Giulio Marzaioli - Quaderni

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Giulio [Quaderni] Marzaioli Quantomeno somigli il crollo perchĂŠ sia familiare la rovina. [ Giulio Marzaioli ]



Titolo:

Giulio Marzaioli – [Quaderni]

Poesie di:

Giulio Marzaioli

Fonti: Riflesso (La camera verde, 2004); In Re Ipsa (Anterem, 2005), Quadranti (Oedipus, 2006); La stanza (La camera verde, 2007); Figure di reato (La camera verde, 2008); Trittici (D’If, 2008); Quando (Signum, 2009); Suburra (Giulio Perrone, 2009); Moduli di prima fase (La camera verde, 2010); Voci di seconda fase (Arcipelago, 2011).

A cura di Luigi Bosco

Il presente documento è da intendersi a scopo illustrativo e senza fini di lucro. Tutti i diritti riservati all’autore.

Poesia2.0



da Riflesso (La Camera Verde, 2004)



Visto, diversamente viso, uno; altrimenti dividendosi, altro (almeno si potessero sommare) due volte piegato nel cerchio (almeno si versasse tutto in uno) due volte piegato nel cerchio: occhio, la stessa luce; si confonde l’abitante del pensiero, ciò che era nello specchio, ciò che vedo qualunque cosa fosse, fosse vera (ovvero quantomeno) fosse carne (davvero somigliante) fosse nel raggio che si incide radicante radicato che dirama diagonali (dal fuoco, proprio lo stesso) non propriamente uguali. Dal vetro non cambia niente ma di fronte, dipende, dirotta lo sguardo, si trasmette, dirigendo si proietta; di fronte, appunto bloccare, legare la vista al chiodo; nel punto prefissato, fermi: gli occhi, adesso agli arresti, salvandosi levati (dalla forma?) levati dallo schermo i tratti (dalla forma, quella vera?) osserva: i tratti osservati e levali, volta dal vetro gli occhi sul vetro, nel ventre, dentro, specchio ad osservare ospite, del corpo sul punto di lasciare (almeno da un altro viso, gli occhi). Tracciata la retta dal punto, ininterrottamente altro, l’altro punto dallo sguardo e guarda, si prolunga nei due sensi assente; se c’è verbo (in forma riflessiva)


c’è bisogno di un soggetto parallelo, la retta torna sempre al punto, ma se fossero binari sabotati che saltano gli scambi e sono: pronti a incidenti i treni, i raggi caduti sul vetro, davvero incidenti, i raggi (e se di poco anticipa la mente? Voltando lo sguardo e di scatto, tornato per sorprendere lo scarto? È che servirebbe proprio uguale ad immagine, una spugna e somiglianza, così da ripulire le radici che fanno tronchi e poi rami e gli aghi, alle estremità (come gli abeti) e i nomi pungenti la memoria e tutta questa storia personale. Non rimane, la persona in quanto tale, nella testa tale e quale, cambia. Servirebbe una finestra negli occhi ben aperti perché l’aria scorra, sfili il vizio di essere e restare; sia soltanto ciò che sembra adesso, sia un passaggio di consegne nell’immagine. Che sia l’immagine e soltanto questo (il vero è già diverso, somiglia e passa); la realtà non possa che sfiorare, la persona piuttosto, sfiorisca: d’altro canto, decantata la miscela le sostanze più addensate nella vita che sanno la vita dentro con le istruzioni e sanno


deformare i tratti, ma di poco; che siano ancora un poco somiglianti, che il passato abbia uguale il sorriso, quasi uguale a quello di sua madre; e somigli anche al padre per i modi, con quel modo di guardare da vicino, portando gli oggetti agli occhi (si avvicina); è bene guardare bene (si avvicina l’oggetto non osservato), osservarsi guardarsi per vedere, (si fa avanti è lo sfondo che da dietro si fa avanti) aprire bene gli occhi (è lo sfondo che congiura, preme contro) in fondo non bisogna aver paura (sbatte) di conoscere se stessi (sbatte contro). Sette anni di sventura, i vetri sparsi.



da In Re Ipsa (Anterem, 2005)



dalla sezione T-res

Crepe Traccia l’intonaco come vetro, come una mano che dietro scrive. La trama del disastro è un ricamo che infrange. Piano.

*

Prima che la materia ceda fissare la materia prima (il segno rimane intatto se nel disegno il tratto si scompone.

*

Oppure, schiena su schiena, fermare momentaneo il battito, fingere che sia sudore la goccia che lentamente incrina.

*

(notizia – la ferita dall’esterno: il tempo si ricuce nella carne)


*

Quantomeno somigli il crollo perché sia familiare la rovina. La mappatura nel distacco, un tratto ad ogni spaccatura. Che insomma cos’era prima resti: rotto, ritratto, replica.

*

(notizia – la ferita dall’interno nascosto nella lama il taglio resta)

*

E ancora giacendo al fondo che almeno sia puntuale il freddo, che spezzi tutti i nodi sino all’ultima sutura ed infine affilato affondi nel pane della mente, saturo.

*

Intanto la voce si piega, curva nel silenzio, tace.


Non sbatte, non rimbalza, non va per linee rette il suono. Il moto, resistendo, stona.

*

Fermo, la mano si agitava come a suggerire un verso. Seguirono in silenzio il suo ultimo saluto, tutti in sequenza (genere film muto).



da Quadranti (Oedipus, 2006)



dalla sezione EST

Al limite può dirsi esterno, escluso fuori, al margine. Estraneo sopra. Sotto. Argine, o, quantomeno. Un lato e l’altro - altro. Altrove, dove scorre, non c’è soccorso, se non come registro del passaggio. Qualsiasi cosa dentro, ma verso un fine. Indefinibilmente, ma verso. Estremo, quindi al limite. Cardine, vento da cui soffiare. Sulla carta. La carta è orientata a vento. Prima debole, poi spinge sotto pressione. Il nodo che si stringe sulla gola con intenzione tanto solida da soffocare. In fatto di corrente e flussi conduce sottilmente e soffia. Sottile violazione tra le ciglia. Variazione, poi si inclina, entra. Filato dentro i timpani, striato. Sibila l’ascolto e c’è: qualcuno che, da dentro, tira. La mente se ne spettina, non viene a patti. Anche seguendo il verso, pure vira. Avaria di ciò che sa e che sa variare. Tende smosse per reazione del lenzuolo, per gentile concessione della forma, fermata così nel quadro ed afferrata. Nuda per accenni, accende il quadro. Solo in parte, però. Fioca. Fumo, quasi di candela. La notte che batte, pulsa il nero. Assedia nel sangue più scuro. Anch’esso fatto scorrere. Le scorie a valle. La mano rimargina il contorno. Assente l’altro, inventa un corpo. Somiglia al tornio. Torna sopra di sé. Lavora. Il vento si addormenta nel tessuto. Il sangue è di rimessa, lubrifica. Cola, segmento, si cuce dentro. Tra la notte, lo specchio e il foglio. La carne che tiene


fermi e un punto, proprio dove la cucitura riprende. Da lì l’ombra si allunga. Spiana. Il sangue può farsi inchiostro, più spesso scorre. Più spesso è la mano che scrive. Qui si espone con variazioni, detta. Prova a propria impronta la grafia. Riduce. Compromette. Salva. Ora. Alzato da fermo il corpo. Ovvero pensato alto da sdraiato. Immobile sull’armatura, di taglio. Accorcia il fiato, il fatto al primo accenno. Come spezza il giardiniere che squadra. Attento, sul fianco, la spina. E’ assente, per questo punge. Il fiato si fa corto, si consuma. Si assottiglia per dare spazio al sangue. Dal gambo basso si regola il roseto. Così sia, di pari altezza, ché dopo nessuna rosa sbocci diseguale. Anche la rosa è rossa, quando esce allo scoperto, ma il sangue. Il sangue si raggruma. Nel sangue tutto il mondo è rosso. Capita che si venga al mondo. Da quale mondo altro, quindi? Un tuffo, piuttosto, da dietro. Come per una spinta, errore. Orrore di non essere, oppure: per semplice attrazione di materia. Distrazione della massa inerte e capita. Che ci si impressioni di non essere. Di non essere mai stati e mai per sempre. Così ci si calca, ci si cerca. Una lastra che ci lasci l’impressione. Di là, da una memoria più remota. Verrebbe da scrollarsi, a volte. Voltando si vorrebbe ripassare. Fare un altro giro e ritrovare. Coincidenze e controllare se al cammino manchi un’orma, quella propria, al calpestio. Se il posto che si occupa sia il proprio o il primo che arriva sta.


Ma il grado si sposta avanti, non coincide. Spezzando le iniziali poi si spera, si anticipa il futuro e si deraglia sul principio di aderenza ai tempi. Si inizia a disegnare un nome. Somiglia a questo e quello, diverrà, la festa di famiglia e vita e vita. Sarebbe bene, a volte, una ragione, ché è sempre così scarsa l’immersione. Il mondo per sentito, non tanto dire, ma anche soltanto far rumore. Dentro tutte le gocce il senso o per una goccia sola tutto dentro. Ma l’acqua diluisce e infatti. Non è poi così facile nuotare. Di suo, l’umano, annega. Per solo sentito dire è stata acqua, rompendosi nel guscio a svegliare, a svellere lunghissima l’attesa e dolce - per chi la assaggia sulla pelle. Il primo incontro con la pelle è il pianto. Lo consegnano da muti ben impresso. La parola poi si impara, cresce in bocca. Si lima tra dente e dente, sfila e finalmente trova posto nella voce. Ogni parola un solco sino al nome. Ad ogni occorrenza tanto basta e poi si può parlare anche da soli. Parola prima - e prima della parola - è labiale e come un cerchio si doppia. Un anello da sfilare al tempo. Parola prima è balbettando un rifiuto, per quanto si può dire balbettando. Ma, suonata e ribattuta. Ma prima della parola si torna, si attende dove si incorda il fiato. Risalendo per due corpi uniti a filo. I


corpi sono a terra, isolati - i soliti che diedero la vita. E’ il passato che interviene, intermette. Genitivo, tori da corrida nella danza tra arena e seme. E questa desinenza, questo è evidente. Di là della cucitura si affonda. Qui la forma è nuda e sovrapposta. Così si consuma la stesura. Allunga una gamba, sfiora. Nel seme non è uno soltanto se al buio ci si può amare anche da soli. Per ogni incrinatura della schiena si libera un ritratto in nero. Alla luce si nasconde nello specchio. Ai muscoli non vibra la sua presenza, ma se l’ombra resiste anche al corpo e con il corpo esiste sino in fondo qualcosa che promana sfugge e dire questo e quello non determina. Non così da confinare, almeno. Aggiunto si sottrae alla presa, ma segue per ogni mossa a ricordare e magari potrebbe anche sfilare e a questo punto in quale punto può dirsi “questo”? Senza una forma fissa. Negazione. O meglio negativo risultante. Curva di schiena, preme. Da dietro fa il gioco della leva. Mentre di qua si alza, di là si piega. Spiegare chi sia di là, cosa che è vana, tra immagine, idea del corpo e chi la crea. Soggetto di un’idea è chi ce l’ha o chi dentro l’idea si trova?


da La stanza (La camera verde, 2007)



ciò che è aperto chiude, lo spazio. Lo spazio si fa esterno invano

le mura spoglie, sono sempre state così. Vestono? Si svestono? (non può vestire, vestirsi di)

*

entrare. Sarebbe lecito sapendo i limiti. Sarebbe chiusa da pareti, la stanza invece di. Senza. Invece… non entrare. Anche al limite ma fuori. Quasi. Sulla soglia. Un luogo si può affermare, sì?

*

fuori non si può vedere, ma il luogo c’è. È dentro che il luogo manca, spoglia di sé gli occhi, vuoto nel centro

*

è reale: le fondamenta, i solai… e potrebbe non esserlo mai stata (o sempre), ogni volta a propria


immagine e giĂ dimenticata

* nella stanza (stancava nel colore, moriva il bianco) (si offriva nello strappo il tessuto) per parlare si tolse la parola

*

fuori dalla stanza la nebbia, le rocce che la fendono trascorrono assieme il tempo e non sanno. Dell’immagine, lo sguardo che la offende

*

non ci siamo mai spostati. Adesso. Non possiamo tornare indietro

*

il distacco dalle cose per la sola resistenza del tempo. Ma la foglia non è lo stacco dal ramo. Ăˆ il marcire del verde


e la terra e i vermi che essa nutre

*

è stata pianta cresciuta nella pietra che si spacca. È stato vegetale il crollo. È stato minerale l’ascolto e umana, umana la rovina

*

il sonno accudisce la notte se gli occhi sono chiusi, se non sanno tra le crepe della storia nella grandine delle macerie lasciate dormire il bambino tra l’ordine che non guarisce e la dolce malattia del caos lasciate dormire il bambino dal regalo di una notte di insonnia al sacrificio del mattino lasciate dormire il bambino tra il vento che soffia di neve e tu che ci credevi e soffi contro lasciate dormire il bambino tra la fine che non inizia e l’inizio che sembra non finire lasciate dormire il bambino tra la luna nel pozzo e il mattino che esplode in guerra lasciate dormire il bambino


tra il fuoco che brucia la casa e il bicchiere d’acqua sul comodino lasciate dormire il bambino


da Figure di reato (La camera verde, 2008)



Art. 367 codice penale Simulazione di reato Chiunque con denuncia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all’Autorità giudiziaria o ad altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne, afferma falsamente essere avvenuto un reato, ovvero simula le tracce di un reato, in modo che si possa iniziare un procedimento penale per accertarlo, è punito con la reclusione da uno a tre anni *…+.

fai - non fare finta, scarta la mossa da scartare, grida - non gridare. Insomma fai come se fossi (come se fossi sola)


Art. 646 codice penale Appropriazione indebita Chiunque, per procurare a sè o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito, a querela della persona offesa con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a lire due milioni. Se il fatto è commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario, la pena è aumentata *…+.

ora, a luci spente, cuci un nido sul cuscino e di lì aspiri succhi la radice; ecco - dici il nostro gioco: sognare e sottrarsi poco a poco


da Trittici (D’if, 2008)



Trittico I

Cosa che non trovo, che ne so il nome e il suono, ma non dove. Qualche cosa e la parola sua che smuove l’aria ma non si trova anch’essa. Non si posa.

*

Al centro del buio, come si usa a mosca cieca. La stanza è chiusa (cercando le pareti o meglio un viso). Non è un gioco, sia detto per inciso.

*

Sotto la scarpa, ora si avvicina l’insieme delle cose. Si toccano per scomparire a un tratto (il rumore è ultimo, di vetro rotto.

Trittico II

Il vetro traspare per inerzia. Se il tempo lavorasse di posa con polvere o altre sue scaglie: qualcosa. Sarebbe qualcosa, se?


*

L’immagine che si riflette imprime il vetro, eppure non si fissa. Si vede, quasi esiste. Rassomiglia (infatti).

*

Se ciò che è riflesso somiglia occorre che il vetro sia rotto perché con le schegge si tagli. La pelle (l’immagine sotto).

Trittico III

…l’occhio è ciò che è stato toccato da un certo impatto con il mondo, e lo restituisce al visibile mediante i segni tracciati dalla mano.

M. MERLEAU-PONTY Vicino a, nei pressi, quasi questo ma no, non è lo stesso, non si vede (bene o male). Quasi niente (come se una lente cadesse dagli occhiali.

*


Così, a fuoco la metà del campo. Così una metà si salva senza bruciare nei contorni e quasi senza stare (starsi). Accanto.

*

Lo sguardo attraversa, non si posa. Ha visto che la lente è infranta (ha visto la frattura nelle cose).



da Quando (Signum, 2009)



quando (sorvolo a pelo d’acqua) fatto di sasso tirato dentro affonda

*

il cerchio disegnato per ogni cerchio (quando e punge di compasso)

*

alza la schiuma (schiude) squarcia e si chiude quando (era qui) (era acqua)

*

che poi arriva quando e si posa (il sasso) resta dono alle alghe

*

vale cosĂŹ (immerso) nel quando non trascorso (non luce) (sa di sale)


(quando) a secco brucia e asciuga dentro il sangue (lo sa anche l’acciuga)


da Suburra (Giulio Perrone, 2009)



l’atto (actus) è un’unità di misura adottata nell’antica Roma, corrispondente a m. 35,568

Suburra

Atto II sbatte il soffitto …suolo …volo che sbatte al suolo in alto è il suolo che batte - quasi come volare …dubbio che aleggia (non sceso) in alto (non restato) (soffitto) il volo si appresta (il cielo comunque ha un peso) si aspetta che il salto …ecco


…si aspetta - si ferma sospeso …si lo oscurerei (il cielo) ma il tempo scarta (salta) e tanto basta (tanto ti inchioda al salto come se fosse l’ultimo)

*

Atto VIII non volo - guardare il cielo …non salto - fissare il suolo il piede è appeso al filo - rame ricuce mare …esiste


cornice attorno per assenza di quadro dentro (ma c’è - dentro c’è anche se tolto via - anche se il muro è voltato) c’è rumore di oggetti (passa sotto il treno) sarebbe uno stato di grazia cadere in assetto costante …sarebbe scavare la strada bruciarla e bagnarla di sale sarebbe - sembrava sospeso …sembrava che in alto sbattesse


(che si bloccasse il fiato) - sembrava sospeso al filo e il mare al di lĂ del ferro) ‌sembrava che il corpo cadesse il corpo sdraiato (non sceso) è suolo - non lotta di peso ‌soltanto il sonno si perde nel tempo di avere sudato (sarebbe stato saltare - sbattere e mare e mare)


da Moduli di prima fase (La camera verde, 2010)



moduli 9-12

il nome proprio ― in breve ― il nome proprio si beve ― un luogo ― nessun indizio ― sei chiuso in un liquido chiuso ― se parli nessuno può sentire ― potevi andare al mare ― tra l’acqua e la luce ― un vetro ― sei tu fino a che non lo dici

*

grado per grado ― sei dentro ― ti stai bevendo dentro ― fuori ― non ci somiglia ― è un fatto ― non fa finta ― cresce ― aumenta di fiato ― sei tu ― nessuno può sentire ― affiora ― così potrai soffiarti ― affiora una linea incrinata ― non segna ― non separa ― tu pensi di essere un sogno

*

soffia piano e inizia a guardare ― stessa ora ― la stessa meno un giorno ― in mezzo non si esce ― martedì ― non avere uno sguardo piano ― ritorni ― tra acqua e fondo ― un foro ― dentro non si trova ― grado per grado ― sei dentro ― non si può uscire dal vetro

*

curvare lo sguardo ― un filo ― un filo divide anche il marmo ― si aziona ― un enzima a distanza ―


curvandosi può cambiare ― sei dentro ― sei uscito ― comunque ― un suono fa ombra sul vetro ― si incrina l’acquario ― soffia ― il fiato è filato a piombo

moduli 37-40

martedì ― il suono non scava ― lavare col fuoco il ricordo ― si stacca ― il punto fisso ― si stacca dal vetro il vetro ― il filo ― produce fumo ― il punto si contrae ― dentro ― bruciare il passato ― un fossile ― fissare il fumo

*

produce fumo ― il ricordo ― hai perso ― non ti sei dimenticato ― hai perso il filo del fumo ― si stacca ― il solito orizzonte ― si stacca l’orizzonte dal suono ― lo cerchi ― il suono si sente ― il fondo ― potevi andare al mare ― martedì ― il fossile scompare

*

il filo ― il punto si contrae ― cerchi soltanto il fumo ― così ― sul fondo dell’acquario ― si concentrano tutti i martedì ― il filo ― si stacca e scompare ― se tutto è bruciato attorno ― evapori ― soltanto fumo ― non hai avuto tempo ― dentro ― il tempo ti ha perduto ― in effetti ― i pesci sono fuori

*


tra l’acqua e la luce ― la brace ― se gli occhi sono due ― sei dentro ― sei uscito ― comunque ― ti restano soltanto gli occhi ― il filo ― è orizzontale ― stai fissando l’orizzonte degli eventi – sei spento – sei connesso – comunque – sei spento ― sei connesso – così



da Voci di seconda fase (Arcipelago, 2011)



voce P C’è P che non tollera. I comportamenti. Quelli che a ripeterli si fanno necessari. Alle dieci se potesse. Un giro senza dove. P ora è cresciuto. Ad accrescersi è l’idea. L’idea di sé che gli altri. Adesso i miei capelli ne avrei di più. Ma P guardando sguardi fissi che lo guardano. Imbraccia la chitarra. La cosa che ha capito. Chiudendo gli occhi P.

*

voce A Ad A gli orari fissi che ogni giorno. Prima uscivo sempre insomma quasi sempre. Ora questa insonnia ma la sua curiosità. Se potesse per le scarpe spenderebbe anche di più. Se il tempo si fermasse. In luoghi lontanissimi. Se fosse proprio ora me ne andrei senz’altro al mare. A vorrebbe dedicarsi ma sa bene che una cosa. Altra cosa quindi pensa. Godersi quei momenti. Se non fosse per il vuoto. Anche paracaduti¬smo. I suoi capi tutti i giorni ma non me ne frega niente.

*

voce P2 P poco per volta. Aiutare maggiormente. Soprattutto praticare un qualsiasi sport di squadra. P sa che le proprie figlie. Un esempio da se¬guire. Che dai suoi comportamenti loro apprendono che. Ora.


Cam¬minando su un sentiero. Se potesse. Fino in cima. Ogni giorno un bar diverso. Ad esempio anche il caffè. Almeno qualche volta poter cambiare idea.

*

voce G La quotidianità secondo G non fa del male però quando interrompe. Tu sei immerso in un paesaggio qualche cosa di speciale. Litigare con suo padre. Se potesse. Ora è tardi. Anche il senso del dovere. Ora G sta peggiorando. A G non dispiace che gli altri. Non che parlino male. Sbrigarsi a lasciare qualcosa. Una cosa che abbia senso.


Giulio Marzaioli (Firenze, 1972) vive a Roma. Suoi testi, contributi fotografici e video appaiono su riviste cartacee e telematiche («L’Apostrofo», «Atelier», «La Clessidra», «Pagine», «Semicerchio», «La Rivista dell’Immagine»; «Re:»; «Smerilliana», «Poeti e Poesia», «Carta», «Poesia da fare, Quaderni (in www.cepollaro.it)», «www.retididedalus.it», «Nazione Indiana», «TriQuarterly», «I racconti di luvi»; «SUD», «L’Ulisse», «Sirena - Poetry Art and Criticism», «Der Poet», «Gradiva», «Absolute Poetry», «OEI magazine», «http://rebstein.wordpress.com/», «Il Caffè illustrato», «OR – poetry magazine», «L’immaginazione», «Versodove», «il verri», «bina», «Lettere grosse», «Nioques», «L’area di broca», «in


pensiero»), plaquettes, opere collettive e antologie e sono tradotti in Francia, Stati Uniti, Germania, Spagna, Svezia. In poesia ha pubblicato varie raccolte, tra cui In re ipsa (Premio Lorenzo Montano 2005, Anterem Edizioni), Trittici (Premio Giancarlo Mazzacurati e Vittorio Russo 2007, Edizioni d'if), Suburra (2009, Giulio Perrone Editore, collana ‘inNumeri’ diretta da G. Alfano). In prosa è stato pubblicato il testo Quadranti (2006, Edizioni Oedipus; 2010, Mix Editions, in traduzione francese con il sostegno del Centre National du Livre). Attualmente è impegnato in un progetto di scrittura in tre fasi imperniato sul concetto di “procedura”, il cui primo episodio, moduli di prima fase, è stato pubblicato presso le edizioni de La Camera Verde, collana ‘felix’ (diretta da M. Giovenale); le voci di seconda fase sono state pubblicate per Arcipelago Edizioni, collana ‘ChapBook’, diretta da G. Bortolotti e M. Zaffarano. Ha scritto testi per il teatro da cui sono stati tratti allestimenti di teatro e teatro-danza rappresentati in vari festivals, rassegne e teatri (una scelta dei testi drammaturgici è pubblicata nel volume Appunti del non vero, 2006, Editrice Zona), per le arti figurative, per la video arte, per la fotografia. Ultimamente alla scrittura unisce la ricerca per immagini. Determinante, in tal senso, la decennale collaborazione con il centro culturale La Camera Verde, presso le cui edizioni ha realizzato plaquettes, cartoline, libri d'artista, pubblicazioni di vario genere nonché le mostre Cavare marmo (2009) e La concia (2010), da cui gli omonimi volumi, prime due tappe di un percorso fotografico dedicato al tema del lavoro. È stato curatore di eventi letterari e teatrali e


ospite di università e festivals in Italia e all’estero (recentemente RicercaBO, “InVerse” - John Cabot University, Roma; “Poésie/nuit” - École Normale, Lione: Ecole Normale, Parigi; Lettrétage, Berlino).



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