17 graffi - Piazza Fontana 50°

Page 1

“17 graffi” Piazza Fontana 50° la mostra, progetto speciale iGIGANTI photoSHOWall


“ 17 graffi ” Piazza Fontana 50°

2


a cura di Stefano Porfirio promossa da Associazione Piazza Fontana 12 dicembre 1969 e Casa della Memoria Milano progetto espositivo a cura di Davide Tremolada Intraversato allestimento la galleria temporanea photoSHOWall

progetto speciale iGIGANTI photoshowall a cura di Roberto Mutti

comunicazione De Angelis Press testo critico di Luigi Erba

3


Giovanni Arnoldi _ fotografia di Mauro Pinotti _ poesia di Gianni Bombaci Giulio China _ fotografia di Silvio Canini _ poesia di Roberto Uggeri Eugenio Corsini _ fotografia di Francesco Cito _ poesia di Pier Paolo Pasolini Pietro Dendena _ fotografia di Marina Alessi _ poesia di Matteo Dendena Carlo Gaiani _ fotografia di Andrea Rossato _ poesia di Rossana Oriele Bacchella Calogero Galatioto _ fotografia di Paolo Scarano _ poesia di Susan Moore Carlo Garavaglia _ fotografia di Emanuela Viaro _ poesia di Erica Regalin Paolo Gerli _ fotografia di Stefania Mantelli _ poesia di Federica Giuliani Luigi Meloni _ fotografia di Gianni Macheda _ poesia di Frediano Tavano Vittorio Mocchi _ fotografia di Paola Rizzi _ poesia di Giuseppe Langella Gerolamo Papetti _ fotografia di Adolfo Violini _ poesia di Federico Klausner Mario Pasi _ fotografia di Graziano Perotti _ poesia di Melina Scalise Carlo Perego _ fotografia di Gianni Berengo Gardin _ testo di Roberto Mutti Oreste Sangalli _ fotografia di Antonio Grassi _ poesia di Agnese Coppola Angelo Scaglia _ fotografia di Massimo Lagorio _ poesia di Mauro Toffetti Carlo Silva _ fotografia di Raoul Iacometti _ poesia di Federico Balzarini Attilio Valè _ fotografia di Angelo Raffaele Turetta _ poesia di Silvestro Serra

4


Piazza Fontana Avrei voluto scrivere…poi scrivere ancora di questa memoria presente, di un eterno ritorno dell’evento. Enrico Deaglio... nel suo recente libro “La bomba Cinquant’anni di Piazza Fontana” scrive infatti... “Non ha mai smesso di cambiare l’Italia, quasi fosse una massa incandescente nel sottosuolo, che continua a bruciare.” Emblematica a tal proposito la foto di Silvio Canini, un cratere nella natura dovuto allo sradicamento di un albero, una lacerazione della terra, simile a uno sventramento nei pressi di una trincea. L’accompagnano le parole di Roberto Uggeri... “Dalla medesima terra nascono ancora vite che vigilano, osservano, testimoni di altri giorni possibili crescono su nuove radici” (vittima Giulio China). Questa mostra “17 graffi” infatti nasce dalla simbiosi di un fotografo e un poeta-scrittore, ma la sua profondità sono le diciassette vittime a cui è dedicato singolarmente ogni lavoro e testimoniato da chi è rimasto. Figli, parenti divengono le anime di un progetto della coralità, della storia, della testimonianza, della memoria. Le “nuove radici”. Ma qui mi nasce un’associazione, quasi un ossimoro, quelle linfe vitali mi scavano nel profondo…” Come questa pietra del San Michele così fredda così dura” (Ungaretti). Ed è “pietra” la foto della nuova piastrella che Berengo Gardin realizza nello stesso punto dove venne depositata la borsa

esplosiva: è un’operazione di concetto attraverso la fisicità emblematica di un oggetto simbolico, una sutura, di una ferita sempre aperta e “un silenzio interiore” (Roberto Mutti). È diametralmente opposta al cratere di Canini nella sua drammatica fisicità (vittima Carlo Perego). Potrebbe essere la fine, la chiusura della mostra che idealmente si apre con un altro oggetto, fisicamente tangibile, anch’esso simbolico, la maniglia della porta della banca di Stefano Porfirio, fotografata come un prodotto di design. E’, come scrive Benedetta Tobagi, una soglia, un confine tra il prima e il dopo la strage, tra il pensiero passato e quello presente. Siamo anche qui nel contesto di una connotazione simbolico nodale: prima gli aguzzini, poi le vittime l’hanno toccata in differente breve lasso di tempo. Lì si sono incontrati, ma in realtà questa è la diciottesima foto. Un proemio! Se in queste ultime due immagini la memoria è riportata attraverso una fotografia apparentemente pulita, di documentarietà simbolica, altrove è invece ricostruzione dell’evento stesso, di una specifica memoria, un ricordo. È Raoul Iacometti con il poeta Federico Balzarini che riporta Paolo, il figlio della vittima Carlo Silva, nello stesso luogo fuori dalla Banca, dove l’aveva lasciato il padre, come se vivesse una nuova deflagrazione, una memoria continua. Così Mauro Pinotti che ritrae il figlio di Giovanni Arnoldi, Carlo, che seduto in una sala cinematografica dallo schermo bianco, è attratto da un evento e osserva nella relativa direzione nella finzione “filmica” di un testo in cui Gianni Bombaci ci ricorda la passione cinefila della vittima. Poi una stretta di mano (fotografo Adolfo 5


Violini) con lo sfondo di una cascina. Gerolamo Papetti che nel giorno dello scoppio aveva appena siglato l’accordo di un acquisto che si chiudeva con una stretta di mano (“...Mano di un accordo spaccato…mano aggrappata alla cascina” ... Federico Klausner). Il luogo, la terra, la casa che ritornano nell’immagine di Paola Rizzi con un trattore all’interno di un capannone e due persone sulla porta: sono i figli della vittima Vittorio Mocchi che il giorno prima dell’attentato aveva acquistato quel trattore presso cui sono fotografati...” Eri proprio come il tuo trattore: scoppiettante, sicuro, tenace”... (Giuseppe Langella) Mi sembra che in questo contesto si possa delineare uno dei motivi trasversali che sottointendono l’iconografia della mostra, quello della natura a cui erano ovviamente legati gli operatori agricoli che frequentavano la Banca dell’Agricoltura. Natura lacerata, terra simbolica, metafora, apparente ossimoro di un naturalismo che qui non esiste, anzi sepolcro, sindone ma sempre terra sudario, condizione di vita. Continuiamo con Andrea Rossato. Un campo con alberi: come dice Rossana Oriele Bacchella sembrano…”scheletre braccia alzate al cielo grigio in muta preghiera….per il ricordo di Carlo Gaiani ; quindi Antonio Grassi che nella natura costruisce con pietre un metaforico orologio del tempo, simbolo universale della vita in diverse civiltà. È interrotto da un altro orologio infilzato da un pugnale sulle 16.37, simbolicamente al centro due cappelli... “Qualcuno dice erano due amici/il loro tempo si è fermato...” (Agnese Coppola per Oreste Sangalli). Il copricapo ritorna in tutto il suo significato ancestrale del mondo contadino nella composizione di Massimo Lagorio. Appeso ad una sedia 6

sullo sfondo agreste, rimanda ad una filmicità, da Olmi a Bertolucci...” Grandi mani che schiacciano /il cappello, il vestito quello buono/ quello bello”... (Mauro Toffetti per Angelo Scaglia). Riprese forti queste, legate ad un’iconografia e parola che non accenna a rimandi. Il passato è nella presenza quasi ossessiva di questi oggetti… che lasciano ora spazio ad una memoria più dilatata, quasi soffusa. Così è per Angelo Raffaele Turetta che fotografa un posto vuoto in una poltrona associandolo alla vittima Attilio Valè ; ma ecco che la parola si contrappone in modo dichiarativo: quel palazzo ,quel luogo ancora oggi sono vivi , hanno un potere,” quasi trasmettesse una energia... inesauribile... gli assenti da quel giorno sono ancora vivi”…(Silvestro Serra); come la bimba di Emanuela Viaro per Carlo Garavaglia che sale una scalinata nel paesaggio urbano soffuso alla ricerca di chi “non è potuto tornare” (Erica Regalin). In questo stato essere -non essere, del ricordo e della presenza assenza, l’immagine di Perotti ci pone in tale dimensione di oblio ed emblematicamente il suo personaggio-anima, incerto nella luce di un tunnel, con il testo di Sandro Iovine che riporta nella scena la vittima Mario Pasi. Siamo, come si vede, in una tipologia di lettura estremamente complessa, dove parola e immagine trovano, pur nel referente preciso, una loro dimensione linguistica e analogie singole che avrebbero potuto essere diverse, poi diverse ancora, in un eterno ritorno, anzi nella presenza costante ed ossessiva di un eterno ritorno. Per forza di cosa scrivere qui non è quasi mai narrare per completare. Mai tanti motivi, frammenti,


informazioni, stati d’animo ho raccolto come in questo mio scritto che vuole però essere un soffio leggero, un velo quasi trasparente perché la storia sono questi personaggi protagonisti, in una dimensione empatica che è quasi rigurgito. “Ci sono giorni che scrivono la storia delle persone…ci sono persone che, giorno dopo giorno, scrivono la storia” …così Matteo Dendena, nipote della vittima Pietro, ritratto nella foto di Marina Alessi in una cornice di parole che si ripetono ai quattro lati…” ora che ricordo ancora”. Quasi poesia visiva che associo anche a Paolo Scarano e Susan Moore...” Mi dilungo e non descrivo. Mi dipingo e non piango. Non piango più”. La foto di Scarano ritrae una ragazza che non ha parentele con la vittima (Calogero Galatioto). Ha tatuate la braccia con 17 palloncini e il “12.12.69” per conservare la memoria, come quel personaggio nel film di Christopher Nolan “Memento”.

creanza di farsi piangere; ridotto a tronconi: cosa inammissibile in un uomo serio, che si occupa di agricoltura!“ (la vittima è Eugenio Corsini). Se qui siamo in un’estensione di altri personaggi-vittima che entrano in questo ipertesto metaforico, in una poetica universale, quelli del Cristo e di Pasolini, ora concludiamo con due mani che sinteticamente si stringono come corpi, avvinghiati nella morte sul foglio dell’analogo testo dattiloscritto di Pasolini. Ma questa volta è...” Una vita ordinaria stravolta e proiettata nella storia suo malgrado, fino a noi”. (Gianni Macheda -Frediano Tavano per Luigi Meloni). Il testo si conclude. Alla mente mi tornano le parole di Primo Levi ne “La Tregua”, quando tornato a casa rammenta che l’apparente calma è solo una tregua, un breve sogno…

Luigi Erba

Il testo si avvia alla conclusione e non potevano esserci che immagini emblematiche in quanto si riallacciano alla tradizione pittorica e letteraria. Stefania Mantelli fotografa- Federica Giuliani poetessa per Paolo Gerli. Dei personaggi vengono portati in scena drammaturgicamente sul fondale di una delle più intense, gestuali deposizioni, quella di Rogier Van Der Weyden del Prado di Madrid, con quei sogni gestualmente “volati via avvolti da una notte improvvisamente nera”. Ma eccoci alle parole, anzi ai versi di Pasolini tratti da “Patmos” (scritta per le vittime dell’attentato) per l’immagine di Francesco Cito che pone in scena quasi un’altra deposizione: è Pasolini che porta se stesso... sullo sfondo un prelato che volta le spalle e se ne va...”così si consola la morte, e chi ha la cattiva 7


Allestimento “La Piazza” a cura di Davide Tremolada Intraversato

GALLERIA TEMPORANEA

alla Casa della Memoria

PROGETTO SPECIALE

a cura di Roberto Mutti 8


9


10


11


12


13


14


15


16


17


18


19


20


21


22


photoSHOWall Una cornice è quasi sempre concepita come un elemento accessorio il cui compito è quello di supportare l’opera in uno spazio, di conservarla, proteggerla da fattori esterni. Per tutte queste ragioni la parete photoSHOWall non può essere considerata - anche quando ne sembra ricalcare l’esteriorità - una cornice. Si tratta, al contrario, di un sistema espositivo che stabilisce con le opere uno stretto rapporto dialettico grazie al quale si comprende come forma e sostanza si presentino come due aspetti complementari della stessa realtà. Questo progetto, grazie alla sua modularità, può adattarsi alle diverse esigenze espressive delle opere fotografiche ma può anche conferire loro una diversa e talvolta inaspettata modalità di presentazione. Il concetto base che caratterizza photoSHOWall è la possibilità di accostare i diversi moduli di cui è composto inserendoli in una struttura a capsule. Moduli progettati per accogliere le stampe a diversi gradi di profondità e ottenere un effetto tridimensionale della composizione nel suo complesso. Il manufatto così costruito può essere appoggiato ad una parete o diventare esso stesso parete o contenitore quando viene realizzato nella versione autoportante. Come sempre succede ai progetti modulari, molti sono i formati possibili della realizzazione finale e che dipendono principalmente dal soggetto e dalla definizione delle fotografie utilizzate. L’immagine ingrandita e scomposta può essere riprodotta a diverse scale fino a coincidere con l’intera parete (come nel caso della serie di installazioni “iGIGANTI photoSHOWall” che prendono il nome dalla loro dimensione). Parete che viene realizzata anche in versione autoportante e mobile contenitore. Roberto Mutti

23


24


25


26


27


28


29


30


31


“ 17 graffi ” Piazza Fontana 50°

32


LA MOSTRA

33


fotografia di Stefano Porfirio 34


La maniglia Quel giorno, la mano dell’assassino e quella delle sue vittime, una per una, si sono praticamente sfiorate, ma nessuno se n’è accorto, nemmeno loro. Eppure, pensateci, un gesto li ha accomunati tutti: posare la mano sulla vecchia maniglia rettangolare della Banca Nazionale dell’Agricoltura, che vedete in questa fotografia. Solo l’assassino, però, l’ha fatto con la piena consapevolezza di varcare un confine, un punto di non ritorno. Prendendo, forse, un respiro più profondo, prima di entrare nel salone affollato di clienti. Rammentando forse a se stesso di non mostrare agitazione, di tenere gli occhi bassi, non dare nell’occhio, mentre appoggiava la borsa di pelle scura sotto il grande tavolo al centro, prima di andarsene, senza fretta, inosservato. Tutti gli altri – inclusi i 17 uomini che saranno uccisi dalla bomba contenuta in quella borsa - hanno sfiorato la maniglia (con la mano destra, probabilmente; ma forse qualcuno, stringendosi il bavero per il gran freddo, o intento a salutare un vecchio amico intravisto oltre il vetro, ha usato l’altra) senza darsene pensiero. Un rettangolo, design datato, assomiglia alla schermata di un vecchio televisore ai tempi delle trasmissioni a canale unico. Il fossile di un’altra epoca, del tempo prima dell’orrore senza nome di una bomba che squarcia il cuore del Paese come fa con il pavimento di quella banca dov’erano raccolti, come ogni venerdì, commercianti, agricoltori, allevatori venuti dalle campagne che ancora c’erano fuori Milano. Questo oggetto marca una soglia, e non solo quella della porta che ha permesso di aprire milioni e milioni di volte prima e dopo quel giorno fatale. Segna il confine tra il tempo prima del 12 dicembre 1969 e il dopo. La soglia invisibile tra la normalità delle cose di ogni giorno, la quotidianità della vita che scorre inconsapevole di se stessa, con la gratuità di un dono a cui non pensiamo mai abbastanza, e l’abnormità dell’orrore che si spalanca, come il cratere nero nel pavimento, dopo le 16:37 di quel giorno. L’orrore di una morte atroce e improvvisa. Sostiamo su questa maniglia. Guardiamola bene. Per ricordare cosa accadde quel giorno e pensare agli innocenti che l’hanno sfiorata prima di andare incontro alla morte, senza saperlo. E poi per respirare il presente, consapevoli a noi stessi, con stupore e gratitudine per la normalità del nostro vivere quotidiano, che sfioriamo e spingiamo avanti ogni giorno senza pensarci, senza attenzione. Come tanti hanno fatto con questa maniglia.

Benedetta Tobagi

35


fotografia di Adolfo Violini 36


Gerolamo Papetti

Mano aggrappata alla cascina. Campagna, affetti, ricordi. Fierezza contadina. Protesa in pace e amicizia indica una via. Chiede aiuto. Mano per il lavoro che lavoro non ha piĂš. Per fermare il tempo un istante prima del destino. Mano di un accordo spaccato e spaccata essa stessa da uno scoppio. Tra tante mani e braccia senza un perchĂŠ. Fascio di fiori sulla tomba della ragione.

Federico Klausner 37


fotografia di Andrea Rossato 38


Carlo Gaiani

Della meliga l’oro Dentro l’ultimo lucido abbaglio duole lasciare le amate zolle nell’ora quieta del sonno invernale, altre mani cureranno il risveglio. Eppure consola il ricordo del velo che nebuloso tutto accarezza e delle scheletre braccia alzate al cielo grigio in muta preghiera. Dall’albero che svanisce dolente il falco pellegrino s’è alzato nell’ultimo abbraccio di piuma ai solchi alle stoppie in file ordinate alle radici silenti al lavoro. Dall’azzurro immenso e gentile nel volo senza spazio né tempo già abbraccia della meliga l’oroe dei sentinelli i verdi ricami nell’eterno ritorno.

Rossana Oriele Bacchella 39


fotografia di Antonio Grassi 40


Oreste Sangalli

Non sono mai stata a Patmos c’è troppo sangue e il grido di qualche santo che discute con Cesare . Mi sono solo ritrovata due cappelli e mi sono chiesta dove fossero gli uomini. Qualcuno li ha visti brillare Come le stelline che facevo scintillare a Natale. Di questa storia non so niente sento solo il sudore ghiacciato dei saluti. Qualcuno dice erano due amici il loro tempo si è fermato 16,37. Il piombo battezzato del presente è un antenato e il sangue mi arriva arrugginito. Tagliuzzati uomini e carte ferrato il corso dei cavalli dietro ad ogni porta. Oggi sono stata fossile e ossa.

Agnese Coppola

41


fotografia di Francesco Cito 42


Eugenio Corsini

Tratta da “Patmos”, in Trasumanar e organizzar, Garzanti Milano 1971 “Che ne piangano le loro famiglie; io ne parlo da letterato. Oppongo al cordoglio un certo manierismo. Di tradizioni recenti son piene le Sette Chiesuole. Canoni e tropi a disposizione rimpiazzano le commozioni; e basta deciderlo, l’umore necessario è pronto con tutti i suoi caratteri (di difesa dietro il lessico, esso, eslege, desueto) chi è al potere altresì ha le sue figure entro cui comodamente sostituire al logos il nulla; dietro una cattedra, un tavolo da lavoro, col doppiopetto: perché il tempo è lontano. Così si consola la morte, e chi ha la cattiva creanza di farsi piangere; ridotto a tronconi: cosa inammissibile in un uomo serio, che si occupa di agricoltura!”

Pier Paolo Pasolini 43


fotografia di Gianni Berengo Gardin 44


Carlo Perego

Quando una fotografia sa parlare Ci sono fotografie che nella loro solo apparente semplicità conservano una puntuta capacità di cogliere l’essenza della realtà. Proprio a questa espressività è ricorso Gianni Berengo Gardin la cui grandezza autoriale emerge anche quando, come in questo caso, sintetizza in una sola immagine l’intensità di una vicenda descritta in molte immagini, evocata in mille parole, raccolta in innumerevoli pagine. Abituato a raccontare la vita spinto in questo dal suo fortissimo impegno civile – perché un grande reporter questo fa nel suo lavoro – qui ha sentito il bisogno di un silenzio interiore. Ha così puntato il suo obiettivo su un particolare dai forti connotati simbolici, la mattonella del pavimento ricostruito della sala centrale della Banca Nazionale dell’Agricoltura che è diversa da tutte le altre perché in quel punto è stata posata la borsa che conteneva la bomba omicida. Nella sua essenzialità questa fotografia è come ci parlasse: del piano eversivo fascista, delle tante colpe istituzionali di chi avrebbe dovuto essere al servizio dello Stato e invece lo tradiva, di quell’atmosfera cupa di rabbia e di paura che spalancava la strada alla strategia della tensione.

Roberto Mutti 45


fotografia di Graziano Perotti

46


Mario Pasi

Non ricordo nulla. Credo solo di aver sentito un gran botto. Poi il nero. Sento odore di sangue bruciato e scricchiolare di cemento tra i denti. Intorno, lamenti e caos. Urla di terrore. Ma dove sono? Che succede? Maledizione! Non riesco a muovermi, ma io devo andare in banca a fare un versamento per il condominio… Negli occhi ho solo il nero, sulla pelle sento il pavimento, nelle orecchie, ovattato e distorto, l’eco lontana di una concitazione di cui non conosco la ragione. Provo ad alzarmi… ma che ci faccio in terra? Accidenti si deve essere fatto tardi e io devo andare in banca. Finalmente in piedi… che strano è come se d’improvviso la gravità si fosse fatta da parte e non fossi più in grado di avvertire il peso del mio corpo. E poi perché qui è tutto buio, ma dove diavolo sono finito? E come ci sono finito? Laggiù si vede una luce, opaca in un turbinio di polvere e lamenti. Sembra di essere in un tunnel… forse sto ancora dormendo… devo sbrigarmi maledizione, devo andare in banca! Mi sento leggero, quasi incorporeo. Fa un po’ paura, ma in fondo non è spiacevole. Tra nuvole di polvere intravedo corpi riversi a terra. È un incubo, non ci sono dubbi a questo punto. «Forza Mario svegliati, devi andare in banca!» «Salve, sono Pasi, Mario Pasi l’amministratore…» Ma che dico? In banca sanno perfettamente chi sono, ma se non mi muovo non arriverò mai… Dio, ma quanti corpi in terra… e quello… quello mi somiglia… sono io… Iooo? Come posso essere io se sono qui in piedi? E se fossi morto? Se tutto questo nero… ma che diavolo sto dicendo? Ormai sto per uscire dal tunnel e questo incubo me lo sarò dimenticato prima ancora di arrivare in banca… Solo che… mi sento diverso… anche Milano però adesso è differente… per sempre…

Sandro Iovine 47


fotografia di Mauro Pinotti 48


Giovanni Arnoldi

Sedicietrentasette Sedicietrentasette finisce il film ombre e buio dodicidicembresessantanove chiarore improvviso quanti saranno i morti i feriti padri banca chiusa finita risparmi dalle campagne lombarde non è finzione di cinema questo non è finzione di strage mio padre rideva scherzava pensava al cinema nuovo il cassiere rideva come fai a ricordare scene non viste. Sedicietrentasette come fai a ricordare l’annuncio il terrore noi non cancelliamo il nero del lutto raschiato non inganno di film di pellicola sciolta fracasso scoppio grida lamenti sirene sangue silenzi come fai a ricordare le ricerche colpevoli inganni omissioni sentenze imperfette al buio esiste ancora il cinema bianco di mio padre Io esisto invitato ogni anno ai ricordi e ogni anno chiedo e chiediamo giustizia le veritĂ nascoste offese derise. La fine. Sedicietrentasette.

Gianni Bombaci 49


fotografia di Marina Alessi 50


Pietro Dendena

Ci sono giorni che scrivono la storia delle persone... ci sono persone che, giorno dopo giorno, scrivono la storia...

Matteo Dendena 51


fotografia di Raoul Iacometti 52


Carlo Silva

non puoi sapere ma sai una scheggia nel cervello l’istinto è in noi, animale crollano i fogli nel solco marmo a brandelli ovunque l’odore del sangue per lo squalo sotto il tavolo della trattativa esploso il grande inganno hai perso, abbiamo perso tutti

Federico Balzarini 53


fotografia di Paolo Scarano 54


Calogero Galatioto

Qualcosa si è rotto: un legno, un vetro, un pezzo di carne nel vuoto. Un rumore secco, un nulla. Passeggiava in anticipo il Natale quell’anno. Mi dilungo e non descrivo. Mi dipingo e non piango, non piango più. Scorrono a china i ricordi di un’infanzia da adulti. Se potessi tornare indietro vorrei volare su una piazza vuota.

Susan Moore 55


fotografia di Paola Rizzi 56


Vittorio Mocchi

Attende il trattore In memoria di Vittorio Mocchi

Sbarrano gli occhi accecati i morti nella tomba e non si danno pace, per le loro terribili sorti. Eri proprio come il tuo trattore: scoppiettante, sicuro, tenace, alla mano, gran lavoratore. Ma il giorno della bomba, giovane vaso di argilla, andasti in mille pezzi: troppi per ricomporre un puzzle d’ossa a suon di gessi e di rattoppi. Fu un’interminabile agonia, con un piede solo nella fossa, il corpo un motore in avaria.

Attende il trattore nel garage. Nessuno ha pagato per la strage. Giuseppe Langella 57


fotografia di Stefania Mantelli - Scuola Spazio Danza Cavalleri 58


Paolo Gerli

Sogni volati via avvolti da una notte improvvisamente nera, mentre una mano stringeva la mia in cerca del coraggio cui anelavo anche io.

Federica Giuliani 59


fotografia di Angelo Raffaele Turetta 60


Attilio Vale’

Sono passati 50 anni ma ogni volta, dico ogni volta che passo per piazza Fontana, anche senza vedere la lapide che lo ricorda, mi viene in mente quel giorno. E’ come se quel palazzo, quella banca ormai scomparsa, quell’angolo della scintillante Milano, emanasse un’aura, trasmettesse una energia inesauribile, un’oasi di silenzio, anche nel caos del traffico e del giro stridente dei tram, che per rispetto, ti viene quasi da camminarci in punta di piedi. Per una volta il sonno della ragione non ha generato solo mostri. Piazza Fontana, fine dell’innocenza, tramonto dei mitizzati anni 60, lato oscuro del boom economico, delle sorti magnifiche e progressive dell’Italia, la delusione, e la scoperta degli scheletri del potere, è diventato un monito, una fiamma sempre viva, ha risvegliato molte coscienze e, distruggendo corpi, ha creato anticorpi e continua a tenere svegli i sensi, accesa l’attenzione e forte la fame di giustizia. Gli assenti da quel giorno sono ancora vivi e la loro seppur tragica, dolorosa scomparsa non è stata vana.

Silvestro Serra 61


fotografia di Massimo Lagorio 62


Angelo Scaglia 18 dicembre 1969, pomeriggio. Ho visto mia madre e l’Emiliana, piangere guardando un bianco e nero esposto dall’edicola sotto i portici. Smisi di correre: bambino che ero compresi l’assenza ma non capivo. Grandi mani che schiacciano il cappello, il vestito quello buono quello bello. Contratti e affari per quelle terra lavorata e sudata. Contratti alla Fontana, in una piazza accanto al Duomo, nella sua banca, per quella terra amata. Contratti spazzati dalla devastazione, in un istante. DEVASTAZIONE Sei morto nella contrattazione, Per i campi, per la terra. Un grande V U O T O, da colmare, da coprire. Ho visto mia madre piangere mentre FERMO, cercavo di capire.

Mauro Toffetti 63


fotografia di Silvio Canini 64


Giulio China

Radici Tutto sembra finire, in uno schianto che sradica, una voragine che urla la sua lancinante disperazione. Resta l’impronta della memoria di corpi stesi, alberi abbattuti dalla follia ma non vinti. Dalla medesima terra nascono ancora vite che vigilano, osservano, testimoni di altri giorni possibili crescono su nuove radici.

Roberto Uggeri 65


fotografia di Gianni Macheda 66


Luigi Meloni

La voce ancora forte e polemica del poeta accende l’occhio partecipe del fotografo. Braccia tese quasi con disperazione, dita intrecciate che evocano corpi straziati. Il risultato è una preghiera laica e silenziosa che ricorda il destino di un uomo, Luigi Meloni, vittima per caso come tutte le altre. Una vita ordinaria stravolta e proiettata nella storia suo malgrado, fino a noi.

Frediano Tavano 67


fotografia di Emanuela Viaro 68


Carlo Garavaglia Lasciato a occhi di bambina lo sterminio del tempo cavo nonostante gli anni sbriciolati come pezzi di pane lanciati ai piccioni. Sguardo crollato nelle ginocchia molli gazzelle tremule che osservano il balzo mentre lacrime in mazzi sono deposte ai piedi dai figli delle stragi. Partoriti dall’attesa senza ritorno sono morti un po’ anche loro: monchi derubati di un pezzo passato sotto i loro nasi e ormai chiuso nel legno. Alla fine si atterra dopo il salto cercando di non guardare oltre le scapole, ma la mente specchietto retrovisore riporta groppo in gola indietro facendo ammollare le giunture al pensiero di chi non è potuto tornare. Erica Regalin 69


Le 17 vittime di Piazza Fontana

Foto e notizie biografiche tratte da: Corriere della Sera del 14 dicembre 1969. Sistema Archivistico Nazionale - Ministero per i beni e le attivitĂ culturali e per il turismo. 70


Assetati di vino Non eri pronto. Eri solo nel posto giusto al momento sbagliato. Eri solo un uomo. C’erano anni di guerra alle spalle e un mondo nuovo da costruire insieme. C’era un sorriso che ti aspettava per cena e avevi qualcosa in più, oltre te stesso. Qualcuno però alla bellezza delle idee scelse il sangue per cambiare il mondo. Eppure eravate stati saziati dalla stessa madre. Italiani e diversi. Mascherati adeguati al sistema o contro il sistema per il sempreverde sistema che sistemi. Un male oscuro ha divorato tuo fratello, utopico quanto reale. Quel male aveva un solo corpo: il tuo. Merce per una manciata di idee. Corpi come discorsi, come proiettili per terra per aria. Corpi all’asta. Corporazioni e basta. È forse Caino ad aver bussato alla tua porta? Toc Toc? Quale sarà la prossima porta? È forse quella del terrore senza sapere? Della ragione che cerca la causa e non la trova? Della fame di giustizia? Quella che logora perché non si ha mai pane? Quando sei tornato a casa quella sera tutti i sorrisi erano spenti. Avevano acceso tutte le luci per cercarti. Tuo fratello aveva preso il tuo corpo e bevuto il tuo sangue. Nel tuo copione non erano previste rinascite. Lo vedi quel palo lontano coi fili dell’alta tensione? Quella non è la croce. C’è un groviglio di fili ed è rimasta solo una candela. La tua la prendiamo noi. Cercheremo memorie da coltivare e frutti da fermentare, fili da tendere per appendere panni al sole, giardini in cui deliziarci, ma resteremo sempre assetati di vino aspettando baci bugiardi da cui difenderci.

Melina Scalise

71


72

CARLO GARAVAGLIA 67 anni, pensionato, vedovo con una figlia sposata, nonno di Elisabetta di 4 anni, si recava spesso al mercato di piazza Fontana per combinare qualche piccolo affare come mediatore.

GIOVANNI ARNOLDI 42 anni di Magherno (PV). Gestiva il cinema del paese e inoltre era commerciante di vitelli. Ogni venerdì trattava i suoi affari al mercato di Piazza Fontana. Sposato con due figli.

MARIO PASI 50 anni, geometra, abitante in via Mercalli a Milano. Svolgeva la professione di amministratore di stabili e fondi.

PAOLO GERLI 77 anni, abitante a Milano, gestiva una azienda agricola di San Donato Milanese. Sposato con tre figlie anche se in pensione non aveva abbandonato la sua attività continuandoo a frequentare il mercato del venerdì.

EUGENIO CORSINI 65 anni, abitante in via Procopio a Milano. Rappresentante di lubrificanti per macchine agricole, frequentatore assiduo del mercato del venerdì.

VITTORIO MOCCHI Nato a Milano il 29 luglio 1936. Imprenditore agricolo, muore anni dopo la strage per le ferite riportate.


GEROLAMO PAPETTI 78 anni, di Rho, agricoltore. Fra gli abituali frequentatori di piazza Fontana, è stato colpito dall’esplosione mentre era in banca con il figlio Giocondo.

ORESTE SANGALLI 49 anni, abitante in via Merula a Milano, si occupava della gestione dell’Azienda agricola Ronchetto, dalle parti di Corsico di cui in particolare curava la compravendita del bestiame. Era amico di Luigi Meloni, anch’egli vittima della strage, con cui si incontrava nella banca dell’agricoltura.

CALOGERO GALATIOTO

ATTILIO VALÈ 52 anni, abitante a Mairano di Noviglio. Proprietario di un macello e di un negozio per la vendita diretta della carne al pubblico. A Milano trattava l’acquisto degli animali destinati al macello.

GIULIO CHINA 57 anni, di Novara, era fra i più quotati operatori agricoli della provincia di Milano, svolgeva l’attività di sovrintendente della cascina Amoroso, nelle campagne della Bicocca.

CARLO SILVA 71 anni, ex rappresentante di commercio, si occupava della vendita di lubrificanti per macchine agricole. Si recava alla banca di piazza Fontana per incontrare i clienti. Viveva con la moglie ed aveva due figli.

77 anni, muore nei giorni seguenti alla strage, per le ferite riportate.

73


PIETRO DENDENA 45 anni, di Lodi, si dedicava al commercio dei bovini e non mancava mai al mercato settimanale di piazza Fontana. Era sposato e aveva due figli.

ANGELO SCAGLIA 61 anni, agricoltore di Abbiategrasso, padre di undici figli, muore nei giorni seguenti alla strage, per le ferite riportate.

CARLO PEREGO 69 anni, di Usmate Velate. Con il figlio Alessandro, gestiva un’agenzia di assicurazioni, specializzata nella stipulazione di polizze a favore di coltivatori. Nella banca il venerdì, aveva l’occasione di incontrare un considerevole numero di potenziali clienti.

LUIGI MELONI 57 anni, di Corsico. Prima agricoltore, poi commerciante di bestiame da allevamento e da macello. Sposato con un figlio, era amico di Oreste Sangalli, un’altra delle vittime.

CARLO GAIANI 57 anni, perito agrario, abitante in via Salesina a Milano. Con l’aiuto di un dipendente coltivava un podere in affitto. Si trovava in banca per incontrare un acquirente. Era sposato ed aveva un figlio.

74


75


76


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.