MAriangela Gualtieri - Quaderni

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Mariangela

Gualtieri

[Quaderni] Io parlo all’amore. Lo scortico dall’incrosto nel sogno e ne faccio musica storta ne faccio delicato vento che solleva o dondola e impollina al cuore. Alla scomposta mente, impollina l’occhio con l’occhio l’occhio con l’animale e viene il bello che ci sviva, ci sviva tutti. Di più. [Mariangela Gualtieri]



Titolo:

Mariangela Gualtieri – [Quaderni]

Poesie di:

Mariangela Gualtieri

Fonti:

Antenata (Crocetti, 1992); Fuoco Centrale (Ed.I Quaderni del Battello Ebbro, 1995); Fuoco Centrale e altre poesie per il teatro (Einaudi, 1995); Nei leoni e nei lupi (Ed.I Quaderni del Battello Ebbro, 1997); Chioma (Edizioni Teatro Valdoca, 2000); Parsifal (Edizioni Teatro Valdoca, 2000); Senza polvere senza peso (Einaudi, 2006); Paesaggio con fratello rotto (Luca Sossella Editore, 2008); Bestia di gioia (Einaudi, 2010).

Il presente documento è da intendersi a scopo illustrativo e senza fini di lucro. Tutti i diritti riservati all’autore.

Poesia2.0



da Antenata



Vicino alla grande acqua.

Adesso tu vieni – poggiando la testa per terra. È tutto deserto.

Mano scrivi all’attacco. Molti corpi viaggiano per questa camera debole. Riconosco il suono dei raggi. Se vengono adesso da lì vibrando alla luce potente silenziosi in attesa noi con un groppo con un sangue movimentato guardiamo. Ho spaccato ogni cosa come spieghi questo? Tre luci molto lontane segnano il punto d’appoggio. Stare ben fissi lì.


(dalla sezione Al tremore dei corpi)

Nessuno ha guardato oltre quest'ombra e avuto parole esatte. Adesso guarda. Ci sono occhi freschissimi. Gole di un colore sgargiante e dentro il cibo un semplice soffio, puntini cose corte tonde. Per un errore che non mi spiego eccomi pettinare domandare chi è comperare il pane. Questo cielo riposa nelle tue mani cicatrici e scudi polverosi. A te si addice l'ora la piaga cosparsa di bava portami a te matrice o unghia o sfera incomprensibile o bagno venticello volo di


fionda. Appena si corica tutto tace. Ăˆ festa è tardi a poco a poco ritorno ritorno al mio sangue. L'attimo spaccato in parti rivolta le foglie. Questa bellezza atterrisce. Una fiammella si appoggia e respira su un niente che mi riguarda.

Si sporge l'ulivo alle acque invisibili si spacca in due in tre come tutto piega.... conserva l'alone di un fatto che non sapremo.

Quest'acqua è vecchia come il sangue, tornano insieme al punto di partenza si dicono le parole principali mormorano entrambi dello stesso ronzio.


Madre sangue madre mare madre delle cento buche di tutte le spade delle fronti affogate dei colpi di timone e remi rotti di braccia tirate via e ciocche madre del chiaro d'onda di quelle sfumature madre di sale e senza latte, senza le tette rovesci al tuo petto ributti alla riva di sfinimento madre di colpi indifferente di vivi o morti.


(dalla sezione Formula perchè cresca la vigna)

Al posto dei molti cuori due o tre tane ben fatte al posto di quel tratteggio il canto. Le cose ghiacciano si stringono fino al midollo sfondano il poco tempo che misuriamo teniamo alla fronte i pezzetti teniamo il respiro tremulo dentro ogni buco c'è un segno nella goccia del fico nelle bestie accucciate un tormento sotto le piante un urlo tra le foglie cresce smisurato per tutto il marzo. L'amico che sta dietro le spalle fiorito sempre folgore, non osso spugnoso fune luminosa, lattice, lingua corta zampa poggiata gentilmente fruscio molto grande papavero. Ogni giorno sentiamo battete l'ala.


Nel taglio di quest'ora tutto è identico fra sÊ a sÊ raccolto. Se chiedo il chiarimento sempre sempre la sfera non si piega lo sguardo non si piega il colore dello scasso tanto vicina la lingua al palo freddo di ferro.


da Fuoco centrale



Io sono spaccata, io sono nel passato prossimo, io sono sempre cinque minuti fa, il mio dire è fallimentare, io non sono mai tutta, mai tutta, io appartengo all'essere e non lo so dire, non lo so dire, io appartengo e non lo so dire, non lo so dire, io appartengo all'essere, all'essere e non lo so dire

io sono senza aggettivi, io sono senza predicati, io indebolisco la sintassi, io consumo le parole, io non ho parole pregnanti, io non ho parole cangianti, io non ho parole mutevoli, non ho parole perturbanti, io non ho abbastanza parole, le parole mi si consumano, io non ho parole che svelino, io non ho parole che puliscano, io non ho parole che riposino, io non ho mai parole abbastanza, mai abbastanza parole, mai abbastanza parole

ho solo parole correnti, ho solo parole di serie, ho solo parole fallimentari, ho solo parole deludenti, ho solo parole che mi deludono, le mie parole mi deludono, sempre mi deludono, sempre sempre mi deludono, sempre mi mancano


io non sono mai tutta, mai tutta, io appartengo all'essere e non lo so dire, non lo so dire, io appartengo e non lo so dire, non lo so dire, io appartengo all'essere, all'essere e non lo so dire.


da Fuoco centrale e altre poesie per il teatro



Prendimi, fai pure le arcate destinate all’incontro, cerchiami, poggiami nel tuo fondo migliore, fai di me struggimento e crepe, scioglimi di cinghiate lamine, vuotami, vuotami, tira via me, scovami dal mio inno deposto, dalla fuggitura angolata in cui mi incuneo, sconciami, fai potature essenziali, entra con questo antico seme, col saluto di lingue, di cosparse acque di cime rotonde, nel segreto delle manovre con in pugno sostanze e con colpi con colpi a striscio a fronte punta me, dalle tue lontananze punta me, a pendaglio a picco sonoro, nelle sconosciute difese punta me che mi sporgo lasciando lasciando, dal tuo guscio insondabile la mia sporgenza culmina in questo arco del cuore. Ti avanzo. Ti avanzo incontro. Prendimi. Prendi me,. Il fuoco centrale non è impalato nel nome. Esubera dalla distanza del morto, si appoggia al principio della semenza e lĂŹ sta in calice sottovento.


Stavo su costoni di mondi slegata da tutte le radici solo fatta di un ridere largo tutta larga io stessa e un niente popolava di sopra e di sotto un niente di dentro vagante acqueo con movimento di sbando ma poi l'occhio è nato facendo colori coi nomi e tutta luce tutta luce quando ho toccato la sua natura calda e bagnata e ho rotto le acque di sotto nel grande schianto schizzavo su un tavolo di pietra sotto pareti con file di piastrelle e odore di una vecchia che tirando tirando aiutava. Mamma, ti ho fatta di colpo e grande fra le sponde di legno e lo specchio somigliante e piena di latte fatta parlante e pettinata e ho fatto anche me con piccoli pugni il dormire il crescere e tutte le parole.


Se la parola amore è uno straccio lurido, se non ho altra lingua per dire cosa amo, se l'anima adesso è un ingombro e il ciclo un posto come un altro se dormiamo e dormiamo

se il mio canto è schiacciato nel cantone se il mio canto o il tuo, se il mio canto

se tutte le parole dei savi sono troppo lente per questa corsa sui cocci, se anche le bestie in quel loro morire bastonate neppure si rivelano

se c'è una tosse se c'è una tosse che incrosta il cielo e poi lo sputa

se abbiamo nemici dentro le teste e macchinette rotte

se la mano è scontrosa alla mano scontrosa rompe l'onda e il ramo


rompe l'ala e il becco

se abbiamo salmi stonati se le macerie sulle facce stanche fanno il peso di tutta la storia

se poi nessuno viene nessuno s'alza dal fradicio delle tombe a consegnarci un grappolo, una tazza un giuramento alla luce se se se

se c'è una sete che ci ammala se c'è un sorso per chi ha sete se davvero davvero muove il sole se muove il sole e l'altre stelle se la sua gran potenza, sua gran potenza d'antico Amor, se il nostro cuore è immenso se il nostro cuore talvolta è immenso, se le stelle nascono, se è vero che nascono anche adesso, se siamo polverine allo sbaraglio, catenelle smagliate,


benedico ogni centimetro d'Amore ogni minima scheggia d'Amore ogni venatura o mulinello d'Amore ogni tavolo e letto d'Amore

l'Amore benedico che d'ognuno di noi alla catena fa carne che risplende

Amore che sei il mio destino insegnami che tutto fallirĂ se non mi inchino alla tua benedizione.



da Nei leoni e nei lupi



Vengono. Non soffro più, non mi fa male più nessun giorno, nessun anno, celeste il mio stare nella prima morte, nella seconda, so che la scrivente mano non è mia. Voci. Mio corpo multiplo, labirinto e popoli che non classifico.] Ritornare a voi, le sepolte, le molte mani col dono. Indicare l'uscio,] slegare il catenaccio, fare dormire tutto il respiro, crescere me, prego,] senza polvere, senza peso, senza ginocchia piegate, senza parti rotte,] senza essere intelligente, senza tutto quel senso, senza ornamento né] unguento, senza screpolatura, senza cose nervose, senza mosche, senza] spine, con qualche spino. Non c'è da voi colpa, né preghiera. Salute a voi.



da Chioma



Se la parola amore è uno straccio lurido, se non ho altra lingua per dire cosa amo, se l'anima adesso è un ingombro se il cielo è un posto come un altro, se dormiamo e dormiamo,

se il mio canto è schiacciato nel cantone se il mio canto o il tuo, se il mio canto,

se tutte le parole dei savi sono troppo lente per questa corsa sui cocci, se anche le bestie in quel loro morire bastonate neppure si rivelano,

se c'è una tosse se c'è una tosse che incrosta il cielo e poi lo sputa

se abbiamo nemici dentro le teste e macchinette rotte

se la mano è scontrosa alla mano scontrosa rompe l'onda e il ramo


rompe l'ala e il becco

se abbiamo salmi stonati se le macerie sulle facce stanche fanno il peso di tutta la storia

se poi nessuno viene nessuno s'alza dal fradicio delle tombe a consegnarci un grappolo, una tazza un giuramento alla luce se se se

se c'è una sete che ci ammala, se c'è un sorso per chi ha sete, se davvero davvero muove il sole se muove il sole e l'altre stelle se la sua gran potenza, sua gran potenza d'antico Amor, se il nostro cuore è immenso, se il nostro cuore talvolta è immenso, se le stelle nascono, se è vero che nascono anche adesso se siamo polverine allo sbaraglio, catenelle smagliate,


benedico ogni centimetro d'Amore ogni minima scheggia d'Amore ogni venatura o mulinello d'Amore ogni tavola e letto d'Amore,

l'Amore benedico che d'ognuno di noi alla catena fa carne che risplende

Amore che sei il mio destino insegnami che tutto fallirĂ se non mi inchino alla tua benedizione



da Parsifal



dal Monologo del non so

Io non so se l’amore sia una guerra o una tregua, non so se l’abbandono d’amore sia una legge che la vita cuce fino al ricamo finale.

Io non so spiegarmi l’imperturbabilità di Dio, e non mi spiego di non udire il suo grave lamento, il suo urlo di collera o d’amore, e non so vederlo che sono in cecità ma vorrei sentirlo almeno piangere come piango io guardando le facce indolorate, guardando le facce con grave malattia terrestre, io non so invocarlo né bestemmiarlo che è troppo nella sottrazione e troppo astratto per i miei chili umani.

Io non so o forse non voglio consegnarmi negli uffici del mondo, e stare buono nelle sale d’aspetto della vita. Io non so niente altro che la vita e molte nuvole intorno che me la confondono me la confondono e non


so cosa aspetto, cosa sto aspettando in questo sporgermi al tempo che viene, io non so e vorrei, vorrei, non so stare fuori misura, fuori misura umana, fuori da questa taglia finita.

Io non so perché guardando l’acqua del mare mi salta al petto una gioia di figlio con la madre, non so se questa uscita mia in un secolo a caso, se questo essere qui a casaccio, io non so spiegarmi questa malattia all’attacco del mondo, non so guarire questa malattia che indolora e vorrei sistemare ogni cosa, in un sogno puerile di tregua, in un’arcadia anche retorica, in un dormire abbracciato dei guerrieri che si innamorano.

Io non ho capito e dovrei, non ho capito il mondo della vita, io non ho capito la legge sottostante e non ho da fare la consegna a questi eredi cuccioli che aspettano, che esigono da me l’aver capito.


Io non so la canzone che spensiera e non so soccorrervi non so pur volendolo con quella forza di cagna che dà il latte, non so soccorrervi nel vostro sbando, io non so farvi un canto della guarigione, non so farvi da balsamo io non so mettervi nel coraggio essenziale, nello slancio, nel palpito.

Il mio Graal l’ho ritrovato e perso cento volte.

Io non so se la bellezza è questa accademia di centimetri, se la bellezza, la bellezza è questa carnevalesca decadenza di saltimbanchi, io non mi spiego la crocifissione della grazia, e non mi spiego perché mi trovo qui, in questo covo rivoltato in questa fossa con gli orchi attuali in questo lato barbarico della specie, e non so perché stando ad occidente non si ode quell’alleluia delle cose. Io non so se in questa schiena


senza ali ci sono grandi pianure da cui fare il decollo, se in questa spina dorsale ci sono istruzioni per la manovra di decollo, se sono io la freccia di questo arco della schiena, se sono io arco e freccia, non so in quale mano non mano o zampa di Dio mi stanno torchiando, e sottoponendo al duro allenamento dei dolori terrestri.

Io non so se la solitudine, se quello strazio chiamato solitudine, se quell’andare via dei corpi cari, se quel restare soli dei vivi, io non so se quel lamento della solitudine, se quel portarci via le facce se quel loro sparire di facce che avevamo dentro il respiro, non so se il dono sia questo portarci via le carezze, questa slacciatura.

Ăˆ poco il poco che so e di questo poco io chiedo perdono. Io chiedo perdono per quello che so, perdono io chiedo per tutto quello che so.


Preghiera degli animali alla madre terra per ogni cucciolo d'uomo

Fa che non si facci uomo per intero, ma', che poi si inficca ne lo stretto del pensiero e si assepàra dalle zanne e dai peli e dalle nostre tane di silenzio. Non dargli voce, ma', fa che non parla fa che non costruisce le città fa che non dà i nomi a tutte cose, che sennò perde il regno, fa che i suoi piedi parlano a la terra e le sue mani a l'aria e nel sonno fatti maestra ancora con la tua voce vento tua musicata voce, ma'. Fa che non s'addimentica il tuo ridere, tuo fiorire, tuo scorrere, tuo far notte, tuo corpo stellato e corpo nuvolato e minerale corpo duro e vegetale sconosciuto corpo e tuo ombroso stare addistesa e e tuo gonfiore ne le maree e tuo


cascare con acqua con foglia tuo salire in ala e in stella e in fiamma abbruciare. Sconosciuta ma', noi ti sappiamo, tu ci respiri addentro il respiro tu ci dormi addentro il dormire e ti fai cibo per noi nutrire ti fai silenzio per noi morire. Bella, ma'. Tu sei bella.


da Senza polvere Senza peso



Volevo uccidere il serpente mi ha fermato la mano uno stupore di lingua levata come un’offesa. E’ caduta la pietra rotolando sul mio passo all’indietro tutto il cielo ha corso piÚ forte.

Tu manchi da questa camera e le cose non chiamano, oggi. Ho deciso che il tempo non passi. In tuo onore. Che non passi di qui e si fermi di sotto -dove gli uomini chiaccherano seduti barbaramente. Amore mio.

Con domande chiuse nel collo in un luogo senza ore. Disteso, dentro un grumo di vita, forato nel suo bene, quasi tondo nel suo galleggiare alla vita, buttarsi in lungo e in largo per quello scopo umano.


C’è troppo corpo, è troppo nel sangue. Non conosce la strada che smargina il colore dell’assenza dove cerchio nel cerchio il dormire è un intenso, una pista.

Un avamposto di pietra m’era cresciuto nel petto come dolore di un altro che s’infila e forma uncino e piccagli. Io non so cosa sia questa di colpo nostalgia questo pezzo mancante che mi reclama a sé da un umano piangere per niente e non avere dove posare il capo.


Confuso stato di tutte le armate del me disordine di questi miei fanti interiori e ussari e cavallerie che dentro mi scantonano il petto e tu torna al centro, cuore! mio generale kutuzov che raddrizzi le mie file sconvolte, che il mio inquieto inquieto stare qui diventi il placido di tutti i giardini. Fai bella stagione, ora.

Spargiti piccola esca di luce, abbocchiamo ai tuoi rami d’oro e siamo contenti. Viene una catena vile che ci fa piccoli domani il sangue sarà una pozza sotto la terra. Fermo dentro le vene, guastato, sarà guastato il sangue, ributtato nel gioco delle sostanze.


Gli altri sono troppi, per me. Ho un cuore eremita. Sono impastata di silenzio e di vento. Sono antica. Mi pento ogni volta che vado lontano dal mio stare lento nelle velocità della sera, nelle auto schizzate di pianto. Col loro buio abitacolo. E se sfreccio a volte sulla modesta moto, è per cantare a gola stesa l'ultimo del paradiso fare il mio guizza pericoloso con tutto quel vento nel petto seminare parole beate nel panorama nervoso.

Cambio le belle lenzuola di bianco tipo per bene, nessun increspo nĂŠ piega nessun millimetro pendente fuori dalla armonica stesura del bene. Qui dorme lei, qui lui. Si vede non so da cosa.


Qui lei e lui si scambiano segni evoluti della specie, accostano forma a forma mettono tutti i respiri in un posto, insieme, setacciano il mondo nella camera buia e l'ultimo che s'addormenta sente l'altro andare lontano, nel suo respiro di lottatore che ha mollato la presa.



da Paesaggio con fratello rotto



Amore mio, è difficile da questo fondo, da questo finale, dire come mi manchi, come immenso tu sei nel mancare, adesso che mi sono persa fra masse dure, fra cinghie di buio pesto, senza divinità, senza la tua mano che tutto sorregge. Tu mi credi più forte, mi pensi in oro e argento, ma guarda l’orma che lascio], come di cagna, di passero stanco, di bruco, di mosca. Non vedi? Non senti come mi spengo se non mi ami? Mi secco come una pianta.] Amami ancora un poco, con cura, con tempo, con attesa. Amami come amano i forti spiriti,] senza pretesa, con fuoco generoso, con festa, senza ragionamento. E scusa, scusa, scusa, questo mio domandare ciò che si deve dare, questo avere bisogno, scusalo. Non è degno del patto che lega la rondine al suo volo,] la rosa al suo profumo, il vino al suo colore, il tuo cuore al mio cuore.


Macellaio

Madre, sono il tuo figlio più brutto Più sporco, più rotto. Ho vergogna, madre. Ho dolore, ho paura. Non riesco ad essere migliore. Sono il tuo figlio carogna. Sono il tuo figlio peggiore. Sono il tuo figlio più malato, madre, sono la bestia senza pietà sono io lo sgorbio de la creazione, lo sputo, il frutto guasto, la macchia sul quadro perfetto, il tarlo, l’osso rotto, l’intoppo. Tutto il resto ride.

(…)

Sono io la bufera che rovina, sono la spina, il buco, l’inciampo.

(…)


Ragazzo cane

Chi affoga là dentro? Chi non ce la fa? Stenditi bestia rotta. Senti per bene il dolore quel suo respiro poggiato su un buco. Dormi bestia zoppa, o muori, forse.

Poi passa. Poi passa. Poi passa. Poi passa. Poi passa. Poi passa. Non senti dentro te la gran festa del sangue?

Hai più tempesta nel polmone Di tutte le flotte in mare aperto Hai tenebre così fonde e péste Hai notti così immense dentro, prigioni non visitate dall’Onu torture e bastonate. Dentro. Hai notti così lunghe e mattine opache, nebbie e penombre. (…)


I due siamesi

C’è qualcosa in me più vecchio di me intravisto nell’attimo della rovina, ai bordi del mio sbando, proprio sull’orlo, e nella gioia piena, mia antichità serena ti offro ciò che di me non dura ciò che il dente del tempo divora nel setaccio dell’anno e dell’ora.

Un me in me più vecchio di me sgorga da quello ogni parola che non si consuma.

C’è in me qualcosa che simiglia somiglia al fondo di ogni cosa.


da Bestia di gioia



“Naturale sconosciuto”

Tutto davanti al volto si rivolta nulla sta fermo nella rotazione. Il moto della terra avvicenda le vite alle vite, sbenda il pulcino dal suo guscio e lo conduce becchettando fino alla sua forma piena fino alla matrice, alla riproduzione fino al rosso vivo della cresta.

Da “Un niente più grande”

La bambina è rimasta con me. Non è mai nata. Si sbilancia fra i miei precipizi ride forte e lenta dorme e forte resta resta sempre. Col suo cuore


che fa cuore col mio. La bambina di sole azzurrina.

Da “Sponde degli insonni” E’ venuto un sonno benedetto e mi ha stretto nel suo respiro mollato. Mi ha condotto insieme a tutti i dormienti nel posto di buio immacolato. Come dormivo bene questa notte! come ristorato il corpo ride al normale mattino che a me pare un tale paradiso. Per questa gioia è valso non dormire.


Da “Per solitario andare”

Cadono comandate le pigne. Sopra tutto si gingilla il tempo. Cadono le aghe dei pini quando è ora. C’è obbedienza nel regno. Uova schiudono piccole piume ordinatamente il bruco penetra nell’invitante polpa. Circola un bene spintona o trattiene in volo alto sostiene anche noi siamo parte.

Da “Mio vero”

Sii dolce con me. Sii gentile. E’ breve il tempo che resta. Poi saremo scie luminosissime.


E quanta nostalgia avremo dell’umano. Come ora ne abbiamo dell’infinità. Ma non avremo le mani. Non potremo fare carezze con le mani. E nemmeno guance da sfiorare leggere. Una nostalgia d’imperfetto ci gonfierà i fotoni lucenti. Sii dolce con me. Maneggiami con cura. Abbi la cautela dei cristalli con me e anche con te. Quello che siamo è prezioso più dell’opera blindata nei sotterranei e affettivo e fragile. La vita ha bisogno di un corpo per essere e tu sii dolce con ogni corpo. Tocca leggermente leggermente poggia il tuo piede e abbi cura di ogni meccanismo di volo di ogni guizzo e volteggio e maturazione e radice e scorrere d’acqua e scatto


e becchettio e schiudersi o svanire di foglie fino al fenomeno della fioritura, fino al pezzo di carne sulla tavola che è corpo mangiabile per il mio ardore d’essere qui. Ringraziamo. Ogni tanto. Sia placido questo nostro esserci – questo essere corpi scelti per l’incastro dei compagni d’amore.



Mariangela Gualtieri è nata a Cesena, in Romagna, nel 1951. Si è laureata in architettura all’IUAV di Venezia. Nel 1983 ha fondato, insieme a Cesare Ronconi, il Teatro Valdoca, di cui è drammarturga. Fra i testi pubblicati: Antenata (ed. Crocetti, Milano 1992), Ossicine (1994), Fuoco Centrale (ed. I Quaderni del Battello Ebbro, Bologna 1995), Nessuno ma tornano (Centro Editoriale Università degli Studi della Calabria, Cosenza 1995), Sue Dimore (ed.Palazzo dell’Esposizioni di Roma, Roma 1996), Nei Leoni e nei Lupi (ed. I Quaderni del Battello Ebbro, Bologna 1996), Parsifal (ed. Teatro Valdoca, Cesena 1999), Chioma (ed. Teatro Valdoca, Cesena 2000), FUOCO CENTRALE e altre poesie per il teatro, (Giulio Einaudi ed. Torino 2003), Donna che non impara (Galleria Emilio Mazzoli, Modena 2003), Senza polvere senza peso (Giulio Einaudi ed. Torino 2006), Sermone ai cuccioli della mia specie (l’arboreto Edizioni, Mondaino 2006), Bestia di gioia (Einaudi, Torino 2010).



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