Prologo
Lenoir, 2006 Che cos’è il vero amore? C’è stato un tempo in cui credevo di conoscere la risposta: significava amare Savannah con tutto me stesso e che avremmo passato la vita insieme. Non sarebbe stato difficile. Una volta lei mi disse che la chiave della felicità stava nell’avere sogni realizzabili, e i suoi non erano niente di straordinario. Il matrimonio, la famiglia… le cose basilari. Un lavoro stabile da parte mia, una casa con il giardino, e una monovolume o un SUV per portare i bambini a scuola o dal dentista, oppure all’allenamento di calcio o alle lezioni di pianoforte. Due o tre figli, non si esprimeva mai con precisione in proposito, ma io avevo la sensazione che, quando fosse giunto il momento, avrebbe proposto di lasciar fare alla natura e di affidare a Dio la decisione. Era così – religiosa, intendo – e suppongo questa sia stata una delle ragioni che mi hanno fatto innamorare di lei. Ma qualunque cosa ci avesse riservato il destino, mi immaginavo sdraiato a letto al suo fianco alla fine della giornata, mentre parlavamo e ridevamo stretti tra le braccia l’uno dell’altra. Non è chiedere troppo, giusto? Quando due persone si 1
amano davvero. Lo pensavo anch’io. E una parte di me vorrebbe ancora credere che sia possibile, anche se so che non succederà. Quando me ne andrò di nuovo da qui, non tornerò più. Per il momento, tuttavia, me ne sto seduto sulla collina che domina la fattoria, in attesa che lei compaia. Naturalmente non potrà vedermi. Nell’esercito ti insegnano a mimetizzarti con l’ambiente, e io ho imparato bene, perché non avevo nessuna intenzione di crepare in mezzo al deserto iracheno. Ma ho dovuto tornare in questa piccola cittadina di montagna del North Carolina per capire quello che è accaduto. Quando metti in moto qualcosa, provi un senso di disagio, una sorta di rimpianto, finché non scopri la verità. Comunque, di una cosa sono sicuro: Savannah non saprà mai che oggi sono stato qui. È triste il pensiero che lei sia così vicina eppure irraggiungibile, però ormai abbiamo preso strade diverse. Non è stato facile per me accettare questo semplice fatto, perché un tempo le nostre storie erano una sola, ma succedeva sei anni e due vite fa. Entrambi abbiamo i nostri ricordi, è vero, ma ho imparato che i ricordi possono assumere un aspetto fisico, quasi reale, e anche in questo Savannah e io siamo diversi. Se i suoi sono le stelle nel cielo notturno, i miei sono il vuoto spettrale tra di esse. E a differenza di lei, sono stato tormentato dagli interrogativi che mi sono posto migliaia di volte da quando ci siamo lasciati. Perché l’ho fatto? E lo rifarei? In effetti, sono stato io a scrivere la parola fine. Le foglie sugli alberi intorno a me hanno appena cominciato la loro lenta mutazione verso il colore del fuoco e ardono alla luce del sole che sta spuntando all’orizzon2
te. Gli uccelli hanno iniziato il loro canto mattutino e l’aria è pervasa dall’odore di resina e di terra, che non assomiglia a quello di salsedine della mia città natale. Dopo un po’ la porta d’ingresso si socchiude, e allora la vedo. Nonostante la distanza che ci separa trattengo il respiro mentre la guardo uscire nell’alba. Solleva le braccia stirandosi prima di scendere i gradini e dirigersi verso il lato dell’edificio. Più in là il pascolo brilla come un oceano verde e lei oltrepassa il cancello. Uno dopo l’altro i cavalli nitriscono in segno di saluto e il mio primo pensiero è che Savannah sia troppo piccola per muoversi con tanta disinvoltura in mezzo a quegli animali. Ma è sempre stata a suo agio con loro. Cinque o sei, per lo più cavalli da tiro, brucano l’erba vicino alla staccionata e Midas, il suo arabo nero con i garretti bianchi, se ne sta da solo in disparte. Una volta noi due abbiamo cavalcato insieme, fortunatamente senza gravi conseguenze, e mentre io mi aggrappavo con tutte le forze per non cadere, lei andava a cavallo con la massima scioltezza, come se fosse in poltrona a guardare la TV. Ora dedica un momento a Midas. Gli strofina il muso sussurrandogli qualcosa, gli accarezza i fianchi e, quando infine entra nella stalla, lui drizza le orecchie seguendola con lo sguardo. Riappare con due secchi di avena. Li appende ai paletti dello steccato e subito un paio di cavalli si avvicinano trotterellando. Lei si sposta per far loro spazio e i suoi capelli si agitano nella brezza. Poi prende i finimenti e, mentre Midas mangia, lo sella e pochi minuti dopo lo conduce fuori dal pascolo, verso i sentieri nel bosco. È identica a sei anni fa. So che non è vero – l’anno scorso l’ho osservata da vicino e ho notato le prime minuscole rughe intorno agli occhi – ma la lente attra3
verso cui la vedo me la mostra immutata. Per me avrà sempre ventun anni, e io ventitré. Allora ero di stanza in Germania, dovevo ancora andare a Falluja o Bagdad e ricevere la sua lettera che avrei letto alla stazione ferroviaria di Samawa nelle prime settimane della campagna; dovevo ancora tornare a casa e vivere gli avvenimenti che avrebbero cambiato il corso della mia vita. Ora, a ventinove anni, mi meraviglio a volte delle scelte fatte. L’esercito è diventato la mia famiglia. Non so se esserne scocciato o lusingato; in genere passo da una sensazione all’altra, a seconda dell’umore della giornata. A chi mi chiede rispondo che sono una recluta, e lo penso davvero. La mia base è sempre in Germania, ho messo via forse un migliaio di dollari e sono anni che non esco con una ragazza. Non faccio più surf, nemmeno quando sono in licenza, ma nei giorni liberi inforco la mia moto e viaggio su e giù, senza una meta. La Harley è l’unico lusso che mi sia mai concesso, anche se mi è costata un patrimonio. È adatta a me, visto che mi sono trasformato in una specie di lupo solitario. La maggior parte dei miei compagni si è congedata, ma io probabilmente sarò rispedito in Iraq entro un paio di mesi. Almeno queste sono le voci che circolano alla base. La prima volta che incontrai Savannah Lynn Curtis – per me, lei si chiamerà sempre così – non avrei mai immaginato che la mia esistenza avrebbe preso la piega che ha ora, né che avrei fatto carriera nell’esercito. Tuttavia, è proprio quell’incontro a rendere tanto strana la mia vita adesso. Mi sono innamorato di lei mentre eravamo insieme e poi ancora di più durante gli anni in cui siamo stati separati. La nostra storia si divide in tre: un inizio, una parte centrale e una fine. E sebbene sia questo il naturale svolgimento di tutte le storie, 4
non riesco ancora a credere che la nostra non continuerà in eterno. Penso a queste cose e, come al solito, mi torna in mente il periodo che abbiamo trascorso insieme. Mi ritrovo a rammentare com’è cominciata, perché quei ricordi sono tutto ciò che mi resta.
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