Storia e pensiero

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Luca Belletti Ferro Sottilotta Airoldi Boggiani Lumes

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Storia e Pensiero gli Anni di Piombo con documenti di critica storica


Liceo Scientifico A. Antonelli di Novara Concorso di Storia Contemporanea Traccia 4 Il terrorismo ha infiammato la storia recente del nostro paese. Non a caso si è parlato d‟essa come di «anni di piombo». A distanza di quasi trent‟anni da quei fatti, e in uno scenario nazionale e internazionale profondamente mutato, è forse maturato il tempo per formulare giudizi sereni e sufficientemente ragionati. Al di là delle singole vicende si consideri l‟intera parabola storica del terrorismo italiano per definire: 1. il significato e il peso nell’evoluzione politica dell’Italia repubblicana di quella tragica stagione di sangue. 2. il ruolo delle vittime e dei loro famigliari e la rilevanza della violenza subita nella memoria collettiva; 3. l’esperienza peculiare del Piemonte e la risposta delle istituzioni e della società civile.

A cura di

Classe 4°E Coordinatore A/S

Luca Mario Sottilotta Giulia, Boggiani Ludovica, Belletti Giulio, Ferro Lia, Lumes Silvia Airoldi Alberto. Professoressa Ferolo Giuse 2008/2009


Indice Del volume Unità1

Le origini

1 Cronologia Perché qui? Perché ora? Fontana di Terrore Cosa ne sappiamo dei golpe?

Unità2

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Al cuore dello Stato

1 Cronologia La complessa struttura delle BR Il Rosso e il Nero Gioia Tauro e la mafia del Terrore Tre rivoluzioni e tre Terrori

Unità3

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Fino ad oggi

1 Cronologia Le BR oggi L’affaire Moro ed i retroscena La seduta spiritica per trovare Moro Donne di piombo: il lato rosa del sangue. Il Piemonte unito contro il terrorismo La dissoluzione e la società civile La normalità fuori norma Una serie di fortunate coincidenze

Conclusione

Bibliografia e sitografia

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Introduzione

Parlare dei terrorismi non è semplice. Ci sono ancora molti lati poco chiare e, ad essere sincero, credo non sia passato ancora abbastanza tempo. Finché personaggi fortemente coinvolti saranno in vita e non forniranno una loro versione chiara e sincera dei fatti, non sarà facile tracciare le linee su cui si sviluppò il tutto. Però ci si può provare. Anzi, è necessario. Per capire le dinamiche di ciò che accade oggi in Italia è cruciale tentare di approfondire la conoscenza del periodo degli anni di piombo. Tanto più che molti libri di storia ancora non affrontano in maniera molto particolareggiata questi anni. La storia recente è quella più difficile da scrivere e, pertanto, quella su cui i manuali sembrano meno affidabili. Così, è nata l‟idea di creare un libro di Storia che fosse nostro. Ed intendo nostro nel senso più specifico del termine. Un libro scritto da noi, ricalcando il layout e la struttura del manuale che adottiamo in classe (Giardina, sabbatucci, Vidotto, Profili storici, Laterza, Roma-Bari, 2001), ma con nostri contenuti, nostre analisi. Certo, non ambiamo a competere, in qualità ed approfondimento, con i volumi redatti da importanti storici; è più un esperimento, un tentativo di scrivere a quattordici mani la storia complicata del nostro Paese e della nostra zona, in un momento essenziale della cronologia repubblicana. La struttura della nostra opera è abbastanza schematica: ad una parte introduttiva e propriamente didascalica, nella quale vengono sintetizzati i principali avvenimenti, segue una sezione dedicata agli approfondimenti. Ed in questa parte abbiamo concentrato la maggiore quantità di energie: per analizzare in maniera adeguata il fenomeno, alla stesura dei testi è dovuta precedere un‟ampia documentazione, talvolta magari citata anche involontariamente, di cui si potrà leggere nella nota bibliografica. L‟impianto del manuale porta ad un discorso diviso rigidamente in settori. Da qui, la scelta di dividere in tre fasce il nostro discorso. Gli spartiacque che abbiamo scelto sono stati Piazza Fontana e l‟assassinio di Moro. Così, ritrovandoci insieme e decidendo come dividerci il lavoro, siamo riusciti (a nostro parere) ad ottenere un lavoro coeso ed interessante, nonostante sia redatto a quattordici mani. Ma questo sta al lettore decretarlo! Noi ci diciamo soddisfatti dal nostro operato. Tutta l‟impaginazione, abbastanza fedele a quella del manuale di storia originale, è stata curata da noi; così come la scelta delle immagini che decorrano l‟elaborato. Un ultimo ringraziamento va alla nostra professoressa di filosofia ed a tutti coloro che ci hanno dato preziosi consigli per questo lavoro. Che altro dire? Buona lettura! PS: ci siamo presi la libertà di mettere delle nostre foto per decorare questa pagina, così almeno sapete che faccia abbiamo!


Unità

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Le origini La storia italiana del dopoguerra è del tutto unica nel suo genere: nessun altro paese occidentale infatti ha avuto un'attività terroristica così capillare ed estesa (sia in senso temporale che spaziale). Si potrebbe paragonare alle vicende italiane quelle basche o irlandesi, altrettanto sanguinose ed efferate, ma sarebbe un errore: sia in Irlanda che nei Paesi Baschi, infatti, vi era (e, seppure in via ridotta, vi è ancora) un contesto di tensione nazionalistica e religiosa, del tutto estraneo all'Italia. In Italia infatti non vi sono stati mai attentati con scopi religiosi, separatisti e nemmeno con obiettivi di epurazione razzista. Sorge spontanea quindi la domanda: perchè in Italia, e solo in Italia, si è sviluppata questa strana forma di terrorismo endemico, questo tipo di malattia politica e sociale? Chiaramente nelle pagine seguenti verranno presentate numerose teorie, sul ruolo che ha giocato la politica in questo sviluppo, sull'infiltrazione dei servizi segreti tra le frange moderate dei movimenti operai, sui collegamenti tra mafia e terrorismo. Tuttavia, sebbene questi fatti forniscano una spiegazione valida allo sviluppo del terrorismo in Italia, l'interrogativo resta: perché qui e non altrove? Ernesto Galli della Loggia ha esposto una teoria interessante, in un suo articolo sul Corriere. Secondo lo storico romano la storia di sangue italiana, a partire dalle guerre di indipendenza fino alle lotte partigiane passando per la marcia su Roma e la mafia, è stata l'incubatrice naturale per una cultura della violenza che poi ha portato al terrorismo. È lecito pensare, che un retroscena di violenze unico in Europa, abbia portato a un susseguirsi di violenze unico in Europa. Tuttavia non si può certo affermare la bontà di questa teoria, proprio per la singolarità del caso preso in questione. Limitare a questo le motivazioni degli anni di piombo italiani potrebbe essere una estrema semplificazione, oppure addirittura un tremendo errore. Solo la storia potrà risponderci. (introduzione a cura di Giulio Belletti) (A fianco, prima pagina del Corriere della sera che riportava la notizia dell’attentato di Piazza Fontana)


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Le origini

Per comprendere meglio i cosiddetti “anni di piombo”, bisogna prima puntare l‟occhio sul decennio precedente a questa data, agli anni Sessanta. Nel Mondo Probabilmente, l‟evento più importante dall‟inizio degli anni Sessanta avviene la mattina del 13 agosto 1961. A Berlino i militi delle “Vopos”, la polizia popolare, danno inizio alla costruzione del muro che dividerà Berlino Est da Berlino Ovest, chiaro segno della guerra fredda e quindi della tensione che ci sarà da quel momento in poi tra i due schieramenti. In Italia Intanto in Italia stanno avvenendo dei grandi cambiamenti economici. L‟agricoltura non è più il motore dell‟economia dato che inizia ad affermarsi la produzione industriale, con un conseguente spopolamento delle campagne. Inizia anche l‟epoca del consumismo; per esempio in quattro anni, tra il 1958 e il 1962, le patenti di guida si sono quadruplicate. Per quanto riguarda il quadro politico italiano, nel ‟63, la Democrazia Cristiana, storico partito che resterà protagonista della scena politica italiana fino alla fine degli anni Ottanta, vede ridursi i suoi consensi, mentre il Partito Comunista

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Il background culturale e storico

Manifesti elettorali del dopoguerra. Sia il PCI (sopra) che la DC (sinistra) sembrano puntare alla demonizzazione dell‟avversario

per la prima volta supera la soglia del 25%. La classe operaia che si è formata dopo l‟industrializzazione inizia a far sentire il suo peso politico. USA e Berkeley Il 1963 è segnato dalla morte di John Fitzgerald Kennedy, rivoluzionario presidente degli Stati Uniti, ucciso a Dallas il 12 novembre durante una visita ufficiale alla città. Un anno dopo il suo successore metterà fine alla segregazione razziale. Il 2 dicembre del 1964 all‟università di Berkley, in California, lo stato più ricco e sviluppato degli Stati Uniti d‟America, ha luogo la prima manifestazione studentesca contro la guerra del Viet-


1. Il background culturale e storico

L’Europa l movimento di protesta studentesco approda in Europa nel 1968, dove si caratterizza in due movimenti: il maggio francese per il blocco occidentale e la primavera di Praga per il patto di Varsavia. Il maggio francese nella primavera del 1968 percorre le stesse tappe che percorrerà anche la contestazione in Italia ed è il movimento dal quale prendono ispirazione gruppi come le Brigate Rosse, che vogliono il collegamento fra il fronte studentesco e quello operaio. Infatti in Francia le manifestazioni partite dagli studenti che occupano le università, vengono seguite dagli operai che occupano le fabbriche. In conclusione l'ordine viene ristabilito con le elezioni politiche che vedono una netta vittoria, nelle elezioni anticipate del 30 giugno, del partito gollista già al comando, a discapito della sinistra. La Primavera di Praga iniziata il 5 gennaio 1968, è una rivolta contro un sistema comunista

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nam. La guerra del Vietnam, ennesima manifestazione della rivalità tra le due superpotenze, provoca migliaia di morti per la popolazione americana, che arriva alla fine stremata dal dolore per tutti i giovani che ha perso. In California nasce anche il movimento hippy, che predica l‟amore e il diritto dell‟uomo di vivere una vita libera dalla violenza della guerra e delle istituzioni, negando la legittimità delle discriminazioni razziali, vantando l‟uguaglianza dei sessi.

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Sotto, carro armato a Praga per sedare le rivolte, qui Daniel Cohen Bendit, che fu uno dei leader del Maggio Francese.

oramai evidentemente oppressivo. Gli studenti scendono in piazza per ottenere l‟indipendenza della Cecoslovacchia, ma la loro protesta viene fermata dall‟arrivo dei carri armati dell‟Unione Sovietica, il 20 agosto dello stesso anno. La Primavera di Praga fa venire a conoscenza i Paesi occidentali del malcontento della popolazione del patto di Varsavia; stranamente, però, questa nuova consapevolezza non suscita moti di indignazione. Villa Borghese Il 1 marzo del 1968 a Valle Giulia presso Villa Borghese, sede della facoltà di architettura, si verificano i primi scontri sul suolo italiano tra il movimento studentesco e la polizia. Le conseguenze sono centinaia di feriti e di arresti in quella che poi diventerà nota come la Battaglia di Valle Giulia. FIAT Nel 1969 la voglia di cambiare la società passa dalle scuole alle fabbriche. Le lotte operaie prendono il via in settembre con lo sciopero nazionale dei metalmeccanici. Inizia il


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1. Il background culturale e storico

Conquiste La lotta sindacale della fine degli anni Sessanta si fa sempre più aspra. Infine gli operai ottengono quello per cui protestano: il Parlamento approva lo Statuto dei Lavoratori, legge n. 300 del 20 maggio 1970, recante "Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento", che è una delle norme principali del diritto del lavoro italiano. La sua introduzione provoca importanti e notevoli modifiche sia sul piano delle condizioni di lavoro che su quello dei rapporti fra i datori di lavoro, i lavoratori e le loro rappresentanze sindacali; ad oggi di fatto costituisce, a seguito di minori integrazioni e modifiche, l'ossatura e la base di molte previsioni ordinamentali in materia di diritto del lavoro.

Nella foto, Annarumma. A fianco, .manifesto del convegno la stagione dei movimenti tenutosi a Firenze il 12 dicembre 2004.

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periodo dell‟autunno caldo. I metalmeccanici sono in questo momento la categoria guida della classe operaia. La FIAT di Torino è l'epicentro di questo scontro, grazie soprattutto alla presenza di una massa di operai senza qualifica professionale, in gran parte immigrati dal Sud, che riesce a imporre i propri obiettivi e le proprie forme di lotta anche contro le resistenze dei sindacati, dando vita a scioperi spontanei e a manifestazioni di rivolta fortissime.

L’inizio Il 12 dicembre 1969 alle ore 16: 37 una bomba deflagra in Piazza Fontana, a Milano, nella s ede della Banca Nazionale dell‟Agricoltura. Altre quattro bombe esplodono, nell‟arco di 53 minuti, a Roma e a Milano. Solo quella di Piazza Fontana fa delle vittime: 16 morti e molti feriti in quello che risulta essere il primo attentato degli anni di piombo. Il clima sociale del Paese era però già degenerato prima della strage; un poliziotto di ventun anni, Antonio Annarumma era stato ucciso il 19 novembre in scontri di piazza. Da Piazza Fontana e per i successivi dieci anni morti e feriti negli scontri di piazza diventeranno all‟ordine del giorno. Non si può qui ricordarli tutti, anche se nessuno è da dimenticare. Pinelli Il caso di Piazza Fontana si dipinge di tinte ancora più cupe con la vicenda dell‟anarchico Pinelli, sospettato colpevole e gettatosi da una finestra della questura di via Fatebenefratelli di Milano durante il suo interrogatorio. Le cause della sua morte sono probabilmente ancora sconosciute. Immediatamente dopo il fatto si è pensato a un suicidio, nei giorni seguenti l‟organizzazione Lotta Continua accusa la polizia di omicidio e la moglie di Giuseppe Pinelli, Licia, denuncia il Commissario, Luigi Calabresi, e tutti gli altri agenti di polizia presenti all‟interrogatorio per omicidio volontario. L‟inchiesta si chiude nel 1975 escludendo l’ipotesi del suicidio e dell‟omicidio e facendo diventare la causa della morte un malore.


fare storia Il background culturale e storico 1 M. Luca Il fenomeno del terrorismo come si è sviluppato negli anni di piombo sembra essere un concetto squisitamente italiano. In questo testo si cerca di capire il perché di ciò. Una volta fatto un quadro storico degli anni a sessanta e settanta del novecento italiano e mondiale, sorge una domanda: perché ora? Perché negli anni ‟70 e non prima né dopo? Quali sono le cause storiche che si possono individuare all‟esplosione del terrorismo? Ed ancora: perché in Italia tutto ciò ebbe una durata ed una portata nettamente maggiore che in altri paesi europei? Procediamo con ordine, per quanto possibile. Schematizziamo. Guerra mondiale, ricostruzione europea con aiuti dall‟America di Truman profondamente preoccupata da un avanzare del comunismo nel vecchio continente, piano Marshall, costituzione repubblicana, ascesa della DC, boom economico, strategia della tensione. Mi limito a citare tutti questi passi della storia italiana senza approfondire particolarmente perché vengono già trattati in altri punti di questo lavoro. Però bisogna avere chiaro l‟atteggiamento dello Stato nel ventennio „50-„70. Dopo il periodo di unità nazionale, l‟emergente centrismo diventerà corrente egemone grazie all‟appoggio di due colonne estranee all’Italia: USA e Vaticano. Il Patto Atlantico ed i Concordati sono i vincoli che uniscono la superpotenza d‟oltreoceano con la dominante DC e questa con i papati di Pacelli, Roncalli e Montini (Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI). Ma è soprattutto il primo dei due accordi quello che ci interessa nel tracciare la storia del terrorismo italiano. Anzi dei terrorismi. La doppia fedeltà della classe dirigente democristiana definita 1 da De Felice, il giuramento sia sulla Costituzione appena redatta che sul Patto atlantico, ha visto spesso la predilezione del secondo sul primo (tesi che Bobbio 2 riprende etichettando come “fuori dalla costituzione” molte decisioni prese più o meno ufficialmente dalle gerarchie democristiane). Perciò la causa del terrorismo di destra si può individuare in questo e nell‟ancora radicata mentalità fascista, poiché la ripresa culturale di una popolazione dopo un ventennio di indottrinamento non è impresa semplice e va ricordato che la liberazione partigiana non riuscì a estromettere dal potere molti burocrati ancora fedeli alle ideologie di estrema destra.

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Perché qui? Perché ora?

Ma è assai più interessante e difficile inquadrare, dopo lo stragismo neo-fascista fortemente pilotato dalla politica, il terrorismo brigatista o, più in generale, quello definito di sinistra. Giorgio Bocca3 stenta a trovare una risposta unitaria e logica all‟ascesa del terrorismo rosso, anche perché nel periodo tra il ‟65 ed il ‟70 si riteneva assai più probabile l‟avvento di un golpe autoritario che una rivoluzione proletaria di sinistra o, comunque, un tentativo di rivoluzione della portata di quello brigatista. Da qui in poi parlerò soprattutto di BR, lasciando da parte gli altri gruppi di estrema sinistra, visto il loro maggiore peso storico. Prima di tutto, bisogna considerare le radici ideologiche dei fondatori, simboli del brigatismo. La cosa che sorprende è la forte eterogeneità dei cinque brigatisti storici. Ci sono Curcio e la Cagol che vengono dall‟università di Trento e da famiglie cattoliche; Franceschini e Gallinari, comunisti, dai gruppi reggiani e Moretti, proletario, che viene dalla Siemens. Perciò non si può trovare (non esclusivamente, perlomeno) né in un fattore geografico (situazione particolare di una determinata zona dell‟Italia) né in uno sociale (visti i diversi ceti d‟appartenenza dei cinque) un fattore scintilla per gli anni dell’attacco al cuore dello Stato. Perciò restano essenzialmente cause di ordine storico e politico. Pier Paolo Pasolini4 già nel ‟74 nota il distacco di alcuni parti della sinistra dal PCI. “Il PCI [a contrario di alcuni gruppi di sinistra] si è reso fin da allora [1968] conto dell‟ineluttabilità del nuovo corso storico del capitalismo […] in quei giorni è cominciata a maturare l‟idea del compromesso storico”. Questa non omogeneità tra sinistra parlamentare e reduci della contestazione e della rivoluzione dell‟indomani, la allora ritenuta imminente Rivoluzione che avrebbe sovvertito, nel ‟68, il “Sistema”, può essere una delle spinte allo sviluppo delle cellule impazzite brigatiste. In sostanza si potrebbe dire che gli animi più estremi, vedendosi traditi dall‟ammorbidimento della linea del PCI abbiano cercato una via extra-parlamentare ed illegale per avere voce. Franceschini individua, invece, nell‟assassinio da 1. F. De Felice, Doppia lealtà e doppio Stato, in ''Studi Storici'', 1989, n. 3 2. N. Bobbio, introduzione a Il Doppio Stato. Contributo alla teoria della dittatura, Einaudi, Torino, 1983. 3. G. Bocca, Noi terroristi, Garzanti, Milano, 1985. 4. P. P. Pasolini, Gi intellettuali nel ’68: manicheismo ed ortodossia della “rivoluzione dell’indomani”, in Scritti corsari, Garzanti novecento, Milano, 2008. 5. G. Fassanella e A. Franceschini, Che cosa sono le BR, BUR, Milano, 2004.


1. Il background culturale e storico

parte delle forze di polizia del comunista ventenne Afro Tondelli, reo di aver preso parte ad una manifestazione contro il governo Tambroni (appoggiato dal MSI) il 7 luglio 1960 (quindi molto prima del ‟68 tradito), il momento in cui nel PCI emiliano si verificò la frattura con le frange reazionarie. Il tentativo di socialismo democratico proposto dal partito aveva lasciato insoddisfatti moltissimi fedeli: alcuni dei quali semplicemente si ritirarono dalla vita politica, altri (come Franceschini) iniziarono ad elaborare piani per una Rivoluzione. Perciò si può notare un processo di fermentazione, un crescendo rabbioso che ha il suo culmine negli anni settanta, quando il PCI non riesce più a mantenere la sua duplice anima. Enrico Fenzi, intervistato da Bocca6, usa due parole molto azzeccate per definire queste correnti del partito: Riformista e Rivoluzionario. La prima, quella adottata ufficialmente, prevede la difesa delle istituzioni e lo schierarsi dalla parte dei carabinieri; la seconda, invece, è un attacco frontale allo Stato ed ai suoi simboli a cui non si arrivò ex nihilo ma dopo un lungo processo. Perciò il ‟70 non è altro che una miccia accesa da molto tempo. Lo studioso Lapo Berti etichetta il periodo antecedente agli anni di piombo dicendo: “un serpeggiare di aspirazioni deluse, di bisogni compressi, di soggettività ingabbiate, che di colpo confluiscono nell‟onda di piena”. L‟altra grande domanda con cui ho iniziato questo pezzo non ha ancora trovato risposta, però. Perché qui? Perché in Italia e non in Francia? La Rote Armee Fraktion tedesca, forse l’unica organizzazione paragonabile alle Brigate Rosse ha lasciato alle spalle 34 vittime, contro le 86 accertate del terrorismo rosso nostrano7, ma non è riuscita ad attaccare lo Stato in maniera forte come le BR. Con il caso Moro le BR assumono connotati assolutamente diversi da qualsiasi altra forma di terrorismo politico europeo. Né l‟ETA basca né l‟IRA irlandese possono essere ricondotte a quello che sembra essere un fenomeno italiano. Eppure, due anni prima del 1970, se qualcuno avesse dovuto scegliere lo Stato in cui c‟era un maggior rischio di rivoluzione, avrebbe probabilmente indicato la Francia del Maggio ‟68. Guardando le foto di Parigi in quel periodo si respira un‟aria da guerra civile8. Con i suoi vietato vietare Daniel Cohn-Bendit aveva guidato quell‟incendio che si sarebbe dimostrato un fuoco di paglia. Perché si chiama Maggio francese, questa breve rivolta? Proprio perché durò quanto il mese di Maggio. Quindi, se tentativi di lotta c‟erano stati e di entità anche superiore in Francia, perché oltralpe tutto si spense in poche settimane mentre da noi si trascinò per anni? La risposta non è semplice. Ma cercherò di schematizzare e riassumere. Pensiamo al Governo francese nel ‟68. Pompidou era Primo Ministro, il Generale De Gaulle era Presidente e nella loro azione congiunta si

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può trovare il motivo della fine degli scontri. Il primo con gli accordi di Grenelle che alzarono del 35% il salario minimo garantito (SMIG) ed altre mosse a favore dei lavoratori, isolò gli studenti rivoltosi dalle masse di lavoratori scioperanti. Così facendo, mancò l‟appoggio di buona parte della società civile, prima coinvolta nella drastica grève (sciopero) che stava paralizzando lo Stato. Il colpo di grazia alle rivolte vene dato, però, dal generale De Gaulle. Con un‟improvvisa apparizione in tv convocò le elezioni per la fine del mese di giugno, spiazzando il socialista Mitterrand che invocava un governo di unità nazionale. Alle elezioni i francesi, soddisfatti per Grenelle e infastiditi dai disordini della Sorbonne, votarono in massa il partito gollista. Così si concluse la rivolta studentesca in Francia. E vissero tutti felici e contenti, verrebbe da dire. Così, la mia domanda iniziale cambia un pochino e diventa perché qui non fu stroncata sul nascere? Leggendo la storia delle BR scritta da Franceschini9 ci si rende conto del fatto che nel ‟75 l‟organizzazione vedeva liberi solo Moretti e pochi altri brigatisti. Dopo gli arresti di Curcio e Franceschini, dopo la morte della Cagol nella liberazione di Gancia, sembrava tutto fosse quasi finito. Il maxiprocesso del ‟76, poi, sembra il culmine di questo smantellamento. Qui sorge una tesi ampiamente dibattuta e sui cui è difficile esprimersi lucidamente, vista la mancanza di documenti ufficiali. Però due dati insospettiscono. Il fatto che nel ‟75 il gruppo anti-terrorisimo di Dalla Chiesa viene inspiegabilmente sciolto (nonostante i successi riportati) ed il clamoroso 34,5% del PCI di Berlinguer nel ‟76. Le Brigate come arma contro l‟ascesa del PCI pare una tesi azzardata, ma non immotivata. Non è da escludere il fatto che il terrorismo di sinistra sia finito, pur involontariamente, a favore di quegli apparati deviati che pilotarono gli attentati etichettati come di destra ed i tentativi di golpe. Questa teoria, supportata da De Lutis, apre molti interrogativi, ma in qualche modo chiude quello con cui si apre questa mia riflessione. Perché qui non fu stroncata? Perché conveniva. Paradossalmente, il terrorismo brigatista sembrerebbe essere stato funzionale alla DC quanto se non più di quello neofascista. Ma questo è un altro discorso.

6. G. Bocca, Noi terroristi, Garzanti, Milano, 1985. 7. S. Zavoli, La notte della Repubblica, Nuova Eri, Roma, 1992. 8. N. Gorio, Maggio '68: quel mese di fuoco che incendiò Parigi, da “Il sole 24 ore” del 28/04/08. 9. G. Fassanella e A. Franceschini, Che cosa sono le BR, BUR, Milano, 2004.


1. Il background culturale e storico

Tutto parte da qui. 1969, Attentato di Piazza Fontana. L’evento che, secondo alcune interpretazioni è il primo atto degli anni di Piombo, può anche essere la causa di essi, più che un semplice esordio.

Non è casuale la scelta da noi operata di utilizzare, nella divisione della cronologia in capitoli, la strage di Piazza Fontana come punto di snodo tra l‟Autunno caldo e l‟inizio degli Anni di Piombo. Innanzitutto, la bomba del dicembre del 1969 è la prima in cui sono i civili a pagare con la vita: le bombe precedenti a questa, infatti, non fecero vittime (si pensi, in particolare alle bombe piazzate nell‟ aprile e nell‟ agosto ‟69 sui vagoni di svariate linee ferroviarie italiane). Fu proprio l‟aspetto tragico e macabro della strage a sconvolgere non solo l‟opinione pubblica ma i singoli uomini, terroristi compresi: questo turbamento fu ciò che diede forma agli anni successivi l‟attentato, fino all‟inizio degli anni ‟80. In primo luogo, il crescente timore di un golpe neofascista trovò, dopo piazza Fontana, il suo culmine, cosicché le organizzazioni armate di schieramento opposto furono costrette dalle forti ideologie antifasciste a reagire. Sono indicative, a questo proposito, le parole di Renato Curcio, uno dei fondatori delle Brigate Rosse“...con Piazza Fontana il clima improvvisamente cambiò [...] a quel punto scattò un salto di qualità nel nostro pensiero e poi nel nostro agire [...] le bombe sono un atto di guerra contro le lotte e il movimento, dimostrano che siamo arrivati ad un livello di scontro molto aspro”1 così come quelle dell‟ amico, nonché cofondatore delle Br Mario Moretti “...da quel momento sappiamo che ogni cambiamento dovrà fare i conti con qualcosa di oscuro di cui percepiamo soltanto la potenza [...] ci sentiremo sempre, e non a torto, sovrastati da forze capaci di determinare ciò che veramente conta. Ogni volta che si arriva ad un certo punto, succede qualcosa che ridetermina gli spazi dall'esterno, da fuori, e non vedi da dove [...] lo senti che sei a un punto

oltre il quale o riesci a pesare sugli equilibri generali del potere o la lotta in fabbrica muore [...] capiamo che bisogna allargare la strategia”. È quindi a Piazza Fontana che si deve l‟emergere e l‟affermarsi delle BR a livello nazionale, ma non finisce qui. Lo scompiglio creato dalla strage e, successivamente, dalla morte dell‟ anarchico Giuseppe Pinelli, nei gruppi politici “rossi”, è riscontrabile anche dalla testimonianza di Luigi Manconi, ex membro di Lotta Continua, riguardo al cambiamento introdotto dall‟esplosione all‟interno del movimento: “Le bombe alla Banca dall'agricoltura e la morte di Pinelli vennero viste dal movimento come la fine dell'innocenza, cioè non avevamo previsto che il nostro nemico potesse ricorrere a tale forma di violenza [...] veniva alzato all'improvviso il livello dello scontro, la qualità della violenza, non più solo di piazza [...] un momento che indusse una quota, pur minima, di tutte le organizzazioni extraparlamentari a passare alla clandestinità, dunque alla lotta armata”. Risulta più semplice, dopo aver letto queste ultime parole, comprendere come l‟orrore, il disorientamento e lo smarrimento possano portare a conseguenze estreme; nel caso di Lotta Continua, le pressioni sul commissario Calabresi, responsabile del caso Pinelli, porteranno come risultato il suo assassinio. La carneficina di Milano, inoltre, inaugurò una serie di successive stragi avvenute per mano di estremisti di destra: Peteano (1972), in provincia di Gorizia, un‟ auto esplode uccidendo tre Carabinieri; Piazza della Loggia, Brescia (1974), una bomba viene fatta esplodere nella piazza durante una manifestazione antifascista, muoiono 8 persone ed 84 rimangono ferite; sul treno Italicus, nello stesso anno, lo scoppio di un ordigno provoca 12 morti e 105 feriti; alla stazione ferroviaria di Bologna Centrale (1980), l‟ennesima bomba uccide di 85 persone e il ferimento di altre 200; Sul rapido 904 (1984) un‟altra esplosione porta 15 morti e 139 feriti. Ciò che di queste stragi, fa più paura, suscita più polemiche e indigna i familiari delle vittime è che nella maggior parte dei casi i colpevoli non sono stati identificati. 1. Tutte le testimonianze sono tratte da http:// www.robertobartali.it/cap02.htm

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Fontana di Terrore.

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2 L. Ferro.

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1. Il background culturale e storico

3 M. Luca Cosa ne sappiamo dei golpe?

Pasolini diceva di sapere e voler parlare. Oggi si può dire che, anche volendo parlare, è difficile sapere. La storia dei golpes italiani resta ancora oscura. Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato golpe (e che in realtà è una serie di golpes istituitasi a sistema di protezione del potere). Così iniziava quello che forse sarebbe divenuto il più celebre pezzo di Pier Paolo Pasolini. Io so. Una bella responsabilità dire questo. Io so. Sono parole lapidarie. Io so. Io so tutti questi nomi e so tutti questi fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli. Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.1 Oggi cosa posso dire leggendo le parole di Pasolini? Posso dire che non so. Non so i nomi perché sono stati infangati, e dei fatti ben poco è limpido. L‟argomento dei golpe è assai spinoso, soprattutto in Italia. Scrive Riccardo Orioles2: “In Italia, a differenza che in Bolivia o in Cile, per fare un colpo di stato non c'è bisogno di occupare palazzi. Anzi non c'è neanche bisogno di farlo fino in fondo: basta mostrarsi pronti a poterlo fare. Poi si tratta, si enucleano gli avversari più risoluti e si aiutano i più accondiscendenti. Infine, si avverte il paese che non è successo niente, che tutto è in perfetto ordine e grande è la concordia nazionale. Questo e' avvenuto in Italia già diverse volte. Il primo centrosinistra fu bloccato (e castrato) col Piano Solo.” La differenza tra i golpe sudamericani e quelli italiani è, sostanzialmente, nel fatto che nel bel Paese tutti si fermarono inspiegabilmente poco prima di essere attuati. Tracciare una storia del Piano Solo non è facile. Innanzitutto bisogna inquadrarlo nel tempo: Luglio 1964. L’anno non è assolutamente casuale. Il 25 giugno ‟64, infatti, il Governo Moro fu messo in minoranza alla Camera sul finanziamento alle scuole private. Le dimissioni del Capo del Governo democristiano misero nelle mani del presidente della Repubblica Segni le sorti dell‟Italia. Bisogna ricordare che Segni fu fatto eleggere proprio da Moro in virtù del suo forte anti-socialismo, per rassicurare i rami più di destra del partito, preoccupati dalle aperture concesse dallo statista. Il scioglimento delle camere e le elezioni erano temibili in quanto avrebbero spostato l‟assetto politico più a sinistra, pertanto si ipotizza 3 che Segni si sia rivolto al generale De Lorenzo. Già direttore del SIFAR (Servizio Informazione Forze Armate Riunite) ed al momento comandante generale dell‟Arma, secondo un comunicato del Quirinale sarebbe stato ricevuto dal Presidente il 13 luglio 1964. Questo colloquio è ritenuto sospetto perché

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normalmente il Presidente incontra i dirigenti dello Stato alla presenza del Ministro di competenza, mentre in quella giornata ogni Ministro era assente. E qui si esaurisce il Golpe di De Lorenzo. Davvero. Effettivamente, il golpe del‟64 fu agli occhi degli italiani meno di ciò che ho raccontato. Il vero Golpe scoppiò nel maggio ‟67, quando il settimanale L‟Espresso titolò: Finalmente la verità sul SIFAR: 14 luglio 1964, complotto al Quirinale4. Segni e De Lorenzo preparavano il colpo di Stato. Lo stesso giorno, 11 maggio, parte una commissione voluta dal ministro della Difesa socialdemocratico Tremelloni e presieduta dal generale Beolchini. Proprio allora inizia a farsi luce l‟esistenza del “Piano Solo”: un golpe militare elaborato autonomamente dal Generale dell‟Arma. Non mi addentro ulteriormente nelle vicende di questo tentato golpe, però voglio fare una piccola riflessione su di esso. Ciò che trovo significativo, da un punto di vista storico e politico, è la silenziosità del Piano Solo. Il fatto che sia stato solo accennato. Il rumore di sciabole, lo definiva Nenni. È, però, da notare che la nomina di De Lorenzo al comando dell‟Arma, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, fu approvata anche dal PSI dello stesso Nenni su raccomandazione dei ministri dell‟Interno e della Difesa (Taviani ed Andreotti. Difficile capire perché il PSI assegnò l‟incarico ad un personaggio così controverso. Perché sembra palese che il significato politico della minaccia fu lo stroncamento dell‟ascendente sinistra. E questa è una tattica che troverà, poi, negli opposti estremismi e nella strategia della tensione il suo culmine. Il motivo per cui Nenni sostenne l‟ex comandante del SIFAR che sarebbe, nel ‟68, divenuto deputato per i monarchici e poi per il MSI, è oscuro. Le conseguenze, però, sono più visibili. Il clima di tensione portato dai tentativi golpisti è il luogo fertile in cui ha potuto svilupparsi il terrorismo. Un altro caso eclatante è il piano Tora Tora della notte tra il 7 e l‟8 dicembre 1970. Quello che sarebbe passato, poi, alla storia col nome di Golpe Borghese. Invece di De Lorenzo in questo caso si ha un principe, il principe Borghese per l‟appunto, che ha organizzato un gruppo paramilitare di stampo neofascista 1. P. P. Pasolini, Che cos’è questo golpe?, da Il corriere della sera del 14/11/74. 2. R. Orioles, Italia: il paese dei golpe, riportato da reporterassociati, 16/08/05; reperibile su http:// www.inerba.org/Politica/Italia-il-paese-dei-golpe.html 3. P. Calderoni, Servizi segreti. Tutte le deviazioni: dal piano "Solo" al golpe Borghese, dalla P2 alla strage di Bologna, dal caso Cirillo al super Sismi, Pironti, Napoli, 1986 4. E. Scalfari L. Jannuzzi, Finalmente la verità sul SIFAR: 14 luglio 1964, complotto al Quirinale. Segni e De Lorenzo preparavano il colpo di Stato, da L’Espresso del 11/05/67.


1. Il background culturale e storico

Dalle pagine de La Repubblica, Giovanni Maria Bellu7 lega Borghese a Skorzeny, affermando che i due avrebbero mantenuto un rapporto di collaborazione a partire dalla decisione della X Mas del Principe nero di schierarsi a favore di Salò. Entrambi sarebbero stati utilizzati dalla CIA per bloccare l‟ascesa del comunismo in Europa. Tanto che i documenti rilasciati dal Presidente Clinton nel 1999 attestano che lo stesso Nixon fosse al corrente del piano di Borghese. Anzi, si aggiunge che Gelli, capo storico della massonica P2 avrebbe avuto il compito di rapire il Presidente Saragat8. Ma il fatto più scandaloso emerso dalle indagini dei giornalisti, capeggiati dal team di Minoli per La storia siamo noi, è il nome del possibile Presidente dello Stato dei congiurati: Giulio Andreotti. Si ipotizza sia stato suo il contro ordine che bloccò le operazioni quella notte. Miceli, il capo del servizio segreto, nel ‟71 dichiarò la più completa estraneità degli organismi statali nell‟operazione; eppure nel ‟74 Andreotti mandò alla Procura di Roma un dossier redatto dalla spia Gian Adelio Maletti in cui si evidenziava il ruolo di Miceli (che per questo motivo fu subito arrestato) nel golpe. Questi sono i fatti, per quel che se ne sa fin‟ora, sui due golpe che precedettero gli anni di piombo. Non è impossibile pensare che rientrino, i golpes come le stragi, in un quadro più ampio e complesso. Difatti i tentativi di Colpo di Stato furono funzionali soprattutto a dimostrare capacità organizzativa e mantenere sotto scacco alcune forze politiche. Questi, come il terrorismo, ebbero un ruolo fondamentale nello stroncare la sinistra italiana. Certo è che, in ogni caso, essi furono fondamentali per lo sviluppo della sensazione di paura generale. Tanto era tangibile la prospettiva di un golpe che, soprattutto i più informati, temevano ad associare ad ogni stranezza negli apparati militari l‟organizzazione di un Colpo di Stato. Anche da questo è nata l‟Italia di oggi, non dimentichiamolo. 5. C. Arcuri, Colpo di Stato. Storia vera di una inchiesta censurata. Il racconto del golpe Borghese, il caso Mattei e la morte di De Mauro, Rizzoli, Milano, 2004. 6. Tutti dati forniti dalla Commissione parlamentare sul Terrorismo, dati riportati su http:// www.archivio900.it/it/documenti/doc.aspx?id=175 7. G. M. Bellu E la Cia disse: sì al golpe Borghese ma soltanto con Andreotti premier, da La Repubblica del 05/12/05. 8. S. Ferrari, La verità sul golpe Borghese… 35 anni dopo, da Liberazione del 07/12/05.

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chiamato Fronte Nazionale, in collaborazione con Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale. Curioso notare che il Fronte Nazionale fu istituito nel ’68 con un banale atto notarile5. Questa organizzazione decise il 4 luglio 1970 di effettuare un vero e proprio golpe, occupando i Ministeri di Difesa ed Interni, la sede RAI di Roma e i nodi della telecomunicazione. E così accadde. Per una notte, guidati dal terrorista nero Stefano Delle Chiaie, un gruppo di neofascisti s‟impossessò dell‟armeria del Viminale (si dice grazie ad un mazzo di chiavi miracolosamente caduto in mano di Borghese). l generale Casero e il colonnello Lo Vecchio, che garantirono di avere l'appoggio del Capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica (il generale Fanali), aspettavano il segnale per occupare il ministero della Difesa. Ed altri congiurati aspettavano l‟ordine in Umbria, a Reggio Calabria, Verona, in Toscana. Poi, inspiegabilmente, il contro ordine. Tutti a casa. In meno di una notte l‟Italia risolse il suo colpo di Stato. E solo un anno e mezzo dopo, il 17 marzo 1971, Paese sera rese pubblici gli avvenimenti. Borghese era già in Spagna, dove morì quasi esiliato, nel ‟74. Forse avvelenato.6 I retroscena sulla figura di Borghese sono parecchi.

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Nella foto, Junio Valerio Borghese.

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Unità

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Al cuore dello Stato 1 Dicembre 1970 Della Torre, meccanico. Un buon compagno: uno dei nostri, 50 anni, 2 figli. Quadro di punta della CGIL. 25 anni di attività sindacale. Comandante partigiano. Tirava le lotte. Lo hanno licenziato. Lo hanno fatto in due: i padroni prima, i sindacati poi. Questo licenziamento ci riguarda tutti. Non é un fatto privato, É UNA LINEA POLITICA vigliacca che tende a colpire tutti gli operai in lotta. Se passa senza una decisa risposta di tutta la fabbrica unita, se passa su una resa a basso prezzo dei sindacati e sulle nostre spalle, allora Pirelli e soci avranno via libera, d'ora in poi, per sbarazzarsi di chiunque alzi la testa per affermare i suoi diritti. Nel primo comunicato che abbiamo diffuso, si diceva: "per ogni compagno che colpiranno durante la lotta, qualcuno di loro dovrà pagarla." Un compagno é stato colpito. E così uno di loro, precisamente "il primo della lista" (come hanno suggerito molti operai in fabbrica) si é trovato la macchina distrutta. Ma non é finita. Abbiamo detto infatti che "per un occhio, due occhi…" e la 850 dello spione Ermanno Pellegrini… é per noi molto, ma molto meno di un occhio. Senza contare poi che la sua vera macchina é una giulia 1300 junior GT bianca che da un po'di tempo "inspiegabilmente" tiene gelosamente custodita nel suo garage. Ma noi abbiamo pazienza…! A meno che lo spione Pellegrini SI LICENZI e allora può essere che il Tribunale del Popolo gli concederà grazia. Comunque Della Torre deve rientrare, rientrare al lavoro per continuare la lotta di tutti gli sfruttati contro i padroni. Collette, avvocati gentilmente offerti dal sindacato, solidarietà, non bastano. Perciò fino a che Della Torre non tornerà con noi, la partita tra noi operai tutti e i servi e gli aguzzini del padrone non si deve chiudere e non si chiuderà. La lista é lunga, la fantasia non manca. Per la rivoluzione comunista. (Comunicato n°3 Brigata Rossa del 01/12/70) (A fianco, foto storica del magistrato Mario Sossi durante il periodo del rapimento attuato dalle BR)


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Al cuore dello Stato

La prima esecuzione Se è Piazza Fontana ad aprire il capitolo delle stragi, l‟assassinio del commissario Luigi Calabresi del 17 maggio 1972 apre il capitolo delle “esecuzioni”, decise ed eseguite dai gruppi armati dell‟estrema sinistra. In questo caso, il gruppo di riferimento fu Lotta Continua. Luigi Calabresi era nel mirino dei terroristi di sinistra in seguito al caso Pinelli, perchè da molti ritenuto responsabile del suo omicidio. Solo nel 1997 si giunge a una sentenza, nella quale vengono condannati gli esecutori materiali dell‟omicidio e Giorgio Pietrostefani e Adriano Sofri come mandanti. Pietrostefani e Sofri, fondatori di Lotta Continua, redigevano anche il suo giornale, nel quale avevano espresso le loro idee su Calabresi e il trattamento che secondo loro meritava.

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Sopra, foto del Presidente Giovanni Leone. Qui, Piazza della Loggia vista dall‟alto.

Leone Il 20 maggio 1970 il Parlamento elegge, al ventitreesimo scrutinio, Giovanni Leone Presidente della Repubblica. Si dimetterà il 15 giugno 1978, a sei mesi dal termine del mandato. GAP Muore, mentre tenta di innescare un ordigno, l‟editore Giangiacomo Feltrinelli. Per molti motivi Feltrinelli rappresenta un caso emblematico. Con Che Guevara come idolo, cerca, fondando i Gruppi di Azione Partigiana di creare un collegamento tra l‟azione delle brigate partigiane e il nascente terrorismo rosso. La testimonianza civile di molti reduci delle guerre di liberazione porrà fine a questo tentativo di legittimazione dell‟azione terroristica. Yom Kippur Nell’ottobre del 1973 viene combattuta tra Israele e una coalizione di Egitto e Siria la guerra dello Yom Kippur. Questo determina una crisi petrolifera con un aumento del costo dei carburanti e in Italia l‟inflazione arriva al 20%. Si verifica così un‟erosione del potere d‟acquisto che incrementa il disagio sociale e infiamma i conflitti di lavoro. La situazione è sempre più tesa. Referendum Con il 59,1% dei voti l’Italia, il 12 maggio 1974, si dichiara favorevole al divorzio. Piazza della Loggia Il 28 maggio 1974 a Brescia, in Piazza della Loggia, una bomba nascosta in un cestino portarifiuti viene fatta esplodere da ignoti mentre è in corso una manifestazione contro il terrorismo neofascista indetta dai sindacati e dal Comitato Antifascista. L'attentato provoca la morte di otto persone e il ferimento di altre novantaquattro. Italicus Una bomba ad alto potenziale esplode alle 1:23 del 4 agosto 1974 nella vettura 5


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dell‟espresso Roma-Monaco di Baviera via Brennero, il treno Italucus, quando il convoglio si trova presso San Benedetto Val di Sambro, in provincia di Bologna. Muoiono 12 persone e altre 48 rimangono ferite. L‟attentato viene rivendicato dall‟organizzazione Ordine Nero attraverso un volantino. Il motivo annunciato dell‟attentato è la vendetta di Giancarlo Esposti, sospettato colpevole della strage di Brescia e ucciso pochi giorni dopo di essa in uno scontro a fuoco con la polizia.

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Padova Il 17 giugno 1974 un commando delle Brigate Rosse irrompe nella sede dell‟MSI, Movimento Sociale Italiano, e uccide due attivisti, Graziano Giralucci e Giuseppe Mazzola.

Processo Il 13 marzo uno studente di 17 anni di un istituto tecnico industriale, Sergio Ramelli, viene processato dall‟assemblea d‟istituto il 13 marzo 1975 in quanto simpatizzante dell‟estrema destra, condannato e ucciso. Questi “processi” sono molto diffusi nei gruppi della sinistra extraparlamentare, processi dai quali non si può che essere dichiarati colpevoli. In modo speculare lo stuA STRAGE DI IOIA AURO dente di 17 anni di sinistra Claudio Varalli viene ucciso È il 22 luglio 1970. Il treno direttissimo Palermo-Torino, la “freccia del sud”, com- il 16 aprile 1975 da un neoposto da diciassette carrozze, viaggia a circa cento chilometri orari. È ormai giun- fascista. Questi sono solo to nei pressi della stazione di Gioia Tauro, una cittadina in provincia di Reggio due casi; molto frequenteCalabria, quando il macchinista sente sobbalzare la locomotiva. Avvertendo il mente, purtroppo, dei giopericolo, aziona il meccanismo di frenata rapida: le prime cinque carrozze del vanissimi restano uccisi.

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convoglio si comprimono, riducendo la velocità; la sesta, invece, deraglia, portandosi dietro le altre dodici. Dopo cinquecento metri, il treno si spezza. Sei morti, sessantasei feriti di cui dodici in condizioni critiche. Inizialmente si è pensato che fosse un incidente. Poi, però, alcuni dei bulloni che fissano i binari sulle traversine vengono trovati allentati, alcuni persino svitati. Un mese dopo l’evento, i marescialli Guido De Claris e Giuseppe Ciliberti, del commissariato di polizia, in un rapporto del 28 agosto 1970 al procuratore della repubblica di Palmi, sostennero che fosse da escludere l’origine dolosa del disastro, poiché nessuno dei presenti, in stazione o a bordo treno, dichiarò di aver sentito un’eventuale esplosione. Tuttavia, la relazione del collegio peritale istituito da Paolo Scopelliti, procuratore della Repubblica di Palmi, consegnata il 7 luglio del 1971, escluse che la causa della strage fosse da imputare ad errori dei personale di guida, ad errori nella disposizione degli scambi all'ingresso in stazione o a difetti del materiale rotabile. Tale relazione sottolineava, inoltre, un’avaria riscontrata sulla rotaia lato monte, che presentava la parziale asportazione della suola interna per un tratto di circa centottanta centimetri. Non essendo possibile che tale avaria fosse stata causata dallo svio del convoglio, venne ipotizzata dai periti una sua origine dolosa, più precisamente lo scoppio di una carica esplosiva dolosamente posta nei pressi dei binario. Nonostante ciò, la procura di Palmi volle comunque, sulla base del rapporto dei marescialli, portare avanti un processo per disastro colposo e omicidio colposo plurimo, nei confronti di quattro dipendenti delle ferrovie dello Stato, che vennero dichiarati innocenti il 30 maggio 1974. A ciò seguì la chiusura definitiva del caso da parte del giudice istruttore.

Ancora omicidi Il 29 aprile 1976 Enrico Pedenovi, avvocato e uomo politico di Milano militante nell‟MSI, di cui era consigliere provinciale, viene ucciso da un commando di Prima Linea, un‟organizzazione di estrema sinistra. Pur non essendo un personaggio di primo piano, il suo nome era comparso in una lista di militanti neofascisti pubblicata


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Eversione

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Parola Chiave

Eversione (dal participio passato del verbo latino evertere, volgere sottosopra) significa rovesciare, abbattere ed è tipico di cambiamenti intensivi, applicato soprattutto al disordine in ambito sociale. Durante la storia ci sono stati alcuni esempi significativi di eversioni: nel 1806 nel regno di Napoli fu effettuata con un atto di rottura l‟abolizione del feudalesimo da parte di Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone; Pochi anni dopo, tra il 1866 e il 1867 vi fu un‟altra importante eversione, quella “ dell‟asse ecclesiastico”. Dopo la terza guerra d‟indipendenza ci fu un dissidio tra lo stato e la santa sede a causa della grave crisi economica; lo stato tolse il riconoscimento di <ente morale> a tutte le congregazioni di carattere ecclesiastico di conseguenza il demanio dello stato acquisì tutti i beni ecclesiastici riutilizzandoli per scopi prevalentemente pubblici. In tempi recenti si sono vissuti i celebri “anni di piombo” nei quali si sono manifestati il terrorismo nero e rosso i cui fondamenti risalgono addirittura alla fine del secondo conflitto mondiale e si fomentano con l‟avvento della guerra fredda. Questi due tipi di eversioni che si sono riscontrate avevano in comune la violenza e l‟estremismo ma due scopi totalmente differenti: la parte “nera” è stata come una continuazione del fascismo che difende i valori occidentali e si manifesta nell‟anticomunismo; la parte “rossa” riprendendo gli ideali del comunismo intraprende la sua rivoluzione come lotta operaia contro la classe borghese.

su Lotta Continua per via del suo ruolo nella struttura milanese. In seguito all'omicidio, militanti dell'MSI si recano sul luogo, e allo stesso modo vi si recano numerosi membri dei gruppi di estrema sinistra: la copresenza dei due gruppi antagonisti sfocia in tafferugli e scontri, che

Bandiera del Movimento Sociale Italiano (oggi) e Giulio Andreotti (com’è oggi).

rendono difficile l'intervento delle forze dell'ordine.

Genova L’8 giugno 1976 viene assassinato dalle Brigate Rosse il procuratore generale presso la Corte d‟appello di Genova Francesco Coco, nel corso del processo a degli esponenti del nucleo terrorista. Nel maggio 1974 Coco si era opposto al rilascio di alcuni militanti del Gruppo XXII Ottobre per la liberazione del giudice Mario Sossi (sequestrato dalle BR), dopo che la Corte d'Assise d'Appello di Genova aveva dato parere favorevole. Viene per questo assassinato insieme ai due agenti della scorta Giovanni Saponara e Antioco Deiana. Poche ore dopo, alcuni militanti delle Brigate Rosse sottoposti a processo (fra cui Renato Curcio), rivendicano nell'aula torinese l'omicidio del Procuratore Generale. Ancora scontri Il 14 dicembre 1976 muoiono in uno scontro a fuoco un terrorista e un agente di polizia; il giorno dopo a Milano, muoiono due agenti di polizia e un altro terrorista, Walter Alasia, che darà il nome a una delle colonne più attive delle Brigate Rosse. In questo periodo scontri con vittime sono quasi giornalieri. Il governo in carica, Andreotti IV, è decisamente compromesso.


fare storia Gli Anni settanta 1 A. Airoldi Ciò che più colpisce del fenomeno brigatista è la forte capillarità e la rigida organizzazione. Con questo testo si cerca di far luce su di esse.

L‟obiettivo primario delle brigate rosse era "indicare il cammino per il raggiungimento del potere e l'instaurazione della dittatura del proletariato e la costruzione del comunismo anche in Italia"1 "La lotta politica tra le classi non può più essere sviluppata senza una precisa capacità militare"2. Per il gruppo terroristico delle Brigate Rosse, la lotta armata doveva essere una guerra di movimento, condotta in modo da spingere i “borghesi” ad avere un atteggiamento difensivo in un numero di obiettivi sempre più elevato,per questo sono stati fondamentali sia l‟alta mobilità, che consisteva nel mutamento repentino di obiettivi,strategie,posizionamenti, sia l‟agilità delle strutture che significava che le colonne, di si parlerà in seguito non dovevano subire il diretto controllo di pesanti strutture sovrapposte. La lotta armata inoltre aveva la caratteristica di essere radicata e di muoversi in parallelo al movimento proletario, la lotta militare che idealmente doveva essere condotta insieme al popolo. La punta della piramide organizzativa delle BR era la “direzione strategica” formata dai fondatori storici delle brigate e integrata successivamente da nuovi componenti. Essa aveva il diritto di “emanare e applicare leggi” all‟interno dell‟organizzazione,con conseguente diritto di varare e applicare correzioni disciplinari nei confronti di brigatisti che non rispettassero ordini o che avessero tenuto un comportamento semplicemente scorretto o antirivoluzionario. La direzione strategica aveva il compito inoltre di revisione dei bilanci dell‟organizzazione e il diritto di modificare le strutture organizzative sottoposte a essa,anche per creare la sopra citata agilità delle strutture. Il compito invece di coordinare le attività dei

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La complessa struttura delle BR

fronti armati e delle colonne era del CE o comitato esecutivo,che doveva inoltre mantenere i rapporti tra i diversi nuclei terroristici e gestire i beni economici. Tutte le azioni militari del gruppo dovevano essere approvate dallo stesso consiglio, che avrebbe potuto anche avvalersi dei rappresentanti delle colonne. La forza armata della BR era costituita da forze regolari, come i fronti e le colonne e forze irregolari,come normali lavoratori che sostenevano le BR mettendo a disposizione luoghi in cui riunirsi,costituire veri e propri arsenali o contribuivano semplicemente cercando di accrescere il numero di persone aderenti alla causa. I cosiddetti fronti erano le divisioni degli obiettivi da perseguire all‟interno dell‟organizzazione. I fronti principali erano il fronte delle grandi fabbriche, il fronte di lotta alla controrivoluzione ed il fronte logistico. In particolare il fronte della lotta alla controrivoluzione aveva il compito di perfezionamento dell‟apparato di informazione e la conquista degli avamposti strategici. Il fronte logistico invece aveva il compito di sviluppare e perfezionare le strutture logistiche come basi,apparati militari ecc. Le colonne delle Brigate Rosse invece erano i gruppi armati agenti in diverse zone e città italiane, con diversi nomi,diversi capi organizzatori che facevano poi riferimento al CE. Le principali colonne italiane erano BR - Brigate Rosse unitari fino 1980, dal 1981 BR-PCC - "BR-Per la costruzione del Partito Comunista Combattente", dal 1984 scissione in "prima posizione" sempre col stesso nome e "seconda posizione" col nome BR-UCC - "BRUnione dei Comunisti Combattenti". BR-PCC - ala militarista, d'ispirazione leninista - Balbara Balzerani (1981 - 1988) BR-UCC - ala movimentista, d'ispirazione maoista, - Giovanni Senzani (1984 - 1988) BR-Colonna Walter Alasia - Milano - autonomi 1. R. Paternoster, L’ombra della stella: organizzazione delle Brigate Rosse.+ 2. Brigate Rosse, alcune questioni per la discussione sull’organizzazione, estate 1974.


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da fine 1980 e smantellati alla fine del 1982 dalle Forze dell'Ordine. BR-PG - Partito della Guerriglia - Potere Rosso - Colonna Napoletana - Giovanni Senzani. BR-Colonna di Napoli Napoli, autonomi dal 1981 e smantellati nel 1982 BR-Fronte delle Carceri Napoli, autonomi dal

2 L. Ferro. Il rosso e il Nero

Eversione, stragismo, rivoluzione, terrorismo. Concetti che spesso sembrano sovrapporsi, soprattutto quando si parla di “Terrorismi” al plurale.

“Si dice che l‟atto terroristico miri alla destabilizzazione, ma l‟espressione è vaga, perché diverso è il tipo di destabilizzazione cui può mirare un terrorismo nero […] e un terrorismo rosso“1. Apro con questa citazione di Umberto Eco un‟analisi delle principali differenze tra i due schieramenti terroristici protagonisti degli Anni di Piombo in Italia: quello formato da militanti di estrema sinistra, il cosiddetto terrorismo “rosso”, che ha avuto tra i massimi esponenti le Brigate Rosse e il gruppo XXII Ottobre e il terrorismo “nero”, di matrice neofascista, effettuato da organizzazioni armate come Ordine Nuovo, Avanguardia Nazionale e Nuclei Armati Rivoluzionari. I due tipi di terrorismo si differenziano, innanzitutto, nell‟aspetto strettamente pratico con cui le organizzazioni effettuavano i loro attentati. Le organizzazioni di stampo proletario, procedevano, come attesta lo slogan originario della politica maoista “colpirne uno per educarne cento”2, poi fatto proprio dalle BR, attaccando (tramite atti incendiari, rapimenti, gambizzazioni e, nell‟ultimo periodo, omicidi) singoli individui ritenuti emblema dei loro principali obiettivi (di dimensioni in realtà ben più ampie). Gli atti terroristici attribuiti alle organizzazioni di estrema destra, invece, sono più improntati sullo stragismo, quindi al coinvolgimento diretto della popolazione civile nel ruolo di vittima, come è testimoniato, tra i tanti avvenimenti, dai fatti avvenuti a Milano in Piazza Fontana ( 12 dicembre 1969) e a Brescia in Piazza della Loggia (28 maggio 1974) ; non mancano, tuttavia,

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1981 e smantellati nel 1982 BR-Colonna due agosto - Veneto autonomi dal 1981 e smantellati nel 1982 Br-Colonna Francesco Berardi Genova, smantellata nel 1979 - 1980. BR-Colonna Annamaria Ludman "Cecilia" attiva nel Veneto, smantellata nel 1982

episodi di guerriglia urbana del tutto simili, per metodologia, a quelli dei terroristi di sinistra: ne è esempio, tra gli altri, l‟assassinio, avvenuto l‟8 giugno 1982, dei poliziotti Franco Sammarco e Giuseppe Carretta3. Gli obiettivi delle due fazioni, così come i motivi che hanno decretato la loro formazione, sono anch‟essi assai differenti e, in molti casi, opposti. Per quanto riguarda gli eversori di estrema sinistra, la spinta iniziale all‟organizzazione in nuclei terroristici è da ricercarsi, in primo luogo, nella diffusione ed affermazione delle multinazionali statunitensi in territorio italiano: il successo del SIM (Stato Imperialista delle Multinazionali) veniva visto dai terroristi e, in modo particolare dai brigatisti, come un‟occupazione illegittima dello stato e dell‟economia italiani da parte degli americani; in più, la nascita dei gruppi rivoluzionari proprio all‟interno delle fabbriche può essere vista anche come un sostituirsi ai sindacati che, stando alle frasi rinvenute sui volantini che venivano distribuiti nell‟ agosto del ‟70 all‟interno della Sit-Siemens di Milano, non interpretavano in modo soddisfacente le esigenze dei lavoratori, oppressi da “dirigenti bastardi” e “capi reparto, aguzzini da mettere fuori gioco“4. Un altro motivo alla base dell’eversione rossa, condiviso soprattutto da gruppi come i GAP (Gruppi d‟Azione Partigiana), è la reazione agli atti terroristici commessi da organizzazioni 1. Estratto dell’ articolo di Umberto Eco “Sparare perché nulla cambi” pubblicato su Repubblica il 22 marzo 2002 2. D. Biacchessi, Il caso Sofri: cronaca di un’inchiesta, Editori Riuniti, Roma 1998 3. V. S. Pisano, The dynamics of Subversion and Violence in Contemporary Italy, Stanford Institution Press, Stanford University, 1987 4. M. Cavallini (interviste di), Il terrorismo in fabbrica, Editori Riuniti, Roma 1978


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no) “La CIA (Central Intelligence Agency), seguendo le direttive del suo governo, era intenzionata a creare un nazionalismo italiano capace di arrestare quello che era visto come uno spostamento a sinistra e, a questo scopo, potrebbe aver fatto uso di gruppi terroristici di estrema destra. Credo che lo stesso sia successo in altri paesi.[…] La mia impressione è stata quella che gli americani avrebbero fatto qualsiasi cosa per impedire all‟Italia di scivolare verso sinistra."7 . Il terrorismo nero, quindi, non è da considerarsi un fenomeno solo ed esclusivamente italiano, come invece è il terrorismo rosso che, pur rifacendosi all‟ordinamento politico sovietico, non era materialmente connesso con lo Stato russo. Nessuna delle due parti ottenne risultati concreti, poiché lo sforzo congiunto di tutte le forze politiche riuscì a fermare i terroristi per salvare le istituzioni democratiche: Enrico Berlinguer, segretario del PCI, con il “compromesso storico” (28 settembre 1973) fece in modo di realizzare “la prospettiva politica di una collaborazione e di una intesa delle forze popolari d‟ispirazione comunista e socialista con le forze popolari d‟ispirazione cattolica”8 al fine di salvaguardare l‟assetto democratico dello stato italiano, ponendo il PCI al centro della scena politica ed allontanando, così, DC e i ceti medi da qualsiasi tentazione autoritaria9. Alcuni sostengono, tuttavia, che le “leggi speciali” emanate dal governo tra il 1975 e il 1980, emblema di un‟involuzione poliziesca dello Stato, con diminuzione delle libertà costituzionali e un ampliamento delle discrezionalità delle forze dell‟ordine (autorizzazione all‟ uso di armi da fuoco, istituzione di corpi speciali antiterrorismo), costituiscano una parziale vittoria dell‟ala destra, poiché si avvicinano in misura minima allo stato di polizia voluto dai neofascisti. 5. Parte del documento-intervista delle BR, tratta da Soccorso Rosso, Brigate Rosse. Cosa hanno fatto, cosa hanno detto, cosa se ne è detto. Feltrinelli Editore, Milano, 1976 6. Cfr. nota 1 7. Traduzione dall’articolo di P. Willan “Terrorists ‘helped by CIA’ stop rise of left in Italy” pubblicato il 26 marzo 2001 sul quotidiano britannico “The Guardian”. 8. G. Galli, Storia del PCI. Livorno 1921, Rimini 1991, Kaos, Milano 1993 9. Paul Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi, Einaudi, Torino 1989

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neofasciste e di estrema destra. In particolare, i gruppi terroristici nati tra gli operai delle fabbriche sentirono l‟esigenza di allargare la strategia dopo la bomba di Piazza Fontana, la prima a fare vittime, poiché essa era il segno, tragicamente inequivocabile, della volontà delle organizzazioni neofasciste di “determinare un arretramento generale del movimento operaio e una restaurazione integrale degli antichi livelli di sfruttamento. In particolare […] realizzare alcuni obiettivi fondamentali, quali: favorire la crescita del blocco reazionario oggi al potere e delle sue componenti interne o parallele più fasciste nella prospettiva di ristabilire il controllo nelle fabbriche e nel paese, e scardinare le organizzazioni rivoluzionarie e addebitando alla sinistra provocazioni antioperaie e fasciste secondo gli schemi degli opposti estremismi e dell'equivalenza di ogni manifestazione violenta”5. Il terrorismo rosso si trasforma, così, in un movimento di resistenza partigiana estremizzato: la volontà comune dei rivoluzionari è di muoversi, come risposta al pericolo di un colpo di Stato neofascista, in direzione di una dittatura del proletariato ricalcata sul modello sovietico ma, a differenza dei terroristi neri che utilizzavano il golpe o la strage come mezzi di eversione, gli estremisti di sinistra facevano affidamento su un‟ipotetica “area preesistente di “proletari o sottoproletari disperati” che non attendevano che un‟ultima provocazione per iniziare un‟azione rivoluzionaria”6. Per ciò che, invece, concerne la nascita dei gruppi terroristici neri, è possibile individuare un primo motivo d‟azione nella volontà di ripristino, come già accennato in precedenza, di un regime forte e totalitario, fondato sugli stessi principi statalisti su cui poneva le basi il fascismo di Mussolini, in sostituzione alla democrazia. Tale ristabilimento è, però, da inserirsi in un contesto ben più largo: quello della “strategia della tensione”, che va a sua volta collocato del quadro della Guerra Fredda. La suddetta strategia aveva come scopo la destabilizzazione della democrazia tramite il finanziamento di gruppi terroristici che, attraverso stragi atte a minare la sicurezza pubblica ed instaurando un clima di tensione, facessero in modo che fosse legittima la rinnovata istituzione del “law and order”, cioè uno stato di polizia. Stando alle dichiarazioni del Generale Gianadelio Maletti, ex capo del reparto D (controspionaggio) del SID (Servizio Informazioni Difesa, ovvero l‟ex servizio segreto italia-

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3 L. Ferro. Gioia Tauro e la Mafia del Terrore.

Oltre alla massoneria ed ai servizi segreti, anche la Mafia sembra essere coinvolta nelle grandi operazioni di terrorismo degli anni di piombo. Vediamo come. La verità sul caso della strage di Gioia Tauro, chiuso dopo un‟ accusa per omicidio colposo rivelatasi infondata, emerse dopo trentatré anni. Per comprendere al meglio tutte le implicazioni, tuttavia, è necessario premettere che nei giorni in cui avvenne la strage era in corso la rivolta di Reggio Calabria, iniziata il 14 luglio 1970. Ad innescarla fu, in primis, la scelta di Catanzaro in qualità di sede della neo eletta Assemblea Regionale. Il 16 giugno 1993, nell‟ ambito della maxi inchiesta sulla mafia calabrese “Olimpia 1”, il pentito Giacomo Lauro dichiarò al sostituto procuratore della Direzione nazionale antimafia Vincenzo Macrì di Vito Silverini, da lui descritto come “un fascista di provata fede, anche se era analfabeta. […]In quel periodo frequentava il “comitato d‟azione per Reggio capoluogo” e quindi tutti gli esponenti del gruppo.” 1. Il “Comitato per Reggio capoluogo” avrebbe, infatti, elargito una somma di denaro agli „ndranghetisti in cambio del “servizio”. 2 Successivamente, Lauro ammise di essere stato lui stesso a consegnare l‟esplosivo a Silverini, ancora una volta dietro compenso del sopracitato “Comitato”, che, secondo il pentito, ammontava ad alcuni milioni di lire. A proposito del coinvolgimento e del ruolo della „Ndrangheta all‟interno della tragedia, il procuratore Macrì dichiarò: “I pentiti nel 1993 ci dicono tante cose. Ci dicono intanto che nella rivolta di Reggio la „Ndrangheta ebbe un ruolo, probabilmente non un ruolo determinante ma un ruolo di sostegno. La „Ndrangheta in sostanza, per questa parte, si limitava a rifornire queste associazioni del materiale esplosivo necessario per l‟esecuzione degli attentati.” 3 La testimonianza di Lauro venne, in seguito, confermata da quella di un altro pentito, Carmine Dominici, neo fascista e appartenente ad Avanguardia Nazionale, che il 30 novembre 1993 affermò, davanti a Guido Salvini, giudice istruttore del tribunale di Milano che aveva avviato delle indagini sulle attività del gruppo di Avanguardia Nazionale: “In merito al disastro di Gioia Tauro, posso confermare che non si

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trattò di un errore dei ferrovieri, ma di un attentato riconducibile all‟ambiente dei “Boia chi molla”. Quella sera eravamo a Reggio Calabria e arrivarono dalla zona di Gioia Tauro Vito Silverini, detto Ciccio il biondo, e Giuseppe Scarcella i quali addussero quale motivo della loro presenza in quella zona delle riunioni politiche. Nell‟ambiente vi furono delle insistenti voci circa una loro corresponsabilità nell‟episodio.”4 Alla luce di tali testimonianze, il caso venne riaperto e, nel 2001, vennero dichiarati colpevoli della strage Vito Silverini, Giuseppe Scarcella ed Antonio Caracciolo, tutti ormai deceduti da tempo. La criminalità organizzata calabrese, tuttavia, non ebbe a che fare, durante gli Anni di Piombo, soltanto con questo singolo episodio. La famiglia „ndranghetista dei De Stefano, vide negli anni ‟70 una rapida ascesa grazie alle alleanze con eversione di destra, servizi segreti e massoneria deviata. “Giorgio De Stefano” testimoniò sempre Giacomo Lauro “diceva che era ora che si cambiassero le istituzioni e che bisognava aiutare la destra eversiva in quanto i comunisti ed i socialisti erano contro la ‟ndrangheta”.5 In un summit tenutosi a Montalto, situato nell‟ Aspromonte, nel 1969, infatti, ebbe luogo un accordo tra i clan ed alcune tra le figure di spicco del terrorismo di estrema destra: Junio Valerio Borghese, ex comandante della X Mas, Stefano delle Chiaie, fondatore di Ordine Nuovo e di Avanguardia Nazionale, e Pierluigi Concutelli, militante neofascista6. Tale accordo prevedeva la messa a disposizione di centinaia di uomini armati per la notte dell‟Immacolata, l‟8 dicembre 1970, data prevista per il piano golpista di Borghese, detto anche la notte di “Tora-Tora”, dal nome in codice dato all‟operazione. La „ndrangheta, quindi, ed in parte la mafia siciliana7, sono anch’esse attrici sul palcoscenico della “Strategia della Tensione“, coartefici, insieme alle organizzazioni armate, della scia di sangue che macchiò l‟Italia durante gli Anni di Piombo. 1. http://www.lsdi.it/dossier/anarchici/cap9.html 2.http://www.osservatoriodemocratico.org/page.asp? ID=2853&Class_ID=1001 3.http://www.lsdi.it/dossier/anarchici/cap9.html 4.http://www.lsdi.it/dossier/anarchici/cap9.html 5.http://www.osservatoriodemocratico.org/page.asp? ID=2853&Class_ID=1001 6. http:// claudiocordova.wordpress.com/2008/10/26/26ottobre-1969-alberto-sabatino-scopre-la-ndrangheta/ 7.http://www.osservatoriodemocratico.org/page.asp? ID=2853&Class_ID=1001


2. Gli anni settanta

Oltre alla massoneria ed ai servizi segreti, anche la Mafia sembra essere coinvolta nelle grandi operazioni di terrorismo degli anni di piombo. Vediamo come. Vorrei fare un esperimento di riordinamento gestaltico. Ossia, vorrei proporre di modificare i paradigmi con cui siamo abituati a considerare la storia. I libri di questa materia sono scritti dai vincitori, si dice, ma io direi che sono scritti essenzialmente dagli schemi logici vincenti (che, spesso, combaciano con quelli dei vincitori, del resto). Il mio discorso risulterà probabilmente azzardato agli occhi del lettore tradizionale (ed anche a me non sembra da meno) ma, come ho già detto, è un esperimento e non è detto che un esperimento sia riuscito solo quando porta a risultati condivisibili. Eversione. Voglio parlare di eversione. Prendendo la definizione del De Mauro1: “sovvertimento radicale dell‟ordine costituito compiuto con atti rivoluzionari o terroristici”, mi saltano all‟occhio due espressioni: ordine costituito e atti rivoluzionari. Ed ora, senza paragonarli né nemmeno dare un giudizio cerco di svolgere un parallelo tra tre ordini costituiti ed altrettante forze eversive. Ripeto: aspettate ad inorridirvi, cerchiamo di fare un discorso logico e vediamo dove si arriva. I tre Poteri che schiero sono: la monarchia di Carlo I d‟Inghilterra, il regime di Benito Mussolini, i Governi democratici della DC. Da ciò si ricavano le tre eversioni: Cromwell, i partigiani, le BR. Qui, con i paradigmi che io adotto e probabilmente anche voi avete fatto vostri, vi si dovrebbe accapponare la pelle; anche solo mettere un‟organizzazione terroristica in parallelo con i Liberatori d‟Italia sembra una hybris, ma vediamo in cosa si possono equiparare e dove ci sono differenze tra i tre. La prima delle domande da porsi riguarda i Poteri con la P maiuscola citati è: come sono legittimati? Carlo I rappresenta l‟assolutismo monarchico. Legittimato per Diritto Divino e dal Sangue. Il modello teorico su cui ci si basa è quello di Hobbes. Un pactum subiectionis, un contratto per cui il popolo rinuncia a tutti i suoi diritti per rimandarli nel sovrano, caratterizza questo tipo di dominio. Avendo tutti i diritti ed essendo depositario della legge, chi esercita questo potere è in linea teorica non attaccabile; difatti, incarnando in sé il potere più assoluto, sarebbe iniqua e contro la legge qualsiasi forma di rivolta. Similmente si procede per il fascismo, con la sostanziale differenza che non si tratta di una monarchia ereditaria ma di un governo nato in via mista illegale e legale, sia

con la forza che con la cooperazione del Re d‟Italia. Ovviamente, nel caso della DC il potere deriva da una concezione democratica, perciò assolutamente contraria al concetto hobbesiano di sottomissione. Rousseau2 già definiva come insensata questa concezione. Un governo democratico trae la sua legittimazione dalla volontà comune e ciò solo se il popolo trova in una Costituzione i suoi Diritti inviolabili. Questo è un riassunto in poche righe di qualche anno di filosofia, quindi prendiamolo proprio come breve spolverata. Se considerati con dei paradigmi a loro favorevoli, tutti e tre i Poteri sembrerebbero legittimi; ovviamente, però, usando un modello democratico, Carlo I diventerebbe inaccettabile, così come con un paradigma assolutistico la Repubblica Costituzionale sarebbe un fallimento. Se si accetta, per ipotesi, la legittimità di tutti e tre, ne consegue che le BR siano alla stregua di Cromwell. Entrambi risultano, infatti, come tentativi di sovvertire lo stato in maniera violenta. Pertanto, entrambi si starebbero avvalendo del diritto lockiano di ribellarsi nei confronti di un Governo che va contro il popolo. Per Locke3, che sta alla base della concezione di Stato moderno, il potere deve essere revocabile mediante una rivoluzione quando esso diventa tirannico. Quindi, se per qualche motivo si decretasse un‟illegittimità del Governo, immediatamente si troverebbe una legittimità nella resistenza. Nel caso del movimento partigiano ciò è lampante: nessuno si sente di biasimare i movimenti di liberazione per gli atti di sangue commessi. La rivoluzione antifascista viene, in maniera assai condivisibile, definita da Rosselli come “un dovere patriottico”4. Per il bene dello Stato è doveroso distruggerne la parte malata. Anche se disumana, l‟immagine della Petacci appesa a testa in giù ha un forte significato simbolico e non è incoerente in un contesto di sovversione di un Potere iniquo. Del resto anche Maria Antonietta5 sembra essere colpevole solo di rappresentare un dominio assoluto ed assolutamente deviato da quella che è la volontà comune. Eppure anche qui tutto dipende dal paradigma che adottiamo. Non è immediato, soprattutto in assenza di una Costituzione o di una carta dei Diritti, determinare chi sia nel “giusto”. Nel caso di uno stato democratico il discorso si fa ancora più sottile. Si potrebbe dire che una rivolta violenta è sempre e comunque inaccettabile, visto 1. http://old.demauroparavia.it/41633 2. J. J. Rousseau, Il contratto sociale, Feltrinelli, Milano, 2003. 3. J. Locke, Due trattati sul governo, Editori riuniti, Roma, 1974. 4. C. Rosselli, "Opposizione d'attacco", in Scritti dell'esilio, Einaudi, Torino, 1992. 5. B. Craveri, Maria Antonietta e lo scandalo della collana, Adelphi, Milano, 2006. Paul Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi, Einaudi, Torino 1989

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Tre rivoluzioni e Tre Terrori

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4 M. Luca

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2. Gli anni settanta

che il potere è già revocabile, basta votare per qualcun altro. Ed, in effetti ci si può ritrovare in questa affermazione. Perché scatenare una guerra civile quando basta la decisione popolare? Oltretutto, il Presidente della Repubblica e gli appositi organismi vigilano sulla costituzionalità delle decisioni del Governo, quindi non c‟è nessun motivo per cui il popolo dovrebbe poter decidere la non correttezza. Il concetto di Doppio Stato6, però, rende più difficoltoso il ragionamento. In che misura si può dichiarare legittima una tale commistione tra servizi segreti, amministrazione pubblica, chiesa, massoneria, pur basata su consenso popolare? La conventio ad excludendum ai danni del PCI con il suo immediato corollario, la strategia della tensione, sembra sfuggire dall‟ottica del consentito per sfociare nel dispotico. Purtroppo i fatti sono ancora poco chiari, anche per le leggi sul Segreto di Stato7 che permettono la non divulgazione dei dossier segreti anche dopo decenni dalla loro redazione. Per esempio, avrebbe potuto giovare agli storici l‟archivio di Licio Gelli (capo storico della P2) rinvenuto dal SISMI nell‟85; eppure l‟allora presidente del Consiglio Bettino Craxi decise che era meglio insabbiare il tutto, visti due fascicoli riguardanti due politici italiani8. Per questo quando nella traccia di questo concorso leggo “è forse maturato il tempo per formulare giudizi sereni e sufficientemente ragionati” non posso dirmi completamente d‟accordo. Ma, tralasciando il mio scetticismo, tracce di irregolarità gravissime nel Potere contro cui le BR rappresentano l‟eversione ci sono. Al lettore informato basteranno poche parole per capire di cosa sto parlando, chi invece avesse bisogno di una rinfrescatina di memoria troverà in altri punti di questo lavoro una (si spera) esauriente spiegazione dei fenomeni. Le parole sono: Gladio, Sogno, Stay behind, stragismo, Piazza Fontana, Pinelli, NAR, Golpe Borghese. Soprattutto quest‟ultimo mi sembra l‟apice, l‟asso nella manica che un bravo avvocato metterebbe nella sua arringa contro il Potere. Il mancato Ministro degli Esteri del Governo golpista, un medico di Rieti di nome Adriano Monti, ha recentemente dichiarato che la CIA avrebbe scelto come capo dell‟eventuale Governo militare Giulio Andreotti il quale, però, avrebbe rifiutato l‟offerta all‟ultimo momento9. È lampante che, se ciò fosse vero (cosa su cui è c‟è ancora da discutere), nulla potrebbe persuadermi a ritenere democratico e costituzionale questa parte della DC (parte egemone, oserei aggiungere). Pur ammettendo che la Democrazia Cristiana non fosse la sola forza anticostituzionale del Paese, una qualsiasi istituzione che preveda persone così colluse in movimenti illegali (e belligeranti) non mi può sembrare legittima. Il tutto anche senza ricordare che il pentito Buscetta avrebbe confermato un appoggio anche di alcune organizzazioni mafiose nel tentativo di Golpe10. Pertanto qui si trovano i limiti del paradigma democratico. Una tale devianza delle istituzioni repubblicane, sebbene legittima in quanto (apparentemente) costi-

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tuzionale ed appoggiata sul consenso popolare, si dimostrerebbe invece totalmente abietta. Uso il condizionale perché, vista la confusione delle vicende, mi sembra inopportuno fare affermazioni categoriche. Ora la domanda provocatoria è: ammesso che siano vere le tesi golpiste ed anticostituzionali, in che limiti è legittima la resistenza? Norberto Bobbio, in un interessante dialogo con Maurizio Viroli ricorda di quando disse a Sogno11 che il comunismo non si combatte con i golpe12. Nell’ottica del mio esperimento gestaltico si potrebbero ribaltare i termini di questa affermazione chiedendosi se i golpe si combattano col comunismo. Sempre Bobbio aggiunge che: Galli della Loggia è tornato a parlare dei comunisti come doppio Stato. Come “doppio Stato”? Certo che c‟era in Italia il doppio Stato, ma era quello dei servizi segreti guidati da ex-fascisti. Pertanto, fino a che punto si può determinare un distacco tra il regime di Mussolini ed il sistema degli apparati deviati? Sembra sacrilego, ma, se si considerasse una dittatura neo-fascista sotto mentite spoglie la Prima Repubblica (o quantomeno la parte che va fino agli anni ‟70), il brigatismo diventerebbe una sorta di resistenza partigiana. Con i dovuti distinguo, perché senza dubbio le due situazioni erano molto differenti e non si possono nemmeno lontanamente paragonare a terroristi gli eroi della Liberazione, ma in linea quantomeno teorica ci potrebbe essere un filo conduttore tra i due. Di sicuro, se in qualche modo le organizzazioni terroristiche fossero riuscite nell‟intento sovversivo, oggi tra i liberatori d‟Italia leggeremmo di Curcio e Cagol. E questa 6. F. De Felice, Doppia lealtà e doppio Stato, in ''Studi Storici'', 1989, n. 3 7. Legge n° 801, 24 ottobre 1977; 8. D. Martirano, Sul segreto di Stato un rito qualunquistico, da Il corriere della sera del 05/08/05. Reperibile su http://archiviostorico.corriere.it/2005/agosto/05/ Sul_segreto_Stato_rito_qualunquistico_co_9_050805 020.shtml 9. G. M. Bellu, E la Cia disse: sì al golpe Borghese ma soltanto con Andreotti premier, da La repubblica del 05/12/05 reperibile su http://www.micciacorta.it/ articolo.php?id_news=134 10. Requisitoria dei PM Scarpinato e Lo Forte dell’udienza del 09/12/96. 11. Diplomatico, scrittore, politico militare e agente dei servizi segreti torinese, affiliato alla P2 dopo l’amicizia con Pacciardi (segretario del PRI e Ministro della Difesa dal ’48 al ’53 che fece entrare l’Italia nella NATO). Tentò di convincere il Presidente Leone a nominare un governo capace di dare una svolta presidenzialista all’Italia. Fu, inoltre, accusato dal magistrato Luciano Violante nel ’74 di aver pianificato il Golpe Bianco. 12. N. Bobbio M. Viroli, Dialogo intorno alla Re-

pubblica per http://www.domusmazziniana.it/ ami/pm/zero4/bobbio.htm#_ftn6


2. Gli anni settanta

vista l‟illegittimità del Potere e la collusione con esso. Io mi sentirei di condannare tutti e tre fermamente e aspramente. Ma forse anche di più quello statale perché è un‟azione doppiamente scorretta tradire così la Costituzione e la Repubblica. Tutto questo, grazie ad un piccolo esperimento gestaltico. Ora, tre citazioni. Una per ciascuna delle tre epoche citate. La prima, forse più dolorosa, è l‟ultima lettera scritta da Aldo Moro durante la sua prigionia. Una lettera commovente, diretta alla moglie. Un documento che mette in risalto l‟umanità di Moro, la sua paura di fronte all‟incombente morte. Ma si conclude con un‟affermazione lapidaria di denuncia nei confronti della DC. Un‟accusa di essere complici delle BR, non avendo voluto aprire la porta. Poi, il teorico della Rivoluzione inglese che esprime la sua teoria sulla revocabilità del Potere. Infine, due ersi tratti da un canto partigiano. Due versi che, a ben guardare, sembrano essere adatti per ciascuno dei tre periodi da me citati. Amore mio, sentimi sempre con te e tienmi stretto. Bacia e carezza Fida, Demi, Luca (tanto tanto Luca) Anna Mario il piccolo non nato Agnese Giovanni. Sono tanto grato per quello che hanno fatto. Tutto è inutile, quando non si vuole aprire la porta. 14 Quando i legislatori tentino di sopprimere e distruggere la proprietà del popolo o di ridurlo in schiavitù sotto un potere arbitrario, si pongono in stato di guerra con il popolo, il quale è con ciò sciolto da ogni obbedienza […] E se coloro che con la forza sopprimono il legislativo sono ribelli, i legislatori stessi non possono essere giudicati altrimenti, se essi, che sono stati istituiti per la protezione e la conservazione del popolo, la violano con la forza e tentano di sopprimerle.15 Per liberare l‟Italia nostra da questa setta schifosa e mostra.16

13. Intervista all’emerito Presidente della Repubblica Italiana Francesco Cossiga di Andrea Cangini per Quotidiano Nazionale del 23/10/08, reperibile su http:// gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2008/10/23/% C2%ABvoglio-sentire-il-suono-delle-ambulanze% C2%BB 14. Dall’ultima lettera di Aldo Moro a Noretta durante il periodo di prigionia. Reperibile su http:// www.macchianera.net/2005/09/26/lettere-di-aldomoro-dalla-prigione-del-popolo-16-fine/ 15. J. Locke, Due trattati sul governo con “Patriarcha” di Filmer, Utet, Torino, 1960. 16. Dal canto partigiano Addio mammina addio.

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è una cosa interessante, dovrebbe far riflettere sulla storia e l‟opinione. Carlo I al patibolo, Mussolini a Loreto, Andreotti a Palazzo Madama, senatore a vita. Bisogna ammettere che, se le ipotesi fossero confermate ed utilizzassimo il giusto paradigma, ciò sarebbe strano. Questo gioco di specchi e doppiezze (lo Stato democratico che diventa Dittatura democratica, il terrorismo che diventa Liberazione, il doppio giuramento su Costituzione e Patto atlantico) è alla base di quella che definirei una schizofrenia congenita dell‟Italia. Del resto, dire che la classe politica di oggi sia radicalmente differente da quella di allora non è così facile. Anche perché sono molti i nomi costanti tra Prima e Seconda Repubblica. Uno fra tutti, l‟emerito Senatore Cossiga che recentemente ha fatto scandalo (ma molto meno di quanto avrebbe dovuto, vista la pesantezza e la disgustosità delle cose dette) che ha consigliato al Ministro Maroni la seguente tattica per ciò che riguarda le manifestazioni per la “riforma” della scuola targata Gelmini: “Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand‟ero ministro dell‟Interni (…). Gli universitari? Lasciarli fare. Ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città. Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri. Le forze dell‟ordine dovrebbero massacrare i manifestanti senza pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli a sangue e picchiare a sangue anche quei docenti che li fomentano. Non quelli anziani, certo, ma le maestre ragazzine sì”13 Pertanto, visto che l‟Onorevole Cossiga è stato al Ministeri degli Affari Interni in uno dei periodi più caldi del terrorismo eversivo (‟76-‟78), pur riconoscendo gli errori enormi e l‟insensato prezzo in vite che l‟azione brigatista ha portato, non posso non dirmi ancora più sdegnato da chi, probabilmente, ha lasciato fare consapevolmente e per strategie politiche. Io sono un sostenitore dello Stato e delle istituzioni. Ma se provassimo per un istante ad abbandonare questo paradigma (eh, lo so, con questa storia dei paradigmi sono ripetitivo, ma mi sembra importante ribadirlo), non dico l‟azione delle BR reale (ossia quella storica, fatta di sangue innocente così come di processi sommari ed inutili) ma un‟azione di resistenza non armata sarebbe, se non legittima, quanto meno spiegata o controbilanciata da un‟azione non meno terroristica da parte dello Stato. Forse sarebbe corretto inserire nel novero dei terroristi anche chi poteva impedire ma ha evitato. Così, i “terrorismi” non sarebbero più due (nero e rosso) ma tre: nero, rosso e statale. Nessuno dei quali veramente eversivo,

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Unità

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Fino ad oggi Non mi disperdere le cose da vestire [...]. Fa come se fossi lì non disturbarti per la tomba Mia dolcissima Noretta, (casa) mi viene ora il dubbio atroce che un‟infinità di mie lettere e due piccoli testamenti siano stati sequestrati, incomprensibilmente, dall‟autorità. Come spiegare l‟appassionata reiterata richiesta di un tuo messaggio stampa, mai pervenuto? E altre, e altre cose. Avevo scritto a tutti i nostri cari in punto di morte, con l‟animo aperto in quel momento supremo. Volevo lasciare qualche certezza di amore e qualche motivo di riflessione. Ed ora temo che tutto questo sia disperso, per ricomparire, se comparirà, chissà quando e come. Allora ho deciso di scrivere alla meglio, per dire l‟essenziale e di affidare tutto a Don Antonello Mennini, che lo tenga con sé, finché non abbia parlato di persona con te e sono certo di poter dare senza pericolo. Noretta mia carissima, in questa vicenda allucinante riconosco le mie ingenuità, ma coperte dalla buona fede che si lega alle mie scelte giovanili di passare dall‟Azione Cattolica alla D.C. Sono stato poco a Torrita, tenetemi [...] con voi a Roma. Mi è atroce pensare quanto questa vicenda vi toglie e soprattutto all‟amatissimo Luca che avrebbe avuto diritto all‟assistenza e alla gioia. Quanto mi è angosciante lasciarlo solo. Prego Iddio che gli susciti intorno volti cari, sorrisi teneri, autentico interessamento. Io pregherò per lui fino all‟ultimo istante. E l‟immagino con te, con Agnese, con tutti i suoi cari, con qualche ricordo del nonno che gli evocherete con qualche fotografia, con qualche richiamo. Mi sarebbe dolce sentirmi non assente. E a te, gioia amata, grazie di tutto. Nel fondo credo di averti dato tutto l‟amore anche se con qualche distrazione d‟ufficio. Quanto meno bisognerebbe dare all‟ufficio e più alla famiglia. Sei stata la mia gioia più grande, fonte, talvolta di piccola gelosia, solo non ti vedessi magari rivolta a me. Che Iddio ci aiuti tutti. Freato e Rana dovrebbero aiutarvi. Iddio vi benedica dal profondo e mi stringa a voi in un amore eterno. Mi consola pensare che, prendendo quel che viene, lo storno da voi. Eri troppo [...]¹ (67°Lettera di Aldo Moro alla moglie durante la prigionia) (A fianco, foto di Nadia Desdemona Lioce)


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Fino ad oggi

Moro Il 16 marzo 1978, giorno fissato per la fiducia alla camera del nuovo governo, guidato da Giulio Andreotti, Aldo Moro esce di casa con la sua Fiat 130 poco prima delle 9:00 per raggiun-

Prime Pagine delle principali testate italiane durante il periodo del sequestro Moro

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3.1 L’apice ed il declino

gere Montecitorio ma non vi arriverà mai. In via Fani un commando delle Brigate Rosse uccide i cinque uomini della scorta e sequestra il presidente della Democrazia Cristiana. Dopo una prigionia di 55 giorni nel covo di via Montalcini, il cadavere di Aldo Moro viene ritrovato il 9 maggio nel baule posteriore di una Renault 4 rossa a Roma, in via Caetani, emblematicamente vicina sia a Piazza del Gesù (dov‟è la sede nazionale della Democrazia Cristiana), sia a via delle Botteghe Oscure (dov‟è la sede nazionale del Partito Comunista Italiano). Il sequestro Moro ha rappresentato senz‟altro l‟apice della spettacolarità e della capacità militare delle Brigate Rosse; ha segnato però anche l‟inizio della riorganizzazione dello Stato e


3.1 L‟apice ed il declino

ha di fatto segnato la fine stessa delle Brigate Rosse come sono state conosciute negli anni Settanta. Pertini Dopo le dimissioni di Giovanni Leone, viene eletto Presidente della Repubblica il 9 luglio 1978 Sandro Pertini. Il Paese viene scosso da una sensazione di rinnovamento che chiude lo scandalo e le dimissioni di Leone. Nella stessa estate, il 6 agosto, muore Papa Paolo VI, che era stato pontefice in questo periodo degli anni di piombo e che si era attivato per la liberazione di Moro. Record Nel 1979 viene toccato il triste record di 659 attentati, quindi quasi 2 al giorno. L‟incarico di Capo per la lotta al terrorismo viene affidato al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, il carabiniere che di fatto ha sconfitto le Brigate Rosse. Nei soli giorni di gennaio di questo anno si ricordano gli assassinii trasversali del giudice Emilio Alessandrini, assassinato da un commando di Prima Linea; del sindacalista comunista Guido Rossa, assassinato dalle Brigate Rosse; del giornalista del Corriere della Sera Walter Tobagi, ucciso dalla Brigata XXVIII marzo, sempre un gruppo terrorista di estrema sinistra. In questi anni, quindi, le esecuzioni dei terroristi “rossi” colpiscono non un settore mirato, ma i rappresentanti di svariate categorie. Arresti Il 7 aprile 1979 il magistrato padovano Pietro Calogero autorizza l‟arresto dei maggiori

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In bianco e nero, Pertini; a colori, il Generale Dalla Chiesa.

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leader di Autonomia operaia, tra cui Toni Negri, arrestato con varie accuse, tra le quali quella di essere l‟ideologo delle Brigate Rosse e mandante dell‟omicidio di Aldo Moro, quasi tutte le accuse vengono a cadere durante i mesi dell‟arresto, poi condannato per “associazione sovversiva” e “insurrezione armata contro lo Stato”; Oreste Scalzone, accusato di partecipazione ad associazione sovversiva, banda armata e rapina; Franco Piperno, accusato di essere uno dei fiancheggiatori di Autonomia Operaia. Dopo il processo, tutti e tre si rifugiarono in Francia. Afghanistan Il 24 dicembre 1979 le truppe dell‟Unione Sovietica invadono l‟Afghanistan. Le ritirarono dieci anni dopo. La causa dell‟invasione è la rivolta del mujaheddin contro il governo socialista dell‟Afghanistan. La guerra in Afghanistan al momento non viene sentita come un fatto di grande importanza, ma ora sappiamo quanto avrebbe influenzato la storia futura, in quanto Osama bin Laden, futuro ideatore dell‟attentato terroristico dell‟11 settembre 2001, inizia in questi anni ad acquisire potere, combattendo con i mujaheddin e quindi al fianco degli americani. Torino Il 21 settembre 1979 viene ucciso a Torino, mentre si accingeva a salire in macchina, Carlo Ghiglieno, responsabile nel settore della pianificazione strategica alla Fiat Auto. Un commando di Prima linea rivendica l'uccisione definendola "Il primo atto contro il comando d'impresa". Ghiglieno pochi mesi prima aveva rifiutato la scorta armata. Bologna La strage di Bologna è uno degli atti terroristici più gravi avvenuti in Italia nel secondo dopoguerra, verificatosi sabato 2 agosto 1980. Alla 10:25, nella sala d‟aspetto di seconda classe della Stazione di Bologna Centrale, un ordigno a tempo, contenuto in una valigia abbandonata, esplode uccidendo ottantacinque persone e ferendone oltre duecento. Subito dopo l'attentato, il governo presieduto da Francesco Cossiga, e le forze di polizia attribuiscono lo scoppio a cause fortuite, ovvero all'esplosione di una caldaia nel sotterraneo della stazione. Non appena appaiono più chiare le dinamiche ed è palese una matrice terrorista, attribuiscono la responsabilità della strage al terrorismo “nero”. Già il 26 agosto dello stesso anno la Procura della Repubblica di Bolo-


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3.1 L‟apice ed il declino ………...………………………………………………………………………………………………………………………….………………………………..

Il marchio FIAT tra gli anni „60 e gli anni „70; a sinistra,Nella foto, Annarumma. A fianco, .manifesto Pertini al funerale didel convegno la stagione dei movimenti tenuBerlinguer il 13-06-84 tosi a Firenze il 12 dicembre 2004.

gna emette ventotto ordini di cattura nei confronti di militanti di estrema destra dei Nuclei Armati Rivoluzionari. Tutti saranno scarcerati nel 1981. Fiat Nel 1980 la Fiat è in crisi e, dopo trattative sindacali molto difficili, l‟11 settembre vengono annunciati 14.469 licenziamenti. Il consiglio di fabbrica della Fiat proclama immediatamente lo sciopero, tutti i cancelli di Mirafiori vengono bloccati da picchetti operai, che impediscono a chiunque di entrare, anche con forme di violenza. L'apice della lotta è raggiunto quando Enrico Berlinguer parlando il 26 settembre di fronte ai cancelli sembra promettere un appoggio del PCI anche qualora fosse stata occupata la fabbrica. A fine mese la Fiat pone in cassa integrazione 24.000 lavoratori in eccesso: lo sciopero continua. Il 14 ottobre, infine, migliaia di impiegati e quadri della Fiat scendono in piazza, in quella che verrà detta marca dei quarantamila, per protestare contro le violente forme di picchettaggio che impediscono loro di entrare in fabbrica a lavorare, da ormai 35 giorni. La manifestazione segna un punto di svolta nelle relazioni sindacali: il sindacato a breve capitola e chiude con un accordo favorevole alla Fiat la vertenza,

iniziando una progressiva perdita di potere ed influenza per tutti gli anni Ottanta non solo in Fiat ma nel Paese. La marcia dei quarantamila, applaudita da tutti i cittadini, segna anche una svolta dal punto di vista sociale: la maggioranza silenziosa di una città che arriva alla fine del decennio stremata dal terrorismo fa sentire la sua voglia di tranquillità e sicurezza. Di fatto il terrorismo è stato, in questi anni, un fenomeno localizzato ed avvertito, dalla popolazione italiana, in modo molto difforme. A fine anni 80 si conteranno, fra terroristi “rossi” e “neri” non piu‟ di 2.500 persone penalmente coinvolte, arrestate o latitanti. Questo non è un numero piccolo, ma, certamente, non è un numero rilevante dal punto di vista sociale. L‟azione, però, si è svolta quasi tutta nella capitale e in poche città del nord Italia, Torino, Milano, Genova, dove si trovavano le grandi fabbriche e le principali Università. Secondo me, qui il terrorismo ha effettivamente inciso e cambiato la vita giornaliera delle persone per più di dieci anni mentre nel resto del Paese la popolazione “ha sentito” il terrorismo solo attraverso quotidiani e telegiornali. Da questo punto di vista nulla collega il terrorismo degli anni di piombo con un altro tra i grandi mali d‟Italia, le organizzazioni mafiose del Sud Italia: queste ultime pervadono il tessuto sociale e sono avvertite quotidianamente dalla popolazione civile, che essa voglia oppure no.


3.2 Le BR oggi

Il professor Massimo D'Antona consulente del Ministero del Lavoro e docente di diritto del lavoro all'Università "La Sapienza" di Roma, amministratore delegato dell'ENAV fino al 1998, verso le 8.30 di mattina, fu colpito mentre si recava al lavoro presso gli studi di via Salaria. I brigatisti Mario Galesi e Nadia Desdemona Lioce, in attesa dentro un furgone Nissan, scendono e iniziano a insultarlo. Fu Mario Galesi, armato di una pistola automatica calibro 9x19 senza silenziatore, a far fuoco su D'Antona, infliggendogli il colpo di grazia al cuore. I due si danno poi alla fuga, e poco dopo arrivano i soccorsi: il ricovero al Policlinico Umberto I è inutile,Massimo D‟Antona è dichiarato deceduto alle 9,30.Poche ore dopo, arriva la rivendicazione, 14 pagine stampate fronte retro, con la stella a cinque punte e il gergo tipico delle Nuove brigate Rosse. Rispetto a similari rivendicazioni degli anni di piombo, oltre all'appariscente differenza costituita dalla dicitura "SIM" sostituita da "Borghesia Internazionale", si rileva un netto peggioramento dello stile, una qualità letteraria più bassa, una maggior tortuosità nell'espressione. Nella foto grande, Massimo D‟Antona. Nell‟angolo, il Professor Biagi con Romano Prodi.

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3.2 Le BR oggi

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Vicenda giudiziaria L'8 luglio 2005 la Corte d'assise di Roma, presieduta da Marco D'Andria, condanna all‟ergastolo Nadia Desdemona Lioce, Roberto Morandi e Marco Mezzasalma; Federica Saraceni assolta dall'accusa di concorso nell'omicidio, ma condannata a 4 anni e 8 mesi perché ritenuta responsabile di associazione sovversiva. Ci furono quattro assoluzioni: Alessandro Costa e Roberto Badel non sono stati ritenuti colpevoli di banda armata; i fratelli Maurizio e Fabio Viscido sono stati prosciolti dall'accusa di banda armata. Per Alessandro Costa e Roberto Badel invece è stata disposta la scarcerazione dal presidente della Corte. Marco Biagi prima di essere assassinato, aveva scritto cinque lettere in cui si diceva preoccupato riguardo le frequenti minacce ricevute. Contenuto di queste lettere, indirizzate al presidente della camera Pierferdinando Casini, al ministro del lavoro Roberto Maroni, al sottosegretario al lavoro Maurizio Sacconi, al prefetto di Bologna ed al direttore generale di Confindustria Stefano Parisi è stato reso pubblico anche dal quotidiano Repubblica. Il 19 marzo 2002 Marco Biagi venne ucciso da alcuni militanti delle Nuove Brigate Rosse, in un agguato a Bologna in via Valdonica, sotto casa sua, mentre rientrava verso le ore 20.00.Le Nuove Brigate Rosse firmano la rivendicazione, che presenta grandi analogie con quella del precedente delitto di Massimo D'Antona. Il Ministro dell‟interno dell‟epoca,Scajola, aveva privato Marco Biagi della scorta, richiesta solo pochi mesi prima per timore di attentati da parte dell'estrema sinistra e aggiungendo inoltre che lo stesso Biagi “mi aveva rotto i coglioni”. Comportamento vergognoso da parte di un ministro il cui ruolo per cui è pagato oltremodo sarebbe stato quello di proteggere una persona che era diventato un vero e proprio obiettivo,un bersaglio. Dopo che fu tolta la scorta Biagi ne fece nuovamente richiesta al Ministero del Lavoro, presso cui lavorava, in quanto non si sentiva sicuro e riceveva minacce di continuo. Questa non gli fu accordata. I colpevoli stessi ammisero che avevano deciso di colpire proprio lui in quanto era un personaggio di grande visibilità e allo stesso tempo poco protetto. Nel 2005 cinque terroristi brigatisti furono condannati all'ergastolo come responsabili del suo omicidio: Nadia Desdemona Lioce, Roberto Morandi, Marco Mezzasalma, Diana Blefari Melazzi e Simone Boccaccini.


fare storia L’apice ed il declino 1 G. Sottilotta Il rapimento di Aldo Moro segna un punto cruciale nella storia d’Italia. Questo testo si propone di analizzarne le modalità ed i retroscena. Il rapimento Il sedici marzo 1978, a Roma verso le nove del mattino, un gruppo armato delle BR intercetta la Fiat 130 che trasporta il presidente della Dc Aldo Moro dalla sua abitazione nel quartiere Monte Mario, alla Camera dei Deputati. Secondo la versione dei brigatisti, la mattina del rapimento quattro di loro, Franco Bonisoli, Valerio Morucci, Prospero Gallinari e Raffaele Fiore, in divisa da avieri, si appostano sul marciapiede di destra, all‟incrocio tra via Fani e Via Stresa, dove sanno che la macchina di Aldo Moro sarebbe passata. Il loro compito è quello di sparare alla Fiat 130 e alla macchina della scorta. Moretti è alla guida della Fiat 128 che ferma le due auto. Comincia la sparatoria durante la quale tutte le armi, una dopo l‟altra, si inceppano, una non spara del tutto. Bonisoli lascia il mitra e colpisce con la pistola un poliziotto uscito dall‟auto di scorta, Raffaele Iozzino. Tutti e cinque gli uomini della scorta rimangono uccisi: i due carabinieri a bordo dell'auto di Aldo Moro (Domenico Ricci e Oreste Leonardi) e i tre poliziotti a bordo dell'auto di scorta (Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi). Aldo Moro viene caricato illeso sulla Fiat 132, insieme a due delle sue borse. Morucci scende in via Vitossi e sale su un furgone parcheggiato lì in precedenza. A piazza del Cenacolo, poco lontano da via Fani, Aldo Moro viene chiuso in una cassa e trasportato nel furgone. Nel garage della Standa Portuense i brigatisti aspettano l‟auto che porta Moro nel covo, dove è stato per cinquantacinque giorni. Questa versione delle BR, in realtà, non coincide con quella dei testimoni oculari e con le rilevazioni balistiche, dando adito a molti interrogativi. Per esempio il fatto che i brigatisti indossino delle divise da avieri, fa supporre che ci fosse almeno un uomo sconosciuto al commando, tiratore esperto e preciso del quale le BR si servono, come garanzia che l‟onorevole Aldo Moro rimanesse illeso. Da qui potrebbe derivare l‟esigenza di indossare le divise, per riconoscersi e non spararsi tra di loro. Delle cinque borse presenti nell‟auto di Moro ne vengono prese solo due, senza che ci fosse il tempo di verificarne il contenuto. Il

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L’affaire Moro ed i retroscena

carabiniere Oreste Leonardi è il primo che viene ucciso, perché è il più temuto. A sparargli è un uomo che fiancheggia a piedi la Fiat 130. Ci sono, quindi, molti quesiti rimasti irrisolti, che rendono incompleta la ricostruzione dei fatti. Reazione al rapimento Il rapimento di Aldo Moro, suscita la reazione della gente comune: gli studenti scendono in piazza, operai e lavoratori iniziano a scioperare e ad organizzare manifestazioni, i negozi e le banche chiudono. In tutta Italia si respira un clima greve di paura e di panico generalizzato. «Prima incredulità, poi sgomento. Poi silenzio. Svuotata dallo sciopero generale e dalla paura, le strade quasi deserte, i negozi serrati, cinema e teatri chiusi come in tutta Italia, la gente al comizio dei sindacati in piazza San Giovanni oppure in casa davanti alla televisione, Roma ha vissuto ore di angoscia strana […]. Nelle scuole sono passati i bidelli di classe in classe a dare la notizia e dire: “Tutti a casa”. I bambini hanno già trovato all‟ingresso le madri impaurite venute a riprenderli.»1 «Da Torino a Bologna, da Firenze a Roma, da Napoli a Palermo si accavallavano al giornale le telefonate. La radio ha appena finito di trasmettere la notizia della imboscata mortale alla scorta e del rapimento dell'on. Moro, e già i primi cortei operai si formano, escono dai grandi stabilimenti, dilagano nelle strade e nelle piazze. Si svuotano le fabbriche FIAT, quelle dove in passato era stata colta con allarme - e anche ingrandita da una certa letteratura del catastrofismo - qualche zona di insensibilità e disorientamento. Non vi è città, piccola o grande, dove i primi a muoversi non siano i lavoratori delle fabbriche. Vanno in migliaia a manifestare il loro sdegno per il massacro di Roma, e la loro solidarietà con il partito della DC, colpito nella persona del suo massimo dirigente: Aldo Moro. Un partito e un uomo dai quali, forse, la maggioranza dei manifestanti si era sentita divisa in tante aspre battaglie. Ma proprio questo dà il segno dello scatto che si è determinato nella coscienza politica di massa: non si è trattato solo di umana solidarietà ma della comprensione piena che chiunque, indipendentemente dalla sua collocazione politica e sociale, viene fatto bersaglio del terrorismo, in lui si colpisce la condizione prima di qualsiasi rinnovamento, cioè la democrazia.»2 1. L. Tornabuoni “ Roma prima incredula, poi sgomenta”, «Corriere della Sera», 17 marzo 1978 2. “Straordinario sussulto democratico”, «Unit{», 17 aprile 1978


3.1 L‟apice ed il declino

“stato di necessità”, ovvero non si è mai presentata la possibilità di un ricambio politico che non sconvolgesse gli assetti costituzionali e internazionali. Finchè vige lo “stato di necessità” e la DC rimane l‟unico partito alla guida dell‟Italia, la democrazia risulta “zoppa”. « …dobbiamo operare in modo che ci siano alternative reali di governo alla DC […] Se continua così questa società si sfascia, le tensioni sociali, non risolte politicamente, prendono la strada della rivolta anarchica, della disgregazione. Se questo avviene, noi continueremo a governare da soli, ma governeremo lo sfascio del Paese. E affonderemo con esso. Ecco l‟interesse “egoistico” della DC. Perciò ho diritto di essere creduto se affermo che noi vogliamo preparare alternative reali alla DC […] ».3 Aldo Moro sostiene che il PCI, non è in grado di governare autonomamente, ma solo con l‟appoggio di altre forze politiche. Dunque è necessaria una prima fase di avvicinamento dei due partiti, senza un eccessivo indebolimento né della DC né del PCI. La seconda fase consiste nell‟entrata al governo del partito comunista e infine ci deve essere l‟alternanza al governo. Il modello consociativo deve portare al superamento della fase di emergenza e all‟affermazione di un Paese pienamente democratico. Berlinguer, uomo del compromesso e Aldo Moro, uomo della mediazione, trattano con le diverse forme politiche, dando vita a un nuovo governo Andreotti, che quella mattina del 16 marzo 1978, si presenta al Parlamento per chiedere la fiducia. Obiettivi delle BR Attraverso il rapimento dell‟onorevole Aldo Moro, le BR perseguono diversi obiettivi, primo fra tutti quello di ottenere il riconoscimento politico da parte dello Stato. Questo per i brigatisti assume una notevole importanza, perché se lo Stato avesse trattato con loro, li avrebbe legittimati come guida della rivoluzione e come forza combattente. In secondo luogo vogliono dimostrare di essere in grado di colpire la politica, e uno dei maggiori rappresentanti della democrazia italiana. Le BR identificano un legame tra la DC e il SIM e il compromesso storico con il PCI, viene visto come uno strumento per manovrare il superpotere capitalista. Decidono, così, di colpire Aldo Moro in quando simbolo della DC e dello Stato. Franco Bonisoli in una intervista rilasciata a Giorgio Bocca, afferma: « Per noi la Democrazia Cristiana era lo Stato che faceva parte del Sim, Stato imperialista delle multinazionali e il Partito comunista, il compromesso storico non erano che una delle forme, delle manovre di questo superpotere[… ] »4 La DC viene conside3. E. Scalfari “L’ultima intervista di Moro”, «La Repubblica», 14 ottobre 1978 4. G. Bocca “Contro lo Stato, contro la Ragione”, «La Repubblica», 14 marzo 1998

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Contesto politico L‟onorevole Aldo Moro viene rapito mentre si sta recando in Parlamento, dove è prevista la votazione per la fiducia al nuovo governo di Giulio Andreotti, risultato dell‟intesa politica tra la DC e il PCI. Un‟intesa resa necessaria dalla difficile situazione politica ed economica che vede il dilagare del terrorismo accanto alle grandi trasformazioni sociali, proprie dell‟Italia degli anni Settanta, quali il diffondersi della coscienza femminista e il perfezionamento del Welfare. In questo periodo la scena politica è dominata da tre grandi partiti di massa: la DC, alla quale fa riferimento soprattutto il mondo cattolico e contadino, il PCI e il PSI. Questi partiti rappresentano circa l‟80% dell‟elettorato: 40% la DC, 40% il PCI con il PSI. Negli anni Sessanta, Aldo Moro sente l‟esigenza di allargare la base democratica del sistema di governo, creando una rete di alleanze aventi come fulcro la DC. In tal modo il vertice del potere esecutivo avrebbe potuto rappresentare un numero più ampio di partiti e di elettori, armonizzando realtà molto differenti tra di loro. Nasce così il primo compromesso storico, che prevede l‟apertura della DC verso il PSI di Pietro Nenni. Tra il 1963 e il 1968, si apre un periodo di governo di centro-sinistra. Dal 1968 al 1976, si susseguono governi monocolore democristiani, presieduti da Giulio Andreotti. Nelle elezioni del 1976, il PCI prende molti voti e si presenta come il più grande partito comunista nell‟Europa Occidentale. Il dialogo tra i due leader politici, Enrico Berlinguer, segretario del PCI, e Aldo Moro, porta nel 1976 alla formazione di un governo di solidarietà nazionale, presieduto da Giulio Andreotti. La DC mantiene la guida del governo avvalendosi dell‟appoggio esterno dei comunisti e concordando con essi una linea politica comune. Nel 1978 si ritiene che la situazione del Paese richieda un coinvolgimento più diretto dei partiti dell‟astensione, soprattutto del PCI, e un loro ingresso nella maggioranza. L‟Italia, però, nell‟assetto bipolare imposto dalla guerra fredda, facendo parte della NATO, non deve permettere l‟entrata al governo del PCI, sul quale vige la conventio ad excludendum. Lo stesso presidente americano Jimmy Carter esprime la propria disapprovazione sull‟eventuale ingresso nel governo del partito comunista. Il 16 gennaio 1978 Andreotti si dimette. Come all‟inizio degli anni Sessanta, anche in questo caso, Aldo Moro è l‟uomo decisivo. Con il suo carisma riesce, infatti, a convincere la DC ad aprirsi all‟accordo. In un colloquio avvenuto con Eugenio Scalfari, ventotto giorni prima del rapimento, Moro espone le perplessità del suo partito, a dar vita al compromesso storico. Ciò che la DC si chiede è: se il PCI sia diventato un partito costituzionale, se effettivamente esistano dei punti di incontro tra il PCI e la DC, e infine se da tale incontro la DC non esca snaturata, perdendo il suo ruolo di pilastro della democrazia. Moro risponde sostenendo che la DC governa l‟Italia, in

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3.1 L‟apice ed il declino

rata dai brigatisti «la forza centrale e strategica della gestione imperialista dello Stato[…] Da tempo le avanguardie comuniste hanno individuato nella DC il nemico più feroce del proletariato, la congrega più bieca di ogni manovra reazionaria. Questo oggi non basta. Bisogna stanare dai covi democristiani, variamente mascherati, gli agenti controrivoluzionari che nella "nuova " DC rappresentano il fulcro della ristrutturazione dello SIM, braccarli ovunque, non concedere loro tregua.[…] Sia chiaro quindi che con la cattura di ALDO MORO, ed il processo al quale verrà sottoposto dal Tribunale del Popolo, non intendiamo “chiudere la partita”, né tantomeno sbandierare un “simbolo”, ma sviluppare una parola d‟ordine su cui tutto il Movimento di Resistenza Proletario Offensivo si sta già misurando, renderlo più forte, più maturo, più incisivo e organizzato.».5 Trattare con le BR è impossibile Il sequestro dell‟onorevole Aldo Moro e le drammatiche lettere che scrive durante la sua reclusione nella prigione del popolo, aprono il dibattito sulla possibilità di trattare con le BR. L‟idea prevalente nella classe politica è quella di non intervenire. L‟ipotesi di deviare il corso della legge, interrompendo il processo alle BR di Torino o liberando terroristi arrestati, non può essere presa in considerazione, anche se si tratta di salvare un uomo della levatura di Aldo Moro. La stampa, attraverso le prime pagine di tutti i giornali, contribuisce a definire la linea netta della non trattativa: “Il Paese rifiuta il ricatto delle BR” 7, “Non si tratta con le BR”. La decisione di non cedere alle richieste dei brigatisti nasce dalla consapevolezza dell‟impotenza dello Stato e dalla sua posizione di debolezza. In questa ottica trattare significa compromettere maggiormente la democrazia e le istituzioni del Paese, che vengono difese in maniera feticista. L‟intera vicenda è dominata dallo scontro tra il partito della fermezza e il partito della trattativa. Il primo ha come protagonisti gli esponenti della DC e del governo, tra cui Cossiga e Andreotti. Anche molti amici intimi di Aldo Moro condividono la linea della fermezza e perfino il PCI di Berlinguer. Dalla parte della trattativa si schiera solo il PSI di Bettino Craxi e pochi altri. Tra queste due posizioni estreme non vi è alcuna alternativa, e in seguito anche il PSI si rivelerà contrario a cedere al ricatto. L‟intera classe politica non è mai stata così unita nella decisione di non intervenire. Aldo Moro durante i cinquantacinque giorni di prigionia, continua a far politica, con una drammatica insistenza. Molte sono le lettere che scrive ai politici, tra cui Francesco Cossiga, Benigno Zaccagnini, Giulio Andreotti e Bettino Craxi. Aldo Moro sostiene che nella sua condizione di prigioniero politico, è chiamata in causa l‟intera DC, dunque, è necessario che lo Stato intervenga: « E non si dica che lo Stato perde la faccia, perché non ha saputo o potuto impedire il rapimento di un‟alta personalità che significa qualcosa nella

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vita dello Stato. Ritornando un momento indietro sul comportamento degli Stati, ricorderò gli scambi tra Breznev e Pinochet, i molteplici scambi di spie, l‟espulsione dei dissidenti dal territorio sovietico.»8 Molto duro e drammatico è l‟appello a Begnino Zaccagnini che dovrebbe essere moralmente al suo posto, in quanto ha tanto insistito affinchè lui assumesse la carica di Presidente: «Pensaci soprattutto tu Zaccagnini, massimo responsabile. Ricorda in questo momento dev‟essere un motivo pungente di riflessione per te – la tua straordinaria insistenza per avermi Presidente del Consiglio Nazionale, per avermi partecipe e corresponsabile nella fase nuova che si apriva e che si profilava difficilissima. Ricordi la mia fortissima resistenza soprattutto per le ragioni di famiglia a tutti note. Poi mi piegai come sempre alla volontà del Partito. Ed eccomi qui sul punto di morire per aver detto di sì alla DC.[…] Ma sai pure che, se mi togli alla famiglia, l‟hai voluto due volte. Questo peso non te lo scrollerai più di dosso.»9 Si riferisce poi al Partito Comunista, il quale «pur nell‟opportunità di affermare esigenze di fermezza, non può dimenticare che il mio drammatico prelevamento è avvenuto mentre si andava alla Camera per la consacrazione del Governo che mi ero tanto adoperato a costruire.»10 Ma alle parole di Aldo Moro viene attribuita un‟importanza relativa, in quanto si ritiene che l‟onorevole scrivesse sotto dettatura dei brigatisti. I suoi scritti, infatti, sono considerati moralmente ascrivibili alla sua persona. Accanto alle lettere di matrice politica se ne affiancano altre indirizzate alla moglie, Eleonora, e ai membri della famiglia. Il pontefice Paolo VI interviene nella vicenda anche se relativamente. Molto importante è la lettera che scrive rivolgendosi alle BR, pubblicata su tutti i giornali. Ma la frase “senza condizioni”, utilizzata dal Pontefice, non può permettere che avvenga un accordo. Le indagini non procedono: non c‟è coordinazione tra le forze di polizia, coloro che conoscono la complessa struttura delle BR non parlano e risulta così impossibile capirne i meccanismi. Le BR non cedono e continuano a chiedere la liberazione di tredici brigatisti, tra cui Piancone e Curcio. Il 18 aprile attraverso il comunicato numero sette, viene data la falsa notizia dell‟uccisione di Moro, e della presenza del suo corpo sui fondali del lago della Duchessa. Le BR chiedono un intervento immediato di Zaccagnini. Ma ormai i brigatisti sono consapevoli dell‟impossibilità di trattare con lo Stato e scrivono 5. Comunicato n°1 delle BR, fonte: www.fondazioneitaliani.it 6. Prima pagina «Corriere della Sera», 31 marzo 1978 7. Prima pagina «La Repubblica», 31 marzo 1978 8. Lettera a Francesco Cossiga, recapitata il 29 marzo, fonte: www.archivio900.it 9. Lettera a Begnino Zaccagnini, recapitata il 20 aprile, fonte: www.archivio900.it 10. Lettera a Begnino Zaccagnini, recapitata il 4 aprile, fonte: www.archivio900.it


3.1 L‟apice ed il declino

La mattina del 9 maggio Aldo Moro viene portato nel garage di via Montalcini, bendato e con i vestiti che aveva il giorno del rapimento. Gli viene ordinato di sdraiarsi nel bagagliaio di una Renault R4 e lì Mario Moretti “esegue la sentenza” uccidendolo con undici colpi. Più tardi nella mattinata arriva la telefonata di Valerio Morucci che comunica l‟uccisione dell‟onorevole e il luogo dove i famigliari avrebbero ritrovato il corpo: via Caetani, vicino alla sede della DC e del PCI. Conclusione La principale responsabile della morte dell‟onorevole Aldo Moro è la classe politica, con il suo ostinato rifiuto alla trattativa. Naturalmente deve essere sottolineata la responsabilità morale e politica delle BR. Da questa terribile vicenda nessuna delle due parti esce vincitrice: le BR non hanno ottenuto la mobilitazione della classe politica e dunque non hanno il riconoscimento di legittimità di una forza antagonista. A sua volta lo Stato non ha vinto, anche se la

2 L. Boggiani La seduta spiritica per trovare Moro

Nella psicosi collettiva per il rapimento di Moro ad un giovane Romano Prodi viene un’idea geniale: e se facessimo una seduta spiritica? Farsa o follia?

Nei primi giorni dell‟aprile 1978 a Zappolino, in provincia di Bologna, a casa del professore Alberto Clò si è tenuta una seduta spiritica, a cui partecipò

linea della fermezza ha messo in risalto che il monopolio della violenza è proprio solo dello Stato. Le BR perdono progressivamente consenso, soprattutto dopo l‟uccisione dell‟operaio Giudo Rossa a Genova, nel gennaio 1979. In tutto il Paese aleggia lo slogan “né con le BR, né con lo Stato”, e quando vengono divulgate le telefonate dei brigatisti, coloro che riconoscono la voce di Valerio Morucci, non vanno alla magistratura. La politica italiana non conosce una riscossa morale, ma si limita a stendere un velo pietoso su quella vicenda, che ancora oggi risulta per molti aspetti oscura. A trentanni dal caso Moro non si è arrivati a una soluzione definitiva: si parla di servizi segreti, di responsabilità politiche, dell‟organizzazione delle BR. La vicenda è circondata da un alone di mistero. Giorgio Bocca a questo proposito scrive: « Il vero mistero del caso Moro come delle Brigate rosse sta nel fatto che sia il sequestro che la sovversione non hanno una spiegazione razionale. I brigatisti se ne resero conto, capirono che il loro progetto era insensato solo dopo l' assassinio di Moro e da lì partì la loro dissoluzione.» 12 La mancanza di razionalità all‟interno delle BR è evidente fin dall‟inizio, lo stesso sequestro è riuscito per pura fortuna: le armi si inceppano, la scorta è impreparata e per caso in via Fani non arrivano auto in senso contrario, che avrebbero fatto fallire l‟agguato. « Aldo Moro fu rapito e ucciso perché i brigatisti non sapevano chi era né lui, né la Democrazia cristiana, non avevano la più pallida idea del potere politico in Italia e alla fine non conoscevano altro modo che la condanna a morte per liberarsi di quella che la Braghetti definisce o ricorda come "una storia pazzesca", un labirinto in cui erano entrati per automatismi organizzativi più che per una vera decisione politica.» 13 13. Comunicato n°9 delle BR, fonte: www.fondazioneitaliani.it 14.Giorgio Bocca “Delitto Moro nessun mistero” «La Repubblica», 11 maggio 1998 15. Giorgio Bocca “Le cose più grandi di loro” «La Repubblica», 6 marzo 1998

anche un giovane Romano Prodi. E‟ stato raccontato dallo stesso Romano Prodi che durante questa seduta spiritica, alla quale assistettero anche altri docenti e alcuni bambini, sono stati evocati gli spiriti di don Sturzo e di La Pira. Lo spirito di La Pira ha fatto muovere un piattino di ferro che era sul tavolo e, con questo piattino, ha indicato le lettere, stampate su pezzi di carta igienica, che formano la parola Gradoli. Romano Prodi allora intuisce che possa trattarsi del luogo

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Ritrovamento del corpo

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l‟ultimo comunicato: « Compagni, la battaglia iniziata il 16 marzo con la cattura di Aldo Moro è giunta alla sua conclusione. Dopo l'interrogatorio ed il Processo Popolare al quale è stato sottoposto, il Presidente della Democrazia Cristiana è stato condannato a morte. A quanti tra i suoi compari della DC, del governo e dei suoi complici che lo sostengono, chiedevano il rilascio, abbiamo fornito una possibilità, l'unica praticabile, ma nello stesso tempo concreta e reale: per la libertà di Aldo Moro, uno dei massimi responsabili di questi trent'anni di lurido regime democristiano, la libertà per tredici Combattenti Comunisti imprigionati nei lager dello Stato imperialista […]A parole non abbiamo più niente da dire alla DC, al suo governo e ai complici che lo sostengono. L‟unico linguaggio che i servi dell‟imperialismo hanno dimostrato di conoscere è quello delle armi, ed è con questo che il proletariato sta imparando a parlare.»11

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3.1 L‟apice ed il declino

dove è tenuto rinchiuso Aldo Moro. Recatosi alla sede della Democrazia Cristiana in serata, iniziano le indagini. Un‟altra delle indicazioni fornite dagli spiriti dei due defunti è stata “sulla via per Viterbo”. Si iniziano le ricerche nel paese di Gradoli, in provincia di Viterbo. A Gradoli c‟è un lago, nei pressi del quale viene trovato un biglietto delle Brigate Rosse che comunica che il corpo di Moro si trova sul fondo del lago, al momento ghiacciato. Squadre di uomini iniziano a rompere il ghiaccio per raggiungere il fondo, ma niente viene trovato. In seguito, grazie al rubinetto della doccia che perdeva nell‟appartamento sottostante, è stato scoperto il covo dei brigatisti che avevano architettato il sequestro Moro, in via Gradoli. E‟ strano che le forze dell‟ordine non abbiamo subito cercato se una via di Roma si chiamasse Gradoli, e anche dopo il suggerimento della signora Moro non si è fatto niente, sostenendo che sullo stradario di Roma non ci fosse nessuna via con quel nome. Inoltre via Gradoli è una traversa della via Cassia, la strada che porta da Roma a Viterbo. Romano Prodi nei seguenti interrogatori ha

3 S. Lumes Donne di piombo: il lato rosa del sangue.

Tra i processi culturali che si sviluppano durante gli anni di piombo c’è anche l’ascesa del femminismo. ma qual è il rapporto tra emancipazione femminile e terrorismo?

Tutti danno per scontato che la storia sia fatta solo da uomini; d‟altronde nei testi, specialmente quelli scolastici, non si parla altro che di sovrani, eroi e nobili “gentleman” a parte qualche regina. Così, come Manzoni che cercò di riabilitar coloro che non fecer messe dei Palme ed Allori1, vorrei nel resto che segue far emergere le figure femminili che hanno tinto di rosa il sangue e le stragi. Il periodo degli anni di piombo è cruciale per dimostrare quanto le donne siano state sia oggetto sia soggetto della tensione e del terrorismo. Raccontare le vicende di alcune protagoniste importanti di questo pezzo di storia d‟Italia può aiutare a comprendere meglio i vari ruoli che le donne hanno assunto nella storia recente. 1) “La compagna Mara” Margherita “Mara” Cagol, l‟emblema della donna emancipata e politicamente attiva, è stata una

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sempre sostenuto la versione della seduta spiritica, anche se ci sono molte ipotesi alternative e anche più ragionevoli, come l‟ipotetica “soffiata” giuntagli da Autonomia Operaia di Bologna. Anche sulla scoperta del covo di via Gradoli ci sono molti dubbi. Infatti la polizia, pattugliando precedentemente la via, aveva bussato alla porta del covo, ma, non avendo ottenuto risposta, se ne era andata. In seguito i poliziotti si erano giustificati dicendo che non potevano sfondare tutte le porte della via. E anche la perdita d‟acqua sembra organizzata ad arte, come un avviso ai brigatisti, che in quel momento non erano in casa, che il loro covo non era più così sicuro. Questo è solo uno dei tanti “misteri” presenti nella storia italiana di quegli anni, molti dei quali sono tutt‟ora sotto segreto di Stato. Evidentemente, quindi, i fatti successi allora hanno ancora una grande influenza sulle vicende politiche di questi giorni, forse molto di più di quello che si può pensare. La verità è sconvolgente a tal punto da essere nascosta anche con evidenti menzogne della classe politica al popolo italiano?

dei fondatori del nucleo storico brigatista. Mara nasce in una famiglia borghese che la cresce con un‟educazione cattolica e le offre la possibilità di iscriversi alla facoltà di scienze sociali a Trento. All‟università entra a far parte del movimento studentesco dove conosce Renato Curcio, suo futuro marito, con il quale collabora alla rivista “lavoro politico” di stampo marxista-leninista. Nel 1969 si laurea con 110 e lode scrivendo una tesi sulla qualificazione della forza lavoro nelle fasi dello sviluppo capitalistico e prendendo come punto di riferimento i “grundisse” di Karl Marx. Dopo essersi laureata, Mara sposa Curcio, si trasferisce con lui a Milano dove l‟ 8 settembre 1969 insieme fondano il collettivo politico metropolitano (CMP) e dove conoscono i giovani con cui, l‟anno seguente, avrebbero fondato le BR. La Cagol, come anche suo marito conferma in alcuni scritti2, sembrava persino più motivata dei suoi compagni di sesso maschile. Poco tempo dopo i due sono costretti a vivere in clandestini1. A. Manzoni, I promessi sposi, Bompiani, 1999. 2. Progetto Memoria (a cura di), Sguardi ritrovati, Sensibili alle foglie, 1995, p. 82


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a fuoco dove Mara muore colpita da innumerevoli proiettili. Si spegne così una donna di cui, nonostante i giudizi positivi o negativi, è doveroso riconoscere la grandezza di carattere, la passione ed il fervore con i quali ha sempre portato avanti i suoi ideali. Suo marito l‟ha ricordata con queste parole4: « Ai compagni dell'organizzazione, alle forze sinceramente rivoluzionarie, a tutti i proletari. È caduta combattendo Margherita Cagol, “Mara”, dirigente comunista e membro del Comitato esecutivo delle Brigate Rosse. La sua vita e la sua morte sono un esempio che nessun combattente per la libertà potrà dimenticare. Fondatrice della nostra organizzazione, “Mara” ha dato un inestimabile contributo di intelligenza, di abnegazione, di umanità, alla nascita dell'autonomia operaia e della lotta armata per il comunismo. Comandante politico-militare di colonna, “Mara” ha saputo guidare vittoriosamente alcune fra le più importanti operazioni dell'organizzazione. Valga per tutte la liberazione di un nostro compagno dal carcere di Casale Monferrato. Non possiamo permetterci di versare lacrime sui nostri caduti, ma dobbiamo impararne la lezione di lealtà, coerenza, coraggio ed eroismo! È la guerra che decide in ultima analisi della questione del potere: la guerra di classe rivoluzionaria. E questa guerra ha un prezzo: un prezzo alto certamente, ma non così alto da farci preferire la schiavitù del lavoro salariato, la dittatura della borghesia nelle sue varianti fasciste o socialdemocratiche. Non è il voto che decide la conquista del potere; non è con una scheda che si conquista la libertà. Che tutti i sinceri rivoluzionari onorino la memoria di “Mara” meditando l'insegnamento politico che ha saputo dare con la sua scelta, con il suo lavoro, con la sua vita. Che mille braccia si protendano per raccogliere il suo fucile! Noi, come ultimo saluto, le diciamo: “Mara”, un fiore è sbocciato, e questo fiore di libertà le Brigate Rosse continueranno a coltivarlo fino alla vittoria! Lotta armata per il comunismo.». 2) Francesca Mambro: “la primula nera”. Francesca Mambro nasce il 25 aprile del 1959, primogenita di quattro figli, da madre casalinga e padre maresciallo della Pubblica Sicurezza che morirà nel 1979. La giovane è sempre stata simpatizzante di destra e all‟età di quattordici anni si iscrive alla sezione del fronte di gioventù di 3. Progetto Memoria (a cura di), Sguardi ritrovati, Sensibili alle foglie, 1995, pp. 71-72 4. Progetto Memoria (op. cit.)

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tà a causa di indagini riguardo l‟occupazione di case a Quarto Oggiaro: da qui si perdono le tracce della “compagna Mara”. Questa coraggiosa pur controversa donna diventa una “capocolonna” delle BR e partecipa a tutte le azioni più importanti; per infiltrare le brigate anche alla fiat si trasferisce a Torino insieme a Curcio. Nel 1974 Mara Cagol è protagonista del rapimento del giudice Mario Sossi che si concluderà con la liberazione dell‟ostaggio; mentre l‟8 settembre dello stesso anno vengono arrestati Renato Curcio e un suo compagno. Da questo momento la forza e la determinazione della donna crescono con un ritmo esponenziale, tanto che scrive una lettera ai genitori dove spiega le proprie responsabilità e dice3 :« [...] Ora tocca a me e ai tanti compagni che vogliono combattere questo potere borghese ormai marcio continuare la lotta. [...] È giusto e sacrosanto quello che sto facendo, la storia mi dà ragione come l'ha data alla Resistenza nel '45. Ma voi direte, sono questi i mezzi da usare? Credetemi non ce ne sono altri. Questo stato di polizia si regge sulla forza delle armi e chi lo vuol combattere si deve mettere sullo stesso piano. In questi giorni hanno ucciso con un colpo di pistola un ragazzo, come se niente fosse, aveva il torto di aver voluto una casa dove abitare con la sua famiglia. Questo è successo a Roma, dove i quartieri dei baraccati costruiti coi cartoni e vecchie latte arrugginite stridono in contrasto alle sfarzose residenze dell'Eur. Non parliamo poi della disoccupazione e delle condizioni di vita delle masse operaie nelle grandi fabbriche della città. È questo il risultato della "ricostruzione", di tanti anni di lavoro dal '45 ad oggi? Sì è questo: sperpero, parassitismo, lusso sprecato da una parte e incertezze, sfruttamento e miseria dall'altra. [...] Oggi, in questa fase di crisi acuta occorre più che mai resistere affinché il fascismo sotto nuove forme "democratiche" non abbia nuovamente il sopravvento. Le mie scelte rivoluzionarie dunque, nonostante l'arresto di Renato, rimangono immutate. [...] Margherita [...].». Il 18 febbraio 1975 Mara Cagol fa irruzione nel carcere minacciando una strage per far evadere il marito. Pochi mesi dopo prende parte al rapimento dell‟industriale Vittorio Vallarono Gancia. Diventa una delle guardie del famoso produttore di spumanti fin quando una mattina una pattuglia di carabinieri arriva alla cascina dove è nascosto l‟ostaggio; i due terroristi riescono a cogliere le forse dell‟ordine alla sprovvista con una bomba a mano che colpisce un tenente e scappano verso l‟auto, ma lì scoppia un conflitto

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3.1 L‟apice ed il declino

via Sommacampagna. Nel 1978 si trova in uno scontro di piazza accanto al giovane Stefano Recchioni che viene ucciso colpito dai proiettili dei carabinieri, da quel momento la vita di Francesca cambia radicalmente; lei stessa ha dichiarato alla corte del secondo processo di appello per Bologna: "Da quel giorno ho giurato che non mi avrebbero più trovata disarmata". Conosce Valerio Fioravanti ed entra nel progetto politico dei NAR. Nel 1979 piazza una bomba con altre donne fuori da un circolo femminista culturale a Roma. Nel 1980 prende parte all‟attentato fatto davanti al liceo Giulio Cesare nel quale viene assalita una pattuglia di vigilanza e rimane ucciso un appuntato di polizia e alla strage di Bologna dove muoiono ottantacinque persone, inoltre sempre in quell‟anno uccise Francesco Mangiameli, dirigente del movimento di estrema destra terza posizione in Sicilia e testimone scomodo riguardo la strage di Bologna. Nel 1981 viene scoperta dai carabinieri mentre tenta di recuperare le armi gettate nel canale scaricatore di Padova, da lì segue uno scontro a fuoco in cui muoiono 2 agenti. Lo stesso anno partecipa all‟agguato al capo della Digos e ad un agente, uccidendoli. Nel complesso è stata responsabile della morte di 95 persone e condannata a 6 ergastoli e a 84 anni e 8 mesi, ma in effetti poi sconta ventisei anni di carcere. In un‟intervista Francesca aveva parlato dei suoi rapporti con le brigatiste e aveva dichiarato di averle sempre odiate, però dopo l‟esperienza del carcere, anche se le vedeva come nemiche, ha scoperto quanto fossero simili a lei; inoltre loro non avevano mai creduto alle accuse contro di lei riguardo la strage di Bologna ma pensavano fosse solo un processo politico. Questo rapporto che si è instaurato tra donne di fazioni opposte a mio parere è molto importante perché fa notare il rapporto lontananza-vicinanza di ideali e caratteri, come la somma di due sacralità contrapposte e identiche. Sempre dalla stessa intervista si può notare un aspetto molto coerente di questo personaggio “particolare”, la Mambro, infatti, a causa delle polemiche per aver scontato una pena troppo breve, dichiara di aver accettato i suoi ventisei anni di carcere e che, oltre alla pena giudiziaria, deve comunque scontrarsi con la propria coscienza e riflettere sui propri errori. 3) “ L’anarchica della baracca” Annelise Borth, giovane tedesca anarchica, spo-

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sa il calabrese Gianni Alicò anch‟esso anarchico. I due, insieme ad altri tre amici, sono conosciuti come gli “anarchici della Baracca”, per il loro luogo di ritrovo. Annelise prende parte ad un‟ opera di documentazione riguardo alle giornate di Reggio dimostrando l‟infiltrazione dei neofascisti facenti parte ordine nuovo e avanguardia nazionale, e riguardo alla strage di Gioia Tauro ritenendo che ,sempre i neofascisti in collaborazione con la „ndrangheta, avessero appostato una carica esplosiva sui binari. Raccolte prove e documenti sufficienti, il 26 settembre 1970, la giovane anarchica insieme ai suoi quattro compagni parte immediatamente per Roma senza poter prevedere che di lì a poco sarebbe capitato il peggio. A 60 km da Roma un camion si schianta contro l‟auto dei ragazzi uccidendone tre sul colpo. Annalise viene ricoverata in gravi condizioni all‟ospedale San Giovanni di Roma. I quotidiani raccontano della sua vita e della sua persona in modo poco rispettoso “iperbolizzando” ogni evento; la stampa scriveva: “La giovane (che era incinta di due mesi)…aveva avuto il suo quarto d‟ora di notorietà in occasione della strage di Milano. Subito dopo gli attentati, infatti, era stata fermata ed interrogata dall‟ufficio politico della questura in quanto proprio in quel periodo era stata legata sentimentalmente a Pietro Valpreda. (…)Venne rilasciata ed espulsa dall’Italia perché non in regola con il permesso di soggiorno. Al provvedimento, Annalise Borth si sottrasse con uno stratagemma molto in voga tra le straniere provvisoriamente in Italia: (…) si sposò con un giovane anarchico di Reggio Calabria, Giovanni Aricò, acquisendo automaticamente la cittadinanza italiana.”, ma anche il corriere della sera non aveva risparmiato la povera giovane, della quale scriveva: “Appena diciottenne, Annelise Borth ha avuto una movimentata esistenza. Si vantava di essersi trovata sulle barricate a fianco di Rudi Dutschke, detto Rudy il rosso, lo studente tedesco capo della contestazione giovanile. Poi era giunta in Italia, nell‟estate del 1969, per continuare la sua vita di anarchica randagia. Si era fermata a Roma, vivendo nella zona di Trastevere, dove tutti avevano imparato a conoscerla. Passava da una soffitta all‟altra e per vivere vendeva nei ristoranti i suoi quadri.” Durante le indagini si è subito ipotizzato ad un omicidio soprattutto per il fatto che i documenti raccolti dai ragazzi erano spariti e inoltre si pensava che i ragazzi fossero seguiti dalla polizia anche perché tempo addietro erano stati indagati per la strage di piazza fontana e per varie indagini


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Studentessa di 19 anni, simpatizzante radicale e femminista, Giorgiana Masi il 12 maggio 1977 scende in piazza Navona per il terzo anniversario del referendum sul divorzio, quel giorno c‟erano anche membri appartenenti al movimento autonomo che manifestavano contro le limitazioni dell‟espressione politica inoltre erano presenti anche agenti in borghese e forze dell‟ordine. Tra le 19 e le 20 un proiettile proveniente da ponte Garibaldi colpisce alla schiena Giorgiana che muore durante il tragitto per l‟ospedale. L‟inchiesta della sua morte viene chiusa nel 1981 a causa delle prove insufficienti per poter proseguire il caso. Non bisogna dimenticarsi di tutte le donne innocenti vittime delle stragi le quali hanno avuto un‟ unica colpa: essere nel posto sbagliato al momento sbagliato. Con queste quattro storie ho voluto evidenziare diversi tipi di personalità che riassumessero il ruolo che hanno avuto tutte le donne, dalla più spietata stragista alla vittima più innocente, dalla brigatista determinata all‟anarchica morta in un losco frangente; il lato importante di queste vicende è come fossero quasi più determinanti le donne nel loro ruolo rispetto agli uomini e il carattere e la coerenza dimostrati nella loro vita portando avanti i propri ideali, giusti o sbagliati che fossero. Da queste quattro vicende si delineano principalmente due tipologie di donne: una

4 G. Sottilotta Il Piemonte unito contro il terrorismo

Il terrorismo non è stato solo un fenomeno globale italiano, ma ha avuto diverse sfaccettature in ogni zona del Paese. In questo testo si cerca di analizzarne il ruolo nel Piemonte. Negli anni in cui il terrorismo stragista dilaga in tutta Italia, il Piemonte diventa una delle principali aree di diffusione del terrorismo rosso. Anche quei pochi episodi attribuiti alle organizzazioni della Destra estremista, verso gli anni Settanta cominciano a diminuire. Nel 1972 , infatti, in Piemonte si verificano i primi casi di eversione di Sinistra compiuti non solo dalle Brigate Rosse, ma anche da Prima Linea, Autonomia operaia e

combattiva, protagonista, violenta e spregiata in cui non riesco a trovare solo del male ma anche la disperazione di donne che non avendo più fiducia nel “sistema” trovano, purtroppo, come unica soluzione la violenza; l‟altra è la parte innocente che manifesta il proprio dissenso non attraverso la violenza, ma con i fatti e le parole e chi, come Giorgiana, ha fatto parte di questa storia solamente per essere una vittima e di certo non meno importante delle altre. Riguardo la prima tipologia di donne si può fare un “compare and contrasting” e si trova che certamente gli ideali e il modo di agire è molto differente, ma raccontando la vita di queste due donne ho potuto capire quanto in fondo fossero uguali non solo per il fine da raggiungere ma nell‟ uso della violenza per raggiungerlo, l‟atteggiamento che hanno avuto e il ruolo che hanno svolto. Invece, confrontando le vittime con le artefici sono giunta a trarre una conclusione, che, nonostante Mara Cagol e Francesca Mambro siano state colpevoli di azioni spregevoli, proprio per questo sono anch‟esse vittime della strategia della tensione, non vittime fisiche ma vorrei definirle vittime “simboliche” poiché con la loro convinzione sul fatto che la violenza fosse una soluzione estrema ma giusta, hanno portato avanti un progetto biasimevole, quindi lo definirei un vero e proprio suicidio della coscienza perché qualora si compie un azione disumana la prima vittima di quell‟azione è l‟artefice che cade nelle grinfie dello sbaglio e dell‟opinione pubblica e ci rimane anche dopo la morte. 5. Informazioni su Annalise Borth tratte da http:// www.lsdi.it/dossier/anarchici/cap1.html

da altri movimenti. Si tratta di atti terroristici che con il passare del tempo diventano sempre più plateali: nei primi anni, infatti, i terroristi si limitano ad incendiare le macchine dei sindacalisti o dei capireparto Fiat, ma già nel 1973 la Sinistra eversiva raggiunge in Piemonte un elevato grado di organizzazione, che culmina con il sequestro di Bruno Labate. Il dipendente Fiat e segretario provinciale dei metalmeccanici viene rapito dalle BR il 12 febbraio del 1973 e rilasciato qualche ora dopo incatenato a un lampione, ferito in volto e con al collo un cartello con la scritta Brigate Rosse e la stella a cinque punte contornata da un cerchio. Questo primo rapimento è seguito da altri episodi di violenza a sfondo politico e di matrice terroristica. Le BR occupano le prime pagine dei quotidiani e

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4) Giorgiana Masi

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sui circoli anarchici. Annelise muore dopo tre settimane di coma, il suo corpo rimane in Italia, nella tomba della famiglia Aricò.5

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sconvolgono l‟opinione pubblica. Tuttavia il Piemonte reagisce all‟ondata di terrorismo arrestando l‟8 settembre del 1974 Renato Curcio e Alberto Franceschini, scoperti nella periferia di Pinerolo e accusati di aver sequestrato il dirigente Fiat Ettore Amerio e Bruno Labate a Torino, il giudice Sossi a Genova. L‟importante inchiesta viene condotta dal pm Bruno Caccia e da Giancarlo Caselli, affiancati dal nucleo specializzato di polizia giudiziaria diretto dal generale Dalla Chiesa. Nel 1975 Renato Curcio evade dal carcere di Casale Monferrato aiutato dalla moglie Margherita Cagol. In questi anni il terrorismo si intensifica e non si limita ad atti clamorosi ma compie le prime gambizzazioni, tra cui quella di Paolo Fossat avvenuta il 18 giugno 1975 davanti al cancello numero otto della Fiat. Anche Enrico Boffa, direttore del personale Singer subisce una gambizzazione, così come Luigi Solera medico della Fiat. Il terrorismo si riorganizza e il 1 settembre del 1976 le Brigate Rosse uccidono a Biella il vicequestore Francesco Cusano. I giovani di Prima Linea iniziano a compiere atti terroristici. Le tensioni si acuiscono nelle fabbriche per i rinnovi dei contratti, spingendo i terroristi a intervenire contro i “padroni”. I brigatisti, quindi, a Torino cercano soprattutto l‟appoggio della classe operaia. Il 18 gennaio Renato Curcio viene definitivamente arrestato a Milano insieme alla brigatista Nadia Mantovani, ma l‟arresto non chiarisce nessun aspetto dell‟organizzazione criminale. A Torino incomincia, così, il primo maxiprocesso ai capi storici delle BR e a una cinquantina di imputati. Si hanno molte perplessità sul luogo dello svolgimento del processo che alla fine avviene nella caserma dismessa Lamarmora. Le BR continuano la loro lotta contro lo Stato, rifiutando i difensori e minacciando i giurati. Il presidente degli avvocati Fulvio Croce assicura la difesa d‟ufficio ai brigatisti e in tal modo permette la celebrazione del processo, per questo motivo viene ucciso dalle BR il 28 aprile. Tuttavia l’udienza viene rinviata a tempo

5 A. Airoldi La dissoluzione e la società civile

Il terrorismo non è stato solo un fenomeno globale italiano, ma ha avuto diverse sfaccettature in ogni zona del Paese. In questo testo si cerca di analizzarne il ruolo nel Piemonte.

Nei confronti delle Brigate Rosse si è spesso fatto uso di una forte mitizzazione. Spesso questo gruppo terroristico è descritto come una potenza geometricamente organizzata con il piano ben preciso di rifondare un ordine mondiale distruggendo il capitalismo. Questo non è vero.

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indeterminato e il presidente Guido Barbaro si ritira: è la sconfitta dello Stato. Il terrorismo continua a seminare vittime e dopo l‟attentato al vice direttore della Stampa Carlo Casalegno avvenuto il 16 novembre del 1977, la popolazione civile esprime il suo malcontento manifestando in piazza San Carlo a Torino. Il Consiglio regionale promuove delle assemblee contro il terrorismo nelle scuole, nelle frabbriche e nei quartieri. Il 1977 termina con quattro morti, dieci feriti e più di centocinquanta aggressioni. Nel 1978 il rapimento Moro provoca la reazione della società civile, che organizza manifestazioni in tutto il Piemonte. L‟anno dopo le istituzioni sentono l‟esigenza di promuovere un questionario per sensibilizzare la popolazione e per avere informazioni con la garanzia dell‟anonimato. Il 19 marzo del 1979 vengono arrestati i brigatisti Vincenzo Acella e Raffaele Fiore, il 17 maggio il nucleo di polizia al comando del generale Dalla Chiesa ferma sette brigatisti. Il 1980 è l‟anno delle carcerazioni: i carabinieri del generale Dalla Chiesa compiono trenta arresti tra Torino, Milano e Biella. Il Piemonte negli “anni di piombo” deve, quindi, affrontare il dilagare del terrorismo, al quale le istituzioni rispondono in modo molto efficace. Il magistrato torinese Giancarlo Caselli in un‟intervista rilasciata al giornalista Ettore Boffano, ricordando il collega Bruno Caccia ucciso il 26 giugno del 1983, dice: «… Caccia, pur non partecipando in maniera diretta a quegli incontri, capì, come lo capirono Diego Novelli, Aldo Viglione, Dino Sanlorenzo e altri, che bisognava combattere le Br anche parlando alla gente. E i fatti dimostrarono che questa era la strada giusta...». Le istituzioni piemontesi riescono a contrastare il terrorismo, fornendo un modello per tutte le regioni italiane. 1. Ettore Boffano “Al tennis, spiati da Viscardi” «Repubblica», 25 giugno 2003

Brigatisti stessi hanno spesso dichiarato che la loro aspettativa era a breve termine, ogni passo era un piccolo passo verso l‟obiettivo, ma che doveva essere fatto,un esempio ne è l‟omicidio Moro che con il capitalismo mondiale ha poco a che fare. Le stesse brigate rosse avevano una visione distorta dei carabinieri e della cosiddetta polizia politica che combattevano. I brigatisti vedevano loro come commandos addestrati ai massimi livelli,quasi degli agenti dei servizi segreti nazionali incaricati dal governo di far tacere le armi rosse. Anche questa era una visione alquanto distorta.


3.1 L‟apice ed il declino

La normalità fuori norma

Il terrorismo non è stato solo un fenomeno globale italiano, ma ha avuto diverse sfaccettature in ogni zona del Paese. In questo testo si cerca di analizzarne il ruolo nel Piemonte. L‟Italia non è un Paese normale. È una frase che si sente dire. Forse è anche il titolo di qualche bel saggio, scritto da un bravo storico. A me viene in mente il sociologo Sylos Labini1. Da quello che mi dice internet, è anche un‟affermazione asserita in un documento firmato da 30 deputati della Repubblica nel 2007 2. In un periodo di populismo crescente, basta sparare questa

rotto, arresterà due dei loro leader: Renato Curcio ed Alberto Franceschini. Il primo però resterà poco in carcere; infatti 18 Febbraio 1975 viene fatto evadere dal carcere di Monferrato da un assalto di brigatisti. La battaglia contro le brigate rosse è stata portata avanti a spada tratta quindi dai governi,con commissioni e assegnazioni speciali. Da parte del popolo,della gente comune. non c‟è stato assolutamente un movimento convinto contro l‟organizzazione terroristica. Le brigate rosse non smuovevano in profondità la coscienza civile, come invece succede con il fenomeno della mafia,che,riguardando tutti,tutti noi,smuove o dovrebbe smuovere maggiormente ogni individuo. La popolazione non viveva la paura delle brigate, se non nei grandi centri urbani come Torino e Milano,dove si viveva col terrore quanto mai moderno in questi tempi di attacchi stragisti,con la paura di essere colpiti. In provincia spesso non si pensava al gruppo terroristico,spesso un problema dei potenti che erano diventati un vero e proprio bersaglio. Quindi negli anni sessanta e settanta fu molto raro vedere un vero e proprio movimento popolare,delle manifestazioni di piazza,o meglio di stomaco contro i terroristi,come possono essere fiaccolate o reazioni pubbliche. La vera reazione, si può riscontrare forse nella “teoria degli opposti estremismi”. Per la quale la società civile si è quindi impegnata contro un gruppo di terroristi in questo caso di estrema sinistra per mantenere quella democrazia, arma dei giusti che all‟interno di un “regime del proletariato” non avrebbe potuto esistere.

frase in una pizza per raccogliere consensi. Forse, nel dire che la condivido, un po‟ qualunquista divento anche io. Ma almeno, adesso, cercherò di chiedermi perché. 1. P. Sylos Labini, Un paese a civiltà limitata intervista su etica politica ed economia, Laterza, Roma, 2006. 2. Purtroppo l’articolo da cui ho tratto l’informazione non cita esplicitamente il documento ma li limita ad accennarne. Per vedere l’articolo da cui traggo l’informazione: http://r-esistenzasettimanale.blogspot.com/2007/05/litalia-non-unpaese-normale.html

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6 M. Luca

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Gli agenti erano semplici poliziotti o carabinieri che si vedevano a fronteggiare dei terroristi che comunque erano ben organizzati, con addestramenti effettuati nei cosiddetti covi o sulle montagne. Nella primavera del 1970, nel quartiere Lorenteggio di Milano e nello stabilimento della SitSiemens, vengono ritrovati i primi volantini con la sigla ed il simbolo (la stella a 5 punte) delle BR, ma vengono sottovalutati dalla polizia, che prende sotto gamba anche il primo “avvertimento” della loro nascita. Il 17 Settembre 1970 due bidoni di benzina esplodono contro il box di Giuseppe Leoni, direttore centrale del personale della Sit-SiemensCosì a Chiavari, in Liguria, si tiene il primo convegno delle BR, in cui si pensa a gesti eclatanti ma non sanguinari: sequestri lampo, attacchi incendiari, gogne pubbliche, ecc. Il 2 maggio 1972, a Milano, scatta la prima rilevante operazione di polizia contro le BR. La maggior parte dei militanti ricercati, tuttavia, riesce a sottrarsi all'arresto, ma da questo momento diverranno un‟organizzazione clandestina a tutti gli effetti. Così come era successo a Milano, anche a Torino le BR avranno successo nei grandi stabilimenti industriali cittadini: Pininfarina, Bertone, Singer, ecc. La loro “efficienza” si noterà durante la battaglia per il contratto aziendale in FIAT, quando verrà sequestrato il capo del personale, Ettore Amerio nel 1973. D‟ ora in poi le attenzioni si sposteranno “al cuore dello Stato”. Nel 1974 lo Stato, tramite il lavoro del Generale Dalla Chiesa, sferrerà un duro colpo ai brigatisti. Grazie all‟infiltrato “Frate Mitra”, Silvano Gio-

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3.1 L‟apice ed il declino

Una delle tante risposte che si danno a questa domanda riguarda l‟ingerenza del Vaticano negli affari interni dello Stato. Per quanto innegabile, non mi sento di imputare tutte le responsabilità ad una forza politica che esercita il suo diritto di esprimere delle opinioni. Allora, si deve provare a sfogliare un libro di storia e ripercorrere le tappe. Si potrebbe dire che la vita di questo paese si divide in grandi periodi quasi a compartimenti stagni. L‟unità, il Ventennio, la Prima Repubblica… Tutte fasi ben distinte tra loro, fasi di cui si può trovare una data di inizio ed una di fine concrete. Ovviamente, c‟è un rifrangersi dei periodi precedenti su quelli anteriori. Però, se devo parlare di oggi, mi sembra più logico considerare innanzitutto la storia recente. Così, ci si imbatte negli anni di piombo. Non c’è scampo, è questo il periodo più eclatante dell‟ultimo mezzo secolo. E la domanda da porsi è: in che misura i terrorismi hanno plasmato il paese? La coscienza civile ne è rimasta profondamente segnata. Credo che chiunque nato prima del ‟60 si ricordi con esattezza il posto dove sentì per la prima volta l‟annuncio del sequestro di Aldo Moro. Sono momenti come l‟11 settembre, indelebili. E, ovviamente, il peso di quegli istanti contribuisce nella formazione dell‟io politico di ciascuno. Chissà come sarebbe l‟Italia se Moro fosse vivo, se non ci fosse stato quel periodo di tensione e paura. Paura. Soprattutto paura. Mia mamma, che non aveva nulla da temere ed aveva pochi anni in quel periodo, si ricorda soprattutto la paura. E come lei, credo quasi tutti. Questa è la prerogativa del terrorismo. Fa sviluppare quell‟innaturale sensazione di timore che sfocia in una nevrosi collettiva sfibrante. L‟Italia non era un paese in cui era nuovo il concetto di paura. Gli americani, prima del 2001, non sapevano cosa volesse dire avere il serio timore di essere attaccati in profondità (si, c’erano i missili a Cuba e le minacce atomiche, ma una vera guerra interna dopo quelle civili non c‟è mai stata); gli italiani, invece, vengono da millenni di paura. Ma quella degli anni ‟70 è, a mio parere, leggermente differente. È, forse per la prima volta, una paura totale. Ossia una concreta sensazione di essere vulnerabili in ogni singolo momento della quotidianità. Quando arrivavano le bombe durante la guerra c‟erano le sirene ad avvisarti un attimo prima. Ma la gente sull‟Italicus (4 agosto 1974) non ha avuto questo lusso. Solo il tempo di esplodere. Istinto naturale del bambino che è spaventato è quello di andare dai genitori a cercare protezione. Analogamente, gli italiani hanno cercato nella madre comune, lo Stato, questo caldo abbraccio rassicurante, trovandolo solo in parte. La risposta non efficiente e non tempestiva dell‟Ordine ha creato un trauma nello sviluppo della mente politica italiana. L‟Italia è cresciuta nevrotica, Come una persona che ha subito violenze da piccola. Ci sono due disturbi di massa che, volendo, si potrebbero trovare nel comportamento dell‟Italia di oggi: apatia ed disturbo ossessivo-compulsivo.

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Da una parte, delusi dalla figura materna debole, il bimbo-Italia è ricaduto in una sorda apatia sociale. Una sorta di agorafobia politica che sfocia nel menefreghismo o, addirittura, nell‟odio incondizionato delle Istituzioni. Non è impossibile che ciò sia legato alla duplice frustrazione subita per colpa della madre -Stato: prima dalla sua incapacità nel proteggere dai pericoli, poi nell‟aver scoperto (con le inchieste, i dossier rivelati, Mani Pulite eccetera) che non solo è stata inefficiente nel difendere, ma che spesso è stata vera causa della paura. Questo porterebbe ad un incondizionato disgusto nei confronti del genitore. È questa è la parte del paese che vede nell‟anti-politica la sua massima ambizione politica. Altre frange della popolazione hanno sviluppato un DOC (disturbo ossessivo-compulsivo). L‟ossessione, in questo caso, è l‟immagine ripercorrente della morte. Fomentati da una tv sempre più cruenta nel mostrare teste schizzate in aria all‟ora di pranzo, si è creata questa mania nei confronti della morte che, puntando ad annullarne il valore, la sdrammatizza con una sovra-impressione visiva. Questa sorta di banalizzazione fortemente nichilista cerca di togliere la paura recondita della fine, abituandoci a considerare la morte come uno spappolamento di budella al tiggì. La stessa cosa accade con il sesso, ma questo ci porterebbe fuori discorso. Il contatto così ossessivo con la morte, dopo il periodo della guerra, è tornato negli anni settanta ma con connotati differenti. Il quadro sociale è quello di un Paese alle prese con la ricostruzione nel quale, come osserva Pasolini3, vige la legge del consumo. Pertanto, è anche una delle prerogative del produttore di beni tentare di far assopire ogni timore per rendere più propensi all‟acquisto. Anche così si può giustificare la sovraesposizione alle immagini macabre. E se c‟è un‟ossessione per la morte, la compulsione4, il rituale che serve a riparare il danno, potrebbe essere l‟incessante presenza di manifestazioni e cortei per la memoria, quasi inutili autodafé. Ma, andando oltre a questo misto tra psicologia e sociologia, come si comporta una Nazione Ossessiva Compulsiva? Cerca in qualche modo una stabilità che non può raggiungere, affidandosi a figure che ispirano ordine. Todorov5, citando Condorcet, espone la tesi secondo la quale un ipotetico commando di audaci ipocriti che sapesse manipolare l’informazione otterrebbe la fiducia piena di un popolo che la mancanza d‟istruzione affida indifeso ai fantasmi della paura. È questa una logica conseguenza degli anni di piombo? Forse. Di sicuro hanno segnato la Società italiana 3. P. P. Pasolini, Il folle slogan dei jeans Jesus, Da Il corriere della sera del17/05/73. Citato in Scritti corsari, Garzanti, Milano, 1990. 4. Definizione di Compulsione da http:// it.wikipedia.org/wiki/Disturbo_ossessivo-compulsivo 5. T. Todorov, Lo spirito dell’illuminismo, Garzanti, Milano, 2007.


3.1 L‟apice ed il declino

Una serie di fortunate coincidenze

Ogni tanto sembra che il mondo si basi solo su coincidenze. Puri accidenti, scherzi del Destino. Anche la storia italiana, a ben pensarci, ne è costellata.

Al termine della lettura delle pagine precedenti, a proposito di stragi, omicidi, gambizzazioni e organizzazioni criminali, non si può fare a meno di formulare una serie di giudizi su chi avesse ragione, chi torto, sulla reazione della politica, sul clima di terrore. D'altronde, è passato molto tempo dal periodo di tensione, e i dati completi su quegli anni sono tutti a nostra disposizione. Oppure no? Ancora oggi vi sono buchi significativi nelle nostre conoscenze sugli anni di piombo, ed in particolare sui termini del coinvolgimento dei servizi segreti e dell'influenza della loggia P2 sugli attentati di quel periodo, sul ruolo giocato dalla politica nel susseguirsi degli eventi. Lo spinoso argomento della strategia della tensione è stato riportato alla luce dalle recenti dichiarazioni del Presidente Emerito della Repubblica, Francesco Cossiga1. Secondo questi, infatti, al tempo degli anni di piombo (periodo in cui ha rivestito – tra le altre - la carica di Ministro degli Interni) lui

6. Nuclei Armati Rivoluzionari, gruppo terroristico di stampo neofascista nato a Roma nel ’77. 7. La storia delle carte di Moro merita di essere raccontata. Ritrovate in un primo momento nel covo brigatista di via Montenevoso a Milano dal Generale Dalla Chiesa, che riferiva direttamente al Ministro dell’Interno. Dall’ottobre ’78 partono, quindi , campagne contro esponenti democristiani, soprattutto da parte di Repubblica e di OP. Il primo esordisce con un articolo di Giorgio Bocca del 05/10/78 in cui si afferma che i documenti di Moro sono stati passati al vaglio da personalità militari. Il secondo si scaglia in un’agguerrita campagna contro Andreotti, condotta dal giornalista Mino Pecorelli, che ne critica l’ambiguità ed i rapporti con Salvo Lima. Pecorelli, poi, incontra un collaboratore stretto di Dalla Chiesa, Antonio Varisco, e l’avvocato Ambrosoli, liquidatore della banca privata di Sindona. Pecorelli viene ucciso il 20 marzo 1979; il 12 luglio tocca ad Ambrosoli; il giorno dopo a Varisco. Perciò, la storia dei documenti di Moro non si può definire lineare.

stesso avrebbe infiltrato, tra le linee degli eversivi, dei fomentatori violenti, che spingessero i più moderati ad atti di terrorismo, per potere in seguito intervenire punendoli aspramente. Questa sconcertante affermazione non sembra essere stata presa troppo sul serio dall'opinione pubblica, e senza dubbio potrebbe essere etichettata come “trascurabile” se non fosse per alcune piccole coincidenze che sembrerebbero confermare la teoria del complotto. Prima coincidenza: Gianfranco Bertoli, responsabile della strage della questura di Milano, del 1973, è stato informatore del SID e del SIFAR dal '54 al '60, e dal '66 al momento della strage. Tuttavia, e questa è già la seconda coincidenza, un incendio tra i registri delle due agenzie poco tempo dopo l'attentato ha reso impossibile accertare la loro responsabilità; inoltre l'ex direttore del SISMI Nicolò Pollari ha categoricamente escluso il coinvolgimento dei servizi segreti nella strage, e ai giudici della corte d'appello di Milano questo è bastato. Se l'ha detto lui, insomma... Gli stessi giudici hanno liquidato poi senza mezzi termini le testimonianze di due ex-ufficiali dei servizi segreti, Viezzer e Cogliandro, che confermavano la tesi secondo cui vi fosse la mano dei 1. http://rassegna.governo.it/rs_pdf/pdf/JMS/ JMSRA.pdf

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7 G. Belletti

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assai in profondità, logorandone i nervi e le certezze. Una ferita non indifferente che va considerata in un‟analisi della società contemporanea. Anche perché è un trauma non superato, e forse nemmeno concluso. Lascia l‟emorragia aperta il fatto che Giuseppe Fiore, cassiere dei NAR6, tornato in Italia dopo la prescrizione sia divenuto eurodeputato con il partito Fiamma tricolore; oppure la strana vicenda dei documenti di Moro (ritrovati solo in parte in un appartamento, nel quale furono in secondo luogo reperiti altri documenti con curiosi omissis7). Insomma, la grande piaga dei terrorismi si è conclusa per ciò che riguarda la violenza, fortunatamente io non ho mai dovuto subire il panico per un attacco dietro casa mia, però non siamo ancora riusciti a dimenticare. Forse è un meglio, perché è stato sviluppato una sorta di antidoto contro la follia omicida. Però, non perché sono finite le bombe gli anni di piombo hanno smesso di mietere vittime. Forse subconsciamente, ma restano.

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3.1 L‟apice ed il declino

servizi segreti dietro quell'attentato, come “fantasiose” e “prive di fondamento”. Il modo in cui hanno stabilito quale agente segreto dicesse la verità, ci farebbe piacere saperlo. Comunque, non ci si può certo fermare qui. La seconda coincidenza riguarda la strage dell'Italicus, ma prima di arrivarci si dovrebbe fare un piccolo preambolo. In merito all'indagine sugli attentatori, risulta che i giudici avessero ignorato la testimonianza di una donna, che avrebbe implicato Mauro Tuti (poi condannato in via definitiva per questo reato), e addirittura l'avessero ricoverata in manicomio, come mitomane2. Questa notizia non sarebbe particolarmente rilevante, ma ecco che spunta fuori la coincidenza che menzionavo sopra. Il nome del giudice incredulo, infatti, è Mario Marsili, genero di Licio Gelli, Gran Maestro della loggia P2. Inoltre, nel 2005, Libero Mancuso, PM al processo per la strage di Bologna, afferma che sia stato apposto il segreto di stato sulla fuga all'estero di un indiziato per la strage, apparentemente aiutato dai servizi segreti, ma il ministro Giovanardi si è affrettato a smentire.3 Si può proseguire: nel 2000 l'ex direttore del SISMI Mannucci Benincasa viene condannato per atti di depistaggio nelle indagini sulla strage di Bologna, dopo la sentenza del suo collega Francesco Pazienza, agli ufficiali del servizio segreto militare Musumeci e Belmonte, già condannati nel 1995: avevano simulato un altro attentato analogo per potere ricondurre entrambi ad eversivi neofascisti. Per lo stesso reato viene anche accusato Licio Gelli, che compare ovunque si guardi. Durante una perquisizione, nel 1981, gli inquirenti trovano un documento curioso nella sua valigetta: si tratta del “Field Manual”, firmato dal capo di Stato maggiore dell'esercito americano William Westmoreland, in cui si può leggere: "Possono esserci momenti in cui i governi ospiti mostrano passività o indecisione di fronte alla sovversione comunista e, secondo l‟interpretazione dei servizi segreti americani, non reagiscono con sufficiente efficacia (…) I servizi segreti dell‟esercito degli Stati Uniti devono avere i mezzi per lanciare operazioni speciali che convincano i governi ospiti e l‟opinione pubblica della realtà del pericolo insurrezionale. Allo scopo di raggiungere questo obiettivo, i servizi americani devono cercare di infiltrare

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gli insorti per mezzo di agenti in missione speciale che devono formare gruppi d‟azione speciale tra gli elementi più radicali (…) Nel caso in cui non sia possibile infiltrare con successo tali agenti al vertice dei ribelli, può essere utile strumentalizzare per i propri fini organizzazioni di estrema sinistra per raggiungere gli scopi descritti sopra. (…) Queste operazioni speciali devono rimanere rigorosamente segrete. Solamente le persone che agiscono contro l‟insurrezione rivoluzionaria conosceranno il coinvolgimento dell‟esercito americano negli affari interni di un paese alleato"4 Il fatto già sconvolgente di per sé, diventa addirittura agghiacciante se si pensa al ruolo che potrebbero avere avuto P2 e servizi segreti (italiani e non) all'interno della vicenda italiana. Avendo letto queste parole il pensiero inevitabilmente vola all'operazione “Gladio”, e alle sconcertanti dichiarazioni (tuttavia mai ufficialmente confermate) che testimoniano il coinvolgimento di suddetta operazione con alcuni attentati. Vincenzo Vinciguerra, per esempio, condannato all'ergastolo per gli omicidi di Peteano, racconta di come i servizi segreti l'abbiano aiutato a fuggire nella Spagna franchista, una volta compiuta la strage. Inoltre nel 1984, sei anni prima della rivelazione dell'esistenza di Gladio, lo stesso Vinciguerra suggerisce l'esistenza di una struttura implicata negli atti terroristici italiani. Il generale del SID Gian Adelio Maletti6, invece, nel 2001, davanti ai giudici del tribunale di Milano, dichiarò l'esistenza di una regia internazionale dietro agli attentati avvenuti in Italia, e parlò dell'ingerenza della CIA negli affari italiani: a quanto pare i servizi segreti americani finanziavano sia il SID che l'operazione Gladio, ottenendo non meglio identificati favori in cambio. Altre curiose coincidenze vengono a verificarsi nella scuola di lingue Hyperion, di Parigi: invischiata negli atti terroristici italiani5, ma anche in quelli palestinesi, irlandesi e baschi, aveva la sua sede romana in via Nicotera 26. Tale stabile, 2. Gli anni del terrorismo di Giorgio Bocca (pagg. 291-293) 3. http://archiviostorico.corriere.it/2005/agosto/05/ Sul_segreto_Stato_rito_qualunquistico_co_9_050805 020.shtml 4. Gli anni del disonore, di Mario Guarino, pg. 228 5. The Guardian, 5/12/1990 6. Repubblica, 02/12/2000, “Maletti: confermato il coinvolgimento USA”


3.1 L‟apice ed il declino

nizzazioni parastatali. In fondo, quali sono le fonti certe che supportano questa ipotetica ipotesi? Il discorso dell'allora capo del Governo italiano Giulio Andreotti, che rivela l'esistenza dell'operazione Gladio; le numerose sentenze definitive a ufficiali dei servizi segreti per depistaggio; l'accertata collaborazione di alcuni terroristi con vari servizi segreti (si veda Bertoli, citato all'inizio di questo articolo); la sentenza in primo grado per la strage della Questura di Milano del 1973; la testimonianza in detto processo di due ufficiali dei servizi segreti; le appurate reticenze nelle indagini su Moro, riguardo in particolare alla locazione del covo, molto nota alle istituzioni e di preciso ai servizi segreti, e alla “seduta spiritica” tramite la quale Romano Prodi è riuscito a scoprire la via in cui si teneva prigioniero lo statista. Ovviamente l'occhio critico prenderà queste fonti esattamente per quello che sono: inaffidabili teorie complottistiche ordite da menti altrettanto inaffidabili, e nei peggiori casi persino vaneggiamenti di folli; a questo punto il giornalista responsabile non può permettersi di parlare di questi fatti (o, per meglio dire, eventi immaginari) e addirittura deve considerare delittuoso il solo nominarli. 7. http://www.valeriolucarelli.it/Hyperion.htm Sopra, Foto di Licio Gelli con Giulio Andreotti ed esempio di tessera di iscrizione alla P2. Sotto, il simbolo di Gladio .

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Come si può intuire l'elenco delle testimonianze, delle coincidenze, delle deduzioni riguardo alla strategia della tensione è lungo, e potrebbe proseguire all'infinito: dalla ipotetica collaborazione di Gelli nel Golpe Borghese, alla dottrina Mitterrand, secondo la quale la Francia non concede l'estradizione a terroristi politici, sebbene contro le norme UE, passando per il segreto di stato sul Golpe Bianco, per i sospetti sull'Hyperion, per le numerose speculazioni sulla P2. Tuttavia non si può non aver notato il largo uso di condizionali nelle righe precedenti: difatti la strategia della tensione è una pura ipotesi mai confermata in via ufficiale. È d'altronde proprio per la mancanza di fatti a sostegno di questa ipotesi che i mezzi di comunicazione di massa non ne parlano mai: televisione e giornali nazionali, che pure lasciano molto spazio alle deprecabili gesta delle Brigate rosse, dei Nuclei Armati Rivoluzionari o del Partito Comunista combattente, ritengono opportuno non citare neppure per sbaglio l'ipotetico intervento di ipotetici servizi segreti o orga-

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per una pura combinazione, è anche sede di alcune società segretamente collegate al SISMI. Durante le indagini, il PM Pietro Calogero riesce a trovare le prove del coinvolgimento del centro linguistico nelle attività delle BR, ma una fuga di notizie causata dal Corriere della Sera, sotto il controllo della P2, rende vane le perquisizioni. Ecco, tra l'altro, che spunta di nuovo Licio Gelli.7

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A Cura di: Luca Mario, Sottilotta Giulia, Boggiani Ludovica, Belletti Giulio, Ferro Lia, Lumes Silvia, Airoldi Alberto. Studenti della classe 4째E del Liceo Scientifico A. Antonelli di Novara, coordinati dalla professoressa di filosofia e storia Giuse Ferolo.

1969

2009


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