preciso che prevede stampe inserite in passepartout e contenute in cornici che vanno appese in parete accompagnate da didascalie e un testo di presentazione. Poche le variabili previste: stampe di più o meno elevata qualità, fotografie al vivo senza passepartout, strutture cui appendere le fotografie quando muri di pregio non consentono di utilizzare chiodi.

photoSHOWall, oltre l’allestimeto

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La proposta di photoSHOWall cambia molto e, proprio per le sue caratteristiche innovative, necessita di una più attenta valutazione e di una precisa descrizione. Dal punto di vista tecnico si tratta di una struttura modulare costituita da una serie di elementi accostati fra di loro ognuno dei quali funge da cornice che contiene al suo interno uno spazio da utilizzare in molti modi il più semplice dei quali è quello di ospitare una lastra quadrata di forex su cui è stata stampata direttamente una fotografia. Poiché queste sono in genere rettangolari, la stampa prevede un bordo esterno bianco o nero che funge da passapartout su cui si può anche stampare se lo si crede opportuno il nome dell’autore o una intera didascalia. Una o più cornici possono contenere, invece, titolo, dati e/o un testo critico introduttivo.

photoSHOWall può essere realizzato in versione ad isola autoportante che consente ai visitatori di girarle attorno: in tal modo si possono utilizzare sia le due pareti parallele fronte/retro sia quelle più piccole laterali. Esiste anche la possibilità di realizzare una sola facciata da addossare a una parete. Una importante variabile introdotta dall’uso di queste strutture è quella di prendere una fotografia, ingrandirla e stamparne le singole parti così da avere un particolare effetto molto spettacolare di scomposizione. Ovviamente in questo caso occorre scegliere una fotografia che si presti ad essere scomposta Questo consente di muoversi su due piani mettendo in sintonia mondi che, stranamente si ignorano, quello delle mostre esposte in musei e gallerie e quello dell’arredamento e dell’architettura di interni. Perché gli stessi autori che vengono spesso ammirati in un luogo espositivo possono nobilitare uno spazio privato, un salotto, una sala riunioni, un ufficio. L’elemento di connessione, oltre alla struttura che lo rende possibile, è il compito svolto da un critico che sappia scegliere i fotografi e proporre immagini che siano in sintonia che le richieste dei clienti. Per questo ogni proposta verrà accompagnata da un breve testo critico che racconti, nobilitandola, la scelta delle fotografie proposte. Ovviamente, come sempre succede in questi casi, il nuovo non cancella mai quanto lo precede come il presente si accosta ma non elimina il


passato, almeno per chi ha l’intelligenza per capirlo. Quindi PhotoshoWall non è in contrasto con una mostra classica né la sostituisce, ma la affianca e l’accompagna. Allo stesso modo le fotografie che inserisce nella sua struttura sono multipli diversi per finalità e intenti dalle stampe fine art firmate e numerate destinate al mondo del collezionismo. Anche qui c’è da battere qualche convenzione ormai radicata perché, se fino a qualche anno fa erano in pochi a tenere nella giusta considerazione la fotografia d’autore, ora si è passati ad uno strano atteggiamento opposto che induce ad avvolgere ogni immagine di una sorta di sacralità che guarda con sospetto ad ogni utilizzo che non sia considerato artistico. Gli interlocutori fra i fotografi per i quali è stato pensato questo progetto sono quindi coloro che considereranno le loro opere da diversi e non contrapposti punti di vista che consentano loro di venderle come stampe da collezione ma anche come elementi da inserire in un arredamento. Una ulteriore considerazione riguarda, infine, le potenzialità espressive di photoSHOWall. Da un lato questo concerne l’estrema varietà di supporti di stampa perché, oltre al citato forex, possono essere utilizzati il laminato metallico, il perspex che consente anche la possibile retroilluminazione e altri materiali (senza escludere anche la classica stampa su carta di pregio con relativo passepartout che può appoggiare sul fondo rigido della struttura. Dall’altro introduce una singolare variazione sul tema: poiché ogni elemento può essere impostato

all’interno delle cornici a profondità diverse, è possibile fare in modo che alcuni elementi dell’immagine scomposta emergano rispetto agli altri che restano sullo sfondo creando un originale effetto di profondità. In tal modo lo sguardo, spostandosi dal centro dell’immagine ai suoi lati, può vedere l’immagine “animarsi”. È quanto succede al critico che analizza l’insieme e apprezza la composizione ma quando deve parlare della fotografia valorizza quei particolari che, emergendo, fanno in modo che l’immagine sia più viva e faccia immaginare racconti, testimonianze, notazioni. Quelle capaci di vivificare una parete e non renderla mai statica agli occhi di chi la osserva. Tutte queste considerazioni portano a ribadire che non siamo semplicemente di fronte a una o più strutture espositive: fermarsi a questo aspetto significherebbe, infatti, sottovalutare le potenzialità del progetto che apre a nuove prospettive sia dal punto di vista estetico sia da quello del concetto stesso di utilizzo e valorizzazione dell’immagine fotografica che non esclude di accostare alla realizzazione fisica una sua variabile virtuale. È a questo punto evidente il valore di una regia complessiva e qui emerge l’importanza cruciale della figura del critico. Alcuni di questi imitano il loro campo d’azione alla pura analisi dei lavori dei fotografi, alla stesura di testi, alla supervisione degli allestimenti mentre altri – e sono quelli che ci interessano – assumono un ruolo assai più complesso che implica la conoscenza dell’ambiente, la ricerca e valorizzazione di nuovi autori, la curiosità

che spinge a cercare soluzioni innovative, una competenza che si estende anche a tutti gli aspetti tecnici che molti colpevolmente ignorano come se la scelta di un supporto, di una cornice, di un tipo di illuminazione fossero qualità secondarie. In sintesi un critico dovrebbe dotarsi di quella sensibilità generale che risulta indispensabile a chi è chiamato ad essere una vera guida per tutti i soggetti in campo cominciando dai fotografi per concludersi con i fruitori e i collezionisti. In questo caso il critico diventa così un vero e proprio regista che deve essere capace di comprendere quali e quanti sono i fotografi che possono essere coinvolti, che genere di opere valorizzare visto che non tutte si prestano a una scomposizione, in quali strade tradizionali ribadire la propria presenza, in quali nuove tracciare un percorso innovativo. Perché in questa fase storica in cui compare – in una quantità così massiccia da rischiare una sorta di bulimia della visione – quella che Joan Fontuberta chiama postfotografia, è necessario mettere in comunicazione il passato con il futuro. Per recuperare in un dialogo costruttivo la qualità e la passione ereditate dalla storia con le nuove esigenze di una contemporaneità che vuole confrontarsi nella stessa misura con la fisicità di un allestimento reale e con l’immaginifico di uno virtuale. Roberto Mutti

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