5 anni con l'americana

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Piergiovanni Ceregioli

Piergiovanni Ceregioli

5 anni con l’americana Racconti di viaggio in sella ad una Harley-Davidson

In questo libro troverete una sintetica cronaca di questi miei primi cinque anni con l’americana!

5 anni con l’americana

La moto diventa una protagonista del tempo libero e se anche il vostro compagno/a e i figli amano viaggiare in moto, come nel mio caso, diventerà anche il mezzo per rafforzare i legami familiari e le amicizie, grazie alla condivisione di viaggi che, in fondo in fondo, sono sempre delle piccole avventure.

2012


Piergiovanni Ceregioli

5 anni con l’americana Racconti di viaggio in sella ad una HARLEY-DAVIDSON

2012


5 anni con l’americana di Piergiovanni Ceregioli

Prima edizione: dicembre 2012

Š 2012

Piergiovanni Ceregioli


Indice

Prologo. La prima uscita con il Chapter: Costiera amalfitana. Il primo raduno : Biker Fest 2007 Monte Zoncolan. European Bike Week al Faaker See. Benedizione delle moto, a Loreto. Italian coast to coast. Croazia, mon amour. Dal tramonto all’alba. Cotte e mangiate. Spagna e Francia 2009. Nuvole nere, nuvole rosa. Tre Re nel paese del Re Sole. A casa del principe. Il rosso, il Verde, il Blu, il Giallo, il Nero. Il veicolo perfetto.

Un ringraziamento speciale a Giuseppe Casali e a Roberto Carlorosi per aver reso possibile la pubblicazione di questo libro.



Questo libro è dedicato alla mia famiglia che ha condiviso questa passione: Daniela che è passata sulla parte anteriore della sella con la sua moto, i figli Pierfrancesco e Gianluca che non vedono l’ora di prendere il mio posto alla guida della mia moto.

Prologo Per il mio cinquantesimo compleanno mi sono regalato una Harley Davidson Road King, a middle-age motorcycle per definizione. Non la cercavo, mi è venuta incontro. Da una decina d’anni, con una Yamaha Dragstar 1100, scorrazzavo in giro con piena soddisfazione. Le classiche uscite domenicali con gli amici e qualche lungo fine settimana con mia moglie Daniela, i figli ancora piccoli mi accompagnavano per brevi giri, opportunamente legati a me. 5000 km l’anno in tutto relax. Per tutti i patiti di moto, internet è una sorta di “grotta di Ali Babà” in cui si entra con la speranza di imbattersi in qualche tesoro, quello che gli altri chiamerebbero occasione. Proprio una sera, navigando, m’imbatto nella Road King, che poi diventerà mia; mi colpisce il prezzo: non basso, ma sicuramente interessante, soprattutto per i pochi chilometri percorsi. Telefono a Giovanni che da qualche anno è passato anche lui all’Harley ed è più esperto di me. “ Sì, il prezzo è buono!”. Fisso l’appuntamento con il venditore e andiamo a vedere lo stato della moto. Ci accompagna nel garage ed è praticamente nuova, anche se è impolverata. “Non è un harleista!” sussurra Giovanni, e capirò quasi subito, dopo l’acquisto, che “un harleista non farebbe mai impolverare la sua moto”. Anzi lavare la propria moto è una sorta di cerimonia da non delegare a nessuno, la lucidatura delle cromature nasconde un atteggiamento erotico nei confronti dell’amata. 5


Alla prima impressione, la Road King mi sembra enorme confrontata con la mia giapponese, che non è piccola. Penso alle possibili difficoltà sulle strade dei Sibillini, ma, una volta salito, mi rendo conto che l’altezza ridotta della sella da terra e il buon bilanciamento rendono la moto meno pesante da muovere di quello che credevo. Affare fatto e dopo due giorni la porto a casa. Comincio a saggiare la moto sulle strade conosciute e mi accorgo che è più maneggevole e tiene meglio la strada di quanto pensassi. Soprattutto ha una coppia che ti tira fuori dalle curve anche senza ridurre la marcia. Senza accorgermene, dal momento che sono salito in sella alla Road King, i chilometri percorsi sono aumentati sempre di più. In questi cinque anni ho percorso oltre 70.000 km. Una cosa che è comune a tutti quelli che passano alle bicilindriche americane: la moto diventa una compagna del tempo libero e se, come nel mio caso, anche il vostro compagno/a e i figli amano viaggiare in moto, diventerà anche il mezzo per rafforzare il matrimonio, i legami familiari e le amicizie grazie alla condivisione di viaggi che, in fondo in fondo, sono sempre delle piccole avventure. In questo libro troverete una sintetica cronaca di questi primi cinque anni con l’americana! Piergiovanni P.S.: la Yamaha l’ho tenuta per un anno visto che Daniela, mia moglie, ogni tanto la guidava. Poi l’ho cambiata con una 883 più comoda, un paio di anni fa anche la 883 è stata sostituita con una più pepata 1200 Sportster HD. Sempre per Daniela … ma mi ci diverto anch’io! Alla fine di ogni racconto, si trova il link ai video da me realizzati e pubblicati sul canale: http://vimeo.com/piergiovanni/videos.

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La prima uscita con il Chapter: Costiera amalfitana.

Finalmente, il ponte del 25 aprile 2007 è la prima uscita con gli amici del HD Chapter Civitanova per un lungo week end in direzione Costiera Amalfitana. L'Harley Owners Group (H.O.G.) è un’organizzazione fondata quasi trenta anni fa e sponsorizzata dall’Harley-Davidson Motor Company, oggi è diffusa in tutto il mondo, a essa possono iscriversi liberamente tutti i proprietari di una moto Harley Davidson, ovviamente. Lo scopo dell’associazione è di organizzare attività per i propri iscritti, affinché possano viaggiare in gruppo e condividere questa esperienza con altri fan del bicilindrico americano. L’HOG attua quest’ obiettivo attraverso i Chapter locali, ovvero delle sezioni che fanno capo al concessionario ufficiale di zona e che hanno una propria struttura organizzativa. Il Direttivo è costituito dai così detti Primary Officiers: Assistant Director, Treasurer, Secretary con a capo il Director. Tutti titoli rigorosamente in inglese, of course! Al direttivo si aggiungono degli Activities Officier con il compito di promuovere e gestire specifiche attività del chapter. I Road Captains devono essere responsabili dell'assistenza nelle escursioni del Chapter e guidano il gruppo lungo la strada. Il Photographer si occupa della raccolta e dell'organizzazione di foto del Chapter da usare nelle pubblicazioni. L'Editor provvede alla raccolta e all'organizzazione del materiale scritto ed elettronico per le pubblicazioni del Chapter. 7


Il Webmaster è tenuto a raccogliere e organizzare i contenuti per il sito del Chapter. La Lady of Harley deve essere promotrice dell'incoraggiamento delle iscritte a partecipare attivamente alle attività del Chapter. L’Historian conserva la memoria delle attività del Chapter. Insomma un’articolata organizzazione che opera con il solo scopo di divertirsi in moto, in gruppo, in piena sicurezza. L’appartenenza al Chapter si manifesta nell’indossare i Colori, ovvero sui giubbotti o sui gilè viene cucito il simbolo ricamato dell’HOG, uguale in tutto il mondo, con l’aggiunta del Rocker, ovvero una toppa a forma di mezza luna con il nome del Chapter locale ricamato. Vedere i gruppi degli hogger sfilare in parata durante i raduni o semplicemente incrociarli durante qualche loro uscita, desta sempre una certa impressione e, per chi ha l’Harley, anche la voglia di unirsi al gruppo. Per questo motivo, qualche mese dopo l’acquisto della moto, ho cominciato ad avvicinarmi al Civitanova Chapter tramite un amico che ne faceva già parte. Un paio di uscite nei dintorni come esterno e poi decido di inscrivermi, ma arriva l’inverno e, per partecipare a un’uscita in gruppo come membro del Chapter, dovrò aspettare la primavera. ~ Le previsioni meteo non promettono niente di buono, ma il tempo alla partenza è soleggiato. Il distributore di benzina vicino al casello dell’autostrada di Civitanova, luogo dove è consuetudine che i partecipanti delle uscite si ritrovino, è ancora deserto. Infatti, novizio, per evitare brutte figure, arrivo in anticipo al contrario di tutti gli altri che sanno come l’orario reale, per l’appuntamento, sia trenta minuti più tardi. Piano piano arrivano gli altri biker. Forse per il mio abbigliamento o forse perché la moto è parcheggiata vicino a 8


uno scooter, non siamo riconosciuti subito come partecipanti al giro, d’altra parte, ancora non ho cucito sul giaccone i Colori. Con Daniela indossiamo degli efficientissimi giubbetti in cordura della Spyke neri con inserti grigi metallizzati, inoltre, viste le previsioni, abbiamo già su i pantaloni antipioggia così da reagire prontamente ai possibili acquazzoni lungo la strada. Una tecnica che abbiamo sperimento più volte, con successo, nei nostri brevi viaggi con la precedente moto. Un abbigliamento ben differente da quello degli altri, tutto rigorosamente in pelle nera, con stivaletti stile texano e tutto rigorosamente griffato Harley Davidson. A un certo punto il Road Captain comincia l’appello e finalmente ci riconoscono, devo dire che siamo accolti subito con simpatia. Siamo una trentina, coppie miste e single, età comprese tra i 30 e i 50. Partiamo con il road capitain in testa al gruppo e il director Jerry in coda per assistere quelli che si trovassero in qualche difficoltà, tra i due ci schieriamo ordinatamente in fila e viaggiamo senza sorpassi o rallentamenti. Il gruppo di moto si snoda attraverso gli Appennini percorrendo l’autostrada del Gran Sasso, quindi la statale per Cassino, dove prendiamo l’autostrada A1 e diritti fino alla Salerno - Reggio Calabria. Un viaggio di circa 450 km ritmato dalle pause per il riempire i serbatoi, fumare, bere caffè, bagno… la sequenza delle attività varia per ciascuno dei partecipanti sulla base delle priorità personali. Viaggiare in gruppo da sicuramente un senso di maggiore sicurezza, ma soprattutto si ha la sensazione di condividere un’esperienza, un paesaggio, una meta. Sei in gruppo, ma allo stesso tempo sei libero, solo con i tuoi pensieri. Nel tardo pomeriggio arriviamo a Vietri, dove imbocchiamo la costiera amalfitana e finalmente, dopo tanti rettilinei decisamente noiosi, affrontiamo le prime curve in relax, ma con la voglia di arrivare in albergo. Momenti di panico quando arriviamo nei pressi di un edificio decrepito, a picco sul mare, con su l’insegna del nostro albergo. 9


Fortunatamente scopriamo che il vero albergo è immediatamente dietro la curva e mantiene le promesse fatte nel sito web. Costruito sulla scogliera, ha tutte le camere con vista sullo splendido golfo di Maiori. E’sicuramente un bel posto, l’unico inconveniente è il piccolissimo parcheggio, davanti alla porta d’ingresso, che mette in difficoltà gli equipaggi nelle critiche fasi di alleggerimento da passeggeri e bagagli. Immaginate l’arrivo contemporaneo di una ventina di moto dal peso, a secco, intorno ai 3 quintali, cariche di bagagli e moglie, con il pilota che cerca di mantenere in precario equilibrio l’amata (la moto ovviamente!) inclinata pericolosamente, mentre la passeggera cerca di lasciare più velocemente possibile la sella, sulla quale è stata inchiodata per ore, dalla passione del marito. Scaricati i bagagli nella reception, un simpatico fattorino ci accompagna verso il garage. Scopriamo così che l’edifico decrepito, che abbiamo visto al nostro arrivo, è in realtà un’ala in ristrutturazione adibita a garage, così da permettere ai motociclisti una notte tranquilla, sapendo l’amata al sicuro da mani sacrileghe. Seduti a un tavolo nel ristorante, sul lungomare di Maiori per la cena, ci godiamo “la faccia” delle persone che si fermano a osservarci mentre ci “immergiamo” in un’ottima e scenografica zuppa di pesce. E’ la degna chiusura della prima giornata. Il mattino seguente, a colazione, il gruppo si è frazionato a causa dei differenti orari nella sveglia, si decide, quindi, che ognuno viaggerà per proprio conto lungo la costiera o in piccoli gruppi, d’altra parte la strada costiera è molto trafficata e non si può viaggiare in gruppo. Appuntamento, per tutti, è alle ore 15 per andare insieme a Paestum. Da novellini, a fine colazione ci rendiamo conto di essere rimasti soli e, senza farcene un problema, partiamo per raggiungere direttamente Positano, all’estremo opposto della

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costiera, per poi rientrare in albergo, visitando a tappe le altre cittadine lungo la strada del ritorno. A quell’ora del mattino il sole già splende e ci regala una piacevole calda giornata primaverile con un traffico ancora scorrevole, così arriviamo a Positano in relax, riuscendo anche a lasciare la moto in un comodo parcheggio custodito, al centro del paese assediato da orde di turisti. Positano, infatti, si rivela una bolgia, scendiamo per le strette stradine fino alla spiaggia, seguendo il flusso della marea umana dei turisti. Con grande sollievo, dopo una mezz’ora ripartiamo. Il viaggio di ritorno inizia ancora piacevolmente con alcune soste in angoli pittoreschi e la visita a una piccola insenatura per le foto di rito, ma dopo pochi chilometri si trasforma in un’esperienza da non ripetere più. Per chi non lo sapesse, l’angusta strada lungo la costiera amalfitana, è una sequenza di curve strette. La situazione in genere si dipana, dopo diversi minuti, con una sorta di balletto dei pesanti mezzi a forza di avanzamenti e retromarce. Le file di auto-immobili o in lento movimento, dietro ai grossi pullman, sono attraversate da scooter di kamikaze locali che s’infilano nei piccoli pertugi tra i veicoli con traiettorie imprevedibili e velocità impensabili, oppure che sfrecciano contro mano come se fossero dotati dell’invulnerabilità. Sembra di essere in un video gioco. Il caldo sole, vicino al mezzogiorno, incombe torrido sulle nostre teste, il motore si surriscalda a causa delle frequenti e lunghe soste, e conseguentemente arrostisce l’interno prezioso delle mie cosce, anche la mano sinistra comincia ad avere i crampi per il continuo uso della frizione. Impossibile trovare un posticino lungo la strada per sostare e riprendere fiato, si fa per dire, visto che ovviamente l’aria è ammorbata dai fumi di scarico, di centinaia di mezzi incolonnati. 11


Comincio ad avvertire i primi impulsi omicidi verso qualsiasi mezzo che intralci il percorso più rapido verso l’uscita da questo incubo. L’attraversamento di Amalfi, meno di un chilometro, richiede più di un’ora e fa maturare in me la decisione irrevocabile di rinunciare definitivamente, per questa vita, a un’altra visita in moto sulla Costiera Amalfitana fino a quando siano, finalmente, estinti gli autobus e sia stata resa possibile la libera caccia agli scooter, così come avviene per i cinghiali. L’albergo, la meta tanto agognata, ci accoglie con la sua tranquilla spiaggia, dove finalmente ci sdraiamo, godendoci la piacevole giornata primaverile. Alle tre del pomeriggio, tutto il gruppo è riunito alla reception e si parte per Battipaglia, dove ci aspetta Raffaele, proprietario del ristorante che ci ospiterà questa sera a cena e che, con la sua Harley, ci guiderà a Paestum. La zona archeologica di Paestum è bellissima nella luce del tramonto e con pochi turisti. Sembra di vivere in un quadro degli artisti che nell’Ottocento ritraevano l’Italia del Grand Tour. Dal sacro al profano. Si prosegue visitando un allevamento di bufali, famoso per il sistema di conduzione moderno e biologico, abbiamo così la possibilità di gustare non solo le mozzarelle, ma anche un ottimo gelato allo yogurt di latte di bufala e succo di arancia. La strada del ritorno, al tramonto, è una fila continua di auto incolonnate che rientrano dal mare verso Battipaglia e Salerno. Fortuna, in moto, riusciamo a risalire agevolmente i diversi chilometri di fila, arrivando al ristorante di Raffaele. La cena è anche l’occasione per intavolare una conversazione, con gli altri compagni di uscita, che non sia delimitata dai tempi per il pieno o dalle soste in autogrill. Scopriamo quindi di non essere i soli alla prima esperienza mentre altri sono dei veterani e ci permettono di capire meglio lo spirito di queste uscite, in gruppo, con il Chapter. 12


La mattina successiva presenta un cielo che promette pioggia. Anche oggi si va in ordine sparso. Partiamo presto per visitare Amalfi, approfittando del traffico non ancora intenso. Troviamo anche un idoneo parcheggio e facciamo quattro passi nel centro storico, non ancora invaso dai turisti. Decidiamo quindi di salire fino a Ravello, dalla cui elevata posizione è possibile avere una vista fantastica della costiera. La strada s’inerpica con una fitta serie di tornanti, appena parcheggiamo la moto nel centro del bellissimo borgo, inizia a cadere una pioggerellina leggera. Decidiamo di sederci qualche minuto sotto l’ombrellone di un caffè sulla piazza principale, aspettando che smetta di piovere, cosa che puntualmente …non avviene, anzi, la pioggia aumenta d’intensità. Di corsa, rasentando i muri, raggiungiamo la moto evitando di bagnarci troppo e, in una cabina del telefono, come Superman, indossiamo le tute antipioggia. Fiduciosi del potere illimitato delle nostre attrezzature iper-tecnologiche ritorniamo verso Amalfi, affrontando la pioggia diventata insistente. All’incrocio con la strada costiera, restiamo bloccati sotto la pioggia per una mezz’ora a causa dell’ennesimo incolonnamento dovuto al solito incrocio tra pullman. Scopriamo così che: la sella ha una leggera concavità verso l’inguine del sottoscritto in cui l’acqua ristagna quando la moto è ferma, trasformandola in una sorta di bidet, nel vero senso della parola, infatti, gli strati iper-tecnologici non sono più in grado di tenere all’asciutto “quanto di più caro”; i pantaloni antipioggia di Daniela hanno una “falla” da cui l’acqua entra con la stessa quantità di quella dell’oceano nel Titanic! Cerco di saltare l’ingorgo con manovre da gimkana, mettendo a frutto la lezione degli scooter di ieri e generando gli incomprensibili insulti di un vecchietto su un Ape. L’asfalto è scivolosissimo e il gioco frizione-acceleratore si fa più delicato, in compenso, non ci surriscaldiamo come ieri. Ancora una volta l’albergo è una meta agognata. 13


Mentre Daniela scende dalla moto grondante acqua come Soldini a Capo Horn e, a me, di antipioggia sono rimaste le maledizioni, incrociamo, all’ingresso, una parte del gruppo che ha saggiamente rinunciato a usare la moto. Tutti perfettamente rilassati, ma soprattutto asciutti, sono in partenza per il ristorante con il pulmino dell’albergo. Nel bagno della camera appendiamo le tute e i sottostanti abiti altrettanto bagnati. Daniela chiede (inutilmente) che vengano accesi i radiatori per asciugare i vestiti e le persone. Procediamo quindi con il phon …almeno per gli abiti e una doccia finalmente CALDA per gli umani. Saltiamo il pranzo per la stanchezza e dopo un adeguato periodo, necessario a recuperare l’equilibrio termico e psichico, procediamo con un attento esame dei pantaloni antipioggia di Daniela, alla ricerca della falla. Dopo qualche discussione sui mezzi per ripararla, decidiamo che è meglio comprare un paio di pantaloni tipo K-Way, per affrontare il viaggio di ritorno. Vicino l’albergo troviamo una serie di bancarelle che hanno di tutto un po’, dai cappelli di paglia ai ventagli con dipinte pittoresche immagine dei faraglioni, ombrelli made in Cina e, fortunatamente, anche K-Way. Il pakistano, proprietario della bancarella, tenta di venderci diversi tipi di pantaloni tutti dall’improbabile impermeabilità, ma alla fine ne troviamo un paio che ci da più fiducia. Compriamo i pantaloni e più tardi scopriamo che erano già stati usati. Magari era il collaudo ! Passeggiamo per Maiori aspettando l’ora di cena che, avendo saltato il pranzo, arriva prestissimo. Stesso ristorante del primo giorno e stessa ottima cena di pesce, poi tutti a nanna. Anche questa mattina il cielo è coperto. Alle dieci siamo tutti pronti a partire per la strada del ritorno che, prevediamo, avvenga sotto la pioggia. Questa volta, più che bikers vestiti di “cuoio e tatuaggi”, la maggior parte sembra l’equipaggio di Achab con indosso le

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cerate per difendersi dalle ondate dell’Oceano, pronto per l’ultimo assalto a Moby Dick. Percorriamo la costiera deserta verso Salerno a 40 km/h, vista la scivolosità dell’asfalto bagnato per la pioggia caduta nella notte. Fortunatamente a Salerno il tempo migliora e arriviamo asciutti a Venafro, dopo la sosta per un panino ripartiamo verso Isernia e Vasto. Alcuni temerari, sentendosi ormai al sicuro, colgono l’occasione per togliere le tute antipioggia. Salendo lungo l’Appennino disciplinatamente dietro il road capitan, ho l’impressione che la strada non sia esattamente quella che, pensavo, avessimo dovuto percorrere. Lungi da me, novellino, far presente questa cosa, che invece si rivela esatta. Infatti, una svista del road capitan (capita! ) ci porta fuori percorso e invece di Vasto la nostra meta diventa Termoli, nulla di grave: imboccheremo l’autostrada adriatica un po’ più a sud del previsto. La Statale Bifernina che ci conduce a Termoli attraversa un paesaggio molto bello che segue il corso del fiume Biferno (ovviamente !). Purtroppo incappiamo in un piovasco che dura per una mezz’ora e le “secchiate” d’acqua, scagliate contro di noi dalle auto che circolano in senso contrario e l’abbassamento della temperatura vincono la resistenza di uno tra i più “duri e puri”, che aveva affrontato il viaggio di ritorno in t-shirt. Un atteggiamento eroico che scopriamo essere dovuto al fatto che le tute antipioggia non fanno parte dell’abbigliamento biker, tuttavia, pescando nelle nostre borse, riusciamo a rimediare una certa protezione per il . nostro eroe! Poi finalmente a Termoli ritorna il sole.

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Appena imboccata l’autostrada, il gruppo si dissolve, infatti, tutti partono al galoppo e immediatamente perdiamo il contatto, arrivando soli al casello di Civitanova. Scoprirò, con l’esperienza, che si tratta di una consuetudine quando ci si sente ormai vicino a casa. Tutto sommato possiamo proprio dire che, per me e Daniela, è stato un vero e proprio “battesimo” al Civitanova Chapter.

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Il primo raduno: Biker Fest - Monte Zoncolan.

Una calda sera di fine giugno 2007, la famiglia è riunita per la cena e come al solito la conversazione langue, sostituta dalle voci che provengono dal televisore rese concitate da uno zapping continuo. Le previsioni del tempo … con scatto felino il padre s’impossessa del telecomando per evitare che qualcuno “cambi canale.”. “Domani usciremo in moto per tre giorni con Gianni e Peppe! Andiamo alla Bikerfest sul monte Zoncolan in Friuli ” è la giustificazione del gesto fulmineo. Al che il figlio chiede: ” Da che parte sta? “ Risponde il padre tra il sarcastico e il rassegnato ”Vedi la cartina delle previsioni? Esattamente dove sta l’unica nuvoletta con fulmine in tutta Italia.”, mentre con la coda dell’occhio vede la moglie scuotere la testa con uno sguardo sarcastico e al tempo stesso solidale che vorrebbe dire ” ma chi ve lo fa fare !” ~ Per me e Peppe si tratta della prima partecipazione al più grande raduno italiano di bikers e bisogna affrontare anche le incognite del tempo. Un po’ di pioggia non ci fermerà … diamine ! L’indomani mattina, all’ora prestabilita per la partenza, ci troviamo al solito bar. Gianni arriva con la moto nuova da una settimana, una Dyna e il viaggio servirà per il rodaggio.

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Dopo dieci minuti, Peppe ancora non c’è. Che ci dia una pezza per il tempo? Invece, per fortuna, ci chiama che si è appena svegliato … un banale problema con la sveglia. L’attesa di Peppe al bar è una grossa opportunità per i frequentatori abituali a quell’ora del mattino: normalmente gente frettolosa pronta per andare al lavoro con il solito tran tran che li aspetta, e qualche pensionato che dorme poco e aspetta, ansioso, l’arrivo dei giornali per dare il via ai commenti, colonna sonora della loro giornata. La presenza insolita di due compaesani, arrivati con le moto cariche di bagagli, vestiti di cuoio nero, costituisce un piacevole imprevisto che rompe la solita routine fatta di cappuccini, cornetti e chiacchiere sul tempo … il campionato è finito e le polemiche sportive sono oramai sopite. Rispondiamo alle domande che hanno differenti sfumature di tono: dal “ma chi ve lo fa fare !” al “magari avessi la possibilità di venire con voi !”. Arriva Peppe trafelato e accompagnati dai saluti di quelli del bar, finalmente partiamo! La mattina è soleggiata lungo l’autostrada adriatica, ma a Bologna qualche goccia di pioggia e, soprattutto, le nubi in lontananza verso le Alpi ci consigliano di indossare per tempo la tuta anti-pioggia, della serie “ meglio prevenire che …”. Come gli amici motociclisti sanno, indossare la tuta è una decisione che viene presa a malincuore, solo proprio quando non se ne può fare a meno. Non è solo per non sembrare dei duri che affrontano impavidi le avversità sulle loro cavalcature. Avete mai visto Tex con la tuta antipioggia? Il vero problema è che la tuta va indossata sopra il giaccone e i pantaloni di pelle: seduto sul marciapiede, occorre innanzi tutto far scivolare gli stivali, lottando strenuamente, e poi il resto del corpo, contorcendosi come immagino faccia il famoso cammello per entrare nella cruna dell’ago, ma almeno lui una volta entrato ha risolto il problema. Invece per i motociclisti i problemi cominciano! 18


Il materiale della tuta dovrebbe tenerci asciutti dalla pioggia ma, purtroppo, non dal sudore che la sua scarsa traspirabilità inevitabilmente genera. Dopo pochi minuti, soprattutto se esce un raggio di sole malandrino, senti distintamente goccioline correre lungo la schiena e sul collo fino a che un refolo traditore le blocca producendo la tipica sensazione di … sudore freddo! La situazione peggiora ulteriormente perché in genere cominciano anche ad appannarsi la visiera del casco e, a quelli come me, gli occhiali! Spesso quando indossi la tuta prima che inizi a piovere, cominci a capire il vero significato del nome anti-pioggia, ovvero appena messa non piove più! Per essere più precisi, il tempo sadicamente ogni tanto manda, per qualche minuto, un po’ di pioggerellina come una minaccia mafiosa, così non la puoi togliere e prosegui la sauna! Alla fine, quando temerariamente decidi di togliere la tuta, con analoghi contorcimenti da attacco colitico improvviso, la tuta non rientra più nella minuscola borsa in cui qualcuno l’ha messa, grazie ad un’accurata piegatura da origami giapponesi difficilmente replicabile on the road. Così non sai più, dove metterla, nelle borse già piene. Per comodità del lettore e di chi scrive, eviteremo di menzionare che durante tutto il percorso, nei tre giorni di raduno, abbiamo di continuo indossato e tolto le tute antipioggia. Ovviamente anche questa volta non piove e la temperatura sale sia fuori che dentro la tuta. Teniamo duro! Imbocchiamo la solita coda di camion sulla tangenziale di Venezia insieme con altri biker che stanno andando nella nostra stessa direzione e ci esibiamo nello slalom tra i TIR fino all’inizio dell’autostrada, a Palmanova, dove finalmente ci accoglie una stupenda strada a tre corsie…. vuota. Abbandonata la velocità di crociera di 110 km/h, Gianni e Peppe, finalmente liberi, si lanciano in un allungo fino ai 140 19


km/h, cogliendo di sorpresa il sottoscritto che sta regolando l’MP3, ma forse non coglie di sorpresa la postazione fissa autovelox! Il dubbio se fosse attiva o non li attanaglierà per mesi. Alle 15,30 usciamo dall’autostrada per Tolmezzo e quando passiamo davanti ad un centro commerciale, con una puntualità da ammirare, inizia una leggera pioggerellina, ovviamente durante la sosta per il pranzo avevamo tolto la tuta e così ci fermiamo subito per ripararci sotto la tettoia di un supermercato. C’è anche un bel bar …quando si dice la fortuna! Le montagne circostanti sono velate di nebbia e si vedono piovaschi nella valle che dovremo risalire per arrivare alla meta. Mentre contempliamo il romantico paesaggio quasi autunnale, arriva un biker (uno di quelli tosti ) con la sua pupa. Anche lui parcheggia vicino a noi e ci dice: “Cazzo, con questa pioggia sarà un casino piantare la tenda al raduno. Il prato sarà tutto bagnato.” Confermiamo con grande imperturbabilità che la sua ipotesi è sicuramente attendibile, apparendo come biker normalmente abituati ad affrontare ben altre avversità: in verità abbiamo prenotato una stanza in un albergo vicino al raduno. Arriviamo a metà pomeriggio nell’albergo, piccolo, un po’ vecchiotto con la reception nella penombra che solitamente fa da scena a partite a carte dei pensionati del posto, con giro di grappini, ma tutto sommato è un posto simpatico. Prendiamo possesso della camera che dividiamo in tre e dalla finestra il monte Zoncolan si vede …o meglio si vedrebbe se non fosse coperto dalla coltre grigia delle nuvole minacciose. Sistemati i bagagli, raggiungiamo il luogo del raduno, salendo insieme con altri biker lungo una bellissima strada tutta curve e tornanti tra le pinete. Nel primo giorno del raduno normalmente le moto non sono molte, in compenso il suono degli scarichi è ben superiore a quello che produrrebbero tutte le moto se dessero gas 20


contemporaneamente. In realtà ci sono dei ragazzi russi, con delle moto Zundapp 50cc e 125cc senza marmitta, che vanno avanti e dietro, ininterrottamente, in mezzo al parcheggio e al campeggio con grande giubilo per i timpani dei presenti. Il raduno si tiene nello spiazzo antistante ad una cabinovia che funziona solo d’inverno e nella radura tra i boschi che lo circondano; in quest’area sono ospitati gli stand commerciali, il parcheggio ed uno spontaneo campeggio. In un grande tendone sono sistemati gli stand gastronomici e i tavoli dove poter mangiare, poco vicino si erge un palcoscenico dove, nella notte, si alterneranno i gruppi musicali. Diamo un’occhiata alla zona del mercatino, alcuni stand stanno allestendo, altri stanno togliendo i teloni stesi a proteggere la merce dalla pioggia che ha smesso momentaneamente di scendere. Un’ampia zona recintata è destinata alle esibizioni motoristiche free style che, come annuncia un presentatore logorroico. “saranno le più entusiasmanti, visto che si utilizzerà il trampolino più alto d’Europa”. Due motociclisti, in tenuta da stuntman, ispezionano a lungo la pista e il trampolino bagnato, mostrando chiaramente che nutrono dubbi sulla loro tenuta e rinunciano ai salti. Tutto viene rimandato a quando la pista si asciugherà, in pratica al giorno dopo …. Speriamo! In sostituzione dei salti arriva la Grande Attrazione, l’esibizione di Ape Piaggio modificate che giocano a rincorrersi, come fanno normalmente tutte le notti d’estate i nostri giovani sul parcheggio del nostro paese. Infine si presenta uno stuntman con il casco ornato da un vistoso cimiero, che lo fa assomigliare a quei simpatici signori vestiti da antichi romani in posa davanti al Colosseo, per farsi fotografare con turisti americani. Anche qui la pista bagnata limita l’esibizione a qualche impennata.

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Sul palco, apre la serie di concerti un cantante rock veneto, dalle preferenze sessuali non definibili, che si dimena davanti ad una platea, drammaticamente vuota. Il rocker s’incazza e inframmezza i pezzi, invitando i bikers, con toni rudi, ad animare la platea, che rimarrà tuttavia deserta per tutta la durata dell’esibizione…non solo a causa della pioggia. Infatti, scende la sera e, complici i frequenti scrosci di pioggia, tutti i biker si rifugiano sotto il tendone adibito a ristoro dove troviamo la tipica atmosfera dei raduni. Un’atmosfera che non sarebbe diversa da certe sagre paesane se non per l’abbigliamento dei presenti su cui domina il colore nero e per gli atteggiamenti goliardici che vivacizzano le tavolate. La serata sembra trascinarsi stancamente animata solo da un gruppetto di biker russi, con colbacco incluso, che grazie ai liquidi infiammabili ingurgitati (vodka) e alla sirena manuale vivacizzano, a modo loro, un angoletto del tendone mezzo vuoto. L’aria nel tendone è umida per la pioggia e impregnata dai fumi degli stand gastronomici, quindi esco subito per agevolare la digestione di uno stinco di maiale fumandomi un toscano, ma improvvisamente sono raggiunto da una voce in stato di chiara eccitazione. “Vieni dentro! C’è una che si sta spogliando sul tavolo!!” Preso da una sana curiosità sugli inusuali comportamenti di certa gente, rientro per indagare, con distacco, su quanto sta accadendo e noto che tutti i presenti (compresi i russi ) fanno da scenografia ad una ragazza vestita con un abitino leggero, assolutamente inadatto ad affrontare l’umidità ed il freddo presente nel tendone, ma soprattutto non si intona con il più consono abbigliamento costituito da abiti in pelle nera. L’atmosfera di goliardica eccitazione fa da contorno a una sorta di gioco con la giovane che, pudicamente, si ritrae agli inviti a mostrare il seno che le giungono insistentemente dagli astanti.

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Quando dopo qualche minuto la bella cede e mostra il seno nudo, all’unisono, i bikers intonano un’invocazione accorata: “Uhh lelehh Uhh lalahh faccela vedé faccela toccà!” Anche i russi, pur se non padroni della lingua, capiscono il senso dell’invocazione e sostengono la causa attivando a tempo con il coro la loro sirena. Toccata al petto da tanta ammirazione (ma dai più vicini non solo al petto ma anche alle cosce e in altre parti limitrofe) Samantha si concede e si spoglia completamente, Una performance ripresa con il telefonino da molti e, immediatamente, numerosi video sono lanciati nel web dai biker più tecnologici per farne un evento a scala mondiale. Passa un quarto d’ora e Samantha si riveste, lei rientra nei ranghi e noi in albergo sotto la pioggerellina della buona notte. Per nostra fortuna la proprietaria dell’albergo è ancora sveglia e, impietosita, ci fa mettere le moto in garage. Ci svegliamo sabato mattina con il tempo che rimane incerto e decidiamo un andare in Austria, attraverso il Passo di Monte Croce Carnico che è a 15 km dall’albergo. Raggiungiamo il passo attraverso una strada pressoché deserta e che negli ultimi chilometri è più simile a una scalinata per via dei molti tornanti tagliati sulle ripide pendici del monte. Attraverso gli alberi che fiancheggiano la strada, si ammira il paesaggio della valle sottostante in bianco e nero: gli strati di nebbia bianca che tagliano le ripide pareti dei monti dalle rocce nere per la pioggia e con le cime scomparse in un cielo grigio scuro . Superiamo il tunnel che si trova al culmine del passo e scendiamo in Austria sull’altro versante in un paesaggio simile a quello che abbiamo lasciato in Italia. Sul fondo della strada ci accoglie la verde valle del Gail, fiume mitico per i pescatori a mosca, ma per i motociclisti, la strada che lo fiancheggia è pallosissima. Ci attende un lungo rettilineo di diverse decine di chilometri con limite di velocità a 70 km/h, rigorosamente rispettato da tutti. 23


Arriviamo dopo un’ora alla periferia di Villach e, vicino al distributore, dove stiamo facendo il pieno, notiamo un cartello stradale che indica Slovenia. Decidiamo immediatamente di passare un’altra frontiera per arricchire l’internazionalità del nostro viaggio. All’inizio della strada che sale verso il Wurzenpass, confine tra Austria e Slovenia, ci colpisce un cartello indicante una pendenza del 18% e quindi un perentorio invito agli automobilisti ad affrontare la salita, innestando in prima marcia, fin dall’inizio. In effetti, la salita è realmente ripida e potrebbe mettere in difficoltà i meno esperti nella partenza, da fermi, in salita. Arrivati in cima, attraversiamo i boschi di conifere e superiamo il Wurzen Pass per scendere verso la valle dove sorge Kranjska Gora, che raggiungiamo all’ora di pranzo. Un’apparizione surreale ci accoglie all’ingresso deserto del paese: un maialino arrostisce su uno spiedo. Una prosaica sirena che con il suo profumo ci attira e alla quale non sappiamo resistere. Accettiamo l’invito e ci fermiamo per un buon pranzo nel ristorante Fabula, luogo del sacrificio del maialino. Subito dopo il pranzo, rientriamo facilmente in Italia attraverso la statale che conduce al passo del Tarvisio e raggiungiamo di nuovo lo Zoncolan, nel tardo pomeriggio, sotto un cielo più clemente: un timido sole illumina l’area del raduno. Le moto sono decisamente aumentate rispetto al giorno prima così come le tende e siamo fortunati a parcheggiare, vicine, le tre moto. Finalmente capisco che cosa significa un raduno di biker dove si vive in una condizione di sana anarchia con una discreta, nel senso non troppo evidente e invadente, organizzazione che mi ricorda i concerti rock degli anni 70. Gli ingredienti sono sempre quelli ed è giusto che sia così, un po’ come i luna park o il circo: se cambiassero, sarebbero un’altra cosa. Possono piacere o no, ma non possono cambiare!

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Il tiepido sole della mattina ha asciugato l’asfalto, permettendo finalmente le esibizioni motoristiche free style. Nel mercatino cedo alle lusinghe di una teutonica walkiria e compro una crema dalle virtù magiche in grado di allungare la vita …della pelle degli stivali (che pensavate ?) oltre a renderli impermeabili e, a sentire la venditrice, forse anche in grado di farti camminare sulle acque, Ma quest’ultima cosa, con il mio tedesco arrugginito, non l’ho capita bene e quindi non ho mai osato provare! Il palco è stato saldamente conquistato da band di heavy metal che inondano tutti gli spazi con schitarrate distorte, urla lancinanti, batterie martellanti e se la battono con gli scarichi aperti e i burn out delle moto. La ressa maggiore, alla tavola calda sotto il tendone, ci crea problemi per trovare un paio di posti per mangiare seduti, casualmente finiamo vicino al tavolo dei russi di ieri sera già simpaticamente alticci e con la solita sirena sempre attiva! Arrivati all’ennesima bottiglia di vodka due di loro, nascosti sotto un bianco colbacco, che per dimensione assomiglia a un pastore maremmano, saltano sul tavolo vicino al nostro e con gesti inequivocabili cominciano a invitare le motocicliste presenti a togliersi la maglietta e mostrare il seno. Il premio, a tanto impudico esibizionismo, consiste nell’avere in regalo la maglietta del motoclub russo. Diverse giovani e meno giovani accolgono, impavide, l’invito e salgono sull’improvvisato palcoscenico per conquistare l’ambito trofeo. Lo spettacolo vero era, però, osservare i volti dei rispettivi mariti e compagni, che cercavano di dissimulare il loro imbarazzo, nel vedere l’esibizione pubblica delle loro disinibite compagne. Alla fine però giustamente il pubblico degli esperti (soprattutto di quelli che erano presenti anche la sera prima ) reclamano per una maggiore professionalità ed un solo nome si leva al di

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sopra della musica rock, della sirena dei russi, dei burn out, degli scarichi aperti : “Samantha, Samantha, Samantha…!!” Così come la Fata Turchina di Pinocchio, Samantha, evocata, appare e sale acclamata sul tavolo in mezzo ai russi! Da esperta professionista comincia a eccitare gli animi con un scopro-non scopro e, quindi, uno dei russi sale sul tavolo, autonominandosi spalla della vedette. Samantha coglie al volo la situazione e con accorte mosse professionali …. fa spogliare il russo. Credo che nemmeno Pukacioff (chiamiamolo così) se lo aspettasse, ma alla fine è rimasto come l’Aretino Pietro …con una mano davanti e una di dietro. Ovviamente Samantha non ha deluso il suo affezionato pubblico ed ha mostrato, ancora una volta, brevemente le sue grazie poi, misteriosamente com’era apparsa, scompare. Proprio una vera diva! Con lei termina anche la serata. Domenica mattina si rientra a casa e ovviamente il sole splende finalmente sopra la Carnia che decidiamo di attraversare senza fretta, vuoi per goderci la strada del rientro, vuoi per asciugare le ossa, dopo due giorni di pioggia intermittente, viaggiando con temperature finalmente estive. Sulla corsia nord, tra Rimini e Bologna, incrociamo le file di auto immobilizzate per l’intenso traffico con i passeggeri sconvolti dalla canicola che rientrano, dopo un assolato week end estivo sulle spiagge adriatiche. Abbiamo trascorso il week end sotto la pioggia e l’invidia ci fa pensare: Avete avuto sole e caldo per la fine settimana …gustatelo fino all’ultimo! A noi il piacere di correre veloci senza ostacoli verso casa.

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European Bike Week: il più grande raduno europeo al Faaker See.

“Lemming : nome di alcuni Roditori della famiglia dei Cricetidi che vivono nella tundra, notissimi per le loro imponenti migrazioni. Alla fine dell’estate, questi animali migrano verso zone ricche di muschi in branchi che contano decine di migliaia d’individui.”. Cit. Enciclopedia UTET. ~ All’inizio di settembre avviene la grande migrazione del popolo dei biker, in particolare della famiglia dei Big Twin, verso una regione centrale dell’Europa a ridosso delle Alpi, più esattamente nella Carinzia (Austria), non distante dal confine con l’Italia e la Slovenia nei pressi di Villach: al lago di Faak, (in tedesco Faaker See si pronuncia com’è scritto !). Dal 1997, ogni anno quasi 100.000 motociclisti provenienti da tutta Europa arrivano al Faaker See per dare vita alla European Bike Week: il più grande raduno motociclistico europeo e al mondo, probabilmente, secondo solo al grande raduno di Sturgis in South Dakota. Nel 2011, le moto stimate erano 75.000. Qualsiasi descrizione di questo evento non è sicuramente all’altezza di quello che realmente è! Tuttavia, i racconti di chi c’è stato sono in grado di affascinare anche il più solitario ed eremita dei motociclisti. Insomma occorre andarci! Il viaggio è semplice, si tratta, tutto sommato, di una galoppata in autostrada di 1300 km, tra andata e ritorno, da fare 27


assolutamente con amici affiatati, meglio in 4-5 moto, tutte dotate di una autonomia per almeno 250-300 km, così da ridurre i tempi del monotono trasferimento. Infatti, anche la semplice sosta per il pieno si trasforma in una pausa prolungata per esigenze fisiologiche (improcrastinabili), alimentari (legittime) e fumatorie (assolutamente superflue) e, quando il gruppo è numeroso, ogni sosta dura almeno mezz’ora per aspettare che anche l’ultima delle suddette esigenze sia assolta. L’avvicinamento a Faaker, per noi del Centro Italia, avviene normalmente lungo l’autostrada che conduce al Tarvisio, più ci si avvicina alla meta, più ci si trova a viaggiare con un numero sempre maggiore di motociclisti e ogni stazione di servizio sembra la sede di un piccolo raduno. Per tutti gli italiani che seguono questo tragitto, la sosta d’obbligo è Tarvisio, a circa 30 km dal Faaker, dove già sembra di essere in pieno raduno con cartelli di benvenuto ai bikers, le aree riservata agli harleisti, i primi stand di abbigliamento biker e soprattutto gli spazi antistanti ai bar, circondati da moto cariche di bagagli e stracolmi di gente in giubbotto di pelle. Infatti, molti acquistano qui il tagliando con validità settimanale per l’autostrada austriaca, altri fanno le ricariche telefoniche, ma tutti vogliono gustare l’ultimo vero espresso all’italiana. Noi evitiamo sempre l’acquisto del tagliando, tranne il primo anno da novellini, perché abbiamo sempre preferito percorrere le strade statali e provinciali, sicuramente più sinuose e panoramiche delle autostrade. In genere, per raggiungere il Faaker See, partiamo il giovedì mattina così da essere al raduno a metà pomeriggio, dopo aver lasciato i bagagli in albergo, dedicando il resto del tempo a visitare i mercatini. Il venerdì ed il sabato organizziamo dei giri di circa 200 km nelle zone vicine così da raggiungere il raduno verso le 17 e chiudere lì la serata. Il raduno inizia il lunedì e termina la domenica, ma la vera festa si concentra il venerdì e il sabato, visto che la maggior 28


parte dei biker arriva per la fine settimana; negli altri giorni non c’è un vero affollamento, ma sicuramente ci sono non meno di 30.000 moto in giro e lo spettacolo è comunque garantito. Tutto questo genera, ovviamente, problemi per trovare un alloggio intorno al lago, dove tutte le possibilità di soggiorno vengono prenotate con largo anticipo ed in genere per l’intera settimana. Villach è il centro di una vasta area geografica ad alto valore turistico e molti prendono a pretesto il raduno per trascorrere una vacanza, anche con famiglia al seguito. Gli amanti della vita spartana hanno la possibilità di trovare alloggi nei campeggi sul lago, proprio nel cuore del raduno, chi preferisce l’albergo o la camera in affitto deve organizzarsi qualche mese prima per prenotarla nel giro di 20 km dal Faaker. Un quarto d’ora di moto per arrivare o lasciare il raduno è sicuramente piacevole anche di notte, visto che la zona è facilmente collegata e, dall’autostrada, si raggiunge in cinque minuti. Gli unici problemi possono essere causati dal maltempo (abbastanza frequente) e dalle libagioni serali, delle quali molti biker sono avvezzi. Per evitare quest’ultima fonte di guai, la polizia austriaca ha attivato diversi punti di controllo per la sicurezza di tutti. La prima volta che sono stato al Faaker, la sera prima del mio arrivo, aveva nevicato sulle montagne che circondano il Tarvisio, qualche motociclista venuto via Salisburgo aveva trovato neve sulla strada; il giorno dopo, al sole, si sudava nel nostro abbigliamento in pelle, mentre la sera lo stesso abbigliamento sembrava insufficiente ed in camera i termosifoni erano graditi. Insomma, prima di partire, guardate le previsioni e preparatevi a escursioni termiche di qualche decina di gradi. Il raduno si svolge lungo la strada costiera che forma un cerchio attorno al lago. Su quest’anello si trovano un paio di villaggi, dei piccoli agglomerati di case con ristoranti e pub,

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alberghi, residence e abitazioni private, immerse nel verde dei prati e dei boschi. La strada che circonda il lago, nella settimana del raduno, è percorribile solo a senso unico ed è riservata alle sole moto, alle auto residenti e ai mezzi di servizio. Si tratta di una indispensabile garanzia di sicurezza anche grazie ai limiti di velocità che, di fatto, sono rispettati da tutti. Nel tratto del bosco qualcuno prova ad azzardare la volata, ma pigiare sull’acceleratore è iniziativa sporadica. Percorrere in gruppo con gli amici questa strada panoramica, insieme a altre migliaia di moto, è uno dei momenti più piacevoli della partecipazione alla European Bike Week e di solito è la prima cosa che si fa all’arrivo per poi parcheggiare e unirsi a quanti, dal bordo della strada, si godono il continuo passaggio di tante moto, ognuna diversa dall’altra. Ci sono custom hard core con il pilota seduto a 50 cm da terra e gomme posteriori da 300 ed oltre, touring con le personalizzazioni più strane: pellicce, teschi, botti, festoni luminosi, etc. La maggioranza è fatta da custom, in particolare Harley, ma i tipi e le marche ci sono tutti e tutti sono i benvenuti, anche gli scooter. Il traffico si imbottiglia nei pressi del vero cuore del raduno: l’Harley Village. L’Harley Village è composto da diversi padiglioni, gestiti direttamente dalla Casa Americana, disposti a formare una piazza quadrata con un lato occupato dal grande palco, dove ogni sera si tengono concerti gratuiti. Il raduno è l’occasione per vedere, dal vivo, nello stand ufficiale Harley Davidson Europa, i modelli nuovi che saranno commercializzati l’anno successivo. Vicino all’Harley Village sorge il grande parcheggio circondato da stand di customizzatori e da concessionari Harley, è qui che si cerca di parcheggiare e con un po’ di pazienza ci si riesce. Altri concessionari Harley, provenienti da tutta Europa, aprono i loro stand lungo la strada che conduce dal parcheggio al Villaggio. Un altro mercato, con esposto 30


materiale biker soprattutto abbigliamento, si trova poco vicino e ancora più in là si apre l’area occupata da una moltitudine di fumiganti stand gastronomici per tutti i gusti. Una visita obbligata è allo stand ufficiale della European Bike Week, dove si possono acquistare le magliette, la pach e la pin ufficiali dell’edizione. Di mercati c’è ne sono altri due, ma il più grande è quello vicino al campeggio Arneitz, raggiungibile in un quarto d’ora di passeggiata dal Village, qui si trova di tutto dedicato alle moto custom, anche a prezzi accettabili, ma a meno di non avere un portafoglio a fisarmonica, meglio trattenersi. Mezza giornata è necessaria per curiosare per i mercatini, qualche ora per girovagare nel parcheggio e lungo la strada accanto all’H.D. Village. Dalle 9 del mattino, per dodici ore, la strada è percorsa incessantemente da un fiume di moto. Nel pomeriggio, anche i lati della strada diventano un enorme parcheggio ed è un problema trovare un angolo per la moto, visto che tutti si fermano per raggiungere stand e ristoranti per la cena e per assistere ai concerti. Il consiglio è di evitare le ore centrali, per entrare soprattutto con il caldo, poiché le frequenti soste possono bloccare la frizione e surriscaldare il motore… considerato che le moto in circolazione sono decine e decine di migliaia. Attenzione a non lasciare le moto in zone che di notte restano al buio, magari qualcuno potrebbe approfittare per portarsi via qualche pezzo della vostra moto e il casco o il contenuto nelle borse. Chiudete tutto bene! Il posto migliore è vicino all’HD Village. La prima volta che sono stato al raduno ho parcheggiato la moto, con altre centinaia, in una zona al buio e mi hanno fregato il casco, nonostante fosse chiuso con un lucchetto. E per far questo, hanno tagliato i cavi dell’acceleratore, riparati prontamente il giorno dopo nell’officina Motodrom, creata vicino alla Harley Village per riparare guasti e rispondere prontamente a inconvenienti, vista la numerosità dei motociclisti presenti alla manifestazione. 31


Il traffico è intenso ma scorrevole, la sicurezza è garantita da volontari e dalla polizia locale, in genere molto disponibile e paziente. L’organizzazione, infatti, è veramente ottima, discreta ed efficiente! Nonostante le migliaia di persone, l’atmosfera è rilassata, ordinata …potremmo dire un raduno per famiglie. Alle dieci del sabato, le moto si schierano poco fuori dell’anello, per dare modo di formare la lunga parata che inizia a sfilare, prima lungo il lago e poi, attraversando il centro di Villach, verso Klagenfurt. Nel 2011, erano schierate quasi 25.000 moto. La domenica i motociclisti, che provengono da lontano, ripartono di primo mattino. Il traffico, lungo l’autostrada delle moto che rientrano in Italia, è intenso, sicuramente fastidioso per la consueta irruenza di qualche improbabile emulo di Valentino Rossi, ma soprattutto reso difficile dai gruppi compatti di decine di bikers che credono di essere i padroni della strada, occupando entrambe le corsie dell’autostrada. ~ La prima volta siamo andati al Faaker See con Gianni, unendoci agli amici, appartenenti al Civitanova Chapter, che avevano organizzato il viaggio e che ci hanno guidato all’interno di questa manifestazione. I nostri racconti su questa prima esperienza hanno convinto altri amici di Chiesanuova ad unirsi a noi per ripetere il viaggio. L’anno dopo, in una bella mattina di settembre, come nostro solito, ci troviamo al bar di &ULVWiano, le moto parcheggiate spavaldamente sulla piazza sotto la grande quercia al centro del paese, pronti a partire per la mitica European Bike Week in Austria. Quattro moto e sei motociclisti: Gianni, Peppe, Alcide con Carlo e, con me, mio figlio Gianluca. Alla luce della nostra prima esperienza ci siamo organizzati per tempo e, per evitare sperduti alberghi nella campagna, fin da marzo, abbiamo 32


prenotato all’Hotel Post al centro di Villach, distante 7 km dal lago Faaker. Dopo il furto subito nell’edizione dell’anno precedente, porto un casco jet da battaglia da indossare al raduno, borse debitamente chiuse a chiave, robuste catene per fissare le moto così da evitare i furti. Foto di gruppo scattata dall’immancabile amico Tullio, eletto fotografo ufficiale del Chiesanuova Ciapter (senza h ), visto che tutte le volte, per caso, si trova al bar quando stiamo per partire.

Da sinistra: Gianluca, Giuseppe, Alcide, Carlo, Gianni

Prima tappa, all’area di servizio di Cesena dell’autostrada, dove ci raggiunge Gianluca, un amico che viene da Terni, il settimo componente del gruppo. Ha un po’ di ritardo, ma non abbiamo fretta: il percorso sarà veloce con poche moto, tutte con la stessa autonomia. Alla seconda tappa, decisa per il pranzo nell’area di servizio di Calastorta, a confine tra Veneto e Friuli, ci sentiamo già nel raduno, visto che il parcheggio è stracolmo di moto e occorre fare la fila per il pieno. Nel primo 33


pomeriggio, terza ed ultima tappa a Tarvisio. Siamo in pieno raduno, anche se Faaker See è a trenta kilometri. Qualcuno cerca l’ultimo espresso, qualcun altro la ricarica dei telefoni cellulari, io cerco inutilmente una scheda di memoria aggiuntiva per la telecamera, che mi accorgo aver dimenticato a casa. Fortunatamente alle porte di Villach, trovo la scheda in un centro commerciale con l’insegna Media World. Siamo vicini alla meta e l’eccitazione sale con l’aumentare dei motociclisti che incontriamo. Ci dirigiamo al centro di Villach per intuito, senza navigatore, l’orientamento per raggiungere l’albergo si affida alla mappa scaricata da internet e al mio arrugginito tedesco. Finalmente l’albergo è a 200 metri, di fronte a noi, ma è reso irraggiungibile per essere collocato nell’isola pedonale che ha trasformato l’unica via di accesso nella piazza. Via arredata con i tavoli dei caffè e dei ristoranti. L’albergo è un elegante edificio del XVI secolo, una residenza principesca, ma tutto sommato ha un costo accettabile. Un tassista mi indica la strada per raggiungere un ingresso secondario dell’albergo, evitando l’isola pedonale, indicazioni che credo di seguire e che puntualmente mi portano allo stesso punto di partenza con lo stupore dei miei compagni! La stanchezza, la voglia di andare al raduno, le necessita fisiologiche impellenti ci spingono a forzare il blocco ed entriamo in corteo nell’isola pedonale, parcheggiando di fronte all’ingresso principale dell’albergo sotto gli sguardi meravigliati delle persone che passeggiano e si godono l’atmosfera rilassata e sonnolenta del centro storico. Durante la European Bike Week gli inflessibili austriaci diventano tolleranti soprattutto con le moto, se poi sono degli italiani a violare le regole, questo li rassicura perché non fa che rafforzare i loro classici pregiudizi sul nostro popolo. L’Hotel Post è molto confortevole e dall’atmosfera sobriamente amichevole, prendiamo rapidamente possesso delle camere e, depositati i bagagli, andiamo al lago Faak, il Faaker See appunto.

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Il giro completo attorno al lago insieme a molti altri motociclisti ci permette di entrare subito nell’atmosfera e quindi ci fermiamo a fianco dell’Harley Village. Nel grande spiazzo, le moto possono parcheggiare agevolmente visto che il fondo è stato cosparso di schegge di legno, utili in caso di pioggia ad evitare di far scivolare le moto sul fango. Come al solito, siamo tutti frastornati dai 650 kilometri percorsi, dal rumore degli scarichi aperti, dalla musica rock diffusa a tutto volume dai locali, dal mix di pesanti odori degli stand gastronomici, ma resistiamo e la prima visita è allo stand Harley per “sbavare” sui nuovi modelli. Quindi l’immancabile salto alla tenda dove vendono le magliette e la pin ufficiale della undicesima edizione. Scegliere le magliette da regalare alle mogli crea sempre situazioni imbarazzanti, quando cerchi di valutare la taglia, spiegando alle perplesse commesse con gesti equivocabili la differenza fra le dimensioni dei seni delle nostre amate con i loro. Alcuni di noi, meno intraprendenti, si imbarcano in telefonate internazionali per valutare con le amate la soluzione più politicamente corretta tra small e medium (le large sono severamente bandite dal panorama femminile !). Fatta ampia scorta di t-shirt decidiamo di andare a cena nel ristorante sulla riva del lago, fuori dalla confusione, comodamente seduti senza essere bombardati dai decibel della musica o inondati, letteralmente, da frettolose cameriere che cercano di mantenere in equilibrio vassoi pericolosamente traboccanti di boccali di birra. Ovviamente il menù del ristorante è in tedesco, ed incautamente fiduciosi delle mie capacità linguistiche, mi incaricano di decifrare la lista dei cibi. Gianni, Peppe e Alcide scelgono un piatto tipico di carne del Faaker See (così ritengo sia la descrizione nel menù) pensando a una sorta di grigliata mista di carne e verdure. Si materializza invece una padella con pezzi di carne di maiale che emergono da una salsa biancastra a base di formaggio fuso, circondati da funghi, verdure miste, cipolle. L’aspetto è vagamente inquietante soprattutto con le 35


immagini tragiche di New Orleans, allagata dopo l’uragano Katrina, nella memoria. Alcide, che praticamente segue da anni una mono - dieta, ossia bistecca ben cotta con un filo d’olio d’oliva, tenta vanamente di affrontare l’insolito miscuglio come una prova di iniziazione, poi sconfitto rinuncia e ordina una grigliata mista … ben cotta! Peppe e Gianni invece affrontano l’imprevisto e stoicamente puliscono la padella. Fine della giornata e si torna in albergo. Per la notte, le moto vengono parcheggiate nel bel cortile interno che sembra la corte di un castello, ma è decisamente angusto e impone una forzata coabitazione delle moto e delle auto degli ospiti. Questo genera l’inconveniente che al mattino, per permettere ai mezzi di uscire dal cortile, si crea una complessa coreografia simile a quella della partita a scacchi di Marostica o alla quadriglia. Il mattino inizia con una leggera pioggerellina che spegne il nostro ottimismo, cancellando l’idea di pranzare a Kraniska Gora, dove un anno fa con Gianni e Peppe avevamo avuto una piacevole esperienza con un gustoso maialino allo spiedo. Decidiamo quindi di tornare sul lago e ci immergiamo nel mercatino dell’Arneitz Village per cercare di trovare qualche gadget, ma soprattutto per vedere le tante cose strane esposte (moto comprese), inutile descriverle, basti dire che Carlo e Gianluca hanno scattato qualche centinaio di foto. Comprese quelle con le molte simpatiche ragazze, in attillate canottiere, che pubblicizzano le cose più diverse. Camminiamo per almeno tre ore facendoci spazio a fatica tra i tanti motociclisti che affollano il mercatino, mentre il sole, sbucato dalle nuvole, ha fatto alzare la temperatura a valori difficilmente sopportabile all’interno dei nostri giubbotti e pantaloni di pelle nera. Per fortuna è arrivata l’ora di pranzo e decidiamo di fermarci alla tavola calda del campeggio, posto 36


all’apparenza tranquillo, senza musica fragorosa. Mai valutazione fu più errata, ci sfugge, infatti, che quella specie di lunga gancia da bocce alle nostre spalle è una pista adibita alle prove delle moto e proprio ora viene accesa ripetutamente una moto da dragster a turbina …. Le esplosioni a Bagdad, durante l’attacco degli aerei americani al rifugio di Saddam, sicuramente furono meno fragorose! Le porzioni massicce di grassi animali, le salse innominabili, le birre ghiacciate, abbinate all’incremento della temperatura esterna, ci impongono di affrontare la digestione allungandoci all’ombra degli alberi lungo la riva del lago, un posto finalmente calmo, con l’eco lontano del rombo delle moto, che concilia un sonnellino. Il pomeriggio trascorre nei parcheggi ad analizzare attentamente le moto e le soluzioni adottate per la loro personalizzazione, poi….. si parte alla ricerca dell’oggetto del desiderio nei tanti stand, fino a che, con i piedi gonfi, decidiamo di rientrare a Villach. Lo stato dei nostri arti inferiori ci consiglia di scegliere, per la cena, il ristorante dell’albergo. Qui avviene un insperato colpo di fortuna, soprattutto per Alcide che già stava individuando strategie vincenti per evitare le mefitiche ( a suo dire ) salse austro-ungariche. Al nostro tavolo viene a salutarci il cuoco: Dario, italiano di Trieste. Il suo modo di parlare tradiva i molti anni vissuti all’estero, ma soprattutto i molti boccali di birra e vino bevuti quella sera. Consapevole delle difficoltà degli italiani con la cucina estera ci fa preparare un’ottima cena a base di bistecca alla griglia con contorni di verdure al vapore, ma soprattutto per Alcide … senza salse. Al termine della cena, Dario ci invita a bere con lui il bicchiere della staffa in un moderno bar al centro di Villach, gestito da amici veneti. Qui incontriamo alcune sue amiche, anch’esse impiegate all’Hotel Post. Un posto simpatico e l’unico, con un po’ di vita, in una deserta Villach. 37


Evitiamo il sabato, giorno della parata, per non rimanere imbottigliati nel raduno e passare il tempo ancora una volta tra t-shirt, abbigliamento in pelle made in Pakistan, borchie e catene. Decidiamo così di andare a farci un bel giro e rientrare al raduno per la sera. Andare alla European Bike Week è l'occasione per visitare una bellissima zona dell'Austria: la Carinzia. Nello stand dell’associazione dei motociclisti della Carinzia, visitato ieri, abbiamo trovato tante informazioni utili a chi va in moto e le mappe con i migliori itinerari. La notte serena e il mattino illuminato da un tiepido sole ci convincono a partire per il Grossglockner, dove si trova la più alta strada carrabile delle Alpi, la mitica Grossglockner High Alpine Road, che arriva fino a 2500 m sul livello del mare, “il paradiso dei motociclisti” come recita il depliant. Alla reception, conosco il direttore dell’albergo, anche lui appassionato di viaggi in moto con sua BMW GS 1200, che mi consiglia di intraprendere il viaggio, approfittando del bel tempo, raro in questa zona e ancor più sul Grossglockner. Partiamo, evitando l’autostrada, percorriamo la verde Moeltall, seguendo il corso del fiume che si fa strada tra campi verdi, pascoli, piccoli boschi fino al villaggio alpino di Heiligenblu, dominato dall’alto e snello campanile a punta. Subito dopo inizia la strada a pagamento che sale fino a 2500 m e ridiscende sull’altro versante della montagna. Il fondo della strada è ottimo, il panorama è magnifico. Inanellando curve e tornanti, arriviamo all’Hochtor 2500 m., dove è d’obbligo la foto di gruppo. Proseguiamo nel tratto di strada, sempre intorno alla quota dei 2400 metri, che ci porta alla Edelweissspitze, superato il quale inizia la discesa verso Zell am See. Il paesaggio è quello che si trova ad alta quota, dominato da pietraie di colore tra il grigio e il marrone scuro. Gli unici colori sono i rari prati, di un tenero verde, intramezzati da piccoli laghetti frutto dello scioglimento dei nevai che riflettono il blu del cielo. 38


Ci fermiamo sulla terrazza panoramica, dove, oltre che dalla vista magnifica sul ghiacciaio (3798 m.), veniamo colpiti dall’aria “freddina”, tanto che molti di noi non tolgono nemmeno il casco. Dopo esserci fermati lo stretto indispensabile per le foto, ritorniamo indietro per la stessa strada, apprezzando ancor di più la sinuosità dell’itinerario. In fondo alla valle, scegliamo un percorso diverso per ritornare a Villach e ci dirigiamo a Lienz da dove seguiamo la strada di fondo valle che, con una serie di lunghissimi rettilinei, fiancheggia il versante nord delle Dolomiti. Sotto i colpi del phon (30 gradi di vento caldo che scende dai monti), inebetiti dalla monotonia della strada (quasi 100 km di un unico lunghissimo rettilineo), sopraffatti dalla digestione rallentata dalle salse austro-ungariche ... il viaggio di ritorno avviene in uno stato semi-comatoso con l’incombente pericolo di abbiocco. Ogni tanto, qualcuno di noi si lancia in un allungo in velocità, tanto per risvegliarsi e risvegliare il gruppo. Finalmente il brontolio profondo di migliaia di bicilindrici che sfilano lungo la strada del lago Faak ci comunica che siamo di nuovo nella mischia! La serata finisce tra moto cromate, gas di scarico, musica rock, fumi di grigliate. Domenica mattina il tempo non promette nulla di buono e si temono piogge lungo la strada del ritorno. Tuttavia nessuno avrebbe previsto che, in un’umida mattina d’inizio settembre, una signora con la sua automobilina percorresse a velocità ridotta la deserta strada che da Villach porta al passo del Tarvisio. Un ostacolo che noi, indomiti motociclisti, superiamo agevolmente, senza immaginare che immediatamente il fato punisca il nostro ardire. Si materializza, da dietro una casa fatiscente, una pattuglia di vigili urbani armata dell’apposita paletta che invita i due capifila ( me e Gianni) ad accostare. Qui formulano l’accusa con un italiano in salsa austro-ungarica, questa realmente indigesta: “Zorpazzo in zona proipita perké ficino a rotatoria” e intimano la multa “ 36 euro !” che 39


ricordandoci il bel film di Troisi e Benigni : “Quanti siete? Cosa portate? Dove andate? Un fiorino!”. Paghiamo per evitare discussioni, giustificando quei soldi come una sorta di tributo alla Comunità di Villach.

Da sinistra in alto: Giuseppe,Gianni, Pierfrancesco, Daniele, Lorenzo, Alcide

Oramai il viaggio al Faaker See sta diventando una tradizione nel nostro gruppo di Chiesanuova tanto che, per il terzo anno, incuranti delle previsioni meteo, abbiamo avviato i motori per la terza volta, la prima volta per Lorenzo, per Daniele, figlio di Gianni e Pierfrancesco, mio primogenito. Tralascio di raccontare il viaggio di andata, che è scorso veloce sull’autostrada fino a Tarvisio. L’uscita è stata quella per raggiungere l’albergo a Kranjska Gora. Qui abbiamo alloggiato, visti i costi competitivi rispetto all’Austria. Lasciati i bagagli in albergo, via… giù lungo la ripida discesa del Wurzerpass per raggiungere, pochi kilometri più sotto, Villach.

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Alcide chiude la coda delle cinque moto con la sua candida Ammiraglia, così la chiamiamo per il suo aspetto regale e già tutti abbiamo il pensiero nell’anello dell’European Bike Week . Ma l’imprevisto è dietro … la curva! L’Ammiraglia sparisce dallo specchietto retrovisore “forse ha rallentato lungo la discesa o è rimasto bloccato al semaforo” pensiamo. Ci fermiamo subito, ma l’attesa è troppo lunga e prima di porci altre domande il mio telefono squilla: “Alcide ha un guasto alla moto. Torniamo indietro!” Lo vediamo fermo in fondo alla discesa e ci comunica che il cavo della frizione è allentato non riesce più a cambiare marcia. Dopo rapido consulto tra i vari mezzi più o meno ortodossi per raggiungere l’officina all’interno del raduno, la scelta cade sul … chiamare Hog Assistance. Prima telefonata in italiano per segnalare il problema, poi (quasi un’ora dopo) ci chiama l’assistenza austriaca dalla quale riesco a farci localizzare, parlando un mix di tedesco residuato del liceo e d’inglese da lavoro. Dopo mezz’ora mi chiama l’autista del carro attrezzi che deve venire da Villach! Sfodero il mio tedesco migliore e finalmente riesco a far comprendere dove siamo e sapere che dobbiamo aspettare almeno altri quarantacinque minuti prima che ci venga a prendere. Infatti, deve effettuare altri soccorsi a moto in panne. Non è proprio il caso di dire: mal comune mezzo gaudio. Ognuno inganna l’attesa a modo proprio: chi fuma un mezzo toscano, chi cazzeggia su moto e sfiga, chi elabora teorie sulle origini del guasto, chi s’intrattiene con un contadino austriaco che sta nel campo vicino, intento a zappare la cicoria. Almeno questo ci dice Lorenzo che, nonostante la distanza linguistica, ha avviato con il contadino una conversazione sulla passata stagione agricola in Carinzia. Finalmente arriva il carro attrezzi e, con l’Ammiraglia caricata regalmente sul pianale, entriamo nel circuito del raduno che è già sera. Tra i lampeggianti del carro attrezzi e quelli dell’allarme della moto sicuramente non passiamo inosservati nella moltitudine 41


di moto e motociclisti che affollano la zona dell’officina. Piccola amara soddisfazione. L’officina Motodrom ci garantisce che sarà riparata e pronta per il mattino successivo. Il sospetto è che la riparazione sia molto semplice (forse un bullone allentato), ma sicuramente il conto non sarà altrettanto lieve. Basta la salute e…. buona carta di credito! Scopriamo che nei giorni precedenti è piovuto molto e il parcheggio al centro dell’Harley Villane è una palude. Proibito parcheggiarci ! Pronti per la cena, ci lanciamo verso il solito ristorante sul lago, dove troviamo una piacevole novità: cena a buffet basata su una carne alla griglia cotta al momento, tutto a 20 euro, senza limiti di quantità. Una piacevole conclusione per il primo giorno al Faaker See. Venerdì mattina sotto un bel sole che illumina le cime che circondano Kranjska Gora, ci dirigiamo al raduno per il giorno dedicato alla visita canonica all’Harley Village, a stimare il costo dei vari modelli custom, a cercare l’accessorio “ di cui non posso fare a meno” nella miriade di stand, a guardare tipi e tipe, etc. etc. Una scoperta entusiasmante per i novizi, un rinnovato divertimento per chi già conosce la festosa bolgia dell’European Bike Week. Lorenzo continua a ripetere, ironicamente eccitato, agli amici che da Chiesanuova lo interrogano al telefono, sulla situazione “ …è come a Serralta! ”, facendo il paragone con il mitico raduno che tutti gli anni viene organizzato con successo nel “campo di calcio” ( tanto per dare le proporzioni) del paesino vicino S. Severino Marche. La sera, prima di ritornare in albergo, qualcuno dei nostri vuole controllare che cosa c’è nel tendone che pubblicizza biancheria intima femminile, almeno così sembra, a giudicare dalle immagini delle modelle che sono riprodotte nei cartelloni

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pubblicitari. Anche questo fa parte dell’atmosfera tradizionale e come tale va accettata! Sabato è dedicato a un giro turistico in Slovenia sostenuti da una magnifica giornata, ancora estiva. Itinerario prescelto quello che ho denominato l’anello sloveno: Kranjisca Gora, Bled, Sorica, Tolmino, Caporetto, Bovec, Kranjska Gora. Bellissimo! Il paesaggio è un incrocio tra le valli del Tirolo e quelle dell’Umbria, le strade sembrano un giro di tango per le curve i tornanti, in certi casi diventa quasi un mambo per il ritmo che si tiene. Andateci ! Sosta lungo la valle del Soca (Isonzo) per una trota arrosto, mentre, nel vicino torrente, una trota ancora viva e vegeta “bolla” continuamente in cerca di insetti. Riemerge il pescatore che è in me e la voglia di essere lì con emergenti e coda di topo…. Prima o poi ci tornerò con canna e retino! Finale trionfale attraverso il passo Vrisc, venticinque tornanti a salire e altrettanti a scendere fino a Kranjska Gora, chiudendo così l’anello. Sosta tecnica in albergo e poi di nuovo al raduno, reso incandescente dall’arrivo di una moltitudine di moto alle quali ci uniamo per fare il classico giro del lago quasi in parata! Finale della giornata a tentare la sorte in uno dei casinò della cittadina slovena che ci ospita. Domenica è tempo di rientrare, ma l’autostrada è affollata di moto, ogni autogrill sembra la sede di un raduno, la confusione lungo la strada è elevata e all’altezza di Venezia ci perdiamo di vista. Peppe arriverà a casa un’ora prima di noi perché pensava che fossimo avanti, noi un’ora dopo perché lo aspettavamo, immaginandolo dietro di noi. Alcide ci lascia a Faenza per andare a recuperare la moglie che è ospite a casa di Pia e Dario all’agriturismo “ Puro Cielo”.

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Prima di lasciare l’autostrada, in una stazione di servizio, Lorenzo decide di comprare due bandierine (Italiana e Americana) da installare sulla moto, …. per fare il suo ingresso trionfale a Chiesanuova. Faaker See 2008: http://vimeo.com/1805167 European Bike Week 2010 http://vimeo.com/15439809 L’anello sloveno 2010 : http://vimeo.com/15467592 L’imprevisto di Alcide http://vimeo.com/15468241 Faaker See 2011: http://vimeo.com/30148437

Da sinistra: Gianni,Giuseppe, Americo, una amica russa, Daniele,Alberto, Ennio,Lorenzo, Stefano, Fabio, Alcide.

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Benedizione delle moto, a Loreto.

Supportati da una solida fede (ognuno la riponga su quello in cui crede!), all’inizio di ogni anno apriamo la stagione motociclistica, cercando protezione in alto loco. Con i tempi che corrono e soprattutto con i tanti che corrono con il pieno di alcol e cocaina, incollati al cellulare, distratti da bellezze in abiti succinti e vetrine rutilanti, è bene utilizzare tutti i mezzi di salvaguardia fisici e metafisici. La benedizione delle moto a Loreto, che si tiene da qualche anno la prima domenica di gennaio, è l’occasione buona non solo per invocare la protezione divina, ma anche per ritrovarsi nella splendida piazza di Loreto ed incontrare gli amici che condividono la stessa passione. Un giro in moto in gruppo con, in più, una benedizione del vescovo di Loreto in piazza del Santuario della Madonna, protettrice di chi viaggia, impongono di partire, anche se nella notte è nevicato nelle vicine colline e la temperatura è vicina agli zero gradi. La prima volta ad andare eravamo stati io, Gianni e Daniela. Poi negli ultimi anni il gruppo è cresciuto ed è costituito da Lorenzo, con la sua Guzzi d’epoca, Dario e Pia, sulla Triumph enduro, e il Chiesanuova HD Ciapter (è scritto così): Alcide, Simonetta, Gianni , Peppe ( sulla sua nuova Road King Custom appena comprata ) oltre a Daniela sulla sua Sportster ed il sottoscritto. Partenza alle 9,45 con sosta per il rifornimento da Claudio, per provocarlo un po’… così, prima o poi, anche lui si comprerà una moto con meno di 50 anni e si unirà a noi.

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Claudio è un grande appassionato di auto e moto d’epoca oltre che esserne anche un apprezzato restauratore, solo che non si decide ancora a comprarsi una moto moderna. La strada è scivolosa per la leggera pioggia della notte, meglio non rischiare troppo e raggiungere la piazza di Loreto con il percorso più tranquillo. Così attraversiamo Recanati in un’atmosfera natalizia, infatti, all’alba è caduto un sottile strato di neve che decora gli alberi e i tetti delle case. Lascio a voi immaginare gli sguardi dei passanti imbacuccati, al passaggio della nostra carovana. A Loreto, distante solo 8 km, è un’altra cosa … splende il sole! Potenza del Santuario. Arriviamo verso le 10,30 tra i primi e ci schieriamo di fronte alla facciata della Basilica con altre moto e nel giro di un’ora la piazza si riempie di motoveicoli. Moto di ogni tipo, dalle Vespe, come quelle dei club di Recanati e Ancona, a quelle d’epoca, da enduroni pronti per la Parigi Dakar, a stradali che mordono il freno. Non mancano Harley del Civitanova Chapter! La provenienza dei motociclisti è per lo più limitata a un raggio di 100 km da Loreto, ma a ogni edizione si aggiungono presenze da fuori regione, segno che questo incontro comincia a essere apprezzato. Si tratta di una manifestazione nata da un gruppo di appassionati che poi, grazie al passa parola, è subito cresciuta in maniera spontanea. Devo dire che molti approfittano per chiudere l’uscita in uno dei tanti ristoranti che cucinano pesce sulla costa. Il Comune di Loreto ha accolto positivamente, fin dall’inizio, questa pacifica invasione e ha concesso l’uso della piazza per parcheggiare le moto in attesa della benedizione. L’ultima volta i vigili urbani hanno dato una mano a far parcheggiare le moto in maniera ordinata, anche se negli anni precedenti, quest’ operazione avveniva sempre abbastanza ordinatamente.

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Il clima umano che si respira è improntato sul calore dell’amicizia e della condivisione della passione, abbracci, strette di mano, pacche sulle spalle sono i rituali più diffusi. Il clima meteorologico è invece solitamente più freddino. Infatti, la piazza è per metà in ombra e spira sempre una leggera brezza che raffredda rapidamente moto e motociclisti, tanto che, come lucertole, tutti cercano il tepore dei raggi di sole vicino ai portici o, se proprio non riescono, a riscaldarsi nei bar del vicino corso. Memori della fredda esperienza del primo anno di presenza, negli incontri successivi abbiamo portato un sistema autonomo di riscaldamento: rum invecchiato di Trinidad e bicchierini da liquore di cioccolato fondente. Anche se in quantità sotto ai limiti di legge, il mix funziona e non solo per alzare la temperatura corporea.. Servito in un bicchiere di cioccolato fondente, è una bella carica di energia che aiuta a superare le temperature rigide, ma soprattutto stimola amicizie. Infatti, come si è sparsa la voce, abbiamo condiviso volentieri il rito con persone assolutamente sconosciute. Apprezzata da tutti, è diventata per noi una tradizione, l’ultima volta, al rum si è aggiunto il più locale vino di visciole portato da Fabio. Per chi non lo conosce (peccato per lui) il vino di visciole è una bevanda alcolica (circa 14°) a base dei frutti di Amarena o Marasca. Viene prodotta principalmente tramite la preparazione di uno sciroppo di visciole e zucchero a cui viene aggiunto il mosto nel periodo di vendemmia; oppure tramite macerazione delle visciole nel vino, con aggiunta di zucchero. Un vino dolce, da degustazione, tipicamente marchigiano. Così oltre a scaldarci brindiamo tutti insieme per un nuovo anno, ancora migliore di quello appena trascorso. La basilica è collegata alla piazza da una scalinata, dalla cui sommità si domina la folla di motociclisti e proprio sulla piazza, poco prima di mezzogiorno, compare il Delegato Apostolico, in genere è accompagnato da alcuni frati ai quali il solito impertinente venticello si diverte a far svolazzare gli abiti talari. 47


Il saluto è amichevole e informale e, ogni volta, ai motociclisti, il porporato tira scherzosamente le orecchie per essersi fermati sulla piazza e non essere entrati in chiesa. La benedizione suscita in tutti sempre emozioni e ricordi, al termine il vescovo fa un invito che suona più come una provocazione: ” Fateci sentire se le vostre moto sono vive!”. La torma non aspetta altro … potete ben immaginare il rombo all’unisono di un migliaio di moto raccolte nella splendida piazza di Loreto. E tutti siamo pronti a iniziare un nuovo anno con tantissimi chilometri di “curve e tornanti” da affrontare insieme in allegria. Poi, lentamente, così com’erano arrivate, le moto lasciano la piazza e riprendono la strada del ritorno.

Benedizione delle moto • http://vimeo.com/2724969 • http://vimeo.com/8522964 • http://vimeo.com/34860958 • http://vimeo.com/8554474 48


Italian coast to coast.

Aprile sta finendo con un tempo che annuncia l’imminente estate. La prospettiva di quattro giorni di ferie, già da qualche settimana, aveva solleticato la voglia di organizzare una bella uscita in moto. Le idee erano chiare, ma l’orizzonte delle possibili mete spaziava letteralmente a 360°. Peppe ipotizzava un giro in Istria per partecipare a un raduno (EST); Gianni: “Sarebbe bello andare in Austria al Grossglockner o in Germania al Neuschwanstein, al castello dello sfortunato e romantico principe Ludwig” (NORD). “Andiamo sulla Costa Azzurra” propongo io, seguace della filosofia: ” va, dove ti porta il sole”. (OVEST ). Tutti siamo solleticati da una puntata in Sicilia ( SUD ). La decisione finale viene presa la sera prima della partenza. Ovviamente, come giusta mediazione, si decide per il CENTRO su proposta di Americo: la Maremma, le colline senesi e il giro dell’Elba. In quattro, come quelli del film Wild Hogs, il giorno dopo partiamo per un Coast-to-Coast Adriatico-Tirreno. L’itinerario previsto è perfetto: tante curve, poco traffico e paesaggi da film. La Toscana, date le sue caratteristiche geografiche e la bellezza dei suoi paesaggi, è stata da sempre scelta, come scenario, da registi di fama sia nazionale che internazionale per girare film che hanno fatto la storia del cinema: da Pasolini a Monicelli, da Fellini a Zeffirelli e tanti altri ancora.

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Grandi nomi che hanno omaggiato il panorama che ci si presenterà reale, davanti agli occhi. Scaldiamo le gomme lungo la Valnerina, strada che è tra le mete degli smanettoni, sulle orme del grande campione Libero Liberati. Subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, il campione, che lavorava in un'officina meccanica, iniziò a competere nel motociclismo in gare nazionali. Liberati, veniva anche chiamato Il Cavaliere d'Acciaio, sia per sottolineare la rivalità con un altro grande campione di motociclismo, Duke che era conosciuto come il Duca di Ferro, sia per evidenziare la sua appartenenza alla città dell'acciaio, Terni. Liberati si allenava sempre, proprio sulla Strada statale 209 Valnerina, ma il 5 marzo 1962 scivolò sulla strada bagnata all'altezza della curva di Cervara, urtando violentemente contro la parete rocciosa. Inutili furono i tentativi di salvargli la vita. Nel luogo dell'incidente stradale, è stata posta una lapide commemorativa. Lasciamo la Valnerina e attraversiamo i sobborghi di Spoleto in direzione Todi, infine, costeggiando il lago di Corbara, si arriva a Civita di Bagnoregio, la città che muore. Civita venne fondata 2500 anni fa dagli Etruschi e sorge su una delle più antiche vie d'Italia che congiunge il Tevere, allora grande via di navigazione dell'Italia Centrale, al lago di Bolsena. La causa del suo isolamento è la progressiva erosione della collina e della vallata circostante, che ha dato vita alle tipiche forme dei calanchi e che continua ancora oggi, rischiando di far scomparire la frazione, per questo chiamata anche "la città che muore". Il borgo, oggi abitato da quindici persone, è situato in posizione isolata ed è raggiungibile solo attraverso un ponte pedonale in cemento armato, sotto il quale parcheggiamo le moto. La giornata calda e la folla di turisti ci invitano a riprendere il viaggio subito dopo un rapido pranzo in un’ osteria del centro storico.

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Meta successiva l’Argentario, che raggiungiamo costeggiando prima il lago di Bolsena e poi il Tirreno lungo l’Aurelia: siamo sulla West Coast! La sosta a Porto Ercole fa emergere i primi segni di stanchezza dopo quasi 350 km e, seduti in una gelateria del porticciolo, cominciamo a domandarci dove pernottare. Bisogna premettere che Americo è una sorta di Facebook ante litteram con la capacità invidiabile di far emergere dalla rubrica del suo cellulare, amici, conoscenti, clienti, in ogni parte si trovi. Anche questa volta Americo contatta un piccolo albergo “La tana del cinghiale” (Wild Hog guarda il caso!) a Tirli, dove è già stato con suo figlio, che lavora come chef in un ristorante della vicina Punta Ala. Il titolare, Alcide, non ha la stanza libera, ma con grande disponibilità gli assicura che ci troverà una sistemazione per la notte. Puntiamo decisamente verso Punta Ala. Il paesaggio della Maremma, alla luce dell’ultimo sole, mostra colori e sfumature fantastiche degne dei quadri di Fattori e Signorini, non a caso questa terra ha dato i natali ai Macchiaioli che con gli Impressionisti francesi hanno dato l’avvio alla pittura moderna. Il porticciolo di Punta Ala ci accoglie al tramonto, qui sgranchiamo le gambe, passeggiando rilassati tra gli yacht ormeggiati e i loro proprietari che pasteggiano nei ristoranti e nei bar. Un aperitivo nell’elegante ristorantino sul porto per salutare il figlio di Americo e poi via verso la Tana de Cinghiale dove Alcide, gentilissimo, ci mette a disposizione un appartamentino per le stanche membra e una fiorentina per ricaricare l’organismo. Il ristorante di Alcide è molto apprezzato per la qualità dei cibi, tutti rigorosamente legati alla tradizione locale, con ingredienti selezionati con grande cura. Infatti, i 3 chili e 200 grammi di fiorentina spariscono velocemente e costituiscono un ottimo viatico per la notte.

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Da sinistra: Gianni, Giuseppe, Americo.

Il mattino annuncia una giornata splendida e, dall’albergo, si apre una magnifica vista sulla costa dall’Argentario all’Elba; l’aria tersa permette di scorgere anche la Corsica in lontananza. Decidiamo quindi di dedicare la giornata a una visita alla vicina Isola d’Elba e rimanere alla Tana anche per la prossima notte. A Piombino ci imbarchiamo, al volo, sul primo traghetto per Porto Ferraio, nonostante l’elevato afflusso di turisti un posto per le moto si riesce sempre a trovare. Il ventre del traghetto è, infatti, stracolmo di auto, pullman turistici e soprattutto camper. L’itinerario previsto è il giro dell’isola in senso antiorario così da avere una vista migliore sulla costa. La strada segue il profilo della costa e per questo è piacevolmente ricca di curve e soprattutto di viste panoramiche. Forti dell’agilità dei nostri mezzi a due ruote, subito fuori Portoferraio, conquistiamo la testa della fila di pullman, camper, auto (in questa esatta sequenza) che si snoda lenta lungo i primi chilometri. Finalmente liberi, in solitudine,

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pennelliamo le curve, respirando finalmente l’aria ricca dei profumi della macchia mediterranea e del mare. Giunti alla punta dell’isola, ci fermiamo, fulminati dalla bellezza della vista delle isole dell’Arcipelago Toscano e della Corsica, con le sue montagne innevate che emergono da un mare spettinato da una leggera brezza e reso argenteo dai riflessi. Le rocce granitiche rosse, punteggiate dal verde della vegetazione mediterranea, sono le quinte alla nostra sinistra, mentre le calette con il mare che varia dall’azzurro al blu inteso si aprono alla nostra destra. Proseguiamo fino al Seccheto, il nome credo che derivi dalla temperatura decisamente elevata che probabilmente caratterizza questo bellissimo paesino. Caratteristica che non si sposa bene con giacche di pelle, pantaloni imbottiti, stivali tutti rigorosamente neri! Pressati dalla necessità di raffreddare i nostri corpi e reintegrare i liquidi persi per l’abbondante sudorazione, raggiungiamo la spiaggia, incuranti degli sguardi ironici di torme di bagnanti saggiamente in costume, vista la temperatura agostana. Ristorati, proseguiamo incuranti del caldo fino a Capoliveri, qui facciamo una sosta nella piazza principale, posta al culmine della collina, dove sorge il paese e da cui si gode di una magnifica vista sul sottostante golfo e sulla penisola di Punta Stella. Incurante di tanta bellezza, Americo apre l’ufficio … armato di agenda e cellulare comincia a gestire una serie di appuntamenti e problemi di consegne (quando si dice l’attaccamento al lavoro !), mentre noi ci stravacchiamo sulla scalinata come gli altri turisti. Il tramonto comincia ad avvicinarsi e così il ritorno a Porto Ferraio, per riprendere il traghetto. Rientrati sul continente alle prime ombre della sera, è ormai tardi per arrivare in tempo da Alcide e decidiamo di cenare a 53


Castiglione della Pescaia, attirati dalla pubblicità di una sagra del pesce e di specialità maremmane. Arriviamo alla sede della sagra, nei pressi del locale palazzetto dello sport, per renderci conto che si tratta di una piccola festa, ma con una grande coda agli stand gastronomici, quindi decidiamo di cercare un ristorante in paese. Castiglione della Pescaia è invasa da turisti in questo lungo week end del 1° maggio, insolitamente estivo e trovare un ristorante non è facile, ancor meno un parcheggio per le moto. Alla fine, fortunosamente, troviamo entrambi l’uno vicino l’altro. Il gran numero di clienti nel ristorante deve aver colto di sorpresa anche il personale di sala, che cerca freneticamente di servire gli ospiti ma, cosa ancor più tragica, è che deve aver colto di sorpresa anche la cucina. Infatti, scopriamo dalle proprietà organolettiche che la frittura di pesce ordinata, doveva essere stata una seconda scelta della Findus, analisi confermata nella notte, visto che la sua digestione ha richiesto più tempo di quello necessario al normale metabolismo . Rientriamo a Tirli a notte fonda, riponendo la massima attenzione a evitare di investire qualche animale selvatico che potrebbe improvvisamente uscire dai boschi lungo la strada, evento particolarmente pericoloso se l’incauto animale è uno dei tantissimi cinghiali che popolano la zona. Sarà per la cena rimasta sullo stomaco e i chilometri sulla schiena, ma al mattino successivo il risveglio si fa attendere, quindi decidiamo di rinunciare alle Alpi Apuane e tiriamo tardi a letto. Poi, anche su consiglio di Alcide, puntiamo su Siena e S.Gimignano, attraversando le Colline Metallifere. Questa zona lambisce la parte settentrionale della Maremma grossetana e si eleva, in qualche punto, a quote montane, sulle Cornate di Gerfalco e sul Poggio di Montieri. La strada, circondata da boschi fitti, è disegnata cor pennello perfetta per chi va in 54


moto, varrebbe la pena andare lì, solo per girare senza meta con il solo gusto di disegnare traiettorie. Una tappa d’obbligo è l’Abbazia di S.Galgano, per vedere l’unica e l’originale Spada nella Roccia. Dalla strada si nota subito la Rotonda; costruita sulla collinetta vicina all’Abbazia, è una chiesa romanica a pianta circolare che racchiude e custodisce la spada, che Galgano infisse nella roccia. La successione di fasce di mattoni rossi e pietra bianca si ripete nella cupola, creandovi come un movimento di onde che si dipartono dal suo culmine per continuare sulle pareti. Questo particolare cromatismo esprime una simbologia che richiama ricordi etruschi, celtici ed anche templari. Si è immaginato un tentativo dei cavalieri templari di costituire una loro base in Toscana, per ricercare il Santo Graal. Galgano era un giovane violento, ma era destinato a cambiare vita e a diventare un Cavaliere di Dio come profetizzato da S. Michele Arcangelo. Dopo la conversione, fu condotto dal cavallo a briglie sciolte sul posto dove oggi è costruita la Rotonda, qui, non trovando del legno per costruire una croce, infisse nella roccia la propria spada, trasformandola da strumento di guerra a strumento di pace. La spada era infilata nella roccia, ma poteva essere estratta fino agli anni ’20 quando il parroco decise di bloccarla definitivamente con una fusione di piombo per evitare i continui vandalismi, più recentemente, per le stesse ragioni, è stata coperta da una cupola in plexiglas trasparente. La vita di Galgano è poco nota, sono però certi il culto e gli edifici sacri a lui dedicati in particolare l'abbazia, i cui resti grandiosi testimoniano l'importanza e la diffusione del suo culto. Dal 1218 fu costruita, poco lontano dalla Rotonda, l'abbazia di San Galgano, con caratteristiche architettoniche cistercensi. Tale abbazia divenne molto ricca e la decadenza iniziò nel 16° secolo a causa delle guerre tra il Papato e la Repubblica di Siena. Abbandonata dai monaci, diventò una sorta di deposito di materiali da costruzione, fino a che, nella 55


metà del 1700, cadde il tetto e divenne un rudere, così come si può vedere ancora oggi. Quest’atmosfera cavalleresca ci introduce nel migliore dei modi a S. Gimignano, che raggiungiamo, attraversando il cuore verde dell’Italia, in un assolato pomeriggio con una temperatura di oltre trenta gradi, mentre è in corso un assedio da parte di un agguerrito esercito di turisti. A difendere le mura dall’assalto di pullman, camper, SUV non sono le gloriose guarnigioni medioevali, ma un gruppetto di vigili urbani. Solo dopo aver vinto un duello (verbale) con una solerte, ma comprensibilmente stressata vigilessa, parcheggiamo al Grand Hotel; infatti, pur sembrando un normalissimo parcheggio pubblico custodito, i prezzi sono simili a quelli di un albergo a 5 stelle: per due ore di sosta si pagano 6 € per singola moto! La visita si riduce alla sola piazza e al duomo a causa della folla vociante dei turisti che, vinto l’assedio, ha invaso ogni luogo. Un imprevisto impegno di lavoro di Americo per il pomeriggio del giorno dopo, ci impone di rientrare a casa nella notte, senza tuttavia rinunciare alla visita di Monteriggioni visto che, ormai, ci sentiamo immersi nell’atmosfera cavalleresca che si respira in questa parte della Toscana. Lungo il tracciato della via Francigena, che univa Roma all'Europa, Monteriggioni è un luogo quasi fuori del tempo dove arte, storia e paesaggio si fondono in un raro esempio di naturale bellezza. Le fortificazioni di Mons Regionis sorgono sul vertice di una collina circondata da un paesaggio boschivo. Lasciamo le moto fuori della cinta muraria: i parcheggi sono costruiti al di fuori della cittadina per salvaguardare questo delicato gioiello dall’assalto dei mezzi. Il cerchio delle mura ha un diametro di poco inferiore ai 200 metri e all’interno c’è una grande piazza con alcuni edifici storici costruiti lungo una breve via rettilinea. Tutto è a misura 56


d’uomo, i turisti ci sono, ma con discrezione, forse perché si sta avvicinando il tramonto e le orde stanno ormai rientrando nei loro alberghi. Scendiamo la valle e prendiamo l’Autostrada del Sole che lasciamo poco dopo per raggiungere Passignano sulle rive del lago Trasimeno. Orami è sera e non pressati a rientrare, perché in anticipo di un giorno rispetto a quanto previsto, ci fermiamo, per cena, in un ristorantino nel centro storico. Seduti con pochi altri clienti in un piccolo patio circondato da muri antichi, gustiamo rilassati i piatti semplici di pesce del lago e allo stesso tempo ci accorgiamo che la temperatura serale sta scendendo a valori più consoni alla stagione. Senza dubbio, sarà stata un’esibizione inaspettata, per i turisti che passeggiano sul lungo lago, vedere un gruppetto di motociclisti indossare progressivamente tutto quello che si ha a disposizione. Questa risulterà una giusta mossa per contrastare le usuali basse temperature delle Piane di Colfiorito. Attraversiamo solitari l’altopiano, a notte fonda sotto una bella luna piena, mentre percorriamo l’ultimo tratto che ci riporterà a casa da questa italian coast to coast.

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Croazia, mon amour.

Le ferie estive sono alle porte e si fa impellente la voglia di lasciarsi alle spalle impegni, appuntamenti, scadenze che proprio prima delle ferie si susseguono freneticamente; sembra quasi che tutti siano presi dal panico per la fine del mondo e vogliano chiudere le questioni prima delle agognate vacanze. In questo clima vien naturale rilassarsi, pensando ad un viaggetto, soprattutto quando ci si incontra con gli amici appassionati di moto. Né io né Peppe possiamo considerarci veterani dei viaggi in moto, non avendo mai fatto itinerari più lunghi di tre giorni consecutivi, ma questa volta la voglia di provare un viaggio di almeno una settimana è uno stimolo forte. D’altra parte è la prima estate che passo con la nuova Harley Davidson Road King. La scelta delle possibili mete non segue una metodologia razionale, bensì deriva da racconti di altri amici, notizie comparse su internet, letture varie, insomma si va dove ci porta il cuore. Quello che invece è certa l’organizzazione: niente prenotazioni di alberghi ed itinerario libero. Il cuore ci dice Tirolo, dalle parti di Salisburgo, il Grossglockner, le Dolomiti. Niente d’impegnativo, d’altra parte Peppe porterà sua moglie Antonella che non ha mai partecipato a un viaggio in moto e ovviamente nasconde appena un certo scetticismo, compensato dalla curiosità per la nuova esperienza. Sarò accompagnato da mio figlio Pierfrancesco, reduce dall’esame di terza media.

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Alla vigilia della partenza, meglio dare un’occhiata alle previsioni del tempo, giusto per verificare se la torrida estate proseguirà anche nella prima settimana di agosto. Dolomiti: nuvolosità in aumento e temporali per tutta la settimana. Tirolo: nuvolosità in aumento e temporali per tutta la settimana. Alpi orientali: nuvolosità in aumento e temporali per tutta la settimana. Cerco qualche alternativa, potenzialmente meno umida: Alpi occidentali: nuvolosità in aumento e temporali per tutta la settimana. Francia meridionale: nuvolosità in aumento e per tutta la settimana. Finalmente: Istria e Dalmazia: poco nuvoloso. Chiamo Peppe e al volo decidiamo “Si va in Croazia !” Il giorno della partenza ci incontriamo alle 7 del mattino e vedo Antonella, al suo primo viaggio in moto, che si è saggiamente munita di un morbido cuscino per attenuare la durezza della vita da biker e soprattutto della sella della Yamaha Dragstar. Ultimo controllo, ” Abbiamo preso tutto? I costumi da bagno ?” Questa mia domanda crea in Antonella una visibile perplessità tanto che a sua volta chiede “Ma che ci facciamo con il costume sulle Dolomiti ?”. Comprendo subito che Peppe, nelle fretta dei preparativi, si è dimenticato di aggiornarla sul cambio di direzione e lei ha preparato i bagagli con abiti per superare le basse temperature della montagna. Va bene lo stesso e si parte in direzione dell’Istria. Dopo 500 km di autostrada, filati via senza intoppi, arriviamo a Trieste e attraversiamo il confine con la Slovenia senza sottoporci ai controlli doganali, visto che entrambi gli stati appartengono all’area di libero passaggio di persone e merci. Arrivare in un altro stato, con la propria moto, crea sempre una certa soddisfazione anche quando è una esperienza che hai 59


ripetuto più volte. Non ne so la ragione, ma forse dipende dal fatto che in moto ci si sente più indifesi rispetto all’auto e ciò fa assumere al viaggio un’aura di avventura. . L’idea è di dirigerci verso Rijeka ( Fiume), tagliando l’Istria nell’interno per fermarsi a dormire sulla costa croata. Attraversata la parte slovena dell’Istria, entriamo in Croazia e questa volta alla frontiera ci sono i controlli, ma che comportano solo una breve coda. In questa zona della Croazia scopriamo una fantastica realtà che si confermerà tale per tutto il resto del viaggio: strade dal fondo perfetto e tracciati progettati da un ingegnere motociclista. Alle ore 16 circa, arriviamo sulla costa a Opatija, con il suo golfo e le colline boscose a ridosso del mare. Decidiamo al volo di fermarci qui ed approfittare per uno scorcio di giornata balneare sulla spiaggia. Perfettamente segnalato all’uscita dell’autostrada, ci rivolgiamo all’ufficio turistico per trovare due camere con la possibilità di avere un posto sicuro per parcheggiare le moto, nella notte. La soluzione è presto trovata e in cinque minuti arriviamo alla casa indicata, a Volosko una frazione di Opatija, e una simpatica signora, che parla perfettamente italiano, ci guida alle camere e al posto per le moto. In realtà si tratta di un piccolo appartamento al piano terra, con due buone camere e il bagno in comune, mentre le moto trovano una collocazione decisamente insolita e scomoda, soprattutto per i 3,5 quintali della Road King: una sorta di capanna di legno nel piccolo giardino, raggiungibile con un breve, ma ripido sentiero in terra. Speriamo che non piova, altrimenti diventerà un sentiero di fango e le moto non potranno sicuramente ripercorrerlo in salita. La giornata sta finendo con un tramonto bellissimo per cui trascino Pierfrancesco a fare una nuotata nella vicinissima caletta. L’accoglienza è un po’ fredda (intendo quella dell’acqua istriana) ma il posto è veramente carino: la caletta è circondata da alberi, poco lontano c’è un minuscolo porticciolo 60


e lungo la banchina si affacciano un paio di bar e un piccolo ristorante, con i tavoli all’aperto a due metri dall’acqua. Deciso: stasera la cena la faremo qui! Molto bella è la passeggiata sul lungomare che ci porta fino al centro di Opatija, ombreggiata da grandi querce (si proprio querce) che crescono vicino alla riva e con la vista sui giardini degli alberghi con le loro architetture di fine Ottocento. Assomiglia molto alla Liguria di Santa Margherita e di San Remo. Infatti, proprio alla metà dell’800, inizia il flusso turistico dei viennesi che raggiungono questo paesino dal clima particolarmente gradevole sia in inverno che in estate, così vengono costruite ville nobiliari e alberghi di lusso. Per la cena chiediamo aiuto alla proprietaria dell’appartamento che, guarda caso, ci suggerisce proprio il ristorantino che ho visto. Arriviamo, sul far della sera, con il porticciolo romanticamente illuminato dai vecchi lampioni e dalle discrete insegne dei locali, i turisti sono pochi e passeggiano rilassati. Seduti nel piccolo, ma elegante ristorante Plavi Podrum, grazie alla flebile luce della candela accesa sul tavolo, scorriamo la lista con un’attenzione più ai prezzi in kune che non alla descrizione dei piatti. I prezzi, infatti, generano subito in noi un’evidente inquietudine per le ricadute negative che questa cena potrebbe avere sugli aspetti economico-finanziari della vacanza appena iniziata. Infatti non avendo ancora cambiato gli euri, l’unica informazione sul cambio derivava dal costo del pedaggio autostradale che ci dava 1 euro pari a 3 kune. Con la stessa tensione di un giocatore di poker che, con una semplice coppia in mano, decide di vedere il punto all’avversario, chiedo il valore del cambio al cameriere: “Signore, 1 euro è pari 7,2 kune”. L’animo istantaneamente gioisce alla prospettiva di gustare, al costo di 25 € a testa, una ottima cenetta a base di risotto al nero di seppia con aromi di limone ed arancio, calamari ripieni di

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prosciutto, tutto accompagnato da ottimo vino bianco istriano.

Da sinistra: Antonella, Pierfrancesco, Giuseppe

La mattina seguente, ad Opatija, il cielo è coperto con un venticello freddo e fastidioso, decisamente un “non buongiorno”. Fortunatamente non piove e possiamo tirar fuori le moto dal giardino senza problemi. Prima di partire, scendiamo nel porticciolo per fare colazione in un baretto insieme ai soliti personaggi che frequentano nel primo mattino il porticciolo: il barista, un paio di marinai addetti agli ormeggi, pensionati mattinieri, gli autisti dei furgoni che riforniscono i negozi vicini. Per fare colazione scopriamo che dobbiamo prima comprare le brioches in una vicina panetteria, perché i bar non le hanno. Mentre siamo comodamente seduti al bar con i nostri caffè e cappuccini, il sole timidamente apre uno squarcio nel grigio del cielo e fa risvegliare l’ottimismo, soprattutto quello di Antonella che, non ha mai affrontato la pioggia in moto e vorrebbe evitare per quanto possibile questa esperienza. 62


Dunque, partiamo per un giro lungo le coste dell’Istria fino a Pola per poi rientrare a Opatija la sera stessa. La strada litoranea sale lungo le ripide coste rocciose tanto da farci credere di percorrere una strada di montagna, se non fosse per il mare che vediamo alla nostra sinistra. I soliti camper e il fondo bagnato dalla leggera pioggerellina ci costringono a un’andatura lenta, così approfittiamo per rimirare con calma le isole di fronte alla costa. Dopo Brestova, la strada lascia la costa e prosegue verso nord all’interno nella penisola istriana. Esce anche il sole e casualmente facciamo una sosta a Rasa. Una fortunata scelta, visto che la piazzetta è uno spazio metafisico, come se fosse tratto da un quadro di De Chirico, un raro esempio di architettura del periodo fascista. “ Rasa è un piccolissimo paese costruito nel 1938 sotto il governo italiano per sfruttare i grandi giacimenti di carbone” ci racconta un simpatico vecchietto nel suo parlare italoveneto-slavo. Ancora una volta abbiamo la conferma che i vecchietti sono attirati dalle moto custom come le mosche dal miele (si è vero anche un’ altra sostanza attira le mosche ! ). In genere, appena le moto sono parcheggiate, vedi apparire un vecchietto che ronza attorno con l’espressione di un bambino in un negozio di giocattoli, e subito attacca discorso … qualsiasi discorso, poi puntualmente arriva a chiederti il tipo di moto, quanto costa, a che velocità va, per poi chiudere ricordando quando, da giovane, scorrazzava in lungo e largo con la sua moto. Finalmente raggiungiamo Pola, al cui ingresso ci accoglie … una coda automobilistica mostruosa di circa quattro km che rapidamente risaliamo tutta, grazie all’agilità delle moto e a un’abbondante dose di faccia tosta! In pochi minuti parcheggiamo vicino al grande anfiteatro romano, la principale attrazione turistica della città e per questo affollata dai passeggeri delle auto e dei camper, che hanno superato l’ingorgo.

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Scattate le foto di rito, raggiungiamo la vicina grande fortezza da dove l’esercito austro-ungarico controllava il golfo del Quarnaro, come testimoniano i cannoni esposti all’ingresso. Ripartiamo direzione nord e ci fermiamo a Porec (Parenzo), perché mi viene in mente una canzone di Lelio Luttazzi La mula di Parenzo. Ottima scelta anche questa volta, perché scopriamo, si tratti di un’altra simpatica cittadina istriana con un centro storico ben conservato, sorto, di fatto, su un isolotto attaccato alla costa da un breve istmo. Qui, sotto il sole finalmente estivo, ci concediamo una bella nuotata, proprio all’ombra della cattedrale. E’ ora di rientrare, tagliando la penisola lungo la statale all’altezza di Pazin per poi riprendere la strada a scorrimento veloce fino a Rijeka, così da essere a casa prima di sera. Antonella comincia ad apprezzare lo stile del viaggio in moto, ma il cuscino si rivela uno scarso rimedio alla scomodità del sellino della Yamaha. Propongo uno scambio di passeggero, così che Antonella capisca l’origine del nome del modello della mia moto Road King ( re della strada ), infatti il posto per il passeggero offre una comodità da … Regina. A Pazin, cerco inutilmente di vedere “la foiba, che per le sue pareti scoscese e selvagge ispirò l’immagine dell’inferno a Dante”, come dice la guida che ho acquistato prima di partire. Pochi chilometri dopo l’ingresso del tunnel a pagamento, che ci riporta sulla costa, vediamo una gola rocciosa di grande fascino e di selvaggia grandezza. Oggi comincia la discesa verso sud per raggiungere Zara, sotto il solito cielo grigio e con la solita pioggerellina che ci accompagna. Questa volta, prima di lasciare l’appartamento, abbiamo indossato, con calma e con cura, le tute anti-pioggia, quindi, via, per immergersi nell’inteso traffico cittadino di Rijeka senza paura di bagnarsi. Dopo una ventina di minuti usciamo dalla città per proseguire lungo la statale costiera n.8. 64


Scopriamo una strada mitica, costruita in alto sulla frastagliata costa dalmata, che consente una vista mozzafiato sul mare e sulle numerose isole vicine. Il fondo della strada è perfetto, ricco di piacevoli curve, segnalate con cura da frecce di diverso colore a seconda del raggio di curvatura, un comodo aiuto per impostare le traiettorie. Per la mia esperienza e per quella di altri motociclisti che l’hanno percorsa, si tratta di una dei più bei tratti stradali in assoluto. Per tutta la sua lunghezza fino all’altezza di Zara si ha, da un lato, il paesaggio marino fantastico sempre diverso per il susseguirsi di isole e insenature e dall’altro lato, il paesaggio montano del Parco Nazionale Velebit, aspro e selvaggio. Profumi di mare e di montagna che si alternano. L’unica continua tentazione, nel nostro percorso verso sud, è quella di fermarsi per fare un bagno in una delle innumerevole calette, circondate da rocce bianche e con l’acqua turchese sul fondo. Tentazione che evitiamo, almeno fino al persistere della pioggerellina. Questa, fortunatamente, nel primo pomeriggio sparisce, insieme alle nuvole grigie per lasciare il posto a un bel pomeriggio di sole. Evento questo che fa riemergere la tentazione di cui sopra e intorno alle 16 ci fermiamo a Magdalena, in un’invitante caletta a circa 50 di km da Zara. L’insenatura è bellissima e decido di fare un bagno, visto che l’acqua è cristallina come quella di un torrente di montagna, ma, ahimé, ha anche la stessa temperatura. Resisto stoicamente, ma non convinco gli altri a raggiungermi, tanto che preferiscono restare piacevolmente sdraiati sulla spiaggia a godersi l’ultimo sole. Sulla caletta si affacciano due pensioni, niente di particolarmente bello, ma decidiamo di fermarci per la sera . Di fronte alla Pensione di Jure ci sono due moto ferme e un simpatico ragazzone biondo ( Jure appunto ) che sta chiacchierando amichevolmente con i motociclisti. Mi avvicino e gli chiedo se ci sono due camere. Jure risponde con un grande 65


sorriso e ci arpiona, accompagnandoci a parcheggiare le moto nel cortile della sua pensione con annesso ristorante. Le moto parcheggiate che avevamo visto al nostro arrivo sono di un paio di coppie di motociclisti/e che vengono da Como e da Zurigo a bordo di Ducati 999 e Suzuki Ninja. Scambiamo i soliti discorsi tra vagabondi delle strade, dopo un po’ ci salutano visto che è ora di cena e sono ospiti in un altro albergo. Aggrappati ai mezzi manubri, partono quasi impennando e così restiamo colpiti da una delle ragazze svizzere alla guida della sua Suzuki …con le “infradito” !!! Le camere sono molto grandi e spartane ma pulite, con un letto, un comodino, un armadio e un televisore disposti in maniera casuale, così da dare l’idea di una sistemazione temporanea durante un trasloco. La grigliata di pesce preparata da Jure per la cena è una dei migliori ricordi del viaggio: semplice, abbondante con il sapore del mare ancora vivo. Varrebbe la pena ritornarci appositamente. Il segreto di questo piatto lo scopro il giorno dopo, quando, di primo mattino, scendo sulla spiaggia per scattare delle foto e vedo Jure uscire in barca con un amico per tirare le reti, che ha teso all’imbocco dell’insenatura. Mi saluta sorridente, dicendo: “Vado a preparare la cena”. Questo è il vero segreto: pescato, cotto e mangiato. Lasciamo il nostro palato a Magdalena e raggiungiamo Zara, dove ci fermiamo giusto il tempo per comprare il biglietto del traghetto che utilizzeremo tra qualche giorno per rientrare ad Ancona. Infatti, la nostra meta è Sibenik (Sebenico), per il giro di boa prima di rientrare in Italia, e la vogliamo raggiungere utilizzando ancora la mitica statale n.8. Il paesaggio costiero, a sud di Zara, cambia. La balze montuose, che abbiamo costeggiato fino ad ora, vengono sostituite da una pianura con morbide colline. Seguendone il profilo, con una serie di piacevoli sali e scendi, si aprono scorci panoramici sul vicinissimo arcipelago delle Kornati. 66


Un cartellone pubblicitario, incrociato lungo la strada, suscita in noi un’insanabile curiosità e così decidiamo di raggiungere l’unica isola, accessibile con la moto grazie ad un ponte mobile: l’isola di Murter. Il piccolo ponte mobile, lungo poco più di una trentina di metri, sorge nella cittadina di Tisno e supera lo stretto braccio di mare che separa la parte della cittadina costruita sulla terra ferma da quella costruita sull’isola di Murter. Tisno è un picco paese costiero, non molto trasformato dal turismo e mentre siamo nella piazzetta principale, notiamo che fervono i preparativi per l’evento sportivo dell’anno che si correrà la sera stessa: l’International Donkey Race, ovvero la corsa mondiale dei somari. Potevamo mancare l’evento? Troviamo al volo due camere alla Pension Nikola , a pochi passi dal ponte mobile. La gara è l’evento clou di una festa paesana, iniziata già al mattino, che vede tra le altre cose una regata nello specchio di mare di fronte alla cittadina. Assistiamo dal molo alla partenza di una delle manche della regata, notando con un certo stupore che le barche a vela si allineano alle poppe della miss, in bella mostra sulla barca-giuria. Delle specialità gastronomiche che sono state offerte per pranzo a turisti e locali, rimane una misera carcassa e la testa di un vitello allo spiedo arrostito direttamente sulla banchina con grande gioia di tutte le mosche dell’arcipelago (e probabilmente anche dall’interno della Croazia), venute appositamente per gustare la specialità. Nel circuito del The International Donkey Race, ricavato nella piazza del paese, fervono i preparativi sia nei box che lungo il percorso dove stanno sistemando le balle di paglia di protezione. Alle ore 18 il pubblico non è ancora affluito numeroso così prendiamo posto per assicurarci la posizione sulla curva dove i somari sicuramente in piega rallenteranno la loro folle corsa e potremo scattare delle ottime foto.

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Dopo mezz’ora la gente comincia ad affluire al seguito delle majorettes e della banda che sfilano nelle vie paese e poi lungo il percorso della gara. Antonella resiste tenacemente agli attacchi del pubblico, difendendo con i gomiti la posizione conquistata, mantiene indomita la postazione anche quando viene raggiunta dagli attacchi a colpi di alitosi da quello che potremmo chiamare Superciuk, la minaccia alcolica. Questo è un rubizzo signore di mezza età visibilmente uso a sostenere il corpo e lo spirito con bevande psicotrope alcooliche di diverse gradazioni: dal vino alla grappa! Immagino che se tale personaggio avesse diretto il suo alito letale (un misto di vino, sigarette e cattiva digestione) verso i somari li avrebbe sicuramente messi fuori combattimento, minacciando seriamente così il regolare svolgimento della corsa. Il tempo passa in attesa del completamento dei preparativi, i giudici e gli organizzatori non riescono a nascondere la crescente eccitazione che si respira nei box, così per allentare la tensione, seduti sulle balle di fieno, si scolano una lunga serie di birre! Per contenere l’eccitazione frenetica del pubblico durante la lunga e snervante attesa arriva un gruppo in costumi locali che si esibisce in una miscellanea di danze e canti tradizionali, una coreografia in grado di annientare ogni forma di resistenza fisica anche ai testicoli più tenacemente allenati da anni di cori nei i campi-scuola parrocchiali. Finalmente alle 21 fanno il loro ingresso trionfale i somari ed i relativi somarieri ( credo che si chiamino così coloro che cavalcano i somari ), ogni coppia rappresenta una delle 12 nazioni in gara, tra cui l’Italia. Proprio l’Italia è tra i partecipanti alla prima manche eliminatoria. Nonostante il nostro sfrenato tifo ma solitario (eravamo gli unici a gridare Forza Italia e forse ci avranno preso per i sostenitori del Cavaliere più che della cavalcatura)… il somaro italiano non si qualifica. 68


Profondamente delusi, decidiamo di abbandonare il resto della gara e di raggiungere la pensione per la cena, giusto un minuto prima che si scateni un altro temporale con tuoni e lampi. Al riparo della grande terrazza ci godiamo le luci azzurrognole dei lampi sul mare e le facce da naufraghi del Titanic di quelli che, al termine gara sotto l’acquazzone, rientrano alla pensione. Nessuno di noi osa chiedere chi avesse vinto il trofeo! Chi ha vinto non lo sapremo mai, ma siamo certi che infurieranno polemiche tra gli esperti, in televisione, al Processo alla Corsa; probabilmente si parlerà di uso del peperoncino in posti anatomici non consentiti e corruzione dei giudici con casse di birra tedesca. Il mattino seguente il cielo irregolarmente nuvoloso ci vede in partenza per le cascate sul KRKA, alle spalle di Sebenico, a 40 km da Tisno, la cui posizione è segnalata esattamente dalle nuvole nere di un forte temporale, in corso proprio in quella zona. Fortunatamente quando arriviamo a Skaradin, vicino al parco di Krka il temporale è appena passato e non dobbiamo sottoporci alla solita tortura delle tute anti-pioggia. Anzi il tiepido sole che illumina il fiordo ci suggerisce di prendere con fiducia il traghetto che da Skradin risale per una ventina di minuti il fiume e che ci conduce fin sotto le cascate, insieme ai molti altri turisti, sfollati dalle spiagge dalmate a causa dei temporali. Il traghetto risale lentamente il fiume, incassato in una gola coperta da boschi senza segni di presenza umana, tanto da ricordare la risalita del Congo descritta da Conrad, in Cuore di Tenebra. Scendiamo e percorriamo il sentiero che risale il corso del fiume a fianco delle cascate. Qui l’ambiente naturale è molto bello e ben curato. Le cascate sono costituite da una serie di larghi gradoni in tufo immersi in una rigogliosa vegetazione che formano delle

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grandi vasche tra una cascata e l’altra, su quella più in basso è possibile fare il bagno. Sulla parte superiore delle cascate è stato restaurato un piccolo antico caseggiato, dove si possono visitare il mulino e il maglio che utilizzano la forza delle acque del fiume, inoltre sono stati allestiti altri ambienti per mostrare le attività agricole tradizionali della zona. L’ormai classico temporale dell’ora di pranzo ci trova previdentemente riparati sotto i tendoni di un ristorantino ricavato nel villaggio. Sfortunatamente il luogo è infestato da un gruppo di ragazzini nord-italiani seduti alle nostre spalle che fanno una confusione tale da generare le proteste di tutti gli altri ospiti del ristorante. Al termine della grigliata mista ritorna il sole e ridiscendiamo il fiume, lasciamo il parco per riprendere il viaggio fino a Sebenico. Lungo la strada, veniamo più volte sverniciati a folle velocità da un motociclista senza casco e senza targa. Non è l’unico che abbiamo incontrato durante il viaggio. Strane usanze croate! A Sebenico, sotto gli sguardi invidiosi dei molti turisti, parcheggiamo sulla banchina del lungo mare proprio a ridosso del centro storico, un privilegio concesso alle moto, mentre le auto restano in coda in attesa che si liberi un posto, per lungo tempo, davanti al vicino parcheggio a pagamento. Visitiamo la cittadina con il duomo di stile veneto e le viuzze strette dove sia affacciano molti localini, segno di una intensa vita serale e notturna. La rocca che sovrasta la città offre un panorama fantastico sul verde arcipelago che si snocciola davanti alla città e che il sole, finalmente estivo, inonda di luce. Rientriamo a Tisno prima del tramonto e così abbiamo tempo per percorre la strada panoramica per la cittadina di Murter, sull’altro capo dell’isola.

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Anche questa volta un paesaggio diverso, ma sempre di grande fascino, con le petrose isole Kornati tinte di rosa dal sole che s’inabissa nell’Adriatico. L’ultima sera a Tisno richiede una finale scoppiettante, così scegliamo una pizzeria che offre anche uno spettacolo musicale. Scopriamo che l’ambiente ricorda certe pensioni nelle Dolomiti con sala da ballo per turisti tedeschi, luci variopinte, globetto di specchi roteante sul soffitto e una coppia di attempati musicisti (tastierista e cantante) che si esibisce in una selezione di brani del tipo “Croazia mia”, in verità molto apprezzate dalle diverse coppie stagionate che si esibiscono in pista. Oggi, che è l’ultimo giorno, un bel sole estivo ci accompagna nell’ultima tappa! Prima di raggiungere Zara ci fermiamo a Biograd, cittadina votata al turismo balneare con ospiti sia stranierei che locali. Tipica spiaggia attrezzata con una fila continua di chioschi, ristoranti, alberghi e, con alle spalle, una bella pineta dove ripararsi da sole. Noi abbigliati con giacche e pantaloni in pelle nera, utilizzeremo degnamente l’ombra ventilata dei grandi pini marittimi per un fantastico “sonnellino”, dopo un ottimo pranzo di pesce. Arrivati a Zara aspettiamo l’ora dell’imbarco, passeggiando nel centro storico lungo il “decumano massimo”. La cattedrale romanica e l’area archeologica sono sicuramente l’attrazione principale della città. L’atmosfera deserta è quella tipica sonnolenta di certi centri storici di città marinare nelle domeniche d’estate, abbandonati a favore delle spiagge. Raggiungiamo l’area d’imbarco in anticipo rispetto all’orario, così nell’attesa facciamo quattro chiacchiere con gli altri motociclisti. In particolare una coppia di Chiesanuova ( S. Marino ) ( guarda che combinazione !!) a bordo di una Honda CBR. Da tutti i motociclisti presenti, attestati di grande ammirazione rivolti alla ragazza per la prova d’amore verso il 71


proprio compagno, visto che per tutto il viaggio ha sostenuto sulle spalle uno zaino di 20 kg, appollaiata su una sella da fachiro. Credo che Antonella, a questo punto, abbia profondamente apprezzato la scelta di Peppe per una moto custom anziché per una sportiva. S’intrecciano i racconti punteggiati da episodi più o meno comici più o meno avventurosi, tutti leggermente distorti dal mito del viaggio in moto come avventura, che tanto assomiglia ai racconti tra pescatori dove le prede assumono sempre le sembianze di mostri d’acqua dolce, più che normali pesci. Scende la sera e nella luce giallognola dei lampioni il grande portellone del traghetto si apre, risucchiando nella sua enorme pancia moto, auto e soprattutto la nostra vacanza. E’ la prima volta che imbarchiamo le moto e c’è sempre un certo timore nel sapere che saranno esposte, indifese, al mutevole umore del mare. Per rendere sicura la traversata le moto normalmente vengono legate a degli appositi sostegni. Il sottile cordino, con cui un addetto fissa le nostre moto, conforta le nostre speranze di incontrare mare calmo. soprattutto le speranze mie e di Antonella visto che soffriamo il mal di mare. La traversata notturna è stata piacevolmente allietata dal pianto continuo di un neonato (salvato dall’ira dei passeggeri, grazie al divieto di gettare oggetti fuori bordo) che devo personalmente ringraziare per avermi dato l’opportunità, per tutta la notte, di rimirare le stelle cadenti sull’Adriatico e infine vivere, in diretta, l’alba. Un’alba rosata, annuncio di una splendida giornata estiva … ma oramai che importa quale tempo ci aspetta? La vacanza è finita dopo sette giorni e 1500 km percorsi.

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Dal tramonto all’alba.

Prima che le notti bianche diventassero popolari, c’era solo Dal tramonto all’alba, ma niente a che vedere con il Titty Twister, equivoco locale dell’omonimo sceneggiato di Quentin Tarantino. Nel nostro caso, si tratta fortunatamente di una zingarata di fine agosto per trascorrere una notte all’insegna del divertimento tra amici biker, organizzata dal Civitanova Chapter ! Sempre uguale ma ogni volta diversa. L’appuntamento è nel pomeriggio, nel cimitero di Civitanova, per un saluto a Cristian, un amico socio del Chapter, morto prematuramente nel 2003, poi si parte da Civitanova verso le diciassette, per raggiungere Roma, con l’autostrada che attraversa L’Aquila. Nella Capitale, l’immancabile ottima cena conviviale con il brindisi dedicato a Cristian e poi si vagabonda in moto nei luoghi più caratteristici della città tutta la notte, infine si rientra a Civitanova all’alba del giorno dopo. Un’esperienza che almeno una volta i soci del Chapter devono fare perché, oltre ad essere diversa dai soliti giri, si ha l’opportunità di vivere Roma by night, una città che, nelle ore profonde della notte, è ancor più affascinante e soprattutto vivibile in assenza di traffico. A quanti partecipano al raduno Dal Tramonto all’Alba, sono certo, resterà ben impressa l’immagine finale del mare Adriatico che, all’alba, inizia a tingersi di rosa e che cancella per un attimo la stanchezza! Per due novizi del Chapter (Gianni e il sottoscritto), i racconti dei reduci (scusate !), partecipanti all’edizione 2006, hanno 73


fatto assumere a questa iniziativa i contorni del mito: una sorta di Elefantentreffen alla marchigiana. Si narrava di lotte con tutti i mezzi per difendersi dal freddo: tentativi di riscaldarsi con le viscere di obesi turisti tedeschi sorpresi in sosta all’”Autogrill L’Aquila Est”; testicoli che per una volta tanto apprezzano il caldo tepore dell’odiato bicilindrico; passeggere riemerse dall’ibernazione solo grazie a cappuccini incandescenti e flebo di punch al mandarino. A queste prove eroiche, che nemmeno Giasone e i suoi Argonauti avrebbero superato, si sovrappone in me il ricordo della sequenza, nel film Roma di Federico Fellini, con le rombanti moto che percorrono le strade notturne della Roma anni ’70. Insomma….un’avventura da non perdere ! Infatti, appena arriva il solito SMS dal Chapter con l’invito, le due matricole Gianni e Pinotto (scusate !) Piergiovanni mandano la loro adesione. Mentre il gruppo dei motociclisti è ancora in visita alla tomba di Cristian, con Gianni aspettiamo al casello insieme a due reduci del 2006. Si rinnovano i racconti. Sembrano quelli degli alpini della Divisione Julia, nella ritirata dalla Russia nel ’43, che Rigoni Stern avrebbe potuto raccogliere in un libro dal titolo emblematico: Manopole di Ghiaccio. Tutto questo non genera in me e Gianni alcuna evidente apprensione, infatti, già allertati, abbiamo riposto nelle borse della moto un’attrezzatura antifreddo che avrebbe suscitato l’invidia di Amundsen, durante la sua spedizione al polo sud. Il gruppo finalmente si riunisce e partiamo per Giulianova, dove si aggregherà un altro gruppetto di compagni d’avventura che risiede nell’area di confine tra Marche e Abruzzo e da lì tutti insieme lasciamo la costa. Ci avviciniamo al Gran Sasso, la cui mole sembra ancora più imponente, stagliandosi in controluce nel cielo sul fare della sera. Superato il traforo, raggiungiamo Carsoli, dove è prevista la tappa per la cena, al ristorante La Sequoia. 74


A parte il nome californiano, l’ambiente è di un buon ristorante abruzzese, gestito da una simpatica ostessa, che subito scopre il fanciullino che si nasconde in ogni biker. Con ordini perentori, guida la masnada alla corretta disposizione dei caschi, dei giacconi e alla raccolta degli immancabili mozziconi di sigarette, con un’energia che fa riemergere in me il ricordo dell’infanzia, sopito da decenni di Suor Angelica, superiora nella mia scuola materna. Più che una cena dovremmo definirla una sosta tecnica per rifornire l’organismo di dosi abbondanti di carboidrati (fagioli con le cotiche e fettuccine) e proteine (antipasto di affettati, maialino arrosto, agnello a scottadito) sostanze considerate indispensabili per affrontare il Grande Freddo che incontreremo, al ritorno, sotto il Gran Sasso. Al ristorante ci raggiungono Roberta e Paolo, una coppia di simpatici biker romani amici del Chapter, che, con la loro Elettra, ci faranno da guida turistico - stradale nel labirinto urbano della Metropoli. Ripartiamo alle ore 23, indossando precauzionalmente indumenti moderatamente pesanti per evitare che il clima notturno delle valli abruzzesi blocchi il prezioso processo chimico, che il nostro intestino sta avviando, con non poca difficoltà. Avvicinandoci a Roma, percorrendo l’autostrada, scopriamo sulla nostra pelle (grazie ad un’abbondante sudorazione) quello che tutti i telegiornali della serata hanno annunciato con grande enfasi e che noi, in viaggio, ovviamente non abbiamo ascoltato: sabato, la temperatura a Roma ha toccato valori da record, superando i quaranta gradi ! La scena che si sarebbe presentata a un ipotetico viaggiatore che, in quel momento avesse sostato alla stazione di servizio di Tivoli, è quella di un gruppo di motociclisti appena usciti dal concorso tipico dei motoraduni mister maglietta bagnata o di un gruppo di reduci da una battaglia di gavettoni. Così 75


sembriamo, emergendo dai pesanti giacconi in un concitato spogliarello, a causa della sauna prodotta dall’infernale effetto congiunto del caldo afoso, dell’asfalto rovente e del Big Twin tra le cosce! Superata l’impasse, a mezzanotte, le ventuno moto incolonnate, entrano nell’Urbe, suscitando con il suono del loro ritmo tribale una certa attenzione dai perennemente scettici romani, numerosi in strada nonostante l’ora tarda per cercare scampo dall’afa e della noia della televisione. Attraversiamo, da protagonisti, una insolitamente deserta via Veneto. La dolce vita è rimasta solo nel nome di qualche coppa gelato ! Prima sosta alla fontana di Trevi dove, arsi dalla sete provocata dal clima torrido, assaltiamo un chiosco gestito da due pakistani. Il costo di 2 euro per una bottiglietta di acqua da mezzo litro smentisce immediatamente l’ipotesi di trovarci di fronte ad un commercio equo e solidale. Qualcuno, invece, cerca di giustificare il prezzo con la plausibile motivazione che si tratti non di acqua da bere, ma un prezioso romantico souvenir per turisti con la “vera acqua di Fontana di Trevi”, che da rozzi biker assetati non abbiamo adeguatamente apprezzato. Totò è stato profetico nel film Totò truffa in cui cerca di vendere la Fontana di Trevi a un turista americano, ma non avrebbe certo immaginato di essere superato da astuti rappresentanti dei recenti flussi migratori nell’abbindolare turisti italiani ed esteri, vendendo a caro prezzo non tutta la fontana, ma la sola acqua, tra l’altro inesauribile! Il rombo delle moto viene amplificato dalle strette vie del centro, mentre raggiungiamo Trinità de Monti. Finalmente qualche imprevisto: l’antifurto della moto di un nostro compagno non si disinnesca a causa, probabilmente, di un campo magnetico provocato da un impianto d’allarme di qualche negozio vicino. La coppia a bordo vive momenti di panico, nonostante alcuni di noi tentino di convincerli a far 76


buon viso a cattiva sorte, prendendo una camera nel vicino lussuosissimo e romantico albergo, con vista sulla splendida Scalinata e sui tetti di Roma. Proprio mentre la proposta inizia a far breccia nella ragazza, l’antifurto si sblocca per conto suo e si riparte. Un antifurto decisamente poco romantico! La temperatura si mantiene sempre intorno ai quaranta gradi, Paolo e Roberta, le nostre guide nel tour romano, nascondendo astutamente la loro grande pratica nell’attraversamento dei deserti africani, (visto che erano gli unici a non essere assillati da necessità idriche: liquidi da assumere e altri da espellere) proseguono a marce forzate e ci organizzano una sosta sotto l’Arco di Costantino, davanti al Colosseo. Una decisione che sicuramente fa felici tutti, visti gli angoli appartati e la grande quantità di pini marittimi prontamente presi (letteralmente) di mira dagli … incontinenti! Lascia tuttavia altri a bocca asciutta, vista l’assoluta mancanza di chioschi e fontanelle. Ventuno moto parcheggiate con luccicanti cromature e biker bardati di cuoio nero, sotto il Colosseo, sono sicuramente uno spettacolo che richiama quello dei gladiatori e attira dei nottambuli increduli turisti, pronti a fissare quest’attimo più improbabile che irripetibile con le loro macchine fotografiche. Parzialmente soddisfatto, il gruppo riparte, passando incurante di fronte ai miraggi che, assumendo le sembianze di chioschi di cocomerai, inducono alcuni di noi a meditare la diserzione. La voglia di scoprire le bellezze notturne romane fa superare queste tentazioni e ci porta prima a Piazza S. Pietro, percorrendo la maestosa via della Conciliazione, il colonnato sembra abbracciarci. Lasciamo la piazza per salire sul Gianicolo, dove troviamo finalmente un’oasi, ovvero un chiosco ben fornito, ma è soprattutto il panorama della Città Eterna distesa ai nostri piedi che appaga lo spirito. Condividiamo questo magnifico spettacolo con giovani romane

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e/o forestiere che bivaccano sul belvedere, godendosi il fresco con i loro ganzi. Di nuovo in moto, scendiamo le ripide strade del Gianicolo, rivestite dai subdoli sampietrini che le tracce del tempo testimoniano posti in opera direttamente dai consoli romani, un’antichità che si manifesta in buche e avvallamenti così fitti da farci immaginare i percorsi della Parigi - Dakar. Qui, per evitare un’auto, Paolo inchioda bruscamente e butta abilmente a terra la moto, mentre Roberta è costretta a eseguire un’agile capriola dal sellino della moto sui sampietrini: salto carpiato con avvitamento (in pollici of course), difficoltà 2,5. Una prova di abilità che suscita una grande suspance in tutti noi e che, conclusasi fortunatamente senza conseguenze per persone e mezzo, suscita un’ammirazione per l’elegante prova di abilità ginnico - motociclistica della coppia e in particolare di Roberta. Verso le tre, arriviamo all’ultima tappa romana, lo Zodiaco. Terrazza panoramica a Monte Mario, nota per l’ampia vista sulla città e soprattutto per l’intensità dei campi magnetici provocati dalle numerose antenne radio - video –telefoniche, installate accanto. Inconsapevoli delle perniciose conseguenze dei suddetti campi magnetici, parcheggiamo sotto le antenne. Chi prende l’ennesimo caffè, chi una Coca Cola nel piccolo bar con vista, poi si riparte. O meglio, tentiamo vanamente di ripartire. Infatti, tutti gli antifurto non si disattivano e per riavviare le moto dobbiamo allontanarci dalle antenne, percorrendo in folle la strada, fortunatamente in discesa, con grande sfavillio di frecce accese e penetranti suoni di sirene. Un inatteso spettacolo, nel cuore di un’afosa notte romana, per la gioia dei residenti. Dopo circa un chilometro tutto torna nella norma e prendiamo realmente la via del ritorno.

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La presenza, a Roma, del nostro gruppo di baldi biker non è passata inosservata e sicuramente è girata voce, visto che, lungo la Salaria, avvenenti ragazze (o presunte tali), con vesti succinte, sono scese appositamente lungo i marciapiedi per darci il loro saluto e, come moderne sirene, invitarci a restare con loro. Le nostre Big Twin ci proteggono ancora dalla tentazione, grazie al suono degli scarichi, più o meno aperti, che copre i sensuali richiami di queste moderne sirene … e come Ulisse proseguiamo per la nostra strada. Roma, Area di Servizio Raccordo Anulare ore quattro. In vista della traversata degli Appennini, si decide una sosta per indossare gli indumenti, appositamente preparati per combattere il rigido clima che ci attenderà sui monti abruzzesi, nonostante la temperatura sia rimasta costantemente sui trenta gradi. Nel giro di dieci minuti, sotto gli occhi perplessi dei due benzinai di turno, un gruppo di motociclisti, dallo stile vagamente californiano, si trasforma nella squadra di Robert Scott in partenza per la fatale esplorazione del 1901, alla scoperta dell’Antartide. Da borse e zaini emergono: maglioni stile Natale a Cortina, guanti di pelle con interno in pelo di muflone, chap testati sulle nevi del Montana, mutandoni felpati ascellari, passamontagna stile quelli del P38, completi antipioggia - tempesta - caduta di meteoriti, giacconi hi-tech a triplo spessore goretex -carbonio kevlar, la sciarpa di lana della nonna. Vista la concitazione con la quale, in dieci minuti, tutti noi c’eravamo vestiti, Tiziano, il nostro segretario, ci mostra come invece si debba procedere in maniera sistematica e con calma alla vestizione, partendo dagli indumenti più intimi al casco, impiegando poco più di venti minuti. Assistiamo con grande attenzione alla dimostrazione, nonostante siamo già completamente vestiti e la temperatura infernale provoca in tutti noi una fastidiosa sudorazione. 79


Il rombo dei motori intona un liberatorio arrivederci Roma. La traversata, fortunatamente, si svolge con una temperatura più che accettabile e traffico inesistente. S’impone la sosta classica all’area di servizio “L’Aquila Ovest”, dove, per chi non lo sapesse, a quell’ora vengono sfornati cornetti caldi. Sull’Autostrada Bologna-Canosa, Area di Servizio Tortoreto, è l’alba di un giorno radioso, col sole che tinge di rosa il nostro Adriatico e invita a toglierci le attrezzature pesanti per riassumere l’aspetto di biker mediterranei. Sulla via del ritorno, in genere appena imboccata l’autostrada, si manifestano gli effetti della sindrome, da me definita, presto a casa. Infatti, nelle mie poche uscite con il Chapter, ho notato che più ci si avvicina a casa più aumenta la velocità di crociera, lasciandomi tutte le volte, ultimo o addirittura abbandonato dai contatti con gli altri. A mio modesto parere, questa sindrome è dovuta alla volontà di ridurre, grazie ad rapido ritorno, gli effetti negativi della rottura di scatole probabilmente provocata dalle due seguenti cause: A – la sella della moto troppo dura B- le rimostranze delle mogli - amanti - madri “per il tempo che passiamo in moto, insieme a compagni di discutibile sanità mentale, mentre loro, a casa, svolgono faticosissimi impegni domestici”. Chiarirò forse, con il tempo, questo dilemma ! Questa volta, francobollato ai primi, supero la soglia dei 120 km/h. Normalmente, infatti, a quella velocità si attiva il limitatore automatico, ovvero mia moglie che, dalla sua postazione di passeggera, comunica, picchiando sul casco o ai fianchi, l’opportunità di rientrare nei limiti che lei ritiene di sicurezza. 80


Sistema di comunicazione reso necessario dal fatto che in questa situazione sempre, stranamente, l’interfono cessa di funzionare. Mentre assaporo il brivido della velocità dei140 km/h, tra Grottammare e Pedaso, avverto un calo di potenza e perdo contatto con il gruppo. In galleria vedo un fumo biancastro alle mie spalle. Sento che la gomma posteriore non ha la stessa tenuta di strada. Nella mente scandisco rapidamente, come fossi il protagonista di Matrix, la letteratura tecnica fondamentale: • Manuale della moto, M. Clarke, A. Mondadori Editore, terza edizione 1996 • 2005 Harley Davidson International Owner’s manual – Touring models • Harley Davidson FLH/FLT TWIN CAM 88 & 103 – 1999-2005 cap.2: troubleshooting La soluzione viene da Jerry, che da qualche minuto mi segue con sguardo indagatore e mi comunica il problema: ”Stai perdendo olio !” e vedo … o meglio…non vedo più il tappo del serbatoio dell’olio, vicino alla mia pedana di destra. La fiancata destra della moto ha assunto lo stesso aspetto delle schiene femminili, esposte alla canicola estiva sul lettino nello stabilimento Lisetta di Porto Recanati: testa di moro lucido ! Riduco ulteriormente la velocità e gestisco la perdita di aderenza, provocata dall’olio sulla gomma posteriore, grazie alla mia esperienza di sciatore provetto. Fortunatamente, riesco a uscire dall’autostrada a Civitanova e a parcheggiare al distributore Tamoil, seguito da Jerry. Ipotizziamo la soluzione da adottare per tornare a casa: chiudere la bocchetta dell’olio con un tappo fatto di pellicola di alluminio Domo pack, dopo aver effettuato un rabbocco per evitare il grippaggio del motore. Saluto Jerry e resto solo nella deserta stazione di servizio, chiusa per ferie. 81


Alle sette di mattina, lo squillo del telefono a casa dei suoceri, dove avevano trascorso la notte moglie e figli, avrà sicuramente avuto l’effetto delle trombe del giudizio. Questo a giudicare dalla voce di Daniela, mia moglie, insolitamente profonda e leggermente impastata, simile a quella di Patti Pravo, per intenderci ! Dopo una rapida spiegazione della situazione, passo immediatamente a elencare con tono perentorio i materiali che mi servono e la loro posizione esatta, o meglio probabile, nel garage: • fascetta metallica “quella del tubo per innaffiare e Svitol per la fascetta che è un po’ arrugginita “. • flacone di olio “con la scritta 20 – 50 …attenzione non quello per 2 tempi !” • vassoio alluminio Domopak “ quello delle cipolline arrosto prese in rosticceria “. • una matassina di fil di ferro “può sempre essere utile”. Dopo un’ora, trascorsa a osservare sulla strada gruppetti familiari che si apprestano a trascorrere una bella giornata di sole al mare, arriva mia moglie. Mi consegna un sacchetto con tutta l’attrezzatura ordinata, commentando l’efficacia dell’intervento tecnico ipotizzato con lo stesso tono che aveva Max Biaggi, nel Moto GP 2005, sulle soluzioni del team tecnico Honda, per eliminare il chattering alla sua moto. Ma proprio in queste circostanze che si vede il biker esperto, osservo attentamente le attrezzature disposte sul marciapiede e prendo la situazione in mano. O meglio … prendo in mano il telefono e chiamo HOG Assistance per far caricare la moto da un carro attrezzi e trasportarla, il giorno dopo, all’officina HD a Montegranaro, dal fido meccanico Roberto .

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Dopo aver comunicato telefonicamente all’incaricato la mia posizione (latitudine e longitudine), riferito il guasto occorso, numero di tessera HOG, targa della moto, vengo rassicurato che, in trenta minuti, verranno a prendere la moto. Aspetteremo ! Chiudo la telefonata e cerco di trovare le parole giuste, per rassicurare la sconsolata Daniela che la sua domenica al mare, nonostante tutto, non andrà persa. Mentre sono assorto in questi pensieri, mi trovo di fronte un signore in calzoncini e canottiera, tipo Mago Oronzo, che osserva la moto. Penso al solito marito curioso, protagonista della classica Fuga dall’ombrellone, che esordisce con la più tipica delle domande: “E’ sua la moto ?”. Sentire questa domanda in una deserta area di servizio, essendo il solo vestito con stivali di pelle, jeans di pelle nera, con a fianco un giaccone di pelle e casco, oltre al dettaglio non trascurabile di mani decisamente scure per l’olio, provoca istantaneamente sul mio volto un’espressione di profondo disagio, prontamente colta dall’interlocutore che non mi da il tempo di rispondere e mi dice: “ … sono quello dell’autosoccorso !” L’apparizione produce su di me lo stesso effetto di quello prodotto sugli abitanti del Pianeta Fantasma alla comparsa del capitano Kirk tele-trasportato dall’Enterprise (Star Trek: episodio 324 – Data stellare 200708.26). Anche questa volta, dimostrando una grande capacità di leggere l’animo delle persone e approfittando della mia involontaria afasia, il signore dell’autosoccorso prosegue “L’auto-carrozzeria che fa il soccorso stradale è quella lì a 50 metri. Vede le bandiere? Spingiamo la moto dentro e domani la porterò all’officina HD”. La moderata soddisfazione del sottoscritto per la pronta soluzione è nulla a confronto dell’entusiasmo, ma volutamente

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sottaciuto, di mia moglie per aver inaspettatamente recuperato la programmata giornata di mare ! Parcheggiata la moto in deposito, dopo cinque minuti, Daniela parte, a una velocità decisamente superiore al limite concessomi con la moto, per depositarmi rapidamente a casa e ripartire altrettanto rapidamente per la spiaggia. A casa, solo e parzialmente inebetito da un leggero mal d’auto provocato dalla guida sportiva della consorte e dalla nottata insonne alle spalle, assaporo finalmente il giusto sonno del reduce di Dal tramonto all’alba-edizione 2007 con la certezza che l’anno prossimo ci sarò ancora! Dal tramonto all’alba 2009: http://vimeo.com/6267384 Dal tramonto all’alba 2011: http://vimeo.com/28536202

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Cotte e mangiate.

Così chiamo quelle uscite decise all’ultimo minuto e che sono il sale dell’andare in moto. Nulla di programmato, ma a fare da guida solo l’ispirazione del momento e, come direbbe il grande Chuck Berry, “no particolar place to go !” Inverno E sì ... pioggia, neve, freddo non sono le condizioni migliori per andare in moto, in inverno. L'inizio dell’anno, fino a oggi, non ci ha dato fine settimana in cui poter organizzare uscite decenti in moto, ma solo giretti di un paio d’ore, boni solo per non fare scaricare la batteria. Finalmente, questa domenica di fine febbraio si annuncia come una splendida giornata di sole, con temperature assolutamente gradevoli. Un veloce sms agli amici e, in un quarto d’ora, ci troviamo pronti al solito bar. La decisione è presto presa, un classico delle uscite domenicali: Castelluccio di Norcia. Due anni fa, sempre nello stesso periodo, eravamo nella vicina Forca di Presta, a oltre 1500 m di altitudine, sotto il Vettore, nelle stesse condizioni. In un’ora arriviamo al Piano Grande, che il sole fa splendere di un candore quasi accecante, una distesa coperta di neve attraversata dalla striscia nera della strada che percorriamo, sotto gli sguardi (immaginiamo) meravigliati degli sciatori, sulle tracce per lo sci da fondo. Uno scenario impensabile da osservare a bordo di una moto. ~

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La Settimana Santa è stata un rapido e capriccioso alternarsi di freddo, pioggia, neve e timido sole. Marzo pazzerello… leggevamo sui libri della scuola elementare. Venerdì sarà una giornata freddina, ma con il sole che forse anticiperà un imprevisto sabato assolato. Durerà per Pasqua e lunedì di Pasqua? Impietose, le previsioni meteo avvertono di un abbassamento repentino delle temperature dalla notte del sabato, cui seguiranno due giorni di pioggia. Allora, bisogna seguire i suggerimenti del filosofo Cogli l'attimo. SMS agli amici e rapida organizzazione di un'uscita nel pomeriggio prefestivo verso il mare. La giornata è perfetta per luce, temperatura, colori del paesaggio, stato della strada, assenza di traffico. Sfiliamo lungo le strade collinari senza temere, finalmente, la chiazza scivolosa di asfalto bagnato dietro la curva in ombra o l'accumulo di brecciolino sparso dal mezzo antineve. Si trotta finalmente decisi! Sulla Strada Provinciale del Conero si sono dati appuntamento molti motociclisti per divertirsi lungo la collana di curve, bellissime tra Sirolo e Ancona. Purtroppo, anche molti automobilisti e camperisti hanno avuto la stessa idea, non per le curve immagino, ma per raggiungere le spiagge della Riviera del Conero. Quindi prudenza e via verso il mare! Il profumo del bosco filtra dal casco, insieme all’aria frizzantina. Dal tenero verde dei campi di grano, che contrasta con il verde scuro della macchia mediterranea delle pendici del Monte Conero, finalmente appare, dietro la curva, Poggio con l’azzurro del mare e le bianche scogliere, sopra il Trave, a incastonare la baia di Portonovo. Sulla spiaggia di bianchi ciottoli si alternano motociclisti in tuta di pelle e i primi bagnanti in costume, ma in questo tiepido pomeriggio il personaggio più frequente è il turista, stravaccato sulle sedie dei ristorantini, impegnato nella digestione del pranzo, sicuramente a base di pesce, e, allo stesso tempo, intento a ottenere una precoce tintarella. 86


Prima di tornare a casa, nel classico salto dal mare al monte, imbocchiamo la strada che raggiunge la cima del Conero dove in un piccolo bar, nascosto nella macchia mediterranea, ci beviamo il bicchiere della staffa. Domenica e lunedì le previsioni si sono puntualmente avverate: pioggia e freddo, ma intanto, noi un bel giretto ce lo siamo già fatto! Primavera Finalmente un bellissimo giorno di fine aprile certifica che l’inverno è oramai alle spalle. Mentre faccio colazione con Gianluca, mio figlio sedicenne, butto là “Sarebbe un giorno perfetto per un giro in moto”. Lui annuisce … è in vacanza! Non mi sembra che ci vogliano altre ragioni per una giornata di ferie, decisa all'ultimo minuto, così decidiamo di partire in moto per un giro senza una meta precisa. Dovremmo sempre più spesso seguire l’impulso, quando ci dice che stiamo facendo la cosa giusta. Gianluca mi chiede di andare a Castelluccio perché vi era stato da piccolo e non ricordava più il paesaggio. Sarò stato centinaia di volte in quel luogo che considero il cuore degli Appennini, ma questa è un’occasione speciale perché condivido il viaggio con mio figlio, non capita spesso e credo che succederà sempre meno in futuro. Ognuno seguirà, nella via, la propria meta, com’è giusto che sia. Cerchiamo di godere questo momento, magari con qualche variante, se capita. La strada, in questo giorno lavorativo, è deserta e si pennellano le curve e i tornanti senza la solita necessità di farsi largo tra camper e auto che procedono lenti, per la classica scampagnata. Dopo tante curve, il lungo rettilineo del Pian Grande ci guida ad attraversare questo fondo di antico lago, fino a raggiungere il crinale da cui il panorama spazia sulla valle di Norcia.

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Una variante rispetto ai soliti giri è d’obbligo, così scendiamo ad Arquata e poi lungo la Salaria verso Rieti. Magari ci scappa un salto all'abbazia di Farfa! Il mio rapporto con l’abbazia imperiale di Farfa nasce durante i miei giri nell’entroterra di Fermo, incontrando spesso le vestigia di opere che hanno a che fare con quest’abbazia. Dopo averne letta la storia e conosciuto l’importanza che ha avuto, anche nella storia della nostra Regione, mi è nata la voglia di visitarla. Fino ad oggi non ci sono mai riuscito per un motivo o per l’altro. Questa sembrerebbe essere la volta buona, ma anche questa volta il diavolo ci mette la coda: all’altezza di Antrodoco si sgancia il rimando del cambio e rimango con la quinta marcia innestata. Nulla di grave, potrei rimetterlo subito a posto, ma proseguo lungo la Salaria in quinta, confidando sulla grande coppia del motore e sui lunghi rettilinei che ci portano verso Rieti. Decido di fermarmi alla prima stazione di servizio sia per fare il pieno e sistemare la leva con calma, quindi decido di deviare per le Cascate delle Marmore, visto che la strada è in discesa. Ovviamente salta Farfa, ancora una volta manco l’obiettivo. Oltre al pieno di benzina è ora di fare anche il pieno di alimenti e, nel deserto parcheggio all’ingresso delle Cascate, troviamo il classico venditore di panini e porchetta con un cartello invitante Il ristoro del motociclista. Accettato subito l’invito, ci gustiamo un ottimo panino con la porchetta mentre il “porchettaro” ci racconta delle sue imprese motoristiche in enduro tra Marche e Umbria. Squilla il cellulare di Gianluca e già immagino che dovremo riprendere la via del ritorno lungo la Valnerina. E così è! Il traffico sulla mitica strada è scarso e l’andatura allegra. Sui lati, gli alberi in fiore inquadrano una delle più belle strade da fare in moto. Arriviamo a casa dopo sei ore e circa 400 chilometri di un viaggio senza nessun evento particolare, ma che mi auguro, resti nella memoria di entrambi, solo per averlo fatto. 88


Paesaggi marchigiani.

I


Con Daniela in Sardegna – agosto 2012.

II


Al Grossglockner (Austria) con i figli: Pierfrancesco, sopra, e Gianluca, sotto.

III


I colori dell’America (sopra) e quelli dell’Europa (sotto).

IV


Estate Chi è il migliore amico del motociclista? Facile … l’Anticiclone delle Azzorre! Solo lui può regalarci giornate di sole pieno, con un bel cielo azzurro come quello di oggi, troppo azzurro per non fare un bel giro in moto. E allora … si parte! Siamo in quattro moto: Lorenzo, Gianni, Peppe e Antonella, oltre a me. L’idea è di toccare alcune zone vicine a casa nostra, ma spesso, per questa ragione, snobbate. Il percorso che abbiamo scoperto è classificabile come un “5 stelle”. S’inizia in direzione della Valnerina che percorriamo fino a S. Anatolia di Narco, dove dobbiamo lasciare la valle per salire verso Monteleone di Spoleto e Leonessa. Prima però bisogna fare il pieno al distributore di S. Anatolia per due buone ragioni: la prima è che, per i prossimi chilometri, scarseggiano i benzinai aperti, la seconda per salutare la simpatica ragazza del distributore, appassionata dei bicilindrici a Stelle e Strisce. La strada fino a Leonessa varrebbe già da sola l’uscita, visto che s’inerpica lungo le ripide coste della valle e, in quindici minuti, superiamo circa 800 metri di dislivello. Non male! A Leonessa prendiamo la strada per il Terminillo che attraversa boschi e faggete, frequentate da comitive attrezzate per una bella scampagnata, proseguendo poi fino ai 1975 metri della Sella di Leonessa: il passo che conduce a Rieti. La strada è rovinata per il gelo e superiamo una sbarra che dovrebbe impedire l’accesso alla strada, visto che, in inverno, la neve e la posizione la rendono pericolosa. In cima alla Sella, ai bordi della strada, ci attende l’ultima neve, ma la temperatura e l’entusiasmo per il magnifico paesaggio sono alle stelle. Sul passo troviamo un gruppetto di motociclisti romani, e visto che è l’ora adatta per uno spuntino… la sosta diventa un obbligo. Lorenzo tira fuori dalla borsa un sacchetto di “calcioni” di sua produzione, dolci tipici del nostro paese fatti

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con la ricotta e il formaggio che offre a tutti, compresi due bei cani, comparsi improvvisamente accanto alle nostre moto. Sull’altro versante che conduce a Rieti, la strada è perfetta con un fondo in ottime condizioni e curve da inanellare fino alla pianura del Velino. Lasciamo Rieti in direzione della Valle del Salto, seguendo le indicazioni per Avezzano. La valle è di un verde brillante coperta da grandi boschi che le danno un aspetto quasi selvaggio. Si possono seguire due strade: quella lungo il lago di Turano e quella di mezza costa, più rapida, perché come una superstrada, passa all’esterno dei centri abitati. Prendiamo quest’ultima, senza una ragione, oppure perché l’ora comincia a farci apprezzare gli inviti dei cartelloni pubblicitari dei ristoranti e usciamo a Fiamigliano, per fermarci al ristorante Il Barone. Una scelta ottima, per la simpatica accoglienza ed il menù a misura di biker: ricco antipasto e un bel primo abbondante! Rifocillati, ci rimettiamo in marcia per raggiungere L’Aquila, evitando la vicina autostrada. Scegliamo, infatti, sulla mappa una strada secondaria che sale verso il Pian di Roscino (1200 metri di altitudine) e quindi ridiscende verso Tornimparte. Ancora una volta l’Abruzzo ci rivela le sue segrete bellezze: attraversiamo bei pascoli, facendo attenzione alle mucche che spesso gironzolano ai bordi della strada e, infine, ci affacciamo sull’altipiano che accoglie L’Aquila, circondato dal Gran Sasso e dalle propaggini settentrionali del Monte Velino. Una vista da non perdere! Scendiamo quindi fino a L’Aquila che visitiamo velocemente per renderci conto del grave danno provocato dal terremoto. Fa venire in mente Pompei! Forza aquilani !!! Si è fatto tardi e decidiamo di rientrare attraverso l’autostrada per Teramo e Giulianova. Due ore sono sufficienti per far correre, a briglie sciolte, i cavalli (motore) fino a casa dopo un viaggio condotto al trotto per godere del paesaggio. In totale 11 ore per circa 450 km.

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Autunno Caldarroste! Ogni volta che m’imbatto con questa parola, non posso fare a meno di associare il vocabolo alla sensazione che tutti noi abbiamo provato, nelle torride giornate d’estate, quando, con la nostra bicilindrica raffreddata ad aria, siamo restati bloccati, in una coda di auto, sul lungo mare di una cittadina balneare. Il calore che proviene dai cilindri sale inesorabile verso le nostre “castagne”, è in quel momento vorresti avere una bella carena tra te e il motore, oltre ad un efficiente radiatore che raffreddi un quadricilindrico frontemarcia. Invece, questa volta, fortunatamente, le castagne che finiranno arrostite sono quelle gustose dei nostri boschi e, per raffreddarle, basta immergerle nel vino cotto di Loro Piceno. Questa prospettiva è già abbastanza allettante per tirare fuori le moto dai garage e percorrere le strade delle nostre colline con gli amici del Chapter, che hanno scelto il piccolo Agriturismo Colle Regnano, tra S. Ginesio e Tolentino, per una delle tipiche uscite giornaliere. In una mattina domenicale, dalla temperatura insolitamente tiepida per il periodo, ci troviamo ad attraversare un paesaggio dai colori autunnali illuminati da un sole appena velato… è proprio l’Estate di San Martino. Siamo un bel gruppo, anche i più freddolosi non hanno resistito a godersi questo scampolo di stagione. Una trentina di bicilindrici percorre le strade del centro storico di S. Ginesio, sotto lo sguardo divertito e meravigliato di quanti stanno andando a prendere l’aperitivo o hanno appena comprato bignè e cannoli per chiudere il pranzo della domenica. Certo, gli scarichi aperti e tonanti delle moto avranno risvegliato bruscamente la quiete sonnacchiosa dei piccoli borghi che abbiamo attraversato, ma questa carovana nera e cromo suscita in chi si osserva sempre sorrisi di approvazione e, credo, anche d’invidia. 91


Dal piccolo agriturismo, ricavato in una vecchia casa contadina, si domina un bellissimo paesaggio con vista sui Sibillini, già coperti dalla prima neve. I profumi che provengono dalla cucina ci fanno raggiungere rapidamente i tavoli per affrontare l’impegnativo “polentone”, una specialità della casa. Si tratta di una polenta a grana grossa tagliata a strati orizzontali, che viene poi farcita con un sugo fatto di salciccia e funghi, il tutto è gratinato al forno. Fantastico! Durante il pranzo, i discorsi oscillano tra i racconti delle uscite fatte in quest’anno che sta per finire e i programmi per quello che verrà. Da cosa, nasce cosa, infatti, spesso i ricordi di uno diventano i progetti futuri per un altro, questo è uno dei vantaggi di far parte di un gruppo come il Chapter. Alla fine, le caldarroste e il vino cotto chiudono in bellezza quest’uscita, come tutti ci aspettavamo! Terminillo e dintorni: http://vimeo.com/23499862 Curve e tornanti a family tour: http://vimeo.com/22797911 Caldarroste: http://vimeo.com/7671138

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Spagna e Francia.

Ecco, ancora una volta è arrivato il periodo delle ferie di agosto, agognato e temuto perché i molti giorni a disposizione consentono di organizzare una bella vacanza. Purtroppo, questa idea ce l’hanno in molti, creando così i soliti ingorghi, l’indisponibilità di posti in albergo, l’affollamento nei luoghi turistici, l’aumento indiscriminato dei prezzi. Partire in moto significa, per lo meno, non preoccuparsi delle code autostradali nei giorni con bollino rosso o nero , se poi si cerca una meta meno abusata turisticamente, si evitano anche gli altri rischi. Noi lo abbiamo fatto in parte: certamente la moto, ma per i luoghi abbiamo scelto il top delle mete vacanziere: Costa Brava e Costa Azzurra, con una puntata a Barcellona. ~ Tre moto e tre equipaggi composti da coppie affiatate nel viaggio e nella vita: Daniela ed io, Gianni e Roberta, Giuseppe e Antonella. Insieme, abbiamo percorso già molte migliaia di chilometri divertendoci e quindi volentieri condividiamo anche questa vacanza, che è un po’ più lunga del solito. Difficile trovare la compagnia giusta per una vacanza in moto, occorre avere lo stesso ritmo, la stessa tolleranza, la stessa voglia di divertirsi che cancella qualsiasi inconveniente. “Take it easy” è la nostra filosofia.

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Per arrivare in Costa Azzurra, abbiamo scelto di scendere da nord, attraversando le Alpi, invece di percorrere la strada lungo la costa. Una decisione che si è rivelata ottima. Non solo perché ci ha permesso di evitare l’immancabile traffico da bollino nero sull’Autostrada dei Fiori, ma soprattutto perché ci ha dato la possibilità di scoprire dei luoghi e dei paesaggi bellissimi, con tracciati stradali disegnati per godere il piacere della moto. Il giorno della partenza puntiamo decisi verso nord e risaliamo, come i salmoni, l’autostrada, mentre nella corsia sud un flusso intenso e continuo di auto scende in senso contrario. Abbandoniamo l’autostrada dalle parti di Torino e cominciamo a salire verso il passo del Monginevro, confine ormai solo culturale tra Italia e Francia. Sarà un caso, ma arriviamo al Passo all’ora di pranzo dopo circa sei ore di viaggio e 650 km percorsi, così, volentieri, parcheggiamo le moto per distenderci sulle panche di un cafferistorante, godendoci un bel sole, rilassati e circondati da prati verdi. Dopo questa necessaria pausa, scendiamo sul lato francese che si apre nella valle che porta a Briancon, fiancheggiata da compatte montagne, ben diverse dalle frastagliate Dolomiti. La strada è larga e comoda, costeggia laghi fantastici che attirano un discreto numero di turisti, tanto che incrociamo qualche piccolissimo incolonnamento all’ingresso dei paesi più grandi. Oltrepassiamo Briancon, la seconda città più alta d’Europa dopo Davos in Svizzera e, nonostante i chilometri alle spalle siano già molti, decidiamo di pernottare a Barcellonnette nel cuore delle Alpi della Alta Provenza, guidati da un pizzico d’ironia, visto che vorremmo arrivare a Barcellona. Fortunatamente, non troviamo posto nel primo albergo che incontriamo all’ingresso del paese, ma alla reception, non solo ci consigliano un piccolo albergo lungo la strada che sale a Col D’Alos, ma addirittura telefonano per farci riservare tre

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camere. Sarà gentilezza oppure organizzazione? Entrambe sono benvenute ed apprezzate. Ci fidiamo, anche a causa della stanchezza che comincia a farsi sentire, così dopo qualche chilometro raggiungiamo un piacevole albergo, stile baita alpina, dove finalmente parcheggiamo le moto e chiudiamo la prima tappa di quasi 800 km. Il posto è tranquillo, con un bellissimo panorama sulle montagne circostanti. Incrociamo una coppia con una 883 che da Parigi sta scendendo verso Roma. Ci chiedono dei consigli. Certamente, per la passeggera, il viaggio non sarà così comodo come quello delle nostre compagne sulle selle Road King, ma sicuramente, anche per lei, il piacere del viaggio annullerà quello che molti pensano sia un sacrificio. Durante la cena, veramente “ottima e abbondante”, scorriamo le mappe stradali: le tentazioni sono molte, ma noi decidiamo di raggiungere la Provenza salendo fino a Col D’Allos (2250 m sul livello del mare) e scendendo sull’altro versante fino a Colmar, quindi attraversare il parco del Verdon ed infine fermarsi per la notte ad Avignone, la città dei papi.

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Da sinistra:Gianni, Roberta, io, Antonella, Giuseppe.

La giornata inizia con un cielo coperto da nuvole nere che nascondono le cime delle montagne. Ad alimentare il nostro ottimismo, ingrediente fondamentale per viaggiare in moto, qualche piccolo squarcio da cui escono deboli raggi di sole che ci convincono ad affrontare il passo Col D’Allos, sotto la minaccia della pioggia e con un’atmosfera grigia che smorza (ma non più di tanto) la bellezza del paesaggio. La strada stretta e tortuosa è vietata ai camper, ma l’incrocio con grosse auto può creare qualche problema anche alle moto. Una strada che consiglio di fare per i panorami che offre su entrambi i versanti. Fortunatamente, il tempo tiene e solo alle porte di Colmar dobbiamo ripararci tempestivamente da un breve scroscio di pioggia sotto la pensilina di un distributore, dopo un’ora, quando ormai siamo usciti dalla parte più stretta della valle, il cielo finalmente si apre e il sereno prende decisamente il sopravvento.

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Il paesaggio che percorriamo è verdissimo e carica il nostro entusiasmo, ma il bello deve ancora venire! La perla del territorio provenzale è sicuramente costituita dalle Gole del Verdon! Una stretta valle che a tratti diventa simile a una forra, un vero e proprio canyon con le alte pareti rocciose a picco sul corso del fiume che mostrano tutte le loro stratificazioni geologiche, in una continua variazione cromatica dal rosso all’ocra. La strada entra per lunghi tratti nel canyon, in altri tratti risale, mostrando dall’alto il paesaggio aspro e selvaggio tagliato dal tortuoso percorso del fiume Verdon. Sul fiume scendono continuamente canoe e gommoni fino al lago di Saint-Croix dove il canyon finisce, ce ne accorgiamo solo dai numerosi pick up che riportano le imbarcazione ed i passeggeri all’inizio del tratto navigabile: una sorta di impianto di risalita su ruote. Giunti al lago, vediamo la valle allargarsi in un verde paesaggio di larghi pianori e morbide colline: siamo nella classica Provenza. Poco fuori dalle Gole, sorge il piccolo borgo di Moustiers Saint Marie, arroccato sotto uno sperone di roccia, che vale la pena visitare per i piccoli negozi di artigiano provenzale e magari anche pranzarci, come abbiamo fatto noi. Il percorso per raggiunger Avignone è stato bellissimo: dalle valli selvagge delle Alpi ai campi di lavanda, dai torrenti tumultuosi ai laghi azzurrissimi. Peccato che Avignone deluda le nostre aspettative. A parte la vista dal fiume verso la Rocca dei Papi, la classica cartolina, la città ci è parsa trasandata. Così, il giorno dopo, ripartiamo presto e dedichiamo la mattinata a visitare Nimes che scopriamo, essere migliore, sicuramente più ordinata, ma anch’essa al di sotto delle aspettative. Subito dopo pranzo, decidiamo di visitare la Costa Azzurra sulla via del ritorno e quindi ripartiamo per raggiungere la Spagna, attraversando, in autostrada, la piatta costa meridionale della Francia. Visitare la Camargue, sarà per la prossima volta! 97


L’autostrada fila diritta verso il confine, percorriamo un lungo rettilineo con il vento al traverso. Il mistral soffia fortunatamente con un’intensità appena sufficiente a far girare le numerose pale eoliche, ben diverso dalla ferocia con cui spazza il Golfo del Leone. Viaggiare in moto con il vento che ti colpisce di lato non è un’esperienza piacevole, soprattutto con le nostre moto dal volume elevato reso ancor più imponente da passeggero e bagagli. Se poi il vento è a raffiche, s’impongono continui colpi di manubri per accompagnare la moto nelle inevitabile oscillazioni e serpeggiamenti. All’orizzonte compare, a poco a poco, il profilo dei Pirenei e la strada, vicino al confine, inizia a salire sulle alture che separano la Francia dalla Spagna. La nostra meta è Figueres, attirati dal mitico Salvator Dalì, dove vorremmo passare un paio di notti, a metà strada tra la costa e le alture dei Pirenei. Entriamo nella città catalana verso il tramonto con il cielo velato e tutto ci sembra grigio, giriamo un po’ per orientarci, ma l’impressione che ne ricaviamo non ci invoglia a restare. Squallidi palazzoni periferici, strade poco pulite, persone trasandate. Senza contare che, appena fuori Figueres, un tanfo di letame di maiale, che proviene da un allevamento vicino, ammorba l’aria. Ci scambiamo, rapidi, uno sguardo interrogativo e subito decidiamo di puntare su Girona, anche questa volta, la scelta fatta per intuito, si rivela quella giusta. Anche noi, come molti turisti che vanno in Spagna, attraversando la Francia, stavamo quasi per saltare questa bella città, attratti dalla vicina Barcellona. All’ingresso di Girona ci accolgono i bellissimi viali alberati del lungofiume che percorriamo fino ad arrivare nei pressi del centro storico, reso isola pedonale. Riusciamo rapidamente a trovare un albergo ed un garage così, alle ultime luci del giorno, ci mescoliamo alle tante persone che passeggiano tra le 98


vie della città storica. Sono tutti spagnoli, abitanti e turisti, tanto per ribadire come questa città sia, in effetti, fuori dai giri del turismo internazionale. Entriamo finalmente in contatto con il grande gotico catalano. Fondata in epoca romana da coloni greci, oggi Girona ha il centro che dichiara ancora la sua struttura medioevale, infatti, fu un caposaldo della lotta contro l’avanzata mussulmana durante l’epoca carolingia e poi, nel XII secolo, assunse il suo massimo splendore. Il groviglio delle stradine richiama i nostri borghi medioevali dell’Umbria, un continuo sali e scendi tra gli stretti vicoli del ghetto ebraico, per poi arrivare nello spazio antistante alla cattedrale: una chiesa dove si intrecciano lo stile gotico, quello rinascimentale e quello barocco. La piazza è articolata in una grande e ripida scalinata, decisamente fuori scala, rispetto al tessuto minuto degli edifici medioevali che la circonda. Una vera scoperta, ancor più bella perché inaspettata. La mattina ci sveglia con un bellissimo sole e, una brezza leggera, che viene dai vicini Pirenei, mitiga il caldo. Puntiamo decisi verso il mare, dove contiamo di usare i costumi da bagno, rimasti inutilizzati nel fondo delle borse. Scendiamo dunque verso la mitica Costa Brava e più in particolare vogliamo raggiungere Cadaques, la piccola cittadina di mare, famosa per aver ospitato Salvator Dalì. Per arrivare nella cittadina occorre risalire le alture che dividono la pianura di Figueres dal mare, una strada bellissima che consente di avere una vista panoramica su tutta la costa verso nord, verso la Francia, che è un susseguirsi di piccole insenature e golfi. Cadaques è un piccolo borgo marinaro che ha mantenuto un equilibrio tra la nuova edilizia turistica e le residenze tradizionali, si respira un’atmosfera tipicamente mediterranea in cui il turismo non ha assunto volumi insopportabili. Decidiamo di raggiungere il faro di Cap de Creus che sulla mappa è raggiungibile da una strada contrassegnata come 99


panoramica e che termina sulla punta di un promontorio. Lasciato il paese alle spalle, la strada è sommariamente asfaltata e attraversa un paesaggio arido, costituito da rocce rosse macchiate dal grigio-verde dei ginepri, con il mare di un blu profondo che s’incunea in piccole insenature. La stradina termina nel piazzale di fronte al faro che si erge con il suo candore su questo paesaggio reso incandescente dal colore delle rocce. Uno dei più bei posti del Mediterraneo che abbia mai visto. Siamo vicini al giro di boa, l’ultima tappa, prima di riprendere la via del ritorno, è Barcellona che vogliamo raggiungere attraverso la strada panoramica che percorre tutta la Costa Brava. un itinerario entusiasmante sia per le viste panoramiche che per il tracciato: giusto per gli occhi e per il polso ! La strada, coperta da una rigogliosa macchia mediterranea, corre quasi sulla cresta delle rosse falesie a picco sul mare. In corrispondenza dei piccoli borghi marinari e dei porticcioli turistici, la strada scende per poi risalire con ripidi tornanti: quasi delle montagne russe. Un ciclista solitario condivide con noi gran parte di questo itinerario. Con le moto teniamo una velocità non particolarmente alta così il ciclista ci sorpassa nelle soste frequenti per scattare le fotografie come nelle discese, dove la sua velocità è nettamente superiore alla nostra. Poi lo riprendiamo di nuovo mentre, curvo sul manubrio, affronta le salite. Ogni volta ci scambiamo un rapido cenno di saluto. Alla fine, siamo diventati dei compagni di viaggio tanto che al bivio, dove le nostre strade si separano, ci scambiamo l’ultimo saluto con lo sguardo che dice: ”Alla prossima!”. L’avvicinarsi a Barcellona è annunciato da grandi stabilimenti industriali, da un traffico di camion e auto progressivamente sempre più intenso. Finalmente si cominciano a vedere i grandi edifici per uffici e improvvisamente ci troviamo nella Gran Via che ci porta all’inizio della Diagonal, il lunghissimo viale che attraversa la città da un capo all’altro. 100


La parte della città, costruita nell’800, è una regolare scacchiera con le vie parallele e perpendicolari alla linea del litorale. La Diagonal, come dice il nome, attraversa diagonalmente questa scacchiera rendendo abbastanza facile l’orientamento, una volta capita questa struttura urbana. Non troviamo l’albergo che mi aveva consigliato Josep, l’amico e collega della nostra filiale catalana, ma ci fermiamo in una struttura ricettiva di design, ovvero un albergo con un arredamento elegante in stile contemporaneo, scelto soprattutto perché vicino a un garage, che potrà ospitare, per due notti e in sicurezza, le moto. A Barcelona preferiamo usare il pullman del tour turistico: banale ma efficace per avere una vista generale della città, toccando i più significativi luoghi. I due giorni passano veloci tra le bellezze architettoniche della capitale catalana… così siamo pronti a riprendere la via del ritorno, ma le previsioni meteo, confermate poi nei fatti, ci consigliano di annullare l’attraversamento dei Pirenei per puntare direttamente sulla Costa Azzurra, con una lunga tappa da 600 chilometri, lungo l’autostrada litoranea. Nel tardo pomeriggio, da inguaribili ottimisti cerchiamo un albergo a Frejus, al centro della Costa Azzurra, ovviamente senza successo, visto l’affollamento tipico dei giorni centrali di agosto. Alle prime luci della sera con la stanchezza che comincia a farsi sentire puntiamo all’interno, scoprendo così casualmente la strada che conduce da Frejus a Grasse, fantastica per disegno del tracciato e qualità del fondo stradale. Noi abbiamo la fortuna di farla praticamente da soli. A Grasse cerchiamo di andare a colpo sicuro, puntando su un Mercure, tipico albergo da agenti di commercio, sicuramente vuoto in questo periodo di ferie. Arriviamo quando sono ormai le nove di sera e nello stomaco il lontano ricordo di un panino mangiato in qualche remota stazione di servizio dell’autostrada.

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Troviamo da dormire solo per una notte, però, la gentile ragazza alla reception, per i giorni successivi, ci prenota un albergo vicino al centro storico di Grasse, ma soprattutto ci fa preparare dalla cucina, che sta per chiudere, un ottimo e abbondante piatto di penne all’arrabbiata. Il giorno dopo ci trasferiamo con calma nella nuova sistemazione; l’albergo è in una posizione ottima, proprio vicino al centro storico, ma l’edificio degli anni ‘70 sembra più un residence con l’arredo un po’ datato. Alla reception c’è un simpatico tipo di origine nord africana che parla italiano ed è dotato di una certa ironia. Scopriamo poi, nei due giorni, che molti dei cittadini di Grasse sono di origine nord-africana come un po’ in tutto il sud della Francia. Grasse si trova sulle colline a una trentina di chilometri dalla costa, subito alle spalle di Cannes e Nizza, così di giorno molti turisti, che non amano crogiolarsi al sole delle spiagge, la raggiungono per godere di un po’ di frescura e visitare i negozietti di artigianato che si aprono nelle strette vie del centro storico. Le vere attrazioni di Grasse sono le aziende che producono profumi, famosi in tutto il mondo. D’obbligo anche per noi è la visita guidata alla fabbrica di profumi Fragonard dove, di questa produzione, conosciamo la storia, le tecniche e infine i prodotti. Il resto del giorno lo spendiamo visitando la cittadina e poi sdraiati nella piscina dell’albergo per recuperare la tirata autostradale del giorno prima, da Barcelona. Il mattino decidiamo di fare una puntata sulla costa, ma per nostra fortuna scopriamo che la sera a Grasse ci sarà la famosa festa dei fiori, con la sfilata di carri addobbati lungo la strada centrale del paese, proprio sotto il nostro albergo. Con l’imperativo di rientrare in tempo in albergo, prima della chiusura delle strade per la festa, il giro sulla costa sarà necessariamente rapido.

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A Cannes, percorriamo alle 8,30 del mattino la Croisette, ovviamente deserta, quindi arriviamo a Cap d’Antibes mentre si sta svolgendo il mercato proprio sotto il castello, l’obiettivo è di pranzare a Saint Tropez per scoprire se ancora “ la gente si chiede perché “, come cantava Peppino di Capri, negli anni 60. Attraversiamo il massiccio montuoso, scenografico, che separa l’autostrada dalla costa, arriviamo a Saint Maxime e da qui lungo la strada costiera procediamo in mezzo, letteralmente, a due colonne di auto di un ingorgo fino a Saint Tropez. Francamente deludente il posto rispetto alla fama. Questa parte della Costa Azzurra è stata immolata a un turismo di massa, non differente rispetto a quello che si può trovare sulla costa romagnola, se non per i prezzi decisamente superiori. Preferisco la Costa Brava ! Rientrati a Grasse, ci attende la serata con la sfilata dei carri addobbati con i fiori e scopriamo, sulla nostra pelle, l’usanza dei pompieri locali di irrorare i turisti con acqua profumata. Siamo arrivata all’ultima tappa che da Grasse ci riporterà in Italia, ma prima decidiamo di concederci un’ultima sosta turistica a Monaco di Montecarlo. Poi via a casa, con le borse piene di ricordi piacevoli di questa galoppata mediterranea. Viaggio attraverso Francia e Spagna • parte 1:.http://vimeo.com/6058713 • parte 2: http://vimeo.com/6166855 • parte 3: http://vimeo.com/6596441

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Nuvole nere, nuvole rosa.

Nell’umida domenica mattina, l’uomo, in piedi, assiste inerme alla lotta tra i deboli raggi del sole e le nuvole nere. I temporali avevano annunciato, ancora una volta, l’avvicinarsi della fine settimana in quella falsa estate. Nelle orecchie ha ancora l’eco dei tuoni notturni, ma nell’anima il rombo del branco profondo, ritmico, amico che gli dice “Vieni, unisciti a noi !“. Contro il cielo minaccioso, l’uomo alza, in tono di sfida, il proprio dito indice (ops !! Mi correggo) …. medio, e, citando Brandon Lee nel film Il Corvo, grida: “ Non può piovere per sempre !” poi dà vita alla moto e aggiunge il suono del suo bicilindrico a quello del branco. ~ La puntualità degli amici del Civitanova Chapter vuol dire che quest’uscita era attesa con entusiasmo, così all’orario stabilito Jerry, il director, da inizio al giro nell’entroterra del Molise, organizzato dall’amico molisano Bruno. Molise, Terra di Mezzo, che si attraversa, ma raramente diventa meta. Quell’Italia nascosta che conserva gelosamente la propria segreta bellezza è una meta ideale per un bel giro in moto. La settimana appena trascorsa aveva messo in dubbio quest’uscita uscita per i frequenti temporali poi, per fortuna, il maltempo è sembrato essersi preso una tregua. Lungo l’autostrada che fiancheggia il mare Adriatico, vedo le nuvole nere che si stagliano all’orizzonte portando il loro carico di tuoni e fulmini lontano, sulla costa croata. 104


Bruno ci aspetta a Termoli e, per far capire a tutti lo stile con cui condurrà il giro, indossa un casco di foggia tedesca con una brillante cromatura in stile californiano, ovvero: implacabile nei tempi e nell’organizzazione, ma take it easy ! Antonio è il road capitan, ovvero quello che si mette a capo del gruppo e fa l’andatura, all’uscita del casello, prende la guida del gruppo e subito il serpente di moto sfila veloce lungo la strada SS. 647, che segue il corso del fiume Biferno. Il gruppo ordinato di moto è uno spettacolo da non perdere … tanto che anche una pattuglia di vigili urbani, astutamente appostata dietro un cespuglio, ci fotografa con il proprio autovelox (andavamo oltre 110 km/h su una strada con limite a 80). Fortunatamente la foto non ci è stata mai recapitata, forse stavano cambiando il rullino o si erano scaricate le batterie. Tuttavia, l’eventualità di aver contribuito involontariamente a ridurre il debito pubblico di un comune molisano ha creato qualche disagio in molti di noi. La statale attraversa con un lungo ponte il lago di Guardialfiera e prosegue lungo il fiume Biferno. Dopo qualche chilometro, abbandoniamo la valle per intraprendere un tortuoso percorso fatto di strade collinari panoramiche ma strette e con un fondo maledettamente rovinato da frane … non recenti! La guida si fa impegnativa proprio per evitare di cadere, producendo un effetto domino, visto che stiamo procedendo in fila. Le curve si attorcigliano lungo le colline con un andamento quasi labirintico e nel gruppo comincia a serpeggiare la Sindrome di Pollicino, che sorge quando qualcuno ti porta in un luogo senza capire dove ti trovi e pensi che, senza una guida, sarai perduto per sempre. Credo proprio che questa sindrome abbia tenuto unito il gruppo, che rimane compatto e in formazione, sfilando scenograficamente in una serie di bei paesi in cima alle alture subappenniniche che circondano Campobasso, ricordo in particolare Gildone, Jelsi, Riccia. Il rombo delle moto, amplificato dalle strette vie dei borghi, ha sicuramente 105


aggiunto fascino al nostro passaggio, come mostrano i volti sorridenti delle persone che, all’ora dell’aperitivo, ci salutano sorpresi. L’aperitivo, che Bruno ha sapientemente organizzato per noi nella storica piazza di Riccia, è una gradita sorpresa. I vigili urbani ci riservano un parcheggio perfetto, ma soprattutto troviamo un gazebo sotto il quale fa bella mostra di sé una selezione di stuzzichini alla molisana, preparati solo per noi. Qui, purtroppo, il cronista non può entrare nei dettagli perché, attardatosi cinque minuti a scattare foto e riprese, dei salami piccanti, dei formaggi profumati, degli stuzzicanti sottoaceti ha sentito solo gli elogi dai compagni di viaggio …. visto che in pochi minuti hanno ripulito tutto !!! Spinti dagli effetti dei sapidi aperitivi e soprattutto da una nuvola nera che incombe minacciosa sulle vicine balze appenniniche a confine con la Campania, partiamo velocemente per il luogo del pranzo, cercando così di evitare il temporale in arrivo. La strada torna a srotolarsi sul fianco delle colline finchè raggiungiamo l’imbocco di una stradina secondaria che appare asfaltata, ma che farebbe la felicita di un endurista BMW armato di GPS e che le nostre HD, pur se prese di sorpresa, affrontano con la solita americana pragmaticità. Sono pochi chilometri da percorrere con la massima attenzione per evitare le buche più piccole e attraversare incolumi quelle più grandi. La ridotta distanza del motore dal suolo e gli ammortizzatori abbastanza morbidi impongono grande cautela. La strada si insinua in discesa in un paesaggio dominato da pascoli e grandi cespugli di ginestre delimitati da muretti a secco. La Country House dove ci fermiamo per il pranzo è un bell’agriturismo con vista sul lago di Occhito a Macchia Valfortore, al confine con la Puglia. Il pranzo è semplice e ottimo come il paesaggio che ci circonda, finalmente ci si rilassa, abbandonando giacche e caschi. A volte non si pensa che, in questi viaggi in gruppo 106


lunghi una giornata, i momenti, che si hanno per scambiare quattro chiacchiere sono pochi, anzi direi che l’unico momento è quando si pranza. Per questo, anziché una breve pausa, si preferisce mettere in conto un pranzo che duri almeno un paio d’ore. Anche questa volta dunque è l’occasione delle “solite” chiacchiere: ti ricordi quella vota a Faaker See che…. ho montato un nuovo l’accessorio, ma ….., stiamo organizzando un giro a …. come hai risolto il problema sulla tua moto per ….. Insomma i soliti vecchi cari discorsi tra amici con la stessa passione. Come sempre Sergio, tiene banco con racconti e aneddoti tratti dai sui viaggi in moto … non ha caso è l’historian del Chapter! Seguirlo nel discorso non è facile quando si fa prendere dalla foga e s’inoltra profondamente nel dialetto sanbenedettese e tutto diventa un divertente grammelot. Anche questa volta la sosta per il pranzo, insolitamente lunga, è passata piacevolmente, tra chiacchiere e arrosticini, ma finalmente si riparte per Termoli. Attraversiamo un paesaggio selvaggio e bellissimo con un percorso che segue i crinali delle colline e ci permette di dominare le valli sottostanti. …. Ma il meglio deve venire ! Infatti, la strada per Larino ha un tracciato da favola in fatto di curve e pendenze, con un fondo perfetto, da pennellare. Ascolto nell’ iPod J.J. Cale canta “call me the breeze” …. O è la moto a cantare? Finale a sorpresa. Anziché imboccare l’autostrada adriatica, seguiamo Bruno in una pineta alle porte di Termoli, senza una logica apparente. Delle serie di deviazioni e vie secondarie ci portano a una radura, nella pineta, usata come parcheggio per i vicini campi da tennis. Mentre molti di noi già cominciano a porsi domande su questo insolito e inaspettato itinerario, Bruno

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fa magicamente apparire da un furgone … un ottimo gelato come dolce suggello a una magnifica giornata. ~ Lungo la strada che lo riporterà a casa, l’uomo sulla sua moto guarda il mare e il riflesso delle nuvole rosa al tramonto sull’acqua immobile. La terra inizia a farsi buia e, sospeso tra ricordi e sogni, pensa: “ Oggi il cielo è stato clemente con noi! ” Giro in Molise 2009 http://vimeo.com/5413510

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Tre Re nel paese del Re Sole. Tre Harley Davidson, Road King, in Francia. Nel nostro sussidiario, così si chiamava il libro che molti anni fa usavamo alla scuola elementare, la Francia appariva ai nostri occhi di bambini, un posto pieno di luoghi magici. C’era un’abazia costruita su una collina rocciosa che diventava un’isola, quando il mare la circondava con il ritmo delle maree. E che dire dei castelli, lungo un fiume chiamato Loira, che sembravano popolati da fate e principi azzurri. Infine Parigi con le sue storie di rivoluzioni, musei popolati di fantasmi, la torre Eiffel che invano tentavamo di imitare con il Meccano! Sono passati quaranta anni e (forse più per qualcuno !), ma il fascino di questa“terra magica” è rimasto intatto. “Allora perché non andarci con le nostre moto ?” Aggiungeremmo, alla magia della meta, un viaggio che in moto ha sempre un alone di avventura, ben diverso dal prendere un aereo low cost e, in un paio d’ore, trovarsi lì. Con le moto apprezzeremo il lento avvicinarsi, attraversando un paese dai tanti diversi paesaggi ed incontrando le persone che ci vivono. Lo potremmo dire un viaggio … slow ride! Questo ci siamo detti con Gianni, Roberta, Peppe, Antonella e Daniela. ~ Nonostante le incerte previsioni meteo si parte e, dopo un acquazzone dalle parti di Modena, lasciamo l’Italia; una pioggia noiosa, ci attende all’uscita del traforo del Fréjus e ci accompagnerà fino a Lyon, dove, intorno alle 5 del pomeriggio, si conclude la prima tappa di quasi 900 km. 109


Queste lunghe tappe possono sembrare noiose, ma, tutto sommato, in moto il tempo passa veloce, cadenzato dalle soste per il pieno che si trasformano sempre in un momento per scambiare quattro chiacchiere tra compagni di viaggio, mentre si sistema l’abbigliamento o il bagaglio. Lungo la strada, poi, ci sono sempre piccole situazioni che rendono il viaggio non noioso, un’auto che si affianca con i ragazzini che ci salutano, uno scorcio di paesaggio che ci appare imprevisto e soprattutto i nostri pensieri che ci fanno finalmente compagnia, protetti dalle incursioni sgradite del mondo. Poi se all’orizzonte si vedono nuvole nere, si crea una situazione di leggera tensione. Ci domandiamo se sarà un leggero piovasco da affrontare senza problemi, oppure un forte temporale da cui proteggersi in una stazione di servizio o sotto un cavalcavia. Quanto tempo abbiamo per decidere se e quando indossare la tuta antipioggia? Guardiamo attentamente le auto che incrociano, per vedere se hanno il tergicristallo attivato oppure se sono bagnate, segni inequivocabili che la pioggia è in arrivo. Questa volta nel viaggio ci accompagna Tom, il navigatore satellitare, così da rendere più semplice seguire gli itinerari, ma soprattutto viaggiare in città per raggiungere le aree più interessanti. Grazie a Tom ci infiliamo nella città di Lione e troviamo subito un alloggio nel primo Hotel Mercure che incontriamo, così avremo tempo per visitare la città. Disfatti i bagagli, le quasi dodici ore di viaggio vengono subito dimenticate e, come normali turisti, ci dirigiamo nel centro storico, la curiosità e forse la voglia di sgranchire le gambe ci fanno rimandare la cena fino a quasi mezzanotte. La mattina seguente, il sole che entra dalle finestre dell’albergo ci spinge a metterci in viaggio subito dopo la colazione e, guidati dal fido Tom, imbocchiamo la direzione per raggiungere i castelli della Loira.

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Lasciamo l’autostrada quasi subito per imboccare una delle belle e comode strade statali che attraversano il paese. Il paesaggio assume la forma di dolci colline coperte di pascoli, vigneti, boschi, campi coltivati. Una sinfonia di tonalità diverse di verde, adagiata sotto un largo cielo azzurro. Le strade in Francia sono ottime e conviene utilizzare le statali che sono anche poco trafficate, poi la benzina sulle autostrade è molto più costosa di quella distribuita lungo le statali. Ai motociclisti, è ceduta la strada da parte degli automobilisti, nelle code e negli incolonnamenti, ma attenzione invece in prossimità delle uscite di autostrade e superstrade perché è capitato più volte di vedersi tagliare la strada senza ritegno da auto e furgoni che, dalla corsia di sorpasso, raggiungono in velocità la rampa di uscita. Ogni tanto un campanile appuntito o una torre emerge dal verde. Proprio un campanile ci attira, così lasciamo la strada statale per scoprire che appartiene a una chiesa romanico gotica perfettamente conservata e attorno ad essa sorge il villaggio di Le Montet, un piccolo paese di origine medioevale costruito su una dolce collina, posta quasi esattamente al centro della Francia. L’ora e la tranquillità del posto, pigramente deserto, invitano a sederci all’esterno di una piccola trattoria, per guastare non solo il paesaggio visivo, ma anche quello gastronomico. Ci accoglie una giovane ostessa che sfoggia un’immacolata camicia bianca e un’elegante acconciatura tradizionale, più adatta a una signora di una certa età, che le dona una sobria eleganza popolare perfettamente consona al luogo. Siamo quasi a metà strada e appena terminato il pranzo, ripartiamo di nuovo verso nord! Le colline si distendono in una pianura dominata da un cielo che sembra ancora più grande ed infinito. I campi, disegnati dalle geometriche texture delle coltivazioni e gli sterminati vigneti creano strani effetti ottici, visti dalla moto che corre tranquilla lungo gli infiniti rettilinei. Finalmente arriviamo sulla Loira e ne seguiamo il corso fino ad Amboise dove ci fermeremo per un paio di giorni. 111


Scegliamo un albergo della catena Ibis che, come consuetudine, si trova all’ingresso della città immediatamente fuori dall’uscita di autostrade o strade statali. Un’utile consuetudine questa che consente di lasciare i bagagli in camera e utilizzare la moto per raggiungere il centro, liberi da impacci. Amboise è una città di 11.000 abitanti che sorge lungo la Loira e, nel XV e XVI, secolo fu scelta come residenza dai re di Francia, trasformando, per questo scopo, il castello costruito sull’altura che domina il fiume e il borgo sottostante. La cittadina mantiene inalterato il suo fascino di luogo di incontro tra l’eleganza del rinascimento italiano e le ambizioni del nascente regno di Francia. Non a caso Leonardo decise di trascorrervi gli ultimi anni e di avere lì la propria tomba. Il castello, che domina il paese, ne è un esempio magnifico con la sua architettura e il giardino storico all’italiana che offre una vista indimenticabile sulla sottostante cittadina. Il borgo è meta di molti turisti che sciamano tranquilli nelle stradine per visitare i piccoli negozi di souvenir, artigianato e gastronomia locale. Fortunatamente, al calare della sera, la cittadina si svuota e si riesce a vivere un’atmosfera di altri tempi. La notte che scende lentamente lascia l’ultimo bagliore del giorno ai riflessi rosati del cielo sul fiume che scorre lento, incastonato tra gli argini alberati già bui. Questa mattina andremo a Chenonceau, il castello che forse, più di altri, ci permette di cogliere lo spirito di queste nobili residenze, la cui inalterata eleganza nasce dal rapporto profondo tra architettura e ambiente naturale. Costruito sul fiume, è un vero e proprio ponte, caratteristica dovuta al fatto di essere stato edificato, inglobando un mulino che dal fiume traeva energia. A questa caratteristica peculiare di essere un ponte deve anche la sua salvezza durante la rivoluzione francese, infatti, era

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l’unico ponte per un lungo tratto di fiume e per questo non fu distrutto. Ci aggiungiamo ai numerosi turisti in visita, perdendoci nelle stanze del castello-museo per cercare di coglierne la vita che lo animava, nel corso dei diversi periodi storici. Non è facile cancellare le voci, gli odori, i corpi che sembrano ospiti mal sopportati dalla nobile magione, ma è grazie al turismo che questi luoghi ancora vivono. Meglio i turisti vocianti che le truppe belligeranti, meglio un bookshop di oggetti kitsch che l’ospedale da campo, come quello che venne allestito nel castello durante la Prima Guerra Mondiale. Nel pomeriggio lasciamo i castelli e ci perdiamo nelle piccole strade di campagna, delimitate da imponenti filari di pioppi e tigli, attraversiamo i villaggi, ognuno con il proprio castello da promuovere e le cantine che invitano a degustazioni. Sirene alle quali resistiamo per approdare, inconsapevolmente, a un luogo che sembra raggiungibile più con la macchina del tempo che non con le nostre Harley: un granaio medioevale fortificato. Una rarissima fattoria fortificata del 1200 perfettamente conservata (con sapienti restauri) persa nella campagna. Siamo i soli turisti e questo rende ancor più magica la visita al granaio. Una densa penombra ci accoglie, entrando nell’enorme spazio. Lentamente i nostri occhi si abituano alla semi-oscurità della grande navata e riusciamo così a vedere l’enorme soffitto composto di una serie di grandi travi e capriate che la rendono simile a una cattedrale. L’anziana coppia che svolge il ruolo di custodi ci accoglie con simpatia e proietta, per noi, un video che non solo ci racconta la storia del luogo, ma ce ne fa rivivere le atmosfere. Ancora una delle piacevoli sorprese che ti riserva il vagabondaggio in moto. Di nuovo in marcia verso Tours per visitare la famosa cattedrale, un gioiello del gotico francese. La luce del sole del tardo pomeriggio ci svela, all’esterno, le delicate trame della 113


facciata che sembra quasi un merletto e all’interno gli splendidi colori delle vetrate che interrompono la sobrietà della pietra con cui sono costruiti i pilastri e le volte. Rientriamo ad Amboise, seguendo la strada alberata che costeggia il fiume, alla luce dorata del tramonto quasi a realizzare la sigla finale di questa rapida, ma intensa visita nella zona dei castelli della Loira. Purtroppo, il giorno dopo, il cielo è coperto quando, al mattino, lasciamo Amboise per raggiungere, sulla costa della Manica, Mont St. Michel. Attraversiamo questa parte della Francia ricca di boschi e pascoli sempre sotto la minaccia di un improvviso acquazzone, poi progressivamente mentre ci avviciniamo alla Bretagna, la grigia copertura nuvolosa si apre e l’azzurro del cielo, con bianche nuvole barocche, sovrasta i tetti e le severe facciate in pietra scura dei villaggi che attraversiamo. Prima di arrivare alla meta vogliamo assicurarci l’alloggio per i prossimi giorni, così cominciamo a scandagliare i piccoli borghi. Tentiamo in una casa privata, di proprietà di una simpatica anziana coppia che però non ha posto per tutti. Il marito insiste per farci vedere la sua vecchia moto italiana, custodita in garage. Nel paese vicino, ci colpisce un piccolo albergo con la facciata dipinta di un bel giallo e gli infissi verdi, ma soprattutto con un bel cortile chiuso da un robusto cancello dove lasciare le moto durante la notte. Fortunatamente qui c’è posto per tutti! Arriviamo a Mont St. Michel, presa d’assalto da un numero considerevole di turisti sbarcati lì con ogni mezzo: pullman, camper, auto, moto. La strada che sale verso il culmine della collina-abazia è stracolma di persone. Prendiamo, al volo, un tour con una guida turistica italiana per conoscere l’abbazia che è un vero labirinto. Costruita su uno sperone di roccia, uno scoglio a tutti gli effetti, è articolata su più piani e con volumi aggiunti nel corso dei secoli collegati da corridoi e ripide scale che fanno perdere l’orientamento. 114


Sul far della sera sale la marea e i turisti si ritraggono; i due eventi non sono correlati, ma entrambi creano condizioni migliori per apprezzare il luogo. La luce tenue del cielo, ormai al tramonto, restituisce all’abbazia la magia che ci ha portato lì. Il mare irrompe come un torrente di montagna che scorre veloce con le sue onde basse e secche e con il suo largo fronte inonda l’intera pianura che circonda l’abbazia.

Mont St. Michel è sul confine tra Bretagna e Normandia, ed entrambe le regioni se lo contendono, così decidiamo di visitare oggi la costa bretone di Granito Rosa e domani raggiungere le spiagge normanne dello sbarco. Seguiamo la strada costiera verso ovest, lungo la quale, le insenature, con le barche adagiate sul fondo fangoso in attesa che la marea le riporti in vita, si alternano a spiagge sabbiose quasi deserte e ai paesi del turismo balneare nordico, tranquillo e silenzioso. Raggiungiamo la prima meta che ci è stata indicata da un amico francese: Cap Frehel. 115


Un promontorio granitico con il suo faro proiettato verso la Manica, una piattaforma coperta da un tappeto di vegetazione spontanea, preservata dall’accesso dei turisti. Valeva la pena arrivare fin qui, per ascoltare il grido dei gabbiani che spiccano in volo dalle alte falesie di un rosso-rosa su un mare di smeraldo. Riprendiamo l’itinerario verso ovest, seguendo la costa selvaggia che prosegue con un alternarsi di candide spiagge sabbiose e pinete quasi mediterranee, lungo un mare cosparso di scogli e isolette granitiche. L’Ile de Bréhat è la prossima meta, posta a poche centinai di metri dalla bellissima costa anche qui punteggiata da una miriade di rossi isolotti rocciosi e scogli. Purtroppo, arriviamo nel tardo pomeriggio a causa di un’imprevista e inevitabile sosta a base di cozze con patate fritte e sidro. Dobbiamo quindi rinunciare ad attraversare in traghetto il breve braccio di mare che separa l’isola dalla costa e decidiamo di ritornare indietro, verso est, per conoscere il covo dei pirati: St. Malo. Non nascondiamo un po’ di delusione nel visitare questa città. Qui gli edifici sono assolutamente simili a quelli di qualsiasi altra città francese, nella quale il rapporto con il mare e con il vicino oceano è richiamato solo nelle insegne dei caffè e nei souvenir esposti nelle vetrine di banali negozi. Lo scarso interesse suscitato ci spinge quindi a ripartire e raggiungere Cancale, il borgo di pescatori posto nella baia di Mont St Michel. L’atmosfera è quella giusta subito dopo il tramonto, con la luce del cielo che ammorbidisce i colori e le ombre, tanto da far sembrare tutto ovattato. Seduti ai tavoli di un piccolo ristorantino, sulla banchina del porto, chiudiamo la giornata con le ostriche bretoni e l’immancabile sidro. L’ultimo toscano lo fumo da solo nel cortile dell’albergo prima di andare a letto, aspettando le stelle cadenti di S. Lorenzo sotto una fantastica volta stellata, con il pensiero rivolto alla splendida giornata che domani ci accompagnerà verso Omaha Beach.

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Invece, il mattino piove! E la tv dice che continuerà anche per i prossimi giorni con intensificazione dei fenomeni lungo la costa della Manica. Sappiamo quanto basta per decidere di cambiare direzione e spostarci verso sud senza sapere esattamente dove, tutto dipende dal tempo meteorologico. Possiamo fare una tiratona di 5-600 km fino alla Borgogna oppure fermarsi prima, guidati dall’umore del momento e da quello che s’incontra per strada. Non passeremo in zone a elevato flusso turistico e quindi un posto per dormire lo troveremo sicuramente. Per almeno un paio d’ore attraversiamo sotto una pioggia leggera e insistente piccoli villaggi e borghi assolutamente deserti, sarà forse a causa del giorno festivo, ma dalle finestre illuminate di case e piccoli bar intuiamo che la vita c’è, ma sapientemente al riparo dalla pioggia e dalla temperatura quasi autunnale. Anche noi decidiamo di prenderci una breve pausa per pranzo e ci fermiamo a un distributore di benzina che promette anche un micro spazio fast food. Siamo solo noi, all’ingresso si svolge una concitata attività, abbastanza simile a quella del rientro in barca di un gruppo di sub da una immersione. Infatti, prima di entrare al riparo di una tettoia all’esterno del locale, ci sfiliamo le grondanti tute anti pioggia, i guanti impregnati d’acqua, i caschi dall’imbottitura umidiccia, cercando al tempo stesso da dove sono partire le inevitabili infiltrazioni d’acqua che hanno inumidito gli abiti. La giovane coppia che gestisce il micro fast food non è solo comprensiva, ma ci permettere di mettere i capi bagnati ad asciugare all’interno mentre pranziamo con hamburger, cotolette e patate fritte. Fortunatamente, durante il pranzo smette di piovere e ripartiamo verso una meta vicina da non mancare: la cattedrale di Chartres. Ancora una volta ci immergiamo nello spazio solenne di uno dei capolavori del gotico. Abbiamo ripreso la strada e il sole si è timidamente riaffacciato, così non ci sentiamo più inseguiti dalla 117


perturbazione atlantica. Fermi a una stazione di servizio per il pieno, ci accorgiamo di essere alle porte di Parigi. Come non cogliere l’occasione per farci una foto sotto la torre Eiffel? Soprattutto visto che la maggior parte del gruppo non è mai stata nella Ville Lumière. Attraversiamo la periferia parigina, guidati da Tom nelle grandi arterie che penetrano la metropoli e arriviamo a Place de la Bastille, che conosco bene e dove conto di cercare un alloggio dalle parti della Gare de Lyon. Infatti, troviamo alloggio nel solito Ibis, dotato di garage per le amate. Chiudiamo la giornata in un ottimo ristorante alla moda sotto il Beaubourg, brindando con una coppa di champagne. Il giorno dopo facciamo riposare le moto e, a piedi, visitiamo il cuore di Parigi sotto una leggera e intermittente pioggerellina che fortunatamente finisce all’ora di pranzo. La visita alla Pyramid del Louvre è impedita da una fila interminabile di turisti, allora puntiamo decisi verso la Tour Eiffel, anche qui lunghe file alle quali tuttavia ci accodiamo per non perdere un colpo d’occhio panoramico sulla città. La giornata volge al termine mentre passeggiamo lungo la Senna tra l’Ile de la Citè e quella di St. Louis. Non possiamo lasciare Parigi senza una foto con le nostre moto di fronte alla Torre Eiffel, quindi al mattino seguente, ci immettiamo sul Lungo Senna per raggiungere il Trocadero, sul lato opposto alla Torre, rispetto alla Senna. In questo modo dovremmo riuscire ad avere un’inquadratura con le moto in primo piano e la Torre completa alle nostre spalle. Purtroppo, non ricordavo che il piazzale centrale tra i due edifici del Trocadero è pedonale, inoltre è affollato di turisti e ovviamente di venditori di souvenir. Nonostante questo non possiamo farci scappare la foto ricordo per cui saliamo cautamente sul piazzale in moto e parcheggiamo studiando l’inquadratura migliore … un simpatico venditore di souvenir capisce le nostre intenzioni e si offre per scattare la foto. Tutto questo

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dura al massimo 10 minuti e poi via, prima che qualche flic ci faccia una multa. Usciamo da Parigi con l’obiettivo di arrivare per sera ad Aosta, dunque puntiamo dritti, senza frapporre altre tappe, se non quelle per il pieno. Aiutati dalla bella giornata di sole e dal traffico, praticamene assente, attraversiamo nel tardo pomeriggio il traforo del Monte Bianco e quindi arriviamo ad Aosta come previsto all’ora di cena. L’ultima tappa ci riporterà a casa dopo un viaggio durato 8 giorni e lungo 4200 km. Ricordate: in Francia, tra motociclisti, ci si saluta alzando la gamba destra, lo fanno tutti! Attraversando la Francia: parte 1: http://vimeo.com/15478866 parte 2: http://vimeo.com/15479173 parte 3: http://vimeo.com/36298131 parte 4: http://vimeo.com/36369147

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A casa del principe.

Più volte avevamo detto di andare a Fuessen, al confine tra Germania e Austria, dove inizia la Romantische Strasse, cittadina famosa per i suoi castelli da favola. Poi per una ragione o per l’altra, abbiamo preferito altre mete. Quest’anno dobbiamo andarci, magari a rischio di una doccia! ~ Da giorni tengo sotto controllo l’evoluzione del tempo e delle perturbazioni atlantiche, in maniera così assidua che Giuliacci mi ha chiamato un paio di volte per avere una conferma delle sue previsioni meteorologiche su Canale 5. Nonostante questo, il giorno previsto per la partenza piove! Così, per evitare la coda della bassa pressione che staziona sul basso Tirreno, con Peppe decidiamo di rimandare di un giorno, mentre Alcide e Simonetta scelgono comunque di partire per incontrare Dario e Pia nel loro agriturismo a Puro Cielo, vicino a Brisighella. Ci incontreremo domani sull’autostrada, dopo Faenza. Dario e Pia sono entrambi motociclisti, ma Dario ha una vera passione per l’enduro, si sono costruiti la loro casa sulle colline vicino a Brisighella in contrada Puro Cielo, ristrutturando un vecchio casale che hanno attrezzato a ristorante: L’Archibugio. Ci siamo conosciuti tramite il nostro comune amico Alcide e ricordo ancora quando ci hanno guidato alla scoperta di questa parte dell’Italia, a cavallo tra Romagna e Toscana, fatta per essere visitata in moto. 120


L’eccitazione cresceva mentre, distesa sotto il sole, mostrava le sue curve più sinuose alla bramosia degli sguardi come un seducente invito … chi pensa a un racconto erotico si calmi, sto parlando delle strade della Terra dei Motori, dove vivono i nostri due amici. Non so se è un caso, ma Puro Cielo, con tutti i significati da attribuire alla parola cielo, è la definizione più bella che posso trovare per dire come siamo stati. Con un cielo che finalmente invita all’ottimismo, la mattina del 1° maggio, puntuali, Peppe e il sottoscritto in compagnia delle nostre rispettive mogli, Antonella e Daniela, partiamo per arrivare all’appuntamento con Alcide. All’autogrill, luogo fissato per l’incontro, troviamo una bella sorpresa: Dario e Pia in questo giorno festivo si uniscono a noi fino al lago di Garda per poi rientrare a casa la sera, quando noi proseguiremo per le Alpi. La tappa di trasferimento autostradale fino a Brescia Sud, viene resa meno monotona dalla spia dell’olio sulla moto di Peppe che rimane accesa, senza alcuna giustificazione, ma sufficiente per creare un po’ di tensione con la minaccia di un guasto e il rientro forzato, magari con l’autosoccorso. Fortunatamente sembra essere un falso contatto e si prosegue. Dario, che è nato in questi posti, ci consiglia di evitare la costa est del Garda, intasata di traffico, e di arrivare a Riva del Garda attraversando la Val Sabbia. Costeggiamo quindi il lago d’Idro lungo e stretto, incuneato nelle Prealpi bresciane, deviando per seguire la stretta valle che ci porta in Trentino al lago di Ledro, a un’altitudine di 650 m. Condividiamo la strada con numerosi ciclisti, mentre il traffico automobilistico è fortunatamente scarso. Scelta perfetta dunque, itinerario da consigliare, un antipasto adeguato a quello che ci attenderà nei prossimi due giorni. Da Ledro, il tracciato sinuoso sale lungo le pendici delle Prealpi e poi scende fino a Riva del Garda. Qui ci fermiamo sul lungo lago per gustarci un gelato e salutare Dario e Pia che

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torneranno indietro mentre noi proseguiremo per Bolzano dove vorremmo arrivare all’Hotel Stainmannwald, per l’ora di cena.

Da sinistra: Giuseppe, Antonella, Daniela, Dario, Pia, Simonetta, Alcide.

Abbiamo trovato l’albergo, cercando su internet tra gli alberghi che aderiscono all’associazione Bikerhotel e lo abbiamo prenotato qualche giorno prima. Scopriamo, in effetti, che è un posto perfetto per motociclisti; i proprietari, una simpatica giovane coppia, sono motociclisti e hanno messo a disposizione un bel garage per gli ospiti, con la possibilità di fare qualche piccolo intervento di manutenzione (cambio dell’olio, regolazione della catena, gonfiaggio gomme, etc) e, se ce ne fosse bisogno, si potrebbero lasciare ad asciugare le tutte antipioggia bagnate. Inoltre hanno elaborato una serie di percorsi giornalieri in moto lungo le vicine Dolomiti, così da usare l’albergo come campo base.

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Ci sono già altri motociclisti, tutti tedeschi, che sono clienti abituali nelle loro migrazioni verso l’Italia. Anche per noi l’albergo sarà il campo base, ma per andare in direzione opposta, verso nord: Austria e Germania. La nuova giornata è soleggiata e la temperatura è giusta, il che significa un po’ freddina per le signore. Resistendo alle tentazione dei tanti itinerari che Mario, proprietario dell’albergo, ci consiglia, decidiamo di puntare su Fuessen… o adesso o mai più! Diretti verso il passo Resia, risaliamo la Val Venosta imbiancata, non di neve bensì di fiori di melo, spettacolo fantastico. La strada è disegnata con curvoni bellissimi, peccato che sia funestata da smanettoni teutonici in vena di competizione. Il Passo ci benedice con qualche leggera goccia d’acqua, perduta dai nuvoloni che coprono le cime dei monti sul versante austriaco dove il cielo sembra indeciso tra sole e pioggia, ma siamo ottimisti e scendiamo decisi per l’Austria. Verso mezzogiorno facciamo un sosta in un delizioso caffè di un piccolo supermercato alle porte di Nauders, a pochi kilometri dal confine svizzero. Il sole sembra avere momentaneamente la meglio e nonostante le nuvole sempre più scure che coprono i monti sul confine con la Germania, decidiamo di proseguire verso la meta. Percorriamo la statale che costeggia l’autostrada che porta ad Innsbruck fino a Nassereith, per poi proseguire verso Garmisch, superando il Fernpass. Il sole che spunta a tratti tra le nuvole ci fa apprezzare i bei colori primaverili dei pascoli e dei boschi, oltre l’azzurro intenso dei laghi tirolesi che costeggiamo. All’uscita di un lungo tunnel riceviamo il primo chiaro segnale che non proseguiremo all’asciutto: il cielo è diventato decisamente plumbeo e alle prime gocce ci ripariamo sotto un balcone riuscendo a metterci l’antipioggia prima di bagnarci. Ora, che siamo attrezzati per affrontare la pioggia, al momento

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leggera, proseguiamo imperterriti per Fuessen, dove arriviamo verso le 15,30. Un minimo d’indagine per orientarsi nella cittadina e parcheggiamo esattamente ai piedi dell’area turistica da cui partono le strade che permettono di raggiungere i romantici castelli: strade purtroppo (o per fortuna) assolutamente pedonali. Appena siamo pronti per tentare la salita a piedi verso i castelli, si scatena un forte temporale con grandine, fortunatamente riusciamo a ripararci in un caffè dove, comodamente seduti, restiamo fino alla fine del breve temporale. Nonostante il cielo sembri ritornato sereno ( ma non troppo ) decidiamo di rientrare alla base senza visitare i castelli. Il rischio è di affrontare questi forti temporali di sera con la visibilità ulteriormente ridotta. Questa volta ci siamo arrivati vicini alla visita dei castelli, sarà il pretesto per ritornare. Sulla via del ritorno di nuovo la pioggia riappare all’inizio dello stesso tunnel, così proseguiamo, sperando che dall’altra parte la pioggia non ci sia, come era successo all’andata. Clamoroso errore di valutazione visto che all’uscita del tunnel sulla strada che porta al Fernpass la pioggia è più forte e, pur non assumendo le caratteristiche di temporale, si fa fastidiosa, tanto da imporci velocità ridotte. Un temporale nelle Alpi è sempre associato ad un abbassamento delle temperature che i motociclisti notano soprattutto nelle mani e nei piedi, se poi l’acqua riesce ad infilarsi nelle vulnerabili tute antipioggia, la sensazione di freddo si estende a tutto il corpo. Una tappa in un’area di servizio non serve solo per il pieno ma anche per raccogliere le idee, confortare le passeggere su improbabili prossimi rasserenamenti, riscaldare mani e piedi in qualche modo, cercare di tappare le falle nella tuta ( sedicente ) impermeabile.

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Proseguiamo per Innsbruck su una scorciatoia che si snoda in discesa tra i boschi: bellissima, ci fosse il sole, ma con la pioggia battente insidiosissima per il rischio di scivolare. Finalmente imbocchiamo l’autostrada A12 che ci porterà al passo del Brennero e, nonostante la pioggia cessi, la temperatura scende ancora con le prime ombre della sera. Finalmente, superiamo il Passo del Brennero e, appena imboccata l’autostrada italiana ci fermiamo alla prima area di servizio … bagnati e infreddoliti. Tutto sommato abbiamo resistito bene alle cattive condizioni meteo, visto che abbiamo “navigato” quasi due ore sotto la pioggia e ad una temperatura non proprio estiva. Un caffè, un cappuccino, un tè, un qualsiasi liquido caldo ci permette di ristabilire una temperatura corporea adeguata per superare gli ultimi 50 km fino a Bolzano. Se nel lato austriaco la temperatura era introno ai 10 gradi, sul lato italiano la temperatura è inaspettatamente e piacevolmente sopra i 25 gradi, una goduria per il corpo e per l’anima. All’arrivo in albergo, scopriamo che in Italia il tempo è stato per tutta la giornata soleggiato con temperature decisamente estive. Avremmo dovuto seguire i consigli di Mario e andare nelle Dolomiti, ma almeno possiamo dire di averci provato e abbiamo una piccola esperienza, diversa dal solito, da raccontare. Nel giorno del rientro a casa, cielo azzurro e temperature quasi estive ci ristorano dell’umidità patita ieri. Stavolta decidiamo di seguire il consiglio di Mario che ci indica un tragitto alternativo all’autostrada fino a Riva del Garda. Mai scelta fu più felice: un tragitto che vale un viaggio. Dalla valle dell’Adige saliamo per il Passo Mendola, un dislivello di circa 1000 metri che si supera con una strada tagliata nel bosco tutta curve e tornanti. Si scende poi verso Mezzocorona e si risale per attraversare Andalo, fino allo splendido lago di Molveno e di nuovo giù fino a Riva del Garda. 125


Attraversiamo prati di un verde primaverile intenso, ornati da miriadi di fiori variopinti, i monti con le cime ornate ancora dai candidi nevai che brillano tra le rocce si riflettono sui piccoli laghi blu. A Riva del Garda, ci aspetta il traffico intenso di una domenica di sole con un unico lungo ingorgo che, grazie alle moto, superiamo con il classico slalom. Infatti, la stretta strada costiera passa per molti chilometri in galleria e, proprio all’interno di una di queste, un’auto in panne viene spinta lentamente verso l’uscita. Questo provoca la lunga coda, che stimo di 7-8 km, con passeggeri boccheggianti, inscatolati in macchine ferme sotto il sole e ammorbati dai gas di scarico. Viva la moto! Superato l’ingorgo a Gargnano, salutiamo il Garda con i sui windsurf, le barche a vela e soprattutto le frotte di turisti che lottano per godersi la prima vera domenica di primavera, dopo un inverno tra i più piovosi degli ultimi due secoli. Purtroppo il traffico non è solo sul lago, ma il rientro dal lungo week end intasa anche l’autostrada tanto che a Carpi un incidente blocca il traffico e ci costringe a uscire per rientrare dopo 10 minuti a Modena Nord, superando agevolmente le lunghe file di mezzi in coda. Viva la moto! Ancora code lungo l’autostrada, fortunatamente questa volta nella corsia opposta alla nostra, per il traffico di rientro verso nord dalla riviera romagnola. Viva la moto ! Per monti e per laghi http://vimeo.com/4518286

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Il rosso, il Verde, il Blu, il Giallo, il Nero.

L’idea generale del viaggio è stata quella di visitare un’area degli Stati Uniti, in cui la natura e i grandi spazi fossero i protagonisti. Infatti, viaggiare in moto significa “far parte del paesaggio”. Poi c’era il mitico Motocycle Rally a Sturgis. Infine, ma non ultimi, i miti dell’infanzia, fantasticati e sintetizzati da Francesco Guccini “dalla via Emilia al West”. Il percorso scelto è quasi un quadrato che inizia e termina a Denver, seguendo il senso orario e, il racconto del viaggio seguirà lo stesso percorso. Il Rosso: Il Verde: Il Blu: Il Nero: Il Giallo:

lato sud, da Denver, Colorado, a Moab, Utah lato ovest, da Moab a Yellowstone, Wyoming, via Salt Lake City e Yackson Hole, Utah. lato nord, da Yellowstone alle Black Hills, South Dakota. è Sturgis. lato est, dalle Back Hills a Denver, via Cheyenne, Wyo. ~

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Il Rosso Lasciamo Denver, seguendo la I-70 fino a Grand Junction, prima tappa, con davanti a noi le Montagne Rocciose, dalle vette ancora innevate. Quello che ci colpisce è la variazione della scenografia in cui la strada si srotola, già fin dai primi chilometri. Nella prima parte, dominano le montagne dai profili compatti a tratti morbidi: il verde scuro delle conifere è interrotto, lungo le valli, dalle macchie di verde luminoso dei prati e dei campi da golf. Superato il Continental Divide con il Eisenhower-Johnson Memorial Tunnel, posto a 3900 metri di altitudine, ci troviamo sul versante west del continente e qui comincia ad apparire, come in una lenta dissolvenza cinematografica, il rosso tipico delle rocce, dalle quali il Colorado prende il proprio nome. Le pareti si fanno più verticali e il fiume, vorticoso, entra in un canyon vero e proprio il Glenwood Canyon. Qualche decina di miglia più a ovest, la valle si allarga ed entriamo in una mesa, all’altitudine di circa 1800 metri, circondati da brulle montagne, simili a cumuli di ghiaia grigia-rossa, che raggiungono i 3000 metri. Un paesaggio che termina con il maestoso e inquietante monte Garfield (2600 m.) che incombe su Grand Junction, dove finalmente il Colorado scorre in una larga pianura. Arriviamo al nostro motel, il primo di una lunga serie che normalmente si trova all’uscita principale delle Interstate. Qui sono solitamente collocati molti motel e ristoranti appartenenti a catene nazionali. Lasciati i bagagli, prendiamo coscienza della struttura urbana, tipica di tutte le cittadine americane: una scacchiera regolare con l’asse centrale occupato dalla main street, dove si concentrano i piccoli negozi, i ristorantini e i caffè. Di Grand Junction, mi colpisce la main street di un tardo pomeriggio d’estate, graziosa, ma vuota di gente, con un 128


negozio che vende “armi e strumenti musicali”! Cerchiamo su Tripadvisor un ristorante con un punteggio elevato e casualmente ci segnala Enzo’s, proprio vicino al nostro albergo. Una breve parentesi nel racconto, per parlare di come in USA sia facile accedere, con uno smartphone, a delle wi-fi libere un po’ dovunque e quindi avere accesso a internet. Gianni e Daniela, compreso questo, si aggiravano nelle strade come rabdomanti, con i loro iPhone in mano, per individuare il locale con la wi-fi più potente. Enzo’s è un bel posto solitamente molto vivo, ottimo servizio e dove abbiamo mangiato bene. Penne all’arrabbiata veramente … incazzate! Scopriamo che il locale, casualmente, quel fine settimana festeggia i dieci anni di attività e quindi l’animazione è ancora più viva del solito, con musica e collanine rosse, come gadget per i clienti. Il mattino seguente, dal centro di Grand Junction, attraversiamo il fiume verso ovest con il sole che illumina le balze rosse del Colorado National Monument, il primo parco del nostro viaggio. Percorriamo la Rim Rock Drive che sale sulla mesa e lambisce, lungo i suoi 30 km, i vertici delle ripide pareti dei canyons. Una sorta di balcone, dal quale si dominano le aree naturali selvagge del fondo dei canyons e, sullo sfondo, la fertile pianura creata dal Colorado. Il traffico assente e la temperatura alta ci convincono a togliere il casco, la legge lo consente sopra i 18 anni, e soprattutto le giacche di pelle. Comincia così il trattamento elioterapico che proseguirà nei giorni successivi, portandoci ad avere colorazione analoga alle sandstones del Colorado sulla pelle esposta, con evidenti ustioni sul naso e sulla fronte. Alla fine del viaggio avremo una vistosa abbronzatura a mezze maniche e il naso desquamato!

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Rientriamo nel nostro motel. Qui ceniamo per la prima volta in un ristorante, per l’esattezza un dinner, della catena Danny’s, guidati lì dal potente segnale wi-fi free captato fin dall’interno delle nostre stanze, poste a 200 metri di distanza. Il più bell’itinerario del viaggio è quello che, il giorno successivo, ci porta da G. Junction a Moab (Utah), seguendo il corso del Colorado, prima lungo la I-70 e poi lungo Hwy 128 : 200 km in un paesaggio da favola … o meglio da film western. La I-70 attraversa un’ampia pianura pressoché desertica, simile a una steppa, delimitata in lontananza da balze rosso-grigie. Contrariamente alle nostre abitudini, prima di partire né io né Gianni facciamo il pieno, considerando che l’autonomia residua delle moto ci avrebbe consentito di superare la distanza fino a Moab. Sulla deserta I-70, un cartello galeotto “prossima stazione di servizio a 70 miglia” ha un immediato effetto ansiogeno su Daniela. Effetto che s’incrementa, quando usciamo dall’Interstate per entrare nell’Highway 128 che s’insinua in un area ancor più desolata. Cerco di tranquillizzare Daniela, dicendo che avremo fatto benzina a Cisco, un paesino segnato sulla carta a poche miglia di distanza! Quando scopriamo che Cisco è solo un gruppo di capanne e casupole, con evidenti segni di abbandono e degrado, il panico sta per prendere il sopravvento sulle nostre compagne. Una sessione di psicoterapia di gruppo calma la situazione . ovvero ci fermiamo e, con Gianni, rendiamo edotte le passeggere che l’autonomia residua, indicata sul cruscotto, supera ampiamente le 40 miglia di distanza da Moab, indicata dal cartello stradale appena superato. Ristabilita la calma, seguiamo il Colorado nel suo pigro e sinuoso avanzare tra pareti di rocce sempre più alte e verticali che incombono sulla strada. Dopo qualche chilometro percorso in questo tunnel rosso con il cielo azzurro come soffitto, la vista si spalanca su un’ampia area pianeggiante, semidesertica, 130


racchiusa dalle alte pareti rocciose su cui torreggiano monoliti scolpiti dall’erosione di Castelton Tower. Molto simile alla ben più famosa Monument Valley. Percorriamo la lunga diritta, solitaria strada come fossimo a bordo della macchina del tempo di H. G.Wells … ma in fondo le nostre Harley sono realmente delle macchine del tempo! L’impatto con il paesaggio dei canyon del Colorando non poteva essere più spettacolare!

Da sinistra: Gianni, Roberta, Daniela

Così abbiamo pensato fino a quando, nel pomeriggio, non abbiamo visitato Arches National Park. Foto e video sono in grado di descrivere adeguatamente il paesaggio, ma non possono sicuramente esprimere le sensazioni che proviamo e che tento di sintetizzare in questa domanda: ma è tutto proprio vero o ci troviamo in una sala in cui si proietta un documentario in 3D, su Marte? Allo stesso tempo, il fanciullo che è in noi cerca insistentemente tra le rocce in bilico, gli archi di pietra, i 131


cespugli spinosi, le tracce di Willy Coyote e delle sue trappole firmate ACME per tentare di catturare inutilmente Beep Beep. Una giornata indimenticabile chiusa in bellezza nel giardino di un piccolo ristorante di Moab (sempre grazie a Tripadvisor) pasteggiando con del buon Outlaw … nessun brigante, ma un ottimo vino, prodotto proprio a Castelton. Ovviamente. rosso! Il mattino dopo la nostra meta è l’Isola nel Cielo (Island in the Sky ) nel Canyonsland Natural Park di fronte all’Arches Park. Con un leggera brezza e il cielo appena coperto da nuvole sottili, saliamo rapidamente le pareti della valle fino a 1700 metri di altitudine e ci troviamo ad attraversare la piatta prateria della mesa , un altopiano dove i cespugli grigio-verdi di ginepro si stagliano sulla superficie di erba bionda. La sensazione di tranquillità e pace che genera questo paesaggio all’improvviso s’interrompe con una visione quasi infernale degli abissi creati dai fiumi Colorado e Green River che scorrono 500 m. più in basso. Sotto i nostri piedi, la mesa si frantuma in un grande paesaggio di canyons, terrazzamenti e monoliti che declinano tutte le tonalità del rosso. Osserviamo questo paesaggio, sotto di noi, dalla punta di un promontorio, circondati per quasi 360 gradi dagli abissi … siamo proprio in un Isola nel Cielo. Un cielo blu, ornato di bianche nuvole di cotone. ~ Il verde Oggi, ci lasciamo alle spalle l’arido paesaggio dei canyons del Colorado in direzione nord, per raggiungere il parco di Yellowstone. Attraversiamo l’area desertica che separa Moab da Price, percorrendo i lunghi rettilinei in compagnia solo dei grandi camion che ci sorpassano, incuranti dei limiti di velocità. Price è alla base dell’area montuosa che dobbiamo attraversare per raggiungere Salt Lake City, dove si conclude la nostra 132


prima tappa. Lungo la HWY 6, il paesaggio ancora una volta muta profondamente, portandoci a percorrere valli e altopiani che ricordano i nostri Appennini. La strada affianca per parecchi chilometri la ferrovia e un piccolo convoglio ferroviario ci accompagna per un lungo tratto. Quando il treno attraversa un cavalcavia, ci fermiamo per scattare una foto a questo insolito compagno di viaggio e, forse, sorprendiamo piacevolmente anche il macchinista, che si accorge dell’operazione e ci saluta, suonando la sua sirena. Raggiungiamo la I-15 che costeggiando il Lago Salato ci porterà alla nostra destinazione. Purtroppo, come tutte le autostrade che attraversano un’area industriale e si avvicinano a una grande città, i 60 km che ci separano da Salt Lake City sono caratterizzati da traffico intenso, cantieri, restringimenti di carreggiata e fondo stradale irregolare. Questa volta ci fa compagnia, per un lungo tratto, il rosso camion della Coca Cola reso ancor più enorme dal rimorchio. Ci lasciamo, all’uscita per Salt Lake City, visto che il nostro albergo è in pieno downtown. Alla reception, un signore francese ci racconta che anche lui sta andando a Sturgis. Ci salutiamo, commentando che, magari, ci s’incontrerà là, nonostante le 500.000 persone presenti. Non ci crederete, ma ci siamo incontrati veramente ! La downtown di Salt Lake City è simile a tutte le altre con i suoi grattaceli di uffici (non così alti né così numerosi come quelli delle più grandi città USA), un’area centrale è stata ristrutturata per farne un frequentatissimo centro commerciale, imitando con le sue architetture i centri storici europei. Nelle vie affollate incontriamo un simpatico giovane musicista di strada con il suo inseparabile cagnolino, seduto sullo strumento, si esattamente seduto … sul piano verticale, uno strumento decisamente insolito per un musicista ambulante. Ci fermiamo ad ascoltarlo non solo perché suona ottima musica, ma perché, sul piano, ha incollata una grande carta geografica degli Stati Uniti dove ha indicato le tappe del suo 133


viaggio che dal Texas lo porterà a New York. Mentre scambiamo quattro chiacchiere, esprime il desiderio di venire in Italia, ma non sa come … attraversare l’oceano con il piano. Avrei voluto consigliargli di leggere il libro di Baricco “Pianista sull’oceano”, ma non so se esista l’edizione inglese. Salt Lake City ha un cuore e un’origine spirituale: Temple Square sede della Chiesa dei Santi degli Ultimi Giorni, ovvero i Mormoni che hanno fondato la città nella metà dell’800. Una visita è d’obbligo perché questa comunità religiosa, fuggita nel Far West dalle persecuzioni degli Stati dell’Est , dove era nata, fondò non solo la città ma colonizzò l’intero territorio con tante altre piccole cittadine. Questa comunità è forse l’espressione più autentica dello spirito che ha portato alla conquista del West: la ricerca della libertà e di un nuovo inizio. Mentre entriamo nella Temple Square una giovane squillante voce femminile ci chiede: ” Siete italiani ?” Conosciamo così sister Narduzzi di Torino e la sua giovane consorella di Taiwan, entrambe stanno svolgendo la loro missione a Salt Lake City, per almeno una volta nella loro vita, come prescrive la loro Chiesa. Un incontro fortunato perché saranno loro a farci da guida nel conoscere non solo i luoghi ma anche gli aspetti salienti della loro religione. Un bell’incontro! Il giorno dopo ripartiamo per avvicinarci al parco: la meta fissata è Jackson Hole, alle porte di Yellowstone. Il viaggio inizia, attraversando le montagne alle spalle della città e le verdi fertili valli in cui si stagliano gli acuminati campanili dei templi mormoni. Dalle foreste di conifere si diffonde un profumo così intenso che sembra di avere inalato il Wicks Vaporub. Salendo ancora, troviamo le foreste di betulle con i loro bianchi tronchi che si stagliano sul verde intenso del sottobosco. Al termine del lungo itinerario montano ci affacciamo sull’ampia e coltivata valle che ospita il Bear Lake, l’azzurro 134


del lago è copia di quello del cielo, una visione veramente fantastica. Come consigliato da Steven, un motociclista conosciuto durante una sosta in un distributore di benzina, ci fermiamo a Garden City, una piccola cittadina sulle rive del lago per gustare i famosi lamponi, nella versione frullato con gelato di vaniglia. E’ la specialità di questo luogo e, infatti, molti locali offrono preparati a base di lamponi. La valle che circonda il lago è intensamente coltivata e i campi si alternano ai pascoli in una continua e infinita variazioni di tonalità di verde. Attraversiamo alcuni villaggi di qualche centinaio di abitanti dai nomi sicuramente impegnativi: Paris, Montpelier, Geneva. Valichiamo un altro piccolo gruppo montuoso ed entriamo nella Star Valley , a cavallo tra Idaho e Wyoming , famosa per i pascoli e la produzione di formaggi. Siamo proprio nel regno dei cowboy e della cultura del ranch. Afton è al centro della valle e parcheggiamo le moto nella main street, proprio sotto il più grande arco fatto di corna di alce che da il benvenuto ai visitatori. Il posto è scelto, non casualmente, di fronte ad un tipico piccolo dinner a conduzione familiare dove mangiamo la nostra ennesima, ottima, bistecca con contorno di gamberi fritti. La tovaglia di carta pubblicizza i rodei e i negozi che vendono attrezzature per andare a cavallo alla moda western. Mancano solo i cavalli legati fuori dal saloon e John Wayne che entra per un drink. La nostra è sicuramente una presenza esotica e insolita, infatti, quando gli altri pochi ospiti comprendono che veniamo dall’Italia, come spesso accade, ci salutano, esprimendo una grande simpatia per il nostro paese e la voglia di visitarlo, almeno una volta nella loro vita. Rinfrancati dal cibo e dai saluti, ripartiamo per Jackson Hole, la porta turistica dell’area dei grandi parchi nazionali Grand 135


Teton e Yellowstone, dove ci attende un bellissimo lodge western style. Le stanze del motel sono collocate in bungalow, disposti sul perimetro rettangolare di un verdissimo prato verde con al centro una piscina e una vasca per idromassaggio, dove trascorriamo il tempo prima della cena. Cena a base di bistecche di bufalo ed alce che, ovviamente, non poteva che essere presso il famoso ristorante The Gun Barrel Steak & Game House. Così ci consiglia Tripadvisor e noi confermiamo. ~ Il Blu Le geometriche montagne del Grand Teton, con le loro rocce scure macchiate dai bianchi nevai, dominano la strada che nella fresca mattina ci conduce al parco di Yellowstone. Il blu intenso del cielo si riflette nei numerosi laghi, grandi e piccoli, che incontriamo. Più ci avviciniamo al parco di Yellowstone più aumentano camper, roulotte, pick up con barche al traino ed ovviamente … moto! All’interno del parco, una strada con percorso ad anello di 230 km permette di toccare tutte le aree principali e i punti di attrazione naturalistica salienti: il Grand Loop Road. Il nostro lodge si trova all’estremo nord del parco, ovvero dal lato opposto a quello del nostro ingresso, così che per raggiungerlo percorriamo tutto il lato west del Grand Loop Road, toccando tra l’altro il mitico Old Faithful.

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Che cosa c’è che porta centinaia di persone ad aspettare pazientemente che da un buco del terreno venga fuori un getto di vapore ed acqua bollente alto 40 metri? Non lo so ! Potrei dire che, per scoprirlo, mi sono unito ai turisti seduti su panche di legno in trepida e paziente attesa del “grande spruzzo”, ma in verità mi sono semplicemente accodato anch’io per la curiosità di confrontare questo fenomeno della natura con i geyser che ho visto in Islanda. In verità, la differenza principale sta nell’assalto cui è sottoposto questo fenomeno naturale, trasformandolo in un fenomeno da baraccone. Per carità tutto è ben organizzato, addirittura meticolosamente, come il conto alla rovescia del display elettronico che stima l’approssimarsi della emissione. Ho apprezzato di più le altre aree del parco con le caldare e i getti di vapore che si incontrano lungo il Grand Loop, meno assediate dai turisti forse e più in sintonia con l’ambiente naturale. Fa impressione vedere le vaste aree colpite dal grande incendio del 1988 con gli scheletri di alberi rimasti a testimoniare la tragedia. Il Loop è abbastanza frequentato da ogni tipo di mezzo e, purtroppo, quando si presenta la possibilità di vedere un animale selvatico dalla strada, il traffico si blocca con piccoli 137


ingorghi, a volte pericolosi quando si trovano dietro una curva, e solo grazie all’agilità della moto riusciamo a superarli agevolmente. Per fortuna gli avvistamenti degli animali selvatici, dalla strada, non sono frequenti. Tra quelli più scenografici ci sono sicuramente i bisonti, fino a che non te li trovi a due metri di distanza dalla moto. Questo succede mentre percorriamo la NE Entrance Road lungo il Lamar River con la pianura affollata di bisonti, alcuni dei quali indecisi se attraversare la strada prima . dopo … o mentre passiamo noi, in moto. Nel dubbio, Daniela, anziché filmare la scena dei bestioni accanto alle moto, punta l’obiettivo in ogni direzione, esprimendo chiaramente che le presenze belluine mettevano in secondo piano la sua attività di film maker rispetto a quella di scappare repentinamente, al minimo manifestarsi di atteggiamenti aggressivi. Atteggiamenti aggressivi che non si sono palesati, lasciandoci passare tranquillamente. Lo sforzo da fare è quello di immaginare queste verdi piane, con le loro filigrane argentee di ruscelli, popolate da migliaia di questi bestioni e dei loro smilzi cuccioli, prima della grande carneficina provocata agli invasori bianchi. Di Yoghi e Bubu, purtroppo, nessuna traccia! I pochi elementi che ci dicono delle loro presenza sono gli spy anti orso che si vendono negli shop del parco e i depositi di immondizia la cui apertura è più complessa di quella dei forzieri di Fort Knox. Un cartello, che si trova nei negozi, relativo proprio agli spy anti orso, aggiunge una nota comica: gli spry si sostituiscono solo se difettosi. Immagino la scena dell’incontro ravvicinato tra l’orso e il turista e quest’ultimo che tenta inutilmente di spruzzare il liquido salvifico … se riesce a raccontarla si guarderà bene di riportare la bomboletta al negozio, più probabilmente la esporrà in casa come una reliquia ex voto! Tutti gli altri, meno fortunati, difficilmente saranno in grado di sporgere reclamo! 138


Lasciamo Yellowstone dietro le spalle e proseguiamo il nostro viaggio in direzione del mitico Beartooth Pass (3900 metri di altitudine) al confine tra Wyoming e Montana lungo la HWY 212, considerata la più bella strada degli States. L’area montana è ricca di piccoli laghi di un blu intenso, circondati da prati verdissimi. La strada è ricca di tornanti “americani”, nulla a che vedere con lo Stelvio o il Grossglockner, potremmo definirli meglio curvoni perfetti disegnati per le nostre Electa Glide, fondo perfetto senza buche o sassi sparsi. Dunque, una passeggiata per noi europei. Il panorama che si gode salendo è maestoso e si estende verso le montagne di Yellowstone ad ovest e le grandi praterie ad est sotto questo grande cielo, oggi di un blu ancora più intenso vista l’altitudine e forse lo stato d’animo. Si capisce il significato della denominazione data a quest’area del Montana: Big Sky! Sì, siamo, infatti, entrati nello stato del Montana, ma ci rimarremo poco, giusto il tempo per scendere a Red Lodge sull’altro lato del passo e da qui entrare nel Wyoming per raggiungere Cody, attraversando la pianura gialla per i cereali e per i pascoli: ancora un altro paesaggio nel giro di poche miglia. Cody, paese di nascita di Buffalo Bill, non ha nulla di diverso dalle altre cittadine che abbiamo attraversato, se non la presenza di un bellissimo centro culturale e museo dedicato al grande istrionico personaggio che ha incarnato e diffuso nel mondo il mito e l’epopea Western. Basterebbe la visita a questo centro per giustificare il viaggio a Cody, tra memorabilia, ricostruzioni, ambientazioni si riesce realmente a sentire lo spirito di un certo West, assolutamente complementare a quello spirituale della fuga dei Mormoni: ma entrambi a mio avviso animati dallo stesso senso di libertà. Qui soprattutto si riesce a capire meglio il tragico destino del popolo indiano. 139


Cody è anche la capitale, così dicono, del rodeo e non possiamo mancare di assistere a quello organizzato, ogni sera, in estate per i molti turisti presenti. Turisti tutti degli States, tranne noi e pochi altri. Il rodeo è da vedere e gustare con lo spirito giusto: roba rustica, semplice, patriottica e un po’ di kitsch. Sicuramente non è finta! Direi che è molto simile ai nostri circhi, nei quali, chi si esibisce crede a quello che fa e vuole fare del suo meglio per lo spettacolo. Nonostante il rodeo veda esibizioni di persone e animali, si può notare come in questa relazione si rispettino profondamente gli animali, sia quando sono avversari, come i tori e i cavalli selvaggi sia quando sono alleati, come i magnifici cavalli mustang. Noi abbiamo fatto precedere il rodeo da una bella bisteccona in un tipico locale western tutto in legno con diverse sale e un musicista country che sciorina le sue ballad, accompagnandosi al piano. Gli ospiti sono tipici americani del west, vestiti di jeans e con i cappelloni. Vicino al nostro tavolo c’è una piccola comitiva di coppie che festeggia allegramente il cinquantesimo compleanno di uno di loro e, visto che ci individuano come italiani, ci chiedono di 140


intonare insieme a loro il buon compleanno in italiano of course! Poi qualche scambio di battute, alcune comprensibili altre intuibili, sulle prodezze sessuali del festeggiato. Quando lasciano il locale ci augurano calorosamente un buon viaggio per il nostro giro negli States. La simpatica signora al botteghino dove compriamo i biglietti per il rodeo ci suggerisce di trovare posto su uno specifico lato dell’arena e quando siamo lì comprendiamo il perché. Ci troviamo a pochi metri dai recinti da dove partono i cowboy in groppa ai tori e ai cavalli selvaggi, quindi riusciamo a seguire da vicino tutte le complesse fasi preparatorie, forse la parte più interessante dello spettacolo. Abbiamo fatto il carico di cultura western a Cody e siamo pronti ad affacciarci nella prateria che qui inizia per estendersi miglia e miglia verso est. Gialle pianure di fieno appena ondulate, segnate dalle geometrie regolari dei recinti e dei cavi di linee elettriche e telefoniche. Tra Cody e Sheridan, la pianura è interrotta dal massiccio montuoso del Big Horn che attraversiamo non senza un attimo di tensione, provocato da una piccola frana che dissemina sassi, più o meno gradi, sulla strada. Ovviamente in moto riusciamo a superare agevolmente l’ostacolo, lasciando alle auto l’attesa che la strada venga liberata. Arriviamo in una deserta Sheridan la domenica pomeriggio, cercando, vanamente, di coglierne il decantato fascino della storica città dell’epopea western, ma non ci riesco e decido di andare a dormire, puntando a concludere la giornata con una ottima cena. Gli altri compagni di viaggio si divertono nei grandi supermercati sempre aperti confrontando prezzi, dimensioni e prodotti americani con i nostri italiani. Le nostre signore rimangono colpite dalle dimensioni ultra large della biancheria intima femminile. Un’ulteriore conferma di quanto si vede normalmente in strada. 141


Peccato che il tempo passi e, quando siamo pronti per la cena, lo storico ristorante segnalato da Tripadvisor stia chiudendo. Entriamo anche solo per vedere le ricche memorabilia originali del vecchio West, così, quando usciamo, ci rimane come unica alternativa il solito Mc Donald vicino all’uscita dell’Interstate, aperto 24 ore su 24. A quell’ora, nel locale ci siamo solo noi oltre ad una allegra comitiva di adolescenti che poco prima di uscire ci saluta simpaticamente. Anche questa è l’America ! Il giorno dopo continuiamo lungo la prateria in direzione di Hulett, nostra base per Sturgis. La Devil’s Tower, che il film Incontri ravvicinati del terzo tipo ha reso popolare, è il nostro punto di riferimento, lì abbiamo il nostro albergo. Vicino al monolite, il paesaggio assume i caratteri collinari, con pascoli verdi e boschi di conifere: siamo ai confine delle Black Hills. Hulett è un villaggio di qualche centinaio di anime, come recita il cartello all’ingresso, a 100 km da Sturgis, ma già con molti motociclisti che, come noi, l’hanno scelto come base per raggiungere il mitico raduno. ~ Il Nero Sul mega raduno di Sturgis nelle Black Hills, Annual Sturgis Motorcycle Rally, si è detto e scritto di tutto, quindi, più che descriverlo, vi racconto quello che abbiamo fatto. Lasciamo Hulett al mattino per percorrere i 100 kilometri a cavallo tra Wyoming e Sud Dakota che ci separano dal “mitico raduno”, attraversando un paesaggio di dolci colline e pascoli circondati da boschi. Incrociamo continuamente gruppi di motociclisti che provengono da Sturgis e più ci avviciniamo più la frequenza di moto aumenta ( ovviamente ). 142


L’ingresso alla cittadina, sede del raduno, è facile da trovare, basta seguire il flusso di moto, l’urbanistica delle cittadine americane è per noi ormai nota e non facciamo fatica ad orientarci: strade a scacchiera con la main street al centro. Il traffico delle migliaia di moto scorre lento e regolare, peccato che non abbiamo chiuso al traffico automobilistico l’intera area, come a Faak am See in Austria, per l’European Bike Week. Il parcheggio si trova abbastanza facilmente e anche nella main street basta attendere che qualcuno riparta, infatti, se pur le moto siano moltissime, il ricambio nei parcheggi è molto frequente. La cosa che più colpisce è l’impressionante numero di t-shirt in vendita, tutte personalizzate per l’evento 2011; contrariamente a quello che avviene a Faak am See, qui tutta la cittadina è un gigantesco centro commerciale occupato soprattutto da stand e negozi di abbigliamento per moto … custom style of course.

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Parcheggiamo quasi subito in una traversa della main street e ci dirigiamo nei locali dove vengono vendute maglietta, pin e patch ufficiali del raduno …. Acquisto multiplo per amici e parenti con il complesso sistema di equazioni a tre incognite, prodotto dall’abbinamento taglia-colore-nome, problema felicemente risolto con la paziente e simpatica collaborazione della signora addetta alla vendita. Poi visita al villaggio ufficiale dell’Harley Davidson: modelli nuovi, accessori, abbigliamento in mostra. Nel padiglione con le moto, che partecipano al concorso custom, ci sorge il dubbio sulle sostanze psicotrope usate dei progettisti e spero non dai meccanici. A proposito di sostanze psicotrope passiamo allo stand Jack Daniel’s che vende … magliette. La sostanza alcolica si deve comprare nel vicino drugstore, anche in bottiglia personalizzata Sturgis. In verità, i tantissimi stand propongono sempre le stesse cose: abbigliamento in pelle, dallo stile sado-maso a quello western, gadget di vario tipo e natura tutti rigorosamente eccessivi, tshirt in tutte le salse. Difficile trovare taglie europee, le più piccole sono large e non si trovano facilmente. A pranzo ci infiliamo nel Knuckle Saloon, uno dei tanti locali dove in genere si spaccia musica rock e country alla buona, si beve e si mangia, sempre che trovi un posto ed si catturi una cameriera. Infatti, l’improbabile cameriera è una ragazza che è stata arruolata senza avere le caratteristiche fisiche e psicologiche, necessarie a gestire i difficili rapporti umani di clienti un po’ alticci dai modi ruvidi. La vedi sgusciare via veloce come un’anguilla tra i tavoli, fermandosi giusto il tempo per scrivere sul suo taccuino i numeri delle pietanze che le vengono ordinati. L’ordinazione si trasforma quindi è una sorta di lotteria la cui buona riuscita dipende dai numeri con cui sono identificati i piatti che la ragazza riuscirà a comprendere, superando il livello di musica e rumore presente al momento. La nostra 144


capacità d’interpretazione del menù dipende dalla descrizione fotografica dei piatti e dall’abbinamento con quelli serviti ai vicini, dalla possibilità di ottenere quelli scelti dipende invece dalla capacità di indicare tutto, nel breve tempo in cui siamo riusciti a bloccare la cameriera, ma soprattutto dalla capacità degli addetti alla cucina di interpretare gli appunti stenografici della ragazza che ha preso l’ordinazione. Insomma, si mangia quello che ti portano, in base ai numeri estratti alla lotteria istantanea sulla ruota di Sturgis, ma nessuno si lamenta….questo fa parte del clima del raduno. Per le bibite, abbiamo adottato la tecnica del self service, altrimenti, saremmo usciti a notte fonda prima di riagguantare la cameriera. Usciamo dal saloon con una massiccia dose di grassi, calorie e decibel che deve essere smaltita, percorrendo avanti- indietro le strade, dentro-fuori i negozi fino alla conquista di uno spazio per sedersi sulla main street, dove godersi il pittoresco e variopinto passaggio di moto e motociclisti. Una tappa culturale non può mancare, così visitiamo il museo storico delle moto. Qui, un attempato biker alla biglietteria, sembra uscito dalla penna di un fumettista, mostra grande cordialità a ritmi rallentati e grande ammirazione per le moto italiane. Alla fine si può dire che a Sturgis, oltre che comprare magliette, si beve e si passeggia piacevolmente frastornati da moto, rumore, musica, volti, odori che ti portano ad una sorta di nirvana meccanico. Al tramonto, rientriamo a Hulett, preferendo un simpatico ristorantino stile western di due stanze per rilassarci e mangiare più comodamente, ma sempre con l’atmosfera biker che aleggia anche qui e, scopriremo, aleggia nel raggio di più di 200 km da Sturgis. Il giorno dopo ci svegliamo con il rumore della pioggia che, tuttavia, nel breve tempo necessario a fare colazione cessa. L’acquazzone proviene da ovest e si sposta rapidamente verso 145


est, ovvero verso Sturgis, lasciando, al suo passaggio, un bel cielo azzurro. Per evitare la pioggia, decidiamo di fare un giro ampio, prima di ritornare al raduno e, seguendo la coda dell’acquazzone andiamo a Spearfish, poco lontano da Sturgis (50 km), e qui, seguendo il flusso dei motociclisti, ci infiliamo in un lungo e stretto canyon, dalle caratteristiche simili alle nostre valli alpine, che ci porta a Deadwood, una decina di chilometri da Sturgis. Il percorso deve sembrare, ai motociclisti americani, una sorta di eden per la sinuosità a la spettacolarità del paesaggio, i nostri smanettoni europei rimarrebbero delusi per i limiti di velocità rigorosamente rispettati. La strada bagnata e l’elevato numero di motociclisti impediscono di pennellare il percorso, al ritmo europeo. Deadwood è un luogo imperdibile nel circuito del raduno di Sturgis, frequentato da persone con stesse caratteristiche, ma con soltanto qualche migliaio di moto parcheggiate ovunque o in moto continuo; lungo la main street si aprono i soliti negozi di t-shirt e i saloon in stile western pieni di slot machine. Entriamo nel Saloon #10, famoso perché è il luogo dove venne ucciso Wild Bill Hickok, ricostruito in old style e memorabilia western con il piano terra pieno di bikers ed il primo piano tranquillo e sobrio dove pranziamo ottimamente. Al pari di Buffalo Bill e Calamity Jane, Wild Bill Hickok è un personaggio realmente esistito: fu reso leggendario dalla sua fama di pistolero infallibile, dai racconti orali e dai resoconti giornalistici delle sue imprese. Nel saloon Nuttal & Mann's di Deadwood ad un tavolo da poker, Hickok trovò la morte, ucciso da John "Naso Rotto Jack" McCall, un avventore che al processo riferì di aver voluto vendicare la morte del fratello. Al momento della sua uccisione, Wild Bill aveva in mano una coppia di otto e una di assi, di fiori e picche. Questa combinazione diverrà, successivamente, nel suo nome, la mano del morto.

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Nel saloon si conserva, come una reliquia laica, la sedia su cui Bill era seduto al momento del suo assassinio. Intanto il sole è tornato ed entriamo a Sturgis, parcheggiando all’ingresso del paese vicino a un improvvisato palco dove un gruppo rock blues di ispirazione religiosa suona, nella quasi indifferenza di tutti quelli che passano. Mi fermo, faccio cenno di apprezzare la musica e subito mi regalano un CD. Al tramonto, quando tutti i biker si spostano per andare ai concerti o s’infilano nei molti locali per far festa, noi ritorniamo ad Hulett. Per questa volta, a Sturgis, ci perdiamo alcune cose che in due soli giorni è impossibile fare, soprattutto i concerti rock di qualità che si tengono nei camping fuori Sturgis e le gare motociclistiche che si svolgono nelle zone attorno al Rally. Sarà per la prossima. ~

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Il Giallo

Lunga tappa di trasferimento da Hulett a Cheyenne, capitale del Wyomnig, attraversando prima le Colline Nere (Black Hills) e poi la prateria, con due tappe importanti: Mount Rushmore e il Monumento a Crazy Horse. Mount Rushmore significa, per me, la copertina di Deep Purple In Rock e il film Intrigo internazionale di Hitchcock. Il monumento a Crazy Horse significa cercare di ritornare ai miti dell’infanzia, quando giocavi a indiani e cow boy. Il primo è una terrazza da cui osservare le scultura da vicino, ma lo si può fare tranquillamente da fuori il recinto, evitando anche di pagare l’ingresso. Il secondo è un bel centro che documenta sia l’opera, che alcuni aspetti importanti della cultura dei nativi americani. Ovviamente i parcheggi di entrambi sono pieni di centinaia e centinaia di moto, alle quali viene riservata una zona apposita, visto il mega raduno in corso. 148


Ci fermiamo a pranzo a Custer in una pizzeria dove troviamo un giovane pizzaiolo italiano che ci prepara una ottima pizza di stile italiano e dimensioni americane. Anche qui veniamo agganciati amabilmente da alcuni ospiti che, avendoci riconosciuti per la nazionalità, vogliono condividere con noi le comuni origini. Infatti sono figli di emigrati che provenivano dalla Sicilia. Lasciate le Black Hills, la strada per Cheyenne, attraverso la pianura, è un lunghissimo rettilineo di 300 km pressoché deserto di traffico. Ci fermiamo per il pieno in una piccolissimo agglomerato di case, perduto nel mare d’erba. Un simpatico biker californiano, tatuaggi e bandana d’ordinanza, è attratto dalle nostre targhe californiane e attacca discorso, poi, impietosito dai nostri nasi bruciati, ci offre la sua crema anti scottature: siamo a oltre 200 km da Sturgis e si respira ancora l’aria del raduno. Molti bikers stanno percorrendo la nostra stessa strada, ma in senso contrario, per raggiungere il raduno nella fine settimana che è il momento più affollato dell’evento. Nel piatto orizzonte della prateria si stagliano, verso sud, nubi torreggianti temporalesche che raggiungiamo verso sera, quando esaurita la loro carica, lasciano solo le strade bagnate che riflettono i colori del tramonto. Cheyenne ci accoglie con il solito motel all’uscita dalla Interstate e il solito dinner Danny’s. ~ L’anello si chiude Il giorno dopo, una breve vista al centro di Cheyenne, deserto per la fine settimana e poi giù, a sud verso Denver, solo 150 km per chiudere il nostro “anello americano”. Lungo la Interstate ci fermiamo attirati dalla dimensione enorme della concessionaria Harley Thunder Montains, che da il benvenuto ai bikers per Sturgis … a 360 miglia da Sturgis! Ci viene incontro un venditore di taglia gigante, attratto dal nostro italiano; Rick è figlio d’immigrati calabresi e ci saluta come vecchi compagni, raccontandoci della sua famiglia e del 149


viaggio in Calabria fatto in primavera, per i funerali della nonna. A Denver, riconsegniamo le moto con un consistente strato di polvere, accumulata nel nostro lungo giro. Ci resta un giorno e mezzo, prima della partenza per l’Italia, da dedicare alla visita della città. Nella downtown di Denver è stata creata una lunga strada pedonale, servita da dei bus navetta, lungo la quale si aprono locali, ristoranti, negozi. Prendiamo un caffè da Starbucks e ceniamo al Rockcafe: più americani di così! Il giorno dopo visitiamo il Denver Art Museum, con la sua sghemba architettura progettata da Daniel Libskind, centro d’arte moderna, apprezzando sia le mostre temporanee, ma anche le sue collezioni permanenti dedicate all’epopea western. Nel pomeriggio, raggiungiamo in taxi il mall a Cherry Creek nella zona elegante di Denver per conoscere la vera area dello shopping con negozi eleganti e di grandi marchi, ben diversi a quelli del centro, destinati più ai turisti. Compro un paio di Levi’s 511 a 30 euro ! Tornati in downtown, scopro il famoso negozio Burnmount, specializzato in abbigliamento country western e frequentato da molti importanti musicisti per l’acquisto dei loro abiti di scena. Porto via, come ricordo del viaggio, una camicia ricamata con i riferimenti alla famosa canzone Route 66. Magari è un invito a percorrerla. Ciao America !

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Da Denver a Denver Parte 1: http://vimeo.com/29103336 Parte 2: http://vimeo.com/29105237 Parte 3: http://vimeo.com/29392873 Parte 4: http://vimeo.com/29398590 Parte 5: http://vimeo.com/29682023 Parte 6: http://vimeo.com/29686954 Parte 7: http://vimeo.com/29412443

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Il veicolo perfetto

“L’Harley, appena uscita dalla fabbrica, è già perfetta !”, direte voi, che non conoscete il virus che contagia i possessori di un’Harley: la ricerca continua della personalizzazione, che rende la tua moto non solo perfetta, ma soprattutto unica! La prima cosa da sapere è che non esiste una Harley uguale a un’altra per il semplice motivo che il proprietario viene subito inghiottito nel vortice della personalizzazione. Esistono centinaia di cataloghi, con migliaia di pagine, dedicati agli accessori per i diversi modelli HD.

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In genere, il contagio si manifesta con i primi sintomi leggeri: si cambiano le frecce, gli specchi. le pedane, … piccoli ritocchi. Poi cominciano gli interventi leggermente più impegnativi e ovviamente costosi: manubri, comandi avanzati, fanali, etc. C’è solo l’imbarazzo delle scelta ed il limite del conto corrente. Si arriva a “monumenti”, nei quali, di originale, rimangono pochi pezzi e che possono arrivare a costare fino a 100.000 euro. A parte questi eccessi, una modifica che tutti, prima o poi, fanno è la cosiddetta Harley Tax, ovvero si cambia il filtro e si lasciano gli scarichi aperti per migliorare la respirazione e il sound, poi, per le moto ad iniezione, si modifica la mappatura della centralina originale o si cambia direttamente la centralina con una più performante. Obiettivo? Trasformare la paciosità della moto, tarata per le highway americane, alla guida più nervosa che le strade europee richiedono. Anch’io sono stato preso da questo vortice, però gli interventi sono stati fatti più per migliorare la performance che non per ragioni estetiche, avvantaggiato dal fatto che la Road King ha già di serie una ricca dotazione di accessori. A beneficio degli harleisti, elenco le modifiche più importanti che ho fatto: le sospensioni con molla più rigida ed olio più viscoso; un manubrio per avere posizione delle braccia più comoda ; la cubatura è passata a 1550 cc, filtro Screamin’ Eagle, scarichi “aperti”, ma non rumorosi; centralina Power Commander per migliorare la ripresa ai bassi e soprattutto ai medi regimi; gli ammortizzatori pneumatici di serie sostituiti con ammortizzatori idraulici con precarico micrometrico della molla e freno idraulico in estensione, questo consente di avere una perfetta tenuta di strada e mantenerla anche al variare del carico supportato dalla moto;

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due selle mono e, per viaggi in due, ribassate, ma con imbottitura migliorata nel comfort. Diciamo che, ora, la moto garantisce grande soddisfazione e riesco a guidarla in grande scioltezza, sia nei lunghi percorsi autostradali sia nelle tortuose strade di montagna. Per viaggiare in moto occorre anche avere l’attrezzatura adatta. L’Harley si porta dietro un certo stile biker americano, che significa caschi aperti, jeans, stivaletti western style, gilè in pelle leggera, bandane. Vanno benissimo quando si è ad un raduno o si è fermi in un locale. Per viaggiare, invece, occorre avere i capi giusti per la stagione. Negli Stati Uniti il casco è obbligatorio per i minorenni e, solo in qualche Stato, anche per gli adulti, quindi molti indossano la bandana per proteggersi dal sole o dei caschetti assolutamente inutili. Una campagna abbastanza massiccia è in corso per convincere il motociclisti ad indossare un casco. In Europa, il casco aperto è un must per il biker figo, anche se poi riceve in faccia insetti e breccioline. La visiera è appena tollerata. Personalmente, ho adottato un casco aperto ma omologato come integrale perché ha la protezione del mento ed è dotato di un’ampia visiera e una mascherina interna per il sole. Forse è un po’ grande, in confronto ai caschetti minimalisti, ma attenua il rumore permettendo di viaggiare in sicurezza e confort. La giacca, con le protezioni a spalle e gomiti, di morbida pelle con fodera asportabile, va bene d’estate e d’inverno. Opportunamente aperta fa circolare l’aria, l’ho testata nei parchi del Colorado a 40° sotto il sole. Pantaloni in pelle, ed, in inverno, indossati insieme ad un sottopantaloni di tessuto tecnico che mantiene il calore corporeo, è la soluzione perfetta. Magari in estate anche i jeans in kevlar potrebbero essere un’alternativa, ma non li ho ancora provati.

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Stivali in Gore Tex di foggia a piacere, per evitare di avere i piedi bagnati per la pioggia o per il sudore, secondo le stagioni; se abbinati con una calza di tessuto tecnico che conserva il calore corporeo vanno bene in tutte le stagioni. Ne ho due tipi: a stivale, con interno di pelliccia per l’inverno, tipo anfibio leggero così da poterlo usare nei viaggi anche durante le viste alle città e ai parchi, evitando la necessità di avere, nel bagaglio, una scarpa leggera di scorta. L’antipioggia è in due pezzi in Gore Tex, giacca con il cappuccio da infilare sotto il casco, in questo modo si eliminano possibili infiltrazioni, nel collo, dell’acqua che scivola lungo il casco. Nei viaggi lunghi, meglio avere con sé un pantalone di riserva, c’è sempre qualcuno cui può servire, nel gruppo. I guanti, insieme agli stivali, sono il capo più importante e su questo va cercata la massima qualità. Sempre in Gore Tex in tessuto o pelle leggera per l’estate, ma con le protezioni. Per l’inverno ho adottato, con successo, dei guanti in pile da snow board che hanno anche le protezioni. Accessori sempre utili da avere a bordo per risolvere qualche problema tecnico: kit di chiavi passo in pollici, pinze, due giraviti a taglio e croce, brugole e torx, fascette da elettricista di varie misure (indispensabili), nastro adesivo tipo americano, fil di ferro, bombola per riparare le forature, cinghie per portapacchi, ragno elastico, tanica a sacchetto (non si sa mai !), blocca filetti. Suggerisco di avere scritto, nella custodia del libretto, il numero del vostro meccanico di fiducia. Ricordare soprattutto … assicurazione con soccorso internazionale ! Il navigatore GPS è utile soprattutto nel traffico urbano, mentre è indispensabile dotarsi anche delle classiche mappe stradali. Infatti, se sono abbastanza dettagliate, sono fonte di preziose

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informazioni su percorsi alternativi e su siti interessanti, appena fuori dalla strada principale. Uno smartphone con connessione ad internet è comodissimo, ma ricordate di dotare la moto di un attacco accendisigari per tenere navigatore, telefono e telecamera in carica. Ho una presa a tre ingressi, anche il passeggero ha il suo telefono da ricaricare! Attenzione: quando serve, spesso il telefono è scarico o non prende la linea! Sempre sul libretto, scrivetevi la sequenza per sbloccare l’antifurto della moto, nel caso venisse bloccato da un campo magnetico. Per i viaggi in due e che durano più di una settimana, utilizzo, per l’abbigliamento, una borsa trolley specifica da fissare sullo schienalino del passeggero e sul portapacchi posteriore e una delle due borse laterali. L’altra borsa è destinata alle attrezzature varie e soprattutto alle tute antipioggia. Recentemente, ho acquistato due borse in tela leggera dell’Harley, adatte ad essere infilate nelle borse laterali, che si sono rivelate comode, durante la notte, per evitare possibili furti. A proposito di furti, non tralascio di portare una catena per legare i telai delle moto tra di loro, una precauzione in più, rispetto all’antifurto di serie sulla Road King. Documentare i propri viaggi significa, per me, realizzare dei video, per questo ho dotato la moto di sostegni per la videocamera estremamente funzionali. La videocamera stessa è stata scelta per questo uso, infatti, ho preferito un modello che ha una ottimo stabilizzatore di immagine ed un grandangolo più ampio di quello normalmente montato: il loro effetto, abbinato, da grande stabilità alle riprese video. La telecamera è dotata anche di telecomando, ma si riesce a farne senza, vista la grande accessibilità dei comandi. Indispensabili, sono due filtri 156


da porre davanti all’obiettivo: uno polarizzatore per le riprese in pieno sole, uno neutro per le riprese a bassa luminosità ambientale. I filtri servono, soprattutto, per evitare che i moscerini e la polvere della strada possano sporcare l’obiettivo. Il filtro polarizzatore invece permette una bella saturazione dei colori.

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FINITO DI STAMPARE 2012 PRESSO L’INDUSTRIA GRAFICA TECNOSTAMPA - LORETO NEL MESE DI DICEMBRE



Piergiovanni Ceregioli

Piergiovanni Ceregioli

5 anni con l’americana Racconti di viaggio in sella ad una Harley-Davidson

In questo libro troverete una sintetica cronaca di questi miei primi cinque anni con l’americana!

5 anni con l’americana

La moto diventa una protagonista del tempo libero e se anche il vostro compagno/a e i figli amano viaggiare in moto, come nel mio caso, diventerà anche il mezzo per rafforzare i legami familiari e le amicizie, grazie alla condivisione di viaggi che, in fondo in fondo, sono sempre delle piccole avventure.

2012


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