Storia SCOPRIRE IL PASSATO, CAPIRE IL PRESENTE
n°153
MENSILE – Austria, Belgio, Francia, Lussemburgo, Portogallo, Spagna � 8 - MC, Côte d’Azur � 8,10 - Germania � 12,00 - Svizzera CHF 10,80 - Svizzera Canton Ticino CHF 10,40 - USA $ 11,50
luglio
LE BUGIE CHE HANNO CAMBIATO LA STORIA
Enigma Cleopatra Temuta, desiderata ma soprattutto calunniata. Perché?
15 GIUGNO 2019 - MENSILE � 4,90 IN ITALIA
Sped. in A.P. - D.L. 353/03 art.1, comma 1, DCB Verona
CITTÀ CHIUSE DOVE URSS E USA PROTEGGEVANO I LORO SEGRETI
CERCHIO MAGICO
NELLE MANI DI SPOSE E PAPI, SIGNORI E SERVI: L’ANELLO COME SIMBOLO
GERMANIA
COSÌ BISMARCK FECE NASCERE IL SECONDO REICH
In questo numero: Noi e il Mare. Indispensabile per l’evoluzione, la storia dei popoli e la vita sulla Terra, affronta un momento cruciale in cui siamo chiamati a difenderlo da un futuro incerto. Per lui e per noi. IN PIÙ: RENZO PIANO, “QUEL BLU DENTRO DI ME”, L’ARCHITETTO RACCONTA QUANTO IL MARE LO ABBIA INFLUENZATO.
VAI A FONDO NELL’ATTUALITÀ. CON UN EXTRA IN PIÙ.
153 Luglio 2019
focusstoria.it
Storia In un disegno del 1916, manichini di soldati tedeschi posizionati per ingannare i russi.
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Emanuela Cruciano caporedattore
RUBRICHE 4 FLASHBACK 6 LA PAGINA DEI LETTORI 8 NOVITÀ & SCOPERTE 10 TRAPASSATI ALLA STORIA 12 MICROSTORIA 77 RACCONTI REALI 78 DOMANDE & RISPOSTE 80 PITTORACCONTI 110 UNA FOTO UN FATTO
112 AGENDA
In copertina: una sospettosa Cleopatra, in una ricostruzione.
IN PIÙ...
14 UNA GIORNATA DA...
Guerriero powhatan I primi contatti coi bianchi.
16 CHI L’HA INVENTATO?
L’ascensore Dalle gabbie del Colosseo alla “sedia volante”.
MONDI PARALLELI 18 Carlo V vs Solimano
Alla guida dei più grandi imperi del ’500.
UIG VIA GETTY IMAGES
enza la propaganda, le fake news e le bufale, che Storia leggeremmo oggi? Domanda retorica, certo: non si può ricostruire il passato con i se. Ma in un momento storico in cui anche le tesi “contro” più assurde (non siamo mai stati sulla Luna, la Terra non è sferica, l’Olocausto non è mai esistito ecc...) trovano grande risonanza e credito sul Web, ci è sembrato utile raccontare le frottole più clamorose e/o impattanti sugli eventi del passato. A partire dalla diabolica rete di falsità spacciata dai Protocolli dei Savi Anziani di Sion, documenti che sostenevano l’esistenza di una cospirazione ebraica contro il mondo. Un falso storico conclamato, eppure alimentò e giustificò l’antisemitismo del secolo scorso fino alle sue più estreme conseguenze. A soffiare sul fuoco dei roghi della caccia alle streghe, fu invece un mix di irrazionalità (paura del demonio) e bisogno di capri espiatori in secoli piegati da carestie e pestilenze. Quanto alla diffamazione, coeva o postuma, l’hanno utilizzata i potenti di ogni epoca. E i Romani ne erano maestri.
CI TROVI ANCHE SU:
NOVECENTO 22 Città chiuse
FAKE NEWS E MENZOGNE 36 60
Le bugie hanno le gambe lunghe
Più sono assurde, più hanno credito: come girano le fake news.
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Bersaglio Cleopatra Ecco come e perché Roma ha diffamato la regina d’Egitto.
46
Il regalo che non c’era
Finti casus belli
Le operazioni sotto falsa bandiera come perfetto espediente.
64
Stregati dalla Luna
Nel 1835 l’annuncio che c’è vita sul nostro satellite. Era una bufala.
68
Licenza per un genocidio
Chi ha inventato la Donazione di Costantino?
I Protocolli dei Savi Anziani di Sion: il falso che giustificò l’Olocausto.
50 Il falò
72 Ritocco
della ragione
Le precise strategie dietro alla caccia alle streghe.
56 La fabbrica
dei cadaveri
Nel 1917 corpi usati per fare saponi. Ma non era vero...
politico
La fotografia usata dai regimi per fare propaganda.
I centri inaccessibili in cui si creò l’atomica.
28 LaPERSONAGGI dama bianca
Juliette Récamier e il suo salotto nella Parigi dell’800.
82 IlANTICHITÀ re numida che
comprò Roma Come Giugurta usò la corruzione per fare le sue conquiste.
COSTUME 86 Intorno al dito
La storia dell’anello fra credenze e simbologie.
SETTECENTO 92 Parole rivoluzionarie
La Rivoluzione francese ha cambiato anche il nostro vocabolario.
PORTFOLIO 94 Roma. 180 anni in posa
Scatti romani dagli albori della fotografia a oggi.
COSTUME 100 A.A. Alcolisti Anonimi Ecco com’è nata.
GRANDI TEMI 104 L’ora della Germania
Nell’Ottocento, l’unificazione tedesca. 3
GETTY IMAGES
FLASHBACK
1932 INVENZIONI
Nel solco di Leonardo
8 febbraio 1932. La Dinosfera, un veicolo monoruota (e che ruota!) ad azionamento elettrico, capace di muoversi alla velocità di 48 chilometri all’ora, viene testato su una spiaggia del Somerset (Regno Unito) dal suo inventore, John Archibald Purves. Sembra che Purves si fosse ispirato a uno schizzo di Leonardo. Ma il prototipo era difficile da governare e aveva problemi di frenata, così non riuscì a imporsi sul mercato.
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LA PAGINA DEI LETTORI C.PRATI
Inviateci opinioni, idee, proposte, critiche. Pubblicheremo le più interessanti oltre a una selezione dei commenti alla nostra pagina Facebook (www.facebook.com/FocusStoria). Scrivete a Focus Storia, via Mondadori 1, 20090 Segrate o all’e-mail redazione@focusstoria.it
giovane prete don Domenico Lentini, originario di Lauria. Don Domenico cercò di placare gli animi, promettendo ai liberali di innalzare al posto dell’albero una croce che egli stesso definì “simbolo di riscatto e salute”. La croce esiste ancora. Luca Ferrara, Fardella (Pz)
Mondi paralleli
Il mistero del faraone
nel 1799, anche in un comune della mia regione, la Basilicata, successe un fatto simile sia pur con una conclusione diversa. Parlo dell’albero della libertà della città di Lauria che venne innalzato nel 1799, tra le urla gioiose dei giovani liberali, subito dopo la proclamazione della Repubblica Partenopea. Qualche mese più tardi, sempre nello stesso anno, il 23 giugno, la Repubblica Partenopea cessò di esistere e alcuni borbonici decisero di distruggere l’albero; i giovani liberali di Lauria, opponendosi a questa decisione, cercarono di salvare quello che per loro era simbolo di libertà. Questa situazione creò agitazione in città, tanto che fu necessario l’intervento del
Riguardo all’articolo “Una giornata da imbalsamatore” (sopra) pubblicato su Focus Storia n° 151, volevo precisare che da recenti analisi della mummia di Tutankhamon il cuore non è stato lasciato nel corpo. Ciò confermerebbe (anche da altre anomalie riscontrate sulla stessa tecnica di imbalsamazione usata) che il giovane faraone sia morto durante una spedizione di guerra lontano da Tebe. Costringendo la sua corte a un frettoloso e provvisorio trattamento per preservarne il corpo fino al ritorno in Egitto. Questo comportò dei problemi per la conservazione degli organi interni. Da qui la necessità di non lasciare il cuore all’interno della salma del faraone.
In merito all’articolo “Roma vs Cina” pubblicato su Focus Storia n° 152 mi sembra che, oggi come allora, la Cina abbia molte più possibilità di vincere il confronto. L’imperatore Tiberio, quando parlò al Senato, giudicò eccessiva la spesa per i prodotti di lusso dell’Estremo Oriente e si lamentò di quella follia che rischiava di dar fondo alle risorse finanziarie di Roma. Si pensi che un abito di seta cinese costava fino a 10.000 sesterzi, pari circa a 10-12mila euro di oggi. È vero poi che i contatti tra i due immensi imperi vennero impediti dai Parti ma qualche approccio tra le due potenze potrebbe esserci stato. Per esempio, nella Tabula Peutingeriana, la Cina è indicata come Sera maior; nel Libro degli Han occidentali, classico della storiografia cinese, è raccontato l’episodio di un gruppo di mercanti romani che giunti nel 166 d.C. nella regione dell’Annam si sarebbero presentati come ambasciatori di Antun (forse l’imperatore Marco Aurelio Antonino) e pare che almeno un cinese abbia
Sergio Arrighi
Un’altra storia d’Italia
A.MOLINO
Vi scrivo in merito all’articolo pubblicato su Focus Storia n° 148 riguardante la vicenda del parroco don Pietro Maria Zanarini (sotto). Volevo segnalare che dopo la proclamazione della Repubblica Partenopea
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Oggetto misterioso
ono da anni assidua lettrice di questa rivista. Mi intrigano molto anche i trafiletti sugli oggetti misteriosi. Ieri una mia amica ne ha ricevuto uno in regalo ma non siamo venute a capo dell’uso dell’oggetto. Mi rivolgo a voi per avere lumi e delucidazioni. Emanuela Casinini
Chi riconosce questo anello?
LA VOCE DELLA STORIA
I NOSTRI PODCAST N
el 2019 sua maestà Vittoria, regina del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda e imperatrice d’India, “compie” 200 anni: a due secoli dalla sua nascita, avvenuta il 24 maggio 1819, ancora ci si interroga su quale sia stato il segreto del suo successo, che non va ricercato solo nella politica imperiale del regno, ma anche nel personaggio. Nell’immaginario collettivo la sovrana, imparentata con quasi tutte le famiglie
regnanti, incarnò alla perfezione il modello di “madre” e “nonna”. Ne abbiamo parlato nella “Voce della Storia” con Giulia Guazzaloca, storica all’Università di Bologna. Nei nostri podcast, infatti, esperti
vissuto nell’Impero romano, nel I o II secolo d.C. Nel 2009, infatti, sono state rinvenute delle ossa nella necropoli romana di Vignari, una sessantina di chilometri a ovest da Bari. Le analisi del Dna mitocondriale hanno dimostrato che erano di origine orientale da parte di madre; e dalla miseria della sua tomba è stato dedotto che fosse, con ogni probabilità, uno schiavo addetto alla fonderia del ferro o alla fabbricazione di laterizi nella tenuta imperiale di Vignari. Fabio Lambertucci, Roma
I ribelli dello sport
Leggendo il vostro interessante articolo “Atleti contro” pubblicato su Focus Storia n° 150, vorrei aggiungere quanto accaduto alle scorse Olimpiadi di Rio de Janeiro grazie all’attivismo dell’atleta etiope di etnìa oromo Feyisa Lilesa. Il 21 agosto 2016, durante le Olimpiadi brasiliane, l’atleta etiope, arrivando al traguardo della maratona dopo 42 km di corsa, alzò le mani al cielo a pugni chiusi mimando le manette di un arresto. Facendo così infuocare la popolazione oromo che
e scrittori ci aiutano a interpretare i temi di attualità. Per essere sempre coerenti con il nostro slogan: scoprire il passato, capire il presente. All’ascolto. Le nostre interviste si possono ascoltare dal sito www. focus.it/storia/podcast ma anche su Spotify (bit. ly/VoceDellaStoria). Ogni mese la redazione vi proporrà anche i “dietro le quinte” del giornale in edicola, raccontando aneddoti e curiosità che non hanno trovato spazio nella rivista.
in Etiopia e nel mondo guardava in tv o ascoltava alla radio la cronaca dell’evento. Questo gesto però provocò anche la reazione dell’amministrazione etiope dell’allora premier Hailè Mariam Desalegn. Desalegn percepì il gesto come un atto di sfida al suo governo, per le sue politiche di repressione contro le rivendicazioni autonomistiche della comunità oromo che vive nello Stato federale dell’Oromia. Il popolo oromo, invece, vide nel segno un grido di libertà e di denuncia per riscattare la voglia di partecipazione e d’inclusione. Il gesto di Lilesa fece il giro del mondo, ma fu anche utilizzato dai manifestanti oromo sia ad Addis Abeba sia ad Adama (capitale dell’Oromia) per denunciare l’incarcerazione immotivata di centinaia di attivisti, e soprattutto per criticare le ataviche discriminazioni che la nazione subiva da parte del governo etiope di chiara espressione amharica. Lilesa motivò il suo gesto dedicando la propria vittoria al suo popolo: “Il governo etiope sta uccidendo il mio popolo. Io sostengo la loro protesta,
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uale provenienza, secondo voi, potrebbe avere questo anello, diciamo così, “di famiglia”? E nel caso in cui non fosse semplice dare una risposta basandosi solo sulle foto, a chi potrei rivolgermi? Pietro Serventi Longhi
perché gli Oromo sono la mia gente. I miei familiari, i miei amici e alcuni miei vicini di casa sono in prigione. Gli Oromo che osano parlare di diritti e di democrazia, vengono perseguitati e uccisi. Quando tornerò in Etiopia, anch’io rischierò di essere ucciso o di finire in carcere”. Il governo Desalegn non solo lo apostrofò come “nemico dell’Etiopia” proibendo ai mass-media etiopi di intervistarlo, ma chiese al comitato olimpico di non riconoscere la sua vittoria. Lilesa nel 2016 chiese asilo politico agli Stati Uniti, dove visse fino al 2018. Il 22 ottobre 2018 l’atleta tornò in Etiopia, visto che il corso politico locale era cambiato. Attualmente il premier è Abiy Ahmed Alì, un riformista socialdemocratico di origine oromo, che sta attuando delle riforme in senso liberale e inclusivo. Raffaele Scirocco, Messina 7
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NOVITÀESCOPERTE UNIVERSITÀ DI GENOVA (3)
LA STATALE NEWS
A cura di Anita Rubini
I testi trecenteschi analizzati alla Statale di Milano. TRECENTO
Antica diplomazia
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uropa Occidentale ed Etiopia ebbero i primi rapporti diplomatici nel XIV secolo, un centinaio di anni prima di quanto ritenuto finora. La rivelazione proviene da un manoscritto latino trecentesco inedito, che riferisce del ritrovamento di un Tractatus, creduto perso. A scoprirlo sono stati gli studenti dell’Università Statale di Milano, coordinati da Paolo Chiesa, docente di Letteratura latina medievale e umanistica. Serendipity storica. Impegnati a trascrivere il testo della Cronaca universalis del frate domenicano milanese Galvano Fiamma, i giovani del dipartimento di Studi letterari filologici e linguistici hanno scoperto il riferimento al Tractatus di Giovanni da Carignano (o Giovanni Mauro), rettore della chiesa di San Marco al Molo (Genova) dal 1291. Qui si parlava dell’arrivo nel porto genovese di ambasciatori etiopi inviati dal loro re a un re spagnolo e giunti poi dal papa fra il 1310 e il 1315. L’autore spiega lo scopo del viaggio e le tappe; fornisce poi informazioni sul Paese africano, descritto come un regno cristiano con autorità religiose non soggette al papa; racconta di segni tribali indelebili apposti sulla fronte dei neonati e persino di scimmie-arcieri. Quanto di tutto ciò corrisponda alla realtà storica lo stabiliranno ulteriori studi; la conferma potrebbe così aprire prospettive inedite. Giuliana Lomazzi
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NEL VENTRE DELLA TERRA
Le prime impronte di un'andatura carponi si trovano in Liguria e hanno 14mila anni.
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uattrordicimila anni fa, due adulti e tre bambini si avventurarono nei cunicoli più profondi della grotta della Bàsura, in Liguria, lasciando dietro di sé le prime impronte di andatora carponi mai ritrovate al mondo. La scoperta, promossa dalla Soprintendenza archeologica della Liguria, è stata effettuata da un team di ricercatori italiani. La grotta della Bàsura, nota dall’800, si trova sulla montagna di Toirano, un sito in provincia di Savona noto per le sue grotte preistoriche. Nel 1950 alcuni appassionati di speleologia scoprirono una serie di sale interne e delle impronte umane. Le ricerche continuarono nei decenni successivi, ma solo nel 2016 gli esperti individuarono le orme a carponi. In famiglia. I protagonisti dell’avventura, forse armati di torce e a piedi nudi, riuscirono a calarsi nella sala più profonda della grotta, la cosiddetta “Sala dei misteri”, a 400 metri dall’ingresso. L’analisi delle impronte sul terreno ha permesso di rivelare che i bambini che parteciparono alla spedizione erano piccoli: uno aveva circa 11 anni, uno 6 o 7 e l’altro meno di 3. Difficile dedurre che cosa possa avere spinto il gruppo a un’impresa così pericolosa. • Simone Zimbardi
FLASH CIVILTÀ PRECOLOMBIANE
FLASH INGHILTERRA ROMANA
STATUE MAGNETICHE
PENTOLA DI MONETE
Scienziati hanno scoperto che le sculture in pietra di 2.000 anni fa nella città di La Democracia (Guatemala) hanno proprietà magnetiche. Forse date da fulmini. 8
PALEOLITICO SUPERIORE
In Inghilterra è stata trovata una pentola di ceramica con oltre 3mila monete di epoca romana (IV secolo d.C.). Si tratterebbe forse di un’offerta cerimoniale.
FLASH NOVECENTO
DALLA VIVA VOCE DI...
La viva voce di Albert Einstein è riemersa dalle registrazioni di una conversazione del 1951 in cui lo scienziato parla di fisica, bomba atomica, musica e si mostra anche spiritoso.
IMPERO BIZANTINO
Il cuore di Hagia Sophia
All’avventura
La ricostruzione della spedizione effettuata 14.000 anni fa: avvenne in un cunicolo di 80 centimetri all’interno della grotta della Bàsura, in Liguria (a sinistra, in alto). A sinistra, in basso, la ricostruzione del passaggio con le impronte fossili trovate dagli archeologi.
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TAYFUN ONER, 2019
u per secoli il cuore della cristianità tardo-antica, il centro dell’impero, la basilica cristiana più grande fino alla ricostruzione di San Pietro nel Rinascimento. Ora la chiesa di Santa Sofia a Istanbul (l’Hagia Sophia dell’antica Costantinopoli) ha rivelato un nuovo segreto. Gli archeologi sono convinti di aver ritrovato il battistero perduto della cattedrale, quello in cui gli imperatori e i loro figli venivano battezzati con solenni cerimonie officiate dal patriarca d’Oriente. Battistero imperiale. Gli scavi hanno portato alla luce intorno alla chiesa una serie di edifici finora sconosciuti. Tra questi ci sarebbe il palazzo patriarcale della cattedrale, una biblioteca enorme, e il luogo dove sedevano gli imperatori durante le cerimonie, segnato da un punto esatto a forma di disco in porfido, sul quale l’imperatore romano d’Oriente veniva incoronato. E poi il cuore pulsante della stessa basilica imperiale, il grande battistero finora perduto, nel quale i nobili bizantini diventavano cristiani. Le lastre in marmo bianco hanno poi rivelato l’aspetto che aveva allora Santa Sofia, ben diverso da oggi. La cattedrale venne fatta costruire dall’imperatore Giustiniano tra il 532 e il 537 d.C. sul posto di un’omonima chiesa più antica e meno appariscente. Aldo Bacci
Ricostruzione del palazzo patriarcale della Basilica di Santa Sofia.
FLASH OTTOCENTO
IL FORTINO DEGLI SCHIAVI L’uragano Michael (ottobre 2018) ha svelato l’esistenza in Florida di Fort Gadsen, un sito occupato all’inizio dell’800 da una delle più grandi comunità di schiavi liberati.
FLASH EGITTO TOLEMAICO
TOMBA AFFOLLATA
Nella tomba di un alto funzionario egizio ad Akhmim (Egitto, IV-I secolo a.C.), sono stati trovati i resti mummificati di una cinquantina di animali: cani, gatti, falchi e persino topi.
FLASH CINQUECENTO
A CASA DEL POETA
La casa londinese di Shakespeare? Era nel ricco quartiere dei commercianti di cuoio, dove oggi sorge la Liverpool Street Station. Risulta dall’elenco dei contribuenti 1597-98. 9
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IMPERO ROMANO
LA SALA DELLA SFINGE STUPISCE
La Domus Aurea di Nerone svela un nuovo spazio.
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oma continua a sorprendere. È infatti tornata alla luce una sala finora sconosciuta della Domus Aurea, la sontuosa reggia che l’imperatore Nerone si fece costruire tra il 64 e il 68 d.C. La Sala della Sfinge, come è stata rinominata a causa di uno degli esseri raffigurati, conserva colorati affreschi in buono stato di conservazione. Sono stati i tecnici impegnati nel restauro della volta di un altro ambiente (la sala 72) a imbattersi nella scoperta. Davanti ai loro occhi sono comparsi pantere, centauri rampanti, creature acquatiche, uccellini, nonché una sfinge che si distingue solitaria su un piedistallo e si è meritata di dare il nome alla stanza. E poi, in riquadri bordati di rosso o di giallo oro, il dio Pan e un altro personaggio armato di spada, faretra e scudo. Il tutto tra decorazioni floreali e accenni di architetture. Sepolta. Le pitture ne ricordano altre già note, attribuite ai lavori della cosiddetta Bottega A. La sala ha pianta rettangolare e volta a botte anch’essa decorata, ed è ancora in gran parte sepolta dalla terra che vi fece gettare l’imperatore Traiano, che al di sopra vi costruì le terme. La soprintendenza ora deve valutare se nel prossimo futuro liberare l’intera sala. • Aldo Bacci
TRAPASSATI ALLA STORIA TONY
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Colpa delle freccette
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ell’Alaska del XVII secolo, 28 persone furono catturate e barbaramente massacrate, e il loro villaggio distrutto. Il motivo? Forse una partita a freccette finita male. Nel sito archeologico di Agaligmiut (in basso), archeologi dell’Università di Aberdeen (Scozia) hanno scoperto i resti di queste 28 persone, soprattutto donne, bambini e anziani. L’analisi degli scheletri ha rivelato i segni di una morte violenta: alcuni furono legati con corde e giustiziati; altri, sepolti a testa in giù, vennero trafitti alla testa con una lancia o una freccia. Negli occhi. Il massacro è forse da ricondurre alla “guerra dell’arco e della freccia”, come la chiamano gli storici: si tratta, secondo una leggenda locale, di un conflitto iniziato a causa di una partita a freccette. Un ragazzino colpì accidentalmente nell’occhio un compagno di giochi; il padre di questi, per vendetta, gli cavò gli occhi. Da qui iniziò una carneficina. Simone Zimbardi
Personaggi sconosciuti che sono stati, in vita, protagonisti. KAZUHIKO
MENDEZ
KATŌ
MING PEI
Fumettista
Architetto
Inventò nel 1967 Lupin III, personaggio dei fumetti nipote del celebre ladro e liberamente ispirato all’Arsène Lupin di Leblanc. Idea felice. Kazuhiko Katō cominciò l’attività nel 1965. Due anni dopo creò con lo pseudonimo Monkey Punch scelto dall’editore Futabasha (e da lui odiato) Lupin III, comparso sulla rivista Manga Action. Divenne popolare nel 1971 grazie ai disegni animati, di cui sono usciti film e serie tv. È morto a 81 anni.
A cura di Giuliana Lomazzi
IEOH
Agente della Cia Morto a 78 anni Tony Mendez, l’autore del piano concepito nel 1979 per far rimpatriare da Teheran sei dipendenti dell’ambasciata Usa, sfuggiti alla cattura da parte dei pasdaran, i guardiani della rivoluzione iraniana. Copertura hollywoodiana. I sei furono spacciati per diplomatici del Canada, in cerca di una location per un presunto film di fantascienza intitolato Argo. Dalla storia fu tratto nel 2012 il film omonimo. 10
SEICENTO
UNIVERSITY OF ABERDEEN
La Sala della Sfinge della Domus Aurea e, a sinistra, due particolari: una figura armata con pantera (in alto) e un centauro.
UFFICIO STAMPA PARCO ARCHEOLOGICO DEL COLOSSEO (3)
NOVITÀESCOPERTE
Famoso per la Piramide del Louvre (1989), in vetro e metallo, gli si devono anche il museo d’arte islamica di Doha e molti edifici, alberghi e musei in Nord America, Asia ed Europa. Vita movimentata. Nato in Cina, Ieoh Ming Pei studiò negli Usa, dove fu allievo di Walter Gropius e dove scelse di stabilirsi. Nel secondo dopoguerra cominciò disegnando grattacieli e nel 1955 aprì il suo studio. Si è spento all’età di 102 anni.
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IL MITO
Laocoonte
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ALBUM/E. VIADER/PRISMA/MONDADORI PORTFOLIO
a sua vicenda viene raccontata da Virgilio nell’Eneide. Quando i Troiani trovarono il famoso cavallo, Laocoonte presagì l’inganno e gli scagliò contro una lancia. Il gesto fu punito da Atena, che parteggiava per i Greci: la dea fece uscire dall’acqua due serpenti marini, che stritolarono i due figli di Laocoonte, e poi lui stesso, che era corso in loro aiuto. I Troiani interpretarono la morte di Laocoonte come segno divino, decisero quindi di introdurre il cavallo all’interno della città. Scultura. L’episodio è stato rappresentato in un celebre gruppo scultoreo ellenistico dall’alta intensità drammatica, il Laocoonte e i suoi figli (sotto), oggi conservato ai Musei Vaticani. Ritrovata a Roma nel 1506, l’opera influenzò l’arte rinascimentale italiana e in un secondo tempo la scultura barocca.
LA VIGNETTA
CHI HA PAURA DEI VACCINI?
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uesta illustrazione satirica di James Gillray, pubblicata il 12 giugno 1802, rappresenta la diffidenza diffusa nella società inglese verso il vaccino contro il vaiolo. Il timore, che oggi appare ridicolo, era che l’inoculazione potesse far “germogliare” negli esseri umani parti del corpo bovine. Tutto iniziò a metà del Settecento, quando il giovane Edward Jenner si recò nelle campagne inglesi, dove il vaiolo stava mietendo molte vittime. Jenner scoprì che una pastorella era immune dalla malattia perché aveva già contratto il vaiolo delle vacche, e quando divenne medico, una ventina d’anni dopo, se ne ricordò. Decise così, nel 1798, nonostante la disapprovazione generale, di tentare un esperimento che oggi sembra uscito da un film di fantascienza: estrasse il liquido dalle vesciche del vaiolo bovino e lo inoculò al figlio di un suo servitore. Dopo due mesi iniettò alla sua “cavia umana” anche del materiale infetto prelevato da un malato e il bambino non contrasse il morbo. Mucca pazza. Da questa sperimentazione empirica che oggi ci farebbe rabbrividire, nacque la leggenda che il vaccino contro il vaiolo potesse trasformare tutti in bovini. Per fortuna la paura non era contagiosa come la malattia e nella comunità scientifica prevalse la teoria di Jenner. Così il vaiolo è stato dichiarato completamente eradicato dall’Oms nel 1980.
PAROLE DIMENTICATE IL NUMERO
E N C H I R I D I O Dal tardo latino enchiridion (a sua volta dal greco encheiridion) indica un manuale o un libro di piccolo formato. 12
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Erano le bande di briganti presenti nel solo territorio della Basilicata intorno al 1880.
TO P T E N
SCALA
CHI L’HA DETTO?
10 RIVOLUZIONI FALLITE
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Relata refero
uesta frase latina significa “Riferisco cose riportate (da altri)”. E richiama un’analoga espressione greca utilizzata da Erodoto (sopra, nell’illustrazione di un busto pubblicata nel 1830) che, in quanto storico, si limitava a riportare quanto sentito, senza però sentirsi obbligato a crederci. Pensiero altrui. Chi oggi usa questa espressione – frequentemente impiegata in ambito giuridico – intende scaricarsi dalla responsabilità di ciò che sta dicendo, sottolineando che sta semplicemente riferendo quanto affermato da qualcun altro.
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TERZA RIVOLTA SERVILE (73-71 a.C.) Un esercito di schiavi, guidato da Spartaco, affrontò l’esercito romano di Marco Licinio Crasso, che ebbe la meglio: il ricordo dell’aspro scontro condizionò la politica romana. RIVOLTA DEI SOPRACCIGLI ROSSI (18-27 d.C.) Quando il Fiume Giallo straripò, allagando i campi, un esercito di contadini, che avevano come segno distintivo il colore dei sopraccigli (tinti di rosso), uccise l’imperatore Liu Xuan. CONGIURA DELLE POLVERI (1605) Il cattolico Guy Fawkes cercò di far saltare in aria Giacomo I, ma i barili di polvere da sparo furono disinnescati. I resti dei congiurati impiccati vennero sparsi “ai quattro angoli del regno”. RIVOLTA DI SHIMABARA (1637) Per protestare contro tasse e persecuzione dei cristiani, la popolazione di Shimabara si sollevò. La rivolta fu sedata da 125.000 uomini mandati dal governo giapponese.
A cosa serviva questo strumento piatto in ferro a forma di L (dal peso di 1,2 kg) con un’estremità cava? È stato Domenico Incidenti della provincia di Perugia a indovinare l’oggetto del numero scorso. Era un attrezzo usato per incidere la corteccia di pino e raccogliere la resina.
Aspettiamo le vostre risposte, indicando anche la località, a: Focus Storia, via Arnoldo Mondadori, 1 – 20090 Segrate (Mi) oppure a redazione@focusstoria.it
VOCABOLARIO SZ PHOTO/AGF
L’OGGETTO MISTERIOSO
WHISKEY REBELLION (1791-1794) Per pagare i debiti della Guerra d’indipendenza il governo mise una tassa sul whiskey che fece ribellare i contadini della Pennsylvania, repressi da un esercito di 13.000 uomini.
MONDADORI PORTFOLIO/AKG
ERODOTO
RIVOLUZIONE PERNAMBUCANA (1817) Giovanni di Braganza, re di Portogallo e imperatore del Brasile, 73 giorni dopo l’insediamento soffocò la rivolta dell’autoproclamata Repubblica di Pernambuco (Nord-est del Brasile). RIVOLTA DECABRISTA (1825) Alla morte dello zar Alessandro I il figlio Costantino abdicò in favore di Nicola I. I rivoltosi scesi in piazza nel mese di dicembre (decabrista) vennero uccisi o deportati in Siberia. RIVOLTA RUSSA DEL 1905 Considerata la “prova generale” della rivoluzione del 1917, nacque dalla repressione di una manifestazione per richiedere maggiori diritti civili davanti al Palazzo d’Inverno a San Pietroburgo. RIVOLTA UNGHERESE DEL 1919 La confisca dei raccolti ordinata dal rivoluzionario Bela Kun lo fece odiare dai contadini che 113 giorni dopo la sua nomina lo rovesciarono a favore degli anticomunisti romeni. LA NON RIVOLUZIONE BOLIVIANA (1967) Che Guevara cercò di esportare la sua idea di rivoluzione in Bolivia ma, accolto con diffidenza dagli agricoltori locali e dal Parito comunista boliviano, fu catturato e ucciso.
CECCHINO ll termine deriva da Cecco Beppe, come era soprannominato, fin dal periodo del Regno Lombardo-Veneto, Francesco Giuseppe I d’Asburgo (1830-1916). Durante la Grande Guerra (a sinistra), i militari italiani lo utilizzavano in modo dispregiativo riferendosi ai tiratori scelti austroungarici, che non affrontavano il nemico corpo a corpo, ma lo puntavano da lontano e a sorpresa. 13
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UNA GIORNATA DA... A cura di Maria Leonarda Leone. Illustrazione di Claudio Prati
GUERRIERO POWHATAN TENAKOMAKAH 24 NOVEMBRE 1607
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l mio nome è Kocoum, sono un guerriero della tribù dei Powhatan. Brutti presagi mi hanno tenuto sveglio tutta la notte e mi sono alzato prima del sorgere del sole per andare a schiarirmi le idee nell’acqua ghiacciata del fiume. Chissà se le mie figlie ancora dormono... Osservo il wigwam, la nostra capanna: ricordo bene quando tirai su i grandi pali di betulla che la sorreggono. Fu mia moglie Matoaka a stendere la corteccia per coprire quella struttura di legno. Dall’apertura lasciata nel soffitto a cupola adesso sta uscendo del fumo: Matoaka deve aver acceso il fuoco. Nell’aria sento il profumo della sua zuppa dolce di mais e sciroppo d’acero: vorrei entrare a prenderne una scodella, ma non posso far aspettare gli altri. Dobbiamo andare a caccia nei boschi, ma non prenderemo niente di più di quanto sia necessario a sfamare la tribù: la Terra non ci appartiene, noi siamo solo i suoi custodi.
La partenza. Mi avvicino al gruppo di uomini in partenza: sono armati di clave, cerbottane, arco e frecce. Prendo anch’io un arco e ci mettiamo in cammino. “Noshi! Padre!”. È la mia piccola Sokanon: “Mi porterai un altro paio di mocassini ricamati?”. Le sorrido: non si toglie quasi mai quelle scarpe che le ho portato tornando da una spedizione in un villaggio irochi. “Vado a caccia, non in guerra”. Lei mi abbraccia e scappa via: “A stasera, allora!”, mi dice mentre afferra al volo una cesta di fibre intrecciate e si unisce alle donne dirette nei campi. Vanno a raccogliere le ultime pannocchie di mais rimaste e le zucche. La tribù può contare anche su una bella scorta di fagioli secchi e noci, ma alla carne dobbiamo pensare noi uomini. Seguendo il corso del fiume, incrociamo un paio di canoe: tra i rematori riconosco il più giovane, Wetamoo. Diventa rosso appena mi vede e mi fa un gran sorriso: so che vorrebbe sposare mia figlia più grande, ma non è me che deve convincere... Gli faccio un cenno col capo e mi allontano dalla riva, addentrandomi nel bosco. Ho visto qualcosa muoversi nella penombra: potrebbe essere un cervo! Comincio a seguirne le tracce. Dopo un po’ lo vedo: sta brucando l’erba in una radura. I miei compagni non ci sono, ma io ce l’ho sotto tiro. Sto per scoccare la freccia, quando lui con un balzo scappa via... sento delle voci in lontananza. Non capisco cosa dicono: parlano una lingua strana, di sicuro diversa dal powhatan. Seguo i rumori e quando sono abbastanza vicino mi fermo: in lontananza mi pare di scorgere una palizzata. Dev’esserci un accampamento! 14
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L’incontro. Vedo uomini bianchi che fanno la guardia, imbracciando degli strani bastoni: mi arrampico su un albero vicino, per dare un’occhiata dall’alto. Una strada polverosa passa in mezzo a malconce baracche di legno: gli abitanti sono magri e malridotti. Poi la mia attenzione cade su un uomo biondo, forse il loro capo: sta discutendo con i due uomini che ho visto poco fa. Sono agitati, si guardano in giro sospettosi: forse mi hanno sentito.
Scendo a terra e raggiungo il mio gruppo: loro non hanno visto nessuno qui intorno, ma sono riusciti a uccidere il cervo, oltre a due castori, alcune martore, conigli, scoiattoli e qualche topo muschiato. Mentre torniamo al villaggio rimango in silenzio: voglio prima parlare con il nostro saggio Capo Wahunsonacock, che comanda sulla Confederazione di 30 tribù che vive a Tenakomakah, la “Terra densamente abitata” (l’attuale parte orientale dello Stato
LA COLONIZZAZIONE CHE SPAZZÒ I NATIVI ■ Tra ’500 e ’600, spagnoli, francesi e inglesi arrivarono in Nord America. All’epoca i nativi erano circa 12 milioni. I coloni inglesi fondarono il loro primo insediamento stabile
(Jamestown) nell’odierno Stato della Virginia. ■ All’inizio i rapporti con i nativi furono buoni: la tribù Powhatan aiutò i coloni a sopravvivere,
della Virginia). “Dovremmo aiutare quegli uomini: non possono farcela senza di noi: se non li sfamiamo, non riusciranno a passare l’inverno. Hanno scelto un pessimo luogo per insediarsi”, gli dico quella sera stessa. La sua espressione è seria e preoccupata: con aria grave mi assicura che ci penserà e poi informerà noi guerrieri della sua decisione. Tornando al mio wigwam, incontro Sokanon, intenta a scuoiare e ad affumicare la carne
portando cibo e insegnando loro come coltivare il mais. Ma quando i bianchi cominciarono ad appropriarsi delle loro terre e dei raccolti, scoppiò la guerra. Alla fine i nativi furono sterminati.
appena cacciata. Domani toccherà alle donne conciare le pelli, ma ora il sole sta calando: è tempo di mangiare e stringersi intorno al fuoco per ascoltare i racconti degli anziani. Quando la luna comincia a splendere alta in cielo, Pocahontas, la figlia di Capo Wahunsonacock intona un canto dolcissimo e le altre donne si uniscono a lei. Ora ne sono sicuro: sarà Manitou, il Grande Spirito creatore di ogni cosa, a dirci che cosa fare.
■ La resa dell’ultimo nativo ribelle, Geronimo, e dei suoi Apache avvenne nel 1886. Alla fine dell’800, i pochi sopravvissuti (circa 250mila) vennero rinchiusi nelle riserve.
Sono agitati, si guardano in giro sospettosi: forse mi hanno sentito...
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CHI L’HA INVENTATO? A cura di Matteo Liberti. Illustrazioni Gianpietro Costa
ASCENSORE Dalle gabbie per far salire le fiere nel Colosseo, passando per la “sedia volante” di Luigi XV, fino al prototipo di elevatore presentato al Crystal Palace di New York, ecco le tappe che ci hanno portato ai “piani alti”.
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l primo ascensore per il trasporto di passeggeri degno di questo nome entrò in funzione il 23 marzo 1857 a New York, all’interno dei grandi magazzini Haughwout & Co, grazie all’ingegno dell’industriale Elisha Graves Otis. Il suo merito fu quello di aver messo a punto un rivoluzionario dispositivo di sicurezza destinato a cambiare la storia di questi apparecchi, i cui esemplari dell’epoca, funzionanti a vapore o con stantuffi idraulici, avevano spesso causato tragici incidenti. Presentato nel 1853 al Crystal Palace di New York, il dispositivo di Otis era in grado di bloccare la cabina in caso di rottura dei cavi, impedendo che si sfracellasse a terra. Il congegno prevedeva delle grandi molle collegate alla piattaforma di sollevamento, mantenute in trazione dai cavi che tenevano l’abitacolo. Se questi si rompevano, le molle schizzavano fino a incastrarsi nel vano dell’ascensore (dotato di piastre con denti metallici, in modo che l’incastro fosse perfetto) portando al suo arresto. Iniziò così lo sviluppo dei moderni ascensori, che si accompagnerà a una crescita in altezza degli edifici. Le origini di questo apparecchio, però, risalivano a tempi molto più antichi.
Elisha Graves Otis
L’industriale statunitense disegnò e installò il primo montacarichi fornito di un congegno automatico di sicurezza nel 1852, ma gli ordini non arrivavano. Solo nel 1853, grazie alla dimostrazione della sua invenzione durante l’Esposizione Universale al Crystal Palace di New York, la sua idea ebbe successo. Nel 1857 installò il primo ascensore adibito al trasporto passeggeri. 16
Tra argani e contrappesi. Una delle prime testimonianze di rudimentali ascensori destinati al trasporto di oggetti risale al I secolo a.C. e si trova negli scritti dell’architetto romano Vitruvio, il quale accennava a macchinari ideati addirittura due secoli prima (attorno al 263 a.C.) da Archimede di Siracusa. Piattaforme con funzioni di ascensore furono in seguito usate nel Colosseo per far salire le gabbie con le belve dai sotterranei fino all’arena dove le aspettavano i gladiatori. Queste strutture, presenti a decine nelle viscere dell’anfiteatro (e in grado di trasportare leoni, tigri, orsi e altri grandi animali come anche pesanti scenografie), funzionavano grazie a una serie di contrappesi, carrucole e argani azionati a mano dagli schiavi.
A Roma, nel Colosseo si trovavano piattaforme usate per far salire le gabbie con le belve dai sotterranei fino all’arena.
Nel ’700 Luigi XV fece installare nella reggia di Versailles una “sedia volante” che si muoveva all’interno di un vano ricavato nelle pareti.
Anche la reggia di Caserta si dotò di un montacarichi il cui movimento era assicurato da un sistema di ruote dentate.
Sistemi analoghi, destinati al sollevamento di materiali, videro la luce nel Medioevo, nei cantieri delle cattedrali, ma fino al XVIII secolo non si registreranno evoluzioni degne di nota. Dopodiché, un nuovo, curioso antenato dell’ascensore irruppe sulla scena con Luigi XV, re di Francia dal 1722 al 1774, il quale si fece costruire nella reggia di Versailles una chaise volante, o “sedia volante”, piccolo montacarichi collegato alla sua camera e usato per introdurvi furtivamente le amanti. Nel dettaglio, si trattava di una comoda sedia fissata a una piattaforma che, grazie a un semplice sistema di contrappesi, poteva portare una persona dal pianoterra ai piani superiori, muovendosi all’interno di un vano ricavato nelle pareti.
Nel 1853 la sensazionale dimostrazione di Otis: il suo dispositivo era in grado di bloccare la cabina anche in caso di rottura dei cavi.
Dal 1857 l’ascensore si diffuse anche in Italia, i modelli più lussuosi erano arredati come salotti, con divanetti e lampadari.
Nel 1880 l’inventore tedesco Werner von Siemens (nell’ovale) mise a punto un ascensore ad alimentazione elettrica.
I primi a motore. La sedia volante apparve a fine Settecento anche in Russia, nel Palazzo d’Inverno di San Pietroburgo (mossa da un meccanismo basato su un grande perno a forma di vite), e nel Regno delle Due Sicilie, per l’esattezza nella reggia di Caserta (qui il movimento era assicurato da un sistema di ruote dentate da azionare a mano). Nel frattempo, in piena rivoluzione industriale, iniziarono a essere perfezionati nuovi ascensori alimentati con l’energia del vapore o con quella idraulica. Nel primo caso, i motori a vapore muovevano i cavi di sostegno dell’abitacolo, mentre nel secondo era l’acqua, inserita in lunghi cilindri posti sotto la cabina, a generare la forza motrice utile a sollevare quest’ultima (grazie alla pressione di uno stantuffo). L’uso degli apparecchi di nuova generazione riguardò in particolare le aree industriali, come porti e miniere. Gli incidenti erano però frequenti, talvolta si perdeva qualche carico, ma anche vite umane: perciò, fino alla prima metà dell’Ottocento, gli ascensori rimasero preclusi ai passeggeri. Sempre più in alto. A cambiare le cose ci pensò Otis con il suo innovativo sistema di bloccaggio, che presentò all’Esposizione Universale di New York del 1853 tagliando i cavi di un ascensore di fronte a decine di spettatori, stupiti nel vederne “miracolosamente” interrotta la caduta. A partire dal 1857, la diffusione degli ascensori per il trasporto di persone iniziò quindi a diffondersi, e dal 1870 questi apparecchi giunsero anche in Italia (il primo fu installato nell’albergo Costanzi di Roma). Un’ulteriore novità arrivò con l’ascensore ad alimentazione elettrica, messo a punto nel 1880 dall’inventore tedesco Werner von Siemens (in Italia giunse nel 1904, sempre a Roma, in Palazzo Barberini). Dagli anni Venti, grazie a nuovi congegni automatici, gli ascensori iniziarono a essere impiegati senza manovratori, fino ad allora indispensabili, diventando sempre più accoglienti: i modelli più lussuosi erano arredati come salotti, con divanetti, moquette ed eleganti lampadari. Nei decenni seguenti arrivarono altre novità, come l’apertura automatica delle porte. Si registrò un generale aumento della sicurezza e, soprattutto, della velocità, che nei modelli più evoluti, installati in grattacieli di centinaia di metri, può oggi sfiorare i 70 km orari (il prototipo di Otis non arrivava a 1 km/h), con sistemi di regolazione della pressione dell’aria simili a quelli degli aerei. L’ascensore è diventato oggi il “mezzo di trasporto” più sicuro al mondo nonché il più utilizzato. In suo onore, a New York, dove tutto iniziò, c’è persino un museo, gestito dalla Elevator Historical Society. L’ascensore inoltre ha avuto anche un importante impatto sociale e urbanistico: mutando i “valori” dei vari piani degli edifici. Fin dai tempi antichi, infatti, nei palazzi di grandi dimensioni, i piani alti erano destinati alle fasce basse della popolazione, mentre quelli bassi risultavano più ambiti e ospitavano i benestanti. Oggi invece è tutto l’opposto. 17
MONDI PARALLELI IMPERO DI CARLO V ESTENSIONE 13 milioni di km2 (Europa e Americhe) REGNO DI CARLO V 40 ANNI (1516-1556)
SOCIETÀ E STATO Il Sacro romano impero, quando nacque Carlo V (a destra, ritratto dal fiammingo Bernard van Orley), non era ancora una monarchia ereditaria appannaggio esclusivo degli Asburgo. Il potere imperiale derivava infatti dai principi elettori, che lo scelsero come sovrano tedesco nel 1519. Già re di Spagna e di Napoli, fu incoronato re d’Italia nel 1530, dopo aver sconfitto il sovrano francese, Francesco I, a Pavia. Governare questo puzzle di regni richiedeva una macchina complessa, che tenesse conto di leggi, usanze e poteri locali. Motori di questa macchina erano due segreterie distinte: una si occupava della Spagna, dell’Italia e del Nuovo Mondo, l’altra amministrava Borgogna, Germania, Franca Contea e Paesi Bassi. I territori sottoposti alla corona imperiale erano affidati a reggenti e governatori. Siccome tutte le decisioni importanti venivano prese dall’imperatore, gli affari di Stato passavano attraverso una fitta rete diplomatica e di funzionari. La corrispondenza fra l’imperatore e i governatori, compresi i viceré del Nuovo Mondo, era fittissima e richiese lo sviluppo di una burocrazia tentacolare e costosissima. Secondo l’espressione degli storici, l’impero di Carlo V era dunque uno Stato “a sovranità condizionata”. Non era una nazione con una sola legge valida in tutto il regno, come erano invece già, all’epoca, l’Inghilterra o la Francia. 18
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ALLA CARLO V E D di Aldo Carioli
a una parte Carlo V d’Asburgo (1500-1558), imperatore del Sacro romano impero e difensore della cristianità. Dall’altra Solimano il Magnifico (1494-1566), sultano dell’Impero ottomano e condottiero di un islam che minacciava i confini d’Europa. Due campioni in un presunto “scontro di civiltà” al loro apogeo? Una narrazione efficace, esaltata dal figlio di Carlo V, il cattolicissimo Filippo II di Spagna. Ma non del tutto vera. A cominciare dall’idea di un imperatore d’Asburgo al centro di un regno sul quale, dall’Europa alle Americhe, “non tramontava mai il sole”.
Puzzle politico. L’impero di Carlo V, proprio perché immenso, non era certo compatto. Era un patchwork di regni, quasi tutti riottosi, che Carlo mise insieme “a rate”. Prima grazie alle politiche matrimoniali del nonno, Massimiliano I d’Asburgo, poi con la guerra e il denaro. Di suo possedeva i piccoli ma ricchissimi Paesi Bassi, la Franca Contea e la Borgogna. In Germania il titolo elettivo di sovrano fu invece pagato nel 1519 a peso d’oro, in denaro e privilegi. Con l’eredità della madre, Giovanna la Pazza, e del nonno materno arrivarono la Spagna con le colonie d’America, oltre al Regno di Napoli, Sicilia
Carlo V e Solimano il Magnifico: due diversi modi di amministrare il potere nei due regni più importanti del ’500.
IMPERO OTTOMANO ESTENSIONE 5 milioni di km2 REGNO DI SOLIMANO 46 ANNI (1520-1566)
SOCIETÀ E STATO
CORTE DI
SOLIMANO e Sardegna. Con la guerra mise le mani sul Ducato di Milano. Ambiziosi. Carlo e Solimano avevano un programma politico per certi versi simile: imporsi, con le armi o con la diplomazia, come potenza egemone. In altre parole, fondare un impero universale. Mantenere il potere per quarant’anni, per Carlo V, fu però più difficile che per Solimano. In Germania affrontò una crisi religiosa senza precedenti: con l’inizio della Riforma di Martin Lutero (1517), i principi tedeschi si divisero fra cattolici fedeli al papa e protestanti luterani. Carlo stava con il papa, ma non poteva
perdere l’appoggio di quei principi che lo avevano scelto come re. La sua abilità diplomatica portò una sostanziale libertà di culto per i potenti signori tedeschi, ma solo dopo una devastante guerra civile fra cattolici e protestanti. In Spagna Carlo fu invece osteggiato dall’aristocrazia castigliana, che lo considerava uno straniero. Solimano non ebbe questi problemi interni. Avviò una politica di espansione basata sulla forza militare. Con Carlo V si scontrò, ma agli “infedeli” scrisse anche lettere diplomatiche e alla fine stabilì una tregua (senza aver mai perso un centimetro di territorio). •
Il Regno ottomano, chiamato anche Sublime Porta, era una monarchia assoluta ereditaria e centralizzata: nessuna istituzione o potere mediava la volontà del sovrano. Il primo sultano era stato Othman I, condottiero di etnia turca che nella seconda metà del Duecento dall’Anatolia conquistò rapidamente i territori bizantini. Eccezionali guerrieri, i turchi penetrarono nei Balcani, nel 1453 presero Costantinopoli mettendo fine al millenario Impero bizantino ed estesero il loro dominio fino all’Egitto. Solimano (a sinistra, ritratto nel 1552 da Cristofano dell’Altissimo), infine, estese i possedimenti ottomani verso nord, nell’attuale Ungheria. Anche quello ottomano era dunque uno Stato formato da popoli diversi. Se l’Occidente era tutto cristiano, ma sempre più dilaniato dai conflitti tra protestanti e cattolici, il mondo ottomano comprendeva musulmani e cristiani ed era per molti aspetti più multiculturale dell’Occidente. Al vertice dello Stato ottomano c’era il sultano, sotto di lui i sovrani degli Stati vassalli, i bey. A differenza di quanto accadeva in Occidente, nella società ottomana la nobilità di nascita non contava molto. I posti di comando non erano riservati all’aristocrazia, che non esisteva, ma andavano a chi sapeva conquistarseli o con la forza o con il favore del sultano. Era in fondo una società più meritocratica di quella dell’Europa del ’500. Molte caselle del potere, al tempo di Solimano, erano occupate da cristiani convertiti di famiglie povere o ex schiavi. 19
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ECONOMIA
IL PALAZZO REALE
ESERCITO
G
I
L’
uerre e amministrazione del regno di Carlo costavano moltissimo: a rimpinguare le casse contribuivano le colonie in America con flussi di argento e oro. Questo però alimentò l’inflazione: una miscela esplosiva, quella tra debito e corsa dei prezzi, che con il successore di Carlo, Filippo II, portò la Spagna sull’orlo della bancarotta. Economicamente parlando, era un impero a due velocità. La Spagna era ricca grazie alle colonie, ma era dominata dalla proprietà terriera e dal latifondo (idem nel Regno di Napoli e in Sicilia). I Paesi Bassi e l’Italia delle signorie, come le città portuali della Germania, erano invece la patria del capitale, dell’iniziativa privata, di mercanti e banchieri.
esercito di Carlo V si basava sulla forza dei mercenari, lanzichenecchi in primis. Furono loro i protagonisti delle guerre vinte in Italia contro i francesi, nonché i responsabili del sacco di Roma (1527). In Spagna Carlo V organizzò i Tercios, reparti di fanteria composti da soldati di professione considerati il primo esercito “moderno”. In mare, Carlo V si concentrò sul Nuovo Mondo, dove emersero i brutali ma utili conquistadores Pizarro e Cortés. Nel Mediterraneo, il contrasto agli Ottomani era affidato a genovesi e veneziani. Che però muovevano le loro galee solo in base ai propri interessi, e comunque a caro prezzo. Tra mercenari e accordi con le potenze marinare, il conto delle guerre di Carlo V fu salatissimo, ma lo pagò chi venne dopo di lui.
l regno di Carlo V non ebbe mai una capitale. Seguendo una tradizione che risaliva a Carlo Magno, la sua era una corte itinerante: la capitale era dove si trovava il monarca in quel momento. Dopo il matrimonio con la cugina Isabella d’Aviz del Portogallo (in basso), nel 1526, Carlo V fece però costruire un nuovo palazzo nell’Alhambra di Granada, in Andalusia. Perché proprio lì? Anche per motivi propagandistici: Granada era stata l’ultima città araba a cadere, nel 1492 dopo l’assedio dei re cattolici, Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona. Un evento che pose fine a sette secoli di dominazione musulmana in Spagna. E poi era meglio presidiare la Spagna, dove l’aristocrazia lo tollerava a stento: quel palazzo era un modo per mettere in chiaro chi comandasse. Con le abdicazioni di Carlo V a favore del fratello Ferdinando e del figlio Filippo (1556) la fragile unità dell’impero andò in frantumi e anche l’Alhambra perse importanza. Filippo II, nuovo sovrano di Spagna, fece costruire la reggia-monastero dell’Escorial. Ma a Madrid, nel cuore della Castiglia, dove la cattolicissima Spagna trovò finalmente la sua capitale.
SACRO ROMANO IMPERO
IMPERO DI CARLO V I territori di Carlo fino all’abdicazione (1556). Nella cartina non sono indicate le colonie d’America.
SPAGNA
Vienna
Roma
Isabella d’Aviz, moglie di Carlo V, in un quadro di Tiziano (1548).
Atene
Tunisi M A R
Carlo V in una medaglia realizzata in occasione dell’incoronazione a imperatore (1530).
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M E D I T E R R A N E O
milioni di ducati il debito della Spagna alla morte di Carlo V
22
tonnellate d’oro estratte in America fra il 1493 e il 1529
1519 Imperatore del Sacro romano impero 1500 Nasce a Gand (Fiandre)
1494
1500
1494 Nasce a Trebisonda, sul Mar Nero
1516 Re d’Aragona e di Castiglia
CARLO V
1505 SOLIMANO
1525 Vittoria nella Battaglia di Pavia e cattura di Francesco I di Francia
1510
1515
1520
1520 Diventa sultano alla morte del padre Selim I 1522 Conquista di Rodi, base navale strategica
1525 1526 Conquista dell’Ungheria
1530 1529 Primo assedio di Vienna
ECONOMIA
IL PALAZZO REALE
ESERCITO
N
S
S
ei forzieri ottomani entravano soprattutto i bottini di guerra e i tributi degli Stati vassalli, tenuti a pagare in cambio di protezione o di un patto di non aggressione. A contribuire così alle casse della Sublime Porta fu persino Carlo V. La Tregua di Adrianopoli (1547) concedeva agli Ottomani il controllo sull’Ungheria e obbligava gli Asburgo a versare 30mila fiorini d’oro ogni anno per mantenere i propri domini in terra ungherese. Poi c’erano i commerci ottomani, che arrivavano all’oceano Indiano e oltre, fino in Cina. Con la scoperta dell’America (1492) il baricentro degli affari si era spostato verso l’Atlantico, ma almeno fino al ’600 la rotta commerciale d’Oriente rimase assai redditizia. Soldi poi spesi per la corte, l’esercito e la flotta ottomana.
otto Solimano la civiltà ottomana raggiunse l’apogeo. E il palazzo Topkapi a Istanbul, l’antica Costantinopoli conquistata dai turchi nel 1453, ne diventò il cuore. Il nome Topkapi (“Cancello del cannone”) gli fu però dato nell’800, mentre ai tempi di Solimano si chiamava Yeni Saray, il “Nuovo palazzo”. Qui risiedeva il sovrano con la sua corte e qui si riuniva il Divan, il governo ottomano. Il palazzo sorse nell’area dell’antico palazzo degli imperatori bizantini, affacciato sul Bosforo. E proprio Solimano, circa mezzo secolo dopo la conquista ottomana, cominciò ad ampliarlo. Nacque così il complesso di edifici che oggi è un museo, con le sue ricche sale di rappresentanza e l’harem dove vivevano mogli e concubine del sultano, servite e sorvegliate dagli influenti eunuchi. Un ruolo chiave – forse anche nel governo del regno, certamente in quello del palazzo – ebbe la concubina più amata da Solimano, la slava Roxelana poi diventata sua moglie (in basso). La vita a corte era nel segno della raffinatezza. Lo stesso Solimano era un appassionato poeta e molti dei 600 “artisti di Stato” censiti nel 1525 lavoravano per lui.
La corte di Carlo V era itinerante. Solimano, invece, comandava dal suo palazzo di Istanbul MAR NERO
ulla terraferma, il reparto d’élite era la fanteria dei giannizzeri. Erano prigionieri di guerra e tra loro c’erano molti ragazzi e bambini cristiani catturati dai corsari al servizio dei sultani o dagli Stati vassalli. Venivano convertiti all’islam e addestrati alla guerra, quindi erano soldati professionisti e non mercenari. Erano talmente fidati ed efficienti da essere impiegati come guardia personale del sultano. Molti di loro fecero carriera, diventando personaggi influenti: l’architetto-capo di Solimano, Mimar Sinan, era stato un giannizzero. In più, il sistema di reclutamento tra i prigionieri, applicato anche in altri settori, riduceva i costi delle guerre. Con Solimano la flotta, organizzata dal suo predecessore, fu ulteriormente potenziata: gli Ottomani diventarono i padroni del Mediterraneo Orientale, anche grazie all’uso dei primi cannoni sulle loro navi. A contrastarli erano quasi soltanto i veneziani.
IMPERO OTTOMANO L’estensione dell’Impero ottomano nel 1566, data della morte di Solimano.
MAR CASPIO
Istanbul IMPERO OT TOMANO Solimano in una medaglia di bronzo dell’epoca.
Baghdad
Roxelana, moglie di Solimano, ritratta da Tiziano (1550).
Damasco
400.000
Gerusalemme
gli abitanti di Costantinopoli all’inizio del regno di Solimano
Cairo EGIT TO
Medina MAR ROSSO
700.000 gli abitanti di Costantinopoli alla fine del ’500
1558 Muore nel monastero di Yuste, Spagna
Mecca
1556 Abdicazione
1535
1540
1545
1550
1555
1560
1565
1566 Muore in Ungheria nella guerra contro Massimiliano II d’Asburgo
1570
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NOVECENTO Usa e Urss rinchiusero i loro scienziati in centri inaccessibili. Obiettivo: creare l’atomica.
CITTÀ
CHIUSE
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di Arianna Pescini
Qui non si passa
Checkpoint a Los Alamos, la cittadella scientifica in New Mexico costruita nel 1942 per accogliere gli scienziati del “Progetto Manhattan” per lo sviluppo del nucleare. Nella pagina accanto, la stazione di Krasnojarsk, città nucleare dell’Urss.
GUY LE QUERREC/MAGNUM/CONTRASTO
N
el 1954, in piena Guerra fredda, gli abitanti di Novouralsk, in Russia, avevano sulle loro tavole cibi introvabili per quel periodo: carne, caviale tra i più pregiati, cioccolata. Ricevevano la migliore assistenza sanitaria e un’ottima istruzione per i figli; frequentavano cinema e circoli culturali. Ma nessuno sapeva della loro esistenza. Perché Novouralsk era una delle tante città chiuse (e in questo caso anche segrete) che dalla metà degli anni Quaranta, in Unione Sovietica così come negli Stati Uniti, furono destinate allo sviluppo dell’industria militare e nucleare. Città modello isolate dal mondo esterno, precluse agli stranieri e a chi non aveva un lasciapassare. Nella fanatica corsa al primato nucleare mondiale, lo Stato mandò a lavorare lì scienziati, impiegati, manovali e tecnici con famiglie al seguito.
IL SISTEMA SOVIETICO. Le città chiuse dell’Urss, alcune con nomi “in codice” per camuffarle meglio, erano decine, e sopravvissero almeno fino al crollo del regime comunista. Oggi ne restano una quarantina, indicate come “formazioni amministrativo-territoriali chiuse”. Grossi centri strategici dal
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CORBIS VIA GETTY IMAGES
Alcune città chiuse sovietiche erano anche segrete: non Contaminati
Celjabinsk-40, oggi Ozërsk, tuttora città chiusa. Fondata nel 1945, ospitava fabbriche in cui si lavorava plutonio o uranio arricchito (nell’altra pagina, il modellino di un altoforno mostrato, sempre a Celjabinsk, a giovani studenti negli Anni ’70). A sinistra, Andrej Sacharov e la moglie Elena Bonner: lo scienziato finì in esilio nella città chiusa di Gor’kij.
punto di vista industriale, aree di confine sensibili o agglomerati creati dal nulla per ospitare impianti chimici e atomici, di nascosto dal mondo. «È importante distinguere tra città chiuse segrete, nate intorno al progetto nucleare sovietico, e città chiuse “classiche”, vietate agli stranieri ma note, in genere più grandi», spiega Andrea Graziosi, docente di Storia contemporanea all’Università di Napoli. «Le prime non comparivano sulle mappe e furono spesso costruite con In Urss le città il lavoro forzato, in chiuse segrete avevano uno strano mix di nomi futuristici, scienza e schiavitù; le la minaccia, in caso di composti da quelli della seconde, come Perm’, località più vicina affiancati opposizione, di vedersi Vladivostok o Gor’kij sequestrare libretto di a un numero di codice (oggi Nižnij Novgorod) lavoro e passaporto (non postale: Sverdlovsk-44, erano apparentemente averli significava arresto Arzamas-16, più “normali”, già o esilio). Un biglietto in Celjabinsk-40 abitate da chi era nato mano, pochi bagagli e la o aveva un impiego lì». responsabilità, inculcata Il piano di Stalin era chiaro: la Russia dallo Stato, di compiere il bene della doveva primeggiare in ogni settore, e patria. Con loro arrivarono anche ex per farlo erano necessarie forza lavoro e prigionieri e dissidenti politici. le migliori menti a disposizione. Attraverso posti di blocco e la stretta sorveglianza dei servizi segreti del Kgb, FILO SPINATO E VODKA. il regime mise sotto controllo i pensieri Centinaia di migliaia di lavoratori, e le vite degli abitanti delle città chiuse: fisici, chimici e scienziati (anche se per entrarvi bisognava avere un pass stranieri) raggiunsero le città chiuse in (concesso, neppure così facilmente, breve tempo: molte famiglie vennero a parenti o per motivi di lavoro), trasferite da un giorno all’altro, senza anche comunicare all’esterno diventò poter nemmeno salutare i parenti, con impossibile. Nessuna informazione 24
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doveva uscire dalla città: «Il ricorso all’estrema segretezza era in parte dettato dal fatto che si trattava di siti sensibili di sperimentazione, per esempio delle armi, ma in parte anche dall’ossessione per la sicurezza e la fobia per gli stranieri che caratterizzò l’Urss sin dai tempi di Stalin», aggiunge Alberto Basciani, docente di Storia dell’Europa Orientale all’Università di Roma Tre. L’Unione Sovietica cercò di comprare il silenzio e la riservatezza dei cittadini con una serie di privilegi e comodità: «I lavoratori e le loro famiglie avevano ottimi salari e benefit impensabili per il resto della popolazione», conclude.
SPETTRO ATOMICO. Ancora più attenzione lo Stato riservava alle città
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c’erano sulle mappe e si lavorava di nascosto al nucleare
Bruno Pontecorvo, un italiano in Urss
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u uno dei più stretti collaboratori di Enrico Fermi e lavorò in Europa e Stati Uniti, ma nel 1950 lasciò tutto per andare in Urss (nella foto, in posa davanti al Teatro Bolshoi, a Mosca). Il fisico toscano Bruno Pontecorvo (1913-1993), nato da una famiglia di fede ebraica, decise di trasferirsi con moglie e figli nella città chiusa di Dubna, a 125 km da Mosca, per proseguire le ricerche sulle particelle ad alta energia, e vi restò fino alla morte. La sua scelta, fatta di nascosto da amici e parenti e dettata anche dall’adesione all’ideologia comunista, destò scalpore nel mondo. Sorvegliati speciali. Come scrisse la giornalista Miriam Mafai nel libro Il lungo freddo (Bur), la vita nella città era simile a quella di un campus americano, ma con in più le limitazioni e i controlli stretti a cui Pontecorvo e la famiglia erano sottoposti: «Non poteva uscire di casa senza essere accompagnato». Lo scienziato, fin da subito, venne accolto in Russia con tutti gli onori, ma di fatto rimase isolato per anni: riapparve in pubblico nel 1955, in una conferenza stampa, e poté andare all’estero solo dal 1978. 25
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Negli Stati Uniti non si potevano nemmeno pronunciare A pieno ritmo
chiuse “nucleari” (Celjabinsk-40, Krasnojarsk-26 ecc.), in cui venivano lavorati plutonio o uranio arricchito. I loro abitanti vissero e morirono per decenni in aree altamente contaminate dalle radiazioni; un orrore che molti sopportarono, storditi dall’apparente benessere che li circondava. «La maggior parte delle persone viveva in comodi appartamenti con tre camere e aveva un’automobile. La criminalità era inesistente. Ma non si poteva uscire dai confini e la domenica si faceva il bagno in un lago di plutonio», racconta la storica 26
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Kate Brown nel libro Plutopia (Oxford University Press, in inglese) parlando di Celjabinsk-40 (l’attuale Ozërsk), costruita nel 1947 nella foresta degli Urali e ancora oggi “chiusa”.
SEQUESTRATI D’ORO. In queste gabbie dorate finirono anche scienziati famosi e specializzati nel nucleare. Il fisico Lev Altshuler abitò con moglie e tre figli ad Arzamas-16 (oggi Sarov), la culla dell’atomica, dove fino al 1969 lavorò alla bomba a idrogeno insieme a illustri colleghi: “Le nostre famiglie non avevano bisogno di nulla. Tutti i
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Sotto, nel 1945 il cambio turno in uno stabilimento in cui si lavorava l’uranio arricchito a Oak Ridge (a destra, la città del Tennessee, sito di produzione per il “Progetto Manhattan”, vista dall’alto). A Los Alamos (New Mexico) visse invece anche il fisico italiano Enrico Fermi (sotto a destra, con la moglie).
problemi materiali erano eliminati”, scrisse. Ma vissero “reclusi” anche il padre della bomba atomica sovietica Igor Kurchatov, l’italiano Bruno Pontecorvo (v. riquadro nelle pagine precedenti) e il fisico nucleare Andrej Sacharov, confinato a Gor’kij per aver contestato il regime, tra il 1980 e il 1986. Il dissidente, premio Nobel per la Pace nel 1975, racconta nei suoi scritti il controllo continuo a cui era sottoposto: guardie del corpo, spie del Kgb, telecamere nascoste. L’unico contatto con l’esterno era rappresentato
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i nomi dei centri in cui si sviluppò la bomba atomica Le altre città fantasma
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on solo Stati Uniti e Russia. Troviamo esempi di città chiuse agli stranieri o rimaste segrete a lungo in Arabia Saudita, Sudafrica, Cina. Alla Mecca, la città santa dei musulmani, l’ingresso è vietato ai fedeli di altre religioni. Simili condizioni anche per la vicina Medina. In Sudafrica, data l’importanza dell’attività mineraria (diamanti e rame), dalla metà degli anni Venti fino a tempi recenti la città di Alexander Bay è stata chiusa ai visitatori: una zona severamente controllata, per entrare nella quale erano necessari dei permessi appositi. Dimenticati. L’esempio più eclatante arriva dall’Ovest della Cina, nel Deserto del Gobi. Per sviluppare un arsenale nucleare pari almeno a quello americano o russo, nel 1958 il governo cinese spedì tecnici, scienziati ed esperti nel sito denominato “Città 404”, e li consegnò all’oblio. Centomila persone, per tre generazioni, vissero in 4 km quadrati (contaminati) all’insaputa del mondo, fra siti di sperimentazione nucleare e rifugi atomici. Oggi restano un migliaio di abitanti, i più anziani, a popolare quella che sembra una città fantasma.
Spensierati
dalla moglie, Elena Bonner, che lo andava a trovare e portava i suoi lavori a Mosca, prima di essere condannata essa stessa al confino a Gor’kij.
A partire dal 1946, migliaia di scienziati tedeschi orientali furono mandati in territorio sovietico per svolgere ricerca missilistica e nucleare, allo scopo di eguagliare e superare gli Stati Uniti
PROVE GENERALI. Oltreoceano i casi furono meno numerosi: le città chiuse degli Stati Uniti sorsero a partire dal 1942, controllate dal Dipartimento di guerra americano nell’ambito del “Progetto Manhattan”, destinato allo
sviluppo del nucleare. Oak Ridge, Richland, Mercury in Nevada (ancora oggi chiusa), Los Alamos, in New Mexico: in queste località si lavorava all’atomica (senza saperlo) tra una partita a tennis e l’appuntamento settimanale dal parrucchiere. A Los Alamos gli abitanti non potevano nemmeno pronunciare il nome del luogo dove abitavano, ribattezzato come la “casella postale 1663” della vicina Santa Fe. Tra di loro, nella segretezza più assoluta, c’erano
Lavoratori del “Progetto Manhattan” in posa su una piattaforma di legno usata per i test nucleari.
anche la mente del progetto nucleare statunitense Robert Oppenheimer ed Enrico Fermi, che assieme alle mogli vissero nel famoso sito Y della città. “Ci sentivamo costantemente nervosi e sotto pressione, impotenti nella nostra strana condizione”, raccontò Laura Fermi, consorte del fisico, confermando che le famiglie dovevano godersi la vita in città senza fare troppe domande. Una realtà ovattata, di cui molti tra le migliaia di lavoratori delle città chiuse americane compresero solo con le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, nel 1945. • 27
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LA DAMA
PERSONAGGI
Juliette Récamier dominò Parigi con la sua grazia e il suo salotto pieno di intellettuali antinapoleonici.
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di Silvia Büchi
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IN BIANCO erano cambiati. Ma in lei non vedeva “nulla della grande dama che tiene al suo aspetto e che porta con orgoglio la sua età. Per non parlare dell’esitazione nella voce, nei gesti e tutt’un imbarazzo da collegiale invecchiata”. Una frase sfuggita a Madame Récamier la colpì però, e profondamente: “è triste invecchiare, i ricordi diventano confusi; ma rimangono comunque dolorosi”. Poco più di un mese dopo Juliette morì di colera. Aveva 72 anni.
Icona
Madame Juliette Récamier (al centro) nel suo salotto del lussuoso palazzo di rue du Mont Blanc, a Parigi. A sinistra, un busto della “divina”, che mostra il suo particolare modo di acconciare i capelli. BRIDGEMAN
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ifficile riconoscere in quella donna pallida la leggendaria Juliette Récamier, amata dagli uomini più famosi del suo tempo. Nel marzo 1849 la scrittrice Marie d’Agoult andò a trovarla per la prima volta nel convento di rue de Sèvres, a Parigi, dove Juliette viveva in un appartamento in affitto. E ne rimase delusa. La sua figura era ancora alta e snella, i lineamenti fini e la dolcezza del volto non
TUTTI LA VOGLIONO. Tanta infelicità mal si conciliava con la sfilza di spasimanti che la donna collezionò per tutta la vita, forte di un indiscutibile fascino. Innanzitutto aveva uno stile tutto suo, che la rese una vera icona della moda stile impero. A partire dal gusto particolare nell’acconciarsi i capelli, dagli abiti di mussolina a vita alta rigorosamente bianchi. Contrariamente alle altre donne, Madame Récamier non si imbellettava il viso e non portava gioielli: solo, a volte, un filo di perle. La contessa Regnaud, una vedette del bel mondo parigino durante il Direttorio, ci ha 30
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CASTA CIVETTA. Nulla di strano, quindi, che il suo splendido palazzo di rue du Mont Blanc fosse circondato da spasimanti, sia di tradizione monarchica, come Adrien e Mathieu de Montmorency, sia della nuova nobiltà napoleonica, come Lucien Bonaparte (fratello di Napoleone), che aveva perso la testa per MONDADORI PORTFOLIO/AKG
IL SEGRETO DEL MATRIMONIO. Nel 1793, in pieno periodo del Terrore, Juliette sposò a Parigi il banchiere Jacques-Rose Récamier, alto, biondo, occhi blu e tanto denaro. Lei aveva quindici anni, lui ventisei di più. Marie Antoinette Récamier, sorella dello sposo, lo descriveva come “allegro e con un insieme di qualità che lo fanno amare da quelli che lo conoscono”. Peccato che lui fosse l’amante della madre di Juliette e, secondo voci dei soliti ben informati, anche padre della giovane moglie. Madame Mohl, amica di Madame Récamier lo conferma: “Quello che si diceva allora, e che si continua a credere, è che lei fosse figlia del signor Récamier”. Un finto matrimonio, quindi, che Juliette accettò per compiacere la sua famiglia e il cui unico scopo era di assicurarle l’eredità del banchiere. Jacques-Rose era sicuro che prima o poi lo avrebbero ghigliottinato e lui stesso raccontava che andava ad assistere alle esecuzioni per “familiarizzarsi con la sorte che gli era riservata”. Invece Récamier non venne decapitato e morì nel suo letto a 79 anni. La povera Juliette si trovò così prigioniera di un matrimonio bianco, legata a un uomo a cui era sinceramente affezionata, che le lasciava piena libertà ed era sempre pronto a esaudire ogni suo desiderio, ma che di fatto le scippò la possibilità di amare e di essere madre. Così nel 1808 tentò il suicidio: un fatto di cui si sa poco, perché tutto fu subito messo a tacere per evitare lo scandalo.
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napoleone bonaparte
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lasciato un’istantanea dell’entrata di Juliette in un salone affollato di invitati: “Récamier arriva: lo splendore dei suoi occhi, la straordinaria bianchezza delle spalle fecero scomparire tutto il resto: lei risplendeva”. Se a questo si aggiunge un ovale perfetto, tratti regolari, un naso ben disegnato, una silhoutte slanciata, si può immaginare lo charme di Juliette. Ma secondo Madame de Boigne, che aveva un apprezzato salotto letterario, il suo segreto era un altro: “ve l’ho detto cento volte e l’ho pensato mille, ciò che vi rende così seducente, è la vostra bontà”.
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Eppure Juliette Bernard, questo era il suo nome da ragazza, era considerata la donna più affascinante d’Europa. Era nata a Lione nel 1777 da un’agiata famiglia borghese (suo padre era notaio reale). E, come tutta la sua generazione, fu testimone di un impressionante cambiamento politico e sociale. Aveva 12 anni quando scoppiò la Rivoluzione e nel corso della sua vita vide scorrere, uno dopo l’altro, il Consolato, l’impero di Napoleone, la Restaurazione di Luigi XVIII, i Cento giorni e la rivoluzione del 1830. Troppi cambiamenti di casacca per passarne indenni. E anche Juliette pagò pegno.
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UN PASSO FALSO CON NAPOLEONE. Persino Bonaparte non rimase indifferente alla bellezza di Madame Récamier: nel 1799 o nel 1800, Napoleone partecipò a una festa a casa del fratello Lucien, a cui era invitata anche Juliette. Durante tutto il concerto, Madame Récamier sentì gli occhi blu del Bonaparte fissi su di lei. Qualche anno dopo l’imperatore inviò a più riprese Fouché, il ministro della Polizia, per convincere la donna a far parte della corte, facendole anche intendere che avrebbe potuto esercitare su di lui “un grande e benefico potere”: in altre parole, diventarne l’amante. Juliette rifiutò anche l’uomo più potente d’Europa, adducendo varie scuse. Ma la verità era che per lei l’amicizia era sacra e Napoleone aveva perseguitato molti suoi amici: mai avrebbe fatto parte della corte. L’imperatore se la legò al dito e alla prima occasione, gliela fece pagare.
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lei. Lucien la subissava di lettere appassionate firmandosi Romeo e minacciava di uccidersi se l’avesse rifiutato. Juliette ne parlò al marito e adottò una tattica che usò in seguito con molti altri, come ricorda lo scrittore Charles de Sainte-Beuve: “Lucien ama, non è respinto, non sarà mai accolto”. Ma il matrimonio bianco fu frustrante per Juliette, che aveva la sensazione di passare accanto a quello che lei chiamava “la vera felicità”, senza mai poterla cogliere. Per conciliare il suo desiderio di essere amata con il bisogno di rispettabilità, adottò una forma di casta civetteria che portò ai suoi piedi molti dei migliori nomi dell’epoca, come l’intellettuale e scienziato Henri-Benjamin Constant e lo scrittore Jean-Jacques Ampère, figlio del celebre fisico André-Marie. A quel punto, una volta conquistati, la donna riusciva a trasformarli da corteggiatori ad amici per la vita: innamorati e fedelissimi.
Spasimanti illustri
René de ChateaubRiand
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Aveva sposato un uomo molto più vecchio di lei, che si diceva fosse suo padre: fu un matrimonio bianco
A sinistra, lo scrittore romantico René de Chateaubriand, il grande amore della Récamier. Sopra e nell’altra pagina, alcuni suoi illustri corteggiatori, compreso il Grande Còrso e suo fratello, seduttore seriale.
Modella ambita
A sinistra, il ritratto che Jacques-Louis David fece a Juliette Récamier nel 1800. Il grande artista la dipinse come una vestale romana, distesa su un divanotriclinio che proprio da lei prese il nome di Récamier.
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Madame de Staël, la grande amica
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ermaine de Staël fu un punto fermo nella vita di Juliette Récamier. Era figlia di Jacques Necker, controllore delle finanze sotto Luigi XVI, ma divenne celebre per la sua intelligenza, i suoi libri, il suo salotto e la sua vita turbolenta. Ebbe con Juliette un’amicizia che fu lunga e di reciproco scambio: Madame de Staël (sopra) amava il carattere dolce della Récamier, che le comunicava serenità; mentre Juliette, frequentando il salotto di Germaine, approfondiva la sua cultura. Così lo scrittore Benjamin Constant descriveva le amiche: “nulla era più piacevole degli incontri tra Madame de Staël e Madame Récamier: la rapidità dell’una di esprimere mille pensieri nuovi, la rapidità della seconda a coglierli e giudicarli”. Calamite. Germaine non era bella, non era elegante, ma la sua intelligenza e la sua brillante conversazione attiravano amici e spasimanti. Molti dei quali si innamoravano poi di Juliette. Tanto che la povera Germaine scriveva all’amica “Cara Juliette, fate che mi amino e che non vi amino più”.
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Quando, nel 1805, Jacques-Rose Récamier fece bancarotta, Napoleone non alzò un dito per salvarlo: “Non vengo in soccorso di negozianti che hanno una casa da seicentomila franchi all’anno”, disse. Fu un colpo durissimo per la coppia, che dovette cambiare totalmente stile di vita. Non solo. Nel 1811, dopo aver esiliato Madame de Staël (vedi riquadro a sinistra), sua avversaria politica, Napoleone allontanò anche Madame Récamier, colpevole di accogliere nel suo famoso salotto mondano e letterario personaggi non graditi all’imperatore. Ma anche di essersi recata da Madame de Staël, sua grande amica, per consolarla. Juliette, tristissima, partì alla volta di Roma e tornò a Parigi solo nel 1814, in piena Restaurazione.
LA SVOLTA. Le civetterie, comunque, non potevano riempire il suo vuoto interiore, che colmava anche con la filantropia e con l’affetto per sua nipote Amélie, che Juliette adottò. Poi finalmente, nel 1819, a 42 anni, si innamorò. Il fortunato era René de Chateaubriand, l’“incantatore”, uno dei padri del romanticismo letterario francese. Fu colpita dal genio, dal coraggio e dall’audacia dello scrittore, dal suo talento apprezzato in tutta Europa e dall’indubbio charme. Per la prima volta era lei a sperare, attendere e tremare. Lacerata, non aveva mai provato una passione così forte e sapeva che una relazione con René, per di più sposato, l’avrebbe fatta scendere dal piedistallo di dea intoccabile. Madame Récamier saltò il fosso e fu la sua salvezza, anche se tra i due non furono tutte rose e fiori. Juliette confidò a Jean-Jacques Ampère che “gli altri si occupavano di me, Chateaubriand esigeva che mi occupassi di lui”. Ma dedicandosi a lui con grande devozione, e sopportando il suo carattere spesso difficile e irascibile, diede uno scopo alla sua vita. Nello stesso anno suo marito subì un altro fallimento. Questa volta Madame Récamier prese in mano la propria vita e andò ad abitare con la figlia adottiva nel convento di Rue de Sèvres, separandosi di fatto dal legittimo sposo. I grandi nomi avrebbero potuto snobbare una donna matura che riceveva in un appartamento di periferia, ma non fu così e una gran parte del mondo politico-letterario dell’epoca continuò a frequentare il suo salotto. Gli amici fedeli non l’abbandonarono mai. Quanto
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Anche Napoleone le mise gli occhi addosso, ma Juliette non cedette: i suoi amici erano quasi tutti ostili all’imperatore, non li avrebbe mai traditi. E la pagò cara
Sospiri e minacce
In questa illustrazione intitolata Attorno a Madame Récamier si vede Juliette, come sempre vestita di bianco, insieme ad amiche e corteggiatori: l’amatissimo René de Chateaubriand, Benjamin Constant, Madame de Staël, Jean-Jacques Ampère (qui sotto in un ritratto). Sopra, il ministro della Polizia di Napoleone, che fu incaricato di convincere Juliette a far parte della corte dell’imperatore.
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el 1822 René de Chateaubriand fu nominato ambasciatore francese a Londra: un periodo per lui particolarmente entusiasmante per la calda accoglienza che ricevette. “Ho dato ieri la mia prima cena diplomatica con pieno successo”, scrisse a Juliette. E forse proprio in quell’occasione il suo chef personale Montmirail mise a punto una nuova ricetta, la “Chateaubriand”: una spessa fetta di controfiletto di bovino, servita originariamente con una salsa ridotta di vino bianco, scalogni canditi, dragoncello e succo di limone. Forse non tutti conoscono il Genio del Cristianesimo o le Memorie d’oltretomba, scritti da lui, ma tutti sanno che la “Chateaubriand” è una bistecca.
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joseph fouché
Bistecca alla… Chateaubriand!
da allora in avanti la loro relazione sarebbe stata come lei voleva, serena e improntata alla fedeltà. E René le dedicò queste parole: “Mi sembra che tutto ciò che ho amato, l’ho amato in Juliette, lei era la fonte nascosta di tutte le mie tenerezze, di amori veri o folli, non amavo altro che lei”. Morì nel 1848, un anno prima di lei. E la coppia di cui mezza Europa parlava fu vicina fino all’ultimo. •
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alla relazione con René, Juliette confessò al saggista Louis de Lomenie di essere stata felice nei primi due anni, poi Chateaubriand era tornato alle sue avventure. Così lei, ferita, nel 1823 partì con la figlia e andò a Roma, dove rimase per un anno e mezzo. Quando finalmente tornò a Parigi, “non ci furono tra loro né spiegazioni né rimproveri”, scrisse la figlia Amélie, ma Juliette sapeva che
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in edicola
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LE BUGIE HANNO LE GAMBE LUNGHE
PRIMO PIANO
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BERSAGLIO CLEOPATRA pag. 40 ■
UN REGALO ALLA CHIESA pag. 46 ■
IL FALÒ DELLA RAGIONE pag. 50 ■
LA FABBRICA DEI CADAVERI pag. 56 ■
FINTI CASUS BELLI pag. 60 ■
STREGATI DALLA LUNA pag. 64 ■
LICENZA PER UN GENOCIDIO pag. 68 ■
RITOCCO POLITICO pag. 72
Alieni in arrivo
In copertina del Daily News, il panico per un’invasione aliena: l’aveva scatenata negli Usa una trasmissione radio fake nel 1938.
Da Cleopatra meretrice agli abitanti della Luna, passando per la caccia alle streghe: secoli di fake news.
STORICI FALSI
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PRIMO PIANO
Luna: sì o no?
L’astronauta Buzz Aldrin cammina sulla Luna il 20 luglio 1969: c’è chi sostiene che lo sbarco sia un falso. A destra, per il britannico David Irving, l’Olocausto non è mai esistito.
La Storia, purtroppo, è piena di false notizie. E il peggio è che più sono assurde, più hanno credito. Lo storico Claudio Vercelli spiega perché.
LE BUGIE HANNO LE
di Matteo Liberti
GAMBE LUNGHE T anto l’inventare bugie, quanto la tendenza a prenderle per buone, sono caratteristiche molto umane. Se poi le frottole sono particolarmente diffuse o consolidate nel tempo, la trappola diventa davvero difficile da aggirare: si finisce per crederci e basta. Per questo la Storia è spesso segnata dal falso, si tratti di menzogne messe in giro per screditare qualcuno, di ingenue credenze popolari, di eventi negati contro ogni logica o di diaboliche “messe in scena”. Per fare ordine in questo variegato universo di bufale e
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fake news, ci facciamo aiutare dallo storico contemporaneista Claudio Vercelli, esperto di storia dell’Olocausto e autore del volume Il negazionismo. Storia di una menzogna (Laterza).
Quali sono le differenze tra bufale e fake news? In verità appartengono alla medesima “famiglia”, ma mentre le prime riguardano eventi del tutto inesistenti, inventati di sana pianta, le seconde hanno una genesi molto più complessa, che chiama in causa soprattutto i media. Questi, oltre a diffondere a
volte le bufale, nutrono infatti un circuito di informazioni che possono presentare vari livelli di “adulterazione”. Si può trattare di notizie veritiere solo in parte o di eventi raccontati con prospettive distorte, magari manipolati a fini politici. Talvolta l’adulterazione di una notizia sta nel modo in cui viene presentata, enfatizzandone per esempio il carattere spettacolare e il clamore a scapito di un’analisi critica. Oltre a ciò, le fake news tendono spesso ad alimentarsi e a legittimarsi vicendevolmente, creando l’impressione che dietro vi sia qualche fondamento
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di verità e divenendo per questo più difficili da smascherare. Sul piano storiografico, quando l’attenzione degli studiosi ha iniziato a concentrarsi sulle fake news? E quali sono stati i contributi più importanti? Il problema della distinzione tra autentico e falso ha origine già nei tempi antichi. E si lega alla capacità degli storici di svolgere corrette indagini sulle fonti, sviscerando, organizzando e dando “consequenzialità logica” ai dati a disposizione. In epoca moderna, con lo sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa, la circolazione d’informazioni è divenuta più determinante nel condizionare idee e comportamenti collettivi. La propaganda ha così iniziato a contribuire sempre più all’esito dei conflitti bellici e politici. Uno dei primi a rimarcarlo fu lo storico francese Marc Bloch, che durante la Grande guerra annotò (ne La guerra e le false notizie) come il conflitto si stesse combattendo non solo con le armi, ma anche tramite le parole. Un altro studioso francese, l’antropologo René Girard, spiegò invece più tardi come le fake news giochino un ruolo
strategico nel convogliare le paure collettive verso specifici soggetti, illustrando la teoria del “capro espiatorio” (vedi riquadro nelle pagine successive). La propaganda di guerra è stata uno dei principali motori delle fake news? Sì, la propaganda è per definizione il terreno della falsificazione, dovendo dissimulare la realtà dei fatti e creare ad arte ombre e paure. In sostanza, in ambito bellico l’informazione tende ad assumere la natura del camouflage, la classica mimetizzazione di soldati e mezzi, e a volte non ci si limita a diffondere false informazioni tramite i media, ma si creano ad hoc eventi da sfruttare a proprio vantaggio. È il caso delle “false flag”, operazioni sotto falsa bandiera che stanno all’origine di molti conflitti. In sostanza, si mette in scena un atto ostile a proprio danno per addossarne poi la colpa – tramite la diffusione di fake news – a soggetti terzi contro cui scagliarsi. Si pensi per esempio a Hitler che, per giustificare l’invasione della Polonia, nell’agosto 1939 finse un attacco polacco contro una stazione radio tedesca.
Nel corso dei secoli, sono state di più le false notizie frutto di errori e casualità o quelle create ad arte per precise esigenze? In altre parole, c’è stata più “misinformazione” o “disinformazione”? Non sempre si riesce a distinguere tra casualità e intenzionalità, e talvolta una “misinformazione” nata senza precise finalità, frutto magari di un banale errore d’interpretazione, può essere sfruttata ad hoc da un potere pubblico o privato, divenendo “disinformazione”. Insomma, stabilire una classifica è difficile, ma quel che è certo è che di false notizie la Storia ne è piena. Quali sono stati i casi più clamorosi? Gli esempi sono molti, ma in termini di “dannosità” le falsità più clamorose sono quelle relative ai Protocolli dei Savi Anziani di Sion, i documenti (pubblicati la prima volta nel 1903, nell’ambito dell’Impero russo) attestanti l’esistenza di una presunta cospirazione ebraica contro il mondo. Ai giorni nostri, una fake news analoga riguarda l’esistenza del “Piano Kalergi”, progetto occulto finalizzato a sostituire la popolazione europea con quella africana e asiatica. Dietro a tali assurdità si celano spesso visioni ottusamente “complottiste”.
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Famose fake news? Gli Usa non sbarcarono sulla Luna, l’Olocausto non è mai esistito, la Terra è piatta... europea con quella africana e asiatica. Dietro a tali assurdità si celano spesso visioni ottusamente “complottiste”. Quali sono, nello specifico, i pericoli del complottismo? La teoria del complotto, se estremizzata, impedisce un’analisi lucida della realtà, denunciando ogni evento come demistificazione dei “poteri forti”. Il complottismo assume così la logica del fideismo: si crede in qualcosa partendo dal presupposto che tutto ciò che viene affermato dalle autorità è infondato. In questo modo si arriva a dar coerenza a ogni genere di falsità. Come la Terra piatta e gli americani mai stati sulla Luna?
Quante balle
Un faccione di Mark Zuckerberg tra due giganteschi emoji arrabbiati: è la protesta del 2018 fuori dal Campidoglio a Washington contro le fake news su Facebook.
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Sì, ma c’è anche peggio, se si pensa per esempio al “negazionismo”, corrente di pensiero secondo la quale l’Olocausto non sarebbe mai esistito. Ma come è possibile arrivare a negare l’Olocausto? Se le fake news si presentano in genere come verosimili, le “negazioni” di realtà assodate appaiono da subito come fantasie deliranti, ma proprio qui si cela la loro forza. Più la menzogna è spudorata, infatti, e più per alcuni risulta seducente, come appunto nel caso del negazionismo, fenomeno legato agli ambienti neonazisti e amplificato dal Web. Alla base di tale farneticante teoria vi è un atteggiamento complottista
esasperato, pronto a sospettare di ogni “versione ufficiale” dei fatti, come appunto l’Olocausto raccontato nei libri di Storia, che in questo caso sarebbe un’invenzione degli ebrei per guadagnare consensi, nell’ottica del solito fantomatico complotto per dominare il mondo. Ha accennato al Web come strumento amplificatore di bufale e leggende metropolitane: ma non dovrebbe
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Test di finti carri armati realizzati dall’esercito tedesco.
di significato condivisi, di scale di gerarchia riconosciute. E così, anziché informare, il Web può tendere a confondere, dando peraltro l’impressione all’interlocutore di aver compreso tutto. La vera conoscenza si può acquisire però solo per gradi, non certo con l’estemporaneità di una ricerca in Rete. Se il Web è un’arma a doppio taglio, lo è anche il revisionismo storico? Oltre
In conclusione: quali sono le buone regole che uno storico deve adottare per non “abboccare” alle false notizie e, al contrario, riuscire a smascherarle? Bisogna utilizzare le fonti come “attrezzi” e il confronto come “metodo di lavoro”. Ricordando – con le parole dello storico Gaetano Salvemini (18731957) – che anche se “non possiamo essere imparziali”, possiamo però essere “intellettualmente onesti e mettere in guardia i nostri lettori”. •
Capro espiatorio cercasi
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e bouc émissaire, “il capro espiatorio”, è il titolo di un celebre saggio dell’antropologo e filosofo francese René Girard (1923-2015). Il testo evidenzia come i rapporti tra esseri umani
siano tendenzialmente conflittuali e finalizzati all’acquisizione di posizioni di prestigio. In questo scenario, che si reitera di epoca in epoca, è frequente che un gruppo di potere
indichi arbitrariamente in un soggetto terzo (o in un insieme di soggetti) il responsabile di un conflitto sociale, diffondendo fake news che lo infamino a dovere, spesso anche tirando in
ballo elementi religiosi. I casi di odio collettivo incanalato verso sventurati capri espiatori sono molteplici. Fra i più famigerati, la caccia alle streghe e la persecuzione degli ebrei.
Donne al lavoro nel campo di concentramento di Auschwitz nel 1944.
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ZUMAPRESS.COM/MONDADORI PORTFOLIO
costituire anche un ottimo strumento per “svelarle”, le menzogne? Teoricamente lo è, ma allo stesso tempo, in quanto contenitore gigantesco di una miriade di particelle informative che si muovono in modo anarchico, il Web tende a fare e disfare la Storia, proponendo versioni dei fatti diverse e apparentemente intercambiabili, senza che siano richiesti obblighi di verifica. Non è un difetto dello strumento in sé, ma un effetto della mancanza di codici
a smontare falsi miti, tale approccio storiografico può anche fare danni? Va distinta la capacità di riformulare un giudizio storico in base all’acquisizione di nuove fonti e informazioni, attività indispensabile per ogni storico, dal revisionismo come “costume mentale”, finalizzato a un uso strumentale della Storia. In tal caso non si ha più un metodo d’indagine storica, bensì un atteggiamento che cerca di piegare le interpretazioni e il giudizio comune a beneficio di una certa parte politica.
DEA PICTURE LIBRARY/ALINARI
PRIMO PIANO
È stata il nemico pubblico numero 1 di Roma. E Roma si è vendicata diffamandola. Era troppo abile, colta e intelligente per essere una donna. Per di più straniera.
BERSAGLIO
CLEOPATRA “
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ALL’OMBRA DI CESARE. Sfrontata, affascinante e ambiziosa, Cleopatra VII era nata nel 69 a.C. e discendeva dalla nobile dinastia macedone dei Tolomei, che da più di due secoli regnava sull’Egitto. Figlia del faraone Tolomeo XII, a cui successe insieme al fratello e consorte Tolomeo XIII, ricevette
un’educazione di prim’ordine imbevuta di cultura greca. Una circostanza rara per le donne del tempo e possibile solo ad Alessandria, la città più avanzata e cosmopolita dell’epoca. Quanto al suo aspetto fisico, ne sappiamo davvero poco. Lo storico Plutarco la descrive come “piccola, esile e spregiudicata”, precisando tuttavia che “non era tale da lasciare impressionato chi la vedeva”. Quel che è certo, però, è che già a vent’anni Cleopatra
ALINARI
eretrice”, “incestuosa tolemaide”, “mostro fatale”, “donna di sessualità e avarizia insaziabili”. Quando si trattava di definire Cleopatra, poeti e storici romani non ci andavano leggeri. Prima di entrare nell’immaginario collettivo grazie ad artisti, drammaturghi e star di Hollywood, l’ultima regina d’Egitto fu oggetto di una colossale campagna diffamatoria che la dipinse come il nemico pubblico numero uno di Roma. Dietro questa micidiale “macchina del fango” c’era lo zampino del machiavellico Ottaviano, pronipote del dittatore a vita Giulio Cesare e futuro Augusto, pronto a scatenare contro di lei un mix di misoginia, pettegolezzi e fake news pur di conquistare il potere. «In più di un’occasione, Cleopatra divenne uno strumento nelle mani dei politici romani, che la definirono come una minaccia pronta a distruggere i loro valori», scrive la storica Prudence Jones nel libro Cleopatra, the last pharaoh (Haus Publishing). «Ciò nonostante, il suo carisma fu talmente prodigioso da trasparire anche nelle fonti a lei avverse».
di Massimo Manzo
si dimostrò una statista capace, riuscendo a strappare la corona al fratello dodicenne. Come? Portando dalla sua Giulio Cesare, nel 48 a.C. Entrata di soppiatto nel palazzo reale di Alessandria per timore di essere assassinata dai sostenitori del fratello, la ragazza si presentò al cospetto del condottiero avvolta in un sacco di lino, affascinandolo a tal punto da diventarne l’amante. Il suo ascendente, d’altronde, era notevole: “quando parlava aveva una voce dolcissima [...] in qualunque idioma volesse esprimersi”, racconta lo storiografo greco Plutarco. Colpito dall’eloquenza, dalla cultura e dal carisma di quella coraggiosa ragazza, Cesare non esitò a schierarsi al suo fianco sconfiggendo la fazione di Tolomeo e della sorella Arsinoe, altra pretendente alla corona.
“BENVENUTA A ROMA”. Due anni dopo Cleopatra poteva recarsi a Roma portando con sé il piccolo Tolomeo Cesare (detto Cesarione), frutto della sua relazione. Insieme abitarono per più di un anno in una villa sulle rive del Tevere circondata da una sfarzosa corte. «L’obiettivo della permanenza
Com’era
Nella foto grande, Cleopatra del pittore John William Waterhouse (1849-1917). A sinistra, Cleopatra VII con cornucopia (simbolo di abbondanza), statuetta in basalto del I sec. a.C. 41
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Sedusse, e forse amò, prima Giulio Cesare, poi Antonio: due tra i più grandi condottieri romani di Cleopatra nell’Urbe è facile da intuire», scrive Jones. «Per preservare l’indipendenza dell’Egitto, la sovrana intendeva assicurarsi la protezione di Cesare e confermare la propria legittimità sul trono». La sua presenza non passò inosservata. Incuriositi da quella “esotica” regina, i Romani cominciarono a spettegolare sul suo conto. Il suo stile di vita raffinato era infatti agli antipodi rispetto alla 42
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tradizione romana, improntata (almeno in teoria) su valori contadini di frugalità. Il fatto che una donna fosse così potente era inoltre inaccettabile per la società maschilista dell’epoca, in cui le donne erano escluse dalla vita politica. Non bastasse, Cesare era già sposato con Calpurnia, aristocratica “romana doc”, e le eccessive attenzioni riservate a quell’arrogante concubina “barbara”, tra cui la scelta di dedicarle
una statua, non fecero che moltiplicare il disprezzo. I “bacchettoni” più incalliti erano i nemici di Cesare, che alimentavano continui pettegolezzi per screditarlo e arrivarono a insinuare che egli volesse trasferire la capitale ad Alessandria d’Egitto, per compiacere la regina. In ogni caso, fino a quando il suo protettore fu al potere, Cleopatra era al sicuro. Le cose cambiarono con l’uccisione del “tiranno”, nel marzo del 44 a.C., che costrinse la regina a riparare in Egitto, mentre l’Urbe precipitava nel caos.
NUOVO ALLEATO. Rientrata in patria, si pensa che Cleopatra abbia avvelenato l’altro fratello Tolomeo XIV
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I suoi uomini
(con cui era formalmente associata al trono), spianando la successione al piccolo Cesarione. Nell’Urbe, invece, dopo la sconfitta dei Cesaricidi a Filippi (42 a.C.), entravano in scena Gaio Giulio Cesare Ottaviano, giovane pronipote ed erede di Cesare, e Marco Antonio, fedelissimo comandante del dittatore assassinato. L’anno prima, i due si erano spartiti insieme a Lepido i territori romani: Ottaviano aveva scelto Roma e le province occidentali, ad Antonio erano spettate invece le ricche terre d’Oriente, dove strinse alleanza con l’Egitto. Anche su di lui, però, il fascino di Cleopatra ebbe un effetto micidiale. Il rapporto amoroso tra la seducente regina d’Egitto e il
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L’incontro fra Cleopatra e Giulio Cesare: la donna lo raggiunse di nascosto, avvolta in una spessa tela, per non farsi intercettare dal fratello, col quale era in conflitto. A sinistra, Il banchetto di Cleopatra, di Gérard de Lairesse (1675). Il banchetto fu offerto ad Antonio per sedurlo.
Padri e figli
Il padre di Cleopatra Tolomeo XII (sopra) e il figlio Cesarione (a sinistra). Cesarione fu ucciso da un emissario di Ottaviano nel 31 a.C. 43
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MALEFICA. L’asso nella manica per intaccare la popolarità del rivale fu Cleopatra. Le maldicenze di cui era stata vittima mentre si trovava a Roma erano solo l’antipasto della nuova campagna propagandistica di Ottaviano. Come una fattucchiera, si diceva, la regina aveva ridotto in suo potere Antonio ricorrendo a incantesimi e filtri magici. Il suo obiettivo era manipolarlo come un burattino al fine di conquistare l’Urbe. Lasciarla fare, significava condannare i cittadini romani ad assoggettarsi a un popolo, quello egizio, che adorava ignobili dèi “dalle forme di animali”. Per gettare fango sul nemico, Ottaviano non esitò a mettere in mezzo la sorella Ottavia. Dopo averla data in sposa al rivale, approfittò dell’allontanamento e del successivo divorzio tra i due per contrapporla alla sovrana tolemaide. «Ottavia godeva di immenso rispetto tra i Romani e Antonio apparve così come un traditore che le aveva preferito Cleopatra», scrive 44
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valoroso soldato romano ha ispirato la fantasia di registi e poeti, Shakespeare in primis, ma dietro tale unione non c’era solo l’amore: alleandosi con il triumviro, Cleopatra tentava ancora una volta di salvaguardare il suo regno, dimostrandosi ben più lungimirante di una semplice seduttrice. «Il legame con Cleopatra determinò tuttavia la perdita della credibilità politica di Antonio», scrive Jones. «I Romani vedevano con sospetto i suoi favori alla sovrana, che riguardarono anche la cessione all’Egitto di alcuni territori siriani formalmente appartenenti all’Urbe» Antonio e Cleopatra si erano sposati con rito egizio (non riconosciuto dalla legge romana), avevano avuto tre figli e conducevano uno stile di vita eccentrico tra banchetti e lussi d’ogni genere. Quando il rapporto tra i due triumviri si ruppe definitivamente, l’astuto Ottaviano sfruttò la cosa a suo vantaggio, mettendo in moto la “macchina del fango” e descrivendo Antonio come un rammollito ubriacone. Non che dovette faticare molto a convincere i suoi concittadini: questi accomunavano istintivamente le corti orientali, piene di eunuchi e di “effeminati”, all’idea di depravazione e lussuria.
Con Cleopatra moriva anche il sogno di Jones. Il colpo di grazia arrivò con un coup de théâtre: strappato il testamento di Antonio dal tempio delle Vestali, Ottaviano ne diede lettura in Senato e il testo scandalizzò l’intera città: tra le altre cose, il triumviro intendeva lasciare vasti territori orientali a Cleopatra e chiedeva di essere sepolto ad Alessandria e non a Roma. Era vero? Alcuni storici l’hanno messo in dubbio, contestano l’autenticità del documento e sostengono che sia stato “ritoccato”. In ogni caso, tanto bastò per scatenare la guerra. Al fine di dribblare l’accusa di aver iniziato l’ennesimo conflitto civile, Ottaviano non la dichiarò però ad Antonio ma alla “straniera” Cleopatra.
POETI “DI REGIME”. L’epilogo dello scontro è noto: vinta la battaglia navale di Azio (31 a.C.), l’anno seguente Ottaviano marciò su Alessandria. Ormai nelle mani del nemico, Antonio si gettò sulla propria spada, mentre Cleopatra si diede la morte poco dopo, nonostante Ottaviano tentasse fino all’ultimo di impedire quel suicidio, forse per portarla con sé nell’Urbe come trofeo da esibire durante il trionfo. «Nella celeberrima versione dello storico Plutarco, la regina, vestita dei suoi abiti più belli e adagiata su un triclinio d’oro, decise di farsi mordere da un aspide nascosto in un cesto di fichi», racconta la storica. C’è chi invece
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Antiche bufale
O Cleopatra mostra a Ottaviano il busto di Cesare (in un dipinto del ‘700, di Pompeo Batoni). A destra, La morte di Cleopatra di John Collier (18501934). A sinistra, moneta con l’effigie della regina.
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Fino alla morte
ttaviano non fu il solo a cercare di distorcere la verità a fini propagandistici. Quasi milletrecento anni prima, il faraone Ramses II fece lo stesso nel conflitto con gli Ittiti culminato con la battaglia di Qadesh (1274 a.C.). Celebrato come un glorioso trionfo, lo scontro fu in realtà un “pareggio”, lasciando il confine tra le due potenze invariato. Per esaltare il coraggio dei Greci nella battaglia delle Termopili (480 a.C.), lo storico Erodoto non fu da meno, “gonfiando” le armate nemiche fino all’improbabile numero di 3 milioni di soldati, quando erano al massimo 300mila. In quello stesso
anno, gli Ateniesi vinsero la battaglia di Salamina grazie a una falsa informazione intercettata da re Serse, nella quale l’ammiraglio Temistocle spingeva i Persiani ad attaccare in un luogo a loro sfavorevole. Medioevo oggi. Fra le false credenze attribuite al Medioevo, ce n’è una di grande attualità. La teoria della sfericità della Terra fu dimostrata già intorno al 240 a.C. da Eratostene di Cirene, che calcolò anche il raggio terrestre. Questa nozione arrivò intatta al mondo medievale: il falso mito che fino all’epoca dei grandi navigatori (XV secolo) si credesse alla Terra Piatta si affermò solo nell’Ottocento.
indipendenza dell’Egitto, che diventò provincia romana sostiene che abbia ingerito del veleno o sia stata morsa da un cobra, serpente sacro tra gli Egizi. Comunque sia, con la sua sconfitta l’Egitto perdeva definitivamente l’indipendenza e diventava provincia romana. Ottaviano, ormai padrone assoluto di Roma, muterà poco dopo la repubblica in un principato. A gloria del nuovo princeps, poeti come Properzio, Virgilio e Orazio esalteranno le sue vittorie, perpetrando l’immagine negativa della regina egizia. “Ora bisogna bere”, scriveva Orazio per festeggiare la morte dell’odiata sovrana. Ironia della Storia, però, furono proprio loro a creare un alone mitico attorno a lei.
TRA STORIA E MITO. Già subito dopo la morte, Cleopatra si trasformò in una figura leggendaria, che ogni epoca ha rappresentato secondo lo spirito del suo tempo: nel Medioevo divenne una “cortigiana” (tanto che Dante la piazzerà nel girone infernale dei lussuriosi); nel Rinascimento l’amante pronta a sacrificarsi per amore; più recentemente, il New York Times l’ha persino indicata come l’archetipo della “donna in carriera” mentre Alberto Angela l’ha paragonata a Lady Gaga per la capacità di stupire. Ma al di là delle etichette affibbiatele, certo è che la fama di mangiauomini oscurò il suo talento politico, anche
se alcune fonti arabe la descrissero come una sovrana illuminata, amante delle arti e della scienza e capace amministratrice. «Duemila anni dopo, è ancora difficile conoscere la vera Cleopatra», scrive Jones. Di certo, al di là della propaganda, persino gli odiati Romani ammirarono la fierezza regale con cui era uscita di scena. In fondo, lo sapeva anche Orazio, che nella stessa ode in cui la vituperava scriveva: “osò guardare la sua reggia umiliata con sereno sguardo, coraggiosa a toccare terribili serpenti [...] per sottrarsi ai vascelli nemici, per impedire d’essere condotta, come donna comune, lei, donna regale, al superbo trionfo”. • 45
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PRIMO PIANO
Falso storico
Il ciclo pittorico sulla vita di Costantino (nella pagina a fianco, in una scultura bronzea del IV secolo) che si trova nell’Oratorio di San Silvestro a Roma, comprende l’episodio del falso lascito.
IL REGALO 46
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CHE NON C’ERA
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utto cominciò con un evento leggendario: la lebbra contratta dall’imperatore Costantino e la sua miracolosa guarigione dovuta al papa Silvestro I. Medici e sacerdoti pagani, infatti, non riuscivano a trovare una cura e venne proposto al sovrano un bagno purificatore nel sangue di alcuni bambini sacrificati per l’occasione. Costantino rifiutò sdegnato e in suo aiuto venne Silvestro I, il santo ancora celebrato nell’ultimo giorno dell’anno, che guarì l’imperatore con il battesimo cristiano. Al colmo della gratitudine, il sovrano fece dono al pontefice del primato su tutta la Chiesa universale e del governo di
La Donazione di Costantino al Papa e alla Chiesa ha segnato la Storia dell’Europa medievale. Eppure era inventata. di Roberto Roveda 47
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SCRITTO ANONIMO. Costantino, che regnò fino al 337, fu infatti uno degli ultimi imperatori a governare sull’intero Impero romano, ma fu anche il sovrano che nel 330 spostò la capitale in Oriente, a Costantinopoli, relegando l’Occidente e Roma a ruoli secondari. Nei secoli successivi questo abbandono dei territori occidentali da parte imperiale si accentuò con le invasioni barbariche e il papato si trovò a riempire sempre di più il vuoto di potere: «Il contesto in cui venne redatta la Donazione di Costantino», continua Vian, «è quello in cui il potere pontificio si afferma come dominio temporale nel corso dell’VIII secolo, con il governo dei territori dell’Italia Centrale prima controllati da Costantinopoli». Secondo quanto accertato dagli storici, quindi, il documento non venne redatto in epoca costantiniana ma circa quattro secoli dopo, nel momento in cui il papato, in lotta coi Longobardi nella Penisola italica, si stava affrancando sempre di più dall’antica alleanza con l’Impero d’Oriente ed era pronto a stringere legami con i Franchi. In questo contesto di affermazione del potere temporale della Chiesa, un anonimo stilò quel documento. L’unica certezza che abbiamo sulle origini del presunto lascito costantiniano è che il più antico manoscritto della Donazione giunto fino a noi venne trascritto a Saint-Denis, abbazia presso Parigi, agli inizi del IX secolo. 48
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Roma, dell’Italia e di tutto l’Impero romano d’Occidente. Questo è quello che scopriamo leggendo le circa tremila parole che costituiscono la Donazione di Costantino, un lascito che la tradizione data al 315 e che per secoli ha influenzato la Storia dell’Europa. Un documento molto singolare, come ci racconta Giovanni Maria Vian, autore del volume La Donazione di Costantino: «Si tratta di un documento falso, ma molto ben congegnato perché si fonda su un fatto innegabile: Costantino fu il primo imperatore a favorire apertamente il cristianesimo, elargì alla Chiesa molte donazioni e concesse privilegi. Inoltre la Donazione prende forma in un’epoca in cui effettivamente il potere imperiale perde importanza in Occidente mentre emerge il ruolo del papato, nell’VIII secolo».
Per quasi un millennio la Donazione di Costantino fu la giustificazione del potere temporale dei papi È questo il punto di partenza della vicenda storica del documento, anche se per circa tre secoli il “regalo costantiniano” rimase abbastanza sottotraccia perché non mancava di ambiguità, come conferma ancora Vian: «La Donazione esprime una teoria dei rapporti tra papato e impero non facile da definire. È vero che l’Occidente veniva donato alla Chiesa, però ai fini del papato non era conveniente basare il proprio potere su una concessione imperiale».
BRACCIO DI FERRO. L’atto quindi si prestava a interpretazioni di comodo e non certo a caso venne per la prima volta denunciato come falso in uno dei rari momenti di concordia tra papato e impero. Correva l’anno 1001 e sul trono di Pietro sedeva un altro Silvestro: Gerberto d’Aurillac, ovvero Silvestro II, uno dei maggiori intellettuali del suo tempo. In accordo con il giovane imperatore Ottone III,
un tempo suo allievo, il papa dichiarò la Donazione totalmente fasulla. Ottone e Silvestro morirono pochissimo tempo dopo e con loro scomparve l’affiatamento tra i due poteri universali dell’Europa medievale. E la Donazione costantiniana cominciò ad acquisire un ruolo sempre più rilevante per giustificare il primato del papato in ambito ecclesiastico e per puntellare il potere temporale della Chiesa. Lo scritto entrò così in gioco nello scontro per la supremazia religiosa tra Roma e Costantinopoli che portò, nel 1054, allo scisma tra cattolici e ortodossi che dura ancora oggi. La Donazione cominciò anche a essere al centro della lotta tra papa e imperatore come racconta Vian: «Il documento divenne la base su cui poggiava il potere temporale e assoluto del papato. Entrò per questo a far parte del Decreto di Graziano, il più importante testo di diritto canonico del XII secolo, e fu al centro del dibattito tra sostenitori del
e autorità dell’Impero romano diffidarono a lungo dei cristiani perché rifiutavano la religione tradizionale e non rendevano omaggio all’imperatore. Erano quindi dei sovversivi, oggetto di propaganda negativa. I cristiani erano accusati di pratiche abominevoli, si pensava che l’eucaristia fosse un atto di cannibalismo e una libagione di sangue umano e che nei loro riti – celebrati di nascosto per sfuggire ai controlli delle autorità – venissero seguiti rituali orgiastici e incestuosi. Fu facile quindi per l’imperatore Nerone (sotto, in un quadro ottocentesco) accusare i cristiani e perseguitarli sanguinosamente per
papa e dell’imperatore». Tra i critici della Donazione vi fu anche Dante Alighieri, nel canto XIX dell’Inferno. Il poeta, però, non la considerava un falso, ma riteneva il lascito dannoso sia per il potere imperiale sia per la Chiesa, che si era allontanata così dal precetto evangelico della povertà.
VALLA E LUTERO. L’attacco definitivo al presunto testo costantiniano venne solo nel Quattrocento, quando l’egemonia del papato era già al tramonto di fronte all’affermazione delle monarchie nazionali. Con lo studio approfondito dei testi antichi, molto in voga durante l’Umanesimo, l’accademico Lorenzo Valla (1407-1457) sottopose la Donazione a una vera e propria radiografia filologica (e la filologia nacque proprio allora). Il risultato fu un opuscolo al vetriolo in cui il documento veniva mostrato per quello che era, un falso scritto con un
latino che non era quello dell’epoca costantiniana e con errori lampanti come la citazione di Costantinopoli, non ancora fondata nel momento della presunta redazione dell’atto. Valla era al servizio di Alfonso V di Aragona, in lotta con il papa per il controllo del Regno di Napoli e il libello fu solo uno dei motivi dello scontro. Le polveri esplosero quando il testo di Valla cominciò a diffondersi grazie alla stampa e capitò nelle mani di Lutero che vide nella falsa Donazione la prova provata della falsità romana e di come i pontefici fossero l’incarnazione dell’anticristo. Insomma, le tesi di Valla alimentarono la polemica antipapale nei secoli a venire confermando, come conclude Vian, il destino del falso più importante della Storia medievale: «La Donazione ebbe una fortuna straordinaria perché poteva risultare utile a tutti, a seconda dei momenti storici e degli obbiettivi. In poche parole, uno strumento di potere». •
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LORENZO VALLA
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Martin Lutero mentre predica nel Castello di Wartburg. Sotto, l’umanista Lorenzo Valla che, avendo dimostrato la falsità della Donazione, alimentò la polemica antipapale di Lutero. In basso a destra, miniatura di Ottone III.
Romani vs cristiani il grande incendio che devastò Roma nel 64 d.C. Nerone era ai minimi della sua popolarità e aveva bisogno di capri espiatori per placare il popolo. Spietati? Anche i cristiani usarono però una buona dose di propaganda antiromana enfatizzando la durezza e la violenza delle persecuzioni. Per esempio, essere dati in pasto alle belve nelle arene non era pratica abituale nei confronti dei seguaci di Cristo e non era una punizione prevista esclusivamente per loro. Nella bocca delle fiere, infatti, finivano spesso condannati a morte e prigionieri di guerra per il puro divertimento degli spettatori.
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Inconsapevole alleanza
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Al di là delle leggende nere, dietro la caccia alle streghe (che colpiva uomini e donne) c’erano precise strategie.
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di Maria Leonarda Leone
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era una volta, non troppo tempo fa, una strega cattiva: era incinta del figlio di Satana e colpevole della morte dei suoi due mariti. O così almeno fu costretta a confessare sotto tortura, nel 1603, prima di essere bruciata sul rogo. Non è una favola, quella di Merga Bien, ma un incubo: lo stesso vissuto da migliaia di uomini e donne, come lei vittime della cosiddetta caccia alle streghe. Fu una mattanza, un’assurda maxi-operazione giudiziaria che esplose in Europa all’inizio dell’Età moderna.
GIUSTIZIA SOMMARIA. Tra il XV e il XVIII secolo, ben 45mila persone (la metà delle quali viveva nei territori germanici del Sacro romano impero) furono condannate a morte con l’accusa di operare malefici al servizio del diavolo. Quasi il doppio furono quelle processate e torturate da giudici laici e inquisitori. “Tra le molte donne che io condussi al rogo per presunta stregoneria,
Dagli alla strega!
A sinistra, il dipinto del preraffaellita John William Waterhouse, intitolato Il cerchio magico (1886): rappresenta un antico cerimoniale di magia in uso tra Medioevo e Rinascimento. Sopra, un disegno dell’olandese Cornelis Saftleven (16071681).
non ve ne era una sola della quale avrei potuto dire con sicurezza che fosse una strega. Trattate i superiori ecclesiastici, i giudici e me stesso come quelle povere infelici, sottoponeteci agli stessi martiri e scoprirete in noi tutti dei maghi”, notava nel suo Cautio criminalis il gesuita Friedrich Spee von Langenfeld, denunciando gli abusi cui aveva assistito durante i processi a Würzburg (900 roghi tra il 1623 e il 1631). All’epoca il gesuita si trovava in Franconia, al servizio di un vescovo che attuò a modo suo la Controriforma: togliendo di mezzo i protestanti con una caccia alle streghe legalizzata. Non era certo il primo uso alternativo di quella folle serie di esecuzioni. Nel 1579, Doritte Nippers venne condannata al rogo, per stregoneria, nella città di Elsinore (Danimarca). La sua reale colpa? Essere a capo di un gruppo di donne commercianti che avevano rifiutato di interrompere la loro attività, nonostante l’ingiunzione del consiglio comunale. 51
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All’origine del male
CAPRO ESPIATORIO. «L’accusa di stregoneria serviva a liberarsi di molti “problemi”: accattoni, mezzane, vagabondi, stranieri, insomma indesiderabili di vario genere. Ma anche vicini di casa con cui si aveva qualche contenzioso in corso, oltre agli avversari politici. Diveniva insomma utile e spendibile in tante situazioni differenti ed è stato questo a decretarne la fortuna», spiega Marina Montesano, docente di Storia medievale all’Università di Messina, autrice di numerosi saggi sul tema. In Francia, uno dei primi a piegare questa scusa ai propri fini era stato il re Filippo il Bello. L’aveva sfruttata anche nel 1308, per cancellare il ricco e potente Ordine dei cavalieri Templari e incamerarne i beni. Tre secoli dopo, con lo stesso giochetto, finì abbrustolito anche un canonico: l’influente e, a detta di molti, troppo libertino Urbain Grandier. Venne denunciato dalle suore di un convento di Orsoline, convinte di essere possedute dal
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Sotto, ritratto di Filippo IV di Francia, detto il Bello, re di Francia dal 1285 alla sua morte nel 1314. In basso a destra, per dipingere il quadro Le tre streghe Johann Heinrich Füssli s’ispirò al Macbeth di Shakespeare.
demonio, ma la stregoneria non c’entrava: il rogo fu infatti la punizione per aver criticato pubblicamente la politica del potentissimo cardinale Richelieu. Bene o male, la scusa funzionava perché all’epoca uomini e donne, a qualsiasi livello sociale o culturale appartenessero, credevano davvero nella magia nera, proprio come accadeva nell’antichità. Non solo la letteratura e le cronache greche e latine erano piene di maghi e streghe, ma già il codice sumerico di Hammurabi, qualcosa come 4mila anni fa, prevedeva punizioni per gli stregoni. Nel Medioevo la Chiesa le bollò come “cose da pagani”, ma la stregoneria fece il salto di qualità nel XIV secolo, grazie al nemico numero uno di ogni cristiano: il diavolo.
I MILLE VOLTI DEL DIAVOLO. «La caccia alle streghe ebbe diverse cause: alcune materiali, come il peggiorare delle condizioni di vita e la ricerca di capri espiatori in un’epoca di forti
L’accusa di stregoneria serviva a liberarsi di molti “problemi”: accattoni, vagabondi, stranieri...
Antichi rituali
Sotto, invocazione di Nettuno, nell’antica Roma, in un quadro ottocentesco. Più in basso, Il sabba delle streghe, un quadro ottocentesco dipinto da Eugenio Lucas Velázquez.
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Li equiparava così agli eretici e, al pari di questi, li sottoponeva all’azione degli inquisitori e passibili di condanna al rogo», prosegue la docente. Agli occhi della Chiesa, stregoni e streghe diventarono una setta ereticale al servizio dei demoni: la loro persecuzione, quindi, era non solo giustificata, ma anche necessaria, perché erano pericolosi per l’intera cristianità. Chi non ci credeva poteva andarsi a rileggere i testi classici. «Fondamentale per comprendere la nuova concezione della stregoneria e l’avvio della caccia alle streghe è proprio il mutamento del clima culturale: il Rinascimento e la
KORPA/ARCHIVI ALINARI
dissidi religiosi e sociali (non a caso l’esacerbarsi della caccia, tra la fine del Cinquecento e i primi del Seicento, coincise con un’ondata di pestilenze, crisi climatica e carestie); altre più spiccatamente culturali, come la “demonomania” che investì l’Europa nei secoli in questione», spiega Montesano. L’idea che Satana fosse un imprenditore di anime, notaio di patti sciagurati, proprietario di una squadra di supercattivi accomunati dal suo marchio e dai poteri malefici, era diffusa in Europa fin dal X secolo. Ma diventò una preoccupazione tangibile solo tre secoli dopo. «Se si volesse trovare un momento in cui, almeno simbolicamente, il problema del rapporto con il diavolo muta sensibilmente, bisognerebbe individuarlo negli anni Venti del Trecento, con la bolla Super illius specula di Giovanni XXII. L’anziano pontefice stigmatizzava coloro che stipulavano un patto “con l’inferno” e che, all’insegna di questo, adoravano i demoni e compivano malefici.
ERICH LESSING / ALBUM / MONDADORI PORTFOLIO
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Mea culpa
Nel tondo, il gesuita che denunciò gli abusi cui aveva assistito durante i processi a Würzburg (tra il 1623 e il 1631). In alto, una riunione di streghe in un quadro di Frans Francken II del 1606. 54
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Nell’illuminata Europa, la testa dell’ultima presunta strega, la svizzera Anna Göldi, cadde il 13 giugno 1782
cultura umanistica portarono a una rivalutazione del mondo classico e della sua letteratura, in cui il fenomeno era ben noto, sebbene per ovvie ragioni il demonio non vi avesse un ruolo. Molti giudici conoscevano autori quali Ovidio e Apuleio, nei cui scritti le streghe erano descritte: così il revival dell’antico finì per essere un elemento a sostegno della realtà della stregoneria», conferma Montesano. “Ci sono streghe a migliaia ovunque, che si moltiplicano sulla Terra come vermi in un giardino”, affermava preoccupato, nel 1602, il demonologo Henri Boguet, dopo aver calcolato,
in base alle confessioni raccolte, che in Europa si aggiravano quasi due milioni di malefici adepti di Satana. Così un incendio, un furto o la sfortuna in amore diventavano ragione sufficiente a dare inizio a una caccia crudele. Un esempio? Nel 1562, a una serie di violente grandinate a Wiesensteig (Germania) seguì una retata di streghe: la gente era convinta che con i loro poteri avessero influenzato il meteo e distrutto i raccolti.
ISTERIA DI MASSA. In questo clima di tensione, di solito a pagare il prezzo più alto erano le donne. La gente era talmente spaventata che era facile che una “guaritrice” che perdeva un paziente venisse denunciata come strega dai parenti del defunto. O che, come a Neuchâtel
I grandi inquisitori
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BRIDGEMAN
ALINARI
veri cattivi nella crudele pratica della caccia alle streghe spesso si rivelavano i giudici e gli inquisitori. Tra gli altri, si distinse Pierre de Lancre (1553-1631), magistrato che, incaricato nel 1609 di condurre delle indagini su presunti casi di stregoneria nella regione basca della Francia, si convinse che tutti i 30mila abitanti del proprio distretto fossero streghe e stregoni e in quattro mesi mise al rogo 600 persone. Punizioni ad hoc. Sadico e misogino, Heinrich von Schultheis (1580-1646), commissario per la caccia alle streghe del Ducato di Westfalia (Germania), straziava invece i corpi delle imputate e provocava loro ferite profonde che riempiva di olio bollente (a sinistra, una tortura in un’incisione dell’800).
(Svizzera), una ragazza fosse arrestata per stregoneria perché colta a danzare intorno a un falò con le amiche, proprio come si diceva accadesse nei sabba (le macabre convention notturne di streghe e stregoni, condite da atti blasfemi, orge e sacrifici). «Se indubbiamente ci fu un atteggiamento di pregiudizio nei confronti delle donne, sospettate più degli uomini di esser soggette al patto demonico, bisogna sottolineare che in alcune regioni la tendenza s’invertì. In Carinzia, per esempio, due terzi degli accusati di stregoneria erano uomini, spesso vagabondi e mendicanti; in Normandia, Islanda, Estonia e Russia la maggioranza era ancora più schiacciante», nota Montesano. Età, estrazione sociale, status: le statistiche dimostrano che chiunque poteva
essere colpito. A Salem (Usa), dove nel 1691 alcune ragazzine erano state colte da strane visioni, le denunce finirono per coinvolgere a catena oltre 150 persone, fino a toccare la moglie del governatore (che si affrettò a ordinare la sospensione della caccia). In Europa, la testa dell’ultima presunta strega, la svizzera Anna Göldi, cadde il 13 giugno del 1782. Secondo gli storici, la rivoluzione scientifica, il declino delle guerre di religione, le riforme giudiziarie che limitarono il ricorso alla tortura contribuirono alla fine dei processi. “Le streghe hanno smesso di esistere quando noi abbiamo smesso di bruciarle”, notò il filosofo Voltaire, nelle sue Lettere filosofiche (1734). E se oggi son tornate, è solo perché a qualcuno piace ancora giocare con i fiammiferi. •
Torture cruente
Sopra a sinistra, un’illustrazione tratta da un libro che descrive le dure punizioni inflitte alle donne dai magistrati locali nel XVII secolo a Newcastle (Inghilterra). Qui viene mostrata una donna che indossa una briglia, strumento usato per umiliare e infliggere dolore. Sopra, una presunta strega pronta per il rogo in un’immagine ottocentesca.
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cadaveri
PRIMO PIANO di Giulio Talini
La fabbrica dei
1917. Il Kaiser è accusato di usare i corpi dei suoi soldati per fare sapone, glicerina, grassi...
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MONDADORI PORTFOLIO/AKG
n guerra, come in amore, tutto è lecito. Inclusi i colpi bassi. E certo, accusare il nemico di trasformare i sacri corpi dei propri caduti in... saponette, è una ben cinica pensata. Eppure è accaduto davvero. Stiamo parlando della clamorosa bufala della “fabbrica dei cadaveri” del Kaiser, che risale all’aprile 1917, quando la Prima guerra mondiale stava insanguinando l’Europa.
LA GUERRA DEI MEDIA. Ma procediamo per gradi. Mentre nelle trincee infuriavano i combattimenti, Triplice Intesa (Inghilterra, Francia e Russia) e Imperi centrali (Germania e Austria) cercavano con ogni mezzo di infangarsi reciprocamente a colpi di pamphlet, articoli sensazionalistici e spregiudicate vignette satiriche. Telegrafo, giornali e cinema, asserviti alle strategie delle potenze belligeranti, consentivano la diffusione di notizie con un’efficacia prima impensabile. Notizie vere e false, naturalmente. E così, tanto per citare un esempio, la macchina propagandistica della Triplice Intesa trasformò l’invasione tedesca del Belgio (1914) in uno “stupro”, con tanto di crocifissioni, mani mozzate di bambini indifesi e altre leggende fabbricate ad arte. Nel bel mezzo di questo scontro di mezze verità e di fake news velenose, il 16 e il 17 aprile 1917 due colossi della stampa britannica, il Daily Mail e il Times, uscirono con una notizia sconvolgente: i tedeschi stavano utilizzando i cadaveri dei loro stessi soldati per ricavarne glicerina, grasso, sapone, mangime per maiali, fertilizzanti e lubrificanti. Il mostruoso nemico aveva impiantato fabbriche della morte. Ecco cosa scriveva il Times: “I treni arrivano pieni di corpi nudi, che vengono scaricati dai lavoratori che vivono nelle fabbriche”. Di lì la “materia prima” subiva un processo di trasformazione da cui
COME NACQUE LA FAKE NEWS. Per scoprirlo bisogna risalire alla fonte comune del Daily Mail e del Times. Era l’articolo di un quotidiano belga pubblicato in Inghilterra, l’Indépendance Belge, che a sua volta, attraverso un’altra testata, La Belgique, aveva carpito la notizia dal resoconto del corrispondente di guerra tedesco Karl Rosner, uscito il 10 aprile 1917 sul Berliner Lokal-Anzeiger. E qui si creò la bufala: Rosner nel suo pezzo diceva di aver visto dietro le linee tedesche una Kadaververwertungsanstalt (letteralmente “fabbrica di sfruttamento delle carcasse”), ma i corpi impiegati a cui si riferiva erano animali, non umani! L’equivoco derivò dall’errata traduzione della parola Kadaver da parte dell’Indépendance Belge, del Daily Mail e del Times: in tedesco significa “carcassa”, ma venne tradotta come “cadavere”. E di qui il polverone. Tra gli scettici c’era il New York Times, che già il 20 aprile uscì con un articolo in cui spiegava che l’espressione in questione non è mai impiegata nell’uso corrente tedesco per significare cadavere umano, invariabilmente chiamato Leichman. Richiamare al buonsenso, tuttavia, non era compito facile, dato che a Londra questa voce sul conto della Germania circolava già dal 1915. Fin qui parrebbe un innocente caso di misunderstanding. Ma nel 1925, a guerra finita, emerse un’altra verità: nel corso di una cena del National Arts Club a New York, John Charteris, capo dell’intelligence presso il Corpo di spedizione britannico tra il 1916 e il 1918, rivelò che all’inizio del 1917 aveva manipolato due fotografie in modo da ottenere un’immagine che
MALINTESO O BUGIA? Questo però non scagiona i quotidiani britannici. Tanto il Daily Mail quanto il Times appartenevano all’onnipotente Lord Northcliffe, non a caso detto il “Napoleone della stampa”. Forte di un peso mediatico senza pari e pieno di amici nel mondo della politica, Northcliffe esercitò coi suoi giornali un ruolo cruciale nella propaganda bellica inglese. E secondo gli studiosi Joachim Neander e Randal Marlin, «la stampa di Northcliffe non fu vittima di innocenti errori di traduzione, ma deliberatamente architettò questa storia fuorviante, forse di comune accordo con i propagandisti britannici e belgi». Il quadro ora è chiaro: in una
MARY EVANS\SCALA
attestava l’utilizzo di cadaveri a fini industriali da parte dei tedeschi. Poi aveva inviato il fotomontaggio a un giornale di Shanghai per spingere la Cina a intervenire nel conflitto con l’Intesa. Da lì la storia arrivò in Europa.
Propaganda
Nell’altra pagina, soldati morti nelle trincee in Francia. Berlino era tacciata di non rispettare i corpi dei propri caduti... come si vede nella vignetta qui sopra in cui il Kaiser mostra la fabbrica dell’orrore a uno spaventato milite. A sinistra, giornali inglesi che riportavano la falsa notizia.
complessa fase del conflitto, Charteris e Northcliffe conferirono credibilità e diffusero una notizia falsa già da tempo in circolazione per screditare il Kaiser agli occhi dell’opinione pubblica e coinvolgere la Cina nella guerra. In ogni modo, il 2 dicembre 1925 il ministro degli Esteri inglese, Austen Chamberlain, dichiarò a nome del governo che la storia della “fabbrica dei cadaveri” era priva di fondamento. Caso chiuso. E una dimostrazione in più che la guerra, ogni guerra, è un’orgia di menzogne. •
Riflessioni di uno storico
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BRIDGEMAN/MONDADORI PORTFOLIO
venivano ricavati “numerosi prodotti” utili all’economia di guerra germanica. La news fece il giro del mondo, suscitando ora scandalo ora incredulità. Ma quanto c’era di vero?
n classico degli studi sulle fake news belliche è una piccola grande opera dal titolo Riflessioni di uno storico sulle false notizie di guerra, pubblicata nel 1921. L’autore è nientemeno che Marc Bloch (a lato), il famoso medievista francese. Queste Riflessioni scaturirono dalla sua esperienza di soldato nella Grande guerra. Proprio in trincea Bloch sperimentò come “l’emozione e la fatica distruggano il senso critico”. E aggiunge: “Ricordo che negli ultimi giorni della ritirata, quando uno dei miei superiori mi annunciò che i russi bombardavano
Berlino, non ebbi il coraggio di respingere quell’immagine seducente”. Secondo Bloch, la falsa notizia nasce da rappresentazioni collettive preesistenti e, se si diffonde, è perché trova terreno fertile in un sentire comune già ben disposto. Una percezione controcorrente, sbagliata o giusta che sia, non ha invece alcuna possibilità di diventare popolare. Bloch arriva così a una folgorante conclusione: “la falsa notizia è lo specchio nel quale ‘la coscienza collettiva’ contempla le proprie fattezze”. 57
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IL PRESENTE, LO SPECCHIO DEL PASSATO
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PRIMO PIANO
FINTI CASUS BELLI
Ieri e oggi, le operazioni sotto falsa bandiera si fanno per ottenere consenso a un attacco già deciso. di Matteo Liberti
ALAMY/IPA
1898 L’AFFONDAMENTO DELLA USS MAINE
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CSU ARCHIVES/EVERETT COLLECTION
ra l’aprile e l’agosto 1898, Stati Uniti e Spagna si scontrarono per il controllo di molte regioni, già colonie spagnole, sparse tra i Caraibi (Cuba e Portorico) e il Pacifico (Filippine e Guam). Il governo americano desiderava da tempo togliere alla Spagna quei territori, ma per poter intraprendere azioni militari doveva convincere il popolo statunitense della necessità di una guerra, e farsi supportare ad arte dalla stampa. Serviva, insomma, una scusa. E guerra sia. La sera del 15 febbraio 1898, nella baia dell’Avana, a Cuba, esplose la USS Maine, corazzata battente bandiera americana. Morirono 266 marinai. Il disastro venne subito attribuito a un attacco militare spagnolo e la notizia suscitò, altrettanto prontamente, l’indignazione popolare. C’era tutto: il pretesto e il sostegno della nazione. Gli Stati Uniti entrarono in guerra, e la vinsero. Da successive indagini emerse che, a causare il tragico incidente, era stata la detonazione di un deposito di munizioni interno alla USS Maine, determinata secondo alcuni da un incendio accidentale e secondo altri da una bomba posizionata dagli stessi americani. Unica certezza? Gli spagnoli non c’entravano nulla.
Via la Spagna
La corazzata USS Maine affondata nella baia dell’Avana, a Cuba, il 15 febbraio 1898.
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1931
ALAMY/IPA
l meccanismo è semplice quanto subdolo. Il governo di una nazione, o un suo gruppo di potere, crea ad arte un determinato “incidente” – autoattaccandosi o inventando inesistenti minacce militari – e poi, tramite la diffusione di apposite fake news, ne attribuisce la responsabilità a soggetti esterni, che non c’entrano nulla. A quel punto, legittimato dal benestare dell’opinione pubblica, il governo si scaglia contro il presunto aggressore. È questo lo schema delle false flag operations, ovvero “operazioni sotto falsa bandiera”, utili a provocare rivolgimenti politici o, nei casi peggiori, veri casus belli. In queste pagine, alcuni degli esempi più celebri. •
L’INCIDENTE DI MUKDEN
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MONDADORI PORTFOLIO/AKG
l 18 settembre 1931, in Manciuria, regione cinese affacciata sul mar del Giappone, un’esplosione danneggiò un tratto ferroviario vicino alla città di Mukden, odierna Shenyang. La ferrovia colpita era gestita dal Giappone, impegnato nella sua realizzazione ma anche desideroso di assumere il controllo dell’intera Manciuria. Per farlo serviva un casus belli, e a crearlo fu l’armata del Kwantung, la più importante formazione militare dell’esercito nipponico. Come? Facendo esplodere quel tratto di ferrovia, per poi accusare un gruppo di fantomatici terroristi cinesi. L’invasione. Il giorno dopo, le armate giapponesi dislocate in Corea, e già predisposte all’azione, iniziarono a invadere il territorio della Manciuria Meridionale, col pretesto di voler proteggere le ferrovie da eventuali altri attacchi. L’anno seguente fu quindi proclamata la nascita dello Stato fantoccio del Manciukuò, manovrato dall’Impero giapponese e rimasto in vita fino al 1945.
1933 L’INCENDIO DEL REICHSTAG
L Berlino brucia
27 febbraio 1933: il parlamento tedesco va in fiamme e la colpa è data al giovane comunista Marinus Van der Lubbe (qui sopra). In alto, a destra, il tratto della ferrovia in Manciuria fatto esplodere dai giapponesi.
a sera del 27 febbraio 1933, nel cuore di Berlino, un grande incendio distrusse il palazzo del Reichstag, il parlamento tedesco. Giunti sul luogo e constatata l’origine dolosa delle fiamme, i vigili del fuoco s’imbatterono in un ragazzo di 24 anni, seminudo e in stato confusionale. Lo sbandato si chiamava Marinus Van der Lubbe ed era un attivista comunista olandese. Torturato dalla polizia, confessò di avere appiccato lui il fuoco. Dopodiché entrò in campo Adolf Hitler, leader nazista da poco nominato cancelliere del Reich (giusto il 30 gennaio). L’ascesa. Determinato a eliminare tutti i rivali politici, il 28 febbraio Hitler emanò il “decreto dell’incendio del Reichstag”, che sospese i diritti civili consentendo l’arresto di vari capi comunisti e di un gran numero di parlamentari. A quel punto nessuno poté più frenare l’ascesa del capo nazista, che nel 1934 assunse la carica di Führer divenendo dittatore della Germania. All’inizio di quell’anno fu tra l’altro giustiziato Van der Lubbe, che ovviamente era innocente. Inchieste posteriori attesteranno che il ragazzo era stato coinvolto dai veri artefici dell’incendio, i nazisti, che avevano appiccato il fuoco proprio per far ricadere la colpa sugli oppositori comunisti e poterli perseguitare. 61
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1939 GLEIWITZ: ATTACCO ALLA RADIO
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Heil Hitler
Soldati tedeschi “sfondano” il confine polacco, l’1/9/1939.
Le false flag operations sono un espediente efficace: si scopre solo quando è troppo tardi
BETTMANN ARCHIVE/GETTY IMAGES (2)
1964
VERSO L’INFERNO VIETNAMITA ià sostenitori del Vietnam del Sud, filoccidentale e contrapposto al Vietnam del Nord comunista, a partire dagli anni Sessanta gli Stati Uniti intrapresero un logorante conflitto militare in loco che si protrasse fino al decennio seguente, e da cui uscirono sconfitti. A determinare l’inizio della guerra fu, nel 1964, un “incidente” nel golfo del Tonchino, nel Nord del Paese. Il 2 agosto il cacciatorpediniere americano USS Maddox denunciò lo scontro a fuoco con alcune imbarcazioni locali (senza vittime statunitensi e con molti dubbi irrisolti su chi avesse sparato per primo), e poi dichiarò che nella notte tra il 4 e il 5 agosto aveva subìto un agguato da parte di altre navi nordvietnamite, riuscendo a uscirne indenne. Col senno di poi. La notizia fece il giro del mondo e il presidente Lyndon Johnson, sostenuto dall’opinione pubblica, cominciò a inviare in Vietnam fiumi di soldati (senza formale dichiarazione di guerra). Vari studi tecnici attesteranno in seguito che nessuna nave nordvietnamita, quella notte d’agosto, si era mossa all’attacco della USS Maddox.
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Vietnam nel mirino Il presidente Lyndon Johnson discute alla Casa Bianca dell’“attacco” nordvietnamita al cacciatorpediniere USS Maddox (in alto), nell’agosto del 1964. 62
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BETTMANN ARCHIVE/GETTY IMAGES (2)
otte del 31 agosto 1939. Nella città polacca di Gleiwitz (odierna Gliwice), in Slesia, al tempo sotto il controllo della Germania, un gruppo di uomini armati s’intrufolò nella locale stazione radio e ne prese possesso. I sequestratori, che indossavano uniformi dell’esercito di Varsavia, diffusero un messaggio in cui si denigrava la Germania nazista. Nel giro di pochi minuti Hitler denunciò l’evento – confermando come fosse opera di un gruppo di insorti polacchi – e lo usò a pretesto per giustificare agli occhi dell’opinione pubblica l’invasione della Polonia, avvenuta il giorno seguente. Iniziò così la Seconda guerra mondiale. Era già tutto pronto. Quella “provocazione” era un fake: ad attaccare la stazione radio di Gleiwitz non erano stati agitatori polacchi, ma agenti tedeschi guidati dall’ufficiale delle Ss Alfred Helmut Naujocks. Il Führer aveva infatti predisposto da settimane l’invasione della Polonia, e aveva anche dato ordine di creare un incidente ad hoc per poter “giustificare” l’inizio delle operazioni.
1939 KEYSTONE ARCHIVES/HERITAGE-IMAGES/MONDADORI PORTFOLIO
OBIETTIVO FINLANDIA
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l 26 novembre 1939, il villaggio russo di Mainila, prossimo al al golfo di Finlandia nonché al confine tra quest’ultimo Paese e e l’Urss, venne pesantemente bombardato. Gli autori del misfatto furono subito individuati dai sovietici nei finlandesi, nonostante il loro primo ministro, Aimo Cajander, avesse dichiarato l’estraneità della sua nazione ai fatti. Mosca non volle però sentire ragioni, e poiché tra i due Stati era in vigore un trattato di non aggressione si dichiarò “parte lesa”, rompendo le relazioni diplomatiche con la Finlandia. Subito dopo, il 30 novembre, procedette a inviare le proprie forze armate alla conquista del Paese confinante. Guerra d’inverno. Iniziò così la guerra russo-finlandese, o Guerra d’inverno, che si protrasse fino al marzo dell’anno seguente, con la Finlandia che dovette infine cedere ampie porzioni di territorio. Quanto al bombardamento con cui tutto era iniziato, si seppe in seguito che a metterlo in atto, dopo una lunga pianificazione, era stato lo stesso esercito sovietico, in cerca del solito casus belli.
Patti violati
Un’immagine del bombardamento al villaggio russo di Mainila, al confine con la Finlandia. Fu l’inizio della Guerra d’inverno.
2002 LE ARMI DI DISTRUZIONE DI MASSA DELL’IRAQ
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l 24 settembre 2002 il governo britannico pubblicò il dossier Iraq’s weapons of mass destruction, che denunciava il possesso, da parte dell’Iraq di Saddam Hussein, di pericolosissime “armi di distruzione di massa”. Il documento faceva seguito a un precedente fascicolo in cui c’era lo zampino dell’intelligence italiana e della Cia, nel quale si evidenziava come l’Iraq stesse acquistando uranio dal Niger (si parlerà in seguito di scandalo “Nigergate”) per portare avanti un programma nucleare militare. Contro Saddam. Sulla base di queste avvisaglie, e facendo leva in particolare sui documenti britannici, il presidente statunitense George W. Bush denunciò al mondo la minaccia costituita da Saddam Hussein, e il 20 marzo mosse guerra contro l’Iraq (il conflitto si trascinerà fino al 2011), capeggiando una coalizione in cui oltre alla Gran Bretagna spiccavano vari Stati occidentali, Italia inclusa. Ma le armi di distruzione di massa non furono mai trovate, poiché i vari documenti erano tutti finti, elaborati a tavolino allo scopo preciso di creare un casus belli, come ammise tra gli altri il maggiore generale britannico Michael Laurie, uno degli uomini coinvolti nella realizzazione del falso dossier.
Minaccia atomica
Il segretario di Stato Colin Powell mostra al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite una fiala con antrace mentre si discute del presunto acquisto di uranio da parte dell’Iraq.
PRIMO PIANO Il 25 agosto 1835 il Sun lanciò uno scoop: c’è vita sulla Luna! Era una bufala. Ma fece il giro del mondo.
STREGATI DALLA
di Federica Campanelli
LUNA
Uomini con le ali
JOHN FREDERICK WILLIAM HERSCHEL
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Una delle tante fantasiose illustrazioni che raccontavano la vita sulla Luna abitata da incredibili uomini pipistrello. Sotto, il famoso astronomo John Herschel (1792-1871).
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SCIENCE HISTORY IMAGES/ALAMY/IPA
uella mattina di martedì 25 agosto 1835, gli strilloni del Sun annunciarono la notizia del secolo: la Luna era abitata! L’incredibile scoperta era del famoso astronomo inglese Sir John Herschel, che studiava il satellite dall’osservatorio di Capo di Buona Speranza, in Sudafrica. Ovviamente, era solo una grande bufala orchestrata ad arte dal quotidiano che fece lievitare in pochi giorni le vendite da 8.000 a 19.000 copie. Ma la fake news fece il giro del mondo. Ecco perché la “grande burla della Luna” – The Great Moon Hoax – è passata alla Storia.
EDIZIONE STRAORDINARIA! I giornalisti del Sun si erano attrezzati per bene affinché la notizia-bufala non finisse con quella sola edizione del 25 agosto, e così pubblicarono – in sei puntate, una al giorno – il resoconto “scientifico” Grandi scoperte astronomiche di Sir John Herschel: era estratto (così si leggeva sul Sun) dal Journal of Science di Edimburgo ed era firmato da un certo dottor Andrew Grant, braccio destro e portavoce di Herschel. Nel reportage, Grant scriveva che l’astronomo 65
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BRIDGEMAN
Area 51, top secret
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icerche su veicoli alieni precipitati, incontri con extraterrestri, sviluppo di tecnologie per viaggi nel tempo: sono queste, secondo i cospirazionisti, alcune delle attività svolte nell’Area 51, base top secret americana situata nel deserto del Nevada. Il tutto, per via di una serie di avvistamenti di “oggetti volanti non identificati” (leggi Ufo) nei cieli che sovrastano la zona. Occhio agli Ufo. In effetti qualcosa di particolare vi accadde, ma non aveva nulla a che fare con gli alieni. La Cia creò l’Area 51 nel 1955 per testare progetti militari segreti, alcuni dei quali riguardavano i velivoli spia U-2 e Oxcart, usati per spiare l’Urss durante la Guerra fredda. Ebbene, l’eccezionale quota raggiunta dagli aerei-spia (18.000 metri) creò un incontrollabile “effetto collaterale”: il proliferare di segnalazioni di avvistamenti Ufo.
Guarda che Luna!
Nell’illustrazione del 1836 l’ipotetica passeggiata dell’uomo sulla Luna. Nell’altra pagina, l’inesistente telescopio di John Herschel. Nei due riquadri, il reporter Richard Adams Locke (1800-1871) e lo scrittore Edgar Allan Poe (1809-1849). 66
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Sul nostro satellite c’erano fiori, alberi, bestie più o meno mostruose. E uomini ricoperti da peli e con ali di pipistrello inglese aveva realizzato un immenso telescopio dal potere di ingrandimento di 42.000 volte: ecco spiegato come mai nessuno prima avesse potuto fare questa grande scoperta.
L’UNICORNO. Fu così che i lettori del Sun scoprirono che alcune delle forme di vita aliena erano simili a quelle terrestri, e abitavano foreste, fiumi, spiagge e isolotti. E che “la prima forma di vita apparsa agli occhi dell’astronomo [...] era un fiore rosso scuro esattamente simile al Papaver rhoeas, o papavero rosa”. Vi erano anche svariate specie di uccelli, strani anfibi rotolanti e branchi “di quadrupedi marroni, aventi tutte le caratteristiche esterne del bisonte, ma più piccoli d’ogni altra specie di questo tipo”. Particolare suggestione, poi, suscitò l’avvistamento dell’animale leggendario per eccellenza: l’unicorno “di color azzurrognolo e della grossezza di una capra, di cui aveva il capo e la barba”, con nel mezzo della fronte “un sol corno lievemente inclinato”. E, meraviglia delle meraviglie, il resoconto della scoperta della prima forma di vita intelligente lunare: il castoro
bipede, capace di padroneggiare il fuoco e di costruire capanne “più alte di quelle di molte tribù di selvaggi umani”.
UOMINI PELOSISSIMI. Ma i newyorkesi volevano sapere di più: c’era anche vita “umana”? La risposta non si fece attendere a lungo. E come in un gran finale che si rispetti, negli ultimi due articoli il Sun scrisse che la Luna era abitata da umanoidi ricoperti “da lunghi peli folti come i capelli, ma brillanti del color di rame” e che sfoggiavano due “ali composte d’una membrana sottilissima”. Tali ominidi alati, ribattezzati Vespertilio homo, o “uomo pipistrello”, apparivano docili e intelligenti, capaci perfino di erigere grandi templi di zaffiri. Ma anche le più grandi burle, prima o poi, devono avere una conclusione. E proprio sul più bello, quando i lettori aspettavano altre strabilianti rivelazioni, il giornale annunciò d’improvviso che le osservazioni di Herschel si erano dovute interrompere a causa di un incendio che malauguratamente aveva distrutto
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I marziani a New York
PRIMI DUBBI E SMENTITE. Nel frattempo, c’era anche qualcuno che aveva iniziato a nutrire forti dubbi. Tanto per cominciare, il maestro della letteratura horror americana Edgar Allan Poe, che accusò il Sun di aver plagiato il suo racconto fantastico su un viaggio sulla Luna in mongolfiera: L’incomparabile avventura di un certo Hans Pfaall. Alla voce di Poe si aggiunse anche quella del New York Herald, che mise in risalto le contraddizioni della relazione scientifica e sottolineò come l’incredibile telescopio di Herschel fosse impossibile da realizzare. Non solo. Venne anche fuori che il Journal of Science di Edimburgo, citato negli articoli, non esisteva più da tempo. E sempre secondo l’Herald, dietro quella beffa si sarebbe celato Richard Adams Locke, un reporter di Cambridge appena approdato al Sun. E il dottor Andrew Grant? Naturalmente non era mai esistito. Insomma, la sola notizia vera era che John Herschel, in quel periodo, si trovava realmente al Capo di Buona Speranza per studiare il passaggio della cometa di Halley. Solamente quando tornò a casa, alla fine del 1835, l’astronomo venne a sapere di
aver “scoperto” la vita sulla Luna. Nonostante tutte le smentite, la “grande burla della Luna” continuò ad apparire per mesi su molte testate straniere che pubblicarono lo scritto con tanto di illustrazioni sulla vita lunare. In Italia, per esempio, la bufala iniziò a circolare nel 1836. D’altra parte il Sun non pubblicò mai una smentita, mentre Richard Adams Locke confessò di essere l’autore della beffa solo anni dopo: aveva voluto ridicolizzare gli scienziati responsabili di sensazionalistiche affermazioni sulla presenza di forme di vita aliena nello spazio. Luna compresa. •
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il futuristico telescopio: una vera tragedia per la comunità scientifica. Ma ormai la notizia delle scoperte lunari aveva raggiunto mezzo mondo. A conti fatti, fu il più riuscito caso di notizia virale dell’era pre-digitale.
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lle 8 di sera del 30 ottobre 1938, gli americani all’ascolto della Cbs credettero che i marziani stessero invadendo gli Stati Uniti. Ai microfoni della radio c’era un 23enne Orson Welles, il futuro regista del cult Quarto potere. La sua idea? Con tanto di rumoristi in studio e finti collegamenti con attori che recitavano la parte di inviati che testimoniavano l’attacco alieno, Welles costruì una verosimile radiocronaca di una tragica invasione marziana in diretta. Solo dopo un’ora di trasmissione Welles confessò: si era ispirato a La guerra dei mondi, il romanzo fantascientifico scritto da H. G. Wells nel 1898. La mattina seguente, i giornali riportarono la notizia di gente in preda al panico, convinta di dover realmente far fronte a un’invasione dallo spazio. Non fu proprio così: qualcuno a credere alle parole di Welles probabilmente ci fu, ma il dilagare di un’isteria di massa fu solo una leggenda metropolitana che si aggiunse alla beffa. In ogni caso, ancora oggi, questo programma è considerato come uno dei migliori falsi della storia della radio.
Azione!
Nello studio della Cbs, nel 1938, Orson Welles “dirige” la finta radiocronaca dello sbarco dei marziani.
PRIMO PIANO
LICENZA PER
Il testo antisemita i Protocolli dei Savi Anziani di Sion fu smascherato come falso nel 1921. Eppure giustificò l’Olocausto ed ebbe un successo enorme.
FOTOTECA GILARDI
di Riccardo Michelucci
Il libro
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l testo dei Protocolli era suddiviso in 24 capitoli. Raccontava i contenuti di un incontro segreto fra i vertici di un’organizzazione ebraica decisa a imporre una “teocrazia giudaica” attraverso il controllo di finanza, politica e informazione. Si parlava di manovrare banche e giornali, scalando le istituzioni dall’interno, e si affermava che gli ebrei fossero responsabili di aver innescato la Rivoluzione francese, il liberalismo, il socialismo, il comunismo e l’anarchia per indebolire la società europea.
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È
un falso storico conclamato. Eppure è ancora oggi il “testo sacro” dell’antisemitismo: fu usato per giustificare le persecuzioni degli ebrei che iniziarono nel XX secolo e sfociarono nell’Olocausto. Stiamo parlando dei Protocolli dei Savi Anziani di Sion, best seller del XX secolo che descriveva un presunto piano segreto ordito dagli ebrei per appropriarsi del potere economico e conquistare il mondo. Nella Germania nazista, dove la
congiura ebraico-massonica fu ritenuta reale, i Protocolli diventarono una vera e propria “licenza per un genocidio”, come scrisse lo storico inglese Norman Cohn. Non solo, infatti, fu fatto stampare in milioni di copie da Hitler e da Mussolini. Ma anche nel resto d’Europa e negli Stati Uniti.
DALLA RUSSIA. Il terreno nel quale si diffuse inizialmente l’idea di un governo ebreo mondiale fu la Russia zarista di fine ’800. Poco dopo l’assassinio dello zar Alessandro II, iniziò infatti a circolare la traduzione di un volumetto satirico francese: Dialogo agli Inferi tra Machiavelli e Montesquieu di Maurice Joly. Il libro, nel quale l’autore attaccava la politica dell’imperatore Napoleone III, venne
Lo scoop
Un’illustrazione antisemita realizzata nel 1898. A destra, Philip Graves: il corrispondente del Times smascherò nel 1921 i Protocolli come un clamoroso falso.
poi stampato in Belgio e introdotto clandestinamente in Francia. L’Ochrana, la polizia segreta della Russia zarista, trovò il pamphlet utile nella sua campagna di discredito dei riformatori liberali e dei rivoluzionari che stavano guadagnandosi il sostegno popolare, in particolare tra le minoranze oppresse come gli ebrei. La prima edizione dei Protocolli fu pubblicata a puntate sul quotidiano di estrema destra di Pietroburgo Znamia (La Bandiera). Il titolo era eloquente: Programma della conquista del mondo da parte degli ebrei. Spiega Cesare De Michelis, docente di Letteratura russa all’Università degli Studi di Roma Tor Vergata: «In Russia furono pubblicati una ventina di volte tra il 1903 e il 1912. Ma dopo la Prima guerra mondiale cominciarono a girare il mondo con le edizioni tedesca, svedese, polacca, inglese, ungherese e francese.
FOTOTECA GILARDI
UN GENOCIDIO
Antisemita
Il magnate americano Henry Ford (sotto) fu un grande sostenitore del regime di Adolf Hitler. A sinistra, il suo giornale The Dearborn Independent che pubblicava molti articoli contro gli ebrei.
La bufala del Priorato di Sion
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FOTOTECA GILARDI
a storia del Priorato di Sion è rimasta a lungo sospesa tra realtà a finzione, finché gli stessi autori del falso sono stati costretti ad ammettere la bufala. Fu fatto credere che si trattasse di un’organizzazione segreta legata all’Ordine dei Templari, fondata a Gerusalemme dopo la prima crociata per tutelare la discendenza di Cristo. Questioni dinastiche. In realtà la setta fu inventata nel 1956 da Pierre Plantard, un esponente dell’estrema destra francese. L’associazione prese il nome “Priorato di Sion” da una montagnola chiamata Sion sopra Annemasse, in Francia (e non dall’omonimo monte di Israele), dove Plantard aveva casa. La macchinazione doveva servirgli a dimostrare la sua discendenza dalla dinastia dei Merovingi per portare avanti le sue pretese alla successione del trono di Francia. Il Priorato di Sion è tornato d’attualità in tempi recenti in seguito al successo del romanzo Il Codice Da Vinci di Dan Brown, nel quale la setta ha un ruolo centrale.
Una delle fonti di ispirazione per la dottrina di Hitler fu L’ebreo internazionale di Henry Ford
ALAMY/IPA
La prima versione italiana comparve nel 1921. E tra le molte traduzioni apparse in seguito ce n’è persino una in lingua yiddish». Il mito della cospirazione ebraica contro l’Occidente cristiano venne poi ripreso anche da altre opere russe.
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LA DENUNCIA DEL TIMES. Proprio nel 1921 però, quasi vent’anni dopo la prima pubblicazione, il falso venne smascherato da una serie di articoli pubblicati dal Times di Londra. «Fu il suo corrispondente da Costantinopoli, Philip Graves, a rivelare che il testo dei Protocolli era ampiamente plagiato dal pamphlet francese contro Napoleone», spiega De Michelis. Eppure, nonostante ulteriori riscontri, i Protocolli continuarono a circolare ed ebbero particolare successo in Germania, dove l’estrema destra li utilizzò per fare degli ebrei il capro espiatorio della disfatta subita nella
Prima guerra mondiale: a causare la resa dell’esercito tedesco sarebbe stato il complotto ebraico. Non solo. Quando, alla vigilia della Seconda guerra mondiale, i nazisti giunsero al potere, li usarono per giustificare l’urgenza della Soluzione finale. Poco importava che il mondo avesse le prove che quel libro fosse un falso clamoroso.
DIFFUSI OVUNQUE. Anche negli Stati Uniti, alla fine della Prima guerra mondiale, circolava la teoria del complotto antisemita. Henry Ford, fondatore dell’azienda automobilistica Ford Motor Company, fece stampare oltre mezzo milione di copie dei Protocolli. Non solo. Ford trasformò la sua rivista The Dearborn Independent in un punto di riferimento dell’antisemitismo internazionale e vi pubblicò una serie di articoli antisemiti poi raccolti in un unico testo intitolato
I falsi diari di Hitler
L’ebreo internazionale, che uscì per la prima volta nel 1920. I Protocolli arrivarono ovviamente anche in Italia, dove vennero pubblicati per la prima volta nel 1921 e furono poi ripresi dalla rivista fascista voluta da Mussolini nel 1938, La difesa della razza. Un’edizione successiva uscì con un saggio del filosofo Julius Evola che, pur ammettendo che si trattava di un falso storico, sosteneva che le teorie presentate nel libro si stavano realizzando.
DA UNA GUERRA ALL’ALTRA. Dopo la Seconda guerra mondiale, l’uso dei Protocolli come prova di una cospirazione ebraica tramontò definitivamente, almeno in Europa. Perché in Medio Oriente molti regimi islamici continuarono a considerarlo un documento storico e a sovvenzionarne la pubblicazione, negando nel
contempo l’Olocausto. E ancora oggi, molti testi scolastici arabi ne riportano estratti.
MENZOGNA IMMORTALE. Insomma, i Protocolli continuano a fare danni nonostante l’evidenza storica, come scrisse Umberto Eco nella prefazione del libro Il complotto. La storia segreta dei Protocolli dei Savi di Sion, di Will Eisner: «È incredibile come questo falso sia rinato dalle proprie ceneri ogni volta che qualcuno ha dimostrato che si trattava di un falso... E che dopo le rivelazioni del Times del 1921, ogni volta che qualche fonte autorevole ha ribadito la natura spuria dei Protocolli c’è stato qualcuno che li ha ripubblicati come autentici. E la storia continua oggi su Internet. Come se, dopo Copernico, Galileo e Keplero, si continuassero a pubblicare manuali scolastici in cui si ripete che il sole gira intorno alla Terra». •
MONDADORI PORTFOLIO/AKG
Sangue reale
L’assassinio dello zar Alessandro II di Russia a San Pietroburgo il 13 marzo 1881. Sotto, un volantino antisemita che circolava in Italia ai tempi di Mussolini.
uattordici giorni. Tanto bastò per smascherare un altro clamoroso falso del XX secolo. Nell’aprile del 1983 il settimanale tedesco Stern annunciò di essere in possesso di 60 volumi di memorie di Adolf Hitler, una scoperta che avrebbe rivoluzionato la storia della Seconda guerra mondiale. L’autenticità dei diari era stata documentata da tre periti calligrafi e a confermarne la veridicità fu chiamato lo storico inglese Hugh Trevor-Roper, considerato uno dei massimi esperti del Führer. La menzogna era stata costruita ad arte, raccontando che i presunti diari erano stati recuperati da un contadino nella stiva di un aereo schiantatosi a Berlino alla fine della guerra. Poi erano stati consegnati a un collezionista di cimeli nazisti, Konrad Kujau, che a sua volta li aveva passati a un giornalista dello Stern, Gerd Heidemann. La rivista aveva progettato di rivendere i diritti di pubblicazione a Newsweek e al Times. La stampa internazionale aveva diffuso la notizia e il giro d’affari aveva raggiunto cifre da capogiro. Ma appena due settimane dopo la polizia scientifica annunciò che carta e inchiostro erano stati prodotti dopo la Seconda guerra mondiale ed era dunque un clamoroso falso. La truffa. Kujau, già noto come falsario, confessò e fu condannato a quattro anni e sei mesi di reclusione. Anche Heidemann, che veniva considerato un grande reporter, finì in carcere per truffa. Lo scandalo travolse i vertici del settimanale tedesco e lo storico Trevor-Roper, rimasto vittima della falsificazione, vide la sua reputazione compromessa. Nel 2004 l’ultimo volume dei falsi diari è stato battuto all’asta a Berlino per 6.500 euro.
Scandalo
Nel 1983 la rivista Stern annunciò di essere in possesso dei Diari di Hitler (sopra, una pagina del falso diario).
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PRIMO PIANO Nei regimi totalitari (ma non solo) la propaganda ha usato modi diversi per riscrivere la Storia. Primo fra tutti, la fotografia. di Maria Leonarda Leone
RITOCCO POLITICO
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LA PRESA DI PORTA PIA
L’
apertura della breccia di Porta Pia, il 20 settembre 1870, è un episodio chiave del Risorgimento: sancì infatti l’annessione di Roma al Regno d’Italia e la fine dello Stato pontificio. Nella realtà, però, quella che le foto raccontano come un’impresa epica dei bersaglieri e dei fanti dell’esercito italiano, fu un’azione di guerra molto veloce e poco pericolosa, data la scarsa resistenza opposta dai soldati del pontefice. Per farla sembrare più eroica, negli scatti dell’evento i militari e i morti furono quindi moltiplicati a colpi di taglia, copia e incolla.
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UNO DI TROPPO
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hi di propaganda ferisce, di propaganda perisce. Sembra un contrappasso dantesco, quello toccato al ministro della Propaganda del Terzo Reich, Joseph Goebbels, cancellato con un colpo di spugna da una foto con Adolf Hitler. Il motivo per cui il Führer decise di eliminarlo dal gruppetto sorridente, immortalato nel 1937, è ignoto. Alcuni storici, comunque, pensano l’abbia fatto per mania di protagonismo: per non dover condividere con Goebbels i “meriti” della gestione della Germania nazista o perché amava essere circondato solo da donne?
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CHURCHILL SALUTISTA
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i sono l’uniforme, il viso inconfondibile e la celebre “V” di vittoria. Ma, qui sopra, al primo ministro britannico Winston Churchill (1874-1965) manca qualcosa: il famoso sigaro, presente nello scatto originale realizzato nel 1948 durante l’inaugurazione del nuovo Quartier Generale del 615° squadrone dell’aeronautica militare di Sua Maestà. Ad accorgersene, nel 2010, è stato un visitatore del Museo londinese The Winston Churchill’s Britain at War Experience, dopo che la foto alterata è stata esposta sulla facciata dell’edificio. Il cubano del politico più famoso del Regno Unito era rimasto vittima del mouse di un photoshopper contemporaneo, salutista o maniaco del politicamente corretto, il cui nome non fu mai rivelato.
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MAO PIGLIATUTTO
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l padre della Repubblica Cinese Mao Tse-Tung (1893-1976) era un habitué del fotoritocco. In questa foto, scattata nel 1936, vittima della gomma da cancellare del famoso rivoluzionario fu Chin Pang-hsien (1908-1946). Il suo nome di battaglia era Po Ku e fu il leader del Partito comunista cinese dal 1931 al 1935: stessa fede politica di Mao, ma con la colpa di simpatizzare per i dettami impartiti da Mosca. Motivo per cui i due finirono per scontrarsi duramente per ottenere la direzione del partito.
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I dittatori del Novecento sono stati maestri nell’eliminare i rivali politici: e non solo dalle foto
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l ministro dell’Interno dell’Unione Sovietica Nikolaj Ežov (18951940) fu uno dei più accaniti e attivi sostenitori delle Grandi Purghe, messe in atto negli Anni ’30, durante la dittatura di Iosif Stalin. Responsabile della morte di quasi 700mila persone, rimase l’uomo di spicco del governo fino al 1938. Allora, per prendere le distanze dagli eccessi di quegli anni, Stalin lo fece sparire: in senso letterale, fucilandolo il 4 febbraio 1940 per (presunto) tradimento, e in senso figurato, cancellandolo dalle foto che li ritraevano insieme.
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STALIN SENZA EŽOV
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DOV'È TROTZKIJ?
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BRIDGEMAN/MONDADORI PORTFOLIO
osca (Russia), anno 1919: il leader dei bolscevichi, Vladimir Lenin, parla alla folla da un pulpito in piazza Sverdlov. Qualcuno scatta una foto. Di lì a qualche anno, l’immagine ufficiale venne però sostituita da una versione ritoccata: quella senza Lev Trotzkij, il braccio destro di Lenin. A cancellarlo, dopo la morte del padre dell’Unione Sovietica, fu Iosif Stalin. Prima il dittatore lo fece esiliare e uccidere, poi decise di eliminare anche il ricordo di uno dei suoi più accaniti oppositori.
GRANT PER TRE
LE VELINE
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cavallo, in posa eroica: ecco una rara immagine del generale Ulysses Grant (18221885), uno dei principali artefici della sconfitta sudista nella Guerra civile nordamericana. Peccato che questo ritratto patriottico del futuro 18° presidente degli Stati Uniti sia un fotomontaggio, nato dal collage di tre foto diverse: la testa di Grant, il corpo e il cavallo del maggiore Alexander McCook e, sullo sfondo, truppe e tende immortalate durante la guerra.
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PALAZZO D’INVERNO
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uesta foto è diventata l’emblema della rivoluzione bolscevica. Non tutti sanno, però, che non venne scattata il 7 novembre (25 ottobre del calendario giuliano) del 1917, il giorno in cui la residenza invernale degli zar, il cosiddetto Palazzo d’Inverno (Pietroburgo), cadde nelle mani dei rivoluzionari guidati da Lenin e Trotzkij. Quelli che nello scatto sembrano soldati sono infatti attori, protagonisti dello spettacolo teatrale di Nikolai Evreinov L’assalto al Palazzo d’Inverno, andato in scena nel terzo anniversario della rivoluzione. Eliminati gli spettatori, l’immagine venne messa in circolazione nei Soviet dal 1922.
i chiamavano “veline”, ma non avevano nulla a che vedere con Striscia la notizia. In epoca fascista venivano definiti così i comunicati ufficiosi del regime. Prendevano nome dal fatto che, per realizzarne più copie possibile in una sola volta, venivano battuti a macchina su fogli di sottilissima velina, inframmezzati da cartacarbone. Dritte. Spedite quotidianamente ai direttori di riviste e quotidiani, riportavano le disposizioni impartite alla stampa da Mussolini e dal ministero della Cultura Popolare. La fabbrica della propaganda di regime stabiliva così il contenuto degli articoli, la collocazione dei titoli e, soprattutto, gli argomenti da ignorare. 75
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PRIMO PIANO SAPERNE DI PIÙ
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A CACCIA DI BUFALE
Le bugie più clamorose della Storia che hanno fatto la... Storia (o quasi). Cleopatra. La regina che sfidò Roma e conquistò l’eternità Alberto Angela (Harper Collins) Chi fu veramente Cleopatra? L’ultima regina d’Egitto che, a modo suo, conquistò Roma, è rivista a 360° da Alberto Angela. L’autore ne ricostruisce non solo le abili mosse politiche sullo scacchiere internazionale, ma anche gli amori e le passioni. Per farlo, Angela ha rintracciato le fonti storiche e consultato gli studi moderni, facendoci rivivere il periodo che ha segnato un cambio epocale nella storia romana. Il risultato è un meraviglioso viaggio nel tempo tra Occidente e Oriente. Che ci aiuta a riscoprire non solo una donna carismatica e intelligente ma anche un periodo storico affascinante e convulso.
Cleopatra - Una vita Stacy Schiff (Mondadori) Cleopatra, a soli 18 anni, ereditò l’Egitto, un Paese ricco candidato a diventare una delle vittime delle conquiste di Roma. Ma la giovane regina si dimostrò un’abile stratega, e trasformò il suo impero in un alleato dell’Urbe. Eppure Cleopatra è uno dei personaggi più bistrattati dalla storiografia, che l’ha dipinta nei secoli come una donna senza scupoli e un’amante insaziabile. In questa biografia la storica americana ne ricostruisce la vera identità: ne emerge il ritratto 76
di una sovrana colta e intelligente, capace di destreggiarsi sia sul campo di battaglia sia al tavolo delle trattative.
La donazione di Costantino Giovanni Maria Vian (Il Mulino) La donazione di Costantino fu uno dei falsi più famosi della storia occidentale. Redatto tra l’VIII e il IX secolo d.C, era l’atto con cui l’imperatore avrebbe concesso al papa Silvestro, e ai tutti i suoi successori, poteri e beni in Oriente, ma soprattutto in Occidente. E che avrebbe poi consentito la nascita dello Stato della Chiesa. La falsità della donazione di Costantino fu dimostrata definitivamente nel XV secolo dal filologo e accademico italiano Lorenzo Valla.
La storia falsa Luciano Canfora (Rizzoli) Un racconto avvincente che dimostra come la fabbrica del falso storico non conosce soste, anche se persino nei suoi più sofisticati prodotti si scorgono crepe che tradiscono anche il più abile dei falsari. Nella “storia falsa” sono raccolti esempi clamorosi di doppi giochi per deviare il corso della lotta politica: dall’inverosimile lettera di Pausania spartano al re di Persia, ai discorsi che si leggono nelle Storie di Tucidide, alla lettera di Bruto fatta passare per falsa, al celebre “testamento” di Lenin, inghiottito per anni dalla macchina di partito.
Un finto carro armato tedesco realizzato per confondere le forze americane nel 1944.
Licenza per un genocidio: i Protocolli dei savi Anziani di Sion e il mito della cospirazione ebraica Norman Cohn (Castelvecchi)
Con la famosa e preziosa prefazione di Umberto Eco, un testo fondamentale per comprendere lo sviluppo e il funzionamento dell’antisemitismo moderno. Si tratta infatti della prima grande analisi sull’incredibile vicenda dei Protocolli dei savi Anziani di Sion, il falso documento che aprì la strada allo sterminio degli ebrei d’Europa da parte dei nazisti e non solo. In questo testo, infatti, Norman Cohn ripercorre la completa evoluzione del mito del complotto ebraico, a partire dalle sue origini cristiane fino all’età moderna, per poi addentrarsi nell’ambiente dell’estrema destra ottocentesca.
La caccia alle streghe in Europa Bryan P. Levack (Laterza) Il terrore delle streghe divampa nell’Europa dell’Età moderna. Le
donne-streghe sono accusate di adorare il diavolo e di praticare malefici. Almeno 45mila donne bruciano sul rogo, ma molte di più sono quelle processate e torturate da tribunali religiosi e civili. Perché? Chi erano le accusate? Chi gli accusatori? Nell’interessante libro di Bryan P. Levack troviamo tutte le risposte.
Caccia alle streghe Marina Montesano (Salerno editrice) Il fenomeno storico della stregoneria e la conseguente caccia alle streghe nasce nel mondo antico ma arriva fino all’età più recente. Così, grazie a un’attenta analisi delle fonti, degli scritti e delle azioni dei protagonisti di lontane vicende, l’autrice delinea un quadro in cui la “caccia “ emerge non solo nel “barbaro Medioevo” ma anche in epoche in cui il trionfo della ragione avrebbe dovuto avere il sopravvento. Inoltre, Montesano prende in esame anche casi contemporanei che presentano elementi molto simili alle persecuzioni antistregoniche del passato.
RACCONTI REALI Seretse Khama con la moglie nel 1950, prima che il re venisse esiliato. A destra, Clement Attlee (1883-1967).
CHI? DOVE? QUANDO? SSPL/NMEM/DAILY HERALD ARCHIVE
TIME & LIFE PICTURES
A cura di Francesco De Leo
La famiglia Khama
Seretse Khama è stato il primo presidente del Botswana e rimase in carica sino alla sua morte nel 1980. Riposa nel cimitero di famiglia su una collina di Serowe, accanto alla first lady Ruth Williams Khama, morta nel 2002. Il figlio Seretse Ian Khama, nato a Chertsey il 27 febbraio 1953, è stato presidente del Botswana dall’aprile del 2008 all’aprile del 2018.
Il Botswana
BOTSWANA
IL PRINCIPE CERCA MOGLIE
U
na notte di inizio estate, in una Londra ancora provata dalla Seconda guerra mondiale, una giovane impiegata andò a una festa da ballo che avrebbe cambiato per sempre la sua vita. Qui, infatti, conobbe il suo principe azzurro: il giovane Seretse Khama (1921-1980), erede al trono dell’allora protettorato britannico del Bechuanaland (oggi Botswana). Il ragazzo era figlio della regina Tebogo e di Sekgoma Khama II, capo supremo del popolo Bamangwato e nipote di Khama III, il re. Fu chiamato Seretse, “l’argilla che tiene uniti”, per celebrare la riconciliazione tra suo padre e il nonno, cosa che gli avrebbe dovuto assicurare l’ascesa al trono dopo la morte di Sekgoma Khama II, che avvenne nel 1925. Così a soli quattro anni Seretse era già re e suo zio Tshekedi Khama suo reggente. Il giovane si formò in Sudafrica, proseguì i suoi studi di legge a Oxford e poi approdò a Londra per diventare avvocato. Ed è proprio nella capitale inglese che entrò in scena Ruth Williams (1923-2002), una donna inglese di estrazione borghese, ausiliaria nella Raf durante il conflitto mondiale e in quel momento impiegata presso i Lloyd’s di Londra. Indovina chi viene a cena? Dopo averla corteggiata per un anno, nel 1949 la sposò. Niente di strano, sennonché quel matrimonio interrazziale scatenò la furibonda reazione del Sudafrica e dei capi tribù del protettorato del Bechuanaland. E fu così che una storia d’amore divenne il simbolo della lotta al potere coloniale e alle leggi sulla segregazione. Il governo sudafricano, infatti, aveva da poco varato le leggi sull’apartheid che vietavano i matrimoni misti. Il primo ministro sudafricano Malan fece pressione sul governo britannico, allora retto dai laburisti di Clement Richard Attlee, perché destituisse Seretse Khama. Il governo di sua maestà non volle mettersi contro la potente nazione del Commonwealth. Il Sudafrica, infatti, oltre ad aver appoggiato la Gran Bretagna durante la Seconda guerra mondiale, rappresentava un alleato degli occidentali nella lotta contro l’espansione del blocco sovietico. E siccome il Botswana, pur essendo un Paese molto povero, vantava giacimenti di diamanti e uranio, gli inglesi fecero di tutto per non perdere il controllo del protettorato. Così nel 1951, dopo un’inchiesta parlamentare, a Khama fu ordinato l’esilio dal suo Paese. Solo nel 1956 la coppia poté rientrare in forma privata nel Bechuanaland. Nel 1961 Khama fondò il Partito Democratico e nel 1965 divenne premier. Una nuova costituzione aprì la strada all’indipendenza del Botswana, sancita il 30 settembre 1966 con la nomina di Seretse Khama come primo presidente.
Paese dell’Africa Meridionale conosciuto per le meraviglie del deserto del Kalahari e del delta dell’Okavango, un tempo era il protettorato britannico di Bechuanaland. Nel diritto internazionale un protettorato è uno Stato o un territorio controllato da uno Stato più forte, il quale si riserva di rappresentarne integralmente la personalità nell’ambito del diritto internazionale. Dal punto di vista del diritto interno, invece, lo Stato protetto mantiene una certa autonomia per quanto riguarda gli affari interni.
29 settembre 1948
È il giorno in cui il principe Seretse Khama riuscì a sposare Ruth Williams. Il matrimonio fu un’impresa disperata: dopo il veto dello zio reggente e la disapprovazione del padre della ragazza, persino il vescovo si rifiutò di acconsentire alle nozze, ma i due riuscirono lo stesso a sposarsi con rito civile, all’ufficio matrimoniale di Kensington (Londra). La coppia nel 1956 con i due figli: Jacqueline di sei anni e Seretse junior di tre.
DOMANDE&RISPOSTE
Queste pagine sono aperte a soddisfare le curiosità dei lettori, purché i quesiti siano di interesse generale. Non si forniscono risposte private. Scrivete a Focus Storia, via Arnoldo Mondadori 1, 20090 Segrate o all’e-mail redazione@focusstoria.it
Forza infernale
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Gli elefanti da guerra di Pirro: il re dell’Epiro sbarcò in Italia nel 280 a.C. portando per la prima volta nella penisola 20 pachidermi.
ANTICHITÀ
I ROMANI HANNO MAI USATO ELEFANTI IN GUERRA? Domanda posta da Carlotta Neve.
S Come carri armati
Soldati romani verso la guerra: le cariche degli elefanti erano micidiali. 78
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ì. Sebbene sia più nota la loro “militanza” nelle file dei nemici di Roma, anche i Romani vi fecero ricorso. Nelle battaglie più famose gli elefanti erano negli eserciti avversari, come in quello di Pirro, che li portò in Italia nel 280 a.C., e in quello di Annibale, dal passaggio delle Alpi (218 a.C.) alla definitiva sconfitta cartaginese di Zama (202 a.C.). Ma da quel momento furono proprio i Romani a giovarsi degli elefanti in battaglia, in particolare per la conquista della Grecia. Le legioni romane schierarono i pachidermi nel II secolo a.C. nelle battaglie di Cinocefale, Termopili, Magnesia e Pidna. Furono utilizzati anche nella conquista della Spagna (133 a.C) da parte di Publio Cornelio Scipione Emiliano. Poi nel 46 a.C. a Tapso (in Africa) fu Giulio Cesare a trovarsi contro i pachidermi, messi in campo dai Romani pompeiani guidati da Quinto Metello Scipione. Persino nel corso della conquista della Britannia, nel I secolo d.C., l’imperatore Claudio si presentò accompagnato da possenti elefanti. Alla vista degli imponenti animali i Britanni si spaventarono e lasciarono avanzare i Romani. Aldo Bacci
OTTOCENTO
È vero che Mazzini credeva alla reincarnazione?
SETTECENTO
Che cos’è il Gabinetto segreto del Museo archeologico di Napoli?
Domanda posta da Vanessa Messina. una sezione del museo (stanze 62 e 65) in cui sono esposte opere d’arte antica a soggetto erotico. Il Gabinetto ha una storia particolare, che inizia nel Settecento. Durante gli scavi di Ercolano e Pompei vennero alla luce pitture murali, statuette e altri oggetti a soggetto erotico. Il re di Napoli Ferdinando IV di Borbone decise di conservare queste opere nel Museo archeologico della città, in alcune stanze aperte solo ad adulti di indiscutibile moralità: nacque così il Gabinetto segreto. A metà Ottocento subì un’accanita censura e venne murato; ci fu chi propose persino di distruggere tutte le opere che vi erano conservate. Dopo aver strappato Napoli ai Borbone, nel 1860 Garibaldi lo fece riaprire, per poi essere di nuovo chiuso. Durante il fascismo, per visitarlo era necessaria un’autorizzazione del ministero dell’Educazione nazionale. Solo nel Novecento il Gabinetto fu riaperto ai visitatori: nel 1967 ai maggiorenni; nel 2000 a tutti, anche se i minori di 14 anni, ancora oggi, devono essere accompagnati da un adulto. Simone Zimbardi
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Chi fu il primo calciatore nero professionista?
POPPERFOTO/GETTY IMAGES
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rthur Wharton. Fu portiere nella Football League inglese tra il 1885 e 1902, in diverse squadre. Nacque il 28 ottobre 1865 a Jamestown nella colonia inglese della Costa d’Oro, attuale Ghana, e morì il 13 dicembre del 1930. Arthur Wharton emigrò in Inghilterra per studiare e diventare un missionario metodista. Al college però scoprirono le sue doti atletiche e finì, quindi, per dedicarsi agli sport a tempo pieno. Nonostante la schiavitù fosse stata abolita in tutto il
Domanda posta da Antonio Litta.
Regno Unito nel 1833, all’epoca in cui visse la discriminazione razziale era ancora forte. Fu così che, nonostante le grandi doti atletiche, Warthon finì la sua vita lavorando nelle miniere di Edlington. Soltanto nel 1997 è stata ricostruita la sua storia e nel 2003 il suo nome è stato inserito nella Hall of Fame (al National Football Museum di Manchester) del calcio inglese. Oggi è celebrato da una statua al quartiere generale della Fifa (Zurigo) come simbolo della lotta al razzismo. Emilio Vitaliano
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ì, è vero: ci credeva e anche molto, tanto da usare per primo, nella lingua italiana, questa parola. Ecco cosa scrisse: “Noi crediamo in una serie indefinita di reincarnazioni dell’anima, di vita in vita, di mondo in mondo, di cui ciascuna costituisce un progresso sulla precedente; noi possiamo ricominciare l’apprendistato quando non abbiamo meritato di passare ad un grado superiore, ma non possiamo retrocedere né estinguere spiritualmente“. Credeva anche che le anime vagassero negli spazi siderali prima di entrare nel corpo a cui dare vita, come spiegò al suo amico Alberto Mario, che gli chiedeva come funziona il fenomeno della reincarnazione e perché non ricordiamo le vite precedenti: “Si fa come intorno a una enorme piramide, di guisa che pervenuti a certa altezza cominciasi a discernere il cammino percorso. Saliti alla cima, poi, lo si vede intero. Qui, nella terra, siamo in continuazione di viaggio, provenienti da altri astri o pianeti. Non ce ne sovviene perché siamo ancora troppo in basso. Arrivati più in su, ad altre stelle, ci si scoprirà la spirale corsa, e gettandovi su l’occhio ricorderemo il passato”. Mazzini ricordava almeno una sua vita precedente. In una lettera a Marie d’Agoult, nel luglio 1865, a proposito della Svizzera, scrisse: «La mia Svizzera, poiché ho vissuto lì prima di nascere in Italia». Paolo Cortesi
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Dal Museo archeologico di Napoli: Pan e la capra e, sopra, mosaico con satiro e ninfa.
Domanda posta da Gianni Brucola.
Wharton nel 1896: giocò in molte squadre inglesi. 79
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GEORGE GOWER THE ARMADA PORTRAIT
RITRATTO DELLA VITTORIA
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Il quadro celebra la regina Elisabetta I, che sconfisse la flotta navale spagnola e governò per 45 anni.
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el Sogno di una notte di mezza estate William Shakespeare accenna alla sua regina come a “una bella vestale seduta in trono in Occidente”, “imperiale sacerdotessa” immersa “in verginali meditazioni, intatta da fantasie d’amore”. Sul trono d’Inghilterra Elisabetta I sedette per 45 anni, dal 1558 al 1603, guidando la nazione in uno dei più floridi e fortunati periodi della sua storia, quello che di fatto vide la nascita della vocazione imperiale inglese. Non fu esattamente scevra da “fantasie d’amore”, considerando che le fu attribuito più di un amante, ma di sicuro volle con tenacia restare lontana dal matrimonio rifiutando pretendenti di altissimo rango. Fu una scelta politica oltre che personale, finalizzata a costruire l’immagine di una “regina vergine” completamente dedita al governo e al benessere dei suoi sudditi: una vestale degli affari di Stato aliena da ogni debolezza. Trono scomodo. Erano quelli tempi duri per regnare, tra aspri confronti religiosi interni e conflitti aperti o striscianti con la superpotenza dell’epoca, la Spagna di Filippo II. Suo padre, Enrico VIII, per sposare in seconde nozze quella che sarebbe stata sua madre, Anna Bolena, fece annullare il primo matrimonio con Caterina d’Aragona (che non gli aveva dato un erede maschio) dando origine alla Chiesa anglicana, scismatica nei confronti di quella romana. Elisabetta, protestante, cercò di ridare pace ed equilibrio al suo popolo dopo il duro governo della sua sorellastra cattolica, Maria I, passata alla storia come “la sanguinaria” per le persecuzioni contro i seguaci della fede riformata. A segnare l’apice del suo regno fu la sconfitta che la flotta inglese inferse alla potentissima e imponente Armada spagnola nel canale della Manica, nell’agosto del 1588, celebrata in questo ritratto: evento che sventò l’invasione del Regno britannico e sancì il ruolo di grande potenza dell’Inghilterra guidata dalla “regina vergine”. The Armada Portrait, attribuito al pittore inglese George Gower e dipinto nel 1588 circa, è custodito nella collezione dell’Abbazia di Woburn, nel BedfordShire. Edoardo Monti
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Le rotte oceaniche e il commercio mondiale erano dominati dalla Spagna. Elisabetta rivendicava spazio per i mercanti inglesi e così diede via libera alla guerra di corsa, condotta da capitani di grande esperienza come Walter Raleigh, John Hawkins e Francis Drake.
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La mano destra di Elisabetta poggia su un globo terrestre. La regina esprime così la sua volontà di fare del suo regno una potenza planetaria. Proprio in quegli anni era iniziata la colonizzazione inglese nell’America del Nord, in quella che sarà la Virginia.
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Nessuno a corte doveva indossare abiti che potessero in qualche modo rivaleggiare con quelli della regina, arricchiti con ricami e tempestati di pietre preziose. I suoi colori prediletti erano il bianco, simbolo di purezza, e il nero, storicamente associato all’idea d potere.
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Le navi inglesi erano in gran parte affittate da mercanti e corsari: la flotta reale era esigua. Ma erano più leggere e veloci di quelle spagnole e avevano cannoni a più lunga gittata, così riuscirono a sottrarsi alle tecniche spagnole di abbordaggio.
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Come visto dalle due finestre, alle spalle della regina va in scena l’episodio saliente del suo regno. Nel 1585 il cattolico Filippo II progettò l’invasione della protestante Inghilterra con una flotta imponente, la Grande y Felicísima Armada.
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L’Armada salpò nel luglio del 1588. Dopo qualche schermaglia con la flotta inglese, gettò le ancore al largo di Calais. Qui gli inglesi portarono scompiglio nella sua serrata formazione inviandole contro alcuni vascelli incendiati. Era il 29 luglio.
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Elisabetta amava molto i gioielli, in particolar modo le perle, funzionali alla sua immagine di “regina vergine” poiché simboleggiavano la purezza. Quelle che ha al collo nel dipinto furono acquistate nel 1568 da Maria Stuarda, sua cugina e regina di Scozia.
L’elaborato abito era parte delle strategie di comunicazione della regina, indirizzate a fare della sua figura una rappresentazione dell’idea di potenza e sicurezza. La vestizione mattutina della sovrana durava oltre due ore.
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Ogni primo giorno di gennaio, come regalo di Capodanno, la regina riceveva in dono vestiti e oggetti preziosi dai suoi cortigiani. In un inventario del 1587 sono registrati ben 682 gioielli; alla morte di Elisabetta, nel 1603, il suo guardaroba contava oltre duemila abiti.
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Le navi spagnole sono in balia delle onde. Messa in difficoltà dalla tattica della flotta britannica, l’Armada sbandò e cercò rifugio risalendo le coste orientali inglesi. Ma nel lungo percorso per tornare in patria scogli e tempeste fecero più danni dei cannoni inglesi.
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La gorgiera era elemento distintivo nell’abbigliamento dell’età elisabettiana. Le più ricche erano realizzate con tessuti preziosi rifiniti da pizzi molto elaborati, decorati con fili d’oro o d’argento. Erano sostenute da un telaio metallico e rese rigide da abbondante amido.
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All’epoca del ritratto la sovrana aveva circa 55 anni. Per mantenere un aspetto giovanile, fondamentale per il ruolo di guida del Paese, usava parrucche dello stesso rosso acceso dei suoi capelli e un cerone fatto con bianco d’uovo, gusci d’uovo in polvere, allume, borace e semi di papavero. 81
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ANTICHITÀ
IL NUMIDA
CHE COMPRÒ ROMA
Giugurta è il re di Numidia che nel 115 a.C. pagò i senatori affinché non interferissero con le sue mire espansioniste. Perché “a Roma tutto è in vendita”... SHUTTERSTOCK / ANTON_IVANOV
di Giulio Talini
Scenografica
Le rovine romane di Madaura, città fondata nel III secolo a.C. nell’antica regione della Numidia (tra Marocco e Tunisia). Il suo re, Giugurta, combatté contro i Romani dal 112 al 105 a.C.
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u pieno di talenti e li impiegò per un solo scopo: liberarsi dal giogo romano. Alla fine fallì, ma non fu dimenticato. Il suo nome era Giugurta, il secolo era il II a.C., la sua terra la Numidia, il suo nemico la corrotta e avida Repubblica di Roma. Quanto agli altri nemici di Roma, da Annibale al seleucide Antioco III, dal macedone Perseo al gallo Vercingetorige, fecero tremare l’Urbe con le armi. Uno spreco di fatica, direbbe Giugurta:
bastava un po’ d’oro e i Romani perdevano la testa. E magari la guerra. Come dimostra la sua storia, piena di astuzie, intrighi e guerre, e segnata dall’amaro finale della prigionia in casa del rivale di una vita, Roma.
SERPE IN SENO. Tutto iniziò in Numidia, antica regione dell’Africa Nord-occidentale situata tra Mauretania (l’attuale Marocco) e i domini cartaginesi (l’attuale Tunisia). Benché in parte
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desertica, questa terra fu a lungo frammentata e contesa tra fazioni rivali finché Massinissa, alleandosi con i Romani contro Annibale, riuscì a unificarla al termine della Seconda guerra punica (201 a.C.). Proprio lì nacque, intorno al 160 a.C., Giugurta, figlio illegittimo di Mastanabale, a sua volta figlio minore di Massinissa: per via del suo sangue “impuro” era la pecora nera della stirpe reale. Solo il talento poteva dargli ciò che la nascita gli negava.
«Era improbabile che potesse succedere al trono», racconta Philip Matyszak, autore del libro I grandi nemici di Roma antica, «ma era benvoluto, di bell’aspetto ed energico». Oltre ai Numidi se ne accorsero pure i Romani, quando il successore di Massinissa, Micipsa, inviò il giovane a combattere tra le file del console Scipione l’Emiliano nella guerra contro Numanzia, in Spagna (134-133 a.C.). “Grazie alla sua indiscutibile obbedienza e allo sprezzo del
Guerra aperta
In alto, un’illustrazione settecentesca sullo scontro del 109 a.C. in cui le legioni romane del console Quinto Cecilio Metello Numidico sconfissero presso il fiume Mutule l’esercito di Giugurta (nella moneta).
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Giugurta esagerò con gli eccidi (ammazzò anche il cugino) e con la corruzione, ma seppe fare un capillare gioco diplomatico
LA REAZIONE DI ROMA. Era il 118 a.C. quando Micipsa morì lasciando un solo regno per tre successori. Ambizioso e senza scrupoli, Giugurta non era tipo da accontentarsi della propria fetta di potere. E infatti appena ne ebbe la possibilità fece fuori Iempsale (116) e dichiarò guerra ad Aderbale, trascinando l’intera Numidia in una lotta civile all’ultimo sangue. Sebbene in inferiorità numerica, Giugurta ebbe la meglio e l’intero regno cadde sotto il suo controllo. L’unica notizia positiva per Aderbale era di non essere morto: di fronte alla disfatta, aveva optato per la fuga presso i Romani, amici di vecchia data dei Numidi. Dall’Africa passò così a Roma per denunciare la spietatezza del cugino, ma i messi di Giugurta, invece di una sfilza di lamentele, offrirono parole lusinghiere e oro luccicante. Clamorosamente il Senato dispose che i due contendenti si spartissero il regno: a Giugurta, guarda caso, andò la parte più fertile e popolata. Una dimostrazione che, come pensava Sallustio (ma anche lo stesso Giugurta), “A Roma tutto è in vendita”? Forse, ma non ci volle molto perché tra i vicini scoppiasse un nuovo conflitto. Stavolta però Giugurta passò il limite: spinto Aderbale dentro la fortezza di Cirta, la cinse d’assedio e alla fine offrì al cugino e ai suoi la vita in cambio della resa. I nemici accettarono per poi pentirsene, perché una volta in città Giugurta ordinò di ammazzare tra le torture Aderbale, tutti i Numidi adulti e persino i commercianti italici presenti a Cirta. Nel 112 a.C. la notizia del massacro giunse a Roma e costrinse il Senato ad adottare controvoglia l’unica risoluzione decorosa dopo una figuraccia simile: l’intervento armato di Roma. URBE IN VENDITA. L’avidità scandì la prima fase del cosiddetto conflitto giugurtino, costellata da generali ed esponenti della corrotta élite senatoria romana assetati molto più di quattrini che di gloria. Il console Lucio Calpurnio Bestia, 84
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uno di questi venduti, invece di assoggettare la Numidia siglò una pace disonorevole con Giugurta dietro il pagamento della solita mazzetta (111 a.C.). A Roma scoppiò un putiferio, soprattutto grazie alle denunce del tribuno della plebe Gaio Memmio, impetuoso oppositore del corrotto ceto senatorio. Per scovare i colpevoli fu addirittura chiamato a testimoniare il re numida con la promessa dell’immunità, ma Giugurta ormai aveva parecchie amicizie tra i Romani: appena Memmio lo interrogò un altro tribuno gli impose di tacere. Non solo: visto che a Roma viveva un pretendente al trono numida, Massiva, Giugurta pensò bene di ammazzarlo. Umiliata l’Urbe in mille modi, la apostrofò tornando in patria: “Oh città venale e ben presto destinata alla rovina, se troverà un compratore!”. Il delitto commesso dal re numida spinse il governo romano a riprendere la guerra, seppure con esiti disastrosi: mentre il console Spurio Postumio Albino rimase inattivo godendosi le bustarelle del nemico, il fratello Aulo subì una cocente sconfitta sul campo, a Suthul, da parte di Giugurta. Il prestigio di Roma era ai minimi storici.
ARISTOCRAZIA SOTTO TIRO. La Guerra giugurtina aveva ormai assunto per i Romani i connotati di una crisi interna, perché aveva messo a nudo gli abusi e lo strapotere dell’oligarchia senatoria. La rabbia popolare montava, e su quest’onda venne fuori il nome del console Quinto Cecilio Metello poi detto Numidico, che nel 109 a.C. assunse il comando delle operazioni in Numidia. Aristocratico, colto, brillante, integerrimo, Metello era il giusto antidoto al dilagare della corruzione. Giugurta lo capì in fretta: Metello “molto astutamente attaccò il nemico con le sue stesse arti, mentre questi cercava di sfuggirgli ora con preghiere, ora con minacce, ora con ritirate finte ora vere”, racconta Floro, storico romano del II secolo d.C. I Romani vinsero sulle rive del fiume Mutule, costringendo Giugurta alla ritirata. Mancava poco alla disfatta della Numidia, ma le faide politiche dei Romani la BRIDGEMAN
pericolo divenne ben presto un eroe per i Romani e un terrore per i nemici”, riportava lo storico romano Sallustio, al quale dobbiamo quasi tutto quello che sappiamo su Giugurta (v. riquadro nella pagina a destra). A guerra finita, Scipione rimandò a casa l’abile e carismatico numida con tanto di lettera di raccomandazione per l’alleato Micipsa: “Ecco che hai un uomo degno di te e del suo avo Massinissa”. Micipsa non se lo fece dire due volte: adottò Giugurta e lo nominò coerede insieme ai figli Aderbale e Iempsale.
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Sopra, in un’illustrazione ottocentesca, Giugurta inveisce contro Roma, apostrofata come città corrotta. Nella pagina accanto, la consegna di Giugurta al console Mario (105 a.C.) vista nel ’700. Sotto, un cavaliere numida in un rilievo del I secolo a.C.
Sallustio, da politico a storico
rimandarono di nuovo. Metello fu infatti rimosso dal comando a causa delle macchinazioni di un suo ambizioso legato, Gaio Mario, homo novus di umili origini amato dalla plebe assai più dell’aristocratico generale. Giugurta tirò un sospiro di sollievo. Ma la tregua sarebbe durata poco.
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FINALE CON TRADIMENTO. Mario, eletto console nel 107 a.C., la sapeva lunga in fatto di guerra: riformò l’esercito, conquistò i cuori dei
suoi soldati e ridusse metodicamente i forti e le città fedeli al re numidico. Giugurta era di nuovo sotto attacco e gli toccò rivolgersi al suocero Bocco, re di Mauretania. «Le forze congiunte di Numidi e Mauretani attaccarono Mario mentre questi si ritirava nei quartieri d’inverno», spiega ancora Philip Matyszak, ma le legioni si radunarono e respinsero i Numidi più volte. Secondo Sallustio, in uno scontro Giugurta, “circondato dalla nostra cavalleria, caduti tutti i suoi a destra e a sinistra, lui solo riuscì a sfondare il cerchio sfuggendo ai dardi nemici che gli piovevano intorno”: privo di scrupoli sì, codardo no. Fatti due conti, Bocco pensò alla pace separata con Roma. Dei negoziati segreti si occupò un sottoposto di Mario, Lucio Cornelio Silla, che convinse il re moro a tradire il genero: nel 105 a.C., durante un colloquio con Giugurta, al segnale convenuto, gli scagnozzi di Bocco catturarono il re numidico massacrandone i compagni e lo consegnarono a Mario, che ebbe finalmente tra le mani il trofeo dei trofei. Condotto a Roma in catene, il numida sfilò per le strade dell’Urbe in mezzo ai nemici esultanti. In sintesi, sfruttò con intelligenza le tensioni socio-economiche e la corruttibilità dei Romani, ma finì per sottovalutarli. Nulla però poté oscurarne i numerosi talenti, nemmeno la pazzia che lo colse nel Tulliano, la temutissima prigione di Roma dove poi morì: “Per Ercole”, gli fece dire Giovanni Pascoli nel poemetto che gli dedicò nel 1896, “com’è freddo questo bagno romano!”. •
rima di occuparsi di Giugurta lo storico romano Gaio Sallustio Crispo, autore del Bellum Iugurthinum (La guerra giugurtina), aveva avuto trascorsi politici. Nato nell’86 a.C. ad Amiternum in Sabina, intraprese presto la carriera politica pur non avendo ascendenze aristocratiche e nel 52 a.C. fu tribuno della plebe. Si legò presto a Cesare e forse a quest’ultimo miravano i censori che bandirono Sallustio dal Senato per immoralità. Fu proprio Cesare a vincere la guerra civile contro Pompeo: da allora Sallustio fu riammesso in Senato ottenendo in seguito diverse cariche politiche. Nuovo ruolo. La notizia delle Idi di marzo (44 a.C.), tuttavia, suonò come un requiem per la sua carriera. E allora abbandonò la politica per dedicarsi alla storiografia, con esiti migliori: prima della morte, sopraggiunta intorno al 35 a.C., Sallustio (sotto) scrisse il De coniuratione Catilinae (La congiura di Catilina) e, appunto, il Bellum Iugurthinum.
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AL DITO di Elisa Venco
La storia dell’anello è un viaggio fra credenze e simbologie del passato. Arrivate fino a noi.
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Lo Sposalizio della Vergine, di Raffaello (1504). San Giuseppe sta mettendo al dito di Maria l’anello nuziale sotto gli occhi del sacerdote e degli invitati. L’uso della fede nuziale risale all’antichità.
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anello di Gige, racconta Platone ne La Repubblica, garantiva l’invisibilità. Quello gettato (e poi ritrovato) dal tiranno di Samo Policrate, secondo Erodoto, rappresentava l’impossibilità di sfuggire al proprio destino. Quello di re Salomone dava il potere di farsi capire dagli animali mentre ne Il Signore degli Anelli di Tolkien l’anello aveva poteri malefici e oscuri... Attorno, è il caso di dirlo, all’innocuo cerchietto si è costruita e detta qualsiasi cosa. Miti, leggende e letteratura da almeno 4.500 anni rivestono gli anelli di significati simbolici: determinare destini, sigillare legami, racchiudere impegni e promesse. Compiti impegnativi per un oggetto apparentemente banale, ma che nella forma denuncia la sua natura “divina”: un cerchio perfetto, privo di inizio e di fine, ininterrotto e immutabile, immagine dell’eternità e dell’infinito. Una forma che, in quanto chiusa, sottintende anche completezza, contenimento, limitazione. Come è implicito nell’odierna denominazione di “ring” per lo spazio di lotta usato nella boxe: discende dal cerchio che nell’antichità si disegnava a terra per delimitare il terreno di un combattimento.
SIGILLI & C. Nel tempo, ovviamente, dell’anello sono mutati tanto i simbolismi quanto le fogge e i materiali. E così, se nell’antico Egitto quelli che erano allora oggetti di uso quotidiano potevano essere impreziositi da smalti e pietre dure, al contrario presso i Greci venivano riservati a occasioni speciali e potevano essere d’oro, con 87
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A ognuno il suo
Da una tomba egizia
Gioiello del faraone Psusennes I (1036-989 a.C.)
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Anello romano in oro con perla rinvenuto a Oplontis (Torre Annunziata).
Foggia romana
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Sempre dall’insediamento di Oplontis, cerchio d’oro di oreficeria romana.
Micene
Anello-sigillo con scena di battaglia (civiltà micenea, XVI secolo a.C.). 88
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Il cerchio, senza inizio e senza fine, è una forma chiusa che simboleggia eternità e infinito
Per i pescatori di anime
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anello ecclesiale più noto è sicuramente l’anello piscatorio (cioè del pescatore), un oggetto in oro legato al celebre passo del Vangelo di Luca in cui Gesù dice al discepolo Simon Pietro: “Non temere, d’ora in poi sarai pescatore di uomini”. Indossato dai pontefici sull’anulare della mano destra a partire almeno dal 1265, quando se ne ha la prima menzione in una lettera di papa Clemente IV, portava inciso il nome di ognuno e fino al 1842 serviva come sigillo per la corrispondenza privata del papa. Perciò, alla morte del pontefice
pietre preziose. E non ci si limitava solo alla funzione ornamentale. I primi anelli con un’incisione, ovvero un “sigillo” che serviva come autentica sui documenti, comparvero nel IV millennio a.C. nell’ambito della civiltà cretese-micenea e rimasero in voga per secoli. E nell’Antico Testamento un anello sanciva il passaggio ufficiale di potere: siamo nel libro della Genesi (41,41-42) che riporta come, per metterlo a capo del Regno d’Egitto, “Il Faraone si tolse di mano l’anello e lo porse sulla mano di Giuseppe”. Il gesto fu ripetuto, tra gli altri, anche da Alessandro Magno, che nel 323 a.C., prima di morire, consegnò al reggente Perdicca il suo anello.
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QUESTIONE DI STATUS. Nell’antica Roma lo status dei cittadini veniva contrassegnato da anelli differenti: i senatori, i magistrati e, dal terzo secolo a.C. in poi, i cavalieri,
per cui era stato appositamente realizzato, ogni anello veniva distrutto: bisognava evitare la creazione di documenti falsi. Invece nel caso di Benedetto XVI, vivo ma papa “emerito”, l’anello piscatorio è stato “biffato”, cioè annullato con due graffi (secondo la tradizione di un tempo che lo rendeva, così, inservibile per apporre i sigillo papale sui documenti) e tolto dal dito di papa Ratzinger. Che oggi indossa una copia dell’anello donato nel 1965 da Paolo VI ai Padri conciliari per la chiusura del Concilio Vaticano II, con incise le figure di Cristo, di san Pietro e san Paolo (nella foto: Pio VII (1742-1823).
a lungo furono i soli a godere del privilegio di portare un anello in oro, lo jus annuli aurei, mentre gli schiavi liberati dovevano accontentarsi di semplici cerchi di argento e gli schiavi di cerchi di ferro. Tuttavia, al tempo della Repubblica, molti potenti conservavano gli anelli in ferro, in ossequio alla semplicità degli avi. Il console Mario portava appunto l’anello ferreo quando, nel primo secolo a.C., trionfò su Giugurta, il re di Numidia (vedi articolo a pag. 22 ). D’altro canto, c’erano parecchi “nuovi ricchi” che amavano esibire un gioiello in oro; anche se, commenta ironicamente lo scrittore Plinio il Vecchio, “un anello sul dito altro non era che un segnale che il proprietario aveva qualcosa di valore a casa”. Qualcuno esagerava: come il console Marco Licinio Crasso, che giustificava i due anelli con le sue immense ricchezze. Con il passare del tempo gli agiati Romani arrivarono a
Senza tempo
Nella foto grande, dettaglio del dipinto cinquecentesco Ritratto di gentiluomo (Bartolomeo Veneto). A sinistra, lo scambio di anelli in un’illustrazione dell’enciclopedia medievale Omne Bonum dell’inglese James le Palmer.
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Gli anelli hanno custodito il veleno fatale con cui grandi personaggi si sono suicidati era utilizzato per i fidanzamenti, il cingulum (o vinculum) era invece l’anello nuziale da infilare nell’anulare sinistro dove, sostiene Aulo Gellio ne Le notti attiche, gli Egiziani avevano scoperto la vena amoris, una “via” che conduceva dal dito al cuore. Per le matrone romane spesso l’anello nuziale aveva applicata una piccola chiave, a simboleggiare un punto centrale del contratto matrimoniale: una moglie
VELENI E TALISMANI. Alcuni personaggi noti, come l’oratore greco Demostene e il grande condottiero Annibale, si diedero la morte, rispettivamente nel 322 a.C. e nel 183 a.C., attraverso il veleno nascosto
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portare anelli su tutte le dita, alternando perfino anelli leggeri per l’estate e pesanti per l’inverno, con un “cambio di stagione” ogni sei mesi definito semestres annuli. E quando si andava a letto, o al bagno, o a un banchetto, gli anelli erano deposti in apposite cassettine d’avorio dette dactilioteche. Proprio come oggi, a Roma si sancivano le unioni sentimentali con l’anello. L’anulus pronubus
aveva diritto alla metà del patrimonio del marito. L’usanza di questo oggetto come pegno d’amore ha attraversato indenne i secoli, con un aggiustamento: nel Rinascimento si impose la moda dell’anello di fidanzamento con diamante, arrivata fino a noi. Per chi poteva, e può, permetterselo.
Vincolo d’amore
Il fidanzamento, quadro del pittore Lucas van Leyden (1494-1533): l’anello era simbolo di impegno e fedeltà, soprattutto per le donne.
Nel Rinascimento l’anello ritornò principalmente a essere considerato un ornamento, a cui non rinunciavano neanche gli altissimi prelati: nel celebre ritratto (1511) firmato da Raffaello, Giuliano della Rovere, alias papa Giulio II, esibisce sulle mani ben sei gioielli. Ma se nel corso dei secoli fogge e materiali si sono evoluti, dall’antichità all’Ottocento un elemento non è mutato: la diversa simbologia assunta dal prezioso cerchietto su uomini e donne. Passando in rassegna varie leggende di tutto il mondo, da quella induista del V secolo a.C. della bella Sakùntala, alla fiaba Pelle d’asino di Charles Perrault fino alla saga nibelungica di Brunilde e Sigfrido, la studiosa americana Wendy
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nei loro anelli. Anche chi, invece, dalla morte voleva proteggersi poteva confidare nei buoni servigi di un anelloamuleto, con pietre a forma di occhio per scongiurare il “mal-occhio”. Rimase in uso fino al Medioevo, dove i compiti protettivi dipendevano dalle figure che vi erano incise o dalle pietre incastonate. Contro le epidemie ci si affidava ad anelli su cui era raffigurata la Sacra Famiglia; contro epilessia, convulsioni e attacchi di ogni tipo in Inghilterra si ricorreva ai cramp rings (contro i crampi) in argento od oro e benedetti da un sacerdote. Un anello con ametista faceva restare sobri; quello con il turchese cambiava colore in presenza di veleno, preservava la castità e preveniva la povertà e i tradimenti.
Doniger ha riscontrato uno schema ricorrente: l’anello porta l’uomo al vizio, la donna alla fedeltà. Come scrive nel suo libro The Ring of Truth and Other Myths of Sex and Jewelry (Oxford University Press): «L’anello, indossato da una donna, diventa un simbolo di fedeltà; quando è messo da un uomo, è uno strumento di corruzione, che induce l’eroe a violare la promessa della monogamia che lo stesso anello rappresenta». Tutte le leggende legate a un anello esprimerebbero dunque, secondo la studiosa, la misoginia del mondo antico e una concezione della donna come possesso esclusivo di un uomo assai meno vincolato. Non è tutto oro quello che luccica. •
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Forza oscura
Frodo Baggins (interpretato da Elijah Wood) protagonista de Il Signore degli Anelli.
Spazio di lotta
Sopra, il termine ring è un richiamo al cerchio che nell’antichità delimitava lo spazio del combattimento. BRIDGEMAN
Tra fiction e letteratura
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Una coppia sceglie l’anello in una gioielleria degli anni Cinquanta (copertina del giornale inglese John Bull).
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iù che un gioiello, è un legame. In molte opere letterarie l’anello perde la sua funzione ornamentale per rappresentare un vincolo o, più spesso, un impedimento. Succede, per esempio, con l’anello che nel mito Zeus fa indossare a Prometeo, in cui è incastonato un pezzetto della roccia cui il titano è stato legato, in modo da dissuaderlo da ulteriori ribellioni. Sotto controllo. Ma ci sono altri casi in cui l’anello diventa il simbolo di un potere superiore, come se il cerchio che avvolge il dito, al pari di una camicia di forza, bloccasse la volontà di chi lo indossa. È ciò che suggerisce la vicenda del bovaro Gige ne La Repubblica di Platone: ottenuta l’invisibilità grazie a un anello d’oro, Gige uccide il re di Lidia Candaule e ne seduce la moglie. Il senso della storia? Che il concetto di moralità è legato al controllo della società: senza di esso, perfino il più virtuoso degli uomini sarebbe capace delle azioni peggiori. Insomma l’essere umano deve frenare
i suoi istinti, “intrappolarli” come fa un cerchio con il dito attorno a cui è infilato. Malefico. Questa forma di “resistenza” alle tentazioni ritorna nelle opere di Tolkien, dove l’anello è capace di corrompere l’uomo. Solo gli Hobbit sono in grado di resistere alla tentazione della supremazia assoluta: ed è grazie a uno di loro che il gioiello malefico verrà distrutto fra le fiamme. Anche ne L’anello del Nibelungo, musicato da Richard Wagner, l’anello consente di dominare il mondo: per questo il nano Alberich, che è riuscito a forgiarlo, pur di conservarlo è disposto a rinunciare per sempre all’amore. Al contrario, affinché l’amore possa estinguere la maledizione del potere, Brunilde distrugge nel fuoco il pericoloso anello. Lo stesso dualismo ritorna nei poemi di Ludovico Ariosto: perché se la bella Angelica ricorre a un anello che rende invisibili per sfuggire alle profferte amorose di Orlando, lo stesso oggetto rende Ruggero immune agli incantesimi della maga Alcina. 91
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SETTECENTO Come i fatti del 1789 cambiarono per sempre la Storia e il nostro vocabolario.
di Roberto Roveda
L’Ancien régime, l’antico regime, era l’espressione con cui si indicava la società francese prima della Rivoluzione. Si trattava di un sistema basato sul potere assoluto del sovrano e sui privilegi riservati unicamente alla nobiltà e alla Chiesa. L’antico regime conservava ancora le strutture del feudalesimo tipiche del Medioevo e prevedeva che la società fosse organizzata in maniera gerarchica e non basata sull’uguaglianza tra gli individui.
anche un linguaggio che usiamo ormai abitualmente, e non soltanto in ambito politico. Ci viene naturale chiamare una persona con idee estremiste o radicalmente rivoluzionarie “un giacobino” oppure “un sanculotto”. Consideriamo un circolo chiuso di potenti o politici “un club” oppure “un direttorio”, se tutto viene deciso soltanto da poche persone senza tenere conto dei pareri altrui. E, ancora, ci riteniamo tutti “cittadini” e non più sudditi. Insomma, gli eventi del 1789 sono stati così potenti da rivoluzionare anche il linguaggio comune e arrivare fino a noi. •
cittadino
Durante la Rivoluzione francese divenne regola per tutti i francesi definirsi e chiamarsi tra loro cittadini. Fu un fatto veramente rivoluzionario perché il termine metteva per la prima volta tutti i francesi sullo stesso piano, facendo piazza pulita di titoli nobiliari e cariche onorifiche. Cittadino, inoltre, sostituiva suddito, termine che indicava la sottomissione di ogni francese al potere assoluto del sovrano.
club
Erano le organizzazioni politiche tipiche della Rivoluzione francese, considerate gli antenati dei moderni partiti politici. I nomi dei club (giacobini, cordiglieri...) derivavano dai luoghi in cui si riunivano, solitamente conventi parigini requisiti dai rivoluzionari.
destra e sinistra
Nelle riunioni del Parlamento francese (Stati generali) i nobili e il clero si insediavano alla destra del re, la posizione considerata più prestigiosa. Il Terzo Stato stava a sinistra. In seguito, nelle assemblee rivoluzionarie, a destra continuarono a posizionarsi gli schieramenti più conservatori e moderati mentre a sinistra si insediarono i radicali e i progressisti. Questa divisione tra destra e sinistra è diventata poi abituale nei parlamenti moderni.
direttorio
Fu l’organo di governo posto al vertice dello Stato francese nell’ultima parte dell’epoca rivoluzionaria. Era composto da cinque rappresentanti dei vari schieramenti politici da cui dipendevano i vari ministri. La forma del Direttorio è ancora oggi utilizzata
Tra libertà e Terrore
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A sinistra, un ritratto dell’attore Chenard in abiti da sanculotto (1792). Sotto, Maria Antonietta sulla ghigliottina nel 1793. Nel tondo, Georges Jacques Danton, ghigliottinato nel 1794 durante il Regime del Terrore.
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uando il 14 luglio del 1789 il carcere della Bastiglia venne assalito da una folla inferocita, iniziò un processo di emancipazione che, il 26 agosto 1789, sfociò nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. Un documento che sanciva per iscritto le libertà fondamentali (di pensiero, di parola e stampa) e principi come l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, che passarono anche nelle costituzioni successive, inclusa la nostra. Quello che abbiamo mutuato da questo scritto rivoluzionario però non sono solo diritti e libertà, ma
ancien régime
Parole
essere supremo
I rivoluzionari cercarono di scristianizzare la Francia e di imporre l’ateismo attraverso il culto della “dea ragione”. Davanti alle reazioni popolari, Robespierre negò l’ateismo in favore del culto deista, laico e razionalista, dell’Essere Supremo. L’Essere Supremo era il creatore e il regolatore delle leggi dell’universo, entità indispensabile per spiegarne l’armonia e l’ordine. Nacque così una religione naturale e razionale, frutto della ragione umana e non della rivelazione divina, né basata su testi sacri.
ghigliottina
Le esecuzioni durante il periodo rivoluzionario vennero effettuate con questo strumento già esistente ma perfezionato dal medico Joseph-Ignace Guillotin. L’obiettivo della ghigliottina era rendere la morte più rapida e meno dolorosa rispetto alla tradizionale impiccagione. La ghigliottina è stata usata in Francia per l’ultima volta nel 1977.
giacobini
Club che prese il nome dal convento dei frati domenicani (in francese popolarmente detti jacobins) dove aveva la sede. I giacobini furono tra i più intransigenti sostenitori della trasformazione della Francia in una repubblica democratica. Il giacobinismo, dopo la fine degli anni rivoluzionari, confluì nel pensiero socialista e marxista e col tempo il termine giacobino è diventato sinonimo di posizioni democratiche radicali, laiche e repubblicane, ma anche di persona intransigente ed estremista.
confronti della monarchia e del sistema sociale precedente alla Rivoluzione. I lealisti erano anche detti refrattari perché si opponevano al nuovo corso della Rivoluzione.
marianna
La Marianne oggi impersona la Repubblica francese e rappresenta la permanenza dei valori della Grande Rivoluzione, cioè liberté, égalité, fraternité. Raffigurata come una giovane donna con il cappello frigio (copricapo rosso conico con la punta ripiegata in avanti, anch’esso simbolo rivoluzionario), la Marianne divenne la personificazione delle popolane che si ribellavano al potere. Marianna, infatti, era un nome diffuso tra le donne dei ceti popolari.
marsigliese
Nacque come canzone di guerra composta nel 1791 dal capitano Rouget de Lisle dell’Armata del Reno. Il titolo Marsigliese deriva dal fatto che l’inno venne cantato dai volontari di Marsiglia accorsi a Parigi per la festa della Rivoluzione del luglio 1792. Fu adottato come inno nazionale nel 1793.
popolo
Nella Francia della Rivoluzione con la parola “popolo” veniva indicata la stragrande maggioranza della popolazione, riunita nella classe sociale chiamata Terzo Stato. Il popolo, però, non era costituito solo dai ceti più poveri della società (manovali, contadini, nullatenenti), ma al Terzo Stato appartenevano anche ricchissimi borghesi, proprietari terrieri, banchieri e finanzieri. Insomma, tutte le persone che non godevano dei privilegi riservati ai primi due Stati:
girondini
Deputati radicali eletti nel dipartimento della Gironda. Auspicavano uno sviluppo sempre più democratico della Rivoluzione.
lealista
Negli anni rivoluzionari con questo termine venivano indicate quelle persone (soprattutto nobili e membri del clero) che avevano un atteggiamento di fedeltà nei
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la nobiltà e il clero. Furono appunto i ricchi “popolani” del Terzo Stato ad avviare la Rivoluzione.
sanculotti
Erano i popolani parigini: salariati, manovali, garzoni di bottega che vivevano in condizioni ai limiti della sopravvivenza. Furono chiamati così perché indossavano i pantaloni lunghi al posto di quelli al ginocchio (le culottes, da cui appunto il nome sans-culottes) tipici degli aristocratici e dei ricchi borghesi. Furono questi popolani a dare il via alle sommosse più violente dopo l’inizio dei disordini. I loro obiettivi erano cibo e diritti.
terrore
Venne così chiamato il periodo che va dall’agosto 1793 al luglio 1794 in cui il Comitato di salute pubblica, controllato dai capi giacobini Robespierre, Saint-Just e Carnot, ebbe un potere pressoché assoluto e represse con ogni mezzo, soprattutto la ghigliottina, ogni tentativo di opporsi alla trasformazione della Francia in una Repubblica democratica. Il termine venne da allora usato per indicare ogni epoca caratterizzata da un clima di repressione violenta di ogni opposizione: per esempio, il Terrore staliniano.
tricolore
La Rivoluzione francese – lo vediamo dai dipinti e dalle stampe giunti fino a noi – fu un tripudio di Tricolori bianchi, rossi e blu, i nuovi vessilli che si opponevano ai tradizionali emblemi della monarchia, i gigli in campo bianco. Tre erano i colori perché tre erano gli obiettivi della Rivoluzione: libertà, uguaglianza e fraternità.
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nel governo centrale della Svizzera e nel governo dei vari cantoni elvetici.
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rivoluzionarie
Liberi tutti: i principi fondamentali
iberté, egalité, fraternité sono tre parole considerate il motto della Rivoluzione francese. I tre termini però non erano solo valori generici, ma avevano un preciso significato per i rivoluzionari. Libertà voleva dire agire senza nuocere i diritti altrui; l’uguaglianza indicava che la legge era uguale per tutti e che finalmente le differenze per nascita e condizione sociale erano abolite; la fraternità (o fratellanza) veniva definita con l’espressione fondamentalmente evangelica (nonostante l’ostentata laicità della Rivoluzione) “non fate agli altri quello che non vorreste fosse fatto a voi”. Questa concezione di libertà, uguaglianza e fraternità è alla base di molte costituzioni contemporanee e delle moderne dichiarazioni dei diritti. 93
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PORTFOLIO
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NELLO CIAMPI
La splendida fontana cinquecentesca di Piazza Mattei è ritratta con i modelli in posa che sembrano “mossi”. Colpa dei lunghi tempi di esposizione delle macchine dell’epoca.
1958 circa Coppia in via dei Fori Imperiali
Un uomo e una donna camminano stretti l’uno all’altra sulla strada che va da Piazza Venezia al Colosseo, la ex via dell’Impero creata durante il regime di Mussolini sventrando un quartiere.
ROMA
POMPEO MOLINS
1868 circa Fontana delle tartarughe
180 ANNI IN POSA
Viaggio nei molteplici volti della Città Eterna, dagli albori della fotografia a oggi. Tra rovine, luoghi spariti e trasformazioni. POMPEO MOLINS
di Irene Merli
1868 circa Rovine dell’acquedotto Claudio La città si apprestava a diventare sempre più borghese e le passeggiate tra le antiche rovine divennero mete appetibili per famiglie e gruppi di amici in cerca di svago.
1863 Pio IX all’inaugurazione del ponte ferroviario di San Paolo Questo ponte, che esiste ancora, nel 1863 nasceva lungo la linea dello Stato Pontificio che andava da Roma a Civitavecchia. Perché l’Urbe rimase sotto il potere temporale dei pontefici fino al 1870.
Nell’Ottocento l’Urbe era sospesa tra città e campagna: orti, giardini, parchi e “ville” penetravano dovunque nel tessuto urbano 1880 circa Archeologi al Foro Romano
In questi anni le campagne di scavo si intensificarono e gli archeologi posavano spesso davanti al nuovo strumento “tecnologico”. Come questo gruppo, ripreso sulla gradinata della Basilica Giulia.
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1860 circa Tempio di Minerva Medica con coltivazione di ortaggi
GIOACCHINO ALTOBELLI/POMPEO MOLINS
CESARE FARAGLIA
La Città Eterna, diventata capitale nel 1871, aveva cambiato volto. Vengono costruiti importanti edifici pubblici e ampi viali, che però comportarono massicci abbattimenti nel centro storico.
1862 circa Famiglia reale di Napoli esule a Roma
ANTONIO E PAOLO FRANCESCO D’ALESSANDRI
DOMENICO ROCCHI
GIOACCHINO ALTOBELLI/POMPEO MOLINS
1928 Case in demolizione viste dall’emiciclo dei Mercati di Traiano
Oggi questo monumento imperiale è stretto tra i binari della Stazione Termini e case popolari di periodo umbertino. Nel 1860 era invece circondato da vasti orti, in cui vediamo i contadini al lavoro.
Francesco II, ultimo re delle Due Sicilie, fu deposto nel 1861. Qui è ritratto con la moglie Maria Sofia e altri familiari durante l’esilio nell’Urbe, dove visse sino al 1870 a Palazzo Farnese, al tempo proprietà dei Borbone.
NELLO CIAMPI
Nel 1883 fu applicato il primo piano regolatore, che avviò lo sviluppo moderno di Roma. E poi a cambiarla arrivarono le ambizioni del duce LA MOSTRA
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oma nella camera oscura. Fotografie della città dall’Ottocento a oggi è una grande mostra che in occasione dei 180 anni della nascita ufficiale della fotografia (avvenuta nel 1839) conduce i visitatori attraverso un racconto visivo dell’Urbe dalla metà dell’Ottocento ai giorni nostri. E grazie a 320 immagini, ospitate nella splendida cornice di Palazzo Braschi, l’esposizione mostra i volti di una Roma che cambia nelle diverse epoche e racconta il rapporto della città con l’antichità, la vita quotidiana, le grandi trasformazioni urbanistiche, i ritratti di personaggi e gente comune. Permette inoltre di ricostruire anche l’evoluzione delle tecniche fotografiche, attraverso l’attività che si sviluppò proprio a Roma dalla metà degli Anni ’40 dell’Ottocento, sino all’avvento del digitale. Il percorso inizia dai lavori sperimentali dei primi fotografi e arriva sino alle immagini della città colte da grandi contemporanei come Luigi Ghirri, Gianni Berengo Gardin, Gabriele Basilico. Tutti gli scatti in mostra (e nel servizio) provengono dall’Archivio Fotografico del Museo di Roma, che conserva più di 30mila positivi e 50mila negativi, a partire dal 1845. Dove, come, quando. Museo di Roma, Palazzo Braschi. Fino al 22/9. Info: 060608, www. museodiroma.it. Catalogo: De Luca Editori d’arte.
1940-1943 Colonnato dell’Eur
Questa splendida fotografia, di grande modernità, mostra l’interno del colonnato che collega i due corpi del Museo della Civiltà Romana, all’Eur. L’edificio fu progettato nel 1939 in era fascista, e concluso nel 1952.
GIANNI BERENGO GARDIN
1986 Sposi nel cortile del palazzo dei Conservatori
EUGÈNE CONSTANT
Una coppia di sposi si ripara all’interno di uno dei palazzi sulla piazza del Campidoglio, tra spettacolari rovine. Nell’edificio nel 1957 è stato firmato il Trattato di Roma.
1850-1857 Veduta del Foro Romano e resti del Tempio di Saturno
Sostituendosi ai grandi vedutisti del ’700-’800, i primi fotografi si misero a ritrarre le vestigia dell’antica Roma. E fu subito successo con i viaggiatori stranieri, sempre più numerosi.
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COSTUME
A.A.Alcolisti
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ANONIMI
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I Dall’incontro di due etilisti, nel 1935, nacque negli Usa Alcolisti Anonimi. Storia di un simbolo d’America. di Marco Consoli
Consigli utili
Una sbronza in uno scatto degli Anni ’60. Sopra, la Bibbia di Alcolisti Anonimi, l’associazione fondata nel 1935 da Bill Wilson e Bob Smith (rispettivamente a destra e a sinistra, nella foto in alto). Oggi conta milioni di membri.
l giorno dopo essersi sbronzato, come faceva ormai da 17 anni, Bob Smith avrebbe dovuto operare un paziente. Era mattino e il chirurgo doveva andare in ospedale. Le sue mani però tremavano al punto che la moglie chiese aiuto a Bill Wilson, ex agente di Borsa ed ex alcolista, che era ad Akron, in Ohio, per un affare poi rivelatosi un fiasco. Lì aveva incontrato proprio Smith e si era messo in testa di aiutarlo a smettere di bere. La soluzione di Wilson per calmare il tremore e permettere al dottor Smith di entrare in sala operatoria? Stappò una birra e gliela porse. Bob la bevve tutta d’un fiato e andò in clinica. Fu l’ultimo goccio d’alcol ingerito in vita sua. Era il 10 giugno 1935, e quel giorno nascque l’associazione di mutuo auto-aiuto di Alcolisti Anonimi. E da quell’ultima bevuta nacque, quattro anni dopo, la Bibbia della disintossicazione dall’alcol: il tomo Alcoholics Anonymous, 400 pagine in cui Bill Wilson racconta la battaglia sua, di Smith e di tanti come loro. Il “Grande libro”, come fu ribattezzato per la sua mole, voleva essere un manuale per accompagnare gli alcolisti a liberarsi dal vizio. Stampato in 4.730 copie, faceva il punto sui primi anni di attività di Alcolisti Anonimi, che all’inizio del 1938 contava una quarantina di membri sobri. All’inizio le vendite andarono a rilento, finché un programma radiofonico e alcune recensioni positive lo rilanciarono trasformandolo in un best seller. A oggi ha venduto milioni di copie in tutto il mondo e nel 2012 la Biblioteca del Congresso a Washington lo ha messo nella ristretta lista dei volumi che “hanno dato forma agli Stati Uniti d’America”: simbolo di una lotta, quella contro la dipendenza da alcol, che era iniziata da tempo e che metteva in campo ogni mezzo.
A TUTTI I COSTI. In molti Paesi, con gli etilisti, si usavano le maniere forti. In Inghilterra, Francia e Usa nell’800 si arrivava anche al loro arresto o all’internamento per insanità mentale. Nelle case di cura l’alcolista era sottoposto a sedute di preghiera, bagni caldi, e tonici come il dicloruro d’oro, inventato dal medico americano Leslie Keeley (1836-1900) e giudicato “miracoloso”, ma non conteneva oro né aiutava a levarsi il vizio. Venivano tentate anche altre strade, dalle sedute di psicologia all’ipnosi, dalle diete a base di frutta e verdura, a medicinali contenenti stricnina e arsenico, fino all’iniezione di sieri come l’antietilina, ricavata dal sangue di un cavallo costretto alla dipendenza da liquori. I trattamenti più strampalati arrivavano a proporre correnti elettriche e persino cubicoli dove il paziente veniva esposto a ondate di calore o di luce violenta. Di fronte al fallimento della medicina e dei ciarlatani, l’altra opzione era mettersi nelle mani di Dio. Iniziarono 101
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IN NOME DI DIO. In America spuntarono come funghi le cosiddette società di temperanza, organizzazioni di matrice religiosa che professavano, tra l’altro, la moderazione nel bere e l’astinenza dall’alcol, anche con azioni radicali, come nel caso della devota Carrie Amelia Nation, che distruggeva i bar che servivano alcolici a colpi d’ascia. Il passo verso il proibizionismo fu breve: la legge, ispirata dalla società di temperanza Anti-Saloon League, che di fatto vietava la produzione, il trasporto e la vendita di liquori, entrò in vigore nel 1919. Solo la Grande depressione economica, dieci anni dopo, impose una marcia indietro della politica, che nel 1933 abolì il proibizionismo: un modo per dare respiro agli agricoltori disoccupati e messi in ginocchio dalla crisi e alle finanze pubbliche con la tassazione degli alcolici. Il bilancio del proibizionismo era negativo: era cresciuto il contrabbando, il trasporto abusivo e la produzione illegale di liquori, consumati in locali clandestini. E bande rivali di gangster si erano fatte la guerra per il controllo dei traffici illeciti. L’America era punto a capo. IN BUONA COMPAGNIA. Quella di Bill Wilson, il cofondatore di Alcolisti Anonimi, era la storia di tanti. Classe 1895, aveva mal digerito il divorzio dei genitori, l’affidamento ai nonni, e soprattutto la morte improvvisa del suo primo amore. Il richiamo alle armi a causa della Rivoluzione messicana (1916) gli fece interrompere gli studi e lo avvicinò alla bottiglia: trangugiò il suo primo drink a 22 anni durante un party con i commilitoni. L’alcol trasformò il taciturno giovanotto in un ragazzo estroverso. Fu la prima di una lunga serie di sbronze. Bill si sposò due anni dopo e, terminato il suo servizio militare, si buttò nelle speculazioni azionarie a Wall Street. Gli affari giravano bene, ma la dipendenza dall’alcol peggiorava. Il crollo della Borsa del 1929 lo mandò in bancarotta, causando un ulteriore aggravamento della sua dipendenza. Era già da tempo preda di delirium tremens e incontinenza, quando un conoscente
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a costituirsi così comunità religiose in cui l’alcolismo non era visto come una malattia, ma come un peccato. Dal quale bisognava redimersi.
lo trascinò all’Oxford Group, un’organizzazione in cui si aiutavano gli alcolisti. Dapprima visto con sospetto, il movimento, fondato da Frank Buchman, dottore folgorato dai principi originari del cristianesimo, in poco tempo era diventato una potenza: tra i suoi membri c’erano personaggi del calibro di Henry Ford, Harry Truman, Joe DiMaggio e la star del musical Mae West. Durante le convention in alberghi lussuosi si disquisiva dell’idea di affidarsi a Dio. Con Bill gli incontri dell’Oxford Group funzionarono, ma solo per un po’. L’11 dicembre 1934, infatti, fu ricoverato, ancora una volta in preda all’alcol. Venne sottoposto a un trattamento di belladonna, pianta che secondo le credenze dell’epoca attenuava le crisi di astinenza. Ma provocava anche allucinazioni. E Bill ne ebbe una, un’apparizione divina che si rivelò risolutiva: spinto dalla visione smise di bere e iniziò, frequentando la sede newyorkese dell’Oxford Group, a tentare di “convertire” altri malati come lui. Un anno dopo la folgorazione,
I “dodici passi” di Alcolisti Anonimi
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Abbiamo ammesso di essere impotenti di fronte all’alcol e che le nostre vite erano divenute incontrollabili.
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Abbiamo preso la decisione di affidare le nostre volontà e le nostre vite alla cura di Dio, come noi potemmo concepirlo.
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Siamo giunti a credere che un Potere più grande di noi potrebbe ricondurci alla ragione.
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Abbiamo fatto un inventario morale profondo e senza paura di noi stessi.
Abbiamo ammesso di fronte a Dio, a noi stessi e a un altro essere umano, l’esatta natura dei nostri torti.
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Autoaiuto
Una riunione di Alcolisti Anonimi negli Anni ’50, in cui un ex alcolista condivide la sua esperienza. L’associazione oggi è presente in tutto il mondo anche con diramazioni finalizzate al recupero di altre dipendenze (droghe, gioco d’azzardo, cibo...)
Gli abbiamo chiesto con umiltà di eliminare i nostri difetti.
Abbiamo fatto un elenco di tutte le persone cui abbiamo Eravamo completamente pronti fatto del male e siamo diventati ad accettare che Dio eliminasse pronti a rimediare ai danni recati tutti questi difetti di carattere. loro.
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in Ohio conobbe Bob Smith, il chirurgo che la sede locale dell’Oxford Group gli aveva segnalato come un caso senza speranza. Bill lo andò a trovare per aiutarlo e per aiutare se stesso, alimentando la propria forza di volontà con il proselitismo. Servendogli quell’ultima birra suggellò la creazione di Alcolisti Anonimi.
SQUADRA VINCENTE. Dalla frequentazione con l’Oxford Group, Wilson trovò ispirazione per alcuni principi che avrebbe trasferito in Alcolisti Anonimi e che si concretizzarono nei cosiddetti “dodici passi” (v. riquadro in basso), ovvero le regole che avrebbero permesso all’etilista di accettare l’idea di avere la dipendenza, di affidarsi a un potere superiore vista l’impossibilità di affrontare il problema da solo, fare ammenda di tutti gli errori del passato, approfondire il proprio percorso spirituale. Alla fine del percorso l’obiettivo era portare il messaggio agli altri alcolisti che potevano rimanere “anonimi”, ovvero sconosciuti in modo da non dover
Abbiamo fatto direttamente ammenda verso tali persone, laddove possibile, tranne quando, così facendo, avremmo potuto recare danno a loro oppure ad altri.
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Abbiamo continuato a fare il nostro inventario personale e, quando ci siamo
trovati in torto, lo abbiamo subito nostri riguardi e di darci la forza ammesso. di eseguirla.
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Abbiamo cercato attraverso la preghiera e la meditazione di migliorare il nostro contatto cosciente con Dio, come noi potemmo concepirLo, pregandoLo solo di farci conoscere la Sua volontà nei
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Avendo ottenuto un risveglio spirituale come risultato di questi passi, abbiamo cercato di portare questo messaggio agli alcolisti e di mettere in pratica questi principi nelle nostre attività.
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sopportare lo stigma della società. Il progressivo allontanamento dall’Oxford Group avvenne anche per le simpatie naziste di Buchman e divenne definitivo con la pubblicazione del “Grande libro”. Da un certo punto di vista l’associazione nacque grazie a un “lavoro di squadra”. Vi contribuì lo psicologo e filosofo William James col suo libro Le varie forme dell’esperienza religiosa (1902) letto da Wilson in ospedale dopo la “folgorazione divina”, ma anche il prete episcopale Sam Shoemaker che guidava l’Oxford Group newyorkese e William Silkworth, medico dell’ospedale in cui Wilson fu ricoverato, fino allo psichiatra Carl Jung, cui Wilson scrisse per ringraziarlo di aver indirizzato sulla via spirituale il suo paziente Rowland Hazard, ricco uomo d’affari americano. Il concetto di lavoro di squadra (insieme a una certa ispirazione religiosa) d’altra parte è uno dei capisaldi dell’organizzazione che, nata con 2 membri nel 1935, è arrivata a contarne negli ultimi anni circa 2 milioni, divisi in 120mila filiali sparse nel mondo. Senza contare i gruppi paralleli nati sul modello di AA, ma finalizzati al recupero di altre dipendenze, come quella da droghe (Narcotici Anonimi) o da cibo (Mangiatori compulsivi Anonimi). •
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Alcoholics Anonymous, con le sue 400 pagine, rappresenta la Bibbia della lotta all’alcolismo
Alti e bassi
New York, Anni ’40. Un ubriaco fuori da un bar e, in alto, alcol sversato nelle fogne durante il proibizionismo. Sotto, opuscoli di Alcolisti Anonimi.
L’ORA DELLA
I GRANDI TEMI UNIFICAZIONE TEDESCA
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e Napoleone fu un flagello per l’Europa, lo fu a maggior ragione per il mondo tedesco. Mise in ginocchio Austria e Prussia, paladine germaniche, e costrinse nel 1806 Francesco II d’Asburgo a metter fine dopo mille anni al Sacro romano impero. Non contento, cercò pure di amministrare secondo il modello francese i territori tedeschi, che all’inizio dell’Ottocento erano divisi in Stati e staterelli. Non si rendeva conto, il “piccolo caporale”, di risvegliare con la sua tracotanza la forza ancestrale della Germania, quella che aveva consentito ai popoli di quelle terre di tenere testa per secoli alle legioni di Roma.
Viva il Kaiser
Guglielmo I di Prussia (1797-1888)
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La proclamazione di Guglielmo (al centro) come imperatore del nuovo Reich tedesco. La cerimonia di proclamazione del Kaiser avvenne nella Galleria degli Specchi del palazzo di Versailles, il 18 gennaio 1871, dopo la vittoria dei tedeschi nella Guerra franco-prussiana.
Austria e Francia cercarono di impedire l’unità tedesca. Ma non poterono nulla contro la forza della Prussia e di Bismarck. di Roberto Roveda
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GERMANIA
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Federico Guglielmo IV (1795-1861)
Il nazionalismo tedesco fu colpa di Napoleone I L’uragano napoleonico servì appunto ai tedeschi per rendersi conto che divisi erano alla mercé delle altre potenze europee. Come ci racconta Gustavo Corni, autore del saggio Storia della Germania. Da Bismarck a Merkel, «emerse in quel periodo la consapevolezza che esisteva un unico popolo tedesco, accomunato dalla stessa lingua e dalla medesima cultura». E quel popolo doveva unirsi. Bisognava però fare i conti con la realpolitik del Congresso di Vienna (1815), dominato dall’Impero d’Austria che era fieramente deciso a mantenere il proprio controllo sull’area tedesca. Dal Congresso viennese uscì così una Confederazione tedesca comprendente 39 Stati sovrani e presieduta dall’Austria, uno spezzatino germanico figlio di un obbiettivo di fondo: «Evitare che nascesse un grande organismo statale teutonico nel cuore dell’Europa, cosa che spaventava un po’ tutti, non solo i francesi, tradizionali avversari dei tedeschi», spiega Corni. Inevitabilmente le decisioni di Vienna aumentarono la frustrazione di liberali e democratici, molto attivi in questa fase della storia tedesca, e parallelamente aumentarono le spinte per l’unificazione, che portarono nel 1834 all’attuazione di una Unione doganale (Zollverein) tra gli Stati della Confederazione germanica. Era un mercato comune ante litteram che sottoponeva a dazi 106
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le merci non tedesche e dal quale era significativamente esclusa l’Austria, vista oramai come il fumo negli occhi da molti patrioti di Germania. Così, quando anche in terra tedesca scoppiarono le rivoluzioni del Quarantotto, per molti fu il segnale di staccare la spina da Vienna. A maggio del 1848 a Francoforte si riunì un’assemblea dominata da liberali e democratici che puntava direttamente alla nascita di una Germania moderna e parlamentare. Il Parlamento di Francoforte si perse però in lunghe discussioni, mentre l’ondata rivoluzionaria si affievoliva.
REGIA PRUSSIANA. Solo un anno dopo, nella primavera del 1849, una delegazione di parlamentari offrì finalmente al re di Prussia Federico Guglielmo IV la corona tedesca. Ma ottenne un rifiuto. Il sovrano prussiano non voleva un trono offerto da un’assemblea popolare ed era inoltre preoccupato per la reazione austriaca. Che in effetti ci fu: il Parlamento di Francoforte fu sciolto e l’Austria costrinse Federico Guglielmo – che qualche mira unificatrice l’aveva comunque mostrata occupando l’Assia – a sottoscrivere la Convenzione di Olmütz, che confermava la Confederazione germanica del 1815. Liberali e democratici erano ormai fuori gioco. «Dopo il 1848-49 si avviò in Germania una fase dominata
dall’elemento conservatore e moderato e l’unificazione passò sotto la regia della Prussia», spiega Corni. Gli Stati tedeschi guardarono sempre di più al modello prussiano basato sull’efficienza di burocrazia ed esercito e improntato all’obbedienza nei confronti del sovrano. La spinta decisa verso l’unificazione politica venne però solo nel 1861. Quell’anno salì al trono prussiano Guglielmo I, il quale l’anno successivo affidò il governo a Otto von Bismarck. Quello che è poi passato alla Storia come il “Cancelliere di ferro” era un membro degli Junker, la grande aristocrazia terriera della Prussia. Era allergico a ogni forma di parlamentarismo ed era convinto che la questione dell’unità nazionale si dovesse risolvere “non con discorsi né con deliberazioni della maggioranza […] bensì col sangue e col ferro”. Dalle parole ai fatti il passo fu breve e uno dei primi atti di Bismarck fu rafforzare l’esercito nonostante l’opposizione del Parlamento prussiano. Allo stesso tempo, il cancelliere stabilì un’alleanza conservatrice tra la grande proprietà terriera e la grande industria, sulla base di rigide regole protezionistiche.
FUORI L’AUSTRIA. Risolto il fronte interno, si trattava ora di rimuovere gli ostacoli esterni all’unificazione, cosa che a Bismarck riuscì alternando astuzia e forza. Prima strinse
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Sopra, da sinistra, combattimenti durante la rivoluzione di Dresda, 3-9 maggio 1849; celebrazione dell’apertura dell’Assemblea nazionale di Francoforte, il 18 maggio 1848; a lato, oggetti della Zollverein, l’Unione doganale degli Stati della prima Confederazione germanica, alla Grande Esposizione Universale di Londra (1851).
Rivoluzione romantica
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ll’inizio dell’Ottocento il Romanticismo fu il grande movimento che rinnovò la cultura europea proprio a partire dall’area germanica. I giovani intellettuali tedeschi erano stanchi del predominio culturale della Francia e dell’Illuminismo. Non ne potevano più della “dea Ragione” e volevano dare libero sfogo a passioni e sentimenti. Questo desiderio di emancipazione dai modelli francesi divenne più forte quando Napoleone umiliò la Prussia nella battaglia di Jena (1806), imponendo il predominio anche politico della Francia in terra tedesca. Passione e ideali. La ribellione culturale romantica si legò così alla nascita di un sentimento nazionale diffuso, nonostante la Germania fosse divisa in tanti Stati. I
tedeschi – sulla spinta di intellettuali legati al Romanticismo come Johann Gottfried Herder, Johann Fichte (suoi i Discorsi alla nazione tedesca, atto di fondazione del sentimento nazionale germanico, foto sotto) e Friedrich Schiller – sentivano, infatti, di appartenere a un’unica nazione e a un unico popolo (Volk), identificato fin dai tempi più antichi da lingua e cultura comuni. Esisteva quindi uno spirito totalmente tedesco, uno spirito che era venuto il momento di rinnovare per dare alla Germania il ruolo che le spettava nel consesso europeo.
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L’ORGOGLIO DI NAPOLEONE. Bismarck giocò con la presunzione del Bonaparte come un gatto col topo. Nel 1868, infatti, venne offerta la corona di Spagna a Leopoldo di Hohenzollern, parente del re di Prussia. Il rischio di una Francia accerchiata dai prussiani mise subito in allarme Napoleone, che fece immediatamente pressioni per allontanare il pericolo.
Patrioti
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un’alleanza con l’Austria per strappare alla Danimarca i ducati tedeschi di Schleswig e di Holstein (1864); quindi, sempre per questioni riguardanti il controllo dei due territori, portò gli austriaci allo scontro aperto, da cui Vienna uscì con le ossa rotte nella battaglia di Sadowa (1866). A quel punto subentrò la diplomazia bismarckiana. «Il cancelliere agì poi con sagacia», afferma Corni. «Non infierì sull’Austria e agì per far entrare Vienna nell’orbita prussiana creando i presupposti di un’alleanza destinata a durare fino al 1918». Sistemati gli Asburgo, nel 1867 gli Stati tedeschi settentrionali poterono così riunirsi nella Confederazione della Germania del Nord presieduta da Guglielmo I di Prussia. Per la Francia si stava profilando l’incubo di un grande Stato germanico, una prospettiva inaccettabile per l’imperatore francese Napoleone III che si riteneva, al pari del grande zio Napoleone I, l’arbitro d’Europa.
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Otto von Bismarck (1815-1891)
Bismarck usò abilità militare e sagacia diplomatica. Così sbaragliò i francesi e neutralizzò gli austriaci
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Guglielmo I di Prussia rassicurò l’ambasciatore francese sostenendo che non ci sarebbe stato alcun Hohenzollern sul trono spagnolo. Bismarck però, giocando d’astuzia, rese pubblico il cosiddetto “telegramma di Ems”, la località termale dove il sovrano prussiano si trovava in vacanza in quel momento.
Il telegramma, manipolato ad arte dal cancelliere, lasciava intendere che Guglielmo avesse trattato con durezza il rappresentante di Napoleone III. Tanto bastò a incendiare i francesi e a portarli a una guerra che, malauguratamente per loro, affrontarono sottovalutando l’avversario.
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APERNE DI PIÙ
Storia della Germania. Da Bismarck a Merkel.
Gustavo Corni (Il Saggiatore, 2017)
Lo sconfitto
Ritratto di Napoleone III (1808-1873), in tenuta imperiale. In alto, l’esercito francese subì una storica sconfitta a Sedan da parte dei tedeschi e il 2 settembre Bonaparte presentò la resa delle armi davanti al Kaiser Guglielmo I di Prussia.
VENTI DI GUERRA. Il primo settembre 1870, a Sedan (nelle Ardenne), la Francia subì una disfatta storica e i tedeschi si vendicarono una volta per tutte dei Bonaparte. Napoleone III dovette abdicare, le ricche regioni dell’Alsazia e della Lorena passarono in mano germanica e i francesi dovettero subire l’onta di vedere Guglielmo I di Prussia proclamato imperatore della Germania a Versailles, luogo simbolo della potenza dei re di Francia. Architetto dell’incoronazione fu ancora una volta Bismarck che, conclude Corni, «trovò il modo di costruire uno Stato unitario senza umiliare le prerogative degli antichi Stati tedeschi. L’unificazione tedesca non fu un allargamento della Prussia oppure un’annessione di territori. La proclamazione del gennaio 1871 fu una cessione spontanea di sovranità da parte dei governanti degli Stati tedeschi che concessero la corona imperiale al re di Prussia». Il Reich tedesco quindi si basò su un’egemonia prussiana nel governo, nell’esercito e nell’economia, bilanciata però da un federalismo che divenne una caratteristica della Storia tedesca e che contribuì a rendere più stabile il nuovo Stato. Uno Stato che nel giro di pochi anni divenne, sempre grazie a Bismarck, arbitro della politica in tutta Europa e una potenza a cui tutti si trovarono a guardare con un misto di ammirazione e preoccupazione. •
INTANTO NEL MONDO AREA TEDESCA
1806
Con le guerre napoleoniche finisce il Sacro romano impero, guidato dall’Austria e comprendente buona parte dei territori tedeschi.
1815 Napoleone è definitivamente
sconfitto a Waterloo. Si chiude il Congresso di Vienna. Viene costituita la Confederazione germanica che riunisce 39 Stati tedeschi.
1834 Nasce l’Unione doganale degli Stati
ALTROVE
1808-1830 Crollano gli imperi coloniali di Spagna e Portogallo nelle Americhe. Nascono nuovi Stati in America Latina come il Brasile, l’Uruguay, il Venezuela, il Messico.
1814 George Stephenson collauda con
1822 Il presidente americano James
1816 Viene rappresentato per la prima
Monroe proclama la “Dottrina Monroe” in base alla quale non ci deve più essere interferenza delle potenze europee nelle Americhe.
1830 In Francia scoppia la Rivoluzione
tedeschi (Zollverein), preludio all’unificazione della Germania.
di Luglio che porta sul trono Luigi Filippo d’Orléans, detto il “re borghese”. Il Belgio si proclama indipendente.
1840 Federico Guglielmo IV diventa re di
1840 L’Egitto diventa autonomo
1848 Moti rivoluzionari in tutta Europa.
1848 In California inizia la corsa all’oro.
Prussia.
Anche gli Stati tedeschi sono toccati dalla rivoluzione libertaria.
1849 Federico Guglielmo IV non accetta la corona di re di Germania e si scioglie il Parlamento di Francoforte.
1861 Guglielmo I diventa re di Prussia.
SOCIETÀ E CULTURA
successo la prima locomotiva a vapore.
volta a Roma Il barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini. È un clamoroso fiasco, riscattato in pochi giorni dal successo delle repliche.
1834 Louis Braille mette a punto il sistema di lettura per i ciechi.
1839 Viene inaugurata la prima linea ferroviaria italiana, la Napoli-Portici.
dall’Impero ottomano.
1853-1856 Guerra di Crimea.
1847 In Inghilterra vengono condotti i
primi esperimenti di illuminazione pubblica.
1853 Giuseppe Verdi rappresenta Il
trovatore e La traviata, due dei maggiori capolavori del melodramma operistico.
1861-1865 Guerra di secessione americana.
1862 Otto von Bismarck diventa
1862 Victor Hugo scrive I miserabili.
1864 Guerra austro-prussiana contro
1864 La Francia promulga una legge che
cancelliere della Prussia. Guiderà la politica tedesca fino alle sue dimissioni nel 1890. la Danimarca per il possesso dei ducati di Schlewig e di Holstein.
1866 Conflitto tra la Prussia e l’Austria.
Pesante sconfitta degli austriaci a Sadowa.
riconosce il diritto di sciopero.
1866 L’Italia annette il Veneto grazie alla vittoria prussiana di Sadowa sull’Austria.
1867 La Prussia si pone alla guida della
1867 Karl Marx pubblica il primo volume
Confederazione della Germania del Nord.
1870 Guerra franco-prussiana. I francesi sono sconfitti e l’imperatore Napoleone III deve abdicare.
del Capitale.
1870 In seguito alla sconfitta francese a Sedan Roma viene annessa all’Italia.
18 gennaio 1871 La Germania diventa
1871 Antonio Meucci
uno Stato unitario e viene proclamato l’Impero tedesco (Reich) con a capo Guglielmo I di Prussia.
inventa il telefono.
1872 Stipulata la Lega dei tre imperatori,
1874 Prima mostra ufficiale degli
un’alleanza tra Austria, Germania e Russia.
1882 Viene stipulata la Triplice alleanza tra Italia, Germania ed Austria-Ungheria. L’Italia si impegna ad assistere la Germania in caso di attacco.
1876 La regina di Gran Bretagna Vittoria viene proclamata imperatrice delle Indie.
impressionisti a Parigi.
1882 Robert Koch scopre il bacillo della tubercolosi.
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THE LIFE PICTURE COLLECTION/GETT
UNA FOTO UN FATTO
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Louisville, Stati Uniti 2 FEBBRAIO 1937
Tra la fine di gennaio e i primi di febbraio del 1937, in piena Depressione economica, il fiume Ohio iniziò a straripare dopo un periodo di forti piogge. L’alluvione provocò devastazioni in Ohio, Kentucky, Illinois, Indiana, un milione di senzatetto e circa 400 morti.
IN CODA SOTTO IL MANIFESTO Cittadini neri in fila per ricevere cibo durante la terribile alluvione di Louisville. Dietro di loro, un cartellone esalta l’American way of life. Bianco.
A
ll’inizio di gennaio del 1937, le rive del fiume Ohio, gonfio di pioggia, strariparono e alla fine del mese l’alluvione sommerse il 70 per cento della città di Louisville, nel Kentucky, e dei suoi dintorni, lasciando migliaia di abitanti senza tetto. A testimoniare una delle più grandi calamità naturali della storia americana, in questo caso fu una celebre fotoreporter, Margaret Bourke-White, che si precipitò a Louisville appena si seppe della tragedia. American dream? E sua è anche la fotografia qui accanto: vi si vede un gruppo di uomini e donne afroamericani che fanno la coda davanti a un’agenzia di aiuto per rifugiati, in attesa della distribuzione di un pasto. In stridente contrasto con la loro situazione, alle loro spalle spicca il grande manifesto della National
Association of Manufacturers, in cui si vede una allegra famiglia di quattro bianchi (con il cane) che sta viaggiando in automobile sotto un grande slogan: “Lo standard di vita più alto al mondo. Non esiste uno stile di vita migliore di quello americano”. In quel periodo migliaia di questi manifesti, che evocavano il mito dell’American dream, erano sparsi in tutti gli Stati Uniti. Ma in realtà il Paese stava combattendo con la Grande Depressione. E le persone alluvionate come quelle ritratte qui, in più, stavano ancora peggio, senza neppure la casa. La grande reporter newyorkese, che fu la prima donna corrispondente di guerra e la prima fotografa di Life, con questo scatto creò un’immagine che riuscì a sottolineare le diseguaglianze sociali con una cruda ironia. (Irene Merli) •
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AGENDA A cura di Irene Merli
EVENTO BOLLATE (MI)
Villa Arconati, nuovo splendore La Sala della Caccia torna alla sua ricchezza originaria: otto dipinti di Angelo Maria Crivelli (metà XVI sec.-metà XVII sec.) sono stati riacquistati e riportati nella loro antica collocazione, accanto ai quattro già presenti. Fino al 15/12. Villa Arconati (domenica) Info: 3938680934, www. villaarconati-far.it MOSTRA MATERA
IL RINASCIMENTO VISTO DA SUD Il periodo aureo tra ’400 e ’500 nelle terre meridionali. E sulle sponde del Mare Nostrum.
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ipinti, sculture, manoscritti, codici miniati, mappe, tessuti, bronzi, ceramiche, astrolabi e gioielli... in tutto sono 215 le opere della mostra Rinascimento visto dal Sud. Matera, l’Italia Meridionale e il Mediterraneo tra ’400 e ’500. Molti lavori non sono mai stati esposti fuori dai musei di appartenenza; altri sono stati ricomposti o riavvicinati per l’occasione (come alcuni grandi polittici); altri ancora, una trentina, restaurati. Uno scrigno di tesori riuniti per narrare da una prospettiva diversa l’epoca più gloriosa della nostra storia culturale. Infatti l’esposizione, che è cardine del programma di Matera Capitale Europea della Cultura, si apre con una sezione sul Mediterraneo: le rotte, gli scambi, i commerci che il Mare Nostrum favorì, ma anche le immagini delle dinastie regnanti nel Quattrocento nelle terre del Sud. Per poi continuare documentando con ricchezza – otto sezioni – l’originalità della declinazione meridionale del Rinascimento. Qui, infatti, la nuova lezione artistica che veniva dalle Fiandre si intersecò con influenze giunte da Oriente e da Occidente proprio grazie a quelle rotte commerciali mediterranee. Il percorso è costellato di ritratti e busti dei protagonisti della vicenda storica che si vuole ricostruire: Alfonso e Ferrante d’Aragona, Carlo V, Renato d’Angiò, Pedro De Toledo. Con un’attenzione che riguarda Napoli, ma anche i porti sull’Adriatico – Bari, Otranto, Brindisi – che avevano forti relazioni con Venezia e con la cultura greco-bizantina. Prestiti eccezionali. Quanto ai numerosi capolavori esposti, partiamo da tre maestri In alto, attr. assoluti: Antonello da Messina con Francesco Pagano, l’Annunciata del 1452; Raffaello, Tavola Strozzi. A con il disegno preparatorio della lato, Annunciata Madonna del Pesce; e Donatello, (1452), Antonello con la gigantesca Testa di da Messina; sotto, Cavallo. E ancora: opere di Testa di cavallo, Mantegna, Lotto, Giovanni Donatello. Bellini, Pordenone, Paris Bordon, Laurana, Cesare da Sesto, van Eyck... Da non perdere infine le magnifiche pergamene, come quella che raffigura la Cosmographia di Tolomeo.
Fino al 19 agosto. Museo Nazionale d’arte medievale e moderna della Basilicata – Palazzo Lanfranchi. Info: 0835256211, www.musei.basilicata.beniculturali.it
MOSTRA ROMA
Alla scoperta della civiltà del Fiume Azzurro Mortali immortali, tesori del Sichuan nell’Antica Cina svela origini e cultura del popolo che visse nel Sud-ovest del Celeste Impero, grazie a 150 reperti in bronzo, oro, giada e terracotta databili dall’Età del bronzo al II secolo d.C. Fino al 18/10. Mercati di Traiano. Info: 060608; www.mercatiditraiano.it
LIBRO
Usi, abusi e riusi di un mito Perché Federico II di Svevia è considerato un nemico dei musulmani nonostante la sua crociata “pacifica” (solo diplomatica)? Perché è più amato in Italia che in Germania? Indagine sul mito dello Svevo. Marco Brando, L’imperatore nel suo labirinto, Tessere.
NEI PROSSIMI NUMERI LOOK AND LEARN/BRIDGEMAN/MONDADORI PORTFOLIO
MONDADORI PORTFOLIO/ELECTA/SERGIO ANELLI
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CHIARE, FRESCHE, DOLCI ACQUE
DARK FAMILY
Tutta la verità sul Valentino, Lucrezia e il loro padre padrone. Per capire chi erano davvero e perché furono così spietati.
ARABIA SAUDITA
I RE DEL PETROLIO
Luogo di nascita dell’Islam, la monarchia dei Saud deve tutta la sua potenza all’abile gestione dell’oro nero.
ANIMALI DEI VIP
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Storia di una splendida villa di delizie lombarda, costruita dal XVI al XVIII secolo, che all’inizio fu dei Visconti Borromeo. E che stupì Stendhal.
VITA DA CANI? MAGARI!
Cani, gatti, cavalli o pennuti che furono amici di vip ed eroi di ogni epoca: dal cavallo bianco di Napoleone a Titina, la cagnolina di Umberto Nobile. 113
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Storia Direttore responsabile Raffaele Leone (raffaele.leone@mondadori.it) Vicedirettore Gian Mattia Bazzoli Ufficio centrale Emanuela Cruciano (caporedattore), Marco Casali (vicecaporedattore), Mariangela Corrias (vicecaporedattore) Ufficio Art Director Luca Maniero (caporedattore), Massimo Rivola (caporedattore), Marina Trivellini (caporedattore) Ufficio AR Vittorio Sacchi (caposervizio) Redazione Federica Ceccherini, Lidia Di Simone (caporedattore), Irene Merli (caposervizio), Paola Panigas, Anita Rubini, Fabrizia Sacchetti (caposervizio) Ufficio fotografico Rossana Caccini Redazione grafica Katia Belli, Barbara Larese Segreteria di redazione Marzia Vertua (marzia.vertua@mondadori.it) Hanno collaborato a questo numero: A. Bacci, S. Büchi, F. Campanelli, A. Carioli, M. Consoli, P. Cortesi, F. De Leo, M. Erba, M. L. Leone, M. Liberti, G. Lomazzi, M. Manzo, R. Michelucci, E. Monti, A. Pescini, M. Picozzi, R. Roveda, G. Talini, E. Venco, D. Venturoli, E. Vitaliano, P. Vozza, S. Zimbardi.
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Mondadori Scienza S.p.A. - Via Mondadori 1 – 20090 Segrate (Mi) Società con unico azionista, soggetta ad attività di direzione e coordinamento da parte di Arnoldo Mondadori S.p.A.
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