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2013 Bim - Ed. Ministero Difesa - € 2,80 - Taxe Perçue

INFORMAZIONI DELLA DIFESA

2013 IFESA N. 2/ E DELLA D MAGGIOR O AT ST O DELLO PERIODIC

Il Ministro della Difesa Sen. Mario Mauro 2

Il nuovo concetto strategico della NATO Pooling & Sharing: utopia o necessità?


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EDITORIALE INFORMAZIONI DELLA DIFESA: NUOVO FORMAT E NUOVO LOOK

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elle edizioni passate abbiamo parlato diffusamente dei cambiamenti che interesseranno le Forze Armate nel prossimo futuro. Ebbene, sull’onda del rinnovamento e per rendere più accessibili ai lettori i temi che riguardano la Difesa, anche la nostra la Rivista si aggiorna adeguandosi alle nuove tecnologie di relazione offerte dal web. InIl direttore responsabile Gen.B. Massimo Fogari fatti, sul sito internet dello Stato Maggiore della Difesa, è già pubblicata la versione gemella “Informazioni della Difesa on-line” i cui articoli, più snelli nella forma e nei contenuti, vengono aggiornati con una frequenza media di tre giorni. Grazie, poi, ai moderni strumenti offerti dalla rete, la nostra Redazione è in grado di conoscere quali sono gli articoli più “cliccati” ovvero quelli che hanno generato più interesse, dandoci così un valido indirizzo per la redazione della versione bimensile stampata. Il periodico bimestrale “Informazioni della Difesa” è da tempo uno strumento di comunicazione conosciuto ed apprezzato ai più alti livelli, con cui vengono diffusi all’opinione pubblica e ai “decision-maker” i messaggi e le attività di interesse per la Difesa. Viviamo in un mondo dove l’informazione è elemento cardine, in continua evoluzione. L’imperativo è fare di più, in meno tempo, e con costi sempre meno sostenuti. Consapevoli dunque di tale necessità, abbiamo deciso di dare un nuovo look alla rivista, in modo da migliorarla e renderla graficamente più leggibile ai nostri lettori.

Non si tratta solamente di un restyling di facciata. Saranno introdotte novità tecniche che consentiranno la lettura digitale sui smartphone, tablet iPad e Android al fine di raggiungere tutte le fasce di utenza, soprattutto coloro che per lavoro hanno la necessità di accedere all’informazione in tempi rapidi e da qualunque luogo. L’ambizione è quella di offrire una comunicazione che sia allo stesso tempo di qualità e sempre più accessibile: saranno i nostri lettori a giudicare dal risultato. È un piccolo cambiamento che ci auguriamo venga gradito.

EDITORIALE

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SOMMARIO INFORMAZIONI DELLA DIFESA Nr. 02/2013

Editoriale Informazioni della Difesa: nuovo format e nuovo look

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Massimo Fogari

Forze Armate Il Ministro della Difesa Sen. Mario Mauro

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Pier Vittorio Romano

Sanità Ansietà e stress nella guerra asimmetrica: l’esperienza dei partecipanti

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Giuseppe Caforio

Panorama Internazionale Atlantismo e uso della forza oltre confine nella geostrategia del Canada Gianluca Sardellone

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Panorama Internazionale Il nuovo Concetto Strategico della NATO: tra giustificazione della propria esistenza e fucina di idee per i problemi del futuro

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Maurizio Riccò e Giuseppe Rocco

Pianificazione Pooling & Sharing: utopia o necessità?

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Gianluca Capasso

Tecnologia Il “passaggio di consegne” tra comandanti di reparto e una metodologia di progettazione e manutenzione degli impianti antincendio nelle strutture militari Il “passaggio di consegne” in ambito antincendio nel settore Difesa

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Marcello Mangione

L’identità e lo sviluppo digitale nella Pubblica Amministrazione del III millennio

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Marco Della Femina

Forze Armate e Società “Volare”. Missione nello spazio!

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Ada Fichera

Storia Politica internazionale e interessi economici franco-iracheni alla vigilia della seconda guerra del golfo 76 Francesco Frasca

Rubriche Finestra sul mondo Osservatorio strategico Difesa alla ribalta

Copertina: Tornado ECR del 50° Stormo di Piacenza

Periodico dello Stato Maggiore della Difesa fondato nel 1981 Direttore responsabile Gen. B. Massimo Fogari Redazione Ten. Col. Pier Vittorio Romano Capo 1^ cl. Francesco Irde M.llo Capo Sebastiano Russo Fotografi M.llo 1^ cl. Fernando Gentile M.llo 1^ cl. Maurizio Sanità

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SOMMARIO

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IL MINISTRO DELLA DIFESA SEN. MARIO MAURO di Pier Vittorio Romano

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l nuovo Ministro della Difesa, Senatore Mario Mauro, ha sostituito l’On. Giampaolo Di Paola lo scorso 28 aprile, dopo aver prestato giuramento come membro del nuovo Esecutivo di Gianni Letta. Porta con sé un vasto bagaglio culturale e politico di liDa dx il Ministro della Difesa Mauro ed il Capo di Stato Maggiore della Difesa vello europeo. Il Ammiraglio Binelli Mantelli Ministro Mauro, infatti, è stato eletto per la prima volta al Parlamento dell’UE nel 1999 e il mandato è stato rinnovato fino al momento della sua elezione al Senato con la lista “Con Monti per l’Italia” nelle elezioni generali di quest’anno. Al Parlamento Europeo ha ricoperto il prestigioso incarico di Vice Presidente, oltre a diventare Rappresentante personale Presidenza dell’OSCE (Organization for Security and Co-operation in Europe) contro razzismo, xenofobia e discriminazione, tematiche, quest’ultime, al centro delle sue attenzioni politiche. Il suo background, sia professionale che personale, è quello di un convinto sostenitore dei valori fondamentali nel pieno rispetto della dignità e dei diritti dell’uomo, in aperto contrasto con qualunque tipo di discriminazione. E per questo ha portato avanti numerose iniziative europee su temi delicati quali le adozioni internazionali, la libertà di stampa, il genocidio del Darfur e il dialogo interreligioso. Proprio in virtù di questo impegno, nel 2007, il Presidente del Parlamento Europeo gli ha conferito la delega per le relazioni con le Chiese e le

FORZE ARMATE

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comunità religiose, in seguito alla quale il Senatore Mauro ha fatto approvare allo stesso Parlamento una risoluzione su “gravi episodi che mettono a repentaglio l’esistenza delle comunità cristiane e di altre comunità religiose”. Dopo appena un Deposizione della Corona al Sacello del Milite Ignoto mese dall’insediamento nell’attuale incarico di Ministro della Difesa, il Sen. Mauro ha già all’attivo numerosi impegni di natura internazionale: dall’incontro con il Vice Ministro delle Forze di Autodifesa del Giappone, Akinori Eto, alla visita al nostro contingente in Afghanistan avvenuta il 4 e 5 maggio 2013. Ad Herat e a Kabul, rivolgendosi ai militari impegnati nella Missione ISAF, ha ringraziato per il sacrificio, l’alta professionalità e il ruolo cruciale svolto nella fase delicata di questo martoriato Paese. Il Ministro si è poi recato negli avamposti, le cosiddette FOB (Forward Operating Base) di Farah e Shindand per incontrare anche il personale delle Forze Armate che lavora in distretti particolarmente difficili. Un saluto sentito per tutti i militari italiani da anni impegnati nel promuovere la legalità e la sicurezza in Afghanistan, con dedizione e fedeltà, che in alcuni casi hanno richiesto il sacrificio supremo. Immediatamente dopo Kabul è stata la volta di Bruxelles. Nel suo primo intervento ufficiale alla Commissione Difesa del Parlamento dell’Unione Europea ha sottolineato la necessità di una maggiore integrazione e collaborazione per la razionalizzazione delle ri-

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sorse e una spesa “strategicamente mirata”. È sua opinione che “L’Italia vive in un mondo sempre più grande, caratterizzato dall’arrivo sulla scena di nuove potenze emergenti che stanno modificando gli equilibri mondiali. Di fronte a giganti come Cina, India e Brasile, i singoli Stati europei non possono che sviluppare una politica comune per raggiungere la massa critica necessaria ad interagire con questi nuovi attori e influire sui processi globali. Questo significa un rinnovato impegno per una politica estera e di difesa comuni, tese a rinnovare l’impegno per il consolidamento dell’ordine internazionale, un impegno che vede le nostre Forze armate in prima linea, con una professionalità e un’abnegazione seconda a nessuno.” In occasione del 152° anniversario dalla costituzione dell’Esercito Italiano il Ministro, insieme al Sottosegretario Alfano e al Capo di Stato Maggiore della Difesa Binelli Mantelli, ha partecipato ad una cerimonia solenne ma sobria, nel rispetto della ridefinizione delle modalità di organizzazione delle feste militari svoltasi all’interno del Cortile d’Onore dello Stato Maggiore dell’Esercito. Molti gli impegni presenti e futuri: la Redazione di “Informazioni della Difesa” augura al neo Ministro un “buon lavoro”. ■ Primo piano del Ministro della Difesa Senatore Mario Mauro

FORZE ARMATE

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ANSIETÀ E STRESS NELLA GUERRA ASIMMETRICA: L’ESPERIENZA DEI PARTECIPANTI di Giuseppe Caforio

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INTRODUZIONE

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a partecipazione di nostri militari ad operazioni di pacificazione in teatri quali la Somalia, il Libano, i Balcani, l’Iraq, l’Afganistan, ecc. ha di fatto traghettato le forze armate italiane (insieme a quelle di molti altri paesi) verso missioni oggi denominate di guerra asimmetrica1, con tutte le implicazioni in termini di rischio, difficoltà, sacrificio che la partecipazione a tale forma di guerra comporta. Emergono quindi anche per il nostro personale militare situazioni di stress psicologico già ampiamente documentate dalla letteratura americana per i propri militari e in buona misura ricomprese sotto la dizione di “postraumatic stress disorder” (vedi, ad esempio, Adler A.B., Carol A. Dolan, 2006; Ward, W. 1997; Richardson, J. D., J. A. Naifeh, J. D. Elhai, 2007; Andrews, B., C. R. Brewin, R. Philpott, L. Stewart, 2007). Nel quadro di una più ampia ricerca condotta da un gruppo internazionale da me coordinato2, si è voluto dunque esaminare anche questo aspetto della partecipazione dei nostri soldati ad operazioni in ambiente di guerra asimmetrica, analisi effettuata attraverso le impressioni dei diretti interessati. La nostra ricerca si è estesa oltre al semplice postraumatic stress disorder, compren-

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Viene definita guerra asimmetrica quella forma conflittuale in cui una parte strutturalmente più debole adotta forme di lotta non convenzionali per poter competere con la parte forte del confronto (e da ciò l’asimmetria). Queste forme, secondo la definizione ormai classica di Mary Kaldor (Kaldor, 1999) vengono impiegate da “gruppi paramilitari organizzati intorno a leader carismatici, a signori della guerra che controllano singole aree, cellule terroristiche, volontari fanatici come i Mujhadeen, gruppi criminali organizzati, così come mercenari…”. Gli strumenti usati sono il terrorismo, la guerriglia, l’intimidazione di popolazioni, tutte le azioni che l’assenza di regole morali può consentire.

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L’indagine ha incluso militari di tutti i gradi reduci da operazioni di guerra asimmetrica ed ha compreso 542 militari dei seguenti nove paesi: Bulgaria, Danimarca, Italia, Filippine, Slovenia, Spagna, Sud Korea, Sud Africa, Turchia. La scelta dei paesi è stata orientata ad includere piccole e medie potenze, i cui soldati possono presentare caratteri propri e differenziali rispetto a quelli di potenze maggiori e più abituati ad operazioni in ambienti di guerra asimmetrica e per i quali esiste già una abbondante letteratura. I 542 militari del campione sono stati individualmente intervistati secondo uno schema di domande correlate alla loro esperienza operativa. I risultati della intera indagine sono in corso di pubblicazione in un volume dal titolo “Soldiers without frontiers: the view from the ground”.

SANITÀ

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dendo tre diversi aspetti di disagio psicologico conseguenti alla partecipazione a queste missioni: lo stress dovuto alle operazioni in se operazioni che, per molti, hanno comportato il coinvolgimento in conflitti a fuoco -, il disagio per i lunghi periodi di lontananza dalla famiglia, le difficoltà a reinserirsi nella vita quotidiana in patria al ritorno dalla missione. L’analisi viene qui effettuata sull’intero campione internazionale di 542 militari, nella presunzione che l’ampiezza del campione consenta di ricavare un dato medio valido per individuare le reazioni dell’idealtipo di soldato inviato in missioni di questo genere. Afghanistan - Papavero da oppio

LO STRESS EMOTIVO MISSIONE DURANTE Il rischio di attacco da parte di guerriglieri mescolati a alla popolazione civile, l’effettiva attuazione di imboscate dove per molti militari dei paesi investigati si è verificata una sorta di “battesimo del fuoco”, l’insidia degli IED, il lancio dei razzi ed i colpi di mortaio sugli accampamenti, le effettive perdite subite costituiscono una serie di fattori ed eventi indubbiamente idonei a produrre situazioni di ansia in chi li vive. Le reazioni individuali a tali minacce sono del tipo: (un soldato italiano) È stata una emozione molto forte trovarsi sotto il fuoco avversario (un soldato danese) In Iraq, siamo rimasti sotto il fuoco di razzi per 85 giorni, è stato come se ci piovessero tutti sullo stomaco (un soldato sudafricano) È stata la prima volta nella mia vita che mi sono trovato in un vero attacco a fuoco. Mi sono sentito realmente impaurito pensando alla mia famiglia Nel nostro campione tre militari su dieci dichiarano di avere sperimentato momenti di ansia e di stress durante la missione. In particolare su 542 intervistati 273 (51%) hanno di chiarato di non avere avuto problemi, 118 (22%) non hanno dato risposta alla domanda, 94 (17%) hanno dichiarato “uno stress normale che si poteva fronteggiare”, 55 (10%) uno stress elevato. I fattori principali di stress durante le operazioni sono risultati l’incertezza della situazione “una minaccia permanente non si sapeva da dove”, la effettiva sperimentazione di attacchi, imboscate e, con un grado più elevato di ansia, il ferimento o la morte di propri commilitoni. Preoccupazioni espresse da

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Afghanistan - coltivatori di oppio

risposte quali quella data da un soldato italiano: Si, mi sono trovato ad affrontare situazioni di stress: commilitoni feriti, coinvolgimento in conflitti a fuoco, razzi sulla nostra base, ecc. O da un pilota di elicotteri coreano: Provavo un forte stress ogni volta che mi alzavo in volo e pensavo che quello poteva essere il mio ultimo giorno perché forte era la possibilità di essere colpito da un missile in qualsiasi momento durante il volo. O da un soldato bulgaro che afferma: Naturalmente queste paure derivavano dall’istinto di autoconservazione e sopravvivenza in questo ambiente nevralgico con elevato rischio di perdere la vita. Ma anche altri fattori di ansia si creano in operazioni di questo tipo, quali la preoccupazione di saper assolvere il proprio compito, come dichiarato da un soldato coreano: In molti casi prevaleva l’ansia sulla mia capacità di adempiere con successo il compito che mi era stato affidato, O la difficoltà di recuperare il proprio equilibrio mentale dopo una azione di combattimento (un soldato danese) Tu vai al massimo dei giri durante le operazioni , e dopo può essere difficile ritrovare la calma. Interessanti sono poi le strategie che gli intervistati hanno dichiarato di avere messo in atto per fronteggiare le situazioni di ansia. Nella maggior parte dei casi è stato il gruppo primario, i propri compagni, ad assorbire e risolvere tali ansietà. È questo un dato che trova riscontro nel-

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Papavero sonnifero

la nota teoria dei piccoli gruppi, già sperimentata in ambito militare e definita dalla ricerca americana di Samuel Stouffer (vedi in Riferimenti Bibliografici Stouffer, 1949). Sono quì frequenti, infatti, affermazioni come: Ci sono momenti di stress, ma il gruppo aiuta…. Altri invece (o in aggiunta) cercano di superare tali momenti dandosi ad una intensa attività fisica, sportiva, oppure dedicandosi intensamente alla propria attività, al proprio lavoro. Alcuni, pochi in verità, dichiarano di ricorrere a figure particolari di riferimento: il cappellano militare, il comandante di plotone, lo psicologo (dove disponibile) ecc. Testimonianze su tali strategie per fronteggiare l’ansia sono del tipo: (un soldato italiano) Sì, ho avuto momenti di stress e di paura: parlarne con i miei commilitoni mi ha aiutato (un soldato sudafricano) Queste situazioni comportano grande ansietà ma noi soldati le superiamo parlandone tra noi, e anche socializzando con i colleghi di altre armi o servizi (un soldato danese) Penso che tutti abbiano provato ansietà e stress in area di operazioni. Mentalmente uno pensa che può essere colpito e noi controlliamo questo stress parlando tra di noi, o, quando possibile, con uno psicologo. (un pilota coreano) Io superavo lo stress preparando l’attività di volo o praticando sport. (un soldato italiano) I giorni in cui abbiamo avuto perdite sono stati i peggiori: li abbiamo affrontati lavorando intensamente, così da esorcizzare il fatto.

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Militare afflitto da "Postraumatic stress disorder"

(un soldato spagnolo) Quelli che avevano problemi seri andavano dallo psicologo. Gli altri li esorcizzavano tirandosi su di morale insieme ai compagni, praticando sport, usando tempo libero per la cura della persona.

LA SEPARAZIONE DALLA FAMIGLIA Su questo aspetto il 45% degli intervistati riferisce di non avere avuto particolari problemi, il 16% dichiara di avere avuto qualche problema conseguente alla separazione, ma non di particolare gravità ed il 22% problemi di una certa consistenza: il 17% non risponde. Sempre rimanendo ai dati statistici, si rileva che chi ha partecipato ad un maggior numero di missioni ha avuto meno problemi di carattere famigliare: il 64% di coloro che hanno effettuato più di sei missioni dichiara di non avere avuto nessun problema per la separazione dalla famiglia: quasi 20 punti percentuali in più rispetto alla media del campione. L’importanza di questi problemi per il morale dei soldati è evidenziata da diverse interviste, quali: (un soldato sloveno) I miei problemi famigliari sono stati una forte fonte d’ansia per me, che non potevo far nulla per aiutare i miei famigliari. (un soldato sudafricano) Sì, ho avuto dello stress perchè ero in ansia per la mia famiglia in patria.

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Ma quali sono stati i problemi di una certa gravità che il 22% del campione dichiara di avere avuto? Essi possono essere divisi in due categorie: problemi con il coniuge (o la compagna), problemi con i figli. Nel primo caso si tratta spesso di rottura di rapporti e conseguente separazione della coppia. Ad esempio: (un ufficiale spagnolo) Sì, ho avuto problemi. Sono partito in missione con un divorzio in corso. La separazione con mia figlia è stata traumatica anche perché non potevo parlare Regionsi del cervello associate al posttraumatic stress con lei: potevo parlare con i miei genidisorder tori ma non con lei (un ufficiale turco) Sì, la mia famiglia ed io abbiamo affrontato grosse difficoltà. Tra le altre cose mia moglie era incinta con problemi di salute. Il comando superiore non ha accolto la mia domanda di rimpatrio ed io sono rimasto lontano da mia moglie durante tutto quel difficile periodo. (un soldato spagnolo) La mia famiglia ha avuto problemi di salute e questo mi ha causato problemi psicologici che ho dovuto curare con pillole. Nel secondo caso, si tratta di figli che hanno approfittato dell’assenza della autorità paterna o di madri che non hanno saputo svolgere un doppio ruolo genitoriale: tali situazioni sono spesso evidenziate dalla perdita di un anno scolastico. Vedi ad esempio: (un sottufficiale spagnolo) Tu hai problemi famigliari quando passi molti mesi all’estero. Per esempio, mio figlio ha avuto un crollo a scuola mentre io ero in missione. Ora si è ripreso, ma mia moglie si è dovuta fare carico di tutto mentre io ero fuori, ed è stato difficile per lei. Ha dovuto risolvere da sola tutti i problemi di famiglia, occasionali insuccessi, improvvisazioni, ecc…. (un ufficiale turco) I miei figli hanno avuto problemi per la mia lontananza: Mia figlia è stata nervosa e triste fino al mio ritorno. A riprova, molti di coloro che dichiarano di non aver avuto problemi per la separazione dalla famiglia, ne riconoscono il merito al coniuge rimasto a casa o, in qualche caso, a suoceri e propri genitori. Vedi: (un ufficiale turco) Poichè mia moglie aveva un lavoro, il padre e la madre hanno dovuto vivere con lei per prendersi cura di mia figlia. (un soldato sloveno) Mia moglie ha dovuto prendersi cura contemporaneamente di due bambini piccoli e del suo lavoro. È stata aiutata dalla sua famiglia.

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Sulle problematiche relative alla separazione dalla famiglia il dato italiano si discosta significativamente dalla media dei paesi esaminati: infatti il 55% del nostro campione dichiara di non avere avuto problemi, il 25% problemi di non particolare gravità e solo il 14% problemi significativi.

IL RIENTRO DALLE MISSIONI La problematica di un riadattamento alla normale vita civile viene resa bene da un soldato danese che afferma: Dopo la missione hai bisogno di un certo tempo per riabituarti alla normale realtà della vita nella tua famiglia, nel lavoro, nella società. Tu devi “raffreddare” la tua prontezza di reazione a giro di orizzonte Le tue reazioni debbono tornare ad essere meno istintive. Tuttavia la maggioranza (il 40%) del campione dichiara di non aver avuto problemi al rientro dalle missioni o di averli superati in pochi giorni. Il 22% degli intervistati dichiara di aver avuto problemi di riadattamento. Notevole il numero di mancate risposte (36%). Non compaiono in questo gruppo situazioni particolarmente significative di stress, ma vengono alla luce una serie di motivazioni quali: “ero alienato dagli amici ho avuto difficoltà a riprendere la routine normale” “c’è un lento riadattamento ad un ritmo di vita diverso” “ti porti sempre qualcosa di dove sei stato” “…mi sentivo un pesce fuor d’acqua….” “per un paio di mesi difficoltà di adattamento” In pochi casi vengono dichiarate più gravi situazioni di disagio, quali quella denunciata da un soldato italiano: “quando son tornato ero molto, molto impulsivo.... mi son calmato da due mesi: il lusso mi dava fastidio, la superficialità, ho visto che cos’è vivere e combattere per sopravvivere, ho visto morti e feriti, è stato molto pesante”. O altre risposte quali: (un ufficiale turco) Ci è voluto più tempo di quanto mi aspettassi. Ho continuato a prendere pasticche... (un soldato sudafricano) Più lungo è lo spiegamento in missione e più lungo è il tempo che ti occorre per ambientarti nuovamente in patria. Nei casi in cui c’è stato un supporto dalla istituzione, il processo sembra essersi abbreviato. Posttraumatic stress disorder

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O infine vi è chi collega strettamente il disagio al rientro con la difficoltà di reinserirsi nel proprio nucleo famigliare, come l’ufficiale spagnolo che riferisce: È uno sforzo adattarsi nuovamente alla casa dopo il rientro. Pochi mesi nella vita dei figli significano molto. Si sono istaurate nuove abitudini, uno ha a che fare con decisioni che la tua moglie ha preso in tua assenza e che tu puoi anche non condividere. Esaminando quindi il campione nel suo complesso, esso rivela una non rilevante problematica al rientro dalle missioni, problematica che, quasi sempre viene risolta autonomamente dal soggetto. Il rateo di post traumatic stress disorder propriamente detto appare modesto per il soldato dei paesi esaminati.

CONCLUSIONI I dati di ricerca, rilevati dalle dichiarazioni dei diretti interessati, rivelano che un problema di disagio psicologico conseguente all’impiego in situazioni di guerra asimmetrica esiste e colpisce percentuali non elevate ma indubbiamente significative dei militari partecipanti. Su queste percentuali occorre anche considerare l’elevato rateo di mancate risposte (sino al 36%), fenomeno che può essere interpretato come una naturale reticenza del militare a parlare delle proprie paure3. L’incidenza maggiore appare data dalle problematiche relative al reinserimento nella normale vita sociale e lavorativa al rientro dalla missione. Seguono percentualmente le situazioni di ansia per la vita della famiglia lontana, dovute in gran parte ad un senso di impotenza per la scarsa possibilità di gestire eventuali situazioni famigliari sopravvenute o preesistenti. È significativo rilevare che tali situazioni ansiogene si creano però durante la missione, dove si uniscono ai fattori di stress concernenti la missione stessa e li potenziano. Questi ultimi in verità appaiono colpire percentualmente soltanto tre militari su 10, ma per due di essi si tratta di situazioni ansiogene abbastanza controllabili. Il gruppo primario si conferma come il più significativo strumento di supporto per il singolo e le sue ansie e paure, spesso in aggiunta alle strategie individuali che ciascun soldato mette in opera per fronteggiare i momenti di ansia. Il supporto istituzionale, lo psicologo, non viene rifiutato, ma la sua disponibilità sul campo appare ancora limitata. Complessivamente è interessante rilevare come il soldato delle medie e piccole potenze qui esaminate reagisca tutto sommato abbastanza bene a molteplici fattori di stress, quali un ambiente naturale spesso difficile, un ambiente umano infido ed insicuro, una costante sottoposizione a minacce verso la propria vita ed integrità fisica, il disagio di sistemazioni logistiche

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È questo poi un rateo di mancate risposte che non trova riscontro per le altre domande del questionario, ove in genere non supera l’8%.

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spesso approssimate, il vincolo di regole di ingaggio volte più alla salvaguardia delle popolazioni civili che di se stesso, la necessità di coordinarsi operativamente con soldati di altre nazioni con un background culturale spesso molto diverso, le offensive e le travisazioni mediatiche4, le differenze linguistiche del contesto in cui opera, la lontananza dalla famiglia, la costante visione di degrado ambientale ed umano, di larghi fenomeni di corruzione radicati nel territorio, la sperimentazione di ingiustizie sociali, razzismi, emarginazioni, fanatismi religiosi nelle popolazioni soccorse… e l’elenco qui in qualche modo affastellato potrebbe probabilmente continuare. Tutto ciò per soldati normalmente privi sia di esperienze di combattimento che di missioni all’estero. Il fatto che la maggioranza sappia reggere bene a tutti questi fattori ansiogeni appare un dato complessivamente positivo, ma l’esistenza di tali fattori è anche un aspetto delle missioni in ambiente di guerra asimmetrica che merita di essere attentamente considerato. ■

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Andrews, B., C. R. Brewin, R. Philpott, L. Stewart, ‘Delayed-Onset Posttraumatic Stress Disorder: A Systematic Review of the Evidence’, Am. J. Psychiatry, 2007; 164:1319-1326 Adler A.B., Carol A. Dolan, ‘Military Hardiness as a Buffer of Psychological Health on Return from Deployment’, Military Medicine, 2006, 171, 2:93 Caforio, Giuseppe (2010), “The information society and the changing face of war.” In Janusz Mucha and Katarzyna Leszczynska (eds.), Society, Culture and Technology at the Dawn of the 21st Century. Newcastle upon Tyne: Cambridge Scholars Publishing, pp. 129-142. Eco, Umberto, 2012 “ Terrorismo e media: la comunicazione del terrore”, in Informazioni della Difesa, n. 2/2012 p. 36- 43 Kaldor Mary (1999) New and Old Wars. Cambridge: Polity Press. Richardson, J. D., J. A. Naifeh, J. D. Elhai, ‘Posttraumatic Stress Disorder and Associated Risk Factors in Canadian Peacekeeping Veterans With Health-Related Disabilities’, La Revue canadienne de psychiatrie, 2007, Vol. 52, No. 8 Stouffer Samuel Andrew (1949) e altri Studies in Social Psychology in World War II: The American Soldier, Princeton University Press, Princeton Ward, W. ‘Psychiatric Morbidity in Australian Veterans of the United Nations Peacekeeping Force in Somalia’, Australian and New Zealand Journal of Psychiatry, 1997, 31, pp. 184-193

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L’importanza dell’aspetto mediatico comunicativo nella Guerra asimmetrica è sottolineato da diversi autori: vedi Eco 2012, Caforio 2010.

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ATLANTISMO E USO DELLA FORZA OLTRE CONFINE NELLA GEOSTRATEGIA DEL CANADA di Gianluca Sardellone

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aese fondatore della NATO, storico fornitore di truppe per operazioni di peace-keeping, trait d’union tra Europa ed USA sotto l’aspetto storico e culturale e, dal 1986, membro del G-8: bastano queste poche, sommarie indicazioni per cogliere i punti fondamentali della geostrategia del Canada, un paese vasto 9 milioni di kmq (con “soli” cinquanta milioni di abitanti), terzo al mondo per superficie dopo Russia e Cina, ricchissimo di risorse minerarie e, quindi, ritenuto, un attore di primaria importanza negli equilibri strategici internazionali. Diversamente dalla gran parte dei suoi partners atlantici, il Canada ha potuto beneficiare, sin dalla nascita nel 1867, di una lunga fase di pace sul piano interno: questa perdurante stabilità ha rappresentato un formidabile fattore di potenza ed ha permesso al paese stesso di entrare nei principali organismi multilaterali (NATO e Nazioni Unite in primo luogo) e di giocare un ruolo da protagonista nella stabilizzazione di varie regioni. Last but not least, il Canada ha varato una geostrategia dinamica, facendo delle proprie forze armate un importante strumento da impiegare fuori dai confini nazionali: alla Seconda Guerra Boera, 1899, risale il primo esempio di partecipazione delle forze canadesi ad operazioni oltre confine, con ben 8000 soldati che combatterono valorosamente al fianco delle forze di Sua Maestà nelle principali battaglie, fino a quella decisiva di Paardeerberg. Quell’evento ebbe un’enorme rilevanza nella successiva evoluzione della politica di sicurezza del Canada e nel contestuale processo di emancipazione dall’ex Madre Patria.

PANORAMA INTERNAZIONALE

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Kandahar (Afghanistan) Soldato canadese rende gli onori alla sua bandiera

Dopo aver partecipato attivamente a ben due conflitti mondiali, il Canada, di fronte al nuovo ordine mondiale emerso dopo il 1945 con la divisione della Germania e la contestuale ascesa dell’URSS di Stalin quale superpotenza planetaria, ha superato qualsiasi velleità isolazionista e si è impegnato, in maniera convinta, nella realizzazione di un nuovo ordine mondiale ispirato ai principi liberal-democratici. Nel 1949, insieme con altri undici paesi ha dato vita all’Alleanza Atlantica per proteggere, sotto l’ombrello atomico statunitense, l’Europa dalla minaccia sovietica. L’esplosione della guerra tra le due Coree, sostenute, rispettivamente, da USA e Cina (1950) ha rappresentato il primo banco di prova per il Canada ormai saldamente ancorato al sistema di sicurezza euro-atlantico. Nei tre anni di guerra, infatti, il Canada, impiegando ben 27mila uomini, ha abbracciato in pieno la teoria del domino: sarebbe stato, cioè, necessario garantire in ogni modo la sopravvivenza della Corea del Sud quale entità statuale indipendente poiché una vittoria comunista avrebbe alterato negativamente l’equilibrio di potere non solo nel Pacifico ma in tutto l’Estremo Oriente (le medesime valutazioni avrebbero indotto il Canada, nel 1956, ad intervenire nella guerra arabo-israeliana per il controllo del canale di Suez nazionalizzato dall’Egitto di Nasser sostenuto dall’Unione Sovietica).

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IL CANADA NELLE DUE GUERRE MONDIALI A dispetto della lontananza geografica, il Canada ha profuso un notevole impegno militare in Europa fin dal 1914. Nella Prima Guerra Mondiale, un milione di canadesi (un settimo dell’intera popolazione) hanno combattuto al fianco delle potenze dell’Intesa contro gli Imperi Centrali, pagando un prezzo salato, con oltre duecentomila tra morti, feriti e dispersi. Battaglie campali tra cui Ypres e scorta a svariati convogli in transito nel Pacifico hanno visto protagonisti i militari canadesi, capaci di palesare una notevole capacità di resistenza in una guerra, quella di trincea, ad elevato potere di logoramento psico-fisico. Quest’impegno, peraltro, è valso al Canada l’ammissione nel 1919 alla nascente Società delle Nazioni ma, al contempo, non ha indotto il paese a recedere, nonostante l’appartenenza al Commonwealth, dal proprio isolazionismo. A distanza di neppure vent’anni ed incurante della lontananza geografica, il Canada è intervenuto nuovamente in Europa il 3 settembre 1939, due giorni appena dopo lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Schieratosi al fianco di Francia e Regno Unito contro la Germania nazista, ha visto oltre un milione di suoi soldati combattere fino al 1945 su base volontaria (la leva obbligatoria sarebbe stata introdotta successivamente) e ben 42 mila di essi perire. Le forze aeree e terrestri canadesi hanno operato nell’Atlantico, sui cieli europei, in Italia, Normandia, Belgio, Olanda ed Hong Kong: la marina canadese, per contro, ha contribuito a contrastare le unità dell’Asse nel Pacifico, nelle Aleutine prima e presso le coste giapponesi poi, costituendo, insieme con le unità britanniche, una sorta di forza congiunta nel contesto del Commonwealth. Ma è stato soprattutto in territorio europeo che le forze canadesi hanno avuto modo di distinguersi, sia pure pagando un costo sanguinoso in termini di vite umane: le battaglie di Overlord e Dieppe, lo sbarco alleato in Sicilia e la battaglia della Schelda (che permise la liberazione dell’Olanda, sia pure dopo ben dieci mesi di scontri, grazie all’impegno della Prima Armata) restano pietre miliari non solo nella storia militare canadese ma anche in quella dei rapporti euro-atlantici.

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Soldati Canadesi in Afghanistan

Con l’inizio della guerra fredda e la cristallizzazione del sistema internazionale attorno al binomio USA-URSS ed ai due blocchi ad essi afferenti, il Canada, membro fondatore della NATO, ha contribuito attivamente alla creazione della CSCE ad Helsinki nel 1975: pur segnando l’accettazione, da parte occidentale dello status quo emerso a Yalta nel 1945 e dell'intangibilità delle frontiere post belliche, la CSCE avrebbe creato le premesse per la disgregazione del sistema comunista avvenuta nel 1989. La fine del confronto bipolare USA-URSS non ha ridotto la rilevanza del Canada negli equilibri strategici mondiali: cristallizzato l’assetto politico-territoriale dell’Europa, attraverso l’Unione Europea, e ridottasi l’importanza dell’Africa e dell’America Latina, un tempo terreno di confronto nella cosiddetta strategia periferica delle Grandi Potenze, la nuova sfida geopolitica del III Millennio si è spostata sui ghiacci del continente artico, il solo a non essere stato inglobato nell’ordine mondiale di Versailles prima e Yalta poi. Sotto quest’aspetto, il Canada gioca un ruolo determinante: all’internazionalizzazione de iure dell’Artide, sancita dal trattato di Washington del 1959, che proibiva attività militari ed esperimenti atomici, consentendo solo studi scientifici, infatti, non è seguita quella de facto: il continente ghiacciato è oggetto delle mire geopolitiche di Russia, Canada e Norvegia protesi alla ricerca delle risorse energetiche che si stima possano esservi presenti in misura massiccia. Nonostante la riduzione nel budget per la Difesa stabilito nel 2010, il Canada, per tutelare i propri interessi e non vedere ridotto il proprio ruolo regionale, ha dato impulso all’Operazione Nanook con il dispiegamento di una componente marittima di circa 1000 uomini nell’Artico, supportato dal primo C-17: questa decisione segnava la prosecuzione di un disegno strategico avviato nel 2007 e finalizzato a contenere il principale competitor, la Russia. La fine della guerra fredda e la contestuale scomparsa delle eleganti certezze ad essa correlate non ha comportato un revirement in quello che, tradizionalmente, è un leit-motiv della politica di sicurezza canadese: l’impegno mi-

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litare su scala globale. Come avvenuto nei due conflitti mondiali, il Canada ha continuato ad operare manu militari in Europa intervenendo proprio nei Balcani. Focolaio di ben due conflitti globali, il sud-est europeo aveva visto riaccendersi le rivalità etnico-nazionalistiche in Croazia, Slovenia e Bosnia, retaggio degli instabili equilibri prodotti dai trattati di pace del 1918. Gli attacchi terroristici dell’11 settembre, oltre ad imprimere una svolta epocale nelle relazioni internazionali ed avviare la lotta al terrorismo su scala planetaria, hanno visto il Canada, ancora una volta, pronto ad intervenire al fianco di un paese amico, gli USA, sostenendo l’applicabilità dell’articolo 5 del Trattato NATO (attacco non provocato ad un paese membro) anche in presenza di un attore non statuale (Al Qaeda) ed il conseguente obbligo, da parte di ciascun alleato, di fornire aiuto politico-militare agli USA. Questa scelta di campo, portando ad una maggiore cooperazione nel campo dell’intelligence e della sicurezza, ha rinsaldato la tradizionale special relationship tra USA e Canada e confermato il principio dell’unicità della sicurezza nel continente americano. Il paese, aderendo ad Enduring Freedom, aveva deciso di schierarsi in maniera risoluta contro la multinazionale del terrore di Osama Bin Laden: in quest’ottica va letta la partecipazione, nel contesto della cosiddetta NATO Standing Naval Force Atlantic (STANAVFORLANT), alle operazioni di interdizione marittima nel Golfo dell’Oman e nel Mar Arabico, per contrastare il terrorismo internazionale (collegato alla piaga della pirateria) e la proliferazione di armi di distruzione di massa e tecnologie dual-use.

Militari Canadesi all'aeroporto di Kandahar

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Militari Canadesi all'aeroporto di Kandahar

Quello con gli USA è un rapporto che merita qualche approfondimento. La cooperazione sui temi della sicurezza nel continente americano risale al 1940: l’accordo di Ogdensburg, riconoscendo l’unità della sicurezza del Nord America, ha dato il via ad una serie di accordi in tema di Difesa (oltre ottanta) e Memorandum of Understanding tra i rispettivi Dipartimenti della Difesa (oltre duecento). Nel 1957 un accordo per la difesa aerea del Nord America ha segnato il primo passo di quello che, nel 1981, sarebbe diventato un sistema integrato di difesa denominato NORAD (Comando Aerospaziale del Nord America). Attivo sin dai tempi della guerra fredda, il NORAD, nella geostrategia dell’Amministrazione americana guidata da George Bush jr., avrebbe dovuto essere ulteriormente sviluppato fino alla creazione di un sistema missilistico congiunto ed agire in sinergia con il Planning Group creato nel 2002 per coordinare le operazioni terrestri ed aero-navali in caso di attacchi terroristici o disastri naturali. Canada ed USA, stante l’evoluzione del quadro strategico europeo e lo sviluppo della cosiddetta Identità di Sicurezza e Difesa, “attenzionano” gli sviluppi di una Difesa continentale non inquadrata nel contesto-NATO: il Canada, in particolare, ha temuto una diminuzione della propria importanza negli equilibri della NATO determinata da una più forte componente militare europea.

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Diversamente da quanto avvenuto nel 1991, quando aveva aderito alla coalizione impegnata nella Guerra del Golfo e nella liberazione del Kuwait, il Canada non ha seguito lo storico alleato nell’operazione Iraqi Freedom, essendo per nulla in sintonia con l’unilateralismo della politica di sicurezza dell’Amministrazione Bush jr. I rapporti bilaterali hanno, così, conosciuto una fase di forte down-grade, che si è interrotta solo con l’elezione alla Casa Bianca di Barack Obama e la contestuale decisione di ritornare ad un maggiore coinvolgimento dei partners atlantici nelle grandi questioni strategiche. Il new-deal avviato dagli Stati Uniti ha permesso il rilancio della cooperazione strategica con il Canada ed un rinnovato impegno nella lotta congiunta al terrorismo di matrice qaedista, nonostante la decisione canadese di varare una exit-strategy dall’Afghanistan. Convinto che non fosse possibile proseguire sine die la missione, il governo canadese, il 16 novembre 2010, ha annunciato il ritiro, entro il 2011, delle proprie forze (quasi tremila uomini con pezzi di artiglieria, veicoli corazzati ed elicotteri da trasporto) e la contestuale volontà di mantenere in Afghanistan, fino al marzo 2014, solamente un’aliquota di 950 addestratori militari e 45 consiglieri di polizia con compiti di mera assistenza umanitaria e senza ruoli di combattimento. Attualmente sono circa cinquecento i militari canadesi in Afghanistan inquadrati nell’Operazione Attenzione. Fino alla dead-line del luglio 2011, il Canada, guidando il Team di Ricostruzione della insidiosa provincia di Kandahar, ha svolto un ruolo di grande responsabilità nel martoriato paese centro-asiatico: il passaggio delle consegne tra il generale canadese Milner, responsabile della Task Force a Kandahar, ed il colonnello americano Wood ha chiuso una fase della storia militare canadese ma, al contempo, ne ha aperta una nuova. La lezione appresa in Afghanistan è, infatti, servita ai vertici politici e militari per preparare il paese alle minacce asimmetriche del XXI secolo e svecchiare un sistema di warfare ancora troppo legato agli schemi della guerra fredda: la nuova dottrina denominata “Land Operations 2021: adaptive dispersed operations”, oltre a rilanciare la cooperazione con USA e Gran Bretagna, ha cercato di colmare le carenze in tema di equipaggiamento, addestramento e proiezione della forza che i numerosi Libri Bianchi della Difesa pubblicati dopo il 1989 avevano individuato ma che erano stati palesati dall’attività sul campo con le forze americane. I primi risultati positivi di questa Rivoluzione negli Affari Militari sono stati evidenziati durante la campagna Odyssey Dawn in Libia al fianco di USA, Francia e Regno Unito volta a implementare la risoluzione ONU 1973 e imporre una no-fly-zone contro le forze lealiste del Colonnello Gheddafi: in quell’occasione il Canada, inviando aerei e navi da guerra, è apparso determinato a diffondere la democrazia su scala globale e convinto che, come avvenuto in Kossovo, la NATO debba agire anche fuori dai limiti geografici stabiliti dal Trattato del 1949 (cioè i confini dei paesi membri) quando sono ■ in gioco i diritti umani o esiste un rischio di genocidio.

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CANADA E MISSIONI MULTINAZIONALI Le forze armate canadesi constano, nel complesso, di 65 mila uomini divisi tra esercito (35mila circa), marina (11mila) e aeronautica (19900), con 4500 guardie costiere e 34mila riservisti. Negli ultimi anni, alla luce del mutato contesto internazionale e delle nuove minacce asimmetriche, stanno vivendo una fase di espansione e riorganizzazione che, una volta ultimate, dovrebbero portare a 70mila gli effettivi e 30mila i riservisti. Sotto l’aspetto organizzativo, afferiscono a quattro comandi operativi congiunti: il CANADACOM (responsabile di tutte operazioni interne con sei sub-comandi regionali), il CEFCOM (comando delle forze di spedizione, preposto a tutte le operazioni internazionali), il CANSOFCOM (operazioni speciali e forze ad esse preposte), il CANOSCOM (logistica, movimento, servizi di genio, assistenza sanitaria, comunicazioni a supporto di CANADACOM e CEFCOM). Dal 1948 ad oggi, oltre a combattere ben due guerre mondiali fuori dai confini nazionali, sono stati più di 100mila i militari canadesi che hanno partecipato alle missioni ONU nei vari angoli del pianeta: tagli nel budget della difesa e riorganizzazione delle forze hanno, tuttavia, prodotto, a partire dal 2008, una minore presenza in simili contesti e fatto scivolare il paese oltre il trentesimo posto quanto a contributi alle operazioni di peace-keeping. Dopo il devastante sisma del 2010, il Canada ha inviato personale medico, del genio e soldati a supporto della sicurezza di Haiti: alla missione militare, che comprendeva duemila uomini, si è sostituita una task-force guidata da un’agenzia civile e la presenza canadese in MINUSTAH (Operazione Amleto) si è ridotta a soli cinque uomini. Non si trattava della prima missione canadese ad Haiti: nel biennio 1996-1997, infatti, le forze canadesi vi avevano condotto l’Operazione Standard and Stable al fine di salvaguardare il fragile assetto politico-istituzionale dell’isola. Il Canada è presente nei Balcani: il ritiro dalla Bosnia-Erzegovina, dopo ben diciannove anni, non ha comportato la fine dell’impegno militare in loco e l’Operazione Kobold è il contributo canadese alla missione NATO in Kosovo. L’aeronautica canadese ha svolto un ruolo importante in Bosnia e Kossovo, mentre le forze di terra hanno operato nei contesti SFOR e KFOR: all’inizio del 1999 diciotto aerei canadesi hanno partecipato all’Operazione Allied Force contro la Serbia, conducendo ben 678 sortite armate (il 10% circa di quelle complessivamente condotte dalla NATO). Di questa complessa macchina bellica, restano, attualmente, due uomini (in sede OSCE) in Bosnia ed una decina in Serbia (nei contesti NATO ed OSCE). Da segnalare è anche la presenza del Canada in vari paesi dell’Africa: i suoi uomini partecipano alle missioni ONU in Repubblica Democratica del Congo (MONUSCO, Operazione Crocodile) con dieci osservatori, in Egitto (MFO, operazione Calumet) con ventotto uomini inquadrati nella forza multinazionale in Sinai creata per monitorare l’accordo di pace tra Egitto ed Israele siglato a Camp David nel 1978 ed im-

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pedire il transito illegale di armi verso la Striscia di Gaza. Con otto uomini, inoltre, il Canada è presente nell’Operazione Sculpture in Sierra Leone (IMATT) guidata dalla Gran Bretagna, mentre sono cinque gli osservatori impegnati in Sudan nei contesti UNAMIS e UNAMID. Il Canada è stato presente nella missione UNMEE lungo il confine tra Etiopia ed Eritrea e nella forza internazionale denominata INTERFET che ha operato a Timor Est dopo l’indipendenza dall’Indonesia. All’impegno profuso nel peace-keeping va aggiunta la presenza in varie esercitazioni bilaterali con gli USA nonché a complesse manovre multinazionali. Il Canada è presente nell’Operazione “Sextant”, contributo alle navi da guerra della NATO che pattugliano l’Oceano Atlantico ed il Mediterraneo e le unità operano in modo integrato nel contesto dello Standing NATO Response Force Maritime Group (SNMG-1): creata nel 2005, la SNMG-1 è uno squadrone navale con incrociatori e fregate di vari paesi NATO che operano sotto il comando del Quartier Generale di Northwwood (Regno Unito) e di cui fanno parte Belgio, Gran Bretagna, Canada, Danimarca, Germania, Olanda, Norvegia, Polonia, Portogallo, Spagna e USA. Le navi da guerra di Canada ed USA prendono parte, ogni due anni, all’esercitazione denominata “Trident Fury” e questa cooperazione ha trovato ulteriore sviluppo grazie all’esercitazione TGEX 2-10 (alla fine del 2010), ove erano previste attività di caccia ai sottomarini, warfare anti-aereo, ricerca e soccorso, operazioni di interdizione navale finalizzate al contrasto di pirateria e traffico di droga. Rim of the Pacific (RIMPAC), a sua volta, è un’esercitazione multinazionale finalizzata a migliorare la capacità delle forze canadesi di operare in contesti multilaterali in attività di difesa aerea, warfare in ambiente terrestre e sottomarino, attività di sminamento ed anfibie: il Canada vi prende parte, ininterrottamente, dal 1971. Nel 2008, RIMPAC ha coinvolto dieci nazioni, 35 unità navali, sei sottomarini, oltre 150 aerei e 20mila uomini provenienti dalle varie forze armate di Australia, Canada, Cile, Giappone, Olanda, Perù, Sud Corea, Singapore, GB ed USA. La marina canadese, inoltre, insieme con quelle di USA, Cile ed Australia, conduce annualmente esercitazioni denominate “Nanook”, mentre le forze aeree sono presenti in Maple Flag, un’esercitazione internazionale della durata di quattro settimane che fornisce addestramento al combattimento aereo simulando scenari ostili in un ambiente accademico ma estremamente realistico. Last but not least, attualmente, sono circa trecento i militari canadesi che, nel contesto NATO, sono dislocati negli USA e duecentottanta quelli in Germania.

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IL NUOVO CONCETTO STRATEGICO DELLA NATO: TRA GIUSTIFICAZIONE DELLA PROPRIA ESISTENZA E FUCINA DI IDEE PER I PROBLEMI DEL FUTURO di Maurizio Riccò e Giuseppe Rocco

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el novembre 2010, in occasione del Summit di Lisbona, i Capi di Stato e di Governo approvano il nuovo Concetto Strategico dell’Alleanza Atlantica. Un concetto che appare da subito nuovo sotto molti aspetti e non solo per i contenuti che sottendono una nuova era ma anche per le modalità utilizzate per la sua redazione che ha visto il coinvolgimento di un numero indefinito di persone, organizzazioni e nazioni; novità di eccezione è stata in tal senso l’utilizzazione dei più disparati strumenti di massa per coinvolgere tutti coloro che a diverso titolo avessero un interesse o una passione nei confronti della NATO. Eppure, come ormai d’abitudine, il significativo evento è stato accompagnato dalle ormai consumate diatribe sull’utilità di una organizzazione che sembra ad alcuni superata dagli avvenimenti e non del tutto credibile laddove, a fronte di una crisi finanziaria senza precedenti, viene dichiarata la ferma volontà di mantenere gli stessi livelli di ambizione. Un’analisi però più attenta dei campi di studio e di azione nella quale la NATO si trova ineluttabilmente a confrontarsi a causa della globalizzazione, toglie di fatto importanza alla dietrologia delle ragioni che la spingono a rimanere attore internazionale di primo piano. In effetti, il Concetto non è solo un documento di orientamento politico-strategico, ma un vero e proprio piano d’azione, una road map che delinea in maniera chiara e dettagliata le azioni che dovranno guidare Conferenza del Segretario Generale della NATO. Summit di Lisbona 2010. Fonte NATO

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l’Alleanza Atlantica nei prossimi anni. Ma in un mondo ormai caratterizzato, ed essenzialmente costituito, da “sistemi di sistemi” dove l’interazione, l’interconnessione, l’interdipendenza sono inevitabili, ciò che l’Alleanza prevede oggi e che andrà a fare nel Supreme Headquarters Allied Powers Europe (SHAPE) presso Mons. futuro avrà necessariaFonte NATO_ACO website mente effetti, diretti e indiretti, voluti e indesiderati, su tutti gli altri attori che operano sulla stessa scena. Anche la crisi economica mondiale che vede l’Europa, la NATO e tanti altri Paesi di fronte all’impellente necessità di porre mano a profonde riforme, non ultima quella dell’intero comparto Difesa, rende le linee programmatiche disegnate nel Concetto Strategicodi capitale importanza per il futuro non solo dell’Alleanza ma del mondo intero. Il Concetto Strategico è, come già anticipato, un documento politico-strategico nel quale sono delineati il ruolo e i compiti dell’Alleanza al fine di fronteggiare i nuovi rischi e capitalizzare le nuove sfide. È proprio attraverso l’analisi dei Concetti Strategici temporalmente succedutisi che si possono comprendere le ragioni che fanno di tale Organizzazione un’Alleanza di successo, capace di adattarsi e conformarsi ai diversi e rivoluzionari contesti geostrategici che hanno caratterizzato, in particolar modo, gli ultimi decenni. Ciò, ha peraltro contribuito a far sì che le problematiche da affrontare siano sempre più ad ampio spettro al punto di ricomprendere quasi tutti i domini della vita umana e che difesa e la sicurezza, entrambe nelle accezioni più ampie, si fondano e si confondano, con l’una sempre più dipendente dall’altra. Creata nel 1949 quale Organizzazione politica regionale con una struttura militare integrata per far fronte alla minaccia sovietica, la NATO è, infatti, divenuta un Organismo di imposizione e sostegno della pace, di stabilizzazione di aree di crisi e, più in generale, di garante della sicurezza internazionale. In tal senso, i Concetti Strategici temporalmente successivi al crollo del Muro di Berlino sono conseguentemente traslati da misure per fronteggiare scenari di guerra e di contrapposizioni di blocchi a modalità d’azione per le nuove situazioni di instabilità e di potenziale rischio; ciò, al fine di prevenire o contenere ogni possibile crisi nel contesto di una ricerca della stabilità mondiale. I Concetti Strategici iniziano così ad essere caratterizzati da una profonda analisi delle possibili minacce e dei relativi rischi derivanti dal contesto geostrategico del medio e lungo termine per poi definire le misure da adottare sul piano po-

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litico-strategico e politico-militare. È appunto in questi termini che viene strutturato il Concetto Strategico approvato a Washington nell’aprile del 1999: da un lato ribadisce la necessità di garantire la sicurezza, favorire la consultazione fra gli Stati e facilitare la deterrenza/dissuasione, dall’altro prevede nuovi e innovativi compiti. In particolare, per la prima volta, viene proposta la proiezione esterna - oltre i confini regionali euro-atlantici - della stabilità, la gestione delle crisi, la funzione “stabilizzatrice” del dialogo e della cooperazione. Con il Concetto Strategico del 2010 si è, infine, chiuso un decennio caratterizzato da straordinari avvenimenti che hanno imposto un’ennesima revisione del concetto stesso per contestualizzarlo a una nuova situazione geopolitica e per renderlo funzionale alle future sfide alla sicurezza. Il nuovo Concetto Strategico della NATO trova il suo cardine nell’idea che l’attuale scenario geopolitico mondiale è in continuo mutamento e che la sicurezza dell’area europea e nord-atlantica è minacciata da molteplici fattori di criticità; tra quest’ultimi vengono annoverate le crisi regionali diffuse, le minacce terroristiche e cibernetiche, la criminalità organizzata, le interruzioni dei flussi di risorse energetiche, la proliferazione delle armi di distruzione di massa, l’instabilità permanente di alcune realtà statuali e l’emersione di nuove forme di minacce denominate ibride. Nel sottoscrivere questo documento, i Capi di Stato e di Governo hanno voluto inviare un messaggio politico rimarcando l’importanza del legame euro-atlantico, riaffermando la missione principale della NATO: “prevenire le crisi promuovendo la stabilità internazionale prima che le criticità geo-strategiche mettano in crisi la sicurezza dei 28 Alleati” 1. Ed è proprio su questo ruolo “globale” della NATO che si è aperto un intenso dibattito tra il gruppo dei Paesi favorevoli a tale tipo di approccio, quelli più propensi alla difesa collettiva del territorio euro-atlantico ed un terzo gruppo orientato ad una posizione intermedia. Tale contrapposizione di visioni ha ovviamente influenzato la redazione del nuovo Concetto Strategico che, nel mediare le tre prefate posizioni, ha disegnato il futuro dell’Alleanza Atlantica intorno a tre pilastri principali: - la Difesa Collettiva (Collective Defence), e quindi la centralità dell’articolo 5 del Trattato di Washington, attualizzato ed adeguato al nuovo concetto di sicurezza che concepisce la propria difesa anche attraverso attività di stabilizzazione che superano i propri confini territoriali; - la Gestione delle Crisi (Crisis Management), con riferimento al rafforzamento del concetto denominato Comprehensive Approach (approccio multidimensionale), fattore ritenuto chiave per la risoluzione delle crisi moderne; - la Sicurezza Cooperativa (Cooperative Security), da attuarsi per il tramite di partnership con Organizzazioni e Paesi esterni all’Alleanza Atlantica, e che mira alla stabilità del panorama internazionale.

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Vds. Chiti Cristiano in “Un nuovo Concetto Strategico per una Alleanza che si rinnova”, articolo pubblicato su Informazioni Difesa n. 6/10, pagina 18.

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Sessione del Comitato Militare della NATO 25-26 aprile 2012. Fonte NATO website

LE OPPORTUNITÀ E LE SFIDE DEL NUOVO CONCETTO Il Comprehensive Approach (l’approccio multidimensionale) Le crisi moderne sono fenomeni complessi, caratterizzati da una molteplicità di attori e da un’articolata combinazione di fattori di natura storica, politica, militare, sociale, culturale ed economica. La loro risoluzione non può prescindere dall’applicazione di un approccio “sistemico” che si basa su una visione onnicomprensiva dell’area di ingaggio (engagement space) costituita dai sottosistemi che nel loro agire ed interagire sono alla base della crisi stessa. Nella fattispecie, sono stati individuati quelli che seguono: - politico, inteso come la distribuzione delle responsabilità e del potere a tutti i livelli dell’organizzazione statale; - militare, dove si ricomprendono le capacità militari di tutte le Forze Armate e di sicurezza; - economico, concernente il comportamento individuale e collettivo dei gruppi in relazione alla produzione, distribuzione e consumo delle risorse; - sociale, riguardante la popolazione che occupa un territorio che ha una cultura comune e che condivide lo stesso senso d’identità; - infrastrutturale, relativo alle strutture di base, i servizi e le installazioni necessarie al funzionamento di una società;

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- informativo, costituito dall’insieme degli individui, delle Organizzazioni, e dei sistemi che raccolgono, valutano e distribuiscono le informazioni. L’analisi sistemica degli obiettivi, dei punti di forza, delle debolezze e delle interdipendenze dei principali attori all’interno di questi sottosistemi consente l’individuazione del loro possibile agire nella specifica area di ingaggio. Tale conoscenza è quindi utilizzata a tutti i livelli per stabilire quali azioni/influenze devono essere intraprese per raggiungere gli obiettivi strategici e il desiderato end state 2. È, infatti, ormai evidente che lo strumento militare è solo uno degli instruments of power 3 per influenzare il comportamento e le capacità di un potenziale avversario. L’azione integrata di questi strumenti di potere costituisce parte fondamentale della filosofia del Comprehensive Approach che è finalizzata ad una condivisione degli obiettivi da raggiungere ed alla realizzazione di un piano inter-agency. In definitiva, le nuove crisi, caratterizzate da complessità, asimmetria e presenza di minacce ibride, possono trovare la soluzione solo attraverso un approccio multidimensionale che coinvolge i diversi attori che operano direttamente o indirettamente nella crisi. Cyber Security (sicurezza cibernetica) “I cyber attacks non sono più un qualcosa che riguarda la fantascienza ma possono costituire un problema di sicurezza nazionale”. Questo è quanto ha affermato il Ministro della Difesa estone pro tempore dopo il cyber attack che, nel maggio del 2007, ha sabotato i siti internet governativi e della pubblica informazione della Repubblica baltica. Dopo tale evento, la Comunità Internazionale e la NATO hanno preso coscienza della realtà della minaccia cibernetica e della gravità delle sue conseguenze che possono essere disastrose per la sicurezza di una Nazione. In effetti, in un mondo industrializzato 4, il cui network poggia sull’efficienza dei sistemi di comunicazione, garantirne i flussi e la protezione appare vitale. Dopo gli attacchi in Estonia, la NATO ha quindi ritenuto opportuno avviare un nuovo progetto teso a garantire la sicurezza delle comunicazioni e delle infrastrutture definite critiche; ciò attraverso l’applicazione di nuove procedure di sicurezza informatica e rivisitando il suo concetto di cyber defence, inizialmente incentrato sulla protezione dei soli sistemi militari di comunicazione. È una sfida che l’Alleanza Atlantica dovrà affrontare nei prossimi anni dotandosi di adeguati strumenti in grado di contrastare il fenomeno che, oltre ad evolversi tecnologicamente in maniera repentina, aumenta di frequenza 5 e non richiede grandi investimenti di denaro.

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“Situazione politica e/o militare che si intende conseguire al completamento di un’operazione; esso indica che l’obiettivo è stato raggiunto”. Gli Instruments of power sono il Military-Polical-Economic-Civil noti con l’acronimo NATO MPEC. Cfr. Toffler Alvin, “La terza ondata”, Sperling & Kupfer, Anno 1987. La NATO ha dichiarato di far fronte ogni giorno a centinaia di eventi sospetti di intromissione nei suoi sistemi informatici.

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La sicurezza energetica “Le nostre economie sono sempre più dipendenti dai rifornimenti energetici provenienti da tutto il mondo, il che significa che attacchi alle strutture che supportano tale flusso possono avere drammatici effetti sulla nostra sicurezza”. Questo è quanto il Segretario Generale della NATO Rasmussen ha sostenuto durante i lavori preparatori del vertice di Lisbona in merito alla sicurezza energetica per i Paesi dell’Alleanza Atlantica. Il Concetto Strategico del 2010 ne ha evidenziato l’importanza sottolineando la necessità di proteggere le rotte dei flussi energetici e contestualmente quelle delle vie di comunicazione per il commercio mondiale. Questa necessità è anche accentuata dal fatto che a fronte di una richiesta di energia in continuo aumento, si contrappone una limitazione di risorse nel medio e lungo periodo che potrebbe in futuro alterare gli equilibri con impatti negativi sulla sicurezza dei Paesi della NATO. Ciò ha portato l’Alleanza Atlantica ad un’attiva cooperazione per fronteggiare questa problematica. La nuova policy, già avanzata con il Summit di Bucarest del 2008, si è strutturata su concetti quali lo scambio continuo di informazioni con i Paesi partner, la cooperazione regionale ed internazionale e la protezione delle infrastrutture critiche. Nello specifico, le operazioni, soprattutto navali, della NATO mirano a prevenire azioni ostili che direttamente o indirettamente possono incidere sulla sicurezza dei flussi energetici; basti pensare all’Operazione in corso Ocean Shield nell’Oceano Indiano o all’Operazione Active Endeavour volte a garantire, tra gli altri compiti, la sicurezza energetica sulle rotte del Corno d’Africa e del Mediterraneo attraverso il quale passa il 65% di tutto il petrolio e gas naturale consumato in Europa. In tale contesto la NATO sta cooperando, per il tramite del Partnership for Peace, del Dialogo per il Mediterraneo e della Istanbul Cooperation Initiative, con i Paesi produttori e con quelli attraverso i quali passano le vie di flusso.

L’INCERTEZZA DIVENTA STIMOLO ALLO SVILUPPO Il contesto generale è in continua evoluzione ed il mondo è profondamente diverso da quello di solo qualche decennio fa. Emergono nuovi attori, nuovi rischi e nuove minacce. Tale situazione di incertezza è caratterizzata principalmente dai seguenti elementi: - non esistono più quelli che erano convenzionalmente denominati “conflitti tradizionali”; - le crisi e le tensioni tra più Paesi, tra entità statuali e non, tra Stati e congregazioni di estremisti, tra failed states e terroristi, prima meramente caratterizzate da una dislocazione “regionale”, sono ora “accenditori” a carattere mondiale; - non c’è più un nemico nel senso classico della parola e persino parlare di guerra nelle accezioni giuridico-legislative universalmente riconosciute appare difficile se non talora improprio; - le risorse “primarie”, forse per troppo tempo considerate inesauribili, come l’acqua, il petrolio, l’energia e i fenomeni naturali disastrosi, sempre

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Il Segretario Generale della NATO e il Presidente Italiano-27 aprile 2012. Fonte NATO Website

più frequenti, come quelli che derivano dal surriscaldamento della terra, iniziano a divenire ragioni di crisi e di tensione; - la necessità di procedere, nell’ambito delle Peace Support Operations, alla trasformazione del soldato/gendarme in gendarme/soldato. Le future crisi saranno assimilabili, verosimilmente, ad operazioni di “polizia internazionale” che richiederanno più un lavoro di law and order che di combat capability; - l’opinione pubblica è sempre più cosciente di cosa accade, vive le crisi che interessano il suo mondo, partecipa e influenza le scelte strategiche, esige e chiede riscontro di quanto viene fatto in suo nome. Con uno scenario geostrategico sempre più imprevedibile, anche i paradigmi concettuali per interpretare le relative dinamiche non possono che essere in continua evoluzione e necessitare di chiavi di lettura adeguate. La NATO, quale attore primario della scena internazionale, si adopera ancora una volta

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Foto Ufficiale del Summit NATO. Summit di Lisbona 2010. Fonte NATO website

e lo fa per il tramite del Concetto Strategico del 2010 dove il tutto è reso ancora più impegnativo e complicato dalla comparsa di una crisi con un’amplificazione mondiale. In tal senso l’Alleanza Atlantica ha: - redatto il nuovo Concetto Strategico coinvolgendo ogni possibile attore NATO e non-NATO, militare e civile; - iniziato a chiedersi, in particolare i Paesi NATO dell’Europa Orientale, se l’articolo 5 del proprio Trattato è ancora così vitale riconoscendo che, seppur centrale, non è più adeguato ai nuovi scenari; - evidenziato che il mondo globalizzato è una sorta di “sistema di sistemi” e che pertanto ogni soluzione implica un approccio multidimensionale dove lo strumento di potere “militare” è solo uno dei tanti da impiegare all’interno di una crisi; - iniziato ad interrogarsi sulla figura del soldato NATO che agisce in un ambiente completamente diverso dove il suo operare a livello tattico ha conseguenze a livello strategico (The strategic corporal);

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- deciso di non attribuire alcuna classifica di segretezza alla nuova direttiva per la pianificazione operativa, peraltro basata sull’approccio multidimensionale, al fine di poterla condividere con qualsiasi attore, militare e non, NATO o Partnership for Peace; - razionalizzato in chiave riduttiva la propria struttura di Comando, suggerendo, in piena crisi economica, tutta una serie di misure volte a favorire una Organizzazione comunque funzionale ed efficace; - chiarito di non voler ricoprire il ruolo di “super-coordinatore” e si è dichiarata disposta ad assumere una funzione di primo piano solo nel cosiddetto “sottosistema militare”. In conclusione, l’Alleanza Atlantica necessiterà sempre più di uno strumento militare efficace e dispiegabile prontamente laddove necessario. Per raggiungere tale obiettivo, anche alla luce della attuale crisi economica, i Paesi membri si trovano costretti a spendere meno e meglio; una prima testimonianza è rappresentata dall’attuazione della politica della smart defence e del burden sharing 6, che ha contribuito allo snellimento della struttura di Comando della NATO e ad una sensibile riduzione delle sue Agenzie. La NATO nel suo continuo adeguarsi alle nuove sfide dovrà necessariamente ampliare anche il suo raggio di azione stabilendo legami di natura politica-militare con Paesi partner con i quali condivide i medesimi obiettivi. Ciò non significa divenire un “gendarme globale della sicurezza” ma “globalizzare” il suo pensare e creare di conseguenza quelle capacità che le potranno permettere di intervenire e gestire ogni tipo di crisi. Nel far ciò, nel muovere dalla difesa alla sicurezza, nel studiare il mondo e i suoi aspetti per far fronte alle nuove minacce, la NATO diventa di fatto lo strumento per cavalcare le nuove sfide, il forum dove ciò che fino a ieri sembrava inimmaginabile diventa, prima che ■ altrove, realtà.

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La Smart Defence è un concetto che incoraggia la cooperazione tra i Paesi NATO nei vari settori della sicurezza e difesa per rendere gli sforzi più efficaci ed efficienti attraverso una equa distribuzione dei pesi finanziari (Burden Sharing).

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POOLING & SHARING: UTOPIA O NECESSITÀ? di Gianluca Capasso

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a profonda crisi finanziaria che ha colpito i Paesi del mondo occidentale nell’ultimo decennio ha provocato, tra l’altro, decise contrazioni dei bilanci della Difesa e nello stesso periodo i compiti delle Forze Armate sono gradualmente aumentati. L’implosione dell’ex Iugoslavia e l’intervento nei Balcani, l’aggressione di Saddam al Kuwait, la lunga operazione in Afghanistan, il terrorismo di radice islamica, la ripresa della pirateria nell’Oceano Indiano, la proliferazione nucleare da parte di Iran e Corea del Nord e le repressioni dei governi contro i loro stessi popoli (Iraq, Serbia, Kosovo, Libia) testimoniano non solo la rilevanza degli impegni operativi, ma anche la peculiarità di uno scenario strategico denso di incertezze, che richiede, pertanto, il mantenimento di un vasto spettro di capacità, per poter fronteggiare anche crisi al momento non previste. In sostanza le Forze Armate, come conseguenza dell’adozione del principio Responsibility to Protect, saranno chiamate a “fare di più con meno” e questa nuova tendenza caratterizzerà le strategie future dei Paesi europei e della NATO. L’impiego delle Forze Armate europee all’interno di tali nuovi scenari ha evidenziato l’esistenza di inutili quanto dispendiose duplicazioni, ma anche di diversi gap capacitivi. Tali carenze hanno avuto un impatto significativo sulle capacità espresse che, seppur nell’ambito di coalizioni multinazionali, hanno palesato l’impossibilità di condurre operazioni in maniera autonoma, sia a livello europeo sia in ambito NATO, senza il supporto delle forze statunitensi. Da queste esperienze e dalla loro analisi, in un’ottica sinergica, è cominciata ad emergere l’idea di dover non solo sfruttare meglio le risorse disponibili e le capacità esistenti, mettendole a fattor comune, ma anche pensare ad un mercato della Difesa unico che preveda ricerca, sviluppo e procurement comunitari. Infatti, se in una fase iniziale si può pensare ad un una semplice condivisione di certe capacità già esistenti, in futuro, per potersi confrontare con mercati e budget come quelli USA, bisognerà escogitare, a livello europeo, strategie che portino i Paesi membri a sviluppare capacità complementari, sfruttando sistemi interoperabili e standardizzati, fino a giungere al consolidamento di un approccio cooperativo per lo sviluppo di capacità per la Difesa.

Afghanistan - Attività dei militari del Genio

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Tale approccio è stato denominato Pooling and Sharing (P&S) e la prima volta che Claude-France Arnould, Chief Executive dell’EDA1, ha ufficialmente citato tale metodologia è stato nell’ottobre del 2010 durante una conferenza dell’Unione Europea tenutasi a Ghent, in cui si discuteva delle inefficienze delle forze militari europee. In quell’incontro è emerso che l’unica strada da percorrere per avere una difesa comune europea efficace, interoperabile e sostenibile per giungere in futuro ad un’attività di ricerca e sviluppo comunitaria e ad una distribuzione delle risorse più razionale ed efficace, era mettere a fattor comune le risorse militari già esistenti ed evitare inutili duplicazioni con una pianificazione mirata e condivisa. Da quel momento l’attenzione verso questo nuovo tipo di approccio è stata altissima e le numerose iniziative avviate in contesti multinazionali, in ambito EDA e NATO, ne sono una testimonianza. Finora, però, nonostante queste premesse, il dibattito politico, tra gli Stati europei, ha visto prevalere i temi nazionali e la salvaguardia della sovranità nazionale, rimandando di fatto, per lo sviluppo di nuove capacità, il ricorso sistematico e significativo al P&S.

UN PO’ DI NUMERI Ad avvalorare la necessità di un cambio di mentalità che incrementi le aree di cooperazione tra gli Stati e miri a creare un mercato della Difesa europeo unico, ci sono delle evidenze che scaturiscono dalla mera analisi finanziaria. Analizzando, infatti, i risultati contenuti nell’Annual Report sulle spese sostenute da parte dei 26 participating Member States (pMS) nel 2010 per la Difesa, edito dall’EDA, si nota che in Europa sono stati spesi €191 mld, mentre negli Stati Uniti, nello stesso periodo, l’equivalente di €520 mld. L’UE ha sempre avuto, di massima, un budget pari alla metà di quello USA, ma questa differenza negli ultimi anni, nonostante una politica di contrazione finanziaria stia interessando anche gli Stati Uniti, è incrementata. I tagli dal 2008 al 2010, in Europa, sono stati superiori al 10% e solo Gran Bretagna, Francia, Turchia e Grecia hanno raggiunto l’obiettivo NATO di spendere per la Difesa almeno il 2% del PIL. Le spese USA in questo settore sono pari al 4,8% del PIL, mentre l’Europa si è attestata su una media pari a 1,6%. Anche volgendo lo sguardo verso est la situazione non è confortante: le spese sostenute per la Difesa e la Sicurezza nell’area asiatica, che ha registrato negli anni recenti una crescita annua del 3%, secondo le stime nel 2013 supereranno per la prima volta quelle del blocco europeo. Inoltre, continuando il confronto con gli Stati Uniti, si osserva che mentre l’EU destina la metà del budget aggregato della Difesa al personale civile e militare, gli alleati spendono poco più del 30% del loro budget per tale

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European Defence Agency, un’organizzazione fondata nel 2005 per migliorare le capacità di difesa dell’Unione Europea.

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Manovre ravvicinate tra Flagship

voce. Questo squilibrio è preoccupante e dimostra quanto l’EU sia obbligata a compiere uno sforzo maggiore verso l’armonizzazione delle Forze Armate e la cooperazione tra gli Stati. È ormai evidente il bisogno di sviluppare uno strumento militare, tanto a livello nazionale quanto a livello europeo, snello, sostenibile e tecnologicamente all’avanguardia, che sostenga anche l’attività di ricerca e sviluppo. Il P&S potrebbe essere la strada da seguire per valorizzare le competenze specifiche che risiedono nei pMS e favorire la cooperazione non solo nell’area capacitiva, ma anche nel campo della ricerca. La necessità di invertire tale tendenza è evidente ed il suo effetto negativo è visibile a tutti: in Europa esistono 27 diversi mercati della Difesa ed innumerevoli poli industriali, ciascuno con i propri interessi ed un know how non uniformemente distribuito.

TIPOLOGIE DI POOLING&SHARING In considerazione dell’importanza che potrebbe assumere tale approccio, è opportuno comprendere cosa effettivamente significhi fare P&S, dal punto di vista “tecnico”, ma soprattutto è necessario valutare gli eventuali benefici, le criticità e gli interrogativi che possono emergere quando si affronta un processo di valutazione capacitiva attraverso tale approccio. Da un punto di vista “teorico” esistono diverse metodologie di P&S, non mutualmente esclusive. Si precisa che i modelli di seguito riportati sono solo alcuni degli esempi di cooperazione attualmente utilizzati e che ulteriori meccanismi, ancora più efficaci, potrebbero essere sperimentati in futuro: • Cascading, è l’impiego collettivo di equipaggiamenti e capacità in esubero, donate, trasferite o scambiate tra i vari pMS dell’Unione (contribution in kind). Per questo tipo di P&S, l’EDA intende creare un mercato elettronico (EDA-Bay), dove i pMS potranno pubblicare i loro surplus e/o esprimere i loro interessi ed i loro needs;

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• Force generation and sustainment headquarters, questo modello si realizza quando i pMS decidono di mettere a fattor comune quartier generali responsabili per la logistica e la manutenzione, procedure e regolamentazioni, esercitazioni e addestramento. Ci sono alcuni esempi in ambito europeo di tale tipo di approccio: la prima iniziativa è nata tra Belgio, Francia, Germania e Paesi Bassi, i quali hanno unificato, con ottimi risultati, i rispettivi Centri di Comando delle forze aeree di trasporto (European Air Transport Command). Il secondo esempio riguarda la cooperazione che ha interessato i Comandi Navali di Belgio e Paesi Bassi (Naval Cooperation) e l’ultimo riguarda i piloti militari belgi, che vengono addestrati in Francia già da diversi anni; • Pooling Demand, si realizza attraverso un joint procurement, generalmente per l’acquisizione di prodotti off-the-shelf, cioè già disponibili sul mercato. L’applicazione di tale tipologia di P&S offre la possibilità di ridurre le spese, aumentare l’interoperabilità e la standardizzazione. Le aree che potrebbero essere interessate sono: trasporto, supporto logistico, addestramento e formazione, veicoli, munizionamento, armi, equipaggiamento individuale e comunicazioni. Un esempio di applicazione di tale tipologia è offerto da un progetto pilota, in ambito EDA, per la counter-IED2.

COSA STA FACENDO LA NATO? In ambito NATO, l’approccio P&S, ha preso il nome di Smart Defence (SD) e, come dichiarato dal Segretario Generale Rasmussen alla Security Conference svoltasi a Monaco nel 2011, questo nuovo approccio, lanciato in un periodo di austerità finanziaria, promuove, in una visione a lungo termine, la ricerca di soluzioni alle lacune capacitive essenziali per la missione dell’Alleanza, impiegando meno risorse secondo un’ottica di cooperazione e flessibilità. Lo slogan lanciato in quell’incontro è stato: “In questi tempi di austerità, ogni euro, dollaro o sterlina, ha importanza per la NATO e questo significa realizzare Pooling and Sharing”. Il programma SD nasce in seno all’Alleanza con lo scopo di assicurare uno sviluppo capacitivo continuo e sostenibile che, in accordo a quanto previsto dall’ultimo Concetto Strategico, sia commisurato alle sfide globali nel campo della sicurezza. Il tema della Smart Defence è stato centrale anche durante il Summit di Chicago del maggio 2012 dove è stata espressa la consapevolezza che la sua realizzazione impone un forte e chiaro commitment politico, nonché sostanziali cambiamenti nella mentalità e nelle scelte da parte dei vari membri. In particolare sono state indicate le linee guida da seguire per la realizzazione del programma, tra cui le più significative sono: - definizione delle priorità sugli investimenti, sulla base di quanto deciso a Lisbona;

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Improvised Explosive Device.

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Eurofighter del 36° Stormo

- cooperazione nell’acquisizione (pooling, sharing e maintaining) per quelle capacità che non possono essere realizzate da singole Nazioni; - specializzazione in particolari aree capacitive (nicchie di eccellenza), attraverso un processo di consultazione, cercando di mantenere a livello NATO, la più ampia gamma di capacità possibile. Il Segretario Generale a tal proposito ha ribadito durante l’ultima Security Conference tenutasi a Monaco nel dicembre 2012, l’importanza della SD, sottolineando la necessità di esprimere una chiara volontà ed un forte impegno da parte delle nazioni la SD. Egli ha altresì chiarito che la SD è per la NATO un punto di forza, ma la sua realizzazione dipenderà dalle scelte intraprese dei membri dell’Alleanza ed ha perciò suggerito di rivedere in tale ottica le priorità nazionali ed ha assicurato che la NATO privilegerà, per le scelte future, la cooperazione tra gli Stati e la valorizzazione delle specializzazioni che già risiedono nei vari Paesi Membri. Inoltre ha sottolineato la criticità della situazione contingente, caratterizzata da grossi cambiamenti quali: la crisi finanziaria e i conseguenti tagli ai bilanci della Difesa europei, l’evoluzione della defence posture degli USA e la fine delle operazioni in Afghanistan. Nell’evidenziare l’eventualità che l’Alleanza possa uscire indebolita da tali cambiamenti, ha affermato che la SD è l’unica che consentirà alla NATO di uscire, invece, rafforzata da questa situazione critica. Il Segretario Generale ha infine affermato che la SD è una strategia di lungo termine che consentirà di acquisire nuove capacità sostenibili, ma l’obiettivo ultimo di tale approccio dovrà essere l’interoperabilità, intesa non solo come capacità di operare insieme, ma come abilità di “connettere” le forze, stabilendo una dottrina comune che si esplichi attraverso comando, controllo, dottrina e procedure comuni. L’implementazione di tali compo-

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nenti non potrà prescindere dai principi di: sostenibilità finanziaria, disponibilità delle capacità (Assured Access) ed armonizzazione delle priorità nazionali con quelle della NATO. Nell’atto pratico la SD si è finora sviluppata attraverso un processo articolato e complesso, organizzato su più fasi: quelLezioni di investigazione scientifica da parte dei Carabinieri la più delicata, ovvero la transizione delle competenze dalla Task Force in seno ad ACT3 alle Nazioni leader o ai vari Comitati, ha presentato talune “sbavature”, probabilmente riconducibili alle molteplici interazioni e aggiornamenti intercorsi con i differenti attori, tra cui le capitali. La risposta delle Forze Armate nazionali alla SD è stata finora adeguata e articolata. Ha coinvolto l’intera Difesa, sia nella componente tecnico-operativa, sia in quella tecnico-amministrativa, oltre all’industria nazionale ed, allo stato attuale, vede l’Italia impegnata in ben 17 Progetti, di cui, i più significativi sono: - Remote Controlled Vehicles for Route Clearance Operations, in cui l’Italia detiene la leadership; - Pooling & Sharing Multinational Medical Treatment Facilities Role, in cui l’Italia ha assunto la leadership unitamente alla Francia. Tale candidatura valorizza, altresì, la già esistente leadership nazionale di analoga iniziativa in ambito EDA e garantisce piena sinergia tra le due attività; - Computer and Information Systems e-Learning Training Centres Network e Individual Training and Education Programme, sono due programmi che l’Italia ha seguito con grande interesse; - Pooling of Deployable Air Activation Modules, in questo ambito è stata accettata la proposta per l’assunzione della leadership del progetto da parte dell’Italia; - Pooling Maritime Patrol Aircraft; - Pooling CBRN capabilities; - Maritime Situational Awareness Multinational Maritime Information Services. In particolare, è stato recentemente pubblicato il documento “Smart Defence – Progress Report”, che si compone di tre parti e pone l’accento sul carattere

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Allied Command Transformation.

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politico del concetto di SD. Tale documento, oltre a riportare le relazioni sui risultati delle visite effettuate nelle Capitali da parte degli Special Envoys e pubblicare un food for thought paper, che costituisce la parte concettuale della SD, descrive le cosiddette flagship initiatives, evidenziando le tre principali aree in cui la metodologia P&S troverà applicazione per progetti futuri: ISR (Intelligence, Surveillance and Reconnaissance), Difesa Missilistica e Air Policing. In generale, l’iniziativa SD ha mostrato di possedere enormi potenzialità e soprattutto grande concretezza in termini di opportunità di sviluppo di capacità complementari e di sinergia in seno all’Alleanza, lanciando diverse iniziative volte a colmare i gap capacitivi esistenti. Nell’ambito dell’iniziativa SD, sono già stati avviati circa trenta progetti in via di sviluppo da parte delle Lead Nations identificate e dalle Nazioni partecipanti. In considerazione del fatto che per gran parte di esse è già stato raccolto lo specifico impegno politico, la probabilità di riuscita delle citate iniziative risulta elevata, a dimostrazione che la strada di una cooperazione efficace sia percorribile ed in alcuni casi rappresenti un obbligo.

COSA STA FACENDO L’EDA? Al summit di Ghent, svoltosi nel 2010, i Ministri della Difesa dell’EU hanno concordato che il primo passo da fare per agevolare l’approccio P&S, traducendo in progetti concreti i principi di tale metodologia, era individuare le aree in cui sarebbe stato possibile, auspicabile ed efficace ricorrere al P&S. L’EDA, cui venne assegnato tale compito, ha individuato in una prima analisi le carenze capacitive che necessitavano di essere colmate con più urgenza. Successivamente, nel novembre del 2011 sono state ufficialmente rese note le undici aree4 che, per gap esistenti e caratteristiche tecnico-operative, potevano potenzialmente essere interessate da un approccio cooperativo tra i Paesi membri per uno sviluppo strutturato delle capacità. Così, anche se a piccoli passi, condividendo soprattutto sistemi e capacità già esistenti, gli Stati europei stanno ricorrendo sempre più spesso al P&S, con l’obiettivo di sviluppare e acquisire capacità a costi ridotti. Infatti, sono più di 70 le iniziative di P&S in corso in ambito EDA, anche se finora, i contesti non adeguatamente strutturati in cui sono stati realizzati tali progetti, non hanno consentito una massimizzazione dei potenziali benefit. Le iniziative più significative che hanno anche visto una importante partecipazione dell’Italia sono: - European Satellite Communication Procurement Cell, è un programma conclusosi nel 2012 con la firma dei Paesi aderenti (ITA, FRA, GBR, NLD, POL e ROU), che si propone di raccogliere i needs satellitari commer-

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Helicopter training, Maritime Surveillance, European Satellite Communication Procurement Cell, Medical field hospitals, Air-to-air refueling, Future military satellite communications, Intelligence, surveillance, reconnaissance, Pilot training, European transport hubs, Smart munitions, Naval logistics and training.

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ciali per la comunicazione, con il fine di realizzare economie di scala nell’acquisizione di servizi di comunicazione satellitare da operatori commerciali per i sei Paesi partecipanti, sotto l’egida di EDA; - Multinational Modular Mediacal Units, è un progetto a guida nazionale, nato da una proposta italiana, che porterà alla realizzazione, entro il 2015, di unità modulari rischierabili, che fornite da diverse nazioni, potranno essere facilmente interconnesse per approntare assetti medici impiegabili in OFCN; - Future military satellite communications, è un’iniziativa che mira allo sviluppo comunitario di una famiglia di sistemi satelliti per la comunicazione di 3a generazione. In aggiunta ci sono ancora nuove iniziative nell’ambito della C-IED, della Cyber Defence e del supporto marittimo alle operazioni CSDP. Lo sforzo dell’EDA, nei prossimi anni sarà quindi indirizzato in queste aree per progetti quick win, attraverso, cioè, la federazione di capacità già disponibili, ma soprattutto verso la pura e semplice regolamentazione e standardizzazione dei sistemi di nuova acquisizione. Come dichiarato dal Chief Executive di EDA, la sfida sarà giungere ad una piena interoperabilità dei sistemi europei ed evitare situazioni come quelle verificatesi in Libia, dove alcuni sistemi d’arma prodotti dalla stessa industria non erano in grado di scambiarsi munizionamento. Tale problematica è stata affrontata anche dalla NATO, con il suo Programma, Universal Interface, ma, come in altri settori, gli ostacoli verso la piena interoperabilità sono numerosi e scaturiscono tanto da problemi di sovranità nazionale, quanto da impedimenti di natura giuridica.

CONCLUSIONI Il ricorso al P&S può generare miglioramenti sostanziali in quelle aree capacitive dove ci sarà concordanza politica per un ricorso più sistematico al P&S, ma solo se si concretizzeranno un deciso cambio di mentalità ed un maggior sforzo nel migliorare gli attuali modelli di cooperazione. Condividere capacità militari con altre nazioni, seppur nell’ambito di solide alleanze, è una sfida enorme ed il passaggio da un approccio nazionale ad uno tipo multinazionale e cooperativo è tutt’altro che semplice perché richiede la soluzione di problematiche di ampio spessore politico che implicano l’erosione di sovranità nazionale. L’interesse verso questo tipo di approccio è molto alto, tanto a livello NATO e europeo, quanto in ambito nazionale, ma come affermato anche dal Ministro della Difesa Amm. Di Paola, il P&S sarà vincente solo se discendente da un forte committment politico e se concepito con obiettivi strategici molto più ampi e duraturi della pur fondamentale esigenza di maggiore efficienza della spesa. Dovrà essere fondato su solide valutazioni “militari”, miranti ad individuare quelle capacità giudicate idonee ad uno sviluppo cooperativo internazionale e bisognerà altresì tener conto degli interessi regionali, garantendo così il coinvolgimento del maggior numero di Stati possibile.

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Afghanistan - Militari in pattugliamento e controllo

Sarà fondamentale, infine, garantire un accesso sicuro (Assured Access) a tali capacità, sviluppate secondo la logica della complementarietà tra i vari Paesi aderenti, in modo che ci sia sempre una completa disponibilità di dette capacità. Ciò implicherà l’esistenza di sistemi realmente e pienamente interoperabili tra loro in grado di operare in maniera unitaria, efficiente e non ridondante. In Europa l’unica nazione che ha già compiuto passi in questa direzione, fin dal 1990, è il Belgio. Infatti, finora, il dibattito politico in ambito europeo ha visto prevalere i temi nazionali, sia in termini di priorità economiche, sia di sicurezza, ma la necessità di ottimizzare l’impiego delle risorse potrebbe spingere le nazioni a compiere questo passo in futuro. Il vero obiettivo cui puntare non sarà solo un miglior output capacitivo a fronte di una riduzione degli oneri, ma avviare programmi di ricerca e sviluppo comunitari che esaltino le sinergie tra gli Stati ed i mercati. In tal caso sarà però necessario, a livello nazionale, valutare e bilanciare la riduzione delle ridondanze e l’ottimizzazione della spesa a fronte della cessione del controllo sullo strumento militare, sia in termini di indirizzo strategico, sia di controllo operativo. Pertanto, si dovrà necessariamente effettuare un’attenta analisi interna atta ad individuare tanto le esigenze nazionali del futuro, quanto le capacità più idonee ad un approccio P&S e avere lungimiranza politica e forza diplomatica in modo da assicurarsi posizioni chiave, commisurate allo sforzo economico espresso, per aumentare così il peso specifico della nostra RIFERIMENTI nazione nell’ambito delle orgahttp://www.eda.europa.eu nizzazioni internazionali civili e http://www.nato.int militari, assumendo un ruolo atOn line Nato Multimedia Library tivo e contribuendo significativaEuropean Defence Matters, May 2012 mente alla definizione delle linee strategiche comunitarie.

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IL “PASSAGGIO DI CONSEGNE” TRA COMANDANTI DI REPARTO E UNA METODOLOGIA DI PROGETTAZIONE E MANUTENZIONE DEGLI IMPIANTI ANTINCENDIO NELLE STRUTTURE MILITARI IL “PASSAGGIO DI CONSEGNE” IN AMBITO ANTINCENDIO NEL SETTORE DIFESA di Marcello Mangione

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È

stato finalmente pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 28 agosto scorso il Decreto del Ministero dell’Interno del 7 agosto 2012, recante le modalità di presentazione delle istanze concernenti i procedimenti di prevenzione incendi e la documentazione da allegare, ai sensi del recente DPR 151/2011. A partire dal 27 novembre 2012 le domande per l’avvio di procedimenti di prevenzione incendi, anche in ambito militare, dovranno essere conformi al nuovo emendamento che sostituisce il vecchio Decreto Ministeriale del 4 maggio 1998. Il nuovo provvedimento regolamenta i contenuti e i relativi allegati per ciascuna delle istanze da seguire, come ad esempio la valutazione dei progetti, la Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA) il rinnovo periodico di conformità antincendio ed infine anche la cosiddetta “istanza di voltura”. Appare interessante focalizzare l’attenzione sull’art. 9 del nuovo Decreto 7 agosto 2012 che disciplina nel dettaglio come deve avvenire la voltura, applicabile anche in ambito militare, intesa come dichiarazione di successione delle responsabilità nel “cambio di guardia” tra un Ente militare e l’altro. Nella fattispecie il comma 1 recita che: “(…) gli enti e i privati che succedono nella responsabilità delle attività soggette comunicano al Comando VV.F. la relativa variazione mediante una dichiarazione resa, secondo le forme di legge, come atto notorio o dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà (…)” Appare quindi evidente che, al fine di informare il competente Comando VV.F, è necessario, quando avviene un cambio di Ente nei vari Reparti militari (ad. es. il passaggio di una caserma dall’Esercito all’Arma dei Carabinieri), comunicare tale variazione attraverso una dichiarazione abbastanza impegnativa che dovrà contenere tutta una serie di dati tra cui l’identificazione

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del nuovo titolare dell’attività che equivale al neo-Comandante responsabile della gestione dell’intero comprensorio militare. La voltura reimpone quindi necessariamente una sorta di “presa di coscienza” nel passaggio delle responsabilità, in ambito antincendio, più forte ed impegnativa rispetto al passato. La redazione di tale documento, disciplinato dal DM 7/8/2012, non appare ad oggi molto chiara, infatti secondo il parere di alcuni funzionari dei VV.F. la voltura non va inviata al C.do VV.F. in caso di cambio di Comandante della stessa Forza Armata, bensì ad un eventuale cambio/cessione di Caserma da una Forza Armata all’altra o a terzi in genere (dal settore Difesa ad un ente locale, ecc.). Indipendentemente dalla compilazione della voltura, i Comandanti delle strutture del comparto Difesa devono necessariamente possedere delle cognizioni tecniche molto precise in materia antincendio al fine di comprendere, in maniera chiara, tutte le attività soggette ad una scrupolosa e doverosa prevenzione e protezione. Essi devono possedere, già dal primo giorno di comando nella nuova struttura militare, un chiaro quadro generale della situazione “antincendio” con precisi riferimenti identificativi della documentazione agli atti sia del Comando dei VV.F. che dello stesso Reparto/Base anche perché l’adeguamento antincendio nonché la corretta gestione della manutenzione è obbligatoria per ogni Comandante, identificato tecnicamente come “titolare dell’attività”, ed implica responsabilità di natura sia civile che penale in ottemperanza all’obbligo di assicurare la sicurezza cui al combinato disposto degli art. 18 comma 3 del D. Lgs. 81/2008 e art. 254 comma 4 del DPR 90/2010. Queste ultime “innovazioni legislative”, dettate dal DPR 151/2011 con l’introduzione di un nuovo elenco di attività (ottanta) soggette alle visite e ai controlli, anche a campione, di prevenzione incendi, ha importato nuove ed aggiuntive responsabilità per i “Comandanti Militari” per l’introduzione di nuove attività non contemplate dalla precedente normativa 1.

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Il comma 4 dell’art. 11 del DPR 151/2011 stabilisce che gli enti e i privati responsabili delle nuove attività introdotte all’Allegato I allo stesso Decreto, esistenti alla data di pubblicazione del presente regolamento, devono espletare i prescritti adempimenti entro due anni dalla data di entrata in vigore del presente regolamento. Questo significa che i Comandanti di reparto, ove presenti, devono vigilare su: - attività di demolizioni di veicoli e simili con relativi depositi, di superficie superiore a 3.000 m2, - officine per la riparazione di veicoli a motore, o di carrozzerie, di superficie coperta superiore a 300 m2 , - locali di spettacolo e di trattenimento in genere, sia a carattere pubblico che privato, con capienza superiore a 100 persone, ovvero di superficie lorda in pianta al chiuso superiore a 200 m2 - impianti e centri sportivi, palestre, con capienza superiore a 100 persone, ovvero di superficie lorda in pianta al chiuso superiore a 200 m2 con l'obbligo di adeguamento in breve tempo secondo le disposizioni vigenti.

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Basti pensare, a titolo di esempio, ai posti di manutenzione/verniciatura degli autoveicoli o alle palestre nelle varie caserme (Battaglioni, Reggimenti, Comandi di Legione, ecc.), che prima non erano soggette alla prevenzione incendi e che oggi rientrano nell’obbligatorietà dell’adeguamento qualora essi superino i 200 m2 di superficie. Per tutte queste nuove attività i nuovi Comandanti, coadiuvati principalmente dal Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP) ed eventualmente dall’Addetto al Servizio Prevenzione e Protezione, si ritrovano a fronteggiare l’adeguamento entro e non oltre il termine del 7 ottobre 2013 per effetto della proroga di un anno introdotta dal Decreto Legge 83/2012 2. La procedura per l’adeguamento delle nuove attività (ed anche di quelle preesistenti se non ancora adeguate), come previsto dal DPR 151/2011, può essere sintetizzata nello schema grafico seguente:

Come si evince chiaramente dal grafico solo le attività di tipo “C” , ad alto rischio antincendio, otterranno il Certificato di Prevenzione Incendi (CPI) alla fine della procedura di adeguamento, per le restanti vige l’obbligo di presentare il progetto antincendio, Cat. B, o semplicemente, per attività di Cat. A, eseguire i lavori e chiudere il cerchio con la Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA). Il passaggio di consegne, nell’ambito del settore Difesa, è quindi un notevole impulso a osservare gli obblighi connessi non solo con l’esercizio dell’attività antincendio, di cui al DPR 151/2011, ma anche per le attività rientranti nel campo di applicazione del D. Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, con il forte im-

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altrimenti tale adeguamento sarebbe dovuto avvenire entro il 7 ottobre 2012.

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pegno a osservare gli obblighi ivi previsti. Il “passaggio di consegne in materia antincendio”, ufficializzato o meno da qualsiasi atto, rappresenta sempre un’assunzione di responsabilità riguardo le condizioni di sicurezza antincendio. Il cambio di guardia Impianto a schiuma hangar in una Caserma, indipendentemente dalla redazione di atti formali (volture, dichiarazioni di presa in consegna, ecc.) pone sempre l’accento sulla responsabilità non solo per chi prende in mano le “redini” della Caserma ma anche per chi lascia in eredità un Reparto complesso che presenta molti impianti antincendio che richiedono una continua e sistematica manutenzione per garantire nel tempo la condizione di “assenza di variazioni delle condizioni di sicurezza”. La successione di comando, nell’ambito militare, rappresenta sempre un “effetto a cascata di responsabilità” poiché, chi non ha potuto adeguare, ad esempio, le nuove attività per vari motivi, passa al nuovo “inquilino” il compito arduo dell’adeguamento celere (entro il 7 ottobre 2013) da attuare nella complessa ottica di una spending review che sta riducendo vertiginosamente i finanziamenti necessari. Il rischio è quello di ritrovarsi in una comprensorio militare, di vasta scala urbana, ove l’adeguamento di tutte le attività esistenti richiede energie economiche non compatibili con le risorse finanziarie disponibili nel corso dell’esercizio finanziario. Una prova di “soddisfacente gestione della sicurezza” è quindi il continuo controllo, coadiuvato magari anche da una squadra interforze di tecnici specialisti in antincendio/sicurezza (ufficiali del Genio abilitati alla ex Legge 818/84, ecc.), di tutti gli impianti antincendio, e in genere rischiosi, esistenti nelle variegate attività militari (camerate, centrali termiche, gruppi elettrogeni, autorimesse, aviorimesse, ecc.). Una squadra interforze sulla sicurezza aiuterebbe, ad esempio, i Comandanti a: • redigere in maniera chiara ed esaustiva il Documento di Valutazione dei Rischi (DVR); • procedere ad aggiornare il Documento di Valutazione dei Rischi da Interferenze (DUVRI) in caso di presenza simultanea di più lavorazioni; • controlli antincendio sulle attività esistenti; • progettazione antincendio e della sicurezza di nuove attività; • informazione continua al personale militare; • aggiornamento continuo sulle novità legislative in materia della sicurezza;

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Tale controllo mirato è indispensabile e propedeutico in uno scenario ove la successione rapida di nuove e continue fonti legislative dimostrano, ancora una volta, che la progettazione, realizzazione e gestione dei mezzi antincendio devono necessariamente essere efficaci e di qualità.

LA MANUTENZIONE DEGLI IMPIANTI ANTINCENDIO NELLE CASERME: UNA PROPOSTA METODOLOGICA Ancora una volta si solleva il problema degli aspetti antincendio nelle strutture militari la cui manutenzione, affidata a Ditte specializzate nel settore, spesso non garantisce un’ottima efficienza gestionale degli impianti esistenti. Tutti i Reparti del comparto Difesa che possiedono estintori ed apparati antincendio sono oggetto di obbligatoria manutenzione periodica, esperita generalmente da Ditte esterne. Tali operazioni gestionali vengono svolte da Ditte, specializzate nel settore, spesso senza il dovuto controllo in contraddittorio da parte del personale militare per scarsa formazione specifica antincendio del Ricarica estintore personale stesso dell’Amministrazione. Un ulteriore svantaggio di ciò è anche la completa assenza di un censimento su scala nazionale che dia informazioni dettagliate sui mezzi ed impianti antincendio esistenti nelle caserme e sulle nuove attività ancora da adeguare. Possedere un censimento aggiornato sui mezzi ed impianti antincendio in dotazione ci aiuta a titolo di esempio: • stilare in maniera corretta il contratto di manutenzione di tali apparati antincendio senza lasciare intravedere dubbi o incertezze a livello contrattuale; • ad esperire i rinnovi CPI (Certificato Prevenzione Incendi), in tempo senza giungere, in alcuni casi, oltre la scadenza del certificato stesso implicando non pochi problemi con il C.do VV.F. per il dovuto rinnovo; • programmare annualmente e quindi in tempo utile gli interventi di adeguamento per ogni Reparto secondo delle priorità; • revisionare/aggiornare il piano antincenEstintori carrellati dio della caserma con molta più facilità.

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• redigere le progettazioni antincendio con ottime informazioni di partenza per ottenere, ad esempio, il CPI complessivo dell’intero comprensorio3 Le varie operazioni di manutenzione che Rilevatori di fumo vanno dalla semplice sorveglianza, al controllo in genere semestrale, alla revisione ed infine al collaudo degli impianti antincendio rappresentano delle attività di gestione non di poco conto. Delle quattro attività sopra accennate, solo la prima può essere eseguita direttamente da personale militare non specializzato (sorveglianza) mentre le tre restanti richiedono qualifiche in tale settore. Per tale motivo le tre restanti attività vengono svolte di norma da Ditte specializzate che possiedono, nel loro organico, personale formato con anni di esperienza sulle spalle. Il rischio che la manutenzione degli estintori e dei mezzi antincendio da parte delle Ditte non dia risultati di qualità è alto con conseguente dispersione di risorse economiche per il finanziamento dei contratti. Un buon livello qualitativo di manutenzione dei mezzi antincendio è dato dall’integrale rispetto delle norme UNI4 che indicano dettagliatamente per ogni impianto le attività di manutenzione. Un controllo in contraddittorio efficace impone quindi che il personale militare sia formato sulle norme vigenti, siano essi cogenti o non cogenti. Non è facile, ad esempio, capire come e quando debba essere eseguita una sostituzione della carica estinguente di un estintore ad anidride carbonica o valutare l’effettiva necessità di sostituire delle parti fisse di un idranti o di un impianto sprinkler, se non si ha una preparazione base sull’antincendio. Quindi per ottenere una manutenzione di qualità occorre “saper controllare”. Ma chi ha la funzione di controllore nelle varie caserme?

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Molti C.di Provinciali del VV.F. non emettono il CPI per la singola attività, ad esempio per una grossa Centrale Termica, ma rilasciano tale certificazione all’intero comprensorio militare imponendo, giustamente, l’adeguamento a norma antincendio di tutte le attività esistenti nella Caserma. Ci si ritrova quindi in molti Reparti ad avere una parte di attività già adeguate ma senza il CPI in attesa di adeguare le restanti. In tale settore le linee guida dell’UMAN (Associazione Costruttori Materiali Antincendio) danno delle ottime indicazioni per la corretta manutenzione dei sistemi antincendio contemplando anche le procedure per il corretto smaltimento dei rifiuti antincendio.

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Tali attività dovrebbe esperita da un soggetto, cosiddetto “referente antincendio” che abbia delle attitudini tecniche e che soprattutto abbia la passione di formarsi ed informarsi periodicamente. Una soluzione per la formazione dei referenti di Caserme ci viene fornita dal D.Lgs. 8 marzo 2006, n. 139, ove all’art. 17 prevede che il Dipartimento e il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco promuovano la formazione nelle materie della prevenzione incendi, nonché la diffusione della cultura sulla sicurezza antincendio, anche attraverso seminari, convegni e cicli di formazione. Gioco forza viene dato anche dall’art. 7-bis della Legge n. 89 del 31 maggio 2005 e s.m.i., del D.L. n. 45 del 31 marzo 2005, recante disposizioni urgenti per la funzionalità dell’Amministrazione che recita che i servizi di formazione in materia di prevenzione incendi possono essere resi dal Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, su richiesta di soggetti pubblici o privati, a seguito della stipula di apposite convenzioni. Quindi una convenzione tra VV.F e Pubblica Amministrazione sarebbe una soluzione ideale e a basso costo per formare dei referenti di caserma. La funzione di tali referenti oltre al controllo in contraddittorio della manutenzione esterna potrebbe essere anche quella di creare capillarmente un censimento nazionale antincendio. In tale censimento andrebbero a convergere dati utili quali: - impianti antincendio esistenti; - i mezzi esistenti ed il loro stato d’uso; - CPI ottenuti e la loro scadenza, - attività nuove da adeguare ai sensi del DPR 151/2011; - CPI ancora mancanti, - la documentazione antincendio in possesso; - progettazioni già eseguite, con i seguenti vantaggi: - quadro generale aggiornato dei mezzi antincendio in dotazione e da installare con garanzia di un’adeguata programmazione esigenziale per la messa a norma delle infrastrutture esistenti; - creazione di una rete di controllo coordinata a livello centrale con Ufficiali coordinatori e ramificata sino a livelli periferici con referenti; - formazione di un team con specifici corsi previsti dalla convenzione-quadro al fine di ottenere un’adeguata preparazione nelle gestione e controllo dei mezzi antincendio con la trasmissione dei dati dal livello periferico a questa Direzione; - creare, di concerto con gli uffici informatici competenti, di un software per la raccolta dei dati antincendio dal livello periferico al fine creare un archivio informatizzato dei mezzi antincendio in dotazione.

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La formazione ed il censimento sono sicuramente di ausilio per i tecniciprogettisti (Ufficiali del Genio Militare abilitati alla certificazione antincendio di cui alla L. 818/84) che operano in tale ambito poiché essi dispongono già di tutti i dati necessari per una corretto rinnovo dei CPI o per un adeguamento ex novo di particolari attività antincendio.

VERSO UNA NUOVA PROGETTUALITÀ DELL’INGEGNERIA ANTINCENDIO NELLE STRUTTURE MILITARI Occorre procedere a passi spediti per poter arrivare, in breve tempo, ad ottenere un chiaro quadro d’insieme. Costruire la carta d’identità antincendio della Caserma significa sapere cosa è contenuto dentro e lo stato d’uso in atto al fine di scongiurare perdite ingenti di strutture per una scarsa capacità di manutenzione. In tale ottica si deve sviluppare una nuova cultura dell’ingegneria militare antincendio con l’emanazione di metodologie organizzative che disciplinino la sicurezza nelle attività del Genio Militare. Il nuovo “ingegnere militare” deve entrare nell’ottica di: - adeguare i manufatti dell’architettura militare, impregnata spesso di storia, alle modifiche intervenute negli ultimi anni, attraverso un’adeguata trasformazione edilizia nel rispetto delle vigenti normative in materia antincendio; - progettare e manutenzionare le strutture in modo da sostenere sollecitazioni particolari dovuti ad effetti esterni (detonazioni, deflagrazioni, scoppi, ecc.); - applicare l’approccio ingegneristico antincendio alle strutture militari5; - conoscere i danni che la struttura può subire, prevedendo, a tale riguardo, livelli di sicurezza soddisfacenti rispetto al contesto in cui si opera (es. impianto antincendio in una riservetta munizioni, protezione di un deposito carburanti, hangar, ecc.); - salvaguardare l’architettura militare di notevole spessore storico-culturale, come ad esempio l’hangar di Pontecagnano progettato dall’Ing. Pier Luigi Nervi, contro il rischio di incendio. La divulgazione dell’informazione in ambito antincendio ha quindi come obiettivo quello di plasmare gli aspetti della safety and security all’architettu-

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Il decreto 9 maggio 2007 (”direttive per l’attuazione dell’approccio ingegneristico alla sicurezza antincendio”), emanato a brevissima distanza temporale dagli altri due rilevanti decreti riguardanti la resistenza al fuoco (DM 16 febbraio 2007 e DM 9 marzo 2007), segna indubbiamente un passo epocale nell’attività nazionale di prevenzione degli incendi. Esso introduce, per la prima volta in Italia, il cosiddetto “approccio ingegneristico” alla sicurezza antincendio delineando aspetti completamente nuovi rispetto al vecchio metodo di tipo prescrittivo, finora adottato dal legislatore.

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ra militare attraverso delle linee guida atte a disciplinare la sicurezza antincendio nel pieno rispetto dell’identità e della memoria storico-architettonica che l’edificio riveste. Occorre estrapolare strumenti e metodologie per una nuova e moderna progettualità delle opere destinate alla difesa tenendo conto altresì del contesto urbano e della destinazione d’uso che l’opera possiede basata sullo studio: - della legislazione militare e civile, in ambito antincendio; - di modellazioni computerizzate tramite software specifico, messo a Kit per misurare pressione e portata in un idrante disposizione dall’Amministrazione che, consentirà di stabilire se determinate opere militari posseggano un adeguato livello di sicurezza; - di edifici militari storici ed architettonicamente rappresentativi in collaborazione con il Ministero della Difesa (ad esempio la storica Caserma Cernaia di Torino, ecc.) tramite analisi dettagliate dei materiali e tipologie edilizie che potrebbero essere facilmente introdotte per uso militare su teatri nazionali ed internazionali - di nuovi sistemi antincendio su particolari attività militari (progetti pilota), non contemplante dal DPR 151/2011, quali, riservette munizioni, polveriere, spolettifici, camerate, ecc. che sono tipicamente presenti nelle caserme. - della sicurezza antincendio di un comprensorio militare (progetto su vasta scala), quale un reggimento o un battaglione . La necessità di una riforma generale dell’edilizia militare è chiara anche al Ministro della Difesa il quale sta istituendo Gruppi di Lavoro al fine di elaborare progetti che garantiscano sicurezza, funzionalità, ed economicità, dismettendo, nell’ottica della spending review, il parco immobiliare militare ■ ormai insicuro e/o vetusto.

L’articolo 1 indica gli obiettivi generali che il testo regolamentare si prefigge ovvero quelli connessi alla definizione degli aspetti procedurali, ai criteri di valutazione del rischio e alla progettazione delle conseguenti misure compensative attraverso le metodologie offerte dalla Fire Engineering.

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L’IDENTITÀ E LO SVILUPPO DIGITALE NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE DEL III MILLENNIO di Marco Della Femina

immagine iconografica rappresentativa della digitalizzazione

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a Pubblica Amministrazione, per trasformare le potenzialità dell’innovazione tecnologica in maggiore efficienza, efficacia e soddisfazione dei cittadini e delle imprese, ha avviato un processo di ammodernamento che ha il suo punto di riferimento normativo nel Codice dell’Amministrazione Digitale, Decreto Legislativo del 7 marzo 2005, n. 82 recentemente modificato dal Decreto Legislativo del 30 dicembre 2010, n. 235. Il “CAD” ha costituito il secondo pilastro su cui si è fondato il processo di rinnovamento della Pubblica Amministrazione, insieme al Decreto Legislativo n. 150 del 2009 che ha disciplinato i principi di meritocrazia, premialità, trasparenza e responsabilizzazione dei dirigenti. Il leit motiv del corpo normativo si fonda su due temi: • garantire l’effettività della riforma; • incentivare all’innovazione la Pubblica Amministrazione.

Il Codice, per quanto sopra, introduce un insieme di riforme normative che vanno a toccare concretamente i modus operandi e le prassi delle amministrazioni ed incide sulla qualità dei servizi resi. Il rinnovamento rende, così, effettivi i diritti per cittadini e imprese, cogenti gli obblighi per la Pubblica Amministrazione, garantendo la sicurezza agli operatori circa la validità, anche giuridica, dell’amministrazione digitale. L’obiettivo è avere una Pubblica Amministrazione finalmente moderna, digitale e non burocratizzata1.

L’IDENTITÀ DIGITALE NEL CODICE DELL’AMMINISTRAZIONE DIGITALE La dilagante diffusione di servizi basati su operazioni effettuate in rete, erogati sia dalla Pubblica Amministrazione che dai privati, rende centrale il tema della gestione delle identità digitali. Da un punto di vista strettamente dogmatico, non esiste una definizione sufficientemente completa di identità digitale. Abelson e Lessig, docenti del “MIT” (Massachusetts Institute of Technology), nel documento “Digital identity in cyberRappresentazione grafica del bit

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Michele Iaselli, “Compendio di Informatica Giuridica”, edizioni Simone, 2012.

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space” definiscono l’identità digitale come “L’insieme delle caratteristiche essenziali e uniche in grado di identificare un soggetto” 2. Analizzando questa definizione si pongono in evidenza difficoltà concettuali legate alle caratteristiche essenziali che compongono il costrutto dell’identità, per cui è necessario procedere in primo luogo ad una sua generica concettualizzazione. Un primo insieme di caratteri definitori sono sicuramente quelli fisici del soggetto, rinvenibili in un qualsiasi documento di identità. Sono, questi, i tratti che in maniera immanente concepiamo in relazione alla definizione ideale e tipica di un individuo. Tuttavia esistono altri insiemi di caratteri in grado di identificare una persona: sono le capacità, le estrinsecazione del saper fare. Infine, vi sono le caratteristiche soggettive, ovverosia le qualità, astrattamente e direttamente derivanti dalla proiezione di un soggetto terzo su di una persona (in termini, cioè, di paragone). Un’altra definizione di identità digitale è posta da Norlin e Durand del “PingID Network Inc.” nel loro articolo “Federated Identity Management”3 dove viene delineato che “L’identità digitale è la rappresentazione virtuale dell’identità reale che può essere usata durante interazioni elettroniche con persone o macchine”. Questa definizione è di immediato impatto. Nel loro articolo anche Norlin e Durand sottolineano come l’identità digitale sia strutturata da diversi componenti: credenziali, attributi e reputazione. Da una summa delle due costruzioni è possibile quindi cercare di sostenere che l’identità digitale è la rappresentazione di una persona quando intrattiene relazioni con altre persone o entità attraverso una rete digitale. Il Codice dell’Amministrazione Digitale, sancisce che l’identificazione informatica di un soggetto consiste nella validazione dell’insieme di dati attribuiti in modo esclusivo ed univoco ad esso, consentendone l’identificazione nei sistemi informativi. L’identificazione deve avvenire con l’utilizzo di strumenti tecnologici finalizzati a garantire la sicurezza dell’accesso. Ai sensi dell’articolo 64 del CAD, le amministrazioni possono consentire l’accesso ai servizi on-line che richiedono l’identificazione informatica, oltre che mediante la carta di identità elettronica (CIE) e la carta nazionale dei servizi (CNS), anche utilizzando strumenti diversi di identificazione certa del soggetto richiedente4. Pertanto, nulla vieta che le amministrazioni pubbliche rendano disponibili sistemi di identificazione informatica alternativi, purché consentano l’accesso ai servizi anche con carta di identità elettronica e carta nazionale dei servizi.

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Hal Abelson e Lawrence Lessig, “Digital identity in cyberspace”, White Paper Submitted for 6.805/Law of Cyberspace: Social Protocols, 1998. Eric Norlin e Andre Durand, “Federated Identity Management”, Whitepaper on towards federated identity management, 2002. Michele Iaselli, “Compendio di Informatica Giuridica”, edizioni Simone, 2012.

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Particolare rilievo hanno assunto i progetti relativi alle carte multi servizi della Difesa (CMD) e dell’Arma dei Carabinieri (CMC) che prevedono l’utilizzo dei dati biometrici del titolare, registrati nella carta, per il controllo degli accessi fisici e logici.

UN’ESPERIENZA CONCRETA: LA CARTA MULTISERVIZI DELLA DIFESA La necessità di una carta elettronica nella quale fossero registrati i dati anagrafici e sanitari del personale era stata avvertita da parte delle Forze Armate, durante le operazioni nei Balcani. In tale contesto furono avviate le iniziative necessarie per realizzare il software per la gestione delle informazioni di carattere personale e sanitario attraverso l’utilizzo di una smart card capace di memorizzare i suddetti dati. Nel contempo il Ministro per l’innovazione e le tecnologie, nel delineare la politica dell’e-government per il triennio 2003-2005, allo scopo di dare un nuovo impulso alla digitalizzazione della Pubblica Amministrazione, aveva incluso tra gli obiettivi strategici l’erogazione on-line dei principali servizi al cittadino, prevedendo l’introduzione della Carta d’Identità Elettronica (CIE), della Carta Nazionale dei Servizi (CNS) e la diffusione della firma digitale, stabilendo gli standard e i criteri organizzativi da seguire. Il Ministero della Difesa, allo scopo di dare una corretta e sinergica collocazione alle diverse attività in atto, ha elaborato un progetto unitario per la realizzazione della Carta Multiservizi della Difesa (CMD), interoperabile con le predette Carte nazionali d’Identità Elettronica e dei Servizi e da distribuire a tutto il proprio personale (sia militari che civili) a similitudine di quanto avveniva con la tessera Mod. AT. All’interno della CMD vengono memorizzati i seguenti principali gruppi di informazione: • dati anagrafici; • dati militari; • certificati digitali di autenticazione/attestazione, cifra e di firma digitale; • dati sanitari compatibili con il protocollo di standardizzazione adottato a livello internazionale (NetLink); • dati biometrici costituiti da due impronte digitali. La CMD è il cardine univoco per l’adozione di numerose procedure informatiche atte ad automatizzare procedimenti funzionali omologhi (come ad esempio la gestione del personale, il controllo degli accessi fisici e logici, la gestione della logistica, ecc.). In tale contesto l’uniformità del “contenitore” dei dati, sia in termini di formato che di supporto fisico, consente una facile applicazione di procedure elettroniche sviluppate in ambito Difesa a livello generalizzato, con conseguente risparmio in termini di investimento. In particolare nell’ambito del controllo accessi la CMD si inserisce quale unico strumento di identificazione riconosciuto in quanto essa si presenta quale implementazione di un riconoscimento “forte”, basato sull’impiego

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congiunto del certificato di autenticazione e dell’identificatore biometrico, entrambi presenti nella carta5.

IL COMPLESSO RAPPORTO TRA L’IDENTITÀ DIGITALE E IL RISPETTO DELLA PRIVACY La rilevanza della protezione dei dati nei processi che si sviluppano attorno alle fondamenta dell’identità digitale è tale che nel corso degli anni sono intervenuti sulla materia diversi organismi che con indagini conoscitive o atti normativi e regolamentari di varia natura hanno affrontato il rapporto tra le elaborazioni biometriche e la privacy degli individui. L’utilizzo di caratteristiche biometriche, divenuto lo strumento per consentire la corretta identificazione digitale di un soggetto, va accuratamente disciplinato e ricondotto anche alle previsioni del Codice in materia di protezione dei dati personali.

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CNIPA, “Linee guida per l’impiego delle tecnologie biometriche nelle Pubbliche Amministrazioni”,n. 17, 2005.

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Il Codice in materia di protezione dei dati personali (D.Lgs. n. 196 del 2003) disciplina il trattamento di dati biometrici assoggettandolo, in generale, a un regime di maggiore severità rispetto ai trattamenti di meri dati personali. I trattamenti di dati biometrici devono rispettare, oltre che i principi generali di liceità dei trattamenti precedentemente introdotti anche delle disposizioni specifiche. Nel caso in cui il dato biometrico che si intende trattare non abbia carattere di dato sensibile, trova infatti applicazione l’art. 17 del Codice relativo ai trattamenti che presentano rischi specifici per i diritti e le libertà fondamentali e per la dignità dell’interessato. In questi casi occorre rispettare le misure e gli accorgimenti prescritti dal Garante nell’ambito di una verifica preliminare all’inizio del trattamento, che può svolgersi a seguito di interpello del titolare. Nel caso poi di trattamenti biometrici da parte di forze di polizia trova applicazione l’art. 55 del Codice relativo ai trattamenti mediante particolari tecnologie, che prevede il rispetto delle misure e degli accorgimenti prescritte ai sensi dell’art. 17 e che il trattamento avvenga sulla base di una preventiva comunicazione ai sensi dell’art. 39, in tema di obblighi di comunicazione6. Il trattamento di dati biometrici rientra nei casi in cui è richiesta la notificazione al Garante per la privacy: il primo comma lettera a) dell’art. 37 prevede un obbligo di notifica al Garante qualora il trattamento che si intende iniziare abbia per oggetto, tra gli altri, dei dati biometrici, senza riferimento alcuno a specifiche modalità o finalità di trattamento. Da ciò si deduce un obbligo generale di notificazione per chiunque intenda iniziare un trattamento di dati biometrici in qualità di titolare. La notifica è una dichiarazione con la quale un soggetto pubblico o privato rende noto al Garante per la protezione dei dati personali, l’esistenza di un’attività di raccolta e di utilizzazione di dati personali, svolta quale autonomo Titolare del trattamento. La notifica deve essere trasmessa per via telematica all’Autorità Garante, tramite il sito www.garanteprivacy.it, utilizzando la procedura indicata. Tutte le notifiche sono inserite in un registro pubblico consultabile gratuitamente. Gli interessati dunque possono così acquisire notizie ed utilizzarle per le finalità di applicazione della disciplina in materia di protezione dei dati personali7.

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CNIPA, “Linee guida per l’impiego delle tecnologie biometriche nelle Pubbliche Amministrazioni, n. 9, 2004. Michele Iaselli “Il Codice della Privacy: una lettura ragionata”, edizioni Simone, 2011.

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PROSPETTIVE DE IURE CONDENDO: IL D.L. 179 DEL 2012 Sulle linee guida sinora tracciate in tema di sviluppo digitale dell’Amministrazione Pubblica, si innesta il dettato normativo del recente Decreto Legge n. 179 del 2012, convertito con modificazioni dalla L. n. 221 del 2012. “L’agenda digitale è un modo per trasformare il Paese, è la base per recuperare il gap tecnologico. Tutti ciò che va verso il digitale può far superare antichi squilibri territoriali”. Con queste parole il Presidente del Consiglio, Senatore Mario Monti, ha annunciato l’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri del decreto per la crescita che contiene, in particolare, misure innovative sull’agenda digitale e le start-up. Le nuove norme puntano, in modo ambizioso, a fare del nostro Paese un luogo dove l’innovazione rappresenti un fattore strutturale di crescita sostenibile e di rafforzamento della competitività: esse infatti, danno seguito a quanto indicato nel Programma Nazionale di Riforma e rispondono a raccomandazioni specifiche dell’Unione Europea che individuano nelle start-up (le nuove imprese) una leva di crescita e di creazione di occupazione per l’Italia. In particolare, le innovazioni di maggior rilievo riguardano: • Agenda Digitale Italiana. Vengono recepiti nel nostro ordinamento i principi dell’Agenda Digitale Europea. L’agenda digitale presentata dalla Commissione europea è una delle sette iniziative faro della strategia “Europa 2020”, che fissa obiettivi per la crescita nell’Unione europea da raggiungere entro quella data. Questa agenda digitale propone di sfruttare al meglio il potenziale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) per favorire l’innovazione, la crescita economica e il progresso. L’Italia si dota in questo modo di uno strumento normativo che costituirà una efficace leva per la crescita occupazionale, di maggiore produttività e competitività, ma anche di risparmio e coesione sociale, spinta strutturale per la realizzazione delle strategie, delle politiche e dei servizi infrastrutturali e di innovazione tecnologica dell’intero Paese. • Documento digitale unificato. L’art. 1 sancisce l’abbandono della distinzione tra la carta di identità e la tessera sanitaria. Al loro posto, i cittadini possono dotarsi gratuitamente di un unico documento elettronico, che consentirà di accedere più facilmente a tutti i servizi online della Pubblica Amministrazione. Il documento, che sostituirà progressivamente quelli attualmente circolanti, costituirà il punto di riferimento unitario attraverso cui il cittadino viene registrato e riconosciuto dalle amministrazioni dello Stato. • Anagrafe unificata. Gli articoli 2 e 3 dispongono il censimento annuale della popolazione e Archivio delle strade. Per accelerare il processo di informatizzazione della Pubblica Amministrazione e la raccolta delle informazioni e dei servizi riguardanti i cittadini, viene istituita l’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente (ANPR), un centro unico di gestione dati che subentrerà all’Indice Nazionale delle Anagrafi (INA) e all’Anagrafe

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Rappresentazione di rete neurale

della popolazione italiana residente all’estero (AIRE). Grazie a queste nuove procedure digitali, l’ISTAT inoltre potrà effettuare con cadenza annuale il censimento generale della popolazione e delle abitazioni. • Domicilio digitale del cittadino e obbligo di Posta Elettronica Certificata per le imprese. La posta certificata è un servizio di comunicazione elettronica tra cittadino e Pubblica Amministrazione. Attraverso questo strumento ogni cittadino può dialogare in modalità sicura e certificata con la Pubblica Amministrazione comodamente da casa o con qualsiasi dispositivo in grado di connettersi ad internet senza recarsi presso gli uffici pubblici. Gli articoli 4 e 5 dispongono che, dal 1 gennaio 2013, ogni cittadino potrà scegliere di comunicare con la pubblica amministrazione esclusivamente tramite un indirizzo di posta elettronica certificata (PEC). Tale indirizzo costituirà il domicilio digitale del cittadino e sarà in seguito inserito nell’Anagrafe nazionale della popolazione residente, in modo che possa essere utilizzabile da tutte le amministrazioni pubbliche. Sullo stesso fronte, le imprese individuali che si iscrivono al Registro delle imprese o all’Albo delle imprese artigiane avranno l’obbligo di indicare un proprio indirizzo PEC, così da semplificare e ridurre notevolmente tempi e oneri per gli adempimenti burocratici.

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Rappresentazione grafica del fotone

• Documenti informatici, dati di tipo aperto e inclusione digitale. L’articolo 9 introduce diverse novità al Codice dell’amministrazione digitale volte ad integrare la disciplina concernente il documento informatico sottoscritto con firma elettronica, l’accesso telematico e la riutilizzazione di dati e documenti delle pubbliche amministrazioni nonché gli obiettivi delle politiche di valorizzazione del patrimonio informativo pubblico curate dall’Agenzia per l’Italia Digitale, l’acquisizione di programmi informatici a seguito di una valutazione comparativa di tipo tecnico ed economico e l’accessibilità, anche da parte dei soggetti disabili, agli strumenti informatici. Viene inequivocabilmente chiarito che l’utilizzo del dispositivo di firma elettronica qualificata o digitale si presume riconducibile al titolare, salvo che questi ne dia prova contraria. Gli atti per i quali la legge prevede il requisito della forma scritta, ai sensi dell’art. 1350, primo comma, n. 13, c.c. soddisfano comunque tale requisito se sottoscritti con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale. • Acquisizione di software da parte della pubblica amministrazione. L’articolo 9bis pone innovazioni per l’acquisizione di programmi informatici da parte della pubblica amministrazione. In particolare, il comma 1 dell’art. 68

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viene riscritto inserendo il richiamo ai principi di economicità e di efficienza, tutela degli investimenti, riuso e neutralità tecnologica. Tali criteri devono ispirare la valutazione comparativa di tipo tecnico ed economico volta all’acquisto di programmi informatici o parti di essi da parte delle amministrazioni pubbliche. Tra le soluzioni disponibili sul mercato, vengono indicati i software fruibili in modalità cloud – computing e i software di tipo proprietario mediante ricorso a licenza d’uso. Il comma 1-bis prevede che le pubbliche amministrazioni prima di procedere all’acquisto, secondo le procedure di cui al Codice dei contratti pubblici, effettuino una specifica valutazione comparativa delle diverse soluzioni disponibili sulla base dei seguenti criteri: a) costo complessivo del programma o soluzione quale costo di acquisto, di implementazione, di mantenimento e supporto; b) livello di utilizzo di formati di dati e di interfacce di tipo aperto nonché di standard in grado di assicurare l’interoperabilità e la cooperazione applicativa tra i diversi sistemi informatici della pubblica amministrazione; c) garanzie del fornitore in materia di livelli di sicurezza, conformità alla normativa in materia di protezione dati personali, livelli di servizio tenuto conto della tipologia di software acquisito. Il comma 1-ter stabilisce che ove dalla valutazione comparativa di tipo tecnico ed economico di cui sopra, risulti motivatamente l’impossibilità di accedere a soluzioni già disponibili all’interno della pubblica amministrazione, o a software liberi o a codici sorgente aperto è consentita l’acquisizione di programmi informatici di tipo proprietario mediante ricorso a licenza d’uso. La valutazione di cui al presente comma è effettuata secondo le modalità e i criteri definiti dall’Agenzia per l’Italia digitale8. • Pagamenti elettronici alle pubbliche amministrazioni. L’articolo 15, estende la possibilità di effettuare pagamenti verso le amministrazioni e le imprese pubbliche con modalità informatiche quali bonifici bancari e postali, carte di debito, di credito e prepagate e altri strumenti di pagamento elettronico disponibili. Per la pubblicazione dell’indicatore di tempestività dei pagamenti le amministrazioni statali sono abilitate all’utilizzo del sistema informativo SICOGE (il sistema informativo di contabilità integrato organicamente con il sistema informativo della Ragioneria Generale dello Stato). Affinché sia assicurata la possibilità di effettuazione dei pagamenti, le amministrazioni sono altresì tenute alla pubblicazione nei propri siti istituzionali e sulle richieste di pagamento, dei codici identificativi dell’utenza bancaria sulla quale i privati possono effettuare i pagamenti mediante bonifico ed alla specificazione di dati e di codici da indicare obbli■ gatoriamente nella causale di versamento.

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Dossier Servizio Studi del Senato n. 397/II – ottobre 2012.

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“VOLARE”. MISSIONE NELLO SPAZIO! di Ada Fichera

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olare. Sogno utopistico dell’uomo da secoli, missione primaria oggi di chi, da pilota in Aeronautica Militare, svolge il suo dovere ogni giorno, tra sperimentazione e innovazione, maturando uniche ed esclusive esperienze nell’ambito. “Volare” è anche la denominazione dell’ormai prossima missione spaziale che da maggio 2013 vedrà in volo il Maggiore Luca Parmitano. Della missione “Volare” e del volo umano nello Spazio se ne è ampiamente discusso in un interessante seminario tenutosi di recente presso l’Accademia Aeronautica di Pozzuoli (NA), moderato dal giornalista Vittorio Argento, Vice Direttore del Giornale Rai Radio Uno, dal titolo “Volo umano Spaziale. Presentazione missione Volare a bordo della Stazione Spaziale Internazionale” al quale, dopo il saluto del Comandante dell’Accademia Aeronautica di Pozzuoli Generale di Brigata Aerea Umberto Baldi, sono intervenuti come relatori - oltre a Luca Parmitano - Roland Luettgens, Direttore della missione “Volare” presso l’Agenzia Spaziale Europea (ESA), Delfina Bertolotto, responsabile ad interim dell’Unità Microgravità dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), il Colonnello Marco Nardini, Capo Ufficio “Politica Spaziale Aeronautica” del 3° Reparto dello Stato Maggiore dell’Aeronautica. L’esplorazione dello spazio ha sempre stimolato curiosità e ricerche da parte dell’uomo. Intelligenze straordinarie e competenze industriali si sono unite nel tempo per portare l’uo-

Il Maggiore (AM) Luca Parmitano in addestramento

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mo in un ambito, fino ad alcuni anni fa, impensabile. Come affermato dal Generale Baldi nel suo indirizzo di saluto all’inizio dell’evento, “l’Aeronautica Militare affianca l’ASI (Agenzia Spaziale Italiana) per formare astronauti con un vasto bagaglio di esperienze e competenze. Uomini validi quali il Maggiore Luca Parmitano e il Tenente Samantha Cristoforetti sono un orgoglio per Volantino della presentazione della Missione la Forza Armata”. Pochi sanno inoltre, che l’Italia, unico Paese ad avere effettuato tutti i suoi lanci con successo, è una delle poche nazioni che ha astronauti costantemente impegnati in missioni spaziali, sia che si tratti di addestramento che di fase in orbita. Perché c’è l’Aeronautica Militare dietro gli astronauti? Luca Parmitano ci ha spiegato che la formazione dell’Aeronautica Militare italiana e l’appartenenza ad essa rappresentano una garanzia di probabilità di successo per l’abitudine ad un addestramento serio e impegnativo al volo. La relazione fra Aeronautica Militare e mondo dello spazio esisteva già molti anni addietro. Anticamente il Generale del Genio Aeronautico Luigi Broglio aveva ipotizzato l’importanza che lo spazio potesse avere nella vita dell’uomo. Tra gli anni Venti e Trenta in Italia si è assistito ad uno sviluppo della medicina aerospaziale e del settore ingegneristico. Nel 1988 nasce l’Agenzia Spaziale Italiana e nel 1997 viene firmato l’accordo fra Aeronautica Militare e ASI. “Lo spazio - ha affermato il Colonnello Nardini, Capo Ufficio Politica Spaziale Aeronautica del 3° Reparto di SMA - sta diventando oggi sempre più affollato e ci saranno sempre maggiori conflitti politici (per garantirsi la migliore orbita o per lanciare propri “oggetti”)”. È poi del 2009-2010 il “Piano Spazio Difesa” che ha permesso di distribui-

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Un momento del seminario di presentazione

re i compiti presso l’Aeronautica relativamente all’ambito dello spazio e dei lanci di astronauti appartenenti alla Forza Armata. Il primo italiano a volare nello spazio è stato Franco Egidio Malerba, ufficiale di complemento della Marina Militare. Faceva parte dell’equipaggio portato in orbita dallo Space Shuttle Atlantis il 31 luglio 1992, nel corso della missione STS-46 finalizzata anche a testare il satellite italiano Tethered. Da allora, per ben nove volte, gli italiani sono stati protagonisti di voli nello spazio. Luca Parmitano sarà tuttavia il primo italiano a prendere parte ad un volo spaziale di lunga durata (rimarrà infatti sei mesi nello spazio) mentre Samantha Cristoforetti partirà a novembre 2014. Ma vediamo cos’è la Stazione Spaziale Internazionale (ISS) dove saranno lanciati gli astronauti a breve. Delfina Bertolotto ci spiega che è la più grande opera ingegneristica che l’uomo abbia realizzato per lo spazio ed è il primo vero progetto di cooperazione mondiale (vi hanno partecipato Europa, Canada, Giappone, Russia, Stati Uniti). La maggior parte dello spazio abitabile della Stazione Spaziale Internazionale è stato costruito in Italia per l’ESA e l’ASI. Si tratta di un enorme laboratorio scientifico in orbita, dove vi è la possibilità di fare numerosi

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A sx il Maggiore Parmitano durate la presentazione

esperimenti in assenza di gravità con finalità applicative sulla Terra, poichè si tratta di esperimenti per migliorare procedure sanitarie, i processi di produzione energetica, o che portano alla scoperta di nuovi materiali. Processi di combustione controllata, in particolare di bio-combustibile e rilevazione di nanoparticelle nell’aria, sono solo alcuni degli esperimenti che verranno effettuati nel corso della missione “Volare”. “L’ISS - ha illustrato Roland Luettgens - è grande quasi quanto un campo di calcio, andrà ad una velocità di 28.200 km all’ora, ha una massa di 419455kg con un volume di 916 metri cubi ed equipaggio di sei astronauti”. Luca Parmitano, che abbiamo incontrato ed intervistato a Pozzuoli, subito dopo l’evento presso l’Accademia Aeronautica, si prepara da due anni. Un sogno che si realizza e un compito altamente delicato ed impegnativo che richiede non solo concentrazione e professionalità, ma tanta preparazione fisica. Durante il volo “vedrà” 2.650 volte l’alternanza giorno/notte, proverà la sensazione di volare in assenza di peso, convivrà con tutte le difficoltà ma anche le entusiasmanti sensazioni che la vita nello spazio offre. Al suo rientro, infatti, è previsto un required medico per verificare lo status del suo corpo dopo sei mesi senza gravità e per verificare gli effetti dovuti alle numerose accelerazioni e rotazioni subite. Il Maggiore Parmitano, classe ’76, è nato a Paternò, in provincia di Catania, e si è formato proprio presso l’Accademia Aeronautica Militare di Pozzuoli.

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Da maggio, Parmitano vivrà a bordo dell’ISS, vero laboratorio orbitante e dimostrazione di come scienza, tecnologia ed esplorazione fondendosi possano creare qualcosa di grandioso, e fornendo la prova che questi fattori insieme possono rappresentare un mezzo per dare risposte alla cuIntervento del Magg. Parmitano riosità e alle domande dell’uomo. Vediamo dunque come ci racconta la preparazione ad una missione come quella per cui sta partire, ad un volo così unico. Come vengono preparati gli astronauti prima di effettuare il lancio nello Spazio? Nella fase iniziale gli astronauti vengono da un equipaggio di terra che li prepara in una camera completamente isolata; una volta indossata la tuta, viene poi fatta la prova di pressurizzazione per essere sicuri che non vi siano perdite. Dietro un vetro vengono salutati i parenti e poi dopo l’ultima “boccata d’aria fresca” sono pronti per il lancio, che in otto minuti e quarantotto secondi sarà già in orbita. Ma la preparazione più impegnativa è quella che avviene prima. Negli anni che precedono il lancio vengono fatte molte prove, quali vivere una settimana in cattività, trascorrere molto tempo in mare, sopravvivere al freddo a temperature tra -15 e -20 gradi. Bisogna essere pronti ad affrontare qualsiasi situazione, quindi si viene messi alla prova in condizioni di stress elevato. Maggiore, ci racconta cosa si fa a bordo nei momenti di relax? Si suona la chitarra, si fa esercizio fisico, si mangia, anche se sul cibo si può parlare molto. Porterò porzioni di risotto al pesto e lasagne sottovuoto, per il resto si mangeranno verdure sotto vuoto, come le carote, e scatolette varie. Credo che il cibo sia uno dei maggiori ostacoli per me che sono del sud e abituato alla buona cucina. Che influsso ha, se c’è, la paura in una missione come la sua? La stessa che ha per un pilota di un tradizionale velivolo o per chi fa vita militare. La paura è uno strumento, se la gestisci e la usi bene può avere anche un valore positivo, altrimenti ti travolge. La mia unica paura, in ve-

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Il Maggiore Parmitano insieme ai colleghi di altri paesi

rità, è costituita dal fatto che possa accadere qualcosa alle mie bimbe nei sei mesi di mia assenza, per il resto sono molto emozionato, ho molto entusiasmo e non ho particolari paure. Qual è la giornata di un astronauta? La giornata di un astronauta ha una cadenza di cinque minuti, ogni cinque minuti ha qualcosa da fare ed è indicata da precisi sensori che indicano eventuali ritardi. Comunque nel mio volo saranno effettuati ben 130 esperimenti, quindi il tempo libero non sarà moltissimo. Che utilità hanno a livello terrestre questi esperimenti? Hanno grande utilità a livello ecologico per il grande pubblico, ad esempio, ricerca e sperimentazione di nuovi materiali e loro comportamenti biologici. Ve ne sono tantissimi, è difficile qui elencarli tutti. In caso d’emergenza, cosa accade a livello di competenze? In quei casi, il Comandante della navetta non ha più interfaccia con il computer di bordo, ma il suo compito primario è seguire l’assetto della navetta. Invece, per i sistemi di bordo, tutte le competenze passano all’ingegnere di bordo, quindi al copilota, che fa da interfaccia tra comandante e pilota.

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Il Maggiore Parmitano durante l'addestramento

Come si realizza a livello operativo e decisionale il rapporto tra Stato Maggiore dell’Aeronautica e ASI? È di competenza di chi lavora sopra il mio livello. Io sono solo un esecutore. Comunque c’è una forte collaborazione tra ASI e Stato Maggiore Aeronautica, esiste una Commissione integrata che raccoglie tutte le informazioni per arrivare ad una decisione che vada bene ad ambedue gli enti. Cosa risponde, infine, a chi avanza perplessità riguardo alle missioni spaziali? In un periodo di crisi in Italia, non trova che sia un controsenso parlare di volo umano nello Spazio e di fondi stanziati per questa finalità? Rispondo che è invece il momento migliore per investire in tecnologia. E non è una mia considerazione ma è un dato di fatto storico di economia: in periodi di crisi, investire in tecnologia è uno dei modi migliori per uscire dalla crisi, l’industria aerospaziale e la tecnologia spaziale hanno un ritorno pari a sette volte quello che viene speso, grazie agli spin off che provengono dal settore. Mi piace quindi dire: non credete che sia uno spreco di risorse, anzi è proprio il contrario. Inoltre, la percentuale spesa nel settore in Italia è davvero irrisoria. Un italiano, in media, spende per un pacchetto di sigarette dieci volte quello che viene speso per ciascuno nel set■ tore spaziale.

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POLITICA INTERNAZIONALE E INTERESSI ECONOMICI FRANCO-IRACHENI ALLA VIGILIA DELLA SECONDA GUERRA DEL GOLFO di Francesco Frasca

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New York World Trade Center Torri gemelle

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ue anni dopo l’attentato alle Torri Gemelle, il presidente USA Bush jr. decise di realizzare quello che suo padre, 10 anni prima, non aveva fatto: spodestare Saddam Hussein. Il dittatore iracheno era accusato di coprire e sostenere il terrore e fomentare un’escalation nella costruzione di armi chimiche e batteriologiche, nonostante le risoluzioni ONU che lo obbligavano al disarmo1. Nell’estate 2002 USA e Gran Bretagna avvertirono l’ONU che esisteva una minaccia imminente e chiesero l’autorizzazione a una nuova guerra preventiva. In seno all’ONU fu subito divisione politica, nessuno Stato appoggiò un intervento che non fosse stato approvato dall’ Assemblea. La Germania, anzi, si disse contraria, mentre Francia, Cina e Russia (membri con diritto di veto del Consiglio di Sicurezza) sostennero che doveva essere l’ONU a controllare il rispetto delle risoluzioni. Nel febbraio 2003 USA, Inghilterra e Spagna presentarono al Consiglio di Sicurezza una nuova risoluzione contro Bagdad. Francia, Germania, Russia e Ci-

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Lucien-Samir Oulahbib, «Armes toxiques: le mystère s’épaissit, mais le dénouement semble proche», Revue politique.com, 14 March 2003.

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Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite

na si opposero2. Il 5 marzo i ministri degli Esteri di Francia, Russia e Germania stesero una dichiarazione congiunta a Parigi nella quale assicuravano il veto a una nuova risoluzione che autorizzasse l’uso della forza in seno al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Il ministro degli Esteri francese, Dominique de Villepin, definiva «inaccettabile» una seconda risoluzione Onu che contenesse un ultimatum all’Iraq. A detta del capo della diplomazia francese non c’erano i presupposti per una guerra perché l’Iraq non stava bloccando il lavoro degli ispettori dell’Onu e non c’era nessuna prova di legami tra Saddam e Al Qaeda3. Il no di Jacques Chirac a una seconda risoluzione dell’Onu che autorizzasse il ricorso alla forza contro l’Iraq accreditava il Presidente francese davanti ai media come un partigiano della pace in opposizione alle mire “imperialiste” americane sui pozzi d’oro nero iracheni4. Il 18 marzo il presidente Usa sconfessò l’ONU, ribadì che la Risoluzione 1441 gli dava il diritto automatico all’uso della forza e lanciò l’ultimatum al raìs di Bagdad. Senza l’approvazione dell’ONU (in particolare con i voti contrari di Francia, Germania e Cina) il governo americano e britannico (sostenuti soltanto da Spagna e Bulgaria) stabilirono di invadere comunque il paese, decisione da molti ritenuta opinabile in base al diritto internazionale.

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Khidhir Hamza, «Why are France and Germany pro-Saddam? Follow the money», The Wall Street Journal, 11 February, 2003. Corriere della Sera, 17 marzo 2003. William Safire, «The French Connection», The New York Times, 14 March, 2003. Revue politique.com, «Le New York Times accuse la France de trafic d’armes avec l’Irak», 14 March, 2003.

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La scelta francese del non intervento era motivata da un’amicizia francoirachena di cui il petrolio era stato il carburante e che risaliva dagli anni ‘60. La storia di questi rapporti vide come protagonisti i politici di tutti i partiti francesi sia di destra che di sinistra. Saddam Hussein apparve la prima volta il 15 giugno 1972 a Parigi, all’Eliseo, Saddam Hussein (Copyright Osservatorio Analitico) in un incontro con il presidente Georges Pompidou. All’epoca Saddam era il numero due del regime di Bagdad, vicepresidente iracheno del Consiglio del comando della rivoluzione. Il motivo della visita era la nazionalizzazione dei pozzi di petrolio da parte irachena, che stava per essere messa in atto. L’incontro fra i due si concluse positivamente: la Francia conservava le proprie concessioni in cambio del trattamento commerciale di nazione più favorita nei confronti dell’Iraq. Fu una fortuna per i Francesi quando scoppiò la crisi petrolifera, poiché essi poterono far fronte alle proprie necessità energetiche senza problemi grazie al petrolio iracheno. In questa maniera l’interscambio commerciale crebbe rapidamente e la Francia in quanto paese esportatore verso l’Irak passava dal 23° posto nel 1962 al 2° negli anni ‘705. La scomparsa di Pompidou non pose fine alla politica filo-irachena francese, che proseguì con Valéry Giscard d’Estaing. Nelle visite ufficiali che si succedettero, il primo ministro Jacques Chirac, più volte si recò a Baghdad: il 1 dicembre 1974 e ancora nel gennaio 1976, portando con sé una proposta per la cooperazione nucleare e militare che fece evolvere i rapporti bilaterali a livelli mai visti prima. L’Iraq stava per mettere a punto un programma nucleare e la Francia si associò a questo sforzo. Ingegneri e tecnici iracheni, nel quadro di un accordo di assistenza tecnica, vennero ricevuti a Parigi, dove studiarono i processi dell’arricchimento dell’uranio. L’Iraq aveva un programma in atto per la costruzione di un reattore nucleare destinato alla ricerca a “scopi del tutto pacifici” ed “eventualmente alla produzione di energia elettrica” denominato Osirak. Di progettazione francese da 40 me-

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Dominique Lagarde & Alain Louyo, «France-Irak : Le dessous des cartes», L’Express.fr, 18 février, 2003.

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gawatt, il reattore utilizzava uranio 235 arricchito al 93%, cui era stato dato il nome del dio Osiris; destinato a Baghdad diveniva Osirak. Molti analisti giudicarono rischioso dare il via ad un programma nucleare in quei territori. A tal proposito il quotidiano parigino “Le Monde” riportava: “il governo francese non può correre il rischio di irritare questo Paese produttore di petrolio”. Così alla fine del mese di maggio 1981, a reattore quasi ultimato, il presidente François Mitterrand dichiarava di essere pronto a fornire all’Iraq il combustibile nucleare necessario. Tutto ciò avvenne nonostante fonti ONU nel 1981 stimassero l’Irak vicino alla produzione della bomba nucleare. Ma il pericolo fu sventato grazie ai cacciabombardieri di Tel Aviv che il 7 giugno 1981 con una incursione “chirurgica” distruggevano l’impianto. Nucleare a parte, nel settore della vendita delle armi gli affari furono notevolmente produttivi. Le commesse irachene si rivelarono una manna caduta dal cielo per le economie di scala che si crearono, a tutto vantaggio per le industrie belliche francesi. La lista degli ordini la fornisce il World Armaments and Disarmamenet, SIPRI Yearbook, 1974-1984. Il primo accordo venne firmato l’1 settembre 1974 e riguardava la fornitura di 60 elicotteri Alouette III armati con missili AS-11/12. Poi dal 1976 al 1980 non passò anno senza che l’Iraq non facesse acquisti: nel 1976, 12 elicotteri Super-Frelon SA-321 e 40 elicotteri Gazelle SA-34; nel 1977, 4 aerei Mirages F-1B e 32 aerei Mirages F-1C; nel 1978, 20 elicotteri Gazelle e un lotto 100 di blindati AMX-30, 50 carri da ricognizione AMX-10, 100 autoblindo Panhard VCR-6TH armate con missili anticarro franco-tedeschi HOT e un centinaio di veicoli da ricognizione del tipo Sagaie ERC-90S; nel 1979, oltre 40 elicotteri del tipo Puma SA-330L. Altri importanti ordini d’acquisto riguardavano missili di vario tipo: aria-aria R-530 per armare i Mirages F1-C, terra aria R-440 Crotale, controcarro SS-1. Nel 1980 alla vigilia dello scoppio della guerra contro l’Iran, Saddam Hussein ordinava 29 aerei Mirages F1-C. In totale, tra il 1974 e il 1980, le commesse riguardavano circa 172 elicotteri di tipo differente, 60 aerei Mirages, 350 tra veicoli blindati e carri armati, più un numero non determinato di missili per vario uso. I fornitori erano SNIAS, Breguet-Dassaut, Matra, GIAT e la Panhard. Questi materiali furono pagati con le forniture di petrolio. Le consegne francesi si scaglionarono nel corso degli anni e proseguirono anche durante il conflitto Iraq-Iran. Il 25 settembre 1980 Giscard d’Estaing ricevette a Parigi il vice primo ministro iracheno Tarek Aziz, , proveniente da Mosca, e la difficile situazione in cui si trovava Baghdad gli assicurò il pieno appoggio francese. Nell’offensiva delle prime settimane l’esercito iracheno bruciò quantità ingenti di materiali e la guerra sembrò destinata a durare per molto tempo. Urgevano quindi nuove armi e per questo motivo Tarek Aziz fu di ritorno a Parigi il 5 novembre, il 22 dicembre 1980 e ancora il 18 marzo 1981. Nel corso dei colloqui fu decisa la consegna, il 31 gennaio 1981, dei primi aerei Mirage

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Elicorreo tipo Alouette III

e una commessa di 150 carri AMX-30, armati con missili terra-aria Roland 2, più 600 postazioni di tiro dello stesso missile. Quasi nello stesso momento tre motovedette lanciamissili ordinate dall’Iran durante il regno dello Scià già pagate per il 90% e pronte per la consegna furono bloccate a Cherbourg nell’attesa della risoluzione del contenzioso finanziario tra Parigi e Teheran. Nel maggio 1981François Mitterand venne eletto presidente. I socialisti francesi, avendo a più riprese denunciato la politica “mercantile” della destra, raffreddarono le relazioni con l’Iraq. Onorarono i vecchi contratti ma non e ne stipularono di nuovi, tanto più che le visite ufficiali reciproche cessarono. Ma le controffensive iraniane sferrate dal settembre 1981 al luglio 1982 travolsero l’esercito iracheno; Teheran voleva cacciare Saddam Hussein e istaurare a Bagdad una repubblica islamica. La Francia, che non si era pronunciata sul conflitto in corso dall’elezione di Mitterand, prese le difese dell’Iraq, temendo di perdere le forniture di petrolio. Il nuovo governo di Parigi ricevette in eredità dal predecessore le commesse di armamenti e proseguì sulla via tracciata decidendo di far fronte agli impegni militari presi prima dell’elezione presidenziale. Il problema che il governo di Parigi si poneva era puramente economico e riguardava lo sviluppo delle vendite necessario al mantenimento di un’industria di armamenti diventata statale grazie alle nazionalizzazioni dei passati governi. D’altra parte il debito che l’Iraq aveva accumulato verso la Francia era tale che essa aveva tutto l’interesse a sostenere Bagdad, per evitare una temuta insolvibilità causata da una sconfitta militare. Dovendo l’esercito iracheno sostituire

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Mirage III

le armi andate distrutte durante i primi mesi del conflitto, il 19 agosto 1981 Tarek Aziz giunse a Parigi con nuovi ordini d’acquisto. Mitterand provvide rapidamente alle forniture, tanto più che a pagare il conto furono l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi ed il Kuwait: una prima tranche di 14,5 miliardi di franchi subito, i restanti 13 miliardi di franchi l’anno seguente. Tarek Aziz fu di nuovo a Parigi il 3 gennaio, poi ritornò agli inizi di febbraio, ancora agli inizi maggio e alla fine dello stesso mese con la richiesta di 89 aerei Mirages F-1 e 5 Super Etendard armati con missili antinave Exocet, con i quali Saddam Hussein intendeva bloccare lo stretto di Ormuz. Tutto questo fu consegnato all’inizio di ottobre dello stesso anno. La guerra Iraq-Iran terminò nel luglio 1988 e nei due anni che seguono, fino all’invasione del Kuwait, le relazioni franco-irachene furono caratterizzate da negoziazioni volte al pagamento dell’incommensurabile debito iracheno, che ammontava a ben 4 miliardi di dollari6.

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Bill Gertz, «Iraq strengthens air force with French parts», The Washington Times, 7 march, 2003.

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Super Etendard

L’invasione del Kuwait causò la rottura dei rapporti Francia-Iraq, dopo il vano tentativo della diplomazia francese di legare la liberazione di questo Paese all’apertura di negoziati sul conflitto Israele-Palestina. La Francia si trovò spiazzata dagli avvenimenti, ma a guerra conclusa i legami si riannodarono e ritornò ad essere il primo fornitore di beni dell’Irak, con il 15% sul totale delle importazioni nel 1996. La ricostruzione dell’Iraq fu un grosso affare e la francese Alcatel ottenne un appalto di 80 milioni di dollari per la fornitura di una stazione, di una rete di trasmissione nazionale e per la posa di 280.000 linee telefoniche nella città di Baghdad. Nel 2001 l’Iraq contava per meno dell’0,2% delle esportazioni civili francesi, circa 606 milioni di euro. Molto più lucrativi erano stati i contratti stipulati negli anni “80 con Saddam Hussein negli armamenti o nel nucleare, come quello della rete idrica della capitale o dell’aeroporto7. In conclusione, il non intervento francese nella seconda guerra del Golfo, copriva interessi economici, risultato, come dimostrato, di una amicizia franco-irachena che risaliva agli anni ‘60 e che federava differenti colori politici e differenti governi nazionali che, succedutesi nel corso di questi anni, concorsero senza farsi molti scrupoli alla lucrosa vendita di armi a Saddam ■ Hussein8.

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Liberation, 28 mars, 2003. Justine Ducharne, «France-Irak : une amitié particulière», Le Figaro, 30 janvier, 2003. Pascal Richard, «SADDAM HUSSEIN, UN AMI DE TRENTE ANS», France3, 30 janvier 2003.

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FINESTRA SUL MONDO

A Cura della Redazione di Lookout News www.lookoutnews.it

MEDIA BRIEFING Sintesi analitica dei più importanti avvenimenti nelle aree di crisi tratta da fonti aperte internazionali marzo - aprile 2013

Libia A Tripoli, nella notte fra il 5 e il 6 marzo, la vettura di Mohammed al-Maqariaf, Presidente del Congresso Nazionale Generale (il Parlamento libico), è stata raggiunta da colpi d’arma da fuoco. L’attentato non ha provocato vittime né feriti. Poche ore prima numerosi dimostranti armati avevano interrotto una sessione del Congresso, prendendo temporaneamente in ostaggio alcuni deputati. L’evento segue di poche ore la liberazione della sede del Parlamento, occupata dal 2 febbraio dai ribelli feriti in guerra. Il 23 aprile è esplosa un’autobomba di fronte all’edificio dell’ambasciata francese a Tripoli: ferite due guardie. L’ultimo attentato di questo tipo risale al 12 settembre 2012, quando nell’attacco al consolato USA di Bengasi fu ucciso l’ambasciatore Chris Stevens. Egitto Critico il quadro della sicurezza in molte aree del Paese agli inizi di marzo, dopo la sentenza del 9 marzo sulla strage di Port Said (febbraio 2012), in occasione dell’incontro di calcio tra la squadra locale dell’Al Masry e quella del Cairo, l’Al Ahly, dove furono uccisi oltre 70 tifosi dell’Al Ahly. Dopo la conferma della condanna a morte per 21 tifosi dell’Al Masry, gli ultras dell’Al Ahly - giudicando insoddisfacente la pena inflitta alla squadra avversaria - hanno dato alle fiamme la sede della Federcalcio egiziana al Cairo. Sono tre le persone che hanno perso la vita nei violenti scontri con le forze di polizia. Ulteriori disordini sono avvenuti a Port Said, Alessandria, Mansoura, Mahala e Assuit. Migliaia i poliziotti che hanno scioperato, rifiutandosi di respingere i dimostranti. Il 7 aprile la situazione è nuovamente precipitata nel caos in seguito alle fortissime tensioni tra copti e musulmani. Una persona è rimasta uccisa e almeno 80 ferite negli scontri davanti alla cattedrale di San Marco, al Cairo, durante i funerali di quattro copti uccisi il giorno precedente nella cittadina di Khusus, alle porte della capitale egiziana, nel corso di altre violenze religiose. Il Papa copto, Tawadros II, ha attaccato duramente Il Presidente Morsi, accusandolo di negligenza per non aver protetto la cattedrale.

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Mali Un centinaio di soldati francesi impegnati nell’Operazione Serval sono stati rimpatriati tra l’8 e il 10 aprile. Le altre truppe verranno ritirate progressivamente alla conclusione dell’Operazione Gustav, lanciata dalla Francia il 7 aprile con l’obiettivo di espellere le sacche di resistenza degli islamisti nella regione di Gao. Parigi, tuttavia, manterrà nella sua ex colonia un contingente di circa 1.000 soldati per sostenere un’eventuale missione di pace delle Nazioni Unite. Repubblica Centrafricana Il 24 marzo i ribelli della Coalizione Seleka hanno occupato, a Bangui, il palazzo presidenziale, rovesciando il regime di Bozizé, salito al potere con un golpe nel 2003. Michel Djotodia, leader del gruppo, si è proclamato nuovo Capo dello Stato, sospendendo la Costituzione e sciogliendo il Parlamento. Il Presidente francese Hollande ha immediatamente annunciato l’invio di truppe per difendere gli oltre 1.000 cittadini francesi e i circa 2.000 europei ivi residenti. Gravemente compromesso il quadro della sicurezza nella capitale Bangui, dove dilagano saccheggi e sparatorie. Somalia Il 17 marzo gli islamisti di Al Shabaab hanno occupato Hudur, capoluogo della regione di Bacol situata al confine meridionale con l’Etiopia. L’operazione è avvenuta poche ore dopo la partenza delle truppe etiopi che presidiavano la città dalla fine del 2011. Il 18 marzo un’esplosione nei pressi del palazzo presidenziale di Mogadiscio, in pieno centro, ha causato oltre dieci vittime: si tratta dell’attentato più sanguinoso nella capitale somala dall’inizio di quest’anno. Turchia Il 21 marzo Abdullah Ocalan, leader del PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan) arrestato nel 1999, ha dato ordine ai suoi combattenti di cessare il fuoco e di ritirarsi nel Kurdistan Iracheno per porre fine al conflitto con il governo turco. Siria Abu Bakr al-Baghdadi, leader di AQI (Al Qaeda in Iraq), ha annunciato in un messaggio audio del 9 aprile di aver unito le sue forze al gruppo Jabhat al-Nusra, formazione islamista attiva in Siria e già artefice di numerosi attentati nel Paese. L’unione, se confermata, rafforzerà il ruolo dell’estremismo islamista all’interno dell’opposizione siriana, complicandone ulteriormente il rapporto con le potenze occidentali, tuttora incerte sulle modalità di sostegno all’insurrezione contro il regime di Damasco. Il 10 aprile Abu Mohammed al-Jawani, leader di Jabhat al-Nusra, ha giurato fedeltà ad Al Qaeda e al suo leader al-Zawahiri. Israele Il 22 marzo il premier Netanyahu ha espresso il suo rammarico al Primo Ministro turco Erdogan per le nove vittime causate dal blitz israeliano del maggio 2010 contro la nave di attivisti turca Mavi Marmara diretta a Gaza. Netanyahu ha definito l’episodio «un errore operativo». I due premier si sono parlati telefonicamente grazie alla mediazione di Barack Obama, che era in visita in Israele, Cisgiordania e Giordania. Nella conversazione Netanyahu ed Erdogan hanno concordato una normalizzazione dei rapporti tra Israele e Turchia. Il 2 aprile l’aviazione israeliana ha condotto tre raid nel nord della Striscia di Gaza, in risposta a un lancio di razzi avvenuto nello stesso giorno dal territorio palestinese. Le incursioni aeree israeliane sono le prime dall’operazione Pilastro di Difesa del novembre 2012. Il 3 e il 4 aprile altri lanci di razzi da Gaza hanno colpito le aree in prossimità delle città israeliane di Sderot ed Eshkol, senza tuttavia provocare feriti. Gli attacchi contro Israele sono stati rivendicati da un movimento salafita legato ad Al Qaeda presente nella Striscia di Gaza e nel Sinai egiziano. Qatar La Lega Araba ha definitivamente riconosciuto la Coalizione Nazionale Siriana come unico rappresentante di Damasco, assegnando a essa - in occasione del vertice di Doha del 26 marzo - il seggio della Siria. Il seggio era rimasto vacante dal novembre 2011, da quando, cioè, la Lega Araba aveva sospeso la Siria, sei mesi dopo l’inizio delle rivolte contro gli Assad. Il 27 marzo la Coalizione Nazionale Siriana ha inaugurato la sua prima ambasciata a Doha.

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Institute for Global Studies

SOPRESE E TIMORI NEL PROCESSO DI SELEZIONE DEI CANDIDATI ALLE ELEZIONI PRESIDENZIALI IRANIANE di Nicola Pedde

Le elezioni presidenziali del 2013 avranno un significato particolare per gli iraniani. Si tratta infatti di eleggere un candidato che possa succedere al discusso e bellicoso doppio mandato del presidente uscente Mahmood Ahmadinejad, riportando per quanto possibile l’Iran nel solco, se non della normalità, quantomeno di una progressiva stabilità. Il traumatico epilogo delle elezioni del 2008, con la contestata vittoria di Ahmadinejad e le violenze che scoppiarono in quasi tutte le principali città iraniane, rappresentano ancor oggi un incubo per il vertice della Repubblica Islamica, e soprattutto per la Guida Ali Khamenei, che non intende in alcun modo concedere spazi per una replica degli eventi della precedente tornata. Candidature eccellenti Nei cinque giorni messi a disposizione dalle autorità per presentare le candidature per l’ammissibilità alle elezioni presidenziali (i candidati devono essere preventivamente approvati rispondendo a requisiti di tipo anagrafico, scolastico, morale e religioso), 686 individui hanno sottoposto le proprie credenziali, imponendo un duro lavoro alle commissioni di scrutinio, che hanno infatti annunciato un ritardo di cinque giorni nel comunicare i risultati definitivi e la pubblicazione delle liste. Poco dopo la chiusura del termine per le candidature, tuttavia, è arrivata una prima, sorprendente, notizia: i candidati di sesso femminile saranno esclusi, in osservanza alla Costituzione. A darne l’annuncio è stato l’anziano ayatollah Yazdi, spiegando che il Consiglio dei Guardiani - l’organo istituzionale incaricato della verifica delle candidature - ha così interpretato il dettato dalla carta costituzionale iraniana, contestualmente “squalificando” le candidature di circa 30 donne. Tra i personaggi che hanno confermato la propria intenzione di candidarsi alle elezioni sono presenti molti esponenti di spicco della prima e della seconda generazione politica iraniana, ed è quindi con interesse che gli elettori attendono di conoscere il verdetto del Consiglio dei Guardiani, per aprire ufficialmente la campagna politica. Ha destato scalpore, senza dubbio, l’annuncio di Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, già presidente per due volte dal 1989 al 1997, ed attualmente presidente del Consiglio per il Discernimento, il potente organo istituzionale di sostegno alla Guida, incaricato di dirimere le controversie tra Parlamento e Consiglio dei Guardiani. Rafsanjani è oggetto di giudizi contrastanti in seno all’opinione pubblica iraniana, spaziando tra accaniti sostenitori del suo liberismo economico e conservatorismo politico, e feroci oppositori che lo considerano al contrario un corrotto e spregiudicato politico interessato al proprio personale tornaconto istituzionale ed economico. Nelle elezioni del 2005 che videro l’elezione di Mahmood Ahamdinejad al suo primo mandato, Rafsanjani pagò il prezzo politico della sconfitta proprio sulla base delle pesanti accuse mosse dall’elettorato all’ex presidente, perdendo di misura le elezioni al ballottaggio. Un altro candidato di spicco è il popolare sindaco di Tehran, Mohammad Bagher Qalibaf, ex generale dei Pasdaran, ex capo della Polizia, e stimato amministratore pubblico, soprattutto dagli abitanti di Tehran, che hanno potuto constatare con mano la capacità del sindaco nel rimettere ordine in gran parte del congestionato, inquinato e caotico centro della metropoli iraniana. Qalibaf si presenta alle elezioni con la coalizione detta “2+1”, insieme all’ex Ministro degli Esteri Ali Akbar Velayati e Gholam-Ali Haddad Adel, ex presidente del Parlamento. L’alleanza si presenta particolare

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agli occhi degli elettori soprattutto per il fatto di essere composta da tra candidati laici, appartenenti alla schiera dei conservatori, ma tradizionalmente moderati nelle posizioni espresse in termini politici. L’alleanza del “2+1”, largamente annunciata, si presenta come una delle correnti conservatrici “lealiste”, fedeli alla Guida e alla linea di continuità della Repubblica Islamica, sebbene attraverso una visione moderatamente modernista e innovatrice, soprattutto in campo economico e sociale. Haddad Adel è legato alla famiglia stessa della Guida, avendo sua figlia spostato Mojtaba Khamenei, influente secondogenito del rahbar. Tra gli altri nomi illustri di cui la stampa ha dato notizia con riferimento alla presentazione delle candidature per le elezioni, spiccano poi i nomi di Mohsen Rezai, ex comandante in capo dei Pasdaran, Saeed Jalili, già a capo del team negoziale iraniano per i colloqui relativi al programma nucleare iraniano, Manouchehr Mottaki, ex Ministro degli Esteri (che secondo le indiscrezioni della stampa rischierebbe la squalifica non essendo in possesso di una laurea universitaria), Kamran Bagheri Lankarani, e molti altri ancora. Ad intimorire i vertici della Repubblica Islamica, tuttavia, è la candidatura di Esfandiar Rahim Mashaie, cognato e alleato politico dell’uscente presidente Ahmadinejad, e feroce oppositore del vertice teocratico del paese, che ha più volte apertamente attaccato nei suoi discorsi, con il deliberato intento di minarne la credibilità politica e religiosa, e dando avvio ad una crisi politica senza precedenti nella storia dell’Iran. La nomina di Mashaie alla vicepresidenza venne bloccata dallo stesso Khamenei nel 2009, con l’esplicita accusa di rappresentare una corrente di “devianza” appoggiata dalle potenze straniere per distruggere la Repubblica Islamica. Ciononostante, Ahmadinejad è sempre riuscito a proteggere Mashaie, evitandogli un quasi certo arresto e permettendo di svolgere l’importante ruolo di delfino politico, secondo molti funzionale ad un interregnum presidenziale “sicuro”, in attesa della possibilità per Ahmadinejad di ricandidarsi alle prossime elezioni per un terzo mandato (possibile, secondo la Costituzione iraniana, sebbene non possa essere sequenziale ai primi due). Sono quindi in molti, oggi, ad attendere il giudizio del Consiglio dei Guardiani, per vedere se la Guida e l’establishment avranno reputato opportuno e sicuro squalificare Mashaie, aprendo però in questo caso il vaso di Pandora dell’ostilità da parte delle forze più radicali dell’ambito conservatore. La strategia della Guida Ali Khamenei ha un’esigenza imperativa: evitare che si ripetano - magari amplificati - i disordini del 2009. Al tempo stesso, tuttavia, vedrebbe con piacere l’elezione di un presidente “allineato” con la posizione di continuità dell’establishment della prima generazione politica iraniana, e anche capace di depotenziare il pericoloso clima di crisi innescatosi durante la burrascosa presidenza di Mahmood Ahmadinejad. Come i toni del vivo e continuo dibattito politico nazionale hanno dimostrato, i temi dell’economia, del lavoro e della stabilità sono quelli che hanno animato le tribune politiche nazionali, dimostrando con chiarezza alla Guida ciò che gli elettori domandano e ciò che i candidati dovranno saper offrire in campagna elettorale. In linea con queste esigenze, quindi, la Guida auspica senza dubbio la vittoria di un candidato tra quelli della coalizione conservatrice moderata, in modo da poter garantire stabilità al sistema politico nazionale, e moderazione sul piano internazionale. Un obiettivo, tuttavia, contrastato dalla presenza di un candidato riconducibile in modo diretto ad Ahmadinejad, Mashaei, ma anche - sebbene in modo minore - da Rafsanjani, che è certamente più vicino alla Guida dell’ex presidente, ma che non rappresenta certo l’ideale di malleabilità che la Guida auspica in questa particolare fase. Diventa quindi estremamente difficile non solo anticipare quale sarà il clima della campagna elettorale, ma anche e soprattutto l’esito di quelle che in ogni caso si preannunciano come elezioni di importanza storica per il paese, segnando effettivamente l’avvio di una transizione generazionale destinata a mutare radicalmente la fisionomia politica e sociale del paese.

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OSSERVATORIO STRATEGICO

EUTM, UN SUCCESSO EUROPEO Centro Militare Studi Strategici

di Francesco Lombardi

All’inizio dell’anno il Consiglio Europeo ha prorogato la Missione EUTM (European Union Training Mission) di ulteriori due anni. Il secondo dei due mandati, infatti, era scaduto a fine 2012. Lo scopo della missione è stato ed è quello di fornire una preparazione militare ai membri delle costruende Forze Armate Somale (Somali National Armed Force – SNAF) nel quadro del più generale sostegno alle legittime istituzioni incaricate di dare un futuro al martoriato stato africano che sta tentando di riemergere dall’abisso in cui era sprofondato dopo oltre 20 anni di anarchia e distruzione. Il conflitto che si è trascinato nel Corno d’Africa, reso più tragico da siccità e carestie, è stato essenzialmente uno scontro tra clan ed ha fatto da innesco ad ulteriori crisi di portata internazionale, dalla pirateria alla proliferazione del banditismo. L’attività, la prima missione di formazione militare dell’UE, è nata all’inizio del 2010, a seguito dell’approvazione da parte del Consiglio Europeo di una missione, in Uganda, finalizzata al reclutamento, alla formazione ed all’addestramento dei membri delle Forze Somale, nonché al tutoring delle Forze stesse dopo il loro effettivo insediamento in Somalia. L’UE decise di realizzare la missione in stretto coordinamento con la missione dell’Unione Africana AMISOM e con gli Stati Uniti d’America. La missione EUTM, che ha avuto fino ad ora un discreto successo, si è avvalsa di personale proveniente da 15 Paesi dell’Unione, che hanno operato in Uganda (Kampala e Bihanga), oltre che a Bruxelles (ove è presente una cellula di risposta) e a Nairobi. È, però, soprattutto in Africa, nel campo di Bihanga, nell’est dell’Uganda, a sette ore di strada dalla capitale Kamapala, che si è sviluppato il lavoro più impegnativo e pregnante. Innanzitutto con un importante sforzo logistico, per realizzare strutture basate su standard occidentali. EUTM ha interessato reclute provenienti da tutta la Somalia; da Mogadiscio, la capitale, ma anche dal nord del paese, dal Puntland e dal Somaliland. Il personale è stato selezionato sulla base dei criteri stabiliti dalle nazioni europee d’intesa con il governo di transizione somalo. Tra questi criteri figurano, come voluto proprio dalla nazione ospite, l’attenzione alle diversità dei clan, le condizioni fisiche, l’età (maggiore di 18 anni), il livello di attitudine mentale, non aver commesso violazioni dei diritti dell’uomo. Il passato di ciascun allievo è stato sottoposto ad attento screening, affinché, come dichiarato dal Colonnello Elul (già comandante della missione nel primo mandato), venissero immediatamente esclusi i c.d. “cattivi ragazzi”. La presenza di un tasso di alfabetizzazione, limitato al 20% dei giovani impegnati, ha posto comunque qualche difficoltà nelle primissime fasi degli addestramenti individuali. Caratteristica innovativa è stata la stretta collaborazione tra forze ugandesi ed europee nell’addestramento delle Forze Somale.

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Da notare, come elemento organizzativo di rilievo, il fatto che europei ed ugandesi si sono strutturati per realizzare attività formative su livelli diversificati e, allo stesso tempo, i team nazionali dell’Unione si sono articolati essenzialmente per materia. Gli europei si sono occupati della formazione degli ufficiali e sottufficiali, come pure degli specialisti. In parallelo, gli ugandesi si sono occupati della formazione di base delle giovani reclute. In particolare: la formazione degli ufficiali ai francesi, l’azione anti-esplosivi (IED) e l’evacuazione medica (MEDIVAC) agli italiani, le comunicazioni ai tedeschi, la guerriglia urbana ai portoghesi. Dall’inizio della missione ad oggi il nostro paese ha inviato 54 militari, dell’Esercito e dei Carabinieri. Le sfide con cui si sono dovuti confrontare i membri di EUTM non sono state solo di natura tecnica o infrastrutturale. Ben più impegnativa, e strategica, ai fini della buona riuscita di ogni attività del genere, l’amalgama delle reclute provenienti da vari clan somali, talvolta in contrasto tra loro. Aspetto reso ancor più difficoltoso dalla varietà degli idiomi utilizzati. Le reclute parlano fino a quattro dialetti diversi; per tale ragione, i formatori si esprimono in inglese e sono poi tradotti da interpreti locali. A conclusione del secondo mandato, la missione ha operato con 3000 somali, non limitando l’addestramento alle sole tecniche squisitamente militari ma impegnandosi anche in una formazione sul diritto internazionale umanitario, sui diritti umani e sulla protezione dei civili. Ciò per fornire ai futuri responsabili ed operatori della sicurezza somala un bagaglio di capacità in linea con standard qualitativi accettabili. E molti di essi hanno già combattuto nelle strade di Mogadiscio, contribuendo alla sconfitta delle milizie Shabaab. Tanto che l’Alto rappresentante dell’UE per gli affari esteri, Catherine Ashton, ha dichiarato al riguardo che “coloro che sono stati addestrati da EUTM hanno fatto la differenza sul campo”. Valido indicatore del successo ottenuto è anche l’ampliamento del mandato della missione che ora graviterà sulla formazione dei Comandanti, fino a livello battaglione (mentre in precedenza il focus si fermava a livello plotone). Sarà inoltre ampliata la formazione su materie quali la politica militare, la cooperazione civilemilitare, l’intelligence ed il genio. In linea, evidentemente, con i progressi politici ed istituzionali che si sono registrati a Mogadiscio, e che necessitano di personale direttivo in grado di prendere decisioni competenti e ragionate. Allo stesso tempo, EUTM sarà chiamata a fornire consulenza politica e strategica in tema di difesa e sicurezza alle nuove legittime istituzioni somale. E, in relazione alle condizioni di sicurezza che si creeranno, la sede della missione potrebbe progressivamente avvicinarsi al territorio somalo fino, si spera, a concentrare tutte le attività nella capitale. Anche per dare maggiore concretezza ai programmi (ed alle proposte) del primo ministro, Abdi Farah Shirdon, che già nel suo discorso di insediamento ha definito quattro priorità, di cui la prima (e certo la principale) è il consolidamento di un sistema di sicurezza, prerequisito indispensabile per avviare quel processo virtuoso di ripresa politica, economica e sociale. Pare, in definitiva, che gli 11,6 milioni di euro che l’UE impegnerà ancora da qui al 2015 per continuare con EUTM possano essere ben spesi e fare dell’esperienza ugandese terreno cui attingere per future best practices.

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DIFESA ALLA RIBALTA GIOCARE PER SALVARE VITE: LE SQUADRE CINOFILI DEL SOCCORSO DELLA CROCE ROSSA ITALIANA di Françoise Farano La Croce Rossa Italiana offre una vasta e variegata gamma di servizi su tutto il territorio nazionale, in considerazione tanto delle caratteristiche specifiche del luogo dove si trova ad operare, quanto delle disponibilità in termini di risorse umane, logistiche e finanziarie. In situazioni non comuni e non permissive, dove gli interventi di ricerca e di Primo e Pronto soccorso agli infortunati non sono mai squisitamente sanitari ma richiedono un elevato grado di competenza, organizzazione e dotazioni, si attivano anche i Soccorsi Speciali. Tra le attività operative di questo genere, oltre al Salvataggio in Acqua, al Soccorso su Piste da Sci e a quello con mezzi e tecniche speciali (SMTS), vi è il Soccorso con supporto cinofilo, che può operare effettuando ricerca e soccorso in superficie, su macerie, su valanghe e in acqua, e fornendo il proprio ausilio in sede di pet therapy, attività assistite con animali rivolte in particolare a bambini traumatizzati, anziani e soggetti portatori di varie patologie gravi. Le linee guida che regolamentano dal 2009 lo specifico settore dei Soccorsi Speciali stabiliscono che, a discrezione del singolo Comitato e a seguito di un percorso formativo di una certa durata e consistenza, vengano costituite le squadre, eventuali nuclei e sezioni, e che ciascun operatore, istruttore e formatore disponga di un libretto attestante le qualifiche e l’iscrizione ad un albo dedicato. In situazioni di emergenza, gli interventi sono coordinati dal Delegato della Croce Rossa per la Protezione Civile, in collaborazione anche in tempo ordinario con Enti Pubblici, Corpi dello Stato, Forze Armate, organizzazioni non governative e associazioni che svolgano attività analoghe. La formazione nell’ambito del Soccorso con supporto cinofilo prevede corsi specifici per i vari componenti della Squadra, anche nel caso in cui essi abbiano già conseguito i brevetti con altre associazioni: l’Unità cinofila, costituita inscindibilmente da conduttore e cane di proprietà; il logista-figurante; l’istruttore di questi e il formatore degli istruttori. Il corso per l’Unità cinofila è quello più impegnativo se non altro in termini di tempo, con 100 ore nell’arco di un anno, di cui 20 di natura teorica e 80 in addestramento con il cane. Le materie insegnate e apprese vanno dalla Psicologia del disperso e dei cani alle Tecniche di soccorso cinofilo, oltre ad Elementi di primo soccorso e soccorso veterinario, Logistica, Organizzazione delle ricerche di persone scomparse (metodologia di ricerca organizzata) e Aspetti legali. Al termine della formazione, l’esito positivo di un esame teorico-pratico - alla presenza di una commissione di esperti - abilita gli operatori al servizio effettivo. Ogni anno è previsto il retraining, fatti salvi coloro che abbiano partecipato ad un intervento reale, esonerati per un turno. Ares è un bell’esemplare di labrador nero: pelo lucido e ben curato, viene chiamato affettuosamente “il muretto”, per la sua corporatura massiccia. Con lui, all’ingresso del Comitato locale della Croce Rossa Italiana di Grosseto, aspettano pazienti anche Issa (altro labrador color miele), Margot e Zara (pastori tedeschi), Birra (golden retriever) e Aika (pastore tedesco grigio), tutti rigorosamente al guinzaglio dei rispettivi conduttori-proprietari. Nel furgone dedicato, adibito dal Comitato ai loro spostamenti sul territorio e predisposto per accogliere i trasportini individuali, il più anziano e brevettato Teo (lagotto di 9 anni), e la mascotte Chance, 4 mesi, un batuffolo di pastore tedesco. Cani e padroni sono solo alcuni dei componenti della Squadra Cinofili da Soccorso CRI della città, 82 mila abitanti, capoluogo della provincia meno popolosa ma più estesa della Toscana. Il Comitato Regionale toscano della Croce Rossa Italiana può attualmente contare sulle squadre cinofile di Grosseto, Follonica (GR), Bagni di Lucca (LU), Pistoia, Firenze e Montepulciano (SI). L’obiettivo primario di dell’intenso lavoro addestrativo e formativo è come sempre fornire, in caso di bisogno, un servizio efficiente alla comunità ma, nel rispetto di standard elevati di qualità, i volontari auspicano anche un aumento sostanzioso del numero di Unità cinofile CRI brevettate, dato che in Toscana ad oggi esse sono brevettate soltanto per la ricerca in superficie e in numero sensibilmente inferiore rispetto ad altre realtà regionali. La Squadra di Grosseto opera prettamente in scenari in superficie e su macerie, esercitandosi periodicamente presso un terreno addestrativo consono, di proprietà della Croce Rossa regionale nei pressi di Montepulciano, o in alternativa ospiti di terreni in dotazione ai Vigili del Fuoco o ad altre associazioni. I volontari spiegano che la durata dell’addestramento dipende anche dal numero di volontari che si avvicinano a questo tipo di attività e dalla predisposizione e reazione dei loro cani. Sebbene pastori tedeschi, labrador e golden retriever siano tendenzialmente più portati per questo genere di attività, in seno alla Croce

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Rossa Italiana non sono richieste razze specifiche per l’addestramento, in considerazione del fatto che si è tutti volontari, inclusi i cani. «È chiaro che ogni razza ha caratteristiche proprie in termini caratteriali, comportamentali e fisiche, e a queste corrisponderà un approccio diverso e adeguato da parte del conduttore e dell’istruttore, sia nella fase addestrativa sia in quella operativa». Di base, però, tutti devono avere una giusto grado di curiosità, buon temperamento e giocosità, elemento questo su cui si basa tutto l’addestramento, nonché essere molto socializzati, così da non generare problemi di relazione tra esemplari dello stesso sesso in sede di intervento. Gli interventi per cui si richiede il supporto della Squadra cinofili CRI sono spesso correlati, in tempo ordinario, alla scomparsa involontaria di persone affette da patologie che alterano la loro cognizione spazio-temporale - come l’Alzheimer o la demenza senile - o sportivi infortunati in zone poco battute, o ancora bambini in contesto generalmente urbano. «L’ultima attivazione in termini di tempo a Grosseto è avvenuta lo scorso dicembre, in località Pescina di Seggiano sul Monte Amiata. Si trattava di una persona anziana abituata a camminare nei boschi, ma ormai affetta da demenza senile». La famiglia ha dato l’allarme e la macchina dei soccorsi si è attivata, coinvolgendo Carabinieri, Vigili del Fuoco, altre associazioni e volontari della Croce Rossa Italiana, appunto. «Nonostante gli sforzi, purtroppo quella persona non è stata trovata, e dopo qualche giorno le autorità hanno disposto l’interruzione delle ricerche». È evidente il rammarico di chi parla e si porta ancora addosso il senso di responsabilità di quei giorni, con il pensiero rivolto alla famiglia dello scomparso e la magra consolazione di aver fatto il proprio dovere coscienziosamente e in modo professionale. «Un intervento molto impegnativo anche per i cani, che hanno battuto singolarmente aree ampie anche 450mx300m, per 40-45 minuti ogni volta: un lavoro enorme di concentrazione e discernimento». I cani della Croce Rossa Italiana non vengono addestrati a riconoscere un gesto di attivazione, come invece accade per quelli impiegati ad esempio dall’Esercito Italiano, che associano all’indossare il collare l’entrata in servizio, per così dire. La ragione di questa scelta è legata alla differenza di scenario in cui essi si trovano ad operare, dato che sia in superficie - specie nei boschi - sia sulle macerie, rimanere impigliati è tra i rischi maggiori. «Tuttavia - fa notare una volontaria - quando indossiamo la divisa, i nostri cani capiscono perfettamente che ci stiamo preparando per il servizio, per “giocare”». L’approccio al cane al momento di lavorare insieme è totalmente personalizzato dal conduttore, così come risponde alla preferenza del singolo cane l’oggetto sul quale si incentra l’addestramento alla ricerca, per cui alcuni prediligono un manicotto, altri un giocattolo (adeguato ovviamente), altri ancora una ricompensa commestibile. Come i cani anti-droga o anti-esplosivo imparano ad associare gli odori di specifiche sostanze all’oggetto con cui preferiscono giocare - arrivando in definitiva a scoprire i traffici illeciti semplicemente in cerca del giocattolo del cuore - così avviene anche per i cani della Croce Rossa, i quali però non essendo addestrati per il momento ad essere cani “molecolari”, non sono in grado di fare un discrimine tra tutti gli odori percepiti, alla ricerca di quelli specifici caratteristici della persona scomparsa. L’Associazione italiana della Croce Rossa, ad oggi ente di diritto pubblico non economico con prerogative di carattere internazionale e associazione di soccorso volontaria senza scopo di lucro, diverrà nel 2014 - anno del suo centocinquantenario - un’associazione privata di interesse pubblico, con la denominazione di Associazione della Croce Rossa Italiana. Ad essa rimarrà affiancato per due anni il cosiddetto “Ente strumentale alla Croce Rossa” per la gestione del cambiamento in materia logistica e patrimoniale e per il risanamento dei debiti. Con la soppressione di tale ente il primo gennaio 2017, la piena attuazione del decreto legislativo di riordino n. 178 del 28 settembre scorso potrà ritenersi conclusa. Alla base di tali cambiamenti, una dovuta cesura con gli ultimi 30 anni di gestione impropria e ripetuti commissariamenti dell’Ente pubblico, nonché un riallineamento necessario con la natura giuridica delle altre Società nazionali che costituiscono il Movimento internazionale delle Croce Rossa e Mezzaluna Rossa. Il risultato tuttavia più significativo è un’accresciuta valorizzazione dei quasi 140 mila volontari che costituiscono il patrimonio più importante dell’Associazione, tornati recentemente alle urne per votare il loro rappresentanti, e cui spetta ora la scrittura del nuovo statuto. Nonostante di qui in avanti il terreno sia inesplorato, e il riordino non manchi di suscitare perplessità, soprattutto tra i dipendenti dell’ente in liquidazione e tra i membri dei corpi militari ausiliari delle Forze Armate, è diffusa tra i volontari l’opinione che la riforma possa avere un esito positivo e fruttuoso e che sia l’occasione per contribuire direttamente a definire la linea della nuova Associazione, nel rispetto di quanto fatto nei quasi 150 anni di storia italiana, ma consapevoli che le sfide si fanno sempre più complesse, e che servono - assolutamente servono - normative e coordinamenti a livello quantomeno nazionale, regolamenti univoci e uniformità addestrativa, per poter raggiungere e offrire l’eccellenza.

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PREMIO

“AMIONE” La storia del Premio giornalistico letterario “Amione” nasce durante un colloquio con lo staff del Reparto, sulle possibili iniziative volte a migliorare la qualità della vita del personale all’interno del Reggimento. La volontà era quella di stimolare il personale, affinché esponesse in un breve racconto, i motivi che erano alla base della scelta di entrare a far parte delle Forze Armate. La sfida era ancora più interessante, perché si invitava il personale a parlare del proprio ambito, confrontandosi con altri colleghi su una scelta che, per un motivo o per un altro, aveva cambiato il proprio stile di vita e avrebbe permesso loro di iniziare un’avventura che, per alcuni, poteva durare tutta la vita. Fissata l’idea, una volta acquisite le previste autorizzazioni sulla catena gerarchica, si trattava di definirne le modalità esecutive. La data di realizzazione, veniva individuata nella ricorrenza della fondazione del Reggimento stesso, così come il nome scelto per il Premio, “Amione”, coincide con il nome dell’Ufficiale al quale è intitolata la Caserma dove risiede il Reggimento. Era poi opportuno che a giudicare gli articoli, venisse formata una giuria di personalità militari e civili con il necessario background per valutare con attenzione gli elaborati. Così si procedeva a interpellare alcuni nomi del giornalismo, sia della carta stampata sia del mondo televisivo, che si dichiaravano subito interessati all’iniziativa, dando la loro adesione. A questi professionisti, si andavano a unire Ufficiali di spicco del mondo della Pubblica Informazione della Difesa; anche loro stimolati positivamente dall’idea, si rendevano subito disponibili. Si procedeva poi a informare tutto il personale del Reggimento sull’iniziativa, sulle modalità e sui tempi di realizzazione. Alla data convenuta, venivano presentati otto elaborati, da personale maschile e femminile del Reparto: Caporal Maggiore Capo Scelto Francesco DENTALE, Caporal Maggiore Scelto Emanuele FRANCHI, Caporale Stefano MATTIELLO, Sottocapo Seconda Classe Savino MAZZILLI, Caporale Davide SANNITI, 1^Aviere Enrico RUSSO, Caporal Maggiore Capo Daniele TAMMARO e Caporal Maggiore Elisabetta TURIZIO. I lavori venivano consegnati alla giuria del Premio, durante un incontro tenutosi all’interno dei saloni del Circolo Unificato del Reparto. La giuria, dopo aver ricevuto gli articoli, stabiliva di metterli in sistema attraverso una griglia che fissasse dei parametri di riferimento per la valutazione. La griglia prevedeva i seguenti criteri: costruzione della struttura dell’articolo, capacità di “coinvolgere” il lettore, efficacia nella trasmissione del messaggio, correttezza grammaticale, Rispetto del numero delle battute previste. Dopo circa una mese, necessario ai componenti della giuria per valutare gli scritti, si procedeva a un ulteriore incontro per stabilire la graduatoria di merito e premiare il vincitore e i redattori degli articoli dichiarati meritevoli di plauso. La giuria, composta dal: Dott. Pietro BATACCHI (giornalista Direttore di RID); Dott.ssa Tonia CARTOLANO (giornalista di SKY TG 24), Generale di Brigata Massimo FOGARI (giornalista, Capo Uff. PI di SMD e Direttore responsabile di “Informazioni della Difesa”), Tenente Colonnello Giovanni GRECO (Responsabile Pubblica Informazione del Raggruppamento Autonomo del Ministero della Difesa RAMDIFE); Tenente Colonnello Roberto LANNI (giornalista e Comandante 10° Battaglione Trasporti), Colonnello Antonio OLIVIERO (esperto in comunicazione e Comandante REMADIFE), Prof. Nicola PEDDE (giornalista e direttore Istitute for Global Studies), Dott. Lao PETRILLI (giornalista, Radio Dimensione Suono e La Stampa), Brigadier Generale Gerardo RESTAINO (esperto in comunicazione e Comandante di RAMDIFE), Tenente Colonnello Pier Vittorio ROMANO (giornalista, Capo Sezione Mezzi di Informazione di SMD - Ufficio Pubblica Informazione), Dott.ssa Antonella Vicini (giornalista, Free Lance), Tenente Colonnello Antonio ZULIANI (Capo servizio Pubblica Informazione di SGD-DNA), assegnava il premio all’articolo redatto dal CMS Emanuele Franchi. La targa e il diploma al vincitore, sono stati consegnati dal Vice Segretario Generale della Difesa, Avvocato dello Stato Pierluigi DI PALMA, che con la sua presenza ha voluto testimoniare il vivo apprezzamento del Segretario Generale della Difesa per un evento teso a stimolare il personale del Reggimento a impegnarsi in attività culturali non strettamente connesse con i compiti istituzionali del Reparto. Colonnello Antonio OLIVIERO Comandante del Reggimento di Manovra Interforze. Primo Classificato C.M.S. Emanuele FRANCHI Sono figlio di un marinaio, sono stato cresciuto a suon di ordini, la mia ninna nanna l’inno di Mameli, l’ora del pranzo sempre puntuale, il mio “posto letto” sempre in ordine. Rigore, tanto rigore da sembrare triste rispetto ai miei amici, tanto scalmanati da farmi sentire fuori luogo in molte circostanze. Mai mi sono potuto permettere di far festa a scuola,di lamentarmi per il menù o rispondere mezza parola storta alle persone più grandi di me.

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Mio padre, abituato a dare ordini ne impartiva anche a me, i miei giorni di consegna erano senza tv e cioccolato! Che uomo mio padre, un metro e settanta o poco più, nato con la barba e lo sguardo accigliato, lo vedevo poco, ci parlavo ancora meno, un uomo tutto di un pezzo, comunicava senza parlare, sempre serio e poco affettuoso. Era spesso fuori casa, anche per mesi delle volte, imbarcato chissà dove, impegnato a difendere gli altri, come pensava la mia mente di bambino. Non era semplice capire il perché della sua assenza, tante volte il perché della sua freddezza durante il suo essere presente. Non ho mai avuto un “bravo” da lui, solo rimproveri, seguiti magari da una sberla. Credevo fosse incapace di provare sentimenti, il suo lavoro, quello lo faceva sentire bene e sorridere, emozionato e felice quando a tavola raccontava delle sue missioni. Mia madre lo definiva “un militare vecchio stampo”, una donna forte forse più di lui, che ha cresciuto me e mio fratello compensando anche la figura paterna, conciliando lavoro, casa e l’essere donna. Vederla sola mi faceva star male e di sicuro non mi aiutava a capire bene quale fosse il mestiere di quell’uomo, tante volte in divisa blu. Odiavo vederlo vestito così, significava che stava andando via. Quante volte avrei voluto fermarlo, chiedergli di rimanere, domandargli perché quella divisa fosse più importante di me. Non lo feci mai, non mi avrebbe mai perdonato una mancanza di forza, ma tante volte avrei pianto volentieri davanti a lui, non di nascosto come facevo sempre. Così mi ritrovavo a porre queste domande a mio nonno, puntualmente la stessa risposta: “è un militare”….. Ho odiato i militari! Ci fu un episodio che mi fece guardare in modo diverso mio padre per la prima volta. Al porto di Ancona, anni fa lo vidi scendere dalla nave, nella sua divisa bianca, barba curata e sorriso tirato, come sempre, sembrava così piccolo, più di quello che era, minuscolo rispetto alla maestosa Nave Garibaldi alle sue spalle. Ma mio padre era così grande per i suoi marinai, un po’ magari per il grado che rivestiva un po’ per l’uomo che era, lo salutavano affannosamente con rispetto e ammirazione. “Capo Franchi” chiamavano il mio papà, non credo di averlo mai visto così. Abbracciò forte me e mio fratello quel giorno, ci presentò a tanti giovani in bianco come lui, ci mostrò il suo posto in nave e ci fece vedere quale fosse il suo compito; con il sorriso! Sentii il calore, la dedizione, lo spirito che arieggiava in quel luogo, mi sentii un marinaio. Papà, lo avevo condannato tante volte per le sue assenze, in quel momento ho capito che la sua forza e determinazione servivano più a quegli uomini che a me. Credo che sia uscita fuori in quel momento, la passione che ho per questa vita, ho cercato per tempo di riprovare l’orgoglio e l’ammirazione provata per mio padre li, ho rincorso quel sentimento per sentirlo mio, per essere orgoglioso di me stesso e forse per farmi ammirare anche da lui, pensando che così sarebbe stato fiero di me. Fu così che il 18 settembre del 2002, sul mio diario, di ragazzo qualunque, scrissi: “ultimo giorno da civile”. Quanti anni sono trascorsi, quante cose successe, eppure ricordo ancora bene quel momento, lo rammento come il più bello, quello fu l’inizio di tutto. Davanti quel cancello, in attesa, eravamo in tanti, ventenni o poco meno, portati li da motivazioni diverse, ognuno con il suo accento e la propria realtà. Non so se altri avessero le mie stesse aspettative, non sono sicuro che fossimo tutti li spinti dalla stessa passione, ma di sicuro avevamo sogni ed ambizioni, quelli che è normale avere in giovane età, tutti speranzosi di una vita diversa. Molti non ce l’avrebbero fatta, avrebbero rinunciato e sarebbero tornati alle loro vite comuni, molti altri avrebbero condiviso con me la passione, il sacrificio e la dedizione che questa vita richiede, sentendosi un po’ speciali ogni giorno. Scene madri davanti ai miei occhi, chi non era molto convinto di volersi trovare li non lo nascondeva di certo e imprecava in lingua per me incomprensibile contro coloro che li avevano condotti in quel posto, davanti quelle alte mura grigie con il filo spinato in vetta. Devo ammettere che sembrava una prigione se non peggio, era inquietante e la paura cominciava a farsi sentire anche dentro me … Paura, era normale averne, a prescindere dal luogo austero, era per me l’inizio di una nuova vita, un cambiamento netto. Ebbi la sensazione, il dubbio di non essere adeguato, mi sentii insicuro. Sul viso di mio padre, invece, la sicurezza di chi quell’esperienza l’aveva già vissuta, ritrovai il suo sguardo, quello di chi, da tempo ormai, aveva già fatto di quella divisa la sua seconda pelle. Mi trasmise la forza che tutt’ora mi accompagna. Entrai ed iniziò così la mia “vita da militare”. Dentro, la caserma, era ancora peggio di quello che sembrava da fuori, persino il prato sembrava grigio!!! Vietato ridere, assolutamente vietato ridere, semplice, tanto non riuscivo a trovare nulla che mi facesse ridere.

DIFESA ALLA RIBALTA

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“Automezzi al passo, allievi di corsa”, non ebbi il tempo di riflettere su quel cartello all’entrata del piazzale … Ricordo di aver corso per mesi, per mangiare, per andare in bagno, per adunarmi. Ho corso senza motivo attorno la caserma tante volte, tante altre per non aver gridato adeguatamente il mio nome. La sveglia era alle 06.30 con le minacce dell’istruttore, le adunate erano quasi sempre sotto la neve, senza muoversi assolutamente, immobili per ordine, ghiacciati per il freddo. Le marce sono state interminabili, spesso con il fucile addosso, quasi più pesante rispetto a molti di noi, l’attività fisica, il percorso di guerra con quel terribile muro del pianto; i contrappelli sempre infiniti dopo lunghe giornate di addestramento, le ispezioni erano, senza riuscire a spiegarmi il motivo, sempre attorno alle 03.00 di notte dove puntualmente veniva fuori qualcosa che in realtà non c’era! Tutto e dico tutto rigorosamente in tempo zero. Quel tempo “ridicolo” era la prima regola dei nostri comandamenti, non credevo si potesse fare così tanto in così poco tempo. Furono mesi difficili e pesanti, facile scoraggiarsi ed arrendersi, ma chi lo avrebbe detto a mio padre? Mi sono fatto forza e sono andato avanti, io in un certo qual modo al rigore ero abituato. Giorni brutti ed infiniti che ricordo con il sorriso oggi,e non solo perché sono lontani. Ho capito molto da quell’esperienza, è stato un passo necessario per diventare quello che sono oggi. Ringrazio il mio perfido istruttore per quello che mi ha insegnato e spero di poter fare altrettanto io per altri giovani dopo di me. Sono stati giorni in cui ho imparato a credere nelle mie capacità e in quelle dei miei compagni, amici, confidenti, quelli che sono diventati la mia squadra, il mio punto fermo e la mia priorità per tante avventure. Sono entrato a far parte di un gruppo, ho scelto di appartenere ad esso perché credo che insieme si possa tutto. Ho accettato di sottostare alle gerarchie, di obbedire a degli ordini. Ho trovato la capacità di controllare me stesso, la mia impulsività, il mio caratteraccio; ho mantenuto il silenzio davanti ai miei superiori, conscio di avere più da imparare da loro che da insegnargli. Mi sono impegnato a rischiare la vita all’estero e su territorio nazionale perché la mia Patria me lo ha chiesto. Ho capito che ora da me ci si aspetta tanto, perché ho inteso che indossare questa divisa comporta più oneri che onori, più dolore che gioia, impegno, tanto impegno. Mi sono annullato come civile e dato vita come soldato perché ciò che mi ha reso fiero allora e mi rende fiero ed orgoglioso adesso, ogni mattina. Ad ogni rito dell’alzabandiera, in ogni luogo e in ogni circostanza, accompagno con lo sguardo il tricolore in cielo, ringraziando di essere italiano, di far parte del suo esercito, confermando ogni volta la scelta fatta. Sono stato lontano da casa per dieci anni, sono stato lontano dai miei cari, dai miei affetti, sentendomi solo delle volte, e magari rendendo sole le persone che mi vogliono bene, proprio come fece un tempo “Capo Franchi”. Ci sono stati Natali che ho trascorso di servizio, anche a controllare che altri non si facessero male durante i festeggiamenti. Ho visto la mia ragazza solo due giorni al mese o neanche quelli, perché diciamolo pure, lo stipendio è quello che è e i chilometri erano tanti. Ho fatto della caserma la mia casa, cominciando a ritenere comodo quel letto cigolante, ho fatto dei miei colleghi la mia famiglia, creando un modo tutto mio per riuscire a prendere sempre il meglio anche dalle situazioni brutte. Ho fatto delle rinunce, dei sacrifici, e a distanza di tempo ne continuo a fare. Magari oggi come oggi i chilometri sono meno e per questo mi permetto di percorrerli tutti i giorni, così come ai vecchi tempi, la sveglia suona presto, alle 4:00 per essere preciso, mi vesto al buio cercando di non svegliare quella Santa donna che mi dorme affianco, che sopporta tanto e non mi fa pesare nulla, forse perché ha indossato anche lei questa mimetica e può ben capire. Esco di casa e alle 5:00 prendo il pullman che dopo un’ora e mezzo mi conduce a lavoro, o quasi. Non rincaso mai prima delle 19:00 e mi perdo gran parte di tutto della mia piccolina di pochi mesi che all’inizio non voleva neanche stare con me, non mi riconosceva. Il mio amico di sempre, che di mestiere fa tutt’altro, mi chiede di continuo cosa me lo faccia fare, per che cosa sacrificarmi ad una vita così? Come spiegare a lui e a tanta altra gente che critica ciò che faccio, quello che mi spinge a farlo? Cosa rispondere a tutte quelle persone che pensano che il mio non sia un lavoro? A chi ritiene che in missione si vada solo per soldi, cosa dire? Io ho accettato di vivere così perche ritengo che non tutti possano farlo, ho scelto di sacrificarmi sempre, perché credo che sacrificare se stessi per gli altri sia una giusta causa. Ho accettato di sottostare a degli ordini, perché sono dettati dalla mia patria. Ho imparato a mie spese che essere un militare non è soltanto un lavoro, è per me uno stile di vita, una predisposizione naturale che si ha oppure no. Ho visto partire colleghi in missione di pace, equipaggiati come per andare in guerra, ho conosciuto le loro famiglie in ansia per essi, ho provato a dare conforto al momento dei saluti, mi sono sentito fiero ed orgoglioso nel guardare la fermezza del mio collega e la convinzione nel difendere ciò in cui crede anche al momento della partenza. Ho assistito a funerali di ragazzi come me, soldati, rimanendo impressionato dal rigoroso silenzio del momento. Eroi, che non hanno neanche potuto salutare i loro figli. Non credo ci si cifra sufficiente per questo. Continuo a fare questa vita per quei ragazzi, per quei soldati, lo faccio per la mia compagna, per la figlia che porta in grembo e per la piccola che già mi aspetta a casa, lo faccio per il mio amico elettricista, per tutta quella gente che parla a sproposito. Lo faccio per il nome di mio padre e per la mia nazione, ma soprattutto lo faccio per me. Vivo ogni giorno a testa alta sotto il mio basco e mi sento speciale. Non dico che il mio stile di vita sia giusto, non pretendo che tutti lo accettino, confermo che sia una vita di sacrifici ed impegno ma vorrei tanto che le mie figlie intraprendessero questa carriera.

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INFORMAZIONI DELLA DIFESA • 2/2013


RASSEGNA STAMPA ESTERA di Pier Vittorio Romano Il Segretario Generale della NATO commenta i progressi sulla transizione nella provincia di Helmand (Afghanistan) Martedì 5 marzoil Segretario Generale della NATO Anders Fogh Rasmussen ha visitato la provincia di Helmand per vedere i progressi compiuti nel processo di transizione alla responsabilità delle forze di sicurezza Afghane. “Due anni fa, da oggi, incominciò il processo di transizione e in meno di due anni le forze afghane saranno totalmente responsabili della sicurezza dell’Afghanistan. Ogni provincia. Ogni distretto. Ogni villaggio. Ed ogni valle”, ha detto il Segretario Generale. “Questa è una grande responsabilità, ma le forze afghane hanno dimostrato di poter svolgere tale compito, e sanno che continueranno ad avere il nostro pieno sostegno”. La NATO impegna in Afghanistan giovani donne e uomini L’Ambasciatore Kolinda Grabar, Segretario generale aggiunto per la Public Diplomacy, ha indirizzato la propria attenzione, in videoconferenza, alle Università di Kunduz, Kandahar e Baghlan Università in occasione della Giornata internazionale delle donne. Il direttore delle pari opportunità del Ministero dell’Istruzione Superiore in Afghanistan, Ms Sohaila Hofyani ha preso parte all’evento per parlare delle politiche sulle questioni femminili che il sio ministero deve perseguire. Il pubblico era composto da docenti, studenti e membri di associazioni sportive e culturali. Le forze della NATO interagiscono con nave militare cinese durante le operazioni anti-pirateria Nell’ambito dello spirito di collaborazione, il 14 aprile, nel Golfo di Aden, la nave italiana San Marco, sotto egida NATO, ha svolto una dimostrazione relativa ad una immissione veloce con corda sul ponte del CNS Harbin, ammiraglia del gruppo navale cinese, tipica delle operazioni anti pirateria. Nave San Marco e Harbin sono entrambi coinvolti in missioni anti-pirateria nel settore operativo joint. di Paola Allori Libro bianco 2013 : tagli al personale e conferma delle ambizioni Lunedì 29 aprile François Hollande ha ricevuto ufficialmente il “Libro Bianco sulla Difesa e la sicurezza nazionale 2013”, documento programmatico che fissa gli orientamenti strategici per i prossimi quindici anni e le linee direttrici per la legge di programmazione militare per il biennio 2014-2015. Il documento, frutto di 9 mesi di aspre discussioni, sottolinea l’esigenza di “fare di più con meno denaro”, evidenziando la contraddizione esistente tra il livello, costantemente elevato, di rischi e minacce e risorse finanziarie sempre più limitate. Da un canto, quindi, prevede tagli agli organici per un totale di 24.000 posti entro il 2019, pari a circa il 10% del personale; dall’altro, riafferma le ambizioni della Francia “potenza europea di statura internazionale”. Le riduzioni di personale si tradurranno, inevitabilmente, nella soppressione di unità o di basi militari su tutto il territorio nazionale, di fatto proseguendo sulla stessa strada tracciata nel 2008 da Sarkozy (taglio di 54.000 posti per il periodo 2008-2015). Nel contempo, la Francia non abbandona nessuna delle proprie ambizioni strategiche e capacitive, riaffermando la volontà di sostenere la propria industria di Difesa e riaffermando la necessità di garantire la protezione del territorio nazionale, dei cittadini francesi, la sicurezza dell’Europa e dell’Atlantico del Nord -al fianco degli alleati della NATO e dell’UE - e di contribuire alla pace e alla sicurezza internazionale. Particolare importanza viene accordata allo spazio mediterraneo e all’Africa. La Francia intende inoltre dotarsi dei mezzi atti a rispondere ad eventuali attacchi cibernetici e particolare rilevanza viene accordata ai droni, il cui ruolo preminente è stato evidenziato durante l’operazione in Mali. (P.A.) di Sebastiano Russo Morenés: “L’Afghanistan è pronto a garantire la propria sicurezza” Il ministro della Difesa, Pedro Merenes, ha assicurato che la Spagna non abbandonerà il popolo afghano nel 2014 ma valuta di mantenere una certa presenza nel territorio. Il ministro della Difesa Peter Morenes, ha inaugurato la settima edizione del Corso di Difesa per Ufficiali superiori afghani: il Centro Superiore Nazionale per gli Studi della Difesa (CESEDEN). Nel suo discorso, il ministro ha sottolineato che l’Afghanistan “è pronto ad assumersi la responsabilità della propria sicurezza e a costruire il suo futuro all’interno della comunità delle nazioni”, un obiettivo che dà senso alla presenza spagnola nel paese asiatico da oltre un decennio. “ Dopo anni di dedizione e duro lavoro da entrambe le parti, raccogliamo i frutti di tanti sforzi. Oggi le Forze Afghane prendono l’iniziativa, pianificano e realizzano le attività militari, sono in grado di agire in maniera quasi autonoma e le forze spagnole e l’ISAF svolgono solo attività di consulenza o si limitano a fornire alcuni mezzi di cui ancora le forze afghane non dispongono “, ha detto Peter Morenes. La provincia di Badghis, ha ricordato il ministro, è stato un punto di riferimento per le Forze Armate spagnole, dove il nostro Paese sostiene le istituzioni. Lì, gli investimenti spagnoli hanno permesso lo sviluppo delle infrastrutture, della sanità e dell’istruzione. Il ministro ha riferito che “la Spagna è in Afghanistan per aiutare gli afgani a costruire il loro futuro. Un futuro di pace, stabilità e prosperità”. Infine, Peter Morenes ha assicurato che il nostro paese “non abbandonerà il nobile popolo dell’Afghanistan” nel 2014, ma che, “oltre agli aiuti finanziari già promessi, stiamo studiando le diverse opzioni al fine di mantenere una certa presenza.”

RASSEGNA STAMPA ESTERA

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RECENSIONI NUNZIANTE MASTROLIA

Dalla società aperta alla società chiusa: della grandezza e rovina della civiltà antica e rinascimentale e forse anche della nostra Rubbettino, 2012, pp. 237, euro 18.00 Questo libro è il tentativo di individuare nel passato (anche remoto) delle costanti, dei fattori ricorrenti, che siano in grado di spiegare le cause dell’ascesa e del declino delle grandi potenze. I casi presi in esame sono due: Roma antica e l’Italia rinascimentale (Firenze in particolare). La tesi è la seguente: finché Roma e i comuni italiani seppero reggersi a foggia di repubbliche essi prosperarono in ricchezza e crebbero in potenza. Generalizzando, la società aperta (nomocrazia, democrazia, separazione dei poteri etc.) è la sorgente dello sviluppo economico. Quando questo impianto istituzionale crolla tutto avvizzisce e muore: dall’economia alle arti, dalle lettere alla potenza militare. Questa risposta, tuttavia, rimanda ad una ulteriore domanda: perché un popolo che ha scoperto la fonte della prosperità, in una parola la società aperta, ad un certo punto della sua storia decide di imboccare la via del sottosviluppo, della società chiusa? La risposta che Mastrolia fornisce, analizzando i mutamenti che si ebbero a Roma dopo la seconda guerra annibalica e nei comuni italiani tra l’XI e il XIII secolo, è la seguente: la società aperta genera naturalmente sviluppo economico e progresso (una grande trasformazione, per dirla con Karl Polanyi). Ma altrettanto naturalmente questa grande trasformazione, trainata dal mercato, produce una sempre più marcata polarizzazione economica e causa lo sfaldamento dei ceti medi, che si proletarizzano. In una parola, il mercato produce naturalmente una questione sociale. A Roma (con i Gracchi) e a Firenze (con i Ciompi) i tentativi di risolvere questa questione sociale furono stoppati con la forza. Le repubbliche si trasformano allora in delle arene dove lottano le oligarchie per la conquista del potere assoluto manovrando schiere di diseredati, che prestano il loro braccio per ottenere con la violenza ciò che non ebbero con le riforme: giustizia sociale. La lotta si conclude quando una sola fazione vince sulle altre (Ottaviano a Roma, i Medici a Firenze). Conquistato il potere assoluto, la fazione vincitrice, per consolidare il proprio primato, inizia ad abbattere ogni istituto della società aperta. Così sia Firenze che Roma si incammineranno lungo la strada del declino e del sottosviluppo. In conclusione, sia a Roma che a Firenze, la mancata risoluzione della questione sociale prodotta dal mercato apre le porte al dispotismo assoluto, che fu la causa principale del loro declino. di Francesco Lombardi GIOVANNI SOLLI

Giuseppe Miraglia e gli amici della squadriglia idrovolanti dell’Isola di S. Andrea-Venezia (14 Marzo 1914 - 21 Dicembre 1915) Walberti edizioni, 2009, pag. 205, € 18,00 Il Tenente di Vascello della Regia Marina Giuseppe Miraglia nasce a San Potito, frazione di Lugo di Romagna (RA), il 21 giugno del 1883. Nel corso dei primi anni del Novecento fu tra i primi a conseguire il brevetto di pilota d’aereo e nel tempo è stato ricordato anche per l’amicizia e le prodezze aviatorie compiute con Gabriele D’Annunzio, durante la Prima Guerra Mondiale. La sua vita e quella di alcuni giovani Ufficiali di Marina che lo affiancarono durante il comando alla Stazione Idrovolanti dell’isola S. Andrea a Venezia viene descritta da un altro lughese, Giovanni Solli, che in anni più recenti ha condiviso la stessa passione per la Marina dove si è arruolato come volontario. Gli anni di Miraglia hanno coinciso con gli albori dell’Aviazione Navale. La folgorante carriera del giovane Tenente di Vascello e la sua vita vengono improvvisamente spezzate nel 1915 da un incidente di volo mentre si accinge a provare un nuovo tipo di idrovolante. Il suo nome, a ricordo del coraggio e delle prodezze, viene offerto ad un nave appoggio idrovolanti operativa tra gli anni ‘20 e i ‘50 con alterne fortune. Rispetto ad altri libri in cui viene trattata la vita di Miraglia, questo volume offre al lettore una importante novità, le biografie dei suoi “colleghi” - Giovanni Roberti di Castelvero, Giuseppe Garrassini Garbarino, Carlo della Rocca, Manfredi Gravina, Luigi Bologna, Luigi Bresciani e Silvio Montanarella, che operarono al suo fianco tra il 14 marzo 1914 e il 21 dicembre 1915. Il paziente lavoro di Solli viene corredato dalla miriade di stupende e rare foto presenti che danno un’idea di aviazione di Marina di quel tempo, del coraggio ma anche dei momenti di convivialità di questi eroi di mare e di aria. Tra le fotografie presenti nel libro quelle dei rari idrovolanti Albatros WDD, Borel, Curtiss A-1 Triad. di Monia Savioli

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INFORMAZIONI DELLA DIFESA • 2/2013


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