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LA SOLIDITA' DI LYDIE
from pink basket n. 28
by Pink Basket
PRIMO PIANO - DI SIMONE FULCINITI
COL SUO TALENTO OFFENSIVO, PER CHI DIFENDE, È IL PERICOLO PUBBLICO NUMEROUNO. MA NEL QUOTIDIANO INDOSSA I PANNI DI UNA STUDENTESSA TRANQUILLA, VICINA ALLA LAUREA, CON IDEE CHIARE E PROGETTI CONCRETI. DA GRANDE FARÀ LA CONTABILE, CERTO; MA PRIMA IL SOGNO DI GIOCARE IN EUROLEGA
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Quando Henry Morton Stanley, giornalista britannico, la raggiunse nel 1877, Kinshasa era soltanto un villaggio. Era tornato a esplorare le terre africane dopo aver ritrovato il dottor David Livingstone del quale si erano perdute da tempo le tracce. Quattro anni più tardi, nel 1881, avvenne la fondazione della città: inizialmente battezzata Leopoldville, prese il nome che oggi conosciamo soltanto nel 1966. Capitale della Repubblica democratica del Congo, è uno dei maggiori centri culturali e intellettuali del centro Africa, e vi opera una fiorente comunità di artisti e musicisti.
Ci sono tre grandi università, una scuola d’arte e numerosi impianti sportivi. Qui, il 12 agosto 1998, nasce Lydie Kintala Katshitshi, stella della PMS Moncalieri. Il padre è un medico “senza frontiere”, pertanto un grande viaggiatore. La mamma invece in quegli anni gestisce un negozio di abbigliamento. «Ricordo il contesto familiare, la scuola cattolica che ho frequentato. In particolare il supporto di mia mamma, che per me c’è sempre stata. Mi ha continuamente incoraggiata a fare nuove esperienze. Mi accompagnava dappertutto, sempre donandomi il massimo sostegno».
L’approccio col basket arriva in maniera piuttosto casuale. «Un pomeriggio stavo tornando a casa da scuola, con la mamma. Passammo nei pressi di un campetto all’aperto, dove alcuni ragazzini stavano giocando. Improvvisamente il pallone sfuggì al loro controllo ed arrivò proprio nella nostra direzione. Il mio istinto fu quello di fermarlo coi piedi. Uno dei ragazzi venne verso di me e mi spiegò che in quel gioco si usavano le mani, e mi fece provare a palleggiare un po’. Ne restai affascinata, al punto che, il giorno dopo a scuola, cercai di capirne di più. Andai a spiare quelli che giocavano a basket e da quel momento me ne sono interessata».
La scintilla che porta alla grande avventura. «Il mio primo allenamento è stato a nove anni, a scuola col professore. Ricordo di aver fatto un canestro. Non ero più alta delle altre in quel momento. Giocavamo nell’ambito scolastico, scuole contro scuole, non esistevano squadre fuori dal contesto. Ho imparato piano piano. Dopo due anni avevo fatto buoni progressi, e cominciarono a cercarmi anche nelle altre scuole. Le mie due sorelle si allenavano insieme a me, ma poi hanno lasciato».
Ed ecco che la vita di Lydie prende una nuova direzione. «I miei genitori vollero farmi cambiare paese, per imparare altre lingue, crescere in un luogo più evoluto. Avevo due possibilità: la Francia e l’Italia. Il cuore mi suggerì di scegliere l’Italia. Mi accompagnò mio padre. Mio fratello, che si era trasferito qualche tempo prima, mi avrebbe ospitato. Ero impaurita per il viaggio in aereo, non l’avevo mai preso, ma la presenza di mio padre mi confortava; mi addormentai subito e una volta svegliata ero già a Milano. All’inizio avevo paura di scoprire cose nuove. Inoltre, scesa dall’aereo, vidi “tutto bianco” e iniziai a farmi domande: dove fossi, che facevo lì. Mio fratello mi spiegò subito un po’ di cose. Ho trascorso i primi mesi cercando di comprendere la nuova dimensione».
Uno dei problemi più evidenti è quello della lingua. Dal francese all’italiano il passo non può essere immediato. «Mi iscrissi ad un corso di lingua italiana. Due mesi di studio per prendere il certificato. Correva il marzo del 2013. E a settembre cominciai la prima superiore. Cercavo di comprendere, parlare mi veniva difficile. Leggevo tanto in italiano per velocizzare i tempi e quando non capivo, scovavo le varie parole su Internet». Lydie è una ragazza simpatica, un anno più piccola rispetto ai compagni di classe. «Mi accolsero molto bene, studenti ed insegnanti. Capirono la situazione, le mie difficoltà nelle materie orali. Allo scritto però ero forte, perché studiavo molto». E il basket?
L’incontro giusto è dietro l’angolo. È l’allenatore Luca Di Meo a integrarla nella squadra Cuneo Granda. Katshi (questo è il suo soprannome) entra a far parte del settore giovanile, e comincia ad imporsi, vivendo una splendida esperienza con le Under. «Il basket italiano l’ho trovato subito più intenso. Inoltre, quando sono arrivata, il mio allenatore mi ha fatto giocare da lunga. Quindi nuovi movimenti da imparare. Ma ero molto determinata e i risultati sono arrivati presto».
La prima partita la gioca proprio contro la PMS Moncalieri, quella che diventerà la sua squadra in futuro. «In campo ho cercato di gestirmi, visto che si correva molto. Stavo crescendo, ero la più alta. Sul piano sportivo mi sono divertita, e sono migliorata tanto, anche nel tiro. Umanamente mi sono sentita amata». Quattro anni di giovanili, con l’approdo all’interzona. «Siamo arrivate a Porto San Giorgio e abbiamo perso; ma per Cuneo è stata una bella soddisfazione perché era tempo che non riusciva nell’intento».
Nel frattempo, tra un viaggio in treno e l’altro (Lydie abita a Fossano, e per allenarsi deve viaggiare una mezz’ora), prende il diploma in ragioneria. È l’anno di grazia 2017: arriva il passaggio tra le senior. Tutto cambia un’altra volta. «Il presidente di Moncalieri mi aveva visto all’opera e sapeva che avevo ampi margini di miglioramento. Allora si è messo d’accordo con Di Meo. Il coach mi ha parlato, ho fatto le mie valutazioni e deciso di provare. E contemporaneamente ho accettato anche la serie A2, a Castelnuovo Scrivia pur sapendo che avrei dovuto galoppare ancora di più». Necessario dunque il trasferimento a Torino. Katshi è in ansia, teme il salto di qualità, il livello alto del campionato. Non sa se è in grado di gestire studio, allenamenti, e partite nel weekend.
Ma è determinata, e alla fine riesce nel suo intento. «In A2 all’inizio giocavo poco. Facevo fatica ad accendermi. Poi a metà campionato mi sono lasciata andare e ho cominciato a giocare bene. Il coach era Fabio Pozzi. Ho legato con Licia Corradini di Torino, poi Claire Giacomelli che studiava al Politecnico. Facevamo avanti e indietro tutti giorni, era impresa tosta. Ma mi ha permesso di crescere molto dal lato umano e organizzativo». E basta dare un’occhiata alle cifre di quel periodo, per capire come Lydie avesse già fornito qualche segnale del suo indiscutibile talento. «Quando Moncalieri sale in A2, l’anno successivo, diventa la mia unica squadra». Un primo campionato buonissimo. Un secondo, il 2019/20 che si stoppa causa pandemia. «Eravamo prime, le difese avevano cominciato a conoscermi, preso le contromisure e ho dovuto faticare per farmi valere». Alla frustrazione per aver terminato la stagione in anticipo, si aggiunge il disagio del rinvio degli esami universitari. «Sono iscritta ad economia aziendale; in quel periodo ero molto stressata: un po’ per la paura del Covid, un po’ perché ero a Torino da sola. Nel lockdown sono rimasta a casa a studiare, senza alzare nemmeno un muscolo. Poi ad agosto sono ripartita con la preparazione. Non prima di aver dato gli esami fino a luglio, e sono andati bene».
Nell’anno in corso Moncalieri ha concluso la stagione regolare al comando. «Appreso delle importanti partenze di Grigoleit e Conte ci siamo sentite un po’ sperse. Loro giocavano forte, facevano punti, e per colmare quel vuoto abbiamo deciso tutte di fare qualcosa di più. Personalmente sto cercando di crescere, imparare è una cosa stupenda. Allenarmi contro giocatrici di livello, mi serve tantissimo. Mi trovo bene col coach Paolo Terzolo e con le ragazze siamo davvero molto unite». Obiettivi assoluti quindi, compresa la laurea triennale che dovrebbe arrivare in estate.
Lydie ha ben chiaro quello che desidera avere in futuro, i suoi sogni nel cassetto sono concreti. «Comprarmi una casa, avere una famiglia ed un lavoro stabile. Magari come contabile, una cosa che mi piace, per la quale ho studiato. La mia è una mente matematica». Ma prima ci sono i traguardi sportivi da raggiungere e, anche in questo caso le idee sono chiare. «Vorrei fare un’A1 di vertice, avere la possibilità di giocare in Eurolega. Qualcuno mi ha chiesto della Wnba: a quella sinceramente non ho mai pensato. Cerco di agire nel breve termine, più avanti vedremo».
Tante partite giocate alla grande, ma di una conserva un ricordo speciale. «Quando con la PMS abbiamo affrontato Muggia per salire in serie A2. Mi sono veramente divertita, oltre ad aver giocato bene. Spesso non mi diverto perché la concentrazione mi blocca, ma quella circostanza fu davvero speciale». Italiana di formazione, ma non di nazionalità. Per lei, adesso, la maglia azzurra non è possibile. «Coach Sandro Orlando voleva convocarmi con l’Under 20, ma mi è permesso di giocare da italiana solo in campionato. Spero un giorno di poter indossare la maglia di quel colore». Il suo sportivo di riferimento è Michael Jordan; sta per adottare un gatto perché «il cane è troppo impegnativo» e sa già il nome: Charlie. Tra un libro e un allenamento ci scappa una serie su Netflix. «La mia preferita? Le regole del delitto perfetto, che affronta il tema del crimine». Prima della partita c’è una canzone speciale, piena di significati. «Lift me from the ground, di San Holo». Per Lydie a famiglia sta sempre al primo posto «Ci sentiamo spesso, in tutti i modi». E il portafortuna lo tiene legato al collo. «Prima di venire in Italia mia madre mi aveva regalato una collanina. Ma un giorno, l’ho perduta. Mentre la stavo cercando ovunque, per strada, ho trovato un ciondolino a forma di uomo. Poi ho spiegato a mia mamma cosa era successo e lei mi ha detto di portarlo sempre con me. Così ho fatto. E da quel momento non ho più perduto nulla».