INEDITI
Andrea Raos
Titolo: Andrea Raos - Inediti Testi di: Charles Reznikoff Traduzione di: Andrea Raos Fonti: Olocausto, Charles Reznikoff
A cura di: Fabio Teti
Il presente documento non è un prodotto editoriale ed è da intendersi a scopo illustrativo e senza fini di lucro. Tutti i diritti riservati all’autore.
Poesia2.0
Charles Reznikoff
Olocausto traduzione di Andrea Raos
Titolo originale: Holocaust Black Sparrow Press, Santa Barbara 1975 p. 113. Tutte le note sono dell’Autore.
Si offrono qui, per la traduzione inedita di Andrea Raos, le sezioni III, IV, e V dell’opera originale. (N.d.C.)
Dedico questa traduzione ai detenuti di GuantĂĄnamo, Abu Ghraib, e chissĂ quanti altri. Parigi, 7 marzo 2006. a. r.
III RICERCA
1 Noi siamo i civilizzati – gli Ariani; e non sempre uccidiamo i condannati a morte solo perché sono ebrei come altri, meno civilizzati di noi, farebbero: noi li usiamo per il beneficio della scienza come topi o cavie: per scoprire i limiti della resistenza umana alle massime altezze per il bene dell’aviazione tedesca, costringerli a stare in bidoni di acqua ghiacciata o nudi all’esterno per ore e ore a temperature sotto lo zero; sì, studiare gli effetti del restare senza cibo e bere solo acqua salata per giorni e giorni per il bene della Marina tedesca; o ferirli e infilare schegge di legno o frammenti di vetro nelle ferite, o estrarre le ossa, i muscoli e i nervi, o bruciarne la carne – o avvelenare il loro cibo o infettarli con la malaria, il tifo, o altre febbri – tutto per il bene dell’esercito tedesco. Heil Hitler!
2 Un certo numero di ebrei dovette bere acqua salata solo per scoprire quanto avrebbero resistito. Nel loro tormento si gettavano sugli stracci e sui cenci usati dal personale dell’ospedale e ne succhiavano l’acqua sporca per calmare la sete che li faceva impazzire.
IV GHETTI
1 All’inizio c’erano due ghetti a Varsavia: uno piccolo e uno grande, e tra di essi un ponte. I polacchi dovevano passare sotto il ponte e gli ebrei sopra; e accanto c’erano guardie tedesche a sorvegliare che gli ebrei non si mischiassero con i polacchi.] A causa delle guardie tedesche, a qualunque ebreo non si togliesse il cappello in segno di rispetto quando attraversava il ponte] si sparava – e a molti si sparò – e a alcuni senza motivo.
2 Un vecchio trasportava pezzi di legna da ardere da una casa che era stata abbattuta – non era stato emanato alcun ordine che lo vietasse – e faceva freddo. Un comandante delle SS lo vide e gli chiese dove aveva preso la legna, e il vecchio rispose che l’aveva presa da una casa che era stata abbattuta. Ma il comandante estrasse la pistola, la puntò alla gola del vecchio e gli sparò.
3 Un mattino dei soldati tedeschi e i loro ufficiali irruppero nelle case del quartiere dove erano stati ammassati gli ebrei, gridando che tutti gli uomini dovevano uscire; e i tedeschi presero tutto dai cassetti e dalle credenze. Tra gli uomini c’era un vecchio con l’abito – e con il copricapo – della pia setta ebraica chiamata Hasidim.] I tedeschi gli misero in mano una gallina e gli dissero di ballare e cantare; poi dovette fingere di stare strangolando un soldato tedesco e di questo fu scattata una fotografia.
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Gli ebrei nel ghetto erano divorati dalla fame o terribilmente magri; da sei a otto in una stanza e senza riscaldamento. Delle famiglie morivano nel corso della notte e quando i vicini entravano la mattina – a volte giorni dopo – li vedevano assiderati o morti di fame. Bambini piccoli per strada piagnucolavano dal freddo e dalla fame e venivano trovati al mattino assiderati. I corpi giacevano ovunque nelle strade vuote, smangiucchiati dai topi; e i corvi erano scesi a frotte per beccare i loro corpi.
5 Una voce si sparse nel ghetto: gli ebrei sarebbero stati portati in un altro posto con più cibo, cibo migliore, migliori alloggi – e lavoro. E difatti, a questo seguirono manifesti e ordini per cui quelli in certe parti del ghetto dovevano portare i loro bagagli, tutto l’oro e i gioielli che possedevano, e cibo per tre giorni – ma ciò che portavano non doveva eccedere un determinato peso – e dovevano recarsi in una certa piazza. Chi disobbediva sarebbe stato fucilato. E le famiglie nei distretti indicati vennero con i bambini e i bagagli. Ma alcuni uomini saltarono dai treni che li portavano via e tornarono indietro a avvertire gli ebrei ancora nel ghetto – o portati lì da altre parti – che i treni non andavano in un luogo in cui vivere ma in cui morire. E quando manifesti dello stesso tipo ricomparvero – per altri distretti – la gente cominciò a nascondersi. Ma molti andarono nella piazza indicata; perché davvero credevano che sarebbero stati risistemati: di sicuro i tedeschi non avrebbero ucciso gente sana e atta al lavoro. 1
Quando il ghetto di Varsavia fu sigillato da mura, la maggior parte degli ebrei che vi rimasero non aveva alcun modo di guadagnarsi da vivere e si videro famiglie – padre, madre e bambini – seduti per strada. I bambini scavavano nei bidoni della spazzatura per trovare bucce di patata o qualunque altra cosa da masticare.
6 Un pomeriggio alle tre circa cinquanta ebrei erano in un bunker. Qualcuno spinse all’interno il sacco che copriva l’entrata e udirono una voce: “Venire fuori! Altrimenti buttiamo una granata.” Le SS e la polizia tedesca muniti di fruste erano pronti e cominciarono a picchiare quelli che erano nel bunker. Quelli che ne avevano la forza si allinearono come ordinato e furono portati in una piazza e messi su un’unica fila per essere fucilati. All’ultimo momento, un altro gruppo di SS arrivò e chiesero cosa stava succedendo. Uno di quelli che erano pronti a sparare rispose: avevano tirato gli ebrei fuori dal bunker e stavano per fucilarli come ordinato. Allora il comandante del secondo gruppo disse: “Questi sono ebrei grassi. Tutti buoni per farne sapone.” E così portarono gli ebrei a un treno merci che non era ancora partito per un campo della morte – un treno merci russo senza scalini – e dovettero issarsi l’un l’altro nei vagoni.
7 Fra quelli che si erano nascosti c’erano quattro donne e una bambina di circa sette anni nascoste in una buca – una fossa coperta di foglie; e due SS andarono alla buca e ordinarono loro di uscire. “Perché vi siete nascoste?” chiesero e cominciarono a colpire le donne con delle fruste. Le donne imploravano salva la vita: erano giovani, erano pronte a lavorare. Fu ordinato loro di alzarsi e correre e le SS estrassero le rivoltelle e spararono a tutte e cinque; e poi continuarono a spingere i corpi con i piedi per vedere se erano ancora vive e per assicurarsi che erano morte gli spararono di nuovo.
8 Una delle SS prese una donna con un bambino fra le braccia. Lei cominciò a implorare pietà: se sparavano a lei che lasciassero vivere il bambino. Era vicina a uno steccato tra il ghetto e dove vivevano i polacchi e oltre lo steccato c’erano dei polacchi pronti a prendere il bambino e stava per passarglielo quando era stata presa. L’SS le tolse il bambino dalle braccia e le sparò due volte, e poi tenne il bambino in mano. La madre, sanguinante ma ancora viva, strisciò fino ai suoi piedi. L’SS rise e squarciò il bambino come si lacererebbe uno straccio. Proprio in quel momento passò un cane randagio e l’SS si inginocchiò per carezzarlo e prese un po’ di zucchero da una tasca e lo diede al cane.
V MASSACRI
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1 Il primo giorno che i tedeschi vennero in città dove viveva la giovane donna presero uomini ebrei e ordinarono loro di raccogliere la sporcizia strada con le mani. Poi gli ebrei dovettero spogliarsi e dietro a ciascun ebreo c’era un soldato tedesco con la baionetta inastata che gli ordinava di correre; se l’ebreo si fermava, veniva trafitto alla schiena con la baionetta. Quasi tutti gli ebrei tornarono a casa sanguinanti – tra di loro suo padre. Più tardi, dopo che la guarnigione tedesca aveva lasciato la piazza del mercato,] grossi camion apparvero d’improvviso, e una dozzina circa di soldati saltarono giù da ciascuno di essi – in uniforme verde con elmetti d’acciaio: erano SS. Andarono di casa in casa e presero uomini ebrei – giovani e vecchi – e li portarono sulla piazza del mercato; lì gli ebrei dovevano tenere le mani dietro la nuca. Circa trenta ebrei furono presi quel giorno; tra di loro il padre della giovane donna. 3 Furono caricati su uno dei camion e portati via. La giovane donna corse dietro al camion finché raggiunse un bosco nelle vicinanze. Lì trovò tutti gli ebrei che erano stati presi – morti. Erano stati fucilati e erano stesi al suolo secondo uno schema: ebrei e polacchi in gruppi di cinque ma ebrei e polacchi in gruppi separati. Baciò suo padre: era freddo come il ghiaccio anche se era passata solo un’ora da quando era stato preso. 2
Nel 1941, la politica dei Nazisti era diventata di sterminare gli ebrei, non solo in Germania ma in tutti i paesi che annettevano, invadevano o dominavano. È stato stimato che sei milioni di ebrei persero la vita: circa quattro milioni e mezzo in Polonia e nella parte invasa della Russia. 3 C’era una disposizione dei tedeschi per cui le esecuzioni non dovevano aver luogo in un luogo pubblico e per questo motivo si usavano di solito zone boschive.
2 Suo padre aveva una rivendita di pellami e era uno dei notabili in una comunità ebraica polacca quando i tedeschi arrivarono. Misero i loro cavalli nella sinagoga e la trasformarono in una stalla. Un sabato pomeriggio, dei contadini dai villaggi vicini vennero a dire agli ebrei della città che i tedeschi stavano uccidendo gli ebrei: dovevano scappare e nascondersi.] Ma il rabbino e altri anziani della città pensavano che fuggire fosse inutile; e inoltre, pensavano che i tedeschi avrebbero preso un po’ di giovani perché lavorassero per loro] ma che nessuno sarebbe stato ucciso. Il giorno dopo, prima dell’alba, un ebreo di un villaggio vicino corse in città gridando: “Ebrei, scappate, salvatevi! I tedeschi sono qui per ucciderci.” e gli abitanti videro arrivare i tedeschi. Il nonno della giovane donna disse: “Scappate e nascondetevi, bambini, ma io resto qui:] a me non faranno alcun male.” Quelli che potevano si nascosero in una foresta vicina. Durante il giorno udirono degli spari – spari isolati e grida – ma verso sera pensarono che i tedeschi avessero lasciato la città e in effetti dei contadini dei paraggi li incontrarono e dissero: “Adesso potete tornare. I tedeschi hanno ucciso tutti quelli che non erano scappati.” Quando gli ebrei tornarono, scoprirono che i tedeschi avevano circondato circa centocinquanta ebrei, incluso il rabbino e altri notabili. Dissero al rabbino di portare con sé il proprio scialle da preghiera – gli altri ebrei erano stati raccolti nel centro della città – e gli fu detto di mettersi lo scialle da preghiera e di cantare e ballare. Rifiutò e fu picchiato. E così gli altri ebrei. Poi furono condotti al cimitero. Lì era stata scavata per loro una fossa poco profonda. Fu detto loro di sdraiarsi quattro a quattro e gli si sparò. Ma suo padre era rimasto indietro in città – vivo: aveva detto che stava tagliando la pelle nel suo negozio per fare delle scarpe e era stato registrato come calzolaio. Più tardi, i tedeschi andarono in città per prendere tutto quello che trovavano; la piazza brulicava di tedeschi – quattro o cinque per ogni ebreo. Molti furono messi su un grosso camion; quelli che non riuscivano a salirci da soli
vi erano sbattuti sopra; e a quelli per cui non c’era spazio sul camion fu detto di corrergli dietro. Tutti gli ebrei furono contati e i tedeschi cercavano tutti quelli che mancavano dalla loro lista.] La giovane donna faceva parte di quelli che correvano, con la bambina in braccio. C’erano anche quelli che avevano due o tre bambini e li tenevano in braccio intanto che correvano dietro al camion. A chi cadeva si sparava – lì dove erano. Quando la giovane donna raggiunse il camion, tutti i passeggeri erano già stati fatti scendere, spogliare e mettere in fila; tra di loro, anche il resto della sua famiglia. Lì c’era una collinetta e ai piedi della collinetta un fossato. Agli ebrei fu ordinato di mettersi in cima alla collinetta e quattro SS gli spararono – ciascuno separatamente. Quando raggiunse la cima della collina e guardò giù vide già tre o quattro file di morti sul terreno. Alcuni giovani tentarono di scappare ma furono ripresi subito e uccisi lì dove erano. I bambini dicevano addio ai loro genitori; ma la sua bambina le disse, “Mamma, cosa aspettiamo? Scappiamo!” Suo padre non volle togliersi tutti i vestiti e restò in biancheria. I suoi figli lo scongiuravano di toglierla ma lui rifiutò e fu picchiato. Poi i tedeschi gli tolsero la biancheria e gli spararono. Spararono anche a sua madre e alla madre di suo padre – aveva ottant’anni e aveva due bambini tra le braccia; e spararono alla sorella di suo padre; anche lei aveva dei bambini tra le braccia e fu uccisa subito. La sua sorella più giovane andò da uno dei tedeschi – con un’altra ragazza, un’amica di sua sorella – e gli chiesero di essere risparmiate, nude in piedi di fronte a lui. Il tedesco le guardò negli occhi e sparò a tutte e due – sua sorella e la sua giovane amica; caddero abbracciate l’una all’altra. Il tedesco che aveva sparato alla sua sorella minore si voltò verso di lei e chiese, “A chi devo sparare per prima?” Lei aveva in braccio sua figlia e non rispose. Sentì che le prendeva la bambina;
la bambina piangeva e le fu sparato. Poi prese la mira contro di lei: la afferrò per i capelli e le girò la testa. Lei rimase in piedi e udì uno sparo ma restò in piedi. Lui le girò la testa di nuovo e le sparò; e lei cadde nel fossato in mezzo ai corpi. All’improvviso sentì che stava soffocando; era schiacciata dai corpi. Cercò aria per respirare e cominciò a strisciare verso l’uscita del fossato, e sentì persone che la spingevano e le mordevano le gambe. Alla fine giunse all’uscita. Corpi giacevano dovunque ma non tutti erano morti; e i bambini gridavano “Mamma! Papà!” Lei cercò di alzarsi ma non ci riuscì. I tedeschi se ne erano andati. Era nuda, coperta di sangue e di sporcizia a causa degli escrementi di quelli nel fossato, e si rese conto che le avevano sparato alla nuca. Il sangue sgorgava dal fossato in molti punti; e udiva le grida e le urla di quelli dentro ancora vivi. Cominciò a cercare sua figlia tra i cadaveri e continuava a chiamarla per nome; cercava di raggiungere i morti, e chiamava sua madre e suo padre morti, “Perché non hanno ucciso anche me?” Rimase lì tutta la notte. All’improvviso vide dei tedeschi a cavallo e si sedette in un campo e li udì ordinare che tutti i cadaveri fossero riuniti; e i corpi – molti che erano stati colpiti ma erano ancora vivi – furono riuniti con dei rastrelli. Dei bambini correvano in giro. I tedeschi catturarono i bambini e spararono anche a loro; ma non si avvicinarono a lei. Se ne andarono di nuovo e con loro i contadini dei dintorni – che dovevano aiutarli – e le mitragliatrici e i camion furono portati via. Lei rimase nel campo, sdraiata. Dei pastori condussero le loro greggi nel campo; e la presero a sassate, credendo che fosse pazza o morta.
Più tardi, un contadino che passava la vide, la nutrì e la aiutò a raggiungere gli ebrei nella foresta vicina.
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Delle donne ebree furono messe in fila dalle truppe tedesche a cui era stato assegnato quel territorio,] fu detto loro di spogliarsi, e rimasero in sottoveste. Un ufficiale, guardando la fila delle donne, si fermò davanti a una giovane donna – alta, i lunghi capelli intrecciati, e occhi meravigliosi. La guardò per un po’, poi sorrise e disse, “Fa’ un passo avanti.” Stupita – lo erano tutte – lei non si mosse e lui ripeté: “Fa’ un passo avanti! Non vuoi vivere?” Lei fece quel passo e allora lui disse: “Che peccato seppellire nella terra una simile bellezza. Va’! Ma non guardare indietro. C’è una strada che porta al viale. Seguila.” Lei esitò e poi cominciò a camminare come le era stato detto. Le altre donne la guardarono – alcune senza dubbio con invidia – camminare piano, passo a passo. E l’ufficiale estrasse la rivoltella e le sparò alla schiena.
4 Il soldato che sparava sedeva sul bordo stretto della fossa, i piedi a ciondoloni; fumava una sigaretta, il mitragliatore sulle ginocchia. A ogni camion che veniva, i suoi occupanti – uomini, donne e bambini ebrei di ogni età – dovevano spogliarsi e mettere i vestiti in un luogo preciso, ordinati in grandi mucchi –
scarpe, vestiti, e biancheria. L’SS alla fossa lanciava un grido al suo compagno e questo ne contava venti, ora completamente nudi, e diceva loro di scendere i gradini scavati nel muro di terra della fossa: qui dovevano camminare sopra le teste dei morti fino al punto che diceva il soldato. Mentre andavano verso la fossa, una donna giovane e fine, dai capelli neri, passando davanti a un civile tedesco che guardava, si indicò con il dito e disse “Ho ventitre anni.” Una vecchia dai capelli bianchi teneva un bambino di circa un anno tra le braccia, cantandogli canzoni e facendogli il solletico, e il bambino mugolava di piacere; e un padre teneva la mano di suo figlio – il bambino sul punto di scoppiare in lacrime – e parlava piano al bambino, dandogli buffetti in testa e indicando il cielo. Presto i corpi furono ammucchiati nella larga fossa, accatastati l’uno sull’altro, le teste che sporgevano e il sangue che colava lungo le spalle; ma alcuni si muovevano ancora, 4 alzavano le braccia e giravano la testa.
5 Radunarono circa una ventina di ebrei Hasidim dalle loro case, vestiti com’erano, con addosso i loro scialli da preghiera, anche, e con libri di preghiere in mano. Furono condotti in cima alla collina. 4
C’erano varie tecniche: alcuni comandanti allineavano quelli che dovevano essere fucilati e li facevano stare in piedi o in ginocchio sul bordo di una fossa, faccia avanti; mentre altri facevano in modo che dessero le spalle alla fossa; e altri ancora li facevano scendere nella fossa ancora vivi e a questi si sparava nel collo mentre erano in piedi o inginocchiati. Questa era la soluzione più efficace, perché di quelli a cui si sparava sopra la fossa non tutti ci cadevano dentro e poi i soldati avevano il problema di spingerli dentro; mentre se gli si sparava nella fossa il gruppo successivo poteva arrivare subito e cadere sui corpi sanguinanti. Ma quale che fosse il metodo dell’esecuzione questa era, per citare un rapporto ufficiale, “sempre onorevole e condotta in modo umano e degno di militari”.
Qui fu detto loro di cantare le loro preghiere e levare le braccia per chiedere aiuto a Dio e, mentre lo facevano, gli ufficiali sparsero kerosene sotto di loro e gli diedero fuoco.
Andrea Raos (1968) ha pubblicato Discendere il fiume calmo, in F. Buffoni (a cura di), Quinto quaderno italiano (Milano, Crocetti, 1996), Aspettami, dice. Poesie 1992-2002 (Roma, Pieraldo, 2003), Luna velata (Marsiglia, cipM – Les Comptoirs de la Nouvelle B. S., 2003), Le api migratori (Salerno, Oèdipus – collana Liquid, 2007), Lettere nere (estratti), in AAVV, Prosa in prosa (Firenze, Le Lettere, 2009) e I cani dello Chott el-Jerid (Milano, Arcipelago, 2010). Ha curato l'antologia di poesia contemporanea italiana e giapponese Chijô no utagoe – Il coro temporaneo, prefazioni di Nanni Balestrini e Yoshimasu Gôzô, traduzioni di Tarô Okamoto e Andrea Raos (Tokyo, Shichôsha, 2001).
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