Polizia Penitenziaria - Dicembre 2009 - n. 168

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Anno XVI - n. 168 Dicembre 2009

Nasce il blog della rivista: Sotto l’albero di Natale poliziapenitenziaria.net



Organo Ufficiale Nazionale del S.A.P.Pe. Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria

La Copertina I nostri auguri ai lettori

ANNO XVI Numero 168 Dicembre 2009

L’EDITORIALE Basta con questo massacro mediatico

Direttore Responsabile Donato Capece

di Donato Capece

capece@sappe.it

IL PULPITO Sotto l’albero il Blog della Rivista

Direttore Editoriale Giovanni Battista De Blasis

di Giovanni Battista De Blasis

deblasis@sappe.it

Direttore Organizzativo Moraldo Adolini

IL COMMENTO Ripensare il carcere? Forse si può

Capo Redattore Roberto Martinelli

di Roberto Martinelli

Comitato di Redazione Nicola Caserta Umberto Vitale

L’OSSERVATORIO POLITICO Emergenza carcere

Redazione Politica Giovanni Battista Durante

di Giovanni Battista Durante

Redazione Sportiva Lara Liotta Progetto Grafico e impaginazione © Mario Caputi (art director) Direzione e Redazione Centrale Via Trionfale, 79/A 00136 Roma tel. 06.3975901 r.a. fax 06.39733669 E-mail: rivista@sappe.it Sito Web: www.sappe.it

NON SOLO SPORT Alessandro e il calcio di Lara Liotta

LE FIAMME AZZURRE La tassa sulla speranza di vita a cura di Lionello Pascone

SAPPEINFORMA A Rimini il Salone della Giustizia

Le Segreterie Regionali del Sappe, sono sede delle Redazioni Regionali di: “Polizia Penitenziaria -

Società Giustizia & Sicurezza” Registrazione Tribunale di Roma n. 330 del 18.7.1994 Stampa Romana Editrice s.r.l. Via dell’Enopolio, 37 00030 S. Cesareo (Roma) Finito di stampare: Dicembre 2009

Per ulteriori approfondimenti visita il sito www. poliziapenitenziaria.net CHI VUOLE RICEVERE LA RIVISTA DIRETTAMENTE AL PROPRIO DOMICILIO, PUO’ VERSARE UN CONTRIBUTO DI SPEDIZIONE PARI A 20,00 EURO, SE ISCRITTO SAPPE, OPPURE DI 30,00 EURO SE NON ISCRITTO.

Questo Periodico è associato alla Unione Stampa Periodica Italiana Il S.A.P.Pe. è il sindacato più rappresentativo del Corpo di Polizia Penitenziaria

L’IMPORTO VA VERSATO SUL C. C. POSTALE N. INTESTATO A: POLIZIA PENITENZIARIA - Società Giustizia & Sicurezza

54789003

Via Trionfale, 79/A - 00136 Roma indicando l’indirizzo dove va spedita la rivista

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Donato Capece Segretario Generale Sappe capece@sappe.it Direttore Responsabile

Basta col massacro mediatico della Polizia penitenziaria n queste ultime settimane, la Polizia penitenziaria è stata messa in croce con illazioni inaccettabili circa il ruolo che svolge nei penitenziari italiani. La miglior risposta a queste false, ingrate e ingiuste accuse sono i quotidiani gesti eroici che compie il nostro Personale, ed il comportamento che assume in rappresentanza dello Stato. Gesti e comportamenti che avvengono quasi sempre nel totale silenzio degli organi di informazione. Merita allora il massimo risalto mediatico quanto avvenuto a Palmi (RC), con tre agenti feriti per aver sventato un tentativo di evasione. I nostri Agenti, fatti oggetto anche di colpi d’arma, sono riusciti con grande professionalità a sventare l’evasione di due pericolosi detenuti che hanno riportato immediatamente in carcere. A loro, e a tutto il Reparto di Polizia penitenziaria di Palmi, il SAPPe ha espresso l’incondizionata solidarietà e vicinanza del primo e più rappresentativo Sindacato del Corpo.

Giornali impilati

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Non possiamo non pensare che anche questo grave episodio possa essere stato il frutto del clima di tensione che si registra nelle carceri italiane, in cui l’esplosiva combinazione tra il grave sovraffollamento pari a circa 66mila detenuti e una carenza di 5.000 unità negli organici della Polizia penitenziaria determina di fatto livelli di sicurezza assolutamente insufficienti per i nostri Agenti, specie per coloro che lavorano ogni giorno, ogni ora, nella prima linea delle sezioni detentive, nelle traduzioni e nei piantonamenti. L’eroico gesto dei nostri valorosi Agenti, che hanno impedito l’evasione dei detenuti, dimostra una volta di più, specie in questo periodo in cui la Polizia Penitenziaria subisce critiche false, gratuite ed ingiuste, la grande professionalità, il senso del dovere e lo sprezzo del pericolo dei Baschi Azzurri, fedeli rappresentati dello Stato democratico nel difficile contesto penitenziario italiano. Altrettanta visibilità merita la notizia che Antonio Panico, capo dell’omonimo clan camorristico, detenuto in regime di 41 bis (il cosiddetto carcere duro) nel penitenziario romano di Rebibbia, è stato salvato dagli uomini dalla Polizia Penitenziaria da un tentativo di suicidio. E’ stato proprio il tempestivo intervento degli agenti penitenziari a salvare la vita a Panico. I poliziotti e le poliziotte penitenziarie nel solo 2008 sono intervenuti tempestivamente in carcere salvando la vita ai 683 detenuti che hanno tentato di suicidarsi ed impedendo che i 4.928 atti di autolesionismo posti in essere da altrettanti ristretti potessero degenerare ed ulteriori avere gravi conseguenze. Sono persone che nelle carceri italiane subiscono con drammatica sistematicità, nell’indifferenza dell’opinione pubblica, della classe politica ed istitu-

zionale, continue aggressioni da una parte di popolazione detenuta aggressiva e violenta. Nessuno, però, mette in evidenza questi nobili gesti delle donne e degli uomini della Polizia penitenziaria. Lo facciamo noi, come primo e più rappresentativo Sindacato della Polizia Penitenziaria, da sempre in prima linea per valorizzare l’importanza del nostro duro e difficile lavoro, a tutela dell’onorabilità del Corpo e di tutti i suoi appartenenti. Abbiamo chiesto di attivare tavoli politici e tecnici per trovare, insieme, soluzioni al grave problema del sovraffollamento penitenziario. Come sindacato abbiamo l’obbligo istituzionale di svolgere un’opera di controllo sulle questioni che ledono i diritti dei nostri iscritti e abbiamo l’obbligo morale di perseguire un’attività di proposta e di indirizzo sulle problematiche penitenziarie, seguendo le indicazioni che sono frutto della nostra ventennale esperienza sul campo. Per questo auspichiamo che si attivi presso il ministero della Giustizia un tavolo tecnico sulle criticità penitenziarie, presieduto dal ministro Alfano. Il grave momento di crisi che ricade per ora unicamente sui trentottomila Agenti e sulle loro famiglie ci impone di trovare e discutere su soluzioni che possano essere comprese e condivise dai cittadini e fatte proprie dal Governo. E noi vogliamo fare la nostra parte. Chiediamo quindi di aprire da subito questo tavolo di trattativa tecnica con il ministro Alfano e le altre realtà sociali che operano negli istituti penitenziari, per trovare insieme delle soluzioni condivise tese a risolvere il grave momento di crisi che il settore penitenziario sta vivendo e che principalmente la Polizia Penitenziaria sta fronteggiando e pagando in termini di condizioni di lavoro gravose e particolarmente stressanti. ✦

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Giovanni Battista De Blasis Segretario Generale Aggiunto Sappe deblasis@sappe.it Direttore Editoriale

Sotto l’albero di Natale quest’anno i nostri lettori troveranno il BLOG della rivista così... dopo un lungo periodo di gestazione e dopo una lunga sosta sul sito del Sappe che ne ha ospitato la versione pdf on line, ecco che, finalmente, sbarca sul web il blog della Rivista Polizia Penitenziaria - Società, Giustizia & Sicurezza. Non vi nascondo che la realizzazione del sito www.poliziapenitenziaria.net ha comportato un grosso impegno da parte di tutti noi, soprattutto per lo staff tecnico. Ma non potevamo sottrarci a questa sfida. Tutti i nostri sforzi sono stati ripagati dalla soddisfazione di vedere, finalmente, on line la versione telematica della gloriosa Rivista del Sappe che, alla veneranda età di diciassette anni, apre un collegamento virtuale con tutto il mondo. Il blog poliziapenitenziaria.net, ovviamente, intende solamente affiancare la Rivista cartacea, che continuerà ad essere pubblicata e distribuita ai suoi lettori con lo stesso numero di copie e la stessa linea editoriale, con l’ intento di raggiungere un nuovo target editoriale ed allargare, così, il numero dei suoi lettori. Ciò nondimeno, il Blog della Rivista avrà - anche - una vita propria, una propria redazione e, soprattutto, una propria versione (ulteriore rispetto a quella cartacea) dove saranno pubblicati altri articoli con periodicità quotidiana, all’interno di proprie rubriche e di propri editoriali. Il nostro ambizioso obiettivo è quello di diventare, anche nel web, un riferimento editoriale per tutti gli iscritti al Sappe, ma anche per tutti i colleghi della polizia penitenziaria, che cercano un informazione libera, attendibile ed autorevole così come quella che da quasi diciassette anni offre il mensile di riferimento. In altre parole, con il blog poliziapenitenziaria.net, vorremmo completare il

network mediatico del Sappe chiudendo, con un mezzo di informazione quotidiano, il circolo virtuoso composto dalla Rivista mensile (Polizia Penitenziaria Società Giustizia e Sicurezza) e dall’Agenzia di Stampa settimanale (Sappeinforma). Nessun timore per gli affezionati lettori di questa Rivista: non abbiamo alcuna intenzione di disimpegnarci nella sua realizzazione. Resta intatta la redazione di Polizia Penitenziaria - SG&S, sono confermati tutti i suoi collaboratori e rimangono inalterati tutti gli appuntamenti editoriali.

Ogni mese, così come è stato dal dicembre 1994, continueranno ad essere distribuite in tutta Italia le ottomila copie della Rivista. Da questo Natale, però, avremo un nuovo strumento di informazione, una pagina web nella quale (a fianco della versione telematica della Rivista) leggeremo tante altre notizie, arricchite dai commenti dei lettori. Inevitabilmente, e come sempre, sarà il gradimento dei lettori a decretare la bontà del nostro lavoro. Auguri a tutti noi. ✦

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La home page di www. polizia penitenziaria .net

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Roberto Martinelli Segretario Generale Aggiunto Sappe martinelli@sappe.it Capo Redattore

Ripensare il carcere? Forse si puo’...

Nella foto, detenuti in cella

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asta leggere alcune cifre relative alla situazione delle carceri italiane per rendersi conto della situazione in cui esse si trovano: a fronte di una capienza complessiva di poco superiore ai 42mila posti, oggi , nei 206 penitenziari italiani, ci sono circa 66mila detenuti, più di 24mila dei quali (il 37% dei presenti) sono stranieri. Tutto ciò viene ormai comunemente riassunto con la parola “sovraffollamento” ed è un termine talmente inflazionato che questi numeri non fanno più notizia. Per noi del SAPPE invece, il Sindacato più rappresentativo della Polizia Penitenziaria, si tratta di condizioni di lavoro e di vita impossibili da sostenere per i poliziotti penitenziari e, oltre al danno di cercare di lavorare in simili condizioni, si aggiunge l’ulteriore danno di essere considerati – come conseguenza di una inaccettabile campagna mediatica di linciaggio e massacro all’onorabilità del Corpo - la causa del problema, visto che ormai l’attenzione si è spostata su presunti - ripetiamo, presunti! - abusi da parte di singoli poliziotti. Gli appartenenti alla Polizia Penitenziaria sono i primi, e finora unici, rappresentanti dello Stato che stanno subendo le conseguenze di comportamenti isterici di politici dell’opposizione come della maggioranza parlamentare, che lanciano slogan al proprio elettorato di riferimento proponendo un giorno maggiore sicurezza e un altro giorno maggiori diritti per le persone detenute. Tutto ciò è semplicemente disonesto nei confronti del proprio mandato istituzionale e nei confronti della Polizia Penitenziaria che, 24 ore su 24 per 365 giorni l’anno, deve rimediare alle inca-

pacità della politica di fronteggiare questa situazione. Non è onesto partecipare in massa a passerelle mediatiche a Ferragosto in visita nelle carceri per poi arrivare a Natale e scaricare sulla Polizia Penitenziaria le colpe di fatti che traggono le loro origini da una mancanza di capacità, soprattutto politiche, di fronteggiare questa situazione al collasso che noi del SAPPE avevamo ampiamente previsto più di tre anni fa, nei giorni immediatamente successivi all’approvazione dell’indulto del 2006. E’ ora che la si smetta di innescare isterismi collettivi nei confronti dell’opinione pubblica che, guarda caso, non viene invece informata della reale situazione in cui sono costretti a lavorare migliaia di poliziotti penitenziari. Sarebbe ora che Parlamento e Governo adottino rapidamente alcune soluzioni legislative concrete per ridurre il sovraffollamento delle carceri e rendere la pena nel contempo afflittiva e improntata alla rieducazione. I mali del sistema carcere sono, da anni, sempre gli stessi: sovraffollamento di detenuti, carenza di personale di Polizia Pe-

nitenziaria e del Comparto ministeri, caserme del personale e strutture penitenziarie spesso fatiscenti e che cadono letteralmente a pezzi, mense di servizio del tutto scadenti sotto il profilo qualitativo e quantitativo, benessere (sic!) del personale inesistente, stipendi inadeguati al costo della vita (specie per chi lavora in carceri del Nord Italia). Da tempo immemore il SAPPE sostiene l’esigenza di definire i circuiti penitenziari differenziati in relazione alla gravità dei reati commessi, con particolare riferimento al bisogno di destinare, a soggetti di scarsa pericolosità, specifici circuiti di custodia attenuata e potenziando il ricorso alle misure alternative alla detenzione per la punibilità dei fatti che non manifestano pericolosità sociale. E i detenuti stranieri dovrebbero scontare la pena nelle carceri dei Paesi di provenienza, non Italia! Ma si deve anche introdurre il lavoro obbligatorio per i detenuti. Oggi sono pochissimi i carcerati che lavorano nei penitenziari e, se è vero – come è vero che il lavoro è potenzialmente determinante per il trattamento rieducativo dei detenuti (perché li terrebbe impiegati

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per l’intero arco della giornata durante la detenzione - ore che oggi passano nell’ozio quasi assoluto -; perché permetterebbe loro di acquisire un’esperienza lavorativa utile fuori dalla galera, una volta scontata la pena), perché non provare a percorrere anche questa strada? Circa la loro retribuzione, poi, il 50 per cento verrebbe assegnato all’interessato (che contribuirebbe così anche a sostenere una parte dei costi che la collettività sostiene per la sua detenzione) e l’altro 50 per cento destinato ad un fondo istituito dallo Stato per le “vittime della criminalità”. Sono positive le recenti iniziative dell’Amministrazione Penitenziaria che, nel quadro degli scopi trattamentali previsti dall’Ordinamento Penitenziario, ha da tempo intrapreso una serie di progetti sperimentali volti a favorire il reinserimento socio-lavorativo di soggetti in espiazione di pena mediante la partecipazione responsabile e consapevole in progetti di recupero del patrimonio ambientale e lavori di pubblica utilità. Grazie alla collaborazione intrapresa con il Comune di Roma ed A.M.A. S.p.A. sfociata nella sigla del protocollo d’intesa del 5 agosto 2009, è stata realizzata una grande operazione di pulizia straordinaria in cui venti detenuti ristretti presso la Casa di Reclusione di Roma Rebibbia hanno contribuito al ripristino di aree degradate della Capitale. Questa positiva esperienza è stata replicata nella giornata dell’8 dicembre scorso, con il coinvolgimento di un più consistente numero di detenuti in espiazione di pena (47 uomini della Casa di reclusione e 10 donne della Casa circondariale femminile degli Istituti penitenziari di Roma Rebibbia), che fin dalle prime ore del mattino sono stati impegnati in attività di recupero del patrimonio ambientale nei siti dei Fori Imperiali e del Parco della Caffarella. Certo, il numero dei detenuti coinvolti è sicuramente troppo esiguo ma per i positivi risultati finora conseguiti, sia sul

parole non servono a nulla: sono necessari atti concreti ed efficaci. E il mio augurio è che quando si parla di carcere non ci si occupi solo della condizione dei detenuti. E’ soprattutto necessario avere maggiore attenzione politica e sociale anche e soprattutto per chi lavora in carceri ancora fatiscenti e sovraffollati, spesso

piano trattamentale che nei confronti della cittadinanza che ha visto attivamente impegnati in lavori di pubblica utilità coloro che hanno commesso un reato, è certamente utile, anche per il futuro, indirizzare ogni sforzo al fine di dare continuità ed operatività ad analoghi progetti ed anzi, come accennavo prima, ad auspicare l’obbligatorietà del lavoro per tutti i detenuti. Sul carcere, insomma, è davvero il momento di passare dalle parole ai fatti. Le

lontani centinaia di chilometri dal proprio luogo d’origine e dai propri familiari; per chi vive in caserme ancora troppo spesso malsane e deprimenti; per chi non ha in Istituto neppure una sala bar dove poter consumare un caffè che non sia quello surrogato delle macchinette; per chi quando va a pranzo o a cena nelle mense di servizio si trova davanti solamente un piatto di pasta scondita ed una scatoletta di tonno; per chi deve indossare una la stessa divisa tre o quattro anni perché non ce ne sono altre; per chi si sente troppo spesso abbandonato al proprio destino; per chi oggi si sente linciato e massacrato mediamente per colpa di una certa informazione irresponsabile. E’ necessario avere maggiore attenzione per le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria, come sempre impegnati – 365 giorni all’anno, 24 ore al giorno – a rappresentare lo Stato e le sue leggi nel difficile mondo carcerario. ✦

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Apertura di un cancello

Agenti di Polizia Penitenziaria schierati

L’emiciclo parlamentare

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Giovanni Battista Durante Segretario Generale Aggiunto Sappe durante@sappe.it Responsabile redazione politica

Emergenza Carcere meeting a Bologna dei Commissari della Polizia Penitenziaria

Sopra, il tavolo della Presidenza del Meeting di Bologna sotto a destra, l’intervento di Giovanni Battista Durante

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ei giorni 27 e 28 novembre si è svolto a Bologna il terzo meeting nazionale dei commissari della polizia penitenziaria. Il 27 novembre si è tenuto un convegno dal tema EMERGENZA CARCERE: LA NECESSITA' DI RIPENSARE IL SISTEMA. Il tema del convegno pone all'attenzione dell'amministrazione e, più in generale, del mondo politico, il ruolo guida che i commissari del Corpo di polizia penitenziaria si prefiggono di svolgere in futuro, nell'ambito dell'amministrazione penitenziaria e non solo. Non può, infatti, sottacersi che questo evento ha segnato una svolta storica nell'ambito dell'amministrazione penitenziaria, dove non si era mai verificato che una parte del Corpo, una categoria, un ruolo, indicasse tra le sue aspirazioni principali quella di individuare delle soluzioni percorribili per migliorare un'organizzazione, un sistema, quello in cui sono inseriti e da cui dipendono, afflitta/o da gravi problemi. Neppure la stessa amministrazione penitenziaria, nella sua massima espressione,

né, tanto meno, quei dirigenti che da anni sbandierano la loro appartenenza ad un ruolo guida che in realtà non hanno mai saputo interpretare appieno, se non per ottenere esclusivamente benefici economici e di carriera, hanno mai assunto iniziative così importanti e futuristiche. Non possiamo che esprimere un grande plauso ai commissari della polizia penitenziaria, di cui mi onoro di far parte, per l'importante iniziativa. Ora, è opportuno che l'amministrazione penitenziaria dia ai commissari gli strumenti operativi necessari, a cominciare dal riallineamento che, così come il Sappe ha evidenziato nel corso del convegno, deve tenere anche conto delle sperequazioni esistenti nei ruoli sovrintendenti e ispettori. Al convegno sono intervenute importanti personalità del mondo accademico, culturale e sociale, nonché autorevoli esponenti del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, come il consigliere Riccardo Turrini Vita, direttore generale dell'esecuzione penale esterna e il dott Massimo De Pascalis, direttore generale del personale e della for-

mazione. Sono, altresì, intervenuti l'onorevole Luigi Vitali e il Senatore Filippo Berselli, presidente della commissione giustizia del Senato. Sono personalmente intervenuto al meeting, sia come funzionario del Corpo, sia in rappresentanza del Sappe, su delega del segretario generale, impegnato in un'altra iniziativa. Sono stati affrontati i vari aspetti che hanno determinato la crisi del sistema penitenziario e le possibili soluzioni. Per quanto ci riguarda noi del Sappe abbiamo espresso alcune considerazioni che sintetizzo di seguito. Per capire che siamo in una situazione di emergenza basta guardare i numeri. A gennaio 2009 i detenuti erano 39.156, a novembre sono arrivati a 65.702. L'organico della polizia penitenziaria a gennaio era di 39.156, a inizio novembre è arrivato a 38.604. Quindi, mentre i detenuti sono aumentati di 6.642 unità in undici mesi, la polizia penitenziaria è diminuita di 552 unità nello stesso arco di tempo. Il trend di crescita è di 670 detenuti ogni mese, con un incremento dell'11%. Gli istituti sovraffollati sono 177 sui 205 esistenti. Gli stranieri sono 24.326, quindi, il 37% come media nazionale, mentre al

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Nord la percentuale arriva anche a raddoppiare in alcune realtà. Circa 5.000 detenuti stranieri sono nella condizione di poter essere espulsi, ma continuano a rimanere nelle carceri italiane. Circa i due terzi dei detenuti sono in attesa di giudizio. Al Nord, circa la metà sono in carcere per reati connessi all'uso e/o allo spaccio di sostanze stupefacenti. Nel carcere di Ferrara addirittura i tre quinti sono detenuti per questo tipo di reati. Negli ultimi 10 anni sono morti circa 1.500 detenuti, molti dei quali si sono suicidati. Nello stesso periodo si sono suicidati circa 70 appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria. Tanti altri chiedono il pensionamento anticipato per patologie causate dallo stress psico fisico. Questi dati ci devono far riflettere ma, soprattutto, ci confermano che se siamo in una situazione di emergenza lo dobbiamo al fatto che nel corso degli ultimi anni i problemi del carcere sono stati trascurati da tutti i governi che si sono succeduti. Spesso si pensa di risolvere i problemi della sicurezza solo attraverso l'uso del carcere. Si invoca la certezza della pena per dire che coloro che vengono condannati ad una pena detentiva devono scontare l'intero periodo in carcere, confondendo la certezza della pena con la rigidità della stessa. Noi viviamo in un sistema caratterizzato dal principio della flessibilità della pena. Lo ha detto chiaramente la Corte costituzionale con una ormai famosa sentenza del 1974, quando, pronunciandosi sulla legittimità costituzionale della previsione dell'ergastolo nel nostro ordinamento, ha statuito che tale previsione era ed è legittima, proprio in virtù del fatto che il nostro ordinamento, attraverso il principio della flessibilità della pena, ed a ciò si giunge attraverso l'interpretazione del combinato disposto dei commi 1 e 3 dell'articolo 27 della Costituzione, consente anche al condannato all'ergastolo di poter uscire, a certe condizioni, dopo aver espiato 26 anni di reclusione (si veda l'istituto della liberazione condizione). Quindi, se nel nostro ordinamento vige ancora l'ergastolo e possiamo tenere in

carcere a vita gente come Totò Riina ed altri della sua specie, ciò è dovuto proprio al fatto che esiste il principio di flessibilità della pena. Cosa deve intendersi, allora, per certezza della pena, posto che nel nostro ordinamento vige il principio di flessibilità? Oggi, in Italia, solo l'uno per cento di coloro che commettono dei reati vengono assicurati alla giustizia, nel senso che vengono individuati, arrestati e condannati. Qualche volta, anche se condannati, non riusciamo neanche a fargli scontare la pena, come è avvenuto nel caso di Cesare Battisti. E' questo che rende insicuri i cittadini e inefficiente l'intero sistema della sicurezza, le cui agenzie non riescono a garantire appieno il controllo dei fenomeni criminali, per ragioni che non possiamo indagare in questa sede. E' questo che rende, invece, più sicuri i criminali che delinquono con la consapevolezza di restare impuniti nel novantanove per cento dei casi. Bisogna dire, egoisticamente, che l'inefficienza del sistema aiuta non poco il carcere, perché se il numero dei condannati passasse dall'uno al due per cento avremmo una popolazione carceraria di oltre 130.000 detenuti. Quindi, la sicurezza dei cittadini non si può garantire attraverso la rigidità della pena, così come intesa dai più, ma attraverso la certezza della pena, intesa come capacità dello Stato di assicurare alla giustizia un numero sempre maggiore di persone che delinquono, così come la

sicurezza dei cittadini non si può garantire limitando le misure alternative alla detenzione, perché è statisticamente dimostrato che il settanta per cento di coloro che passano attraverso le misure alternative non delinquono più, mentre per coloro che hanno un impatto immediato con la società esterna, senza passare attraverso il filtro delle misure alternative, la percentuale si inverte: il settanta per cento torna a delinquere. Quindi, va bene costruire più istituti di pena, ma bisogna soprattutto ripensare l'intero sistema, prendendo magari ad esempio quello tedesco, dove il settanta per cento dei detenuti lavora e non esiste la giurisdizionalizzazione dell'esecuzione penale, poiché è il direttore, proveniente dalla carriera dei magistrati, insieme all'equipe di osservazione, che decide chi può essere ammesso ai benefici previsti dalla legge. Bisognerebbe proporre come misura alternativa il lavoro sostitutivo, nel senso che coloro che sono condannati a pene detentive brevi, due o tre anni, anziché restare in carcere possano scegliere di svolgere un lavoro socialmente utile presso enti o comunità, con una retribuzione non superiore al quaranta o cinquanta per cento di quella sindacale, in modo da risarcire le vittime del reato e lo Stato per il danno arrecato. In Germania i detenuti percepiscono poco più di un euro e cinquanta centesimi all'ora, perché il lavoro penitenziario rende molto di meno di quello svolto all'esterno. ✦

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l’attenta platea del Convegno

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Lara Liotta info@sappe.it Redazione sportiva

Una parentesi narrativa: la storia di Alessandro

L’attaccante e ...i difensori

Nelle foto immagini del racconto

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uella di Alessandro è una storia di sport e di vita. Talvolta quella vita, come quella di molta gente, è stata piena di mareggiate e di tempeste da affrontare. Durante le intemperie che lasciano dietro macerie non sempre il riparo che si trova dalla loro forza distruttrice riesce a far credere che ci si potrà rialzare indenni o che il sole tornerà a sorgere di nuovo. Ma l’uomo ha in sé una forza soprannaturale per riuscire a tornare a sperare. Se e quando la scopre può dire di essere realmente diventato grande, qualunque sia la sua età. Alessandro l’ha cercata in fondo al pozzo buio del suo cuore quella forza, ne ha fatto tesoro e ha ricominciato a vivere. In quel percorso comunque, non è stato solo. Qualcuno di quello Stato che non dovrebbe mai abbandonare i suoi cittadini nei momenti più bui, gli è stato vicino. Questa storia la cominceremo dalla fine. Era un giovanotto pieno di talento quando un’importante squadra di calcio delle serie maggiori lo chiamò a giocare in prima squadra. Aveva 18 anni ed il talento del predestinato: estro imprevedibile e creativo, dribbling brucianti, assist per tutti, tanta grinta e generosità. Se la squadra era in svantaggio era l’ultimo a smettere di correre, di sostenere ed incitare i compagni a non mollare fino al doppio fischio finale. Già da qualche tempo vari procuratori gli avevano messo gli occhi addosso per incassare i meriti delle sue prodezze portandoselo in qualche prestigioso club. Lui lo sapeva, ma al di là di qualunque più rosea prospettiva futura che certo, non poteva dispiacergli, quel pallone da prendere a calci era e restava soprattutto un bellissimo gioco. Da piccolo giocava con qualunque oggetto somigliasse ad una sfera: un sassolino, una palla da tennis, una palla di carta, tutto era buono per palleggiare e sognare di trovarsi in un grande stadio con i tifosi che acclamavano e gli striscioni a coprire le gradinate. Soprattutto quando la mamma, dopo l’ennesimo vetro rotto glielo toglieva per qualche tempo, non smetteva mai né i sogni né gli esercizi con quelle palle rimediate. Poi le prime sfide per strada, le partite con i fratelli più grandi che lo volevano sempre con loro e mai contro perché cominciava ad essere chiara la sua predisposizione al gol, e la scuola calcio che affinò, non costruì, quel talento che era solo suo.

Alla notizia che sarebbe andato via dal team della città in cui era nato e cresciuto, dispiacere e lacrime dei tifosi, ma c’era anche chi capiva che occasioni così importanti capitano poche volte nella vita e vanno colte al volo. Per questo a malincuore una parte della tifoseria accettava. Alessandro se ne andò dal suo ambiente lasciando in eredità ai compagni di squadra tanti gol, un fine stagione nella parte alta della classifica e un campionato da incorniciare. Enorme la festa di saluto per quel campione che iniziava altrove la rincorsa verso il grande salto che il calcio poteva rappresentare. Tanti abbracci, tante promesse di ritornare più bravo e più esperto di prima. Alessandro cambiò, maglia, cambiò città e cambiò amicizie. Non passò molto tempo da quando anche nel nuovo ambiente ci si accorse che era nato con la palla al piede. Segnava e divertiva: «Proprio una promessa mantenuta quel ragazzo», lo dicevano tutti. Poi, vuoi la lontananza, vuoi la malinconia di certi momenti, prese ad uscire spesso la sera coi nuovi compagni. Si divertiva come qualunque giovane poco più che maggiorenne: cinema, locali, discoteche o magari serate passate a cercare di avvicinare qualche ragazza dopo le cene nei bei ristoranti del centro. Tutto scorreva tranquillo tra allenamenti, partite ed uscite. Poi un giorno vide lei che rideva in mezzo al gruppetto delle sue amiche. Biondissima, occhi chiari, bel fisico e quel sorriso che incantava. Mai visto un sorriso e uno sguardo così. Alessandro chiese agli amici chi fosse quella creatura stupenda. Era della città, studiava all’università e aveva il massimo dei voti gli dissero. Doveva assolutamente conoscerla ed era così testardo che si poteva scommettere che ci sarebbe riuscito. Infatti ci riuscì. Settimane a sperare di incontrarla, ormai aveva capito orari e spostamenti di lei, e ogni volta che capitava o faceva in modo che capitasse, provava a farla ridere, a farle capire che esisteva e che voleva solo starle accanto come nessun’altra cosa al mondo. Giulia, così si chiamava, non era indifferente all’esuberanza e al fisico muscoloso di quel giovanotto. Andò pure a vederlo giocare in casa in una delle partite del campio-

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nato. Lui lo sapeva e la cercò con lo sguardo prima di cominciare. Nei 90 minuti segnò due gol da applauso e glieli dedicò correndo verso la tribuna e facendo il gesto del cuore che batte con la mano sotto la maglietta. Una settimana dopo i due iniziarono ad uscire regolarmente ed in città già si mormorava: «Si sono fidanzati». Erano felici, avevano una luce speciale negli occhi quando stavano insieme. Cominciarono a convivere dopo poco tempo e nulla ne scalfiva la chimica perfetta. Più il tempo passava più lui si attaccava a lei sentendosi meno di lei e diventandone geloso senza motivi apparenti. All’inizio solo tanti dubbi che Alessandro teneva per sé, poi, da quando lei usciva per andare all’università fino a quando non rientrava cominciò a non smettere mai di chiedersi dove fosse, con chi fosse, chi poteva esserci di interessante in quell’università. Lui si era fermato al diploma, e se a lei piacevano più colti gli uomini che bravi nello sport?. Ogni volta era un interrogatorio, un cercare di capire anche solo dallo sguardo o dai cambiamenti d’umore se fosse occupata da altri pensieri. Lei cercava di rassicurarlo in ogni modo ma non gli bastava mai che lei gli ribadisse che non aveva altri pensieri oltre a lui, a loro, alla vita che vivevano insieme. Se si spazientiva per i dubbi che lui puntualmente nutriva su qualsiasi cosa le facesse fuori dall’uscio, la discussione si accendeva di più perché, parole di Alessandro: «Chi non ha nulla da nascondere non perde la pazienza». Scenate e discussioni continue, oggetti che volavano e urla dal loro appartamento. Non era più lui, fuori e dentro il campo da calcio. Parlava e scherzava sempre meno con i compagni di squadra, non segnava più e sembrava che la sua aura dorata si fosse spenta come un fiammifero al vento. Nell’ambiente tanta preoccupazione. Nessuno dei suoi amici riusciva più a farlo tornare il ragazzo gioviale di una volta, a farlo parlare, o a ridonargli un minimo di tranquillità. Poi l’acme di quei sentimenti di gelosia esplose in una giornata che non ti aspetti da uno come lui. Una giornata maledetta in cui Giulia, usciva dalla casa di un’amica dove si era organizzato un gruppo di studio in vista degli imminenti esami. Stava parlando con un compagno di università chiudendosi la porta dello stabile alle spalle. Rideva e scherzava come Alessandro non le aveva più visto fare da tempo in sua compagnia. Alessandro la osservava da dentro alla sua macchina, l’aveva seguita saltando l’allenamento del pomeriggio senza avvisare né il mister né i compagni di dove si trovasse. Si era appostato per tre ore in attesa che uscisse svelando chissà quali segreti. Per lui quella era la conferma dei suoi dubbi, delle fondatezza di tutti i suoi sospetti. Prese dal cruscotto qualcosa comprata poco tempo prima. Uscì dalla macchina e non disse una parola. L’amico di Giulia non sapeva chi fosse quel tipo che gli veniva incontro ma qualcosa dovette capire dallo sguardo terrorizzato di lei. Una due, tre coltellate. Il corpo che cade, le urla di Giulia il sangue sulle mani e per terra a formare una pozza, la voglia di spegnere tutto e un primo barlume di lucidità che ritornava.

«Che ho fatto? che ho fatto?...» si chiedeva. Alessandro corse a piedi per una decina di minuti. Arrivò davanti ad un parco giochi col rimorso che gli attanagliava lo stomaco. Pianse e quando riuscì finalmente a parlare dopo tanti singhiozzi, telefonò alla stazione dei carabinieri. Disse di andarlo a prendere perché aveva ferito un uomo. Lo trovarono ancora su quel muretto quei militari increduli. In operazioni di servizio d’ordine allo stadio lo avevano visto segnare gol e gioire. Mentre fu condotto in caserma il suo presunto rivale in amore morì in ambulanza. La città e la società di calcio furono scosse dal dramma che intanto era rimbalzato fino dalle sue parti, a casa dei suoi e tra gli amici del paese natale. Per Alessandro si aprirono le porte del carcere ed iniziò lì una nuova vita, senza scarpini né pubblico, senza più il suo amore tormentato, né prospettive o idee di come farcela di nuovo a vivere con quell’omicidio, volontario e premeditato secondo il giudice, che sulla coscienza si faceva sempre più pesante ed insopportabile. Non dormì le prime notti. Glielo aveva predetto un vecchio lupo di cella che i primi mesi erano i più duri. Come stavano i suoi? Aveva fatto un gran disastro, aveva paura che non lo avrebbero mai perdonato, e aveva paura a restare dentro. Il carcere non l’aveva mai nemmeno considerato come una costruzione del reale fino a quel momento tanto gli era distante per prospettive e stile di vita. Temeva di trovarsi tra vecchi criminali incalliti pronti a fargli la pelle e temeva pure le divise della Polizia Penitenziaria. Fu accompagnato in cella da dei ragazzi pressappoco della sua età. Però non sembravano giudicarlo e guardarlo come si attendeva di meritare. Erano gentili nei modi. Provavano a tranquillizzarlo nei giorni più difficili, soprattutto perché quando la malinconia era troppa si rifiutava di mangiare. Probabilmente temevano potesse farsi del male gli psicologi. Lo capì da quanto spesso sorvegliavano quelle divise blu. Gli psicologi avevano ragione... Alessandro voleva poter sparire. Passò del tempo, che sembrava non fluire mai in cella. Si accorse che quel mondo che respirava tra il cemento ed il ferro era fatto di persone e che lui, tutta quell’umanità nascosta, l’aveva sempre ignorata fino a quel momento. Le diffidenze verso i baschi azzurri svanirono e addirittura, al riparo dalla riprovazione di quelli che erano fuori per ciò che aveva fatto, cominciò a sentirsi più al sicuro dentro che fuori. In cella ovviamente non trovò un criminale incallito come temeva, ma un trentenne con pochi precedenti ed una maxi rissa sulle spalle in cui alcuni si fecero male sul serio. Stava lì da qualche mese, non si comportava male nei suoi confronti e spesso si ritrovavano a parlare un po’ di tutto. Anche quella era una persona, lo comprese allora. Passavano i giorni, passarono i mesi e le stagioni. Alessandro collaborava in carcere guadagnando qualcosa per sé. La mamma ed il papà andavano spesso ai colloqui e gli dicevano di aver pazienza. Le lettere di Alessandro colmavano il vuoto di non poter vedere i fratelli più piccoli di lui. In una scrisse loro che cominciava ad abituarsi, che non era né vessato né umiliato.

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Dal 16 al 21 marzo Sestriere ospiterà per il quinto anno consecutivo le FIS POLICE SKI 2010, Campionati del Mondo di Sci dei Corpi di Polizia. Lo Sci Club Teamitalia, in collaborazione con Teamitalia, con il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero della Gioventù e del Comune di Sestriere, ha voluto riproporre sulle piste olimpiche della storica meta del turismo invernale la 14ª edizione di questa grande manifestazione internazionale interamente dedicata alle forze dell’ordine. La settimana dal 16 al 21 marzo 2010 sarà ricca di gare e riunirà i più importanti atleti dei Corpi di Polizia italiani e stranieri, insieme agli sportivi degli Sci Club pronti a sfidarsi sugli stessi tracciati nelle competizioni targate sia FISI che FIS. Dunque gli atleti italiani e stranieri della Finanza, dei Carabinieri, della Polizia di Stato, della Polizia Penitenziaria, dell’Aeronautica Militare, della Polizia Locale, della Polizia Provinciale, del Corpo Forestale, dei Vigili del Fuoco, dell’Esercito e degli Alpini potranno competere sulla pista Agnelli nelle gare di Slalom Gigante e Slalom Speciale per aggiudicarsi il titolo di campione del mondo di sci dei corpi di polizia. Il programma prevede Mercoledì 17 e giovedì 18 marzo, le gare di Slalom Gigante e Slalom Speciale femminile e maschile per l'assegnazione del titolo di Campione Italiano di Sci dei Corpi di Polizia e Campione di sci della Polizia Penitenziaria. L’evento sarà seguito dalla Rai con Paolo De Chiesa, ex campione della valanga azzurra, che sarà lo speaker d’eccezione. ✦

9^ world edition

FIS Police Ski 10

Il cibo non era quello del ristorante ma tutto sommato quelli del convento se la cavavano onestamente per come lo preparavano. Scrisse di sentirsi un ragazzo diverso, e che in ogni caso quell’esperienza dolorosa gli stava cominciando a riportare il senso delle cose, di sé stesso. «Al mattino battono i ferri, ci contano e ci ispezionano anche quando vorremmo dormire, però quando ho manifestato qualunque esigenza, non hanno mai mancato di provare a venirmi incontro. Voi non fate cretinate che dobbiate pagare come me e non preoccupatevi senza motivo per come sto, capito?» Anni dopo arrivò anche per lui il giorno del definitivo congedo dal mondo penitenziario. Riprese le sue poche cose, salutò un po’ di compagni di sventura e si avviò verso l’uscita accompagnato da due agenti in divisa. Da fuori al cancello, a metà percorso, intravide i suoi genitori, i suoi fratelli e si fermò all’istante. Erano cresciuti!. Iniziò a piangere a dirotto. Loro piangevano a loro volta osservandolo in lontananza. Un gruppetto di agenti andò incontro al ragazzo. Gli dissero di non farsi vedere così, che era tutto finito, che se ne doveva andare di corsa che non volevano mai più rivederlo da quelle parti. Lo accompagnarono fino all’ingresso. Da lì in poi ritornò tra le braccia dei familiari. Quella parentesi si era finalmente chiusa. Ora doveva inventarsi un nuovo modo per risorgere dalle sue ceneri ed andare avanti. La vita, nonostante tutto continuava a scorrere così come aveva continuato a fare mentre si trovava dentro e gli pareva di non poterla afferrare più. L’inizio di questa storia è fermo ad una mattina di fine estate, in un bar. Mentre un ragazzo serviva al banco un caffè ad un agente della Polizia Penitenziaria in divisa. Nel porgerglielo gli si velarono gli occhi. Quel ragazzo era Alessandro, nel suo nuovo impiego: non aveva mai più rivisto quella divisa blu dalla sua dipartita dal carcere e nel rivederla si commosse. «Voi siete stati i miei angeli...» e si mise a raccontare. Dai racconti in cui l’umanità della Polizia Penitenziaria viene fuori si smentisce il teatrino mediatico di chi vorrebbe credere e far credere che dietro alla divisa blu che compie con dedizione e responsabilità il servizio d’istituto si nasconda il lupo. Doverosa e giusta è la difesa dei baschi azzurri da parte di chi, dai sindacati ai vertici dell’Amministrazione Penitenziaria si impegna a tutelare l’onore e l’immagine del Corpo. Ma se questa tutela continuasse ad essere considerata un atto dovuto o un’azione condotta con spirito di crociata da una sola delle parti in causa, a beneficio della verità sarebbe utile, negli intermezzi del teatrino di cui sopra, dare altrettanto peso alle testimonianze di chi quell’umanità l’ha sperimentata di persona. I difensori difesi dunque anche da coloro che difendono? Alessandro, sebbene nato come attaccante di classe, ci direbbe di si, ne siamo certi. ✦

Bergamo: FIS POLICE SKI Mondiale di sci dei Corpi di Polizia

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Sestrière

16 - 21 marzo 2010


Il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria augura a tutti gli iscritti ai loro familiari e a tutti gli appartenenti al Corpo Buon Natale e

Felice Anno Nuovo

Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria


Lionello Pascone Coordinatore Nazionale Anppe Associazione Nazionale Polizia Penitenziaria

Le Pensioni del domani

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n relazione alle pensioni che percepiranno i nostri giovani, si riporta l’articolo del signor Marco Ruffolo, estremamente interessante, pubblicato di recente su un’altra rivista del Settore: Si potrebbe chiamare tassa sulla speranza di vita, Il fatto che gli italiani vivano più a lungo rispetto a quindici anni fa nasconde una contropartita che in pochi conoscono: la pensione sarà più bassa. Con buona pace di chi annuncia che il sistema previdenziale non sarà toccato. Tutto nasce da un semplice problema: vivere di più significa, a parità di condizioni, ricevere la pensione per un numero maggiore di anni, con un costo che lo Stato ritiene fin d’ora insostenibile. La soluzione trovata è aritmeticamente ineccepibile: l’assegno mensile non potrà più essere quello di prima, ma necessariamente più leggero. Lo Stato, invece di pagare poniamo 1.000 euro al mese per 19 anni (era la speranza di vita dei maschi ultrasessantenni una quindicina di anni fa), darà 905 euro al mese per 21 anni (speranza di vita attuale). E non è finita qui, perché ogni ulteriore aumento della vita media in futuro farà scattare di tre anni in tre anni un taglio della pensione. Insomma, campare di più non è un regalo ma ha un prezzo da pagare alla collettività. Non stiamo ovviamente parlando di quanti vanno in pensione adesso o ci stanno per andare: per loro l’assegno più o meno resta quello previsto. Stiamo parlando di tutti gli altri: i cinquantenni cui manca ancora una decina di anni, e soprattutto i giovani appena assunti o destinati ad esserlo, che si porranno subito una domanda: scegliendo di andare in pensione più tardi, si eviterà la decurtazione dell’assegno? Per i cinquantenni la risposta è “sì”, almeno in parte.

Per i giovani “no”. Tutto questo non è un progetto, è già deciso e scatterà dal primo gennaio 2010. Lo ha disposto la riforma Dini del ‘95, lo ha tradotto in cifre una legge del 2007, lo ha confermato l’attuale governo. Dunque, decisione assolutamente bipartisan. Il fatto che non se ne parli tanto è almeno in parte dovuto all’astruso titolo di questa norma, incomprensibile per i non addetti ai lavori: Revisione dei coefficienti di trasformazione. Si tratta di quei numeretti che moltiplicati per la totalità dei contributi versati danno come risultato la pensione dovuta a ciascun lavoratore. Ogni tre anni questi numeri andranno rivisti al ribasso man mano che crescerà la speranza di vita. Primo taglio a gennaio, dopo un lungo rimpallo tra i governi succedutisi dopo Dini. Ma lasciamo parlare i dati, cominciando dalla situazione del lavoratore dipendente cinquantenne (diciamo 52), assunto nel 1985. Immaginiamo che voglia andare in pensione nel 2020 all’età minima consentita: 62 anni e 35 di contributi. Se non fosse introdotta la nuova tassa sulla speranza di vita prenderebbe il 62 per cento dello stipendio. Con la penalizzazione avrà invece il 58,5%. Per continuare a prendere il 62%, dovrà aspettare tre anni, fino al sessantacinquesimo anno di età. Se invece il lavoratore aveva deciso in ogni caso di andare in pensione a 65 anni, perderà quattro punti percentuali del proprio stipendio: circa 80 euro al mese su uno stipendio di 2.000 euro. Prendiamo ora un giovane ventisettenne che dopo un lungo precariato sta finalmente per essere assunto all’inizio del prossimo anno. Nel 2045 avrà 62 anni e 35 anni di contributi (di più non è riuscito ad accumularne). Lasciando il lavoro a quell’età, se non venisse introdotta

la nuova tassa sulla speranza di vita, avrebbe un assegno pari al 60 per cento del proprio stipendio. Con la tassa, otterrà solo poco più del 52%. Se invece decidesse di rinviare il pensionamento fino al sessantacinquesimo compleanno, otterrebbe il 57 per cento, ossia recupererebbe qualcosa ma perderebbe comunque tre punti percentuali del proprio stipendio. Una stangata anche maggiore subirebbe chi avesse fin dall’inizio progettato di andare in pensione a 65 anni: perdita secca di nove punti, che, per uno stipendio di 2.000 euro, equivale a quasi 200 euro al mese in meno. Tutto chiaro. Ma resta un dubbio, anzi due. Finora ci hanno ripetuto fino alla nausea che per salvare il sistema previdenziale è necessario innalzare l’età pensionistica, anche più di quanto già previsto. E ora scopriamo che per tutti i giovani lavoratori e i futuri assunti, rinviare l’addio al lavoro non servirà affatto a evitare un taglio dell’assegno. Ci si aspetterebbe che il sacrificio richiesto andasse in una sola direzione, e invece non solo si dovrà andare in pensione più tardi, ma si riceveranno meno soldi. Un doppio onere che per molti critici del nuovo sistema non sembra avere alcuna logica. Secondo dubbio: il taglio dei coefficienti si applica a tutta la massa dei contributi versati nel corso della propria vita lavorativa e non - come sarebbe più giusto per evitare la retroattività - solo a quelli successivi all’introduzione del nuovo sacrificio. Alla fine, tirate le somme, il baratro che divide giovani e meno giovani non fa che allargarsi ulteriormente, con i primi costretti a pagare, oltre alle conseguenze della propria precarietà lavorativa, anche quelle della crescente speranza di vita. Su cui sta per abbattersi la nuova tassa occulta. ✦

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Il nuovo Trattamento di Fine Rapporto Il mondo del lavoro assiste dall’inizio degli anni ’90 ad una svolta riformatrice che non sembra eccessivo definire epocale. Vuol dirsi del profondo mutamento connesso alla c.d. privatizzazione dell’intero sistema del pubblico impiego. I prodromi di tale trasformazione sono ravvisabili nel D. Lgs. 503/92 (riforma Amato) e nel D. Lgs. 29/93. Infatti, col primo provvedimento aveva inizio l’opera di ridefinizione del sistema previdenziale pubblico, mentre col secondo si avviava l’omogeinizzazione del comparto pubblico col settore privato. Tale ristrutturazione radicale discendeva dalla obiettiva constatazione di una profonda situazione di crisi generata dal rallentamento dello sviluppo e dal progressivo invecchiamento della popolazione, aggravata dalla mancanza di meccanismi automatici di correzione degli squilibri. Di qui la necessità di soluzioni che, evitando di provocare lacerazioni troppo forti nel tessuto sociale, fossero però in grado di porre rimedio a dinamiche insostenibili dei sistemi previdenziali. Tutto ciò, peraltro, tenendo ben ferme alcune linee guida fondamentali. Vuol dirsi, in primo luogo, del convincimento per cui il contratto di solidarietà tra le generazioni non possa considerarsi un istituto storicamente superato. Esso richiede, però, un’operazione di ridisegno che individui coerentemente strumenti e obiettivi, rispetti i vincoli di bilancio e metta il sistema al riparo da soluzioni meramente temporanee. Vi è, inoltre, l’ulteriore premessa fondamentale secondo cui la previdenza pubblica a ripartizione non potrà più rappresentare – come ha rappresentato per mezzo secolo – l’unico pilastro su cui costruire la ricchezza pensionistica delle famiglie. In quest’ottica si è imposta l’operazione di ridisegno di quel generale complesso di strumenti di protezione (c.d. welfare state), tendenti ad impedire un’eccessiva divaricazione sociale tra lavoratori e pensionati. Tale intervento è iniziato pressochè ovunque nei paesi avanzati assumendo la forma di una rinuncia, più o meno marcata, all’unicità del pilastro pubblico e alla costruzione di un sistema con molti pilastri nel quale, accanto alle pensioni pubbliche, compaiono, con un ruolo variamente articolato, forme private di risparmio per l’età anziana di tipo collettivo (fondi pensione) e individuali (assicurazioni sulla vita e piani pensionistici personali), nonché moduli di pensionamento flessibile che consentano un ritiro graduale dall’attività lavorativa. Così, nel sistema attuale si determinano i presupposti per una forte espansione dell’industria dei prodotti previdenziale. In Italia, questo processo di ridefinizione è segnato da due riforme pensionistiche, del 1992 e 1995, e da una serie di provvedimenti minori nel periodo intermedio e in quello successivo; anche se il pilastro pubblico, opportunamente modificato e con prestazioni meno generose, è destinato a rimanere di gran lunga prevalente, l’elemento qualificante è rappresentato dal carattere misto del nuovo sistema, con la presenza di una componente privata costituita dai fondi pensione destinati a giocare un ruolo sempre crescente nel tempo. Invero, la grandiosa costruzione del welfare state, basata sul-

l’ambizioso principio dello stato sociale mirante al benessere di tutti i cittadini, a tutte le età, ha lasciato al mercato un compito soltanto residuale, quando non addirittura inesistente a causa della mancanza o dell’eccessiva onerosità di strumenti assicurativi per certi tipi di rischi. Cardine di questa evoluzione è stata l’idea che lo stato potesse fare meglio del mercato non soltanto sotto il profilo del perseguimento di obiettivi di equità e di protezione sociale, che al mercato stesso sono estranei, ma anche in termini di efficienza; in tal modo si è venuta a privilegiare una finalità redistributiva pubblica rispondente ad un ideale di società più giusta, in luogo del meccanismo della capitalizzazione privata. Tuttavia, come già accennato, negli ultimi decenni, la sostenibilità finanziaria dei sistemi pensionistici pubblici è stata minata dall’emergere di due fattori fondamentali: a) la diminuzione tendenziale del tasso di crescita dell’economia, che ha inciso negativamente sulla dinamica delle entrate; b) il progressivo invecchiamento della popolazione, che ha fortemente incrementato le uscite. A ciò aggiungasi la tendenza dei processi legislativi sia a intervenire in melius, con un eccesso di generosità verso le generazioni presenti e a scapito di quelle future, sia a frammentare il sistema, con una legislazione ad hoc che non sempre ha favorito l’equità. Ecco quindi presentarsi l’esigenza di ricercare un giusto equilibrio tra assicurazione e redistribuzione con conseguente necessità di interventi di riforma il cui fulcro centrale è costituito dal tema della cosiddetta privatizzazione della previdenza. Sotto il profilo meramente economico, si può argomentare come il sistema previdenziale ottimale sembrerebbe essere rappresentato da un sistema misto, con la presenza simultanea di un’assicurazione pubblica a ripartizione, obbligatoria e uniforme tra le categorie, e di un’assicurazione privata a capitalizzazione, integrativa della prima, volontaria e più ritagliabile sulle esigenze e preferenze dei singoli. Siffatto sistema misto dovrebbe essere in grado di bilanciare, meglio dell’alternativa basata su uno soltanto degli schemi, gli effetti disincentivanti della redistribuzione con una prospettiva di relativa sicurezza per le generazioni anziane, l’incentivazione al risparmio e all’accumulazione di capitale con l’assicurazione, i rischi sociali con la tutela dei singoli, le libertà invidivuali con la partecipazione obbligatoria a un sistema collettivo di risparmio per l’età anziana. Così delineato a grandi linee l’attuale assetto socio-economico di riferimento è quantomai opportuno sottolineare la rilevanza delle recenti novità normative in tema di trasformazione dell’indennità di buonuscita in TFR e la contestuale incentivazione dei fondi pensione nel settore pubblico. Da quanto esposto è possibile trarre talune riflessioni conclusive di sicuro rilievo. In primo luogo, la progressiva variazione del sistema pensionistico pubblico ha prodotto il passaggio da un sistema retributivo a quello contributivo; ciò che significa che anche nell’ambito del sistema pensionistico pubblico le future pen-

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sioni degli italiani dipenderanno sempre più da quanto si versa. A ciò aggiungasi la graduale eliminazione della pensione di anzianità. Di qui l’ineluttabilità dell’adesione ai fondi pensione complementari onde mantenere un sufficiente livello di reddito anche successivamente alla cessazione del rapporto lavorativo. Tale valutazione appare ancor più fondata in ipotesi di lavoratori con ridotta anzianità contributiva ovvero neo assunti per i quali la prospettiva del trattamento di quiescenza prossimo venturo appare ben lontana dagli attuali livelli economici, aggirandosi intorno al 48-50% della base pensionabile. Ulteriore corollario di quanto sopra è rappresentato dalla necessità, per coloro i quali dovessero optare per l’adesione ai fondi pensione e, comunque, per i neo assunti, di effettuare versamenti non eccessivamente modesti che produrrebbero una previdenza complementare insufficiente a garantire il livello reddituale goduto sino al momento del collocamento a riposo. In buona sostanza la rivoluzione copernicana rappresentata dalla riforma implica un mutamento di mentalità per cui il lavoratore dovrà affrontare piccoli sacrifici oggi per mantenere il suo potere d’acquisto domani. Pertanto, si imporrà una decisa azione di

sensibilizzazione degli organi di governo, parlamentari e forze sociali tesa ad allargare la base retributiva per il calcolo del TFR attraverso l’inclusione di ulteriori emolumenti quali l’indennità di polizia ovvero di istituto ed anche affinchè i medesimi organi facciano opera di convincimento ed intermediazione nei confronti della controparte pubblica per l’incentivazione del finanziamento dei fondi con ulteriori accantonamenti equivalenti a quelli volontari posti dalla contrattazione collettiva a carico dei lavoratori. L’azione delineata dovrà, per una maggiore efficacia, inserirsi in un contesto di defiscalizzazione dei contributi capace di agevolare l’avvio e la maggiore adesione ai fondi medesimi. Non ultimo, sarà compito preminente delle organizzazioni sindacali concorrere a selezionare con estrema attenzione il soggetto gestore del fondo dalle cui capacità e professionalità dipenderà la redditività dei fondi e, conseguentemente, le prestazioni finali. Tale scelta non dovrà essere disgiunta dalla formazione di un capace ed oculato organo di controllo all’interno del quale sarà indispensabile collocare rappresentati di assoluta affidabilità e competenza in materia. ✦ Avv. Antonio Nicolini

Teramo: Raduno degli Alpini

Rovigo: intervista al socio Anppe Marino Siviero, testimone storico della storia raccontata nel Film “Prima Linea” ercoledi 18 novembre 2009, a Rovigo, c’e’ stata la presentazione del film La Prima Linea (recensito sullo scorso numero della Rivista), pellicola che porta sul grande schermo la storia del terrorista Sergio Segio, autore del libro Miccia Corta. Il film narra l’assalto al Carcere di Rovigo del 3 gennaio 1982, dove Segio (interpretato dall’attore Riccardo Scamarcio) libera la sua fidanzata Susanna Ronconi (interpretata da Giovanna Mezzogiorno), assaltando con un’auto bomba l’ala ovest del carcere provocando un vortice di violenza e sangue che segnerà per sempre una triste data da ricordare per la città di Rovigo. Marino Siviero attualmente socio ANPPe della Sezione, c’era, e le pallottole che fischiarono a pochi centimetri da lui non erano una finzione scenica. Il ricordo di Siviero, ex agente di Custodia è ancora vivo. Il 3 gennaio 1982, giorno dell’assalto al carcere di Rovigo da parte di un commando di Prima Linea, lui era sul muro di cinta, pro-

Il giorno 15 novembre 2009, il Gonfalone dell’ANPPe ha partecipato a Teramo, alla manifestazione dell’80° anniversario della Fondazione dell’Associazione Nazionale Alpini - Sezione Abruzzi. Al raduno sono intervenuti migliaia di Alpini di tutte le Sezioni della Regione con una coreografia spettacolare di cui protagonista è stata la folla, la cittadinanza. Una cerimonia davvero suggestiva, particolare in ogni aspetto. Era presente alla manifestazione, insieme allo stendardo il Coordinatore Nazionale dell’ANPPe Lionello Pascone. ✦

Alessandria: Lutto nell’ANPPe

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L’Ispettore Giuseppe Cancellosi socio ANPPe della sezione di Alessandria è stato colpito da un grave lutto familiare con la perdita della moglie Sig.ra Rosa Maria Palmieri. La Segreteria Nazionale dell’ANPPe e la Redazione della Rivista si uniscono al dolore della Famiglia Cancellosi esprimendo sentite condoglianze.

PoliziaPenitenziaria Penitenziaria- -SG&S SG&S n. n.167 168 -- novembre dicembre 2009 Polizia 2009


tagonista, quindi, di una delle azioni militari più clamorose degli anni di piombo. «Allora - dice - il muro di cinta non aveva le protezioni trasparenti di adesso. Io ero nella garitta in cemento, vidi avvicinarsi al muro delle persone. Poi mi spararono contro, un vera grandinata di colpi, mi venne d’istinto gettarmi a terra poi provai a far fuoco col mio mitra d’ordinanza, ma l’arma si inceppò. Provai ancora a rialzarmi ma le raffiche erano intense. Poi l’esplosione, come un terremoto. Pezzi dell’A112 che conteneva l’esplosivo schizzarono dappertutto, il tetto addirittura dentro al carcere. Sergio Segio entrò nel carcere dalla breccia per liberare Susanna Ronconi e le altre tre detenute. Poi uscirono mentre le armi continuavano a crepitare. L’azione durò una decina di minuti, il mio collega che intervenne era a pochi metri, sul muro di cinta ma dall’altra parte. Pensò che fossi rimasto ucciso. All’inizio non pensai che l’obiettivo dell’attentato fosse l’evasione, ero in servizio al carcere da una ventina di giorni, facevo il servizio di leva. Quando mi spararono contro ritenni che l’obiettivo fossimo noi agenti. In quel periodo non erano rari episodi di attentati contro le Forze dell’Ordine. Poi quando fu chiaro che erano evase quattro detenute la responsabilità di Prima Linea fu quasi automatica. Dopo un anno mi sono congedato, ma oggi mi sono iscritto all’ANPPe che da un paio di anni si è costituita anche a Rovigo e io sono orgoglioso di farne parte». ✦

Torino: Festa decennale ANPPe l giorno 19 novembre 2009, è stato celebrato il Decennale della Sezione ANPPe di Torino, alla presenza del Coordinatore Nazionale Lionello Pascone. Nella circostanza, la Sezione è stata intitolata alle Vigilatrici Penitenziarie Maria Grazia Sisca e Rosetta Casazza, Medaglie d’Oro al Valor Civile alla memoria, vittime del dovere, mentre il Labaro è stato decorato della Medaglia d’Argento. Sono intervenuti il Provveditore Regionale del Piemonte e della Valle d’Aosta Aldo Fabozzi, il Gen. Giosuè Camilleri, un Assessore Provinciale, il Direttore della Casa Circondariale Lorusso-Cutugno. Il Provveditore Regionale, che ha portato il saluto del Capo del Dipartimento Franco Ionta, ha ricordato i suoi primi passi nell’amministrazione al fianco degli Agenti di Custodia; parimenti, il Gen. Camilleri, che ha rammentato alcuni episodi della sua carriera; l’Assessore ha, invece, fatto presente che l’Associazione dovrà racchiudere anche il personale in servizio, per un’armonia ancor più significativa tra il passato e il presente. Sono stati, quindi, consegnati attestati e benemerenze a tutti i pensionati presenti ed è stata deposta una Corona al Monumento ai Caduti dal Corpo dell’interno dell’istituto. Una ricorrenza particolarmente sentita e riuscita ottimamente grazie all’impegno proficuo di Savatore Spatafora e di Carmine Visilli, responsabili della Sezione, che hanno davvero saputo rendere intensi i vari momenti della manifestazione. ✦

Nelle foto, le fasi della Cerimonia svoltasi a Torino

Buone Feste La Segreteria Nazionale dell’ANPPe augura a tutti gli iscritti, ai loro familiari e a tutto il personale in congedo Buon

Natale e Felice Anno Nuovo

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Frosinone e Velletri: Gemellaggio per il degrado ella Casa Circondariale di Frosinone, sono state segnalate numerose disfunzioni di carattere strutturale, l’istituto è sempre più disagiato e invivibile: in particolare sono state evidenziate carenze nella caserma agenti, lungo i corridoi e sono visibili perdite d’acqua (dalle lampade). I telefoni, da utilizzare nei casi di necessità, non funzionano e le stanze del personale

sono fatiscenti. Al piano terra, lo spaccio, è un ambiente indecoroso; i bagni sono obsoleti, mancano di sapone e di carta igienica e l’apparecchio asciugamani presenta dei fili scoperti; manca altresì la placca per coprire la presa. Dei due ascensori esistenti, uno è fermo da anni e l’altro, recentemente, è stato adibito con chiave solo a montacarichi, costringendo così tutto il personale a fare uso delle scale per utilizzare i tre piani della caserma. Nella sala TV adiacente allo spaccio, sempre sporca, è ubicato un piccolo televisore mal funzionante. Nella mensa, non risulta attivata la Commissione avente funzioni di controllo, con prelievi e analisi saltuarie, così come non risulta istituito il registro a ciò adibito. La struttura e la pulizia del bagno dell’ingresso ai reparti detentivi

Benevento: più di cinquanta concerti per Guido Battista

Nella foto, Guido Battista con il suo strumento

L’assistente capo Guido Battista in servizio presso la Casa Circondariale di Benevento, fa parte dell’orchestra a Plettro di Ripalimosani (CB). Ultimamente, il nostro musicista sta con-

seguendo il diloma di mandolino. Attualmente in orchestra è impegnato sia con il mandolino che con la mandola tenore. Il suo repertorio spazia dal classico alla canzone napoletana, dalle canzoni italiane anni’50 alla musica spagnola. Negli ultimi anni ha partecipato a quasi 50 concerti, tra i quali anche la Festa della Polizia di Stato di Campobasso. Altre importanti partecipazioni al Festival di Trivento, al Santuario di Castelpetroso, al Festival del Mandolino e pianoforte di Potenza. Le sue esibizioni sono state ammirate in molti paesi del Molise e del Centro Italia. ✦

AVVISO AGLI ISCRITTI:

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SONO IN DISTRIBUZIONE PRESSO tutte LE SEGRETERIE LOCALI I GADGET ANNUALI DEL SAPPE: CALENDARI, PENNE E ANGENDINE. BUONE FESTE A TUTTI

(ove sovente vi sono copiose perdite di acqua) ed il posto di servizio in detti ingressi lasciano davvero perplessi. Da ultimo, ma non per importanza, l’edificio dove ci sono gli uf-

Monza: Sportello di supporto psicologico per il personale della Casa Circondariale La direzione dell’istituto di Monza, in un’ottica generale del benessere del personale, si è attivata ed ha ricevuto la disponibilità da parte dell’Azienda Ospedaliera San Gerardo di Monza, per l’attivazione di uno sportello di sostegno psicologico, riservato agli operatori della Casa Circondariale, consentendo agli stessi di elaborare gli eventi critici che si verificano nella realtà penitenziaria. Il servizio, oltre ad avvalersi di una linea telefonica dedicata, viene attivato direttamente presso la struttura ospedaliera, in modo da garantire la riservatezza dell’accesso al servizio da parte del personale. Il progetto, inoltre, è stato approvato il 17 novembre 2009 anche dal Provveditorato Regionale della Lombardia.

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fici del N.T.P., è pieno di erbacce. Questi sono solo alcuni problemi strutturali che affliggono l’istituto di Frosinone. Riteniamo indispensabile un intervento con la massima sollecitudine perché gli inconvenienti illustrati possono solo aggravarsi ulteriormente e determinare serie conseguenze per l’operatività quotidiana e per la sicurezza.

Così a Velletri... Come Frosinone, anche nella Casa Circondariale di Velletri, sono emerse notevoli disfunzioni e inconvenienti, che si indicano come ad esempio nella Portineria A, l’impianto dell’aria condizionata non funziona. I servizi igienici sono fatiscenti: il rubinetto perde acqua, la porta è rotta e il Water e il lavabo sono incrostati. Nella Cucina, la cappa non aspira e i coperchi sono rotti. Nell’Ufficio So-

vrintendenti e Ispettori, le sedie e i divani sono rotti, non vi è un personal computer né la stampante, non vi è l’impianto dell’aria condizionata. Nel Reparto AS, manca un adeguato ricambio d’aria e l’impianto d’aria condizionata. Nella Sezione C, mancano le sedie e l’ufficio si trova in mezzo al corridoio.

Nella Sezione 2 A, mancano le sedie e le scrivanie sono più che antiquate dove vengono utilizzati banchi di scuola. Nel corridoio 3 A, le luci non funzionano e nella Sezione 4 A AS, mancano le sedie e i termosifoni. Nella Mensa, la cappa non aspira adeguatamente i vapori e dalle fognature pervengono odori molto sgradevoli. Infine, nella Caserma Agenti, regna ovunque l’umidità, nell’ala 01-25 i servizi igienici non funzionano bene e le condizioni di pulizia sono scarse. Certamente, oltre gli intendimenti, più che mai indispensabili, occorre intervenire al più presto per rendere l’istituto vivibile e agibile al personale che ogni giorno lo frequenta e ne subisce le principali disfunzioni.

Nelle foto, alcune immagini delle condizioni in cui si trovano le strutture di Frosinone e Velletri

Alessandria: Convegno-Dibattito “Emergenza Carceri - La Polizia Penitenziaria” Si è svolto, venerdì 20 novembre 2009, ad Alessandria, presso la Circoscrizione Al-Nord di viale Michel, il Convegno-Dibattito Emergenza carceri - La Polizia Penitenziaria. L’evento è stato organizzato dal Sappe Piemonte e dai Gruppi Consiliari AN-PdL della Regione Piemonte e del Comune di Alessandria. Ha partecipato al Convegno il Segretario Generale del Sappe Donato Capece, che nel denunciare il sovraffollamento degli attuali 13 penitenziari piemontesi, che ospitano circa 4.900 detenuti a fronte di una capienza regolamentare delle strutture pari a poco più di 3.300 posti, ha chiesto in particolare ai Parlamentari eletti in Piemonte di riflettere tutti, auspicando una svolta bipartisan di Governo e Parlamento, per una nuova politica della pena, necessaria e non più differibile, che ripensi organicamente il carcere e l’istituzione penitenziaria. Sono intervenuti, inoltre, il sindaco di Alessandria Piercarlo Fabbio, i Consiglieri Comunali di Alessandria Mario Bocchio e Maurizio Sciaudone, il segretario regionale Sappe Nicola Sette, il vice segretario Enrico D’Ambola ed altri delegati del Sappe Piemonte. Era presenta anche una delegazione dell’ANPPe, con il segretario provinciale Antonio Aloia. Ha concluso il dibattito il Consigliere Regionale del Piemonte Marco Botta facendo presente come oggi nelle carceri italiane ci siano più di 65 mila detenuti, dei quali oltre 25 mila sono stranieri, soprattutto extracomunitari. E questi emblematici dati fanno comprendere anche ai non addetti ai lavori come i livelli

di sicurezza dei nostri penitenziari siano assai limitati e in quali drammatiche e difficili condizioni lavorino gli Agenti. I due terzi dei reclusi sono in attesa di giudizio: anche questo rappresenta un’anomalia del nostro sistema. ✦ Bologna: comunicazione di atti e informazioni al personale per email La Casa Circondariale di Bologna è partita con una sperimentazione di comunicazione degli atti personali all’indirizzo di posta elettronica dei dipendenti che ne siano in possesso. La direzione ha invitato tutto il personale che sia in possesso di un’utenza di posta elettronica personale a comunicare i relativi dati all’ufficio segreteria dell’istituto entro il 10 dicembre 2009, in modo da consentire la registrazione e l’invio per il futuro delle comunicazioni degli atti, delle circolari, degli avvisi, delle direttive e in generale, di ogni notizia che possa avere un immediato interesse per il personale, mediante invio dei relativi documenti in posta elettronica, in sostituzione del tradizionale modello della notifica a mano degli stessi.

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Sopra. il tavolo della Presidenza del Convegno

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Salone della Giustizia Rimini 3-6 dicembre 2009

Alcune immagini della manifestazione

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al 3 al 6 dicembre 2009 presso la Fiera di Rimini si è svolto il 1° Salone della Giustizia. Ad inaugurare l’evento sono stati il Presidente della Camera Gianfranco Fini e il Presidente della Commissione Giustizia del Senato Filippo Berselli. Il Capo del DAP Franco Ionta, e il Vice Capo Vicario Emilio di Somma, hanno partecipato all’inaugurazione visitando il padiglione allestito dal Dipartimento e ricevendo l’apprezzamento del Presidente Berselli e delle altre Autorità presenti per la qualità e i contenuti dell’allestimento dello spazio La pena. La Polizia Penitenziaria presente al Salone ha rappresentato l’intero Corpo nella complessità dei compiti e delle funzioni svolte. Il primo giorno nella Sala Ravezzi, si è svolto il convegno-dibattito L’immagine della polizia penitenziaria nei mass media, organizzato dal DAP a cui ha partecipato il Capo dell’Amministrazione Penitenziaria Franco Ionta, Giancarlo Mingoli, capo redattore centrale tg1 mattina, Fabio Tamburini, tg5, Carlo Gelosi, docente di comunicazione istituzionale alla LUMSA e Gerardo Bombonato, presidente dell’Ordine dei Giornalisti dell’Emilia Romagna. Ha moderato il dibattito, la Dott.ssa Assunta Borzacchiello, direttore dell’ufficio stampa del DAP. La tavola rotonda ha avuto l’obiettivo di mettere a confronto, per la prima volta, il vertice del DAP con esperti dell’informazione in un dibattito aperto e propositivo sul tema della comunicazione sul carcere, partendo proprio dall’immagine della Polizia Penitenziaria.

Significativo il messaggio del Presidente della Repubblica: «Il primo Salone della Giustizia promosso dal presidente della commissione Giustizia del Senato costituisce una originale e significativa occasione per un aperto confronto sui temi connessi all’esercizio della funzione istituzionale. L’ampia,

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qualificata e autorevole adesione alla iniziativa rivela l’attenzione che gli operatori del settore pongono per la individuazione di proposte concrete volte a eliminare tutte le possibili cause di disfunzioni e ritardi. Il salone non è stato concepito solo come momento di dibattito, ma anche come una nuova forma di comunicazione istituzionale che avvicina i cittadini alla conoscenza di problemi e realtà che sono spesso evocati, ma i cui termini specifici appaiono difficilmente comprensibili. I visitatori percorreranno idealmente le fasi che conducono, sulla base della legislazione vigente, al processo e ai suoi esiti e ne incontreranno i protagonisti approfondendone ruoli e responsabilità. La parte-

cipazione dei cittadini rappresenterà per gli operatori un forte stimolo a esaminare insieme, con equilibrio e serenità, le condizioni per assicurare un servizio efficiente e tempestivo in grado di garantire i diritti dei cittadini nel rispetto dei valori fondanti della Costituzione.» Il Ministro della Giustizia Angelino Alfano ha visitato gli spazi allestiti complimentandosi con la Polizia Penitenziaria per il servizio reso. Lo stesso Alfano, nel suo discorso aveva evidenziato «Sono ben lieto di aprire i lavori della manifestazione. Il Governo di cui mi onoro di far parte, avverte fortemente la necessità di promuovere una profonda riforma della giustizia, in tutti i suoi settori. E, proprio per onorare questo impegno preso con i cittadini durante la campagna elettorale, stiamo lavorando ormai da un anno perché con questa riforma sia finalmente possibile restituire ai processi civili e penali quei requisiti di equilibrio, rapidità ed efficienza che affliggono le nostre aule giudiziarie ormai da troppo tempo. A Rimini, per quattro giorni, avremo l’occasione di illustrare quanto sarà stato realizzato fino ad allora e quanto ancora ci sarà da fare e avremo l’opportunità di spiegarlo al mondo della politica, della magistratura, dell’avvocatura, delle forze dell’ordine, delle professioni, dell’imprenditoria, dell’università e dell’informazione, nonché a tutti i cittadini che, mi auguro, vorranno visitare i padiglioni della Fiera e partecipare agli incontri che vi si svolgeranno.» ✦

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Face Off Due facce di un assassino on una sceneggiatura ricca di colpi di scena, John Woo ci racconta una storia di scambio di identità tra il buono ed il cattivo. Da otto anni Sean Archer (John Travolta), agente dell'FBI, dà la caccia a Castor Troy, (Nicolas Cage) efferato omicida, colpevole anche dell’assassinio di Michael, il figlio di cinque anni di Sean. Sembra la fine di un incubo quando Archer riesce a catturare Troy, ma si scopre che il criminale ha nascosto una bomba capace di radere al suolo la città di Los Angeles. Per scoprire dov'è nascosta la bomba, Archer è costretto ad entrare nel carcere dov'è rinchiuso Pollux, il pazzoide fratello di Castor, assumendo le sembianze del criminale grazie ad una fantascientifica operazione chirurgica. Mentre Archer, trasformato in Castor, sta cercando di ottenere l'informazione giusta, il vero Castor si sveglia improvvisamente dal coma e costringe il chirurgo a trapiantargli la faccia di Archer, che era stata tenuta congelata. Si rovesciano così i ruoli, Castor, con le sembianze di Archer, fa il poliziotto e poi, a casa, il marito e il padre. Archer, scambiato per Castor, è costretto ad organizzare la fuga dal carcere per poter dimostrare l'equivoco, mentre rimane la minaccia della bomba. Solo dopo molte peripezie, scontri a fuoco e inseguimenti al cardiopalma, Archer riescirà a ristabilire le giuste identità, a sconfiggere definitivamente il pericoloso criminale e a tornare a casa dalla moglie e dai figli. In alto, la locandina del film a fianco alcune scene

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La scheda del Film Regia: John Woo Soggetto e Sceneggiatura: Mike Werb, Michael Colleary Fotografia: Oliver Wood Musiche: John Powell Montaggio: Steven Kemper, Christian Wagner Scenografia: Neil Spisak Costumi: Ellen Mirojnick Effetti: Henry Millar Jr., Robert Devine, Richard E.Hollander, Anatomorphex, Video Image, Animal Logic Produzione: David Permut, Barrie M. Osborne, Terence Chang, Christopher Godsick per Douglas/Reuther Production, Paramount Pictures, Touchstone Pictures, WCG Entertainment Production Distribuzione: Buena Vista International Italia Touchstone Home Video Personaggi ed Interpreti: Sean Archer: John Travolta Castor Troy: Nicolas Cage Eve Archer: Joan Allen Jamie Archer: Dominique Swain Sasha Hassler: Gina Gershon Dietrich Hassler: Nick Cassavetes Pullux Troy: Alessandro Nivola Victor Lazzaro: Harve Presnell Malcolm Walsh: Colm Feore Agente Walton: John Carroll Lynch Hollis Miller: CCH Pounder Agente Winters: Lauren Sinclair Genere: Drammatico Durata: 137 minuti Origine: USA, 1997

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a cura di G. B. De Blasis

Sorvegliato Speciale rank Leone (interprtato da Stallone), è un detenuto modello, appena tornato da una licenza premio trascorsa con la fidanzata Melissa ed è ormai prossimo alla scarcerazione definitiva. Improvvisamente, viene prelevato di notte dalla sua cella e trasferito in un'altra prigione, assai più dura, diretta dallo spietato Warden Drumgoole. Il direttore Drumgoole odia Leone perchè riuscì ad evadere dal penitenziario, che egli dirigeva, compromettendo la sua carriera, e ora vuole vendicarsi. Drumgoole usa ogni pretesto per torturarlo fisicamente e moralmente, si serve dei più sadici aguzzini fra le guardie e dei più spietati delinquenti fra i detenuti. Ma Leone, che non è un violento, e sta scontando le ultime settimane della pena, riesce a dominarsi e a resistere a tutte le provocazioni. Nonostante tutto Frank, che si è fatto molti amici in carcere, riesce a fare il suo mestiere di meccanico, cercando di evitare le provocazioni. Allora Drumgoole organizza un complotto contro di lui facendo prima uccidere un suo giovane amico ventenne e poi lo fa accoltellare da un detenuto. Infine, gli fa rivelare che la sua fidanzata verrà stuprata, cosicchè Frank, per salvarla, tenta l'evasione. Dopo una lunga fuga notturna attraverso i pozzi, Leone viene tradito da un amico che Drumgoole ha comprato con false promesse, e scatta una caccia spietata contro di lui, da parte di tutti i poliziotti penitenziari. Frank, allora, con uno stratagemma, sequestra il direttore e minaccia di ucciderlo con una vecchia sedia elettrica, sulla quale lo ha legato, con l’intenzione di spaventarlo solamente. Drumgoole, terrorizzato dalla sedia elettrica, confessa davanti alle guardie e al Comandante, tutto il piano organizzato contro Leone, e la propria responsabilità nella morte dei due detenuti. A questo punto il Comandante delle guardie, già da tempo convinto della persecuzione ordita contro Frank, arresta il direttore, che sarà incriminato e rinviato a giudizio. Frank Leone finlmente riuscirà ad uscire dal carcere tra gli applausi degli altri detenuti e troverà ad attenderlo la fidanzata Melissa.

A fianco, la locandina sotto, alcune scene del film

La scheda del Film Regia: John Flynn Titolo Originale: LOCK UP Soggetto: Jeb Stuart, Richard Smith, Henry Rosenbaum Sceneggiatura: Jeb Stuart, Richard Smith, Henry Rosenbaum Fotografia: Donald E. Thorin Musiche: Bill Conti Montaggio: Don Brochu, Michael N. Knue Produzione: Lawrence Gordon, Charles Gordon Distribuzione: Penta Distribuzione (1989) Pentavideo, Cecchi Gori Home Video Personaggi ed Interpreti: Frank Leone: Sylvester Stallone Warden Drumgoole: Donald Sutherland Dallas: Tom Sizemore Eclipse: Frank McRae Chink: Sonny Landman Melissa: Darlanne Fluegel Meissner: John Amos William Allen Young Genere: Drammatico Durata: 102 minuti, Origine: USA, 1989

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Dr. Gianluca Rispoli info@cesmet.com Medico specialista in Otorinolaringoiatria e Chirurgia Cervicofacciale

Il MET - Clinica del viaggiatore si arricchisce del servizio di otorinolaringoiatria ambulatoriale ari amici del SAPPE è per me un piacere presentarmi a voi, sono il Dott. Gianluca Rispoli specialista in otorinolaringoiatria e chirurgia cervico facciale (neuroscienze sperimentali e cliniche presso l’università di Roma La Sapienza). Conoscendo per motivi professionali il Dott. Meo e la sua totale dedizione per il progetto MET, sono stato ben lieto di accettarne l’invito ad entrare a far parte della famiglia MET quale responsabile del servizio di otorinolaringoiatria ambulatoriale presso la sede centrale della struttura sanitaria di Roma. L’otorinolaringoiatria si interessa di tutti gli aspetti medico - chirurgici inerenti le patologie dell’orecchio, del naso e della

Clinica del Viaggiatore

gola, con campi applicativi che si spingono sino ai margini della neurochirurgia, della chirurgia plastica e dell’oculistica. L’ambulatorio ORL, attraverso un tariffario nazionale, concordato con la vostra Segreteria Generale, consentirà a voi e ai vostri familiari, anche di età pediatrica, di poter effettuare visite specialistiche otorinolaringoiatriche su appuntamento, check-up audio-vestibolari, valutazioni endoscopiche dei disturbi della voce, counselling sul russamento e sulla patologia del sonno, attraverso una diagnostica di laboratorio e strumentale mirata. Inoltre la convenzione con il MET vi darà la possibilità di eseguire, in caso di necessità, interventi chirurgici in regime di ricovero ordinario, one - day surgery e/o day - surgery, a costi concordati e particolarmente vantaggiosi presso la Casa di Cura PIO XI sita in Roma, Via Aurelia 559. Scorgendo nella volontà del Dott. Meo di

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Quel Cristo muto e silenzioso

Crocifisso ligneo, opera del Cimabue

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redo che il modo migliore per rendere omaggio al crocifisso sia quello di richiamare l’attenzione sullo splendido articolo che Natalia Ginzburg pubblicò sull’Unità il 22 marzo 1988 a proposito di un’insegnante di Cuneo che aveva tolto il crocifisso dall’aula. La Ginzburg non era cattolica ma credo che nessun cattolico avrebbe scritto qualcosa di più bello sul problema del crocifisso, quel piccolo segno muto e silenzioso che da oltre duemila anni fa parte della storia del mondo. Nello stesso anno (sentenza n.63/1988) il Consiglio di Stato aveva affermato che il crocifisso “...a parte il suo significato per i credenti, rappresenta il simbolo della civiltà e della cultura cristiana, nella sua radice storica, come valore universale, indipendentemente da specifica confessione religiosa”. Natalia Levi (1916-1991) era ebrea ed era diventata parlamentare del PCI nel 1983. Nata a Palermo aveva trascorso l’infanzia a Torino e aveva visto i fratelli imprigionati e processati per antifascismo. Nel 1938 aveva sposato Leone Ginzburg, docente universitario di letteratura russa. Dopo la morte del marito - ucciso nel carcere di Regina Coeli dai fascisti nel febbraio del ‘44, pochi mesi prima dell’arrivo degli alleati a Roma - era ritornata a Torino dove si era risposata e dove aveva avuto inizio il suo splendido periodo letterario. Omaggio a Natalia Ginzburg Dicono che il crocifisso deve essere tolto dalle aule della scuola. Il nostro è uno stato laico che non ha diritto di

imporre che nelle aule ci sia il crocifisso. Però a me dispiace che il crocefisso scompaia per sempre da tutte le classi. Mi sembra una perdita. Tutte o quasi tutte le persone che conosco dicono che va tolto. Altre dicono che è una cosa di nessuna importanza. (…) E’ vero. Pure, a me dispiace che il crocefisso scompaia. Se fossi un insegnante, vorrei che nella mia classe non venisse toccato. Ogni imposizione delle autorità è orrenda, per quanto riguarda il crocefisso sulle pareti. Non può essere obbligatorio appenderlo. Però secondo me non può nemmeno

essere obbligatorio toglierlo. Un insegnante deve poterlo appendere, se lo vuole, e toglierlo se non vuole. Dovrebbe essere una libera scelta. Sarebbe giusto anche consigliarsi con i bambini.(…) L’ora di religione è una prepotenza politica. E’ una lezione. Vi si spendono delle parole. La scuola è di tutti, cattolici e non cattolici. Perchè vi si deve insegnare la religione cattolica? Ma il crocifisso non insegna nulla. Tace. L’ora di religione genera una discriminazione fra cattolici e non cattolici, fra quelli che restano nella classe in quell’ora e quelli che si alzano e se ne vanno. Ma il crocifisso non genera nessuna discriminazione. Tace. E’ l’immagine della rivoluzione cristiana, che ha sparso per il mondo l’idea dell’uguaglianza fra gli uomini fino allora assente. La rivoluzione cristiana ha cambiato il mondo. Vogliamo forse negare che ha cambiato il mondo? Sono quasi duemila anni che diciamo “prima di Cristo” e “dopo Cristo”. O vogliamo forse smettere di dire così? Il crocifisso non genera nessuna discriminazione. E’ muto e silenzioso. C’è stato sempre. Per i cattolici, è un simbolo religioso. Per altri, può essere niente, una parte dei muro(…) Dicono che da un crocifisso appeso al muro, in classe, possono sentirsi offesi gli scolari ebrei. Perché mai dovrebbero sentirsene offesi gli ebrei? Cristo non era forse un ebreo e un perseguitato, e non è forse morto nel martirio, come è accaduto a milioni di ebrei nei lager?

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Sabrina Losso - Luisa Ferrari

MEA CULPA Il crocifisso è il segno del dolore umano. La corona di spine, i chiodi, evocano le sue sofferenze. La croce che pensiamo alta in cima al monte, è il segno della solitudine nella morte. Non conosco altri segni che diano con tanta forza il senso del nostro umano destino. Il crocifisso fa parte della storia del mondo. Per i cattolici, Gesù Cristo è il figlio di Dio. Per i non cattolici, può essere semplicemente l’immagine di uno che è stato venduto, tradito, martoriato ed è morto sulla croce per amore di Dio e dei prossimo. Chi è ateo, cancella l’idea di Dio ma conserva l’idea dei prossimo. Si dirà che molti sono stati venduti, traditi e martoriati per la propria fede, per il prossimo, per le generazioni future, e di loro sui muri delle scuole non c’è immagine. E’ vero, ma il crocifisso li rappresenta tutti. Come mai li rappresenta tutti? Perché prima di Cristo nessuno aveva mai detto che gli uomini sono uguali e fratelli tutti, ricchi e poveri, credenti e non credenti, ebrei e non ebrei e neri e bianchi, e nessuno prima di lui aveva detto che nel centro della nostra esistenza dobbiamo situare la solidarietà fra gli uomini. E di esser venduti, traditi e martoriati e ammazzati per la propria fede, nella vita può succedere a tutti. A me sembra un bene che i ragazzi, i bambini, lo sappiano fin dai banchi della scuola. Gesù Cristo ha portato la croce. A tutti noi è accaduto o accade di portare sulle spalle il peso di una grande sventura. A questa sventura diamo il nome di croce, anche se non siamo cattolici, perché troppo forte e da troppi secoli è impressa l’idea della croce nel nostro pensiero. Tutti, cattolici e laici portiamo o porteremo il peso, di una sventura, versando sangue e lacrime e cercando di non crollare. Questo dice il crocifisso. Lo dice a tutti, mica solo ai cattolici. Alcune parole di Cristo, le pensiamo sempre, e possiamo essere laici, atei o quello che si vuole, ma fluttuano sempre nel nostro pensiero ugualmente. Ha detto “ama il prossimo come te stesso”. Erano parole già scritte nell’Antico Testamento, ma sono divenute il fondamento della rivoluzione cristiana. Sono la chiave di tutto.

Sono il contrario di tutte le guerre. Il contrario degli aerei che gettano le bombe sulla gente indifesa. Il contrario degli stupri e dell’indifferenza che tanto spesso circonda le donne violentate nelle strade. Si parla tanto di pace, ma che cosa dire, a proposito della pace, oltre a queste semplici parole? Sono l’esatto contrario del modo in cui oggi siamo e viviamo. Ci pensiamo sempre, trovando esattamente difficile amare noi stessi e amare il prossimo (…) Il crocifisso queste parole non le evoca, perché siamo abituati a veder quel piccolo segno appeso, e tante volte ci sembra non altro che una parte dei muro. Ma se ci viene di pensare che a dirle è stato Cristo, ci dispiace troppo che debba sparire dal muro quel piccolo segno. Cristo ha detto anche: “Beati coloro che hanno fame e sete di giustizia perchè saranno saziati”. Quando e dove saranno saziati? In cielo, dicono i credenti. Gli altri invece non sanno né quando né dove, ma queste parole fanno, chissà perché, sentire la fame e la sete di giustizia più severe, più ardenti e più forti. Cristo ha scacciato i mercanti dal Tempio. Se fosse qui oggi non farebbe che scacciare mercanti.(…) Il crocifisso fa parte della storia del mondo. I modi di guardarlo e non guardarlo sono, come abbiamo detto, molti. Oltre ai credenti e non credenti, ai cattolici falsi e veri, esistono anche quelli che credono qualche volta sì e qualche volta no. Essi sanno bene una cosa sola, che il credere, e il non credere vanno e vengono come le onde dei mare. Hanno le idee, in genere, piuttosto confuse e incerte. Soffrono di cose di cui nessuno soffre. Amano magari il crocifisso e non sanno perché. Amano vederlo sulla parete. Certe volte non credono a nulla. E’ tolleranza consentire a ognuno di costruire intorno a un crocifisso i più incerti e contrastanti pensieri. ✦ * Avvocato, già Dirigente dell’Amministrazione Penitenziaria

immagini dalla ii sezione del carcere di marassi LE MANI Edizioni

ell’anno 2006 la Scuola di Fotografia Professione Fotografo e l’Associazione Evangelica Amici di Zaccheo hanno organizzato un corso di fotografia per 10 detenuti della Casa Circondariale Maschile di Genova Marassi, tenuto dalle fotografe Luisa Ferrari e Sabrina Losso. Oltre a svolgere la parte didattica, alle fotografe è stata offerta l’opportunità di realizzare un reportage fotografico sulla vita dei detenuti. Il lavoro ottenuto è quindi il risultato di mesi di incontri e di un’indagine approfondita sulla vita carceraria a Marassi. Gli scatti sono stati pensati e selezionati in collaborazione con i detenuti, che hanno scelto quali momenti della loro realtà mostrare all’esterno per documentare la loro vita dietro alle sbarre. Le fotografe hanno cercato di rimanere il più possibile obiettive, senza mai lasciarsi andare a facili pietismi né farsi condizionare da pregiudizi. Per il valore artistico di questo progetto e per la sua valenza sociale e divulgativa di documento riguardante una realtà controversa e spesso misconosciuta ma numericamente molto importante per la realtà cittadina e nazionale (i detenuti sono attualmente circa 750 e Marassi è uno degli istituti di pena più affollati e problematici d’Italia), le Autrici hanno deciso di pubblicare questo bel volume fotografico di alta qualità, che recupera nello spirito e nella forma la grande tradizione della concerned photography, e di organizzare, in concomitanza con l’uscita del libro, una mostra di presentazione (che ha ottenuto un considerevole successo di pubblico) di oltre 60 stampe in bianco e nero, accompagnate dagli scritti raccolti durante l’esperienza che le fotografe hanno vissuto all’interno dell’istituto di detenzione. ✦

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Lettera al Direttore

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entile De Blasis, vorrei porre alcune domande in merito al nostro lavoro di Agenti di Polizia Penitenziaria e ti chiedo di rispondermi con la massima trasparenza e celerità. Innanzi tutto mi presento sono l’Ass.te Scalabrella Vinicio e presto servizio presso la Casa di Reclusione di Orvieto (TR) e di recente mi sono dimesso dalla carica di Vice Segretario Provinciale dell’OSAPP e mi sono tesserato con voi, nella convinzione che un Sindacato come il vostro, il primo sul territorio nazionale, ha bisogno di più iscritti possibili per avere maggior forza. Vengo subito al punto, parlo di me e dei colleghi su tutto il territorio Nazionale che sono nella mia stessa situazione. 1) Nella C.R di Orvieto siamo dieci agenti in meno tra cui nove sono a servizio a turno, uno sta in ufficio. Quelli che sono rimasti raggiungono un minimo di 41 ore ed un massimo di 54 ore di straordinario mensile. Non è nostra scelta fare tutte queste ore di straordinario ma è la conseguenza della mancanza di personale che abbiamo. Oltretutto alla fine dell’anno ci tolgono bei soldini dalla busta paga con il conguaglio fiscale (ma almeno ce le pagassero tutte come la prima, invece se la prima ora è pagata 10 euro anche la 54ma ora dovrebbe essere pagata a 10 euro e non 5 euro come avviene, altrimenti che convenienza c’è? E il nostro sacrificio a cosa è valso?). 2) Ma la ferita che ci fa più male è quella della legge Brunetta, la legge per i cosiddetti fannulloni (Volponi) che troveranno sempre delle scappatoie e cosi facendo saremo sempre noi a lavorare. Infatti a marzo noi che abbiamo lavorato tutto l’anno instancabilmente ci ritroviamo a pagare conguagli esagerati, con due, tre, o quattro rate che ci vengono tolte dallo stipendio. Invece, quello che durante l’arco dell’anno ha fatto il furbo mandando la malattia, incassa con l’incentivo arrivando a prendere quasi quanto noi poveri lavoratori che abbiamo sgobbato tutto l’anno con sacrificio e spirito di Corpo (perché io a questi valori ancora ci credo). La differenza tra queste (due) categorie è minima considerando che loro, stando a casa non hanno neanche l’usura della macchina e il consumo del carburante. Ma la cosa secondo me più importante è che stanno vicini ai i propri figli e alle proprie mogli. La seconda categoria è quella che se lo prende nel ...., ci rimette il carburante e il resto che ti ho elencato prima. Ti dico questo perché sto vivendo quest’esperienza qui ad Orvieto. Premetto che ho una bambina anche io di cinque anni ma è nata con un problema (labiopalatoschisi, bilaterale) per il quale usufruisco della legge 104 prendo i tre giorni mensili che mi spettano anche se non mi servono, perchè te lo dico con il cuore in mano e senza vergogna voglio rimanerle vicino. Della legge 151 usufruisco di un mese l’anno perchè non sono uno che se n’approfitta per farsi l’estate fuori.

Ho aperto questa parentesi per farti capire che chi ha voglia di lavorare deve essere pagato equamente e non ricevere solo le briciole. Questo dovete dire a chi comanda se no il personale rimane a casa. 3) Ho detto tutto questo perché io e qualche altro povero agente disgraziato, che lavoriamo tutto l’anno come forsennati, con il rischio di qualche disturbo, lo facciamo perché dobbiamo pagare il mutuo di casa e altre cose, senza mandare mai la malattia e non vorremmo vedere questi che si pavoneggiano e ci prendono in giro vantandosi di aver preso quasi quanto noi d’incentivo. 4) Ma questi Ministri sanno che noi poveri agenti di Polizia Penitenziaria operiamo con gente malata (tossici, malati di AIDS, epatite, scabbia e via discorrendo)? Questi Ministri hanno capito che la Polizia Penitenziaria è al collasso, è sotto stress per i turni massacranti e non ce la fa più a mantenere questo ritmo? VOGLIAMO DARGLI UN SEGNALE FORTE. Al momento, a mio parere, siete l’unico Sindacato che tenta perlomeno di tutelarci e farci star bene nelle ore di servizio. Ti chiedo, se possibile, di pubblicare questa lettera sulla vostra Rivista, magari anche in un’altra forma o in forma ridotta, perchè ho cercato di esprimere quello che pensano gli agenti. Ti Ringrazio del tempo prezioso che mi hai dedicato, colgo l’occasione per porgerti distinti saluti. Vinicio Scalabrella Caro Vinicio, innanzitutto voglio ringraziarti per la belle parole che hai indirizzato al Sappe e per la stima che hai espresso per questa Rivista che è il suo organo ufficiale di informazione. Mi lusinga il fatto che hai voluto affidare alle nostre pagine questo tuo grido d’allarme che ritieni (e lo condivido) possa rappresentare il pensiero della stragrande maggioranza dei colleghi di tutta Italia. Mi chiedi risposte trasparenti e veloci. In realtà la tua lettera contiene molte più risposte che domande. A mio avviso, poni un’unica sola domanda (che poi è più corretto definire richiesta): Quale puo’ essere un sistema efficace per allargare la forbice restributiva tra chi lavora (che deve essere maggiormente gratificato) e chi è assenteista (che deve essere disincentivato)? Preliminarmente, vorrei rassicurarti sul fatto che siamo consapevoli del problema legato al conguaglio fiscale che aumenta in misura spropositata per coloro che effettuano (sono costretti) parecchie ore di straordinario e del conseguente effetto collaterale che causa il paradossso per il quale fino ad un tot numero di ore la retribuzione è di 10 euro, mentre superata una soglia x (per effetto appunto del conguaglio fiscale) la retribuzione scende fino a 5 euro. L’unica soluzione a questa aberrazione fiscale è la completa detassazione degli straordinari, ed è questa la strada che stiamo cercando di percorrere. Per quanto riguarda, invece, la vexata quaestio degli incentivi, come puoi constatare dal nuovo accordo sul FESI per l’anno 2009 stiamo cercando di percorrere proprio la strada dell’allargamento della forbice tra chi lavora e chi no, attraverso una retribuzione sempre più legata alla effettiva presenza in servizio. Per il resto delle tue affermazioni, infine, non posso che ribadire la piena condivisione dei concetti che hai inteso esprimere. Un abbraccio. G.B. de Blasis

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eravamo così... ietro suggerimento di numerosi colleghi proponiamo una nuova rubrica mensile che ripercorre le tappe storiche del Corpo attraverso le foto ricordo scattate nel corso degli anni dal personale. Con la fotografia si riscopre un ricordo recente ma lontano di usi costumi e usanze degli Agenti di Custodia prima e dalla Polizia Penitenziaria dopo. Chiunque vuole contribuire alla rubrica è pregato di inviare foto o manoscritti a: Polizia Penitenziaria SG&S via Trionfale 79/A 00136 Roma, oppure inviare per email il materiale all’indirizzo: rivista@sappe.it. E’ opportuno inserire insieme alle foto, il periodo, il luogo, la data o altre dati utili alla pubblicazione. Iniziamo questo mese con le foto inviate da Antonio D’Amore del lontano 1968 riferite alla Scuola di Cairo Montenotte. Polizia Penitenziaria - SG&S n. 168 - dicembre 2009

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Hayerdhal

Reyes Calderon

DOMANI, UN’OASI

I NUMERI DI SATANA

NORD Edizioni pagg. 224 - euro 16,60

NORD Edizioni pagg. 504 - euro 18,60

a quarant’anni e lavora a Ginevra per la Comunità Europea. È un medico, ma non ha mai esercitato: in realtà è un burocrate ben pagato senza prospettive di carriera. Poi, una sera, la sua vita cambia radicalmente. Mentre sta tornando a casa, la sua auto viene bloccata, due uomini armati gli intimano di uscire, lo drogano e lo chiudono nel portabagagli di una limousine nera. Il tempo si ferma, sprazzi di coscienza in una cantina buia, sedativi, sonno, incubi... Quando riprende i sensi, l’uomo si ritrova in un minuscolo agglomerato di capanne e grotte da qualche parte in Africa e, senza spiegazioni, gli viene ordinato di unirsi agli altri medici che assistono i malati del villaggio. Disorientato e rassegnato a una sorte che non riesce a capire, l’uomo comincia così un lavoro massacrante e tuttavia inutile, a causa della carenza di strutture e medicinali adeguati. Eppure, a poco a poco, in lui si fanno strada domande inquietanti: e se i suoi rapitori incarnassero l’ultima, flebile speranza di salvezza per un’umanità sull’orlo del collasso? E se la loro missione - irrealizzabile ma necessaria - fosse creare un’oasi di pace e di prosperità per tutti coloro che non si piegano all’egoismo dei Paesi industrializzati? Vincitore del prestigioso Grand Prix de l’Imaginaire, Domani, un’oasi è un romanzo insieme commovente e scioccante, che delinea il futuro di un mondo - il nostro mondo - che non vuole arrendersi al suo inevitabile destino.

James Patterson - Max Paetro

IL SETTIMO INFERNO LONGANESI Edizioni pagg. 308 - euro 16,60 Due giovani maniaci omicidi sono legati da un patto efferato: annegare nel fuoco i peccati dell’America. Colpiscono le coppie, le aggrediscono in casa loro, e il gioco perverso si conclude con un incendio letale. E nel fuoco scompare anche qualsiasi traccia possa permettere di rintracciarli... Ma non basta: da un caso caldo a un caso freddo, una pista morta che si riapre inaspettatamente grazie a un nuovo indizio. La scomparsa di Michael Campion ha colpito profondamente l’opinione pubblica. Tutti si sono appassionati alla storia del figlio del governatore, un ragazzo malato di cuore e adorato dalla gente per la sua sensibilità e intelligenza. Ora però sembra che non sia rapimento, ma omicidio. La giovane prostituta Junie Moon, interrogata a seguito di una telefonata anonima, alla fine confessa l’irreparabile... Ma è davvero tutto come sembra? Le pressioni su Lindsay Boxer e sul collega Rich Conklin perché risolvano al più presto i casi crescono a dismisura, e questo fa avvicinare Lindsay a Rich come non era mai accaduto prima, portandola sull’orlo del crollo emotivo. Ma le Donne del Club Omicidi sono pronte a correre in suo aiuto anche questa volta, disposte perfino a correre tremendi rischi in prima persona... Ed è proprio in quel momento che i giochi si fanno pericolosi, bollenti... Infernali.

Un monastero isolato, un’improvvisa scomparsa, un furto sacrilego e una macabra mutilazione: questi sono i frammenti dell’enigma che l’ispettore Juan Iturri viene chiamato a ricomporre dall’arcivescovo di Pamplona. Il monastero è quello di Leyra, in Navarra, uno dei più antichi e importanti della Spagna. Da lì è scomparso Pello Urrutia, integerrimo abate da oltre dieci anni. Ma a Leyra è stato anche profanato il tabernacolo e sono state rubate le ostie consacrate. E infatti un’ostia è stata recapitata all’arcivescovo, insieme con un dito dell’abate, una pergamena vergata in aramaico e una richiesta: la vita di Urrutia in cambio del reliquiario che custodisce una scheggia della croce di Cristo e che si trova appunto nella cattedrale di Pamplona. Iturri viene affiancato nelle indagini dal giudice Lola MacHor, ma il caso si complica ulteriormente fino a diventare un vero rompicapo quando, in una piccola e sperduta chiesa di campagna, vengono ritrovati i cadaveri di due religiosi: uno ha il dito indice della mano destra mozzato, mentre l’altro è proprio l’arcivescovo, e anche a lui è stato tagliato un dito. Risucchiati in un’ambigua spirale di reticenze e segreti inconfessabili, Juan e Lola intuiscono che la soluzione del mistero è rappresentata da un numero: un numero primo che ha un terribile significato per la Chiesa...

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a cura di Erremme

Franck Thilliez

LA MACCHIA DEL PECCATO NORD Edizioni pagg. 382 - euro 18,60 Sono passati sei mesi da quando Suzanne è scomparsa nel nulla. Una notte non è rientrata a casa dal lavoro e, da allora, è come se non fosse mai esistita: nessuna notizia, nessun indizio su cosa le sia capitato, tantomeno una richiesta di riscatto. E da sei mesi, suo marito, il commissario Franck Sharko, vive perseguitato dai sensi di colpa, sordo ai richiami del mondo e cieco a qualsiasi luce di speranza. Ma la realtà non si lascia cancellare e irrompe nella vita di Sharko sotto forma di una donna prima mutilata, poi uccisa e infine disposta come una macabra opera d’arte. È solo la prima vittima di una lunga serie, firmata da un assassino tanto perverso quanto intelligente. Un assassino che non ha paura di mettersi in contatto con il commissario, perché sopra ogni altra cosa desidera essere apprezzato per la sua mente superiore, per la sua raffinata crudeltà. E Sharko non si sottrae a quel rapporto, anzi ne è affascinato in modo quasi morboso. Così il gioco si dipana, serrato e feroce, tra le cave di granito in Bretagna e i bassifondi di Parigi, in un alternarsi di paure e di miraggi, di sfide e di tracce. Perché soltanto un uomo sull’orlo della follia può capire fin dove si può spingere la follia incarnata... Daniel Keyes

UNA STANZA PIENA DI GENTE NORD Edizioni pagg. 544 - euro 19,00 Il 27 ottobre 1977, la polizia di Columbus, Ohio, arresta il ventiduenne Billy Milligan con l’accusa di aver rapito, vio-

lentato e rapinato tre studentesse universitarie. Billy ha v a r i precedenti penali e contro di lui ci sono prove schiaccianti. Ma, durante la perizia psichiatrica richiesta dalla difesa, emerge una verità sconcertante: Billy soffre di un gravissimo disturbo dissociativo dell’identità. Nella sua mente «vivono» ben 10 personalità distinte, che interagiscono tra loro, prendono di volta in volta il sopravvento e spingono Billy a comportarsi in maniera imprevedibile. Nel corso del processo si manifestano il gelido Arthur, 22 anni, che legge e scrive l’arabo; il timoroso Danny, 14 anni, che dipinge solo nature morte; il violento Ragen, 23 anni, iugoslavo, che parla serbo-croato ed è un esperto di karate; la sensibilissima Christene, 3 anni, che sa scrivere e disegnare, ma soffre di dislessia; e poi Allen, Tommy, David, Adalana e Christopher. Così, per la prima volta nella storia giudiziaria americana, il tribunale emette una sentenza di non colpevolezza per infermità mentale. Tuttavia Billy rimane un rebus irrisolto fino a quando, durante il ricovero in un istituto specializzato, a poco a poco non affiorano altre 14 identità autonome, tra cui spicca «il Maestro», la sintesi della vita e dei ricordi di tutti i 23 alter ego. E proprio grazie alla

sua collaborazione è stato possibile scrivere questo libro, che con la passione e lo slancio di un resoconto in presa diretta ricostruisce l’incredibile vicenda di Billy Milligan e ci permette di entrare in quella «stanza piena di gente» che è la sua psiche. Una visita che ci lascia sconvolti e turbati, ma che ci induce a riflettere sull’abisso nascosto in ogni uomo. Perché, come scrive lo stesso Billy all’autore: «Solo chiudendo la porta sul mondo reale, noi potremo vivere in pace nel nostro». Gian Franco Svidercoschi

UN PAPA CHE NON MUORE L’eredità di Giovanni Paolo II SAN PAOLO Edizioni pagg. 160 - euro 13,50 Dopo la morte di Giovanni Paolo II, avvenuta il 2 aprile 2005, la memoria del Papa che maggiormente ha segnato il XX secolo è stata tenuta viva dalla fede di quanti, ogni giorno, fanno riferimento alla sua testimonianza e al suo insegnamento. Una vera e propria “eredità” di cui solo ora si cominciano a cogliere compiutamente i tratti. In un testo ricco di fatti inediti e privati della vita del papa, eppure capace di sondare in profondità le intuizioni e le scelte profetiche del grande Pastore della Chiesa, Gian Franco Svidercoschi presenta un’analisi lucida e appassionante dell’eredità lasciata da Giovanni Paolo II. Il testo è racchiuso tra due istantanee della morte di Karol Wojtyla e ricostruisce le origini polacche del pontefice, la sua storia personale, i cambiamenti mondiali ai quali ha partecipato e dei quali è stato spesso ispiratore, le sfide del dialogo interreligioso, della pace, della santità. ✦

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IL NATALE DELL’APPUNTATO CAPUTO E' ancora l 'albero del 2007... aspett l'approvazio avo ne del Piano Carc eri per ricomp rarlo

© 2009 Caputi & De Blasis

puto, ...Mirra, Ca o avevo dett Mirra!

"...eppoi mi hanno detto: «Qu est'anno facciamo il presepe vivente e t u ti occupi della MOF »

e abbo Natal Visto che B o t mai porta non mi ha gli ho le cose che est'anno chiesto, qu se rivere le co provo a sc orrei nel che NON v 2010..

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