Fedeli alla linea

Page 1

Š Ezio Abbate e Alessandro Tartari

Fedeli alla linea

di Ezio Abbate e Alessandro Tartari

1


© Ezio Abbate e Alessandro Tartari

LOGLINE Le peripezie di un ex operatore cimiteriale e due amici pensionati italiani che, in camper nell’ex URSS, trafugano la mummia di Lenin per sottrarla al potere putiniano che vorrebbe disfarsene definitivamente. SINOSSI A Cavriago, paese agricolo appena a sud della via Emilia reggiana, c’è una piazza intitolata a Lenin. Stentoreo al centro della piazza, un busto bronzeo riproduce le fattezze di Vladimir Ilich. Il piccolo monumento fa ormai parte dell’identità storica del paese e se la portata simbolica della sua presenza si è negli anni un po’ appannata, in molti vi sono tutt’ora affezionati. Mario Burani, ex operatore cimiteriale in pensione, si è autoeletto manutentore del busto, nonché custode dei valori della rivoluzione d’ottobre in terra emiliana. Mario è divorziato, senza figli e vive nella casa di famiglia con la sorella. Dopo anni di letargo dei sentimenti, ha ritrovato l’amore in Sofia, 35enne ex-ginnasta ucraina, bella e vitale che si occupa della tenuta atletica delle lapdancers di un piccolo night. Mario trascorre le sue giornate da pensionato in compagnia di due fidati amici, Enore Bertolini, scapolo, con un passato da impresario di spettacolo alle feste dell’Unità e millantata fama di gigolò impenitente e Sergio Iannaccone, napoletano immigrato in Emilia negli anni sessanta, proprietario di una trattoria, gestita con piglio a dir poco dittatoriale dalla moglie. Si diffonde la notizia che Putin abbia deciso di disfarsi della mummia di Lenin, custodita nel mausoleo del Cremlino. Per i tre amici e per Mario in particolare, si tratta di un affronto inaccettabile. In una notte di accese discussioni corroborate dall’alcol, si decide: tutti a Mosca con il camper di Sergio. Se non altro per rendere un ultimo omaggio al compagno Ilich. Sofia, che degli anni del socialismo reale ha una visione tutt’altro che nostalgica, chiede a Mario di rendersi meno ridicolo e più utile e di portarle a Cavriago, piuttosto, il nipote Vavilen, che vive in Ucraina, orfano dei genitori. Mario non se la sente, nascondere un ragazzino, introdurlo come clandestino in Italia, sono cose di cui non è capace. Sofia è delusa ed amareggiata. Anche Sergio oppone qualche resistenza, ma l’improvvisa dipartita di sua moglie sembra giungere come tragico segno del destino. Seppur a lutto, si parte. Enore è l’unico del trio ad essere già stato a Mosca; ha organizzato una trionfale tournèe di Orietta Berti in piena era sovietica ed in virtù di questo assume il ruolo di chaperon, coadiuvato da una vecchia agendina in cui custodisce nomi ed indirizzi vecchi di quarant’anni. L’agendina non dà i suoi frutti, la Mosca di oggi è tutt’altra città rispetto a quella degli anni brezneviani. La ricerca delle vestigia del passato comunista si trasforma in una tre giorni di deludente turismo mordi e fuggi e quel che è peggio, il mausoleo del Cremlino è inspiegabilmente chiuso al pubblico. Che abbiano già trasferito le reliquie? Solo Sergio sembra essere impermeabile alla delusione che serpeggia nel gruppo; si è infatti invaghito di Olga, cameriera

2


© Ezio Abbate e Alessandro Tartari

d’albergo, in cui sostiene di rivedere i tratti della defunta moglie. All’indomani di un mesto ritorno in patria, Enore rintraccia un vecchio conoscente, responsabile della casa museo di Lenin, nella prima campagna moscovita. Per la gioia dei nostri, l’uomo rivela che la mummia di Lenin è in buone mani: il KPRF, il ricostituito partito comunista la porterà per le campagne moscovite assediate dal cemento delle speculazioni edilizie, per riattizzare lo spirito di lotta degli ultimi, i contadini a cui il capitale sta rubando la terra ed il lavoro. I compagni emiliani sono i benvenuti. La tournèe si rivela da subito una bieca campagna elettorale. La salma di Ilich è stata temporaneamente concessa al KPRF in virtù di uno scambio di favori politici. L’indignazione è massima, la risoluzione è immediata e dettata dall’istinto: i cavriaghesi, guidati da Mario, rubano la mummia di Lenin e fuggono a bordo del camper. Per dove non sanno, basta aver sottratto Ilich alla triste sorte di feticcio acchiappavoti. Inseguiti da alcuni scagnozzi del KPRF, si intrufolano sul set di un film erotico in costume da cui ripartono caricando con loro una comparsa, un sosia di Lenin. Braccati da un’auto del partito, riescono a fuggire ma in una brusca manovra del camper il sosia di Lenin batte il capo perdendo i sensi. L’incidente si rivela propizio: il sosia viene posto nella teca al posto della mummia e riconsegnato con tante scuse agli inseguitori. Non più fuggiaschi, i nostri prendono una decisione: assecondare l’ultima volontà di Lenin in vita, quella di essere sepolto accanto al padre nella città natale. Su volontà di Enore, il camper fa tappa presso la dacia di Alla Pugacheva, gloria canora dei tempi che furono e antica fiamma dell’emiliano. La notte di passione fra i due è fatale per il cuore vecchio e malandato di Enore, che muore felice, il sorriso sulle labbra, fra le braccia dell’amante. Sergio non se la sente di proseguire nella missione, la nostalgia per Olga ed indirettamente per la moglie, è troppo forte: decide così di tornare a Mosca da lei. Mario resta solo con Lenin. Ancora per una volta, forse l’ultima, deve seppellire qualcuno. Sotto terra con Vladimir Ilich, Mario lascia un pezzo della sua vita ma il viaggio non è ancora finito, resta un ultima decisione da prendere, una decisione che però non riguarda più il passato. A Cavriago tutto sembra tornato come prima. Sergio ha riaperto la trattoria, al suo fianco c’è Olga che ha preso il posto della defunta moglie anche nel piglio con cui comanda a bacchetta il suo uomo. Mario fra una partita a bocce e l’altra è tornato ad occuparsi del monumento di Lenin. Ma nella sua vita qualcosa è cambiato: Vavilen è tornato in Italia con lui. Ad oltre settant’anni, Mario, oltre al solito busto da lucidare, ha una nuova famiglia.

3


© Ezio Abbate e Alessandro Tartari

NOTA D’INTENTI Un operatore cimiteriale in pensione si ritrova ultrasettantenne insieme ai due amici di una vita a fare il viaggio nella Russia tanto sognata e che però li accoglie inaspettatamente con tutte le contraddizioni tipiche di una qualunque metropoli occidentale. Lenin è stato sfrattato dalla Piazza Rossa, i Magazzini Gum illuminano con i marchi dell'alta moda il Mausoleo "chiuso per sempre", le Marlboro si chiamano Revolutsija + e tappezzano la città con cartelloni pubblicitari che giocano provocatoriamente con il passato sovietico, la redazione della Pravda si trova in un condominio di normalissimi uffici impiegatizi. Con sullo sfondo tutto questo, Mario deve riprendere la vanga e tornare a seppellire, prima uno dei suoi due compagni di viaggio, poi la mummia di Lenin stessa che rappresenta tutto quel mondo in cui irriducibilmente l'anziano non ha mai smesso di credere. Fedeli alla linea è l'innocenza dei tre anziani ancora abbarbicati al loro vecchio mondo nel momento in cui il mondo invece si rinnova ogni giorno. L'innocenza dei tre anziani che caricano l'ultimo colpo in canna e partono alla ricerca del sol dell'avvenire. L'innocenza della vecchiaia che difende la sua intraprendenza, la sua curiosità, la sua sessualità, in poche parole l'innocenza della vecchiaia che grida forte il suo diritto a non dichiararsi già arresa alla morte. La sceneggiatura adotta il meccanismo dell’umorismo nero e alterna momenti narrativi surreali ad altri fortemente realistici, il tutto nell’ambito di un improbabile roadmovie di ultrasettantenni alla guida di un camper per le strade dell’Ex Urss, alle prese con un passato da rievocare e difendere contro un presente irto di ostacoli e spiacevoli sorprese. Il lavoro di operatore cimiteriale del protagonista, il confronto con la morte fisica del suo compagno di viaggio e con la morte simbolica del tempo passato ma soprattutto dell'Idea ormai tramontata - impersonata dalla mummia di Lenin - dotano la storia di un impianto tematico da autentico dramma.

STATO DI AVANZAMENTO - Soggetto di 23 pagine. - Sceneggiatura prima stesura di 115 pagine.

4


© Ezio Abbate e Alessandro Tartari

PROFILO PROFESSIONALE EZIO ABBATE keeops@tin.it 338.47.55.55.0 2006: - Laurea in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Bologna. - Corsista finale del X Corso RAI di Formazione per sceneggiatori. Due progetti sviluppati: Sposati Alfredo!, editor Gino Ventriglia e Ispettore Duilio, editor A. Mazzoleni. 2007: - Comincio attività di Lettore per Rai Cinema. Ad oggi ho analizzato e valutato 180 progetti tra libri, soggetti, trattamenti e sceneggiature provenienti dal mercato italiano e da quello estero dei film markets più importanti (Berlino, American Film Market, Cannes). - Finalista al Sonar Script Festival con due soggetti: Purosangue e Allegro non troppo (premiato come vincitore dell'edizione e finanziato con una borsa di studio per sviluppo). - Finalista al concorso di sceneggiature da 15' "Donna Madre Lavoratrice" con L'uovo. 2008: - Lavoro di revisione della sceneggiatura per lungometraggio Crisalis del regista Matteo Rovere (diritti Rai Cinema e Ascent Film). - Attività di collaborazione alla sceneggiatura del film Armida di Marco Simon Puccioni. - Attività di collaborazione alla sceneggiatura del film Benvenuti al sud! di Massimo Gaudioso. ALESSANDRO TARTARI ale.tartari@gmail.it 3497152273 - Diplomato presso il Corso RAI/Script di Formazione e Perfezionamento per Sceneggiatori, organizzato da RAI Fiction e Dino Audino Editore. - Autore del soggetto per lungometraggio “Allegro non troppo” vincitore del primo premio al concorso nazionale Sonar Subject 2007. - Autore della Minibibbia, del trattamento della prima puntata e del soggetto della seconda, della Serie Tv di genere detection/processuale dal titolo “Psicologia di un delitto” in 12 puntate da 50’. (Editor RAI Paola Foffo). - Autore del Concept della Sit-com dal titolo “Totani contro Totani” (Editor RAI Gino Ventriglia).

5


© Ezio Abbate e Alessandro Tartari

- Autore della sceneggiatura del cortometraggio “Per sempre la vostra infanzia”, regia di Fausto Caviglia, prodotto da Vixen Movie. In concorso all’Arcipelago Film Festival 2006. - Autore della sceneggiatura del cortometraggio “Ghamid”, regia di Pierfrancesco Diliberto, prodotto da I.T.C. MOVIE. - Autore della sceneggiatura del cortometraggio “Anima nera”, regia di Alessandro Riccio, prodotto da Tedavì98 e Keith Rotman. 1°Premio Cortonogara 2003. - Autore della sceneggiatura del lungometraggio “Né terra né cielo” , finanziato dal Ministero dei Beni Culturali come film di interesse Culturale Nazionale, regia di Giuseppe Ferlito, prodotto da Arbash Soc. Coop. Snc. Premio Reale Mutua al Festival Europeo di Lecce 2003. Premio del pubblico al Festival du film Italien 2004 di Ajaccio. - Autore della sceneggiatura del videoclip “Questo istante”, regia di Fausto Caviglia. Nomination al P.V.I. 2004 (Premio videoclip indipendenti), vincitore del Premio Fandango al concorso Videoclipped the Radio Stars 2004, trasmesso da MTV nel corso del programma brand:new. - Autore della sceneggiatura del videoclip “Bambino”, regia di Fausto Caviglia. Nomination al P.V.I. 2006. - Autore della sceneggiatura del cortometraggio “ Men at work”, regia di Fausto Caviglia, prodotto da Road Movie ed Osella&partners. In concorso all’Odense Film Festival 2008, al Busho Budapest Film Festival 2008 e premiato con una menzione della giuria a Circuito Off Film Festival 2008. Trasmesso da MTV e QOOB Television. - Autore della sceneggiatura del cortometraggio “The script”, regia di Fausto Caviglia, prodotto da SKY per la testata Sottocinque, in onda sul canale SKY MANIA.

6


Š Ezio Abbate e Alessandro Tartari

SYNOPSIS In a small agricultural town called Cavriago, in the north of Italy, there is a square dedicated to Lenin and a bronze bust which represents Vladimir Ilich's face. This small, unassuming monument is a part of the historical identity of Cavriago and despite its diminished importance, still inspires devotion. Mario Burani is a retired gravedigger and the self-styled maintainer of the bust, as well as the local guardian of the "October Revolution". Childless and divorced, Mario lives in the family home with his sister. Having spent a long time alone, he has found a new love, Sofia, 50. An ex-ukranian gymnast, she is both beautiful and lively, and spends her days coaching the lapdancers of a small nightclub. Mario whiles away the time with his two trusted friends: Enore Bertolini, a bachelor with a past of festival manager for the traditional communist fairs and a reputation as an unabashed playboy, and Sergio Iannaccone, a Neapolitan who immigrated to Emilia Romagna in the Sixties and now owns a restaurant presided over by his iron-fisted wife. Newspapers spread the story of Putin and his decision to get rid of Lenin's mummy, currently kept in the Kremlin mausoleum. For the three friends-especially Mario- it is an unacceptable insult. After a night of heated discussion, they decide to travel to Moscow in Sergio's camper. At the very least they will able to pay tribute to comrade Ilich. Sofia, who has a less nostalgic consideration of the real socialism era, asks Mario to bring back her nephew Vavilen, an orphan currently living in Ukraine. At first Mario refuses, having Sofia disappointed and saddened. Sergio to is having second thoughts about the trip, but takes the unexpected death of his wife as a prophetic sign. Reeling with shock and grief the friends set off. Enore visited Moscow previously and so decides to act as a guide relying on a small and battered diary, filled with old names and addresses from his time spent organizing Orietta Berti's triumphal tour during the Soviet era. This diary turn out to be totally useless as contemporary Moscow is completely different to the Moscow Enore holds in such high regard. The search for traces of a communist past becomes three day's hectic sightseeing. Lenin's mausoleum is inexplicably closed to the public, have the relics been moved already? Sergio is the only one who seems not to worry about it, he only cares of Ol'ga, the chambermaid: he is strongly sure to see his dead wife's features in her face. The day before the home-going, Enore finds an old friend who is now the director of the Lenin museum. The man reveals that the mummy is in good hands: KPRF, the new communist party, will take it touring in the country around Moscow, where building speculation reigns; they hope to revive the fighting spirit of the weaks, those farm-workers who capitalistic power is taking away land and work. The man invites our three old men to join them. The tour immediately proves to be a vile political campaign. The Ilich's mummy has been temporarily devolved upon KPRF through the force of a political favours agreement. Three old men lose their temper and so immediately try to do something: leaded by Mario, they steal Lenin's mummy and

7


Š Ezio Abbate e Alessandro Tartari

run away by their van. They don't know where to go, they saved Ilich from that sad fate and that is enough. But some dangerous mugs from KPRF chase them and so they casually hide themselves in a erotic costume movie set. Here they meet a double of Lenin who appears on the movie as an extra. The KPRF car chases their camper and they run away, but during a rude manoeuvre of the van, the double of Lenin bangs his head against the glass and he faints. But the accident turns to their own advantage: they put the double of Lenin into the reliquary instead of the mummy and return it to the KPRF chasers. Finally free, now they can take the decision: to comply with the Lenin's last wish, which is to be buried close by his father in his birthplace. Enore makes a request and so they make a stop at the dacha of Alla Pugacheva, a Soviet Era glorious singer and also an old flame of him. The night of love proves fatal for the old and weak heart of Enore, who dies happy in his lover's arms, with the smile on his lips. Sergio does not feel up to continue on their way, he strongly misses Olga and indirectly her dead wife: so he decides to come back to Olga, in Moscow. Mario is now alone with Lenin. Once again, maybe the last one, it is his duty to bury somebody. When he puts Vladimir Ilich underground, Mario perfectly knows that he is also leaving a piece of his life but his great journey is not over yet: there is one decision left to take, a decision that does not concern anymore the past. Everything in Cavriago seems to be like before three old men left. Sergio reopened his tavern, Olga is with him and she took the place of his dead wife, even in her dictatorial way to give orders to her man. Mario is still the self-styled maintainer of the Lenin's bust, but in his life something has changed: he brought Vavilen with him in Italy. Over a seventy years old, Mario has a new family now besides the usual bust to polish. NOTE OF INTENTIONS A seventy retired gravedigger makes a journey with his two best friends in the beloved Moscow which unexpectedly receives them with all the contradictions of any western metropolis. Lenin has been evicted from Red Square, Gum Stores light up "closed-forever" Lenin's Mausoleum by their high fashion neon brands, Marlboro is called Revolutsija+ and it covers the city by billboards that provocatively play with the soviet past, the editorial office of Pravda is set inside of an ordinary palace full of offices. This is the background and Mario is forced to take the spade again and start digging once again: first, one of his two friends and then Lenin's mummy, which is all he always strongly believed in. Faithful to the line is the innocence of three old men who are still attached to their old world, at the time that the world change every single day. The innocence of three old men at their last chance and go finding their "future sun". The innocence of the old age which defends its initiative, its curiosity, its sexuality, in a few words, the innocence of the old age which loudly shouts its right not to give up to the death.

8


Š Ezio Abbate e Alessandro Tartari

The main character's job as gravedigger, the match against the physical death of his friend and against the symbolical death of gone times but especially the death of the Idea - which is Lenin's mummy - give the story a real drama structure. STATE OF PROJECT DEVELOPMENT -

23 pages Subject

-

115 pages first draft script

9


© Ezio Abbate e Alessandro Tartari

Fedeli alla Linea - Trattamento

A Cavriago, paesone agricolo appena a sud della via Emilia reggiana, c’era una piazza intitolata a Lenin. Al centro della piazza su di un basamento di granito, un busto bronzeo riproduceva le fattezze di Vladimir Ilich Ulianov, il padre della rivoluzione d’Ottobre. Del busto cavriaghese, giunto in Emilia come dono alla cittadinanza da parte dell’Ambasciata Sovietica di Roma, s’era fatto un gran parlare soprattutto ai tempi del crollo del muro di Berlino e del successivo disfacimento dell’Urss, quando pareva che Cavriago fosse l’ultimo avamposto in terra di un’ideologia sconfitta dalla storia. Poi con gli anni l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica era andata via via scemando. A Cavriago c’è ancora una piazza Lenin ed il busto è sempre là, fa ormai parte dell’identità storica del paese e se la portata simbolica della sua presenza si è negli anni un po’ appannata, in molti vi sono tutt’ora affezionati. Autunno inoltrato. Come ogni domenica, Mario Burani, operatore cimiteriale in pensione, è impegnato nell’opera di manutenzione volontaria del monumento a Lenin. Arrampicato sull’ultimo gradino di un traballante scaleo, passa con cura uno straccio umido sulla pelata di Vladimir, spazza con una scopa di saggina l’area antistante il monumento e si allontana fischiettando in sella alla sua Bottecchia. Mario è divorziato, senza figli. Vive nella vecchia casa di famiglia in centro paese con Irma, la sorella nubile che si occupa delle faccende di casa ed integra la pensione del fratello con qualche lavoretto di rammendo. Dopo aver partecipato appena adolescente alla Resistenza, Mario ha ereditato il lavoro del padre morto in guerra ed è diventato l’unico responsabile del cimitero di Cavriago. Da allora, non ha mai smesso di fare i conti con la morte, ereditando dal padre oltre al lavoro anche la consapevolezza che se esiste qualcosa a cui l’uomo non può fare

10


© Ezio Abbate e Alessandro Tartari

l’abitudine è proprio la morte. Ma un simile imprinting non ha affatto plasmato Mario come un uomo cupo, pessimista, anzi, semmai lo ha dotato di una tale conviviale energia che in aggiunta alla tenacia nelle battaglie politiche, lo ha reso agli occhi di tutti una delle coscienze critiche e positive del paese. Del resto a chi gli chiedeva cosa pensasse della morte, lui ha sempre risposto che in quanto marxista è un fatto che non ha mai preso in considerazione. Di sicuro alludeva alla sua di morte, perché da necroforo quella degli altri la frequentava ogni giorno. Negli oltre cinquant’anni di duro lavoro, Mario ha seppellito centinaia di concittadini, ha organizzato e partecipato ad altrettante cerimonie funebri, ha curato il decoro votivo come fossero suoi gioielli, tutto sempre con la stessa estrema serietà e dedizione per quel che per lui è sempre stato, seppur senza grandi margini di rivendicazioni sindacali e quindi senza possibilità di mettere in campo le sue idee politiche, solo un umile lavoro. Ma poi deve essergli accaduto qualcosa, perché dal primo giorno della sua pensione, Mario, nel suo cimitero, non ha più messo piede. Che sia stato l’abbandono del tetto coniugale da parte della moglie, l’essersi ritrovato improvvisamente solo e senza figli, che sia stato il cambio di gestione del cimitero affidato ad una ditta che gestisce con lo stesso affarismo privo di pietas molti cimiteri della provincia, non è facile dirlo. In realtà il suo malumore è cominciato prima, col crollo del muro di Berlino, a cui è poi seguito il suo pensionamento, l’arrivo del Capitale fin dentro il suo cimitero, la messa in soffitta del Pci, le prime aggressioni vandaliche al busto di Lenin, l’arrivo della vecchiaia. L’arrivo della vecchiaia. Mario non ha più messo piede nel cimitero perché alla morte non è possibile abituarsi, perché non è facile passare dal ruolo di seppellitore a quello di seppellito, perchè Mario è sempre stato quello che resta, non quello che muore. Del resto, il suo tirare a lucido il nero del busto di Lenin altro non è che il non arrendersi alla morte di una idea. E così si è dedicato ancor più di quanto già faceva nella lotta politica, cercando ogni occasione per mantenere alto il livello di memoria del passato, fustigando le giunte che si sono succedute negli anni, proteggendo il busto dalle intemperie prodotte dai cambiamenti sociali. Come ogni giorno, prima della partita alla bocciofila, Mario mangia un piatto di pastasciutta riscaldata mentre Irma lavora di ago e filo davanti al televisore. Col solito tono da vigilessa, la donna contesta al fratello l’eccesso di velocità con cui svuota il piatto. Sazio, Mario sgattaiola via come un bambino. Alla trattoria “I due platani” di Iannacone Sergio, Enore Bertolini siede su di una seggiola impagliata accanto all’ingresso, sfoglia la Gazzetta di Reggio tenendo gli occhiali bifocali in punta di naso. Ogni tanto alza lo sguardo sulla sala. Sergio si aggira trafelato fra i tavoli appena sparecchiati, raccoglie i tovaglioli sporchi in una cesta di plastica, mentre alla cassa la moglie Maria sta facendo il conto per gli ultimi clienti. Sergio è di origini campane ma di campano nel menù del ristorante c’è giusto la carta dei dolci. Nonostante lui risulti esserne il proprietario, la trattoria è gestita con piglio dittatoriale dalla moglie con l’aiuto dei figli. Sergio è stato relegato a compiti saltuari e secondari, che svolge sotto la perenne spada di Damocle dei rimbrotti di

11


© Ezio Abbate e Alessandro Tartari

Maria. Dalla strada risuona nel ristorante lo scampanellare della Bottecchia di Mario. Enore ripiega il giornale, sbadigliando; Sergio rivolge uno sguardo furtivo verso la cassa, la moglie sbuffa e con un gesto infastidito della mano gli dà il permesso di andare a giocare con i suoi amici. Alla bocciofila Olimpia gran partite per il consueto torneo domenicale. Mario mette un bel punto con un tiro morbido e lento. Complimentato dall’avversario di turno, l’assessore all’arredo urbano del comune, ne approfitta per rinfacciargli di non aver mantenuto la promessa di installare due panchine nei pressi del monumento a Lenin. E’ possibile che la cura di Vladimir Ilich interessi solo a lui? Abbarbicato alla balaustra a bordo campo, LIBERO MAFFEI, vecchio ex democristiano, si leva lo stuzzicadenti di bocca e lo canzona. Ancora insiste con la storia del busto? Ma non ha letto ha letto la notizia che persino a Mosca hanno deciso di sfrattare la mummia di Lenin dal Cremlino? Mario è allibito, è vera questa notizia o è una delle solite provocazioni di Maffei? Sergio conferma, pare che con l’anno nuovo il mausoleo di Lenin verrà definitivamente chiuso. Con una bocciata magistrale, l’assessore spazza il punto di Mario. Tarda sera. Nel tinello della casa di Mario e della sorella, i tre amici in discussione corroborata da amari vari. E’ Mario a tenere banco. La notizia della rimozione della salma di Lenin lo ha scandalizzato, novant’anni di storia del comunismo buttati nel cesso e proprio a Mosca per di più! Una cosa del genere a Cavriago non sarebbe mai successa, perlomeno finché ci fosse stato lui ad impedirla. Enore lo spalleggia, infiorando di aneddoti dei suoi trascorsi da impresario di spettacolo alle feste dell’Unità, quando nei primi anni settanta aveva portato Orietta Berti in un’indimenticata tournée nelle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Sergio, la bocca impastata dal nocino, quasi dorme quando Mario fa la proposta: andare a Mosca per rendere omaggio al padre della rivoluzione d’ottobre, prima che venga esibito come fenomeno da baraccone in qualche centro commerciale. Enore, sullo slancio delle proprie memorie, lo appoggia immediatamente, Sergio nicchia. Si parla del viaggio, quando? Come? Si potrebbe andare con il camper di Sergio, così almeno gli si fa prendere un po’ d’aria, che saranno dieci anni che sta chiuso in garage. Alla parola camper Sergio rinviene dal torpore. Non se ne fa niente , è impossibile, il camper è fermo da troppo tempo e comunque lui non se la sente di mettersi alla guida per un viaggio così lungo, non è più un ragazzo e poi per dirla tutta, sua moglie… insomma, non gli darà mai il permesso. Mia moglie non mi dà il permesso, era la solita frase ripetuta da Sergio a mo’ di mantra, a troncare negli anni ogni sorta di iniziativa. Stavolta Mario ed Enore non gliela danno per vinta e prendono a frequentare il ristorante, la sera tardi, dispiegando con fare provocatorio enormi cartine stradali dell’Est Europa, compulsando guide, ipotizzando tragitti. Sergio, terrorizzato che la moglie possa subodorare qualcosa, li ignora.

12


© Ezio Abbate e Alessandro Tartari

Da qualche tempo Mario ha preso a frequentare SOFIA, un’ucraina appena emigrata in cerca di lavoro. Sofia ha cinquant’anni ben portati, viene da Minsk e da lì è partita per l’Italia per assicurare al nipote VAVILEN, rimasto senza genitori, quel futuro che nel loro paese non è possibile avere. La sua scelta coraggiosa l’ha costretta a rimettersi in gioco dopo una vita di sopravvivenza di alti e bassi. Sofia è stata una discreta ginnasta, poi insegnante d’educazione fisica in una scuola e infine, dopo la disgregazione dell’Urss, disoccupata. Sofia è una donna piena di energie ed è proprio questa sua vitalità prorompente che le ha permesso il drammatico salto nel vuoto a cinquant’anni. Non si accontenta di fare quello che è il classico lavoro per una donna immigrata dall’est come lei, ha una sua storia ed è determinata ad avere ciò che le spetta. In attesa di una palestra che la ingaggi come insegnante, si accontenta di curare con i suoi esercizi la forma dei corpi di alcune sue giovani connazionali che lavorano in un night poco fuori Cavriago. Da quando si sono conosciuti, lei e Mario si sono piaciuti subito. Mario, dopo il divorzio, dopo il crollo del comunismo, dopo la pensione, si è sempre tenuto alla larga dalle donne, come se la sentenza di divorzio fosse stata il suo ennesimo sogno infranto. Anche il cuore terreno di sconfitta. Ma da quando ha conosciuto Sofia, in lui pare essersi risvegliata anche quella sua parte sentimentale che forse, senza grande coscienza, aveva prematuramente accantonato. L’attrazione per Sofia lo ha costretto così anche a fare i conti con la perduta dimestichezza con la vita sessuale. Sofia ha vent’anni meno di lui, il tempo non sembra aver neanche scalfito la sua bellezza, in più la sua carica vitale, il suo buon umore, il suo coraggio, la rendono una donna dal fascino irresistibile anche e molto al di là del fisico atletico di ex-ginnasta. La riscoperta del sesso, la voglia di continuare a vivere e perciò, in una maniera molto più recondita, la voglia di scacciare la morte, fanno provare a Mario quel che di più vicino all’amore esiste. Eppure non si può dire propriamente che Mario abbia perso la testa per lei: non è un solo istante venuto meno al suo impegno politico, non ha tradito la fedeltà all’Idea e al busto, non ha tradito l’amicizia e le bocce, nulla. Del resto il suo rapporto con Sofia non è così facile, per lui è poco comprensibile accettare che lei, nonostante venga proprio dalla terra promessa, di Urss, soviet, kolchoz e ottobre rosso non ne vuol assolutamente sentir parlare. Di Lenin, poi, figuriamoci, dappertutto sono state abbattute le sue statue, che strano paese fuori dal mondo è Cavriago? Quando Mario lascia emergere la sua fede irriducibile, lei si ritrae immediatamente e con tono deluso e duro minaccia di non rivederlo più, vuole cambiarlo forse, deve capire che quell’epoca è finita. Del resto se ne è andata dal suo paese a cinquant’anni e certo non ritrovarsi accanto ad un uomo che le parli incessantemente del suo passato. Ecco perchè Mario, di questo sentimento cadutogli all’improvviso tra capo e collo, non sa che pensare. Ora poi che si è messo in testa di andare a Mosca a render onore alla mummia di Lenin in odore di vile trasloco, Sofia non fa altro che maledirlo. Doveva innamorarsi proprio di un uomo che sogna da una vita e ora addirittura progetta di andare in Russia a rendere onore ad una mummia? Sofia, seria e sincera, gli chiede piuttosto di farle un favore: riportare in Italia il nipote Vavilen; ci vorrà troppo tempo perché lei possa dimostrare permesso di soggiorno, reddito sufficiente e,

13


© Ezio Abbate e Alessandro Tartari

non ultimo, regolare alloggio per fare richiesta di ricongiungimento famigliare. Lasci stare la mummia, sia ragionevole e generoso, che l’aiuti a dare un futuro a Vavilen. Mario non ha una sola volta infranto la legge, pur con un passato da militante e combattente, non l’ha mai violata. La Costituzione l’hanno scritta anche lui e i suoi compagni partigiani, è la carta dove è finito il sangue della Resistenza, come potrebbe mai violarla. Quindi non se ne parla, Vavilen verrà a tempo debito, lui di portarlo a Cavriago, da clandestino poi, non ci pensa proprio! Quel che per Mario è legge e storia da difendere, per Sofia è solo crudele burocrazia. Che vada pure a rendere onore alla mummia di un sifilitico, a Vavilen ci penserà lei! Sofia lo pianta nel bel mezzo di Piazza Lenin con un colpo di scena teatrale: la foto scattata con una vecchia polaroid che li ritraeva abbracciati col busto di Lenin alle spalle, quasi a benedire l’unione, giace a terra stracciata in più parti. Il vento che spazza via tutto cerca di portarsi via i profili a pezzi dei due innamorati. L’uomo si china a raccoglierli, senza sapere bene se provare sorpresa o delusione. E’ giorno di chiusura alla trattoria “I due platani”; Sergio seduto al tavolo di cucina, lucida ad una ad una le posate. Risponde monosillabicamente alla litania di rimproveri e raccomandazioni della moglie che in una stanzetta attigua sta facendo i conti. Il tono della donna è stizzito, il ritmo dei rimbrotti è estenuante, quasi previene ogni possibile risposta. In una inusitata pausa di silenzio, Sergio fa per spostare una pila di piatti: gli sfuggono di mano frantumandosi a terra. Dalla stanzetta, sembra impossibile, non giunge voce. Sergio si avvicina timidamente allo stipite, allunga appena il collo all’interno. La donna, fulminata da un ictus, è riversa sui soldi dell’incasso, ancora stringe una mazzetta di banconote in pugno. Su volontà di Sergio è Mario ad occuparsi delle esequie. Recuperata la valigetta da necroforo, da anni dimenticata in un armadio, si chiude alle spalle la porta della camera ardente e si mette al lavoro per donare al viso di Maria un’espressione di serena accettazione dell’ineluttabile. A funerali avvenuti, Sergio, imbacuccato in un giaccone imbottito, siede nella penombra sul divano del salotto di casa. Ha gli occhi gonfi e rossi di chi non ha più lacrime per piangere. Si ripassa fra le mani una fotografia incorniciata. E’ in bianco e nero e ritrae lui e Maria, stretti l’una all’altro davanti al ristorante il giorno dell’inaugurazione. Maria era in attesa del primo figlio ed un accenno di rotondità già si indovinava sotto il grembiule stretto in vita. Sergio si alza, guarda la foto per un’ultima volta e la ripone sul comò. Abbassa le tapparelle ed esce di casa. Chiude la porta con quadrupla mandata e si volta verso la strada. Mario ed Enore, la schiena appoggiata alla fiancata del camper parcheggiato appena oltre il cancello della villetta, lo stanno aspettando. Si parte per Mosca! Mentre il camper macina chilometri inghiottendo indistintamente asfalto austriaco, ungherese, slovacco, polacco, bielorusso, i tre cavriaghesi riempiono il vuoto della traversata con tutto quello di cui sono in possesso: i racconti del loro passato. Grazie all’intimità che consentono i quasi tremila chilometri di viaggio col culo piantato

14


© Ezio Abbate e Alessandro Tartari

nell’angusto abitacolo del camper, Mario Enore e Sergio si ritrovano a percorrere contromano i giorni dell’infanzia, della lotta partigiana, della distruzione dei simboli fascisti alla caduta del regime, del dopo-guerra da ricostruire, del primo stipendio, delle prime sepolture di Mario, dei primi ingaggi canori di Enore, cercando sempre tacitamente di tenersi a debita distanza dagli sfracelli degli anni novanta e dai suoi crolli. Mario dimostra tutta la sua lucidità mentale con una memoria portentosa che a parità anagrafica con gli altri due gli permette di stravincere tutti i confronti mnemonici. Enore invece qualche svarione comincia a non poterlo più evitare e la sua aneddotica da impresario artistico, da viveur dei bei tempi andati, fa acqua dappertutto. Sergio invece, al volante, si sente in imbarazzo e in difficoltà, lui che è emigrato a Cavriago solo negli anni sessanta, lui che è nato sotto il Vesuvio, si sente estraneo e in qualche modo bonariamente invidioso e persino rammaricato per non poter condividere con loro quelle stesse radici e così, per non essere da meno, ricorre alla fantasia, inventando storie di resistenza nella Napoli presa in ostaggio dai marinai americani del dopo-liberazione. Integratosi perfettamente nella comunità cavriaghese, soffre ancora del forte complesso del figlio legittimo. Tra una battuta e l’altra Enore chiede a Mario come mai si sia portato dietro la valigetta da necroforo. Siamo vecchi, potreste anche morire, risponde accompagnandosi con una non proprio spontanea risata. Intanto, all’orizzonte, oltre il parabrezza, Mosca si avvicina. Sergio è alla guida, teso e spaesato. Il camper procede a passo d’uomo nel traffico caotico di Ploshchad Oktjabrskaja, la piazza dell’Ottobre, un enorme slargo fra anonimi palazzoni. Al centro Vladimir Ilich, mano in tasca, guarda corrucciato verso ovest. La statua non indica nessuna direzione, forse perché la visuale le è impedita da un’enorme cartellone pubblicitario delle Revolutsija+, le Marlboro russe. Enore fa da guida sulla base delle sue fragili reminescenze da turista, è incerto, si confonde. Al terzo tentativo, Mario prende in mano la situazione e consultando la cartina conduce gli amici all’alberghetto dove hanno prenotato una stanza. Si tratta di una pensioncina modesta, un palazzotto di appartamenti privati riadattati alla buona, con i bagni al piano. I prezzi di Mosca si sono rivelati inaspettatamente proibitivi per le tasche dei tre cavriaghesi: una settimana in un tre stelle sarebbe venuta a costare come una mesata di pensione. Enore è il più smarrito; la Mosca che lo accoglie è una città completamente trasformata, lontana anni luce da quella di cui serbava il ricordo, quando l’aveva visitata ai tempi del suo lavoro di impresario. I marciapiedi del centro sono assediati da macchinoni dai finestrini scuriti i cui occupanti fanno frenetica spola verso boutiques di lusso rutilante. Capita che Sergio, attardatosi di fronte ad una vetrina, venga quasi gettato a terra da un’enorme guardia del corpo: intralciava il passo alle smanie di acquisto di una quindicenne impellicciata d’ermellino dalla testa ai piedi. La Piazza Rossa sterminata e spazzata da un vento gelido, è punteggiata di sparuti gruppi di turisti. Il mausoleo di Lenin è presidiato da una coppia di poliziotti annoiati. Mario vorrebbe entrare ma il mausoleo è chiuso. Sui motivi non è dato sapere, anche

15


© Ezio Abbate e Alessandro Tartari

se, magari… i poliziotti fanno capire che oliati da una mancetta in rubli potrebbero essere prodighi di informazioni. Mario li manda a quel paese, scandalizzato. Sfumato il principale obbiettivo del viaggio la settimana di turismo rosso procede con l’amaro in bocca: il monumento di Marx, inglobato dalla ristrutturazione del Bolshoj è praticamente irraggiungibile, la Pravda nessuno sa più dove si trovi, un tempo la redazione occupava un intero palazzo, ora sembra sparita, i magazzini GUM sono diventati uguali ad una qualsiasi Rinascente italiana; la metropolitana, quella sì, è magnifica: le stazioni monumentali con i vessilli ed i fregi di un passato che non c’è più. Però all’imbocco dei sottopassi che si aprono sul gelo della strade si affolla una massa di derelitti, alcolizzati rannicchiati su di un cartone fradicio, questuanti e vecchine dal fazzoletto in testa che cercano di vendere il poco che possono, due patate, un cavolfiore, una matrioska per i turisti. Enore ha portato con sé un’agendina dove sono annotati indirizzi e numeri di telefono dei compagni conosciuti ai tempi della visita al kolchoz. Ogni tanto si chiude in una cabina telefonica e prova a contattare qualcuno ma sono passati quarant’anni, chi è morto, chi ha cambiato abitazione, chi non capisce il russo traballante del cavriaghese e gli attacca il telefono in faccia. Tutto è cambiato, Enore si rassegna. Sergio invece, solo ora riemerge dalla malinconia del recente lutto e guarda a tutto con occhi stupiti e curiosi, assapora il viaggio come la prima grande avventura della sua vita, e a settant’anni, si sente felice come non gli capitava da tempo immemore. Sarà forse perché si è infatuato di Olga, donna delle pulizie al piano dell’albergo in cui ritrova un poco forzosamente i tratti ed i modi della moglie Maria. Quando la permanenza moscovita sta per giungere al termine e le teste, perlomeno quelle di Mario ed Enore, già sono volte al viaggio di ritorno, giunge all’albergo una telefonata per loro. L’agendina di Enore alla fine ha dato i suoi frutti, a rintracciarli è Nikolaij Kirov, vicepresidente di un kolchoz visitato da Enore negli anni sessanta. Ora è il responsabile di Gorki Leninskie, la casa museo di Lenin in un distretto agricolo alla periferia di Mosca. Sarà felice di averli come ospiti per l’indomani. Il complesso museale, situato all’interno di quello che un tempo era un kolchoz, è perfettamente mantenuto; i prati all’inglese, le aiuole fiorite, gli infissi freschi di pittura. Nikolaij è cordiale ma piuttosto indaffarato, nel pomeriggio è infatti attesa la visita di Sergej Sigalev, sottosegretario della Commissione Agricoltura alla Duma, un pezzo grosso del KPRF, il ricostituito partito comunista. Abbraccia rudemente Enore dopo aver un poco esitato nel riconoscerlo ed affida i cavriaghesi ad una giovane guida museale; poi ci sarà il tempo per quattro chiacchiere in amicizia. La vita di Vladimir Ilich o perlomeno quella trascorsa a Gorki negli ultimi anni prima della malattia, viene sviscerata in ogni più infimo dettaglio. La guida, una ragazzina poco più che adolescente, si sofferma con voce monotona ed inespressiva su ogni singolo suppellettile, dalla pipa rosicchiata allo scaldaletto usato da Lenin nelle notti invernali. La sete di memorabilia di Mario e compagni è decisamente placata, anzi questo insistere sulla minutaglia con fare feticista e burocratico allo stesso tempo, finisce quasi con l’infastidirli.

16


© Ezio Abbate e Alessandro Tartari

Nell’ufficio di Nikolaij, dopo un breve ed imbarazzante amarcord in cui Enore come al suo solito confonde nomi e date, Mario fa presente il suo sbigottimento per la notizia della chiusura del mausoleo e del trasferimento della salma: come possono permettere un affronto di tale portata? Nikolaij lo tranquillizza: la mummia di Lenin è in buone mani, è stata affidata a loro, al KPRF di cui lui è un iscritto della prima ora. Verrà portata per le campagne moscovite assediate dal cemento delle speculazioni edilizie, per riattizzare lo spirito di lotta degli ultimi, i contadini a cui il capitale sta rubando la terra ed il lavoro. Se vorranno, potranno unirsi a loro nelle prime tappe del tour. Nikolaij dovrà chiedere il permesso a Sergej Sigalev, l’ideatore dell’iniziativa ma non dovrebbero esservi problemi. Mario, Enore e Sergio accettano l’invito con entusiasmo proprio mente una carovana di tre auto blindate fa il suo ingresso a Gorki Leninskie. E’ Sigalev, scortato da enormi guardie del corpo armate e di nero vestite. L’aspetto ed i modi di Sergej fanno pensare ad un boss mafioso piuttosto che ad un deputato della Duma. La tournée si rivela una bieca campagna elettorale. La salma viene esposta in una sorta di errante circo Barnum, dove in spiazzi fangosi di una campagna suburbana assediata da fabbriche, svincoli autostradali e palazzoni dormitorio, si radunano sparuti gruppi, per lo più di anziani. Sigalev si materializza con i suoi sgherri in ogni tappa, tiene un discorso di 5 minuti grondante retorica priva di contenuto e si dilegua. Sergio fa notare che non si poi è molto lontani dalle campagne elettorali del Pci con cui da giovane, prima ancora di trasferirsi a Cavriago, girava l’hinterland napoletano. Solito protocollo, comizio veemente, nella migliore delle ipotesi applausi e piccole ovazioni liberatorie, poi giù dal palco per delle grandi strette di mano e puntuale richiesta dal paesano di turno in dialetto stretto che frustrava irrimediabilmente ogni speranza di arrivare al cuore del popolo – E i bollini per la benzina? Come se a deluderlo non bastasse la povertà di una simile iniziativa dei nipotini di Lenin, Mario finisce per scoprire che in realtà la mummia è in mano al Kprf come risultato di uno squallido accordo col potere putiniano: è stata ceduta per un mese come feticcio acchiappavoti in cambio del consenso alla definitiva rimozione dal mausoleo dopo le elezioni. Sigalev è un burocrate vecchio stampo per nulla interessato ai valori della revolutsija d’ottobre e tanto meno alla condizione attuale delle classi meno abbienti tagliate fuori dai giochi di potere degli oligarchi. Gli interessa solo mantenere i privilegi della poltrona. Mario sente di dover fare qualcosa, il suo primo e forse unico viaggio in Russia non può limitarsi al semplice saluto alla mummia, ma soprattutto non può renderlo complice di un colpo tanto basso al padre del socialismo con una omissione altrettanto colpevole. E così, in un raptus di indignazione, decide di evitare alla mummia lo squallido destino da tour promozionale come si trattasse di una qualunque bibita da mettere sul mercato. Senza nemmeno prendere in considerazione l’eventualità di un rifiuto dei suoi due compagni di viaggio, istruisce Enore e Sergio sul piano che ha in mente. Di notte, quando l’intero carrozzone del Kprf dorme satollo e senza scrupoli in uno degli alberghetti di periferia, Mario sale sul furgone dove sta la teca con la preziosa mummia, gli altri sul camper e insieme prendono la prima direzione sotto tiro.

17


© Ezio Abbate e Alessandro Tartari

Sergio come al solito al volante, Enore nervoso a guardarsi intorno alla ricerca di una direzione da prendere, Mario, invece, a seguirli, adrenalinico per l’azione sfrontata appena conclusa e al tempo stesso al limite della commozione per la portata storica dell’evento. Non sanno dove andare, l’importante è allontanarsi e così vagano a caso per la periferia. Enore ripete come un disco rotto che questa Mosca proprio non la riconosce più, perdendo del tutto il controllo della razionalità, tanto che Sergio ha ormai perso ogni interesse nel fargli capire che si tratta della più remota periferia e che al di là di tutto, forse è proprio questa la parte di Mosca che non è cambiata. Mario fa cenni con gli abbaglianti di darsi una mossa, di prendere una decisione. La stanchezza si fa sentire per tutti, e così si fermano in uno spiazzo davanti ad un desolante complesso di capannoni industriali, parcheggiando accanto ad altri furgoni, tanto per non dare nell’occhio. Enore e Sergio, nel camper, cadono addormentati nel giro di secondi; Mario, invece, rimasto nel camion, non riesce a chiudere occhio: come si può cedere al sonno quando si ha Lenin accanto, non il suo busto, non uno dei suoi celebri ritratti, Lenin in carne ossa e formaldeide? Quando comincia ad albeggiare, Mario esce dal camion ed entra nel camper dove finalmente crolla in un sonno profondo. Poco dopo il piazzale si anima. Attrezzisti già al pieno delle energie svuotano i camion, sistemando quel che sembra essere materiale di scena cinematografico dentro il più grande dei capannoni. Due di loro, senza badare troppo al sottile, aprono anche il camion dove sta la mummia e senza batter ciglio la scaricano nello stesso capannone accanto ad una grande quantità di oggetti scenografici di piena epoca Urss. Neanche il tempo di aprire completamente gli occhi che Sergio, il primo ad essersi svegliato, si accorge del trambusto, scende dal camper, vede gli attrezzisti che richiudono in successione tutti i portelloni posteriori dei camion parcheggiati e va di corsa a svegliare Enore e Mario. Nel capannone dove gli attrezzisti hanno scaricato la salma e tutto il resto si sta allestendo quel che senza alcuna ombra di dubbio è un set cinematografico. Ancor più fuori di dubbio è che si tratta di un set per un film porno. Di ambientazione storica. Avvenenti bionde caucasiche e relativi partner con i giusti bar nei muscoli e intenti a fare uno strano riscaldamento sono indizi inequivocabili. Il porno è ambientato ai tempi della Rivoluzione d’Ottobre con una trama ridotta all’osso e che senza molte pretese non fa altro che dare uno sfondo storico legato ad un immaginario comune per una serie di copule a ciclo continuo. Nessuno sul set si è chiesto da dove sia saltata fuori la salma, è semplicemente confacente alla scenografia, tanto basta. Se il sangue di Mario s’era messo a bollirgli nelle vene non appena compreso il vero senso della tournée del Kprf, facile immaginarsi quale possa essere la reazione davanti ad uno spettacolo del genere. Enore però, mettendo a frutto quel mix di calma, arguzia e codardia che lo contraddistingue, trattiene Mario dall’irrompere in scena. Gli attori sono particolarmente nervosi, il regista entra spesso in scena per riprenderli e copione

18


© Ezio Abbate e Alessandro Tartari

alla mano li istruisce sulla chiave interpretativa da dare. Per immensa sorpresa di Mario si materializza sulla scena Lenin in carne e ossa: è in realtà un sosia e deve interpretare l’incarnazione di Vladimir Ilich in un sogno del protagonista, neanche a dirlo a sfondo sessuale. IL SOSIA, mentre recita la battuta con cui incita i lavoratori a prendere coscienza delle loro condizioni di moderni schiavi, ha un attimo di esitazione: lo sguardo gli è caduto sulla teca appoggiata alle spalle del protagonista, l’espressione è basita, come se avesse visto un morto. In una qualche maniera, però, la mummia sembra sortire strani effetti anche su tutta la troupe: quando all’ennesima richiesta del regista di eseguire di nuovo un particolare passaggio acrobatico uomo-donna-uomo, tutti e tre gli attori sbottano furiosamente rivendicando diritti contrattuali su numero di riprese, orari, pause e in fondo ma non in subordine, una retribuzione più congrua al plusvalore che sta nelle loro mutande. Si scatena un putiferio che sfugge al controllo dei più volenterosi pacificatori, così nel parapiglia Enore e Mario entrano con decisione in scena e si riappropriano indisturbati della mummia. Il sosia di Lenin, smarcatosi a fatica dall’intreccio umano, li segue. Sistemata la teca direttamente nel camper, Mario ed Enore si accorgono dell’assenza di Sergio, che è rimasto in posizione defilata rispetto al parapiglia. Colpetto di clacson che le orecchie di Sergio immediatamente riconoscono. Il cavriaghese adottato confessa ai compagni di non voler più proseguire il viaggio assieme a loro: si è reso conto che quello che prova per Olga è qualcosa in più di una semplice infatuazione. Quasi vergognandosene si concede un’altra confessione: anche Olga è rimasta vedova da poco e per uno come lui che non ha mai completamente abbandonato le origini napoletane è un dovere credere ai segni del destino. Tornerà alla loro pensione e le chiederà di tornare con lui a Cavriago. Vi lascio il camper, abbiatene cura! Abbraccio spaccacuore tra i tre compagni di mille battaglie. La commozione però subito cede il passo ad un bel sorriso, Sergio sente di aver preso la scelta giusta. Poco prima di partire si avvicina al camper il sosia di Lenin che, visibilmente provato, chiede loro gentilmente un passaggio. Enore sembrerebbe incline a rifiutare ma a Mario, a lasciare a terra un uomo che si guadagna da vivere incarnando fisicamente il suo dogma, gli si stringe il cuore. L’uomo dice di chiamarsi Stepan Timofeevic, giù con aneddoti tipo che lui è il nipote di uno dei quattro sosia ufficiali di Vladimir Ilich, che lo sostituivano nelle uscite pubbliche più pericolose, anche nei film di propaganda dove era impensabile far recitare il vero leader. Il russo di Enore è traballante ma sa capire e farsi capire quanto basta. Mario, che sostituisce Sergio alla guida del camper, pende completamente dalle labbra di Stepan, quei racconti di prima mano gli fanno venire in mente mille domande che di fatto cerca di veicolare al russo attraverso Enore. Durante una sosta in un’area di servizio, intenti a far funzionare la pompa di benzina self-service, Mario ed Enore si distraggono e Stepan cerca di approfittarne. Si intrufola nel retro del camper, rompe la teca di vetro ma non appena cerca di sfilare il corpo viene sorpreso dai due cavriaghesi che increduli lo bloccano. Mario gli si getta addosso furente, di quale diavolo di profanazione si sta macchiando, lui che poi

19


© Ezio Abbate e Alessandro Tartari

sopravvive proprio grazie alla somiglianza con Vladimir Ilich? Stepan crolla e confessa la sua verità: quello lì non è assolutamente Lenin, è ANATOLIJ, suo migliore amico nonché collega di lavoro, anche lui di professione sosia. Racconta di averne perso le tracce giorni prima, sapeva che aveva avuto una misteriosa offerta di lavoro dal Kprf ma non avevano avuto tempo di parlarne visto che lui, Stepan, era sul set del film porno a lavorare. Sapeva della tournée elettorale con la trovata della mummia di Lenin e quando poi si è ritrovato la salma sul set del porno subito ha riconosciuto il viso del suo amico Anatolij ed esterrefatto per esserselo ritrovato lì addirittura imbalsamato, ha immediatamente ricollegato tutto: i neo-comunisti lo hanno ucciso ben sapendo che, senza famiglia, nessuno sarebbe andato a reclamarne la scomparsa, e invece c’è lui, Stepan, che ha scoperto tutto e che ora farà scoppiare un caso. A volte è più facile ammazzare un uomo che procurarsene uno di cera! Quel che però il russo stenta ancora a capire è come la finta mummia di Lenin sia finita sul set, ma soprattutto come sia finita in mano ad un trio di vecchi italiani! Ad ogni buon conto, Stepan vuole la salma, deve dare sepoltura allo sfortunato corpo dell’amico e denunciare alle autorità l’orrendo crimine. Brutti sgherri del Kprf si materializzano all’improvviso. I cavriaghesi avevano sottovalutato i neo-comunisti, che di fatto sono riusciti a rintracciarli. Due macchinoni dai finestrini oscurati sono entrati nell’area di servizio ma nessuno sembra scendere, come se stessero aspettando le loro mosse. Non c’è tempo di capire se Stepan stia dicendo la verità o li stia ingegnosamente ingannando, certo Mario non si libererà così facilmente di Lenin, non ora, non così. Mette in moto il camper e fatto il pieno se ne vanno. I due macchinoni li seguono a debita distanza, senza stargli addosso, come se stessero aspettando una loro mossa o solamente il momento propizio per bloccarli. Enore perderà pure colpi ma sprovveduto non è e allora consiglia a Mario di avvicinarsi il più possibile verso il centro, verso le zone più abitate e sorvegliate, lì staranno al sicuro, mica i neo-comunisti potranno mai fare una retata in piena città, per cosa poi, per riprendersi la mummia di Lenin o, se Stepan dice il vero, la mummia di un innocente? In ogni caso devono fare presto, da quando Stepan ha rotto la teca insopportabili effluvi si sono propagati per tutto l’abitacolo. Stepan continua a fare pressioni, chiede di portarlo nel quartiere dove è nato Anatolij, dove vorrebbe dargli sepoltura, anche al costo di farlo lui, visto il peggioramento delle condizioni del cadavere. Enore se la sta letteralmente facendo addosso, chissà cosa gli accadrà adesso, mettersi contro dei politicanti senza scrupoli, che se già hanno ucciso un uomo perché poi con loro dovrebbero essere clementi. I macchinoni degli inseguitori si avvicinano sempre di più, le strade che stanno percorrendo sono praticamente deserte, Enore non è proprio un buon navigatore, il russo poi chiede solo di portarlo nel quartiere di Anatolij. Gli inseguitori li avvicinano, sembrano decisi a risolvere l’inseguimento sfruttando i semafori e la totale assenza di testimoni in strada. Enore se ne accorge e all’apice del terrore ordina a Mario di svoltare immediatamente a sinistra che se lo ricorda bene, lì c’è la strada di uno dei mercati più grandi di Mosca, gli servirà a tenere alla larga gli

20


© Ezio Abbate e Alessandro Tartari

inseguitori. La manovra è brusca, la frenata improvvisa, Stepan sbatte violentemente la testa. I macchinoni, intanto, fanno per affiancarsi ma Mario accelera via. Enore non ha il coraggio di verificare le condizioni di Stepan che, testa reclinata su un fianco, non dà segni di vita. Dei macchinoni coi vetri oscurati non c’è più traccia. In una strada di estrema periferia Mario ferma il camper e va ad aiutare Enore a tirar giù la teca dentro cui al posto di Lenin ora giace Stepan, con una ferita suturata sulla tempia in bella evidenza. Mario rimette a posto gli arnesi da necroforo e richiude la valigetta che aveva portato con sé. Ha fatto un ottimo lavoro. Nel camper c’è un mucchio di fazzoletti sporchi di sangue. Portano fuori dal camper la teca e con cura la appoggiano vicino ad una cabina telefonica. Lì vicino ci sono dei cassonetti dell’immondizia, con degli scatoloni lasciati fuori. Mentre Mario prende il cartone più grande che è l’involucro di un maxi televisore al plasma - roba da super-ricchi o da super-piccolo borghesi – Enore telefona a Kirov, gli comunica l’indirizzo e prova invano a porgere le sue più sincere scuse. I due macchinoni si portano sul punto, si avvicinano e si accontentano così di recuperare la teca, senza accorgersi minimamente della sostituzione di salma. Cosa fare ora? Mario ha appena finito di prestare le necessarie cure alla salma di Lenin che giace distesa nello scatolone appena preso. Effettivamente gli pare troppo ben conservata per avere più d’ottant’anni d’imbalsamazione, ma tant’è, quello per lui è Lenin e basta. Si scusa con il suo leader per la spartana sistemazione, poi quasi commosso, lo rassicura che il tempo delle profanazioni è finito, ora ci penserà lui. Ma cosa fare ora? A Cavriago. Seppur folle, l’unica soluzione coerente da prendere è portare la mummia a Cavriago, lì si che starebbe al sicuro, nessuno s’azzarderebbe a…Enore, ancora scioccato per i pericoli corsi, lo contraddice immediatamente: è davvero sicuro che a Cavriago la vorrebbero? Siamo rimasti noi tre a proteggere il busto…si corregge guardandosi attorno dispiaciuto, noi due. Mario però non vuol sentire ragioni, se al paese nessuno la vorrà ci penserà lui. La sua proverbiale lucidità è ormai solo un ricordo. Enore lo fa ragionare e gli propone un’altra soluzione: Ulyanovsk, portiamo Lenin ad Ulyanovsk e seppelliamolo nella città di suo padre, come aveva detto di volere lui stesso quando ancora era in vita. Nessuno ha mai dato retta alla sua volontà, anche il popolo lo ha lasciato in balia di scienziati e politicanti, tutti avvoltoi. Forse dovrebbero smetterla anche loro di adorare il suo simbolo e piuttosto seguire il suo esempio. Da quant’è che a Cavriago onorano il suo nome, limitandosi a lucidare la sua pelata e a fare irriducibile opposizione alle giunte comunali? Si ricorda cosa diceva il fratello Dimitri Ilich? Se volete onorare il nome di Vladimir Ilich non costruitegli monumenti ma case, scuole, ospedali e soprattutto seguite in tutte le cose il suo esempio. Che senso ha tornare a Cavriago con quella specie di vello d’oro? Mario, gli confessa Enore, siamo vecchi, moriremo presto, quando mai avremo un’occasione del genere? Saremo gli unici ad aver esaudito il desiderio di Vladimir Ilich. Com’è possibile che non si siano resi conto che anche loro stavano semplicemente adorando una merce? Mario, commosso dalla

21


© Ezio Abbate e Alessandro Tartari

schiettezza ancor di più che dalla ragionevolezza delle parole di Enore, lo abbraccia. L’ex impresario si mostra subito prodigo di consigli stradali, lui ad Ulyanovsk c’è stato, sa come arrivarci. A circa metà viaggio, Enore rompe finalmente il grande silenzio sceso nel camper per stanchezza e tensioni accumulate. Confessa a Mario che è tutto il viaggio che sta pensando ad una cosa e che non può più fare a meno di dirgliela. Ad una trentina di chilometri da dove si trovano ora c’è il paese dove si è ritirata a vivere ALLA PUGACHEVA, una cantante russa nazional-popolare tra le più famose, soprattutto durante il periodo sovietico, apprezzata molto anche come attrice di cinema. Enore vuole che Mario lo accompagni lì da lei; prima di ritornare a Cavriago per sempre, vuol rivedere l’unica donna che si è pentito di essersi lasciato dietro. Amaramente pentito, perché a riguardare quel loro amore da una tale distanza d’anni, Enore è fortemente convinto che sia stata lei l’unica donna che ha davvero amato. Non la smette di ripetere la parola pentito, come se si fosse accorto in quello stesso istante non solo di aver perso la sua più grande occasione di felicità ma proprio il senso stesso della sua fede comunista. Fare lo sciupafemmine rientrava nel suo ruolo di impresario, che a sua volta era legato indissolubilmente ad un tenore di vita rocambolesco, che solo uno stipendio schiavo del Capitale poteva garantirgli. Il ragionamento politico con cui ha ricostruito la sua incapacità d’amare non fa un grinza, l’umiltà con cui a settant’anni ci si condanna così lucidamente finisce per commuovere Mario che, orgoglioso del suo compagno di viaggio, gli mette una mano sulla spalla, rischiando un fuoristrada fuori programma. La disperata vitalità dei settant’enni non è un serbatoio senza fondo. La Pugacheva si è sposata con una specie di tragico Bobby Solo russo, più giovane di lei di vent’anni, un cantante di discreto successo ma dotato di nessun particolare fascino, che sta con lei per i suoi soldi ma soprattutto per tutelare la sua carriera. Alla accoglie i due cavriaghesi nella sua magione, proprio quando il marito, in partenza per una tournée, fa appena in tempo a salutare moglie e ospiti con lo stesso altezzoso distacco. Enore è invecchiato ma mantiene intatto il suo fascino, la sua eleganza, la sua altezza. Alla invece è piuttosto ingrassata, ma a parte quella maggiore rotondità, i lineamenti non sono affatto cambiati. Stessi capelli rossi, stesso sguardo da predatrice di palcoscenici, stessa allegra vitalità nella voce, ma un’aria trattenuta che cova ancora risentimento per l’abbandono di Enore. Mario cerca di tenersi appartato dai due, avranno una gran voglia di raccontarsi le rispettive vite, di aggiornare gli anni di distanza che li separano ora su quel divano. Ma non ci vuole molto a capire che Alla sta recitando una parte e per quanto si sforzi di nasconderlo, è in realtà stupefatta di rivedere l’uomo che le spezzò il cuore. E’ ormai chiaro che i due cavriaghesi la notte la passeranno lì, si rimetteranno in cammino l’indomani. Mario capisce al volo la delicatezza di quella notte e acconsente alle richieste di Enore. Alla ed Enore si godono la reunion e lei finalmente gli confessa che la sua attuale vita è in realtà un fallimento totale, che suo marito è un marcio arrivista senza sentimenti e senza rispetto per lei e per niente altro, che in fondo lei Enore non lo ha mai

22


© Ezio Abbate e Alessandro Tartari

dimenticato. Mario, intanto, senza sonno, si fa un giro perlustrativo della casa. Quando si imbatte, con sua somma sorpresa, in un angolo del salone allestito come museo in miniatura dell’epoca sovietica che fu, non può proprio fare a meno di mettersi in tasca un piccolo busto di Lenin di vetro bianco. La mattina seguente Mario, crollato dal sonno sul primo divano che gli è capitato a tiro, viene svegliato di soprassalto da un’Alla stordita dal dolore. Senza dire nulla la donna lo trascina nella sua camera da letto dove Enore sta sdraiato su un fianco, di spalle rispetto alla sua visuale. Mario, con la lentezza di chi ha già afferrato il senso della situazione e cerca di difendersene svolgendo tutto il protocollo di rito il più lentamente possibile, si avvicina all’amico, gli mette una mano sulla spalla, lo chiama, non riceve risposta, lo tira a sé rivoltandolo sul dorso. Enore è morto, il suo cuore non ha retto alla magia della notte ma se ne è andato senza traccia di sofferenza, con i muscoli del viso per nulla contratti. Mario conosce bene la grammatica del viso dei morti, quelli sono i muscoli di chi in qualche maniera è morto felice. Ha pianto, dice l’italiano stentato di Alla, l’ho sentito piangere nel buio. Mario è sicuro che si è trattato di un pianto di commozione, quella serena commozione che si prova per aver avuto dalla vita, anche se solo per una notte, l’occasione di riparare ad un errore. Alla ha provveduto a tutta l’organizzazione del funerale e poi non ci ha pensato due volte, Enore verrà seppellito nella cappella matrimoniale già pronta per lei e il suo orribile consorte. E’ Enore che vuole accanto quando anche lei lascerà questo mondo. Mario non può che ringraziarla di tutto però le fa una richiesta: che sia lui ad occuparsi della preparazione del feretro, e insomma sì, a dirigere lui il funerale, dal trasporto alla zincatura fino alla finale chiusura del loculo. E’ il suo lavoro e quella di dare sepoltura ai suoi cari è sempre stata la parte più dura ma in fondo anche quella più intima di quel suo strano mestiere di necroforo comunista. Mario è dunque rimasto solo. Col peso della mummia di Lenin addosso. Va nella zona letto del camper e si china sul cartone del televisore al plasma dentro cui sta la mummia. Come se tenesse fra le mani il teschio amletico, si schiarisce le idee e mentre somministra a Lenin le quotidiane cure con siringate di formaldeide lo interroga. Mario si sente improvvisamente braccato dalla paura, dalla solitudine, dalla stanchezza. Ce la farà ad affrontare i quasi tremila chilometri di viaggio e a tornare a Cavriago, tutto da solo? Ma soprattutto, era davvero quello che voleva, ritrovarsi dall’altra parte del mondo a settant’anni suonati? Ora che la sta toccando, indifesa, in balìa delle sue cure e delle sue scelte, dei suoi dubbi, per lui cosa significa veramente quella mummia? Cosa cerca da lei? E’ davvero solo una merce come diceva Enore? Non può più far finta di niente, ora che è da solo, anni luce lontano da casa, sente chiaramente di provare un’indicibile paura di morire. Per uno come lui, abituato a seppellire gli altri, non è affatto facile deporre il ruolo e disinvolto andare incontro alla sua stessa sepoltura. L’apice della commossa auto-requisitoria viene rumorosamente interrotto dal piccolo busto di Lenin di vetro che scivola fuori dalla tasca e va a fracassarsi sul muso irrigidito della mummia. Spaventato dall’improvviso rumore, Mario, fa un sobbalzo all’indietro, i nervi a fior di pelle. Controlla il danno

23


© Ezio Abbate e Alessandro Tartari

procurato, solo qualche escoriazione e qualche vetro conficcato nelle guance. Si mette a raccogliere i vetri sparsi dappertutto e raccoglie anche il foglio dentro cui aveva avvolto il mini busto ed ha una specie di illuminazione. Oltre ad essere il pezzo di carta su cui la sua Sofia gli scrisse il numero di cellulare, quando si conobbero per la prima volta, è anche la ricevuta di una vecchia rimessa MoneyGram con cui lei mandò soldi a Vavilen, il nipotino che vive da solo a Minsk. Da quel giorno Mario la conserva nel taschino della giacca vicino al cuore. Sulla ricevuta c’è dunque l’indirizzo completo di Vavilen. Il camper si rimette in moto, in direzione di Ulyanovsk. Arrivato a destinazione, Mario si intrufola nel vecchio cimitero dove sono seppelliti padre e famiglia paterna di Lenin. Ha seguito alla lettera le indicazioni riportate da Enore nell’agendina che, al momento di prepararlo per il funerale, gli ha trovato in tasca. Su quelle pagine Enore ha descritto dettagliatamente ogni singolo passo del viaggio che fece ai tempi del regime. Mario sorride ancora al pensiero del suo amico che pur di non ammettere certa ruggine senile, si sforzava di dare indicazioni stradali senza usarla. Si tratta davvero di un piccolo cimitero in stato d’abbandono, non molto dissimile dal cimitero di Cavriago. Mario entra e si mette alla ricerca della famiglia Lenin. Non ci sono visitatori, né apparentemente nessun custode. Non ci vuole molto ad orientarsi nel piccolo cimitero e così riesce facilmente a trovare le tombe. Nessun fiore fresco sulle lapidi dei Lenin. Mario si guarda attorno e poco lontano ne intravede una impreziosita da vari fiori che però il vento sta per spazzare via facendoli penzolare fuori dal vaso. Il cavriaghese si avvicina e quando sembra chiaro quel che sta per fare, in realtà si limita solo a rimetterli a posto, a dare una raddrizzatina al vaso e un colpetto al lume che così smette di funzionare ad intermittenza. In quello stesso momento alle sue spalle si materializza il custode, un decrepito che con voce roca, rigorosamente in russo, gli comunica tutto il suo stupore: ha visto il camper fuori, che meraviglia, un italiano giunto fin lì per rendere onore al grande Sergej Obraztsov, il più importante burattinaio russo finito nell’oblio più completo. Mario, colto di sorpresa, non sa cosa fare e si limita al mutismo. Poi si alza e stringe la mano all’uomo che, onorato da quel gesto, si allontana indicandogli quella che è un’uscita secondaria quasi del tutto inghiottita dai rampicanti. Il custode se ne va e si chiude dietro la cancellata principale. Quando sta per scendere il sole, Mario si accerta che nei paraggi non ci sia nessuno, va al camper e con grande fatica si trascina la mummia dentro il solito cartone della megativvù al plasma. Vicino al gabbiotto prende la vanga e con grande ritmo comincia a scavare . Sono circa vent’anni che non scava più una fossa, vent’anni che non seppellisce qualcuno, ora sta tornando a bucare la terra per dare l’eterno riposo nientemeno che a Vladimir Ilich Uljanov Lenin. Che si possa trattare di un semplice sosia, ucciso dai neocomunisti russi come trovata per la loro campagna elettorale, Mario non vuole neanche pensarci.

24


© Ezio Abbate e Alessandro Tartari

Di nuovo in cammino al volante del camper. Le musicassette portate da Enore come sottofondo del viaggio, accompagnano sul volto di Mario la ricomparsa della sua proverbiale allegra determinazione. Pur essendo la musica che avevano ascoltato per tutto il viaggio d’andata, Mario non si è lasciato sopraffare dalla tristezza della nostalgia: sia Sergio sia Enore non sono più con lui, ma ambedue, seppur con modi alquanto diversi, sono riusciti a trovare la loro strada. Ora tocca a lui. Il camper giunge al confine con l’Ucraina, riesce a passarlo grazie alla solita mancia ai doganieri e così prosegue spedito verso Kiev. Kiev, ecco cosa ha deciso di fare. All’indirizzo scritto da Sofia sul modulo MoneyGram non risponde nessuno. Mario chiede informazioni ai vicini che gli forniscono un altro indirizzo. All’interno del Parco di Chelyuskinites c’è la Ferrovia dei Bambini, una linea il cui personale è costituito esclusivamente da bambini minorenni che ricoprono tutti i ruoli dal capostazione al macchinista. Qui lavora Vavilen. Mario non lo ha mai visto, neanche in foto, quindi non sa come riconoscerlo. Chiede ad un bambino con la divisa di controllore che glielo indica. Con la divisa da macchinista, il ragazzino scende dal posto di comando del treno che ha appena terminato la sua corsa. Mario gli va incontro e senza dirgli nulla gli mostra il modulo MoneyGram. Vavilen stenta a comprendere, c’è tutta la diffidenza con quel pizzico di aggressività che è normale in chi a soli 17 anni si è ritrovato a vivere da solo, senza genitori e con la nonna partita per un paese lontano per dargli un futuro che da lì, in quel presente, non riesce neanche ad immaginare. Allora Mario tira fuori la foto in cui, busto di Lenin sullo sfondo, Sofia lo bacia. Quella stessa foto che Sofia gli aveva stracciato la sera prima di partire per Mosca e che lui ha poi accuratamente rimesso insieme con lo scotch. Mario finisce di digitare il numero di cellulare di Sofia, poi passa la cornetta a Vavilen che ancora diffidente cerca di andare subito al sodo: chi è questo Ma-ri-o Bura-ni, lo conosce? Si può fidare? Fidarsi di cosa, gli chiede Sofia allarmata da quell’ultima misteriosa domanda. Vavilen riattacca senza neanche rispondere. Al posto accanto a quello del guidatore occupato da Mario sta seduto Vavilen. Il silenzio è riempito dalle solite musicassette di Enore che, al di là di ogni incomprensione linguistica, non possono non indurre il ragazzo a fare strane smorfie di disprezzo. Tanto che con un guizzo di canaglieria, durante una sosta per riempire serbatoio del camper e svuotare quello prostatico di Mario, Vavilen espelle il nastro e punta la radio su una stazione che con la stessa logica di una qualunque Rds russa alterna hit nazionali e internazionali, rigorosamente ultramoderne. Tornato al volante, Mario non può che stare al gioco e, in qualche modo divertito, alza il volume millantando con movimenti improvvisati di labbra di conoscere tutte, ma davvero tutte le hit internazionali. Vavilen, che le canzoni deve conoscerle davvero, sorride per i miseri tentativi di playback dell’anziano. Il ghiaccio è rotto.

25


© Ezio Abbate e Alessandro Tartari

Quando Mario parcheggia il camper davanti al garage di Sergio dove il grande viaggio ebbe inizio, Vavilen si mette improvvisamente a correre in direzione di Piazza Lenin. Mario può solo guardarlo correre via e cercare di capire il motivo. Vavilen s’abbraccia forte a Sofia, ecco il motivo. La donna stenta a credere a quello che vede. Anche Mario, che certo non si aspettava di vedere Sofia sotto braccio a Libero Maffei, l’odiato ex democristiano, nonché noto scapolo che ha sempre conteso ad Enore lo scettro di sciupafemmine del paese. Sofia è letteralmente congelata dall’emozione e non sa quali parole usare per ringraziare Mario che dal canto suo, vuoi per la traversata, vuoi per la delusione, non sembra molto lucido. Lei intuisce la sua freddezza, sorride e si prodiga nello spiegargli che è solo un equivoco, tra lei e Maffei non c’è nulla, quantomeno niente di quello che Mario crede, perché dopo aver capito che il proprietario del night la faceva lavorare solo perché voleva portarsela a letto, si era arresa a fare l’unico lavoro disponibile in Italia per una donna immigrata come lei, e cioè la badante, di Maffei appunto. La famosa pillola blu. Mario la manda giù accompagnandola ad un boccone di mollica di pane. Ora può andare a prepararsi, in attesa che la sostanza faccia il miracolo. Vestito di tutto punto, s’avvia alla porta di casa ma il solito posto di blocco di Irma lo obbliga alla solita adolescenziale bugia: riunione politica con Sergio, c’è da preparare una controffensiva alla nuova inaccettabile deriva liberal-democratica della giunta, che dorma tranquilla, lui tornerà tardi. Sale in sella alla sua fida Bottecchia e scatta via sotto il palazzo dove Sofia vive e bada a Maffei. La donna, in tiro da uscita serale, esce dal portone, bacia Mario, gli prende il braccio e lo stringe a sé. Mario e Sofia al ristorante “I due platani”, all’unico tavolo non ancora sparecchiato, nessun altro in sala. Mario le sta dicendo che non vuole assolutamente che Vavilen cresca in casa di Maffei, chissà quale precetti democristiani cercherà di inculcargli e intanto guarda attraverso la vetrata i netturbini in sella alle macchine che spazzano e lavano la strada. Piazza Lenin è vuota. La macchina passa attorno al busto e risucchia cicche foglie e cartacce. Sergio è da qualche mese ritornato dalla Russia con Olga, novella signora Iannaccone, la quale dirige il ristorante con lo stesso piglio dittatoriale della fu-signora Iannaccone. Il povero Sergio obbedisce agli ordini e impila i piatti asciugati l’uno sull’altro. I piatti gli cadono come la sera in cui sua moglie morì. Sergio si gira immediatamente verso Mario che si è a sua volta girato per il trambusto, lo guarda con un’aria mista di rammarico per il danno e nervosa attesa per la reazione di Olga che però, come accadde quella dolorosa sera, tarda a venire. Il silenzio che viene dalla cucina atterrisce Sergio fino a paralizzarlo, tanto che non si azzarda ad andare nell’altra stanza né a raccogliere i cocci sparsi ai suoi piedi, tristemente memore del passato spettacolo di morte. Ma Olga, a differenza di quanto fece Maria, viene fuori e con un passo così deciso che non lascia presagire nulla di buono. Questa volta il cazziatone, a Sergio, non glielo toglie proprio nessuno. Sergio allarga le braccia verso Olga e le sorride, lei si sente addirittura presa in giro e gli piazza una manata su una guancia.

26


© Ezio Abbate e Alessandro Tartari

Mario torna a leggere il giornale, in fondo divertito. Nella pagina della cronaca estera, c’è un articolo che parla dell’ennesima proposta di Vladimir Putin di traslocare la mummia di Lenin dal Cremlino. Sofia, offesa della scarsa attenzione, requisisce immediatamente il giornale. Mario riprende il discorso interrotto: la casa è grande, deve parlare con Irma, sua sorella se ne farà una ragione, e poi Vavilen deve crescere in un ambiente sano. Sofia, sempre senza peli sulla lingua e con la risposta fulminante, lo mette spalle al muro: lui che s’è fatto tremila chilometri a settant’anni per seppellire Lenin sarebbe un ambiente sano? Che abbia seppellito Lenin, qualcuno che gli somigliava, o semplicemente l’incapacità di accettare la morte da parte di un seppellitore di professione qual è Mario, il suo corpo vivo è ancora lì abbarbicato su una scala a lucidare la pelata del caro e vecchio Vladimir Ilich. Certe cose, vere o verosimiglianti, si seppelliscono solo fisicamente. Fedeli alla linea.

27


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.