Polizia Penitenziaria - Aprile 2010 - n. 172

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I vertici del Sappe riuniti ad Abano Terme



Organo Ufficiale Nazionale del S.A.P.Pe. Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria

ANNO XVII Numero 172 Aprile 2010

La Copertina Foto di gruppo dei partecipanti al XXI Consiglio Nazionale del Sappe

L’EDITORIALE IL PULPITO Consiglio Nazionale: Subito nuove carceri!

Direttore Responsabile Donato Capece

di Donato Capece

capece@sappe.it

IL PULPITO Ma a quanta gente interessa il carcere?

Direttore Editoriale Giovanni Battista De Blasis

di Giovanni B. De Blasis

deblasis@sappe.it

Direttore Organizzativo Moraldo Adolini

L’OSSERVATORIO POLITICO Funzione rieducativa della pena

Capo Redattore Roberto Martinelli

di Giovanni Battista Durante

martinelli@sappe.it

Comitato di Redazione Nicola Caserta Umberto Vitale

IL COMMENTO Il dramma dei suicidi in carcere

Redazione Politica Giovanni Battista Durante

di Roberto Martinelli

Progetto Grafico e impaginazione © Mario Caputi (art director) Direzione e Redazione Centrale Via Trionfale, 79/A 00136 Roma tel. 06.3975901 r.a. fax 06.39733669

LO SPORT Lo sport «d’evasione» a cura di Lalì

LE FIAMME AZZURRE Retributivo, contributivo e misto a cura di Lionello Pascone

E-mail: rivista@sappe.it Sito Web: www.sappe.it Le Segreterie Regionali del Sappe, sono sede delle Redazioni Regionali di: “Polizia Penitenziaria -

SAPPEINFORMA I Vertici del Sappe riuniti ad Abano Terme XXI Consiglio Nazionale

Società Giustizia & Sicurezza” Registrazione Tribunale di Roma n. 330 del 18.7.1994

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Finito di stampare: Aprile 2010

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Questo Periodico è associato alla Unione Stampa Periodica Italiana Il S.A.P.Pe. è il sindacato più rappresentativo del Corpo di Polizia Penitenziaria

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Donato Capece Segretario Generale Sappe capece@sappe.it Direttore Responsabile

Consiglio Nazionale: subito nuove carceri!

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e il carcere è in larga misura destinato a raccogliere il disagio sociale, è evidente come la società dei reclusi non possa che essere lo specchio della società degli uomini liberi. In altri termini, sembra che lo Stato badi solo ad assicurare il contenimento all’interno delle strutture penitenziarie. E’ giunta l’ora di ripensare la repressione penale mettendo da un lato i fatti ritenuti di un disvalore sociale di tale gravità da imporre una reazione dello Stato con la misura estrema che è il carcere, e dall’altro, anche mantenendo la rilevanza penale, indicare le condotte per le quali non è necessario il carcere (ipotizzando sanzioni diverse). E’ chiaro che una opzione di questo tipo dovrebbe ridisegnare il sistema a partire dalle norme in materia di immigrazione e dalla individuazione delle risorse per affrontare il tema delle dipendenze e dei disturbi mentali fuori dal carcere. Nell’istituzione penitenziaria, e nei suoi operatori, occorre creare coesione istituzionale, coordinamento tra le diverse istituzioni, per un operare congiunto e mirato al contrasto della criminalità. Da tempo, sono state evidenziate reiteratamente due caratteristiche, che costituiscono gli elementi fondamentali della crisi del sistema penitenziario, vale a dire il sovraffollamento della popolazione detenuta e le carenze di organico del personale, cioè due fattori inversamente proporzionali, difficili da contrastare ma che, comunque, devono essere affrontati con fermezza e con senso di responsabilità. Circa il primo aspetto, abbiamo l’adozione del braccialetto elettronico, facendo presente anche mediante la televisione gli ingenti oneri economici sostenuti dall’Amministrazione, da anni, in merito; ha rilevato l’importanza di ampliare le misure alternative della pena, in modo da deflazionare le presenze in carcere ed accrescere gli arresti domiciliari, la cui vigilanza e controllo ben potrebbe essere affidata alla polizia penitenziaria, previo un incremento indispensabile di almeno 3.000 unità. Ultimamente è’ stata presentata ed è giacente presso la Commissione Giustizia della Camera dei Deputati la proposta parlamentare di creare una Direzione Generale del Corpo di polizia penitenziaria, a cui attribuire effettivamente la gestione istituzionale del Corpo. Il SAPPe è perfettamente consapevole delle urgenze operative del Corpo e degli inconvenienti quotidiani che lo assillano: alcune incongruenze è stato possibile superarle e codificarle in sede di contratti collettivi e di Accordo Quadro Nazionale, per altre occorre necessariamente la disponibilità dell’Amministrazione se non quella del legislatore, del Parlamento, del Governo.

Nell’ambito del Piano carceri, approvato dal Consiglio dei Ministri, abbiamo ribadito la necessità di un arruolamento immediato di almeno 2.000 unità, a fronte delle circa 6.000 unità che mancano, significando, inoltre, di utilizzare strutture ex mandamentali, che sarebbero già allestite e arredate ai fini di un proficuo utilizzo. In proposito, sono allo studio diverse ipotesi, al fine di consentire il reperimento urgente di 20.000 posti detentivi, da realizzare entro l’anno 2012. Il progetto del Ministro, da noi condiviso, prevede la costruzione di 17 nuovi istituti penitenziari e la ristrutturazione di 47 padiglioni, che potrebbero concretizzarsi in carceri galleggianti, composte di 320 celle di 16 metri, da dividere in due, per un totale di 640 ristretti, alla stregua di esperienze poste in essere in altri Stati e comprensive di aree accessorie per il trattamento e di zone operative. Chiaro è che tale ipotesi rappresenterebbe una soluzione temporanea o quand’anche integrativa e sperimentale, un rimedio nelle more di interventi edilizi consistenti e più tradizionali. Altro progetto riguarda un sistema modulare, vale a dire un edificio in acciaio, con grandi capacità di resistenza agli agenti atmosferici, agli attacchi chimici o ad altri processi deteriorativi, che può essere sopraelevato senza particolari misure strutturali e con costi competitivi e tempi di esecuzione estremamente rapidi. Si tratta di edifici con 600 posti letto realizzati in quattro mesi, con un costo di circa 20 milioni di euro. Non sono importanti misure preventive eclatanti, quello che deve essere inalterato è l’esecuzione della pena, nelle forme previste dall’ordinamento, per il periodo di tempo sentenziato, senza riduzioni nel tempo che vanificano ogni provvedimento punitivo e non costituiscono né un risarcimento per la parte offesa né, tanto meno, un deterrente per la potenziale criminalità. La detenzione deve essere appunto rivisitata in una prospettiva e in una direzione che guardi con un’ottica più leggera quei reati che non destano allarme sociale, stabilendo, al contrario, procedure e pene più rigide quando ricorrano recidive o si tratti di reati particolarmente cruenti che colpiscono, per la dinamica e l’efferatezza, l’opinione pubblica. Infine, per quanto riguarda, in modo più specifico, la Polizia penitenziaria, sembra del tutto inevitabile un provvedimento equiordinamentale di tutti i ruoli e di tutte le qualifiche, all’interno dell’Amministrazione, secondo una proiezione ed un raffronto inequivocabile con le carriere del personale della Polizia di Stato: dopo la legge di riforma si sono realizzate macroscopiche differenze che non hanno assolutamente ragion d’essere. ✦

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Giovanni Battista De Blasis Segretario Generale Aggiunto Sappe deblasis@sappe.it Direttore Editoriale

Ma a quanta gente interessa la condizione delle carceri? Al novanta per cento degli italiani non gliene frega niente i recente è triste constatare che oramai non fa, quasi, più notizia parlare di carceri sovraffollate, degradate, da terzo mondo. Se ne è parlato talmente tanto da inflazionare (per così dire) la notizia, da annoiare l’opinione pubblica fino al punto da indurre l’uomo comune a rispondere «...chissenefrega di come si vive dentro il carcere, dopotutto quelli sono delinquenti... chiudeteli dentro e buttate la chiave.» Sembra brutto, cinico e crudele dire queste cose, ma è la sacrosanta verità. Il carcere, e le sue sofferenze, interessa soltanto chi - per scelta, per dovere o per condanna - viene a contatto con il suo mondo. Mi diceva, qualche tempo fa, un alto dirigente del Dap: «Qui in questo palazzo, abbiamo perso il senso della realtà. Pensiamo che il carcere sia l’ombelico del mondo, che tutta l’Italia(politica, governo, stampa, opinione pubblica) sia disponibile ad ascoltarci e pronta ad aiutarci. Invece la verità è che del carcere non frega niente a nessuno e noi siamo autoreferenziali ed emarginati dalla società.» Condivido, pienamente, la sua opinione. In realtà, basta soffermarsi, anche superficialmente, ad analizzare il fenomeno carcere dal punto di vista sociologico per comprendere come sia vero quanto affermato da quel dirigente. Quanta gente è interessata al carcere ? Proviamo a fare due rapidi calcoli. Le persone condannate o in custodia cautelare che entrano ed escono dal carcere, nel corso dell’anno, sono (più o meno) centomila. Familiari, parenti ed amici, dovrebbero essere una media di tre ciascuno per un totale di trecentomila. Avvocati, Magistrati e personale dell’amministrazione giudiziaria, diciamo centomila. Associazioni di volontariato, presumibilmente, diecimila. Altrettanti diecimila tra insegnanti, religiosi, esperti e consulenti. Personale della Polizia Penitenziaria e personale civile conta in totale meno di cinquantamila persone alle quali, ammesso e non concesso siano interessati, si possono aggiungere i familiari, per diventare potenzialmente duecentomila. Consideriamo, per eccesso, qualche altra decina di migliaia di persone in qualche modo interessate, tra politica, locale e nazionale, sanità, ditte esterne e altre figure. In totale, come possiamo vedere, si arriva ad assommare all’incirca sette/ottocentomila persone. Ciò vale a dire, poco più dell’uno per cento del totale della popolazione italiana. E il dato assume un valore ancor più significativo se confrontato con quello di altri settori della società. Si pensi, ad esempio, alla scuola che interessa decine di milioni di persone, o alla sa-

nità che interessa - praticamente - tutti. E’ immediatamente evidente l’enorme predominanza numerica rispetto al mondo penitenziario. E altrettanto si può dire della sicurezza, dell’informazione, della politica, del turismo, dei trasporti e così via. Questa, seppur approssimativa, analisi dei numeri e delle percentuali ci dimostra inconfutabilmente che quasi il novantanove per cento della popolazione italiana è disinteressata al carcere e, probabilmente, non ne vuol nemmeno sentir parlare. Per altro verso, è pur vero che in nostro soccorso sopraggiunge la solidarietà delle persone più sensibili (che, fortunatamente, non sono così poche) che si avvicinano alla realtà dell’esecuzione penale soprattutto quando si verificano gli eventi più tragici.

Ma è altrettanto vero, purtroppo, che spesso e volentieri proprio queste persone più sensibili alle difficoltà carcerarie sono quelle che hanno minor potere decisionale per la risoluzione dei problemi e non possono far altro che esprimerci solidarietà e aiutarci a coinvolgere la restante opinione pubblica. E la questione finisce per avvolgersi sul suo stesso circolo vizioso. Ovviamente, tutto ciò non significa affatto che siamo deputati a soccombere sotto le macerie di un sistema inevitabilmente destinato al collasso sociale e strutturale. Comunque, non soccomberemo senza combattere contro l’indifferenza della gente comune e contro l’autoreferenzialità dei nostri dirigenti troppo spesso indaffarati a difendere la propria poltrona situata negli ultimi piani delle loro torri d’avorio. Abbiamo disperatamente bisogno dell’aiuto della Casalinga di Voghera e del Commerciante di Benevento, ma abbiamo anche bisogno di un radicale rinnovamento della classe dirigente dell’amministrazione penitenziaria, troppo sedimentata sul potere ed arroccata a difendere le proprie rendite di posizione. ✦

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Giovanni Battista Durante Segretario Generale Aggiunto Sappe durante@sappe.it Responsabile redazione politica

Funzione riuducativa della pena, tutela della collettività e delle vittime di reati

Intervento al seminario del 19 marzo 2010 al Comune di Bologna - 2ª parte (La prima parte è stata pubblicata sul n.171 di marzo 2010) .4. Riorganizzazione del sistema e prospettive future

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Partendo proprio da questo possiamo affermare che la pena detentiva, quindi, il carcere, svolge anche una funzione di sicurezza, isolando dalla società quei soggetti che sono pericolosi, per un tempo più o meno lungo. Per garantire tutto ciò, sicurezza da una parte e emenda dall’altra, è necessario procedere ad una riorganizzazione degli istituti penitenziari, attraverso la previsione di tre tipologie diverse, nell’ambito di ciascuna regione. Bisogna creare istituti di massima sicurezza, dove dovrebbero essere reclusi gli appartenenti alla criminalità organizzata ed i terroristi, istituti a custodia attenuata, destinati ai soggetti meno pericolosi, ed istituti a trattamento avanzato, dove possono accedere coloro che sono in una fase avanzata del programma di recupero. La pena detentiva non è sempre e comunque utile, significando con ciò che molte volte sarebbe più utile una espiazione della pena in forma diversa da quella detentiva. A volte c’è un eccessivo ricorso alla pena detentiva, soprattutto per reati che non destano grave allarme sociale e per soggetti ai quali il carcere non è in condizione di garantire un’adeguata protezione, assistenza e, quindi, tutte quelle iniziative finalizzate al recupero sociale e alla prevenzione. Tossicodipendenti, malati di mente ed emarginati hanno più bisogno di chi si fa carico dei loro bisogni, piuttosto che del carcere. Il carcere non ha nulla da offrire a questi soggetti bisognevoli di cure ed assistenza; non ha nulla da offrire, se

non il momentaneo isolamento dalla società civile, la c.d. incapacitazione. Il nostro ordinamento prevede che i soggetti tossicodipendenti condannati a pena detentiva fino a sei anni, quattro anni per reati di particolare gravità, possano essere ammessi all’esterno, attraverso gli istituti della sospensione della pena e dell’affidamento terapeutico, qualora abbiano terminato positivamente, ovvero intendano sottoporsi, ad un programma di recupero. Nonostante il nostro ordinamento contempli una normativa all’avanguardia, i tossicodipendenti continuano a rimanere in carcere. Le maggiori difficoltà derivano dalla presenza di molti detenuti stranieri, la maggior parte dei quali extracomunitari e senza fissa dimora. Le istituzioni devono fare di più per affrontare questo problema. C’è anche bisogno di un maggiore impegno degli enti locali. L’altro aspetto problematico, rispetto al quale il carcere può fare ben poco, è rappresentato dal disagio mentale che non riguarda solo gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, ma tutti gli istituti penitenziari, dove molti soggetti soffrono di patologie che è difficile curare. Spesso questo tipo di disagio si combina con quello derivante dalla tossicodipendenza. I tanti detenuti che compiono gesti di autolesionismo o suicidari, ricordiamo che dal 2000 ad oggi ci sono stati più di 500 suicidi (14 dall’inizio di quest’anno) e circa 1400 tentativi di suicidio, sono quasi sempre persone che vivono questo tipo di disagio. Se è vero, come è vero, che in ogni suicidio c’è il fallimento dell’istitituzione penitenziaria, è altrettanto vero che alcune sentenze dei tribunali civili sconcertano non poco gli addetti ai lavori. I tribunali di Milano, Roma

e Bologna, (in quest’ultimo caso c’è stata anche la pronuncia in appello) hanno condannato l’Amministrazione penitenziaria a risarcire i familiari dei detenuti morti in carcere, perché l’Amministrazione non avrebbe assolto al suo obbligo di protezione della persona detenuta, nel primo caso evitando che inalasse il gas della bomboletta in dotazione, nel secondo caso evitando che assumesse sostanze stupefacenti, nel terzo caso evitando che si impiccasse. Il rischio maggiore di tutte queste vicende è che qualora dovesse essere riscontrata la colpa grave si agirebbe in rivalsa nei confronti del personale. Se la pena così com’è non è sempre utile bisogna evidentemente trovare delle forme alternative che siano più efficaci. Dal 1975 ad oggi il nostro ordinamento è stato adeguato ai principi della citata sentenza n. 204 del 1974, attraverso la previsione di varie forme di detenzione alternativa che, nel corso del tempo, hanno dimostrato di essere efficaci, laddove sono state applicate a persone meritevoli. Distorsioni ce ne sono anche qui: non si comprende come sia stato possibile concedere dei benefici ad un soggetto come il mostro del Circeo, basterebbe guardarlo in faccia per capire chi si ha di fronte. Detto ciò, però, è ampiamente dimostrato che coloro che passano direttamente dal carcere alla società esterna hanno una recidiva molto più alta, circa il 70%, rispetto a quelli che passano attraverso il filtro delle misure alternative che, è bene ribadirlo, costituiscono una modalità diversa di espiazione della pena, ma sono pur sempre una pena. Probabilmente è giunto il momento di pensare anche a qualche altra forma di espia-

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zione della pena, sicuramente più efficace del carcere. Che senso ha condannare ad una pena detentiva chi ha rubato in un supermercato? Sarebbe molto più efficace fargli pulire il supermercato per un certo periodo, così come sarebbe molto più utile far pulire i muri a chi li imbratta. Il lavoro sostitutivo, come misura alternativa alla detenzione, per alcuni reati di minore entità e che non destano grave allarme sociale, potrebbe essere un efficace e utile deterrente, rispetto all’espiazione della pena in carcere. Ci convincono le iniziative del ministro della Giustizia Alfano, relativamente alla possibilità di far scontare agli arresti domiciliari l’ultimo anno di detenzione, così come ci convince anche l’istituto della messa in prova per i condannati alla pena della reclusione fino a tre anni. Sono due iniziative che hanno anche una funzione rieducativa, oltre che deflattiva, proprio perchè consentono al condannato di espiare tutta la pena, ovvero la parte residua, fuori dal carcere. Il piano carceri consente di assumere 2000 agenti della polizia penitenziaria, un’iniziativa importante, anche se bisogna fare di più, visto che ne mancano oltre 5000. La pena detentiva, ma qualsiasi tipo di pena, diventa inutile, anzi, dannosa, quando viene inflitta ed espiata a distanza di molti anni dalla commissione del reato. Rispetto a questo problema diventa fondamentale la possibilità di celebrare i processi in tempi rapidi, assicurando alla giustizia i colpevoli dei reati. E’ questo l’aspetto fondamentale rispetto al quale, a mio avviso, deve essere incentrato il discorso sulla certezza della pena. 2. Tutela della collettività e delle vittime di reati. La pena è certa quando viene inflitta dal giudice in sentenza, è incerta fino a quando è solo comminata, cioè prevista dal codice e dalle leggi speciali. Quindi, certezza della pena vuol dire capacità di individuare i responsabili dei reati, riuscire a condannarli in tempi brevi e fargli scontare la pena inflitta dal giudice, nel rispetto dei principi dell’ordinamento. Oggi, purtroppo, nel nostro Paese l’80% degli autori dei reati restano ignoti, su 100 delitti solo 40 circa vengono portati a co-

noscenza della giustizia penale, meno di dieci arrivano al processo, più della metà ottengono l’assoluzione o il proscioglimento. Solo l’1% di coloro che delinquono vengono condannati. Pertanto, coloro che commettono reati lo fanno con la consapevolezza di restare impuniti nel 99% dei casi. Tutto ciò non fa che accrescere il senso di insicurezza nei cittadini. Se solo l’1% di coloro che commettono reati vengono puniti, come fa la gente a sentirsi tutelata dallo Stato? Ci sono reati rispetto ai quali, ormai, c’è una profonda rassegnazione da parte dei cittadini, molti dei quali fanno la denuncia ai soli fini statistici, consapevoli del fatto che non saranno mai risarciti del mal tolto. Altri, a volte, evitano di denunciare. Le statistiche ci dicono che i reati sono in calo. Visto l’autorevolezza della fonte, il Ministero dell’Interno, bisogna crederci, anche se ritengo che, probabilmente, sono in calo solo alcuni reati. In passato si è pensato sempre troppo poco a coloro che i reati li subivano, cioè le vittime ed i loro famigliari. Al centro dell’attenzione c’è sempre stato colui che il reato lo commetteva. Per molti anni sono prevalse certe concezioni sociologiche della devianza, frutto di teorie antiproibizionistiche, che consideravano il reo vittima di una società oppressiva e incapace di comprendere le sue esigenze e le sue idee, i suoi disagi. Esigenze e idee che erano spesso prive di qualsiasi utilitarismo sociale. Ciò è avvenuto per il fenomeno del terrorismo, ma anche e troppo spesso per fenomeni delinquenziali comuni. Caino era sempre al centro dell’attenzione ed Abele finiva dimenticato da tutti. Si tratta di quelle teorie che consideravano anche il carcere un’istituzione inutile e da abbattere. Credo che nessuno sia innamorato del carcere, come luogo di espiazione della pena. Il carcere come tale, però, serve, è utile, con tutti i distinguo e le lacune che sono state evidenziate. Certo, sarebbe meglio poter vivere in una società di onesti, dove non c’è bisogno del carcere, della polizia, dei magistrati. Questa realtà, purtroppo, non esiste: è l’isola dell’utopia. Finora, nessuno è riuscito a trovare qualcosa di meglio e di più efficace, se non altro al fine di isolare dalla società quanti sono veramente pericolosi.

Negli anni, ci si è spesso dimenticati che la pena, oltre alla funzione di emenda, aveva ed ha anche una funzione retributiva, intesa come retribuzione per la violazione del precetto, ma anche come retribuzione per il danno arrecato alle vittime del reato, tra le quali gli appartenenti alle Forze di polizia ed alla magistratura annoverano tanti eroi. Da alcuni anni a questa parte, grazie soprattutto all’impegno delle associazioni, la situazione è migliorata, sia per quanto riguarda l’attenzione posta dalle istituzioni a questo problema, sia per quanto riguarda le iniziative concrete.

Esiste una legge nazionale, la n. 512 del 1999, che prevede la costituzione di uno speciale Fondo di solidarietà, per garantire l’effettivo risarcimento dei danni liquidati in sentenza. La Regione Emilia Romagna, nel 2003, ha approvato una legge, la n. 24, che ha previsto l’istituzione di una fondazione per il risarcimento dei danni, nonché la figura del referente per la sicurezza. Si tratta di un’iniziativa importante, anche se non conosco quali siano i risultati applicativi. L’altro aspetto importante di questa legge, sia come affermazione di principio, sia come concreta possibilità di realizzazione, riguarda la sicurezza integrata, ovvero partecipata. Fermo restando che lo Stato e, quindi, le agenzie a ciò preposte, hanno l’obbligo e il compito di tutelare la collettività, garantendone la sicurezza, ogni buon cittadino deve contribuire a garantire la propria sicurezza e quella della collettività in generale. Ciò può avvenire esclusivamente se ci sono dei valori fondamentali condivisi da tutti, ovvero dalla maggioranza dei cittadini onesti; valori che afferiscono al principio di legalità. La sicurezza e la giustizia sono dei corollari

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del più generale principio di legalità che deve essere salvaguardato sopra ogni cosa. Se viene meno la legalità vengono meno sia la giustizia, sia la sicurezza e, quindi, la tutela della collettività. La cultura della legalità deve essere il valore fondante di ogni società. La famiglia e la scuola sono le istituzioni che più di ogni altra devono svolgere un ruolo determinante da questo punto di vista, perché sono quelle deputate più di ogni altra all’educazione dei giovani, soprattutto nella fase che va dall’infanzia all’adolescenza. Pertanto, bisogna fare molto da questo punto di vista, mettendo da parte, proprio all’interno di queste istituzioni, soprattutto della scuola, ogni velleità politica e lasciando che i giovani si formino il proprio convincimento attraverso lo studio, la conoscenza e le esperienze di vita. La cultura e, quindi, il rispetto della legalità sono sicuramente i migliori deterrenti per la tutela della collettività. A ciò bisogna evidentemente contribuire anche attraverso la riduzione del deficit, inteso come disagio e carenze socio-culturali ed economiche. La difesa sociale e, quindi, la tutela della collettività, passano necessariamente attraverso la prevenzione; una prevenzione che, ormai, non può più essere affidata esclusivamente alle agenzie a ciò preposte. Oggi non si può più parlare di sicurezza e di tutela della collettività nel senso tradizionale del termine, nel senso, cioè, che tutto è demandato alle Forze di polizia. Le Forze di polizia sono gli attori principali, coloro che sono responsabili della sicurezza in generale, ognuno per la propria parte di competenza, ma di sicurezza e di tutela della collettività si deve parlare in maniera integrata, con la partecipazione di tutti, per quanto possibile, e con l’ausilio delle tecnologie, per un controllo più efficace delle zone a rischio, così come è necessario, in ogni città, un adeguato piano edilizio, per evitare che si formino agglomerati urbani tendenti al degrado. Oggi, ogni cittadino deve rendersi parte diligente. Esiste sicuramente una dimensione pubblica della tutela della collettività che solo lo Stato può e deve garantire, ma ce n’è anche una privata rispetto alla quale il cittadino deve cominciare a pensare da sé, almeno per quanto riguarda la difesa dei propri beni. ✦

Il dramma dei suicidi e delle morti in carcere on la morte Daniele Bellante, 31 anni, avvenuta il 13 aprile scorso nel carcere romano di Rebibbia, sale a 20 (5 gli extracomunitari) il totale dei detenuti suicidi dall’inizio dell’anno. Il dato ufficiale del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, ripreso dall’agenzia di stampa Ansa, è addirittura superiore all’ultima stima del Centro di documentazione sul carcere Ristretti Orizzonti di Padova, che conta invece 18 suicidi in cella. Se è vero che il reale motivo di talune morti resta da chiarire (alcuni detenuti sono stati trovati privi di vita dopo aver utilizzato il butano delle bombolette da camping come sostanza stupefacente e non per suicidarsi), quel che emerge scorrendo l’elenco del Dap è che solo sei detenuti stavano scontando una condanna definitiva. Gli altri erano per lo più in attesa di primo giudizio (in sei), oppure ricorrenti contro una sentenza di primo grado o di appello (due detenuti), internati in case lavoro (i due che si sono tolti la vita a Sulmona), oppure con situazione giuridica mista (quattro). Il 2009 è stato l’anno nero delle morti nelle carceri italiane (72 suicidi), ma da come è comin-

ciato il 2010 il dato rischia di essere ben piu’ pesante tra otto mesi. Il sovraffollamento (67.206 detenuti al 31 marzo scorso contro una capienza regolamentare di 44.236 posti e un limite tollerabile di 66.979 posti) di certo non aiuta sotto il profilo psicologico coloro che per la prima volta mettono piede in carcere o che sono in attesa di giudizio. E’ ovvio e comprensibile che il drammatico fenomeno dei suicidi in carcere ci preoccupa. La carenza di personale di Polizia Penitenziaria (oltre 6 mila carenze in organico!), di educatori, di psicologi e di Personale medico specializzato, il sovraffollamento dei carceri italiani è tema che si dibatte da tempo, senza soluzione, ed è concausa di questi tragici episodi. Anche il passaggio della sanità penitenziaria al servizio nazionale pubblico (ultimo atto del fu Governo Prodi che venne assunto contro il parere di tutti gli operatori del settore) ha indubbiamente determinato problemi all’assistenza (anche psicologica) ai detenuti. E per colpa di queste scelte sbagliate, il personale di Polizia Penitenziaria è stato ed è spesso lasciato solo a gestire all’interno delle nostre carceri moltissime situazioni di disagio sociale.

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Roberto Martinelli Segretario Generale Aggiunto Sappe martinelli@sappe.it Capo Redattore

Un importante studio dell’Organizzazione mondiale della Sanità, agenzia specializzata dell’Onu per la salute, sulla prevenzione del suicidio nelle carceri, ha messo in evidenza come i detenuti, come gruppo, hanno tassi di suicidio più elevati rispetto alla comunità. All’interno degli istituti di pena non solo vi è un numero maggiore di comportamenti suicidari, ma gli individui che subiscono il regime di detenzione presentano frequenti pensieri e comportamenti suicidari durante tutto il corso della loro vita. I detenuti in attesa di giudizio e i detenuti condannati hanno un tasso di tentativo di suicidio rispettivamente di 7.5 e 6 volte maggiore dei maschi nella popolazione generale. Questi dati ci riportano anche a un problema di base riguardante le cause del suicidio in ambiente carcerario. Da una parte, le persone che infrangono la legge portano con sé diversi fattori di rischio per il suicidio (importano il rischio), e tra di loro il tasso di suicido continua ad essere più elevato anche dopo la scarcerazione. Ciò non significa che l’ambiente detentivo non abbia un impatto nello sviluppo degli atti suicidari, e d’altra parte è proprio quando questi individui vulnerabili sono all’interno dell’istituzione carceraria, e quindi raggiungibili, che andrebbero trattati. In più, la detenzione in sé e per sé è un evento stressante anche per i detenuti sani, in quanto priva la persona di risorse basilari. Tra i fattori di rischio individuali che, se presenti in qualsiasi combinazione, potrebbero contribuire ad innalzare il rischio suicidario tra i detenuti è stato messo in evidenza l’impatto psicologico dell’arresto e dell’incarcerazione, le crisi di astinenza dei tossicodipendenti, la consapevolezza di una condanna lunga, o lo stress quotidiano della vita in carcere possono superare la soglia di resistenza del detenuto medio, e a maggior ragione di quello a rischio elevato. Ma non si può e non si deve chiedere unicamente al Personale del Corpo di

accollarsi la responsabilità di tracciare profili psicologici che possano eventualmente permettere di intuire l’eventuale rischio di autolesionismo da parte dei detenuti. Noi questo, nonostante tutto, già lo facciamo. Se non fosse infatti per la professionalità, l’attenzione, il senso del dovere dei poliziotti penitenziari le morti per suicidio in carcere sarebbero molte di più di quelle attuali. Il nostro Corpo è costituito da persone che nonostante l’insostenibile, pericoloso e stressante sovraffollamento credono nel proprio lavoro, che hanno valori radicati e un forte senso d’identità e d’orgoglio. Persone che lavorano ogni giorno, nel silenzio e tra mille difficoltà ma con professionalità, umanità, competenza e passione nel dramma delle sezioni detentive italiane. I poliziotti e le poliziotte penitenziari italiani nel solo 2008 sono intervenuti tempestivamente in carcere salvando la vita a ben 683 detenuti che hanno tentato di suicidarsi ed impedendo che i 4.928 atti di autolesionismo posti in essere da altrettanti ristretti potessero degenerare ed ulteriori avere gravi conseguenze. Si pensi che la pertinente Commissione dipartimentale, presieduta dal Capo del Dipartimento, ha conferito nel 2008 e nel 2009 ben 292 ricompense (1 encomio solenne, 36 encomi, 252 lodi e 2 premi in denaro) a donne e uomini della Polizia Penitenziaria che si sono contraddistinti per atti di coraggio ed altruismo, come – moltissimi - il salvare la vita a detenuti che stavano tentando di ammazzarsi in cella! Questo è un aspetto importante della realtà quotidiana della professione del poliziotto penitenziario, che andrebbe anche mediaticamente messo in particolare evidenza.

Credo che il numero dei suicidi e delle morti in carcere potrebbero ridursi per effetto di una revisione complessiva ed organica del sistema penitenziario. E’ allora auspicabile che il Piano carceri del Governo trovi una prima urgente applicazione nelle parti in cui si prevedono interventi normativi finalizzati ad assumere 2mila Agenti di Polizia Penitenziaria e a introdurre la possibilità di detenzione domiciliare per chi deve scontare solo un anno di pena residua e di messa alla prova (eventualmente avvalendosi anche

di procedure di controllo come il braccialetto elettronico, che ha finora fornito in molti Paesi europei una prova indubbiamente positiva) delle persone imputabili per reati fino a tre anni, che potranno così svolgere lavori di pubblica utilità. In questo contesto di elevate criticità, è ora che la Politica (quella con la “P” maiuscola, se ancora esiste) metta da parte le polemiche e si impegni per una nuova politica della pena, necessaria e non più differibile, che ripensi organicamente il carcere e l’Istituzione penitenziaria, varando una legislazione penitenziaria che preveda un maggiore ricorso alla misure alternative alla detenzione, delineando nel contempo per la Polizia Penitenziaria un nuovo impiego ed un futuro operativo, al di là delle mura del carcere, parallelamente all’affermarsi del suo ruolo quale quello di vera e propria polizia dell’esecuzione penale. ✦

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Nella foto, l’ingresso del carcere di Rebibbia a Roma

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Lo SPORT “D’EVASIONE” essun agente teme i momenti nei quali l’evasione è solo l’occasione che i detenuti hanno per praticare uno sport fuori dalle mura di un carcere. Nessuno può altresì disconoscere l’importanza che lo sport riveste nello svolgimento dell’attività trattamentale per il reinserimento nella società di chi oggi sta scontando una pena ma domani sarà di nuovo in libertà e dovrà nuovamente confrontarsi con altra gente attenendosi, si spera, alle regole della società civile. Lo sport è uno strumento di apprendimento indiretto relativamente al rispetto delle regole: rispetto del regolamento della disciplina che si pratica, rispetto per l’avversario che ti con-

mento sociale degli stessi. Il trattamento é attuato secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti. Art. 17 Partecipazione della comunità esterna all’azione rieducativa La finalità del reinserimento sociale dei condannati e degli internati deve essere perseguita anche sollecitando ed organizzando la partecipazione di privati e di istituzioni o associazioni pubbliche o private all’azione rieducativa. Sono ammessi a frequentare gli istituti penitenziari con l’autorizzazione e secondo le direttive del magistrato di sorveglianza, su parere favorevole del direttore, tutti coloro che avendo concreto interesse per l’opera di risocializzazione dei detenuti dimostrino di potere utilmente promuovere lo sviluppo dei contatti tra la comunità carceraria e la società libera. Art. 27 Attività culturali, ricreative e sportive

Sopra, il logo dell’Unione Italiana Sport per tutti (UISP)

tende la vittoria, rispetto della possibilità di poter anche perdere perché la vittoria o il prevalere su qualcun altro non sono il diritto di nessuno, dentro o fuori il carcere, nello sport come nella vita. L’importanza dell’attività motoria in carcere non è trascurata neppure dal nostro ordinamento penitenziario che, avvalorando la tesi secondo cui essa rappresenta a pieno titolo uno strumento di aggregazione universale nella realtà multietnica e multiculturale del nostro sistema carcerario, la prevede espressamente nella legge di riforma n° 354/75 . Alcuni significativi stralci della legge ci pare giusto ricordarli. Art.1 Trattamento e rieducazione

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Nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l’ambiente esterno, al reinseri-

Negli istituti devono essere favorite e organizzate attività culturali, sportive e ricreative e ogni altra attività volta alla realizzazione della personalità dei detenuti e degli internati, anche nel quadro del trattamento rieducativo. Una commissione composta dal direttore dell’istituto, dagli educatori e dagli assistenti sociali e dai rappresentanti dei detenuti e degli internati cura la organizzazione delle attività di cui al precedente comma, anche mantenendo contatti con il mondo esterno utili al reinserimento sociale. L’Unione Italiana Sport per Tutti (UISP) di Roma è una delle associazioni che si occupa di promuovere, gestire ed organizzare attività motorie, sportive e ludico-ricreative all’interno degli Istituti di Pena. All’interno degli Istituti di Reclusione lo sport è inserito in tutte quelle attività rieducative che i detenuti sono chiamati a frequentare durante il periodo di privazione della libertà personale. Lo sport è a tutti gli effetti riconosciuto come un elemento che concorre alla riabilitazione del detenuto, assieme, e con pari dignità, alla scuola, al lavoro, alla formazione universitaria. Lo sport in carcere è collegamento con la società esterna. Il Vivicittà, la corsa podistica dell’UISP, che attraversa ormai da oltre quindici anni gli Istituti di Rebibbia è per i detenuti l’occasione di cimentarsi nella corsa per cui si sono allenati

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a cura di Lalì info@sappe.it Redazione sportiva

per l’intero anno. Oltre al Vivicittà, altre occasioni per incontrarsi, conoscere e superare le barriere sono le amichevoli e i tornei di pallavolo, calcio e tennis che si svolgono per tutto l’anno sportivo nei vari Istituti di Rebibbia. La Casa Circondariale Rebibbia Femminile, la Casa di Reclusione Rebibbia Penale, l’Istituto a Custodia Attenuata per tossicodipendenti (Rebibbia Terza Casa), la Casa Circondariale Nuovo Complesso di Rebibbia e la Casa Circondariale Regina Coeli sono gli istituti che a Roma svolgono attività sportive per i detenuti. Altri esempi di iniziative simili svolte in Italia sono quelle del carcere di Verona, di Vicenza e, per un certo periodo, anche dalla Casa penale di Padova. Guidati dagli operatori del Centro Sportivo Italiano (Csi) che offrono un supporto tecnico organizzativo ai detenuti che disputano campionati, tutti i progetti di coinvolgimento verso la pratica dello sport sono nati nel 1985, quando si pensò e si diede vita al primo torneo di calcio svolto in carcere. Di lì a poco gli operatori compresero quanto i due peggiori nemici del detenuto fossero l’ozio e la noia. Viene da aggiungere che entrambi lo diventano anche degli agenti della Polizia Penitenziaria quando portano ad atti di insofferenza, ribellione o atti di autolesionismo del recluso come forma di protesta nei confronti della condizione di privazione della libertà senza la possibilità di avere contatti col mondo esterno che la libertà stessa rappresenta. Il vedere facce nuove, l’avere una porzione, sebbene minima, della giornata sconvolta dall’incontro con la gente libera è stato considerato un antidoto contro l’ozio e la noia quotidiana e già nel primo anno di lavoro furono create un buon numero di occasioni in cui ragazzi e adulti non reclusi potevano incontrare la popolazione detenuta grazie al filo rosso delle sport che unisce tanti appassionati senza che la parola detenuto o uomo libero conti più nei minuti di una corsa insieme o di una partita. Per superare le diffidenze delle persone esterne al sistema penitenziario, diventava assolutamente necessario far crescere la conoscenza del carcere e delle relative problematiche ad esso correlate. Anche oggi è un argomento molto sentito quello della trasparenza dell’azione pubblica in tutti i settori che la riguardano (si legga l’articolo 21 della legge Brunetta n° 69/2009). Affinché il sistema carcerario italiano possa diventare il più possibile una “casa di vetro” osservabile anche dal di fuori nel rispetto dei limiti imposti dal regime di detenzione, ben vengano iniziative di questo tipo: guardare le strutture dove tanta gente sta scontando la sua pena, venire a contatto con i reclusi accorgendosi che si tratta innanzitutto di persone, conoscere gli operatori che vigilano su di loro, comprendere quindi il lavoro quotidiano della Polizia Penitenziaria e capire che tra quelle mura non c’è nulla da nascondere è, secondo chi scrive, il primo passo fondamentale perché il sistema penitenziario non sia guardato con sospetto. Come il proferire qualcosa all’orecchio appare un ordire mi-

steriose congiure, così tenere fuori il carcere da una maggiore visibilità arriva agli occhi degli esterni come un tentativo di coprire chissà quali condotte maturate nel lavoro tra le celle e i corridoi. E’ bene, sul punto, fare una riflessione.

A fianco, Cecilia Maffei con le compagne di staffetta

Ma tornando ai ragazzi del Csi, l’allora Provveditore agli Studi di Verona dott. Marco Janeselli si dimostrò entusiasta dei loro progetti tanto da emanare nel 1988 una circolare che permetteva l’iniziativa di poter accedere al carcere alle scuole che lo avessero voluto. Il primo anno vi presero parte un paio di scuole, e dai colloqui con gli studenti e con i loro professori emergeva che valutavano in modo estremamente positivo l’esperienza dando una preziosa conferma: unire carcere e scuola serve, è utile non solamente ai detenuti che usufruiscono di una sensibile ventata di aria fresca e di positivi esempi (i giovani sono sempre molto considerati dalla persona detenuta) ma soprattutto agli attori, i fruitori dell’iniziativa, ossia gli studenti.

Sopra, una fase della manifestazione Vivicittà a Roma Rebibbia

La divisione dei sessi era pressoché assoluta e tutti i minorenni in ogni modo erano esclusi. Dopo un paio di anni fu presa la decisione di portare il carcere in trasferta. I detenuti, sfruttando l’articolo 30/ter della legge Gozzini (approvata nel frattempo dal Parlamento) potevano avere la possibilità, per una volta di incontrarsi con la comunità esterna al di fuori del carcere. L’idea va avanti con successo e, ad oggi, i detenuti che hanno potuto usufruire di questa speciale iniziativa hanno ormai superato le 2000 unità.

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sotto, bandiera e logo CSI

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A fianco, detenuti giocano a calcio sotto, la copertina del libro di Francesco Ceniti

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Tra le attività più significative del Csi in quel di Vicenza, va ricordato il quadrangolare di maggio 2002 disputatosi tra una formazione di detenuti, il Vicenza calcio e la squadra degli agenti di Polizia Penitenziaria di Vicenza. Da segnalare, ancora, l’iniziativa ormai giunta al terzo anno in favore dei detenuti della sezione alta sorveglianza: un docente di educazione fisica si reca in carcere due volte alla settimana. Una volta al mese, invece, al selezione calcistica del campionato dilettanti impegna i carcerati in una partita. Lo stesso C.S.I. ha anche organizzato corsi che hanno diplomato 6 allenatori di calcio e 3 arbitri tra i detenuti. Non più di un anno fa è uscito il libro di Francesco Ceniti, giornalista della Gazzetta dello Sport che si intitola Un carcere nel pallone. E’ il racconto umano delle vicende del Free Opera, la formazione nata all’interno del carcere di Opera (Milano), interamente formata da detenuti. Storie di uomini e calciatori, intrecciate indissolubilmente, storie di sport ma soprattutto storie di vita, perché microcosmo di vita è il carcere. ✦

La tassazione dei Buoni Pasto (tikets restaurant)

ontinuano a pervenire numerose richieste di spiegazioni, sia dalle segreterie sindacali che – soprattutto – dai colleghi, in merito alla vicenda della tassazione dei buoni pasto, sopraggiunta al recente aumento del valore degli stessi. Tanti colleghi, talvolta con la condivisione dei nostri dirigenti sindacali locali, hanno lamentato l’ingiusta ritenuta fiscale operata dall’amministrazione sui nuovi buoni pasto che, a loro dire, vanificherebbe l’aumento ottenuto di recente che aveva elevato allo stesso livello del pubblico impiego il valore dei tickets restaurant. Tutto ciò è vero soltanto in parte ed è opportuno, al riguardo, chiarire alcuni aspetti della vicenda. L'imposizione fiscale sui buoni pasto (o tickets restaurant come dir si voglia) deriva sic et simpliciter dall'applicazione della normativa tributaria previgente , nella fattispecie il T.U. delle imposte sui redditi, che prevede sui buoni pasto percepiti da tutto il pubblico impiego una franchigia esentasse di 5,29 euro, superata la quale deve essere imposto un contributo pari al 9,1 per cento. Da questa previsione normativa è derivato che, a seguito della rideterminazione a 7 euro dei nostri buoni pasto ottenuta nella recente coda contrattuale (DPR 51/2009), è sopravvenuta, appunto, l’applicazione di un'imposta fiscale del 9,1 per cento sulla differenza tra 5 euro e 29 (franchigia esente) e 7 euro, pari a euro 1,71. La tassa che ne deriva, pertanto, è di euro 0,15 per ciascun ticket corrisposto, che per effetto di questa ritenuta diventa, al netto, di euro 6,85. Ovviamente, come già detto, tale tassazione è applicata a tutto il pubblico impiego. In conclusione, seppure la tassazione dei buoni non era mai stata applicata al nostro comparto a causa del valore inferiore ai 5,29 euro precedentemente percepito, la ritenuta subita si limita, tutto sommato, a soli quindici centesimi per ogni ticket. ✦

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fonte: www.poliziapenitenziaria.net

Non è l’incontro sportivo il nucleo centrale dell’iniziativa bensì l’accoglienza. Chi non è disposto a questo, non viene preso in considerazione. E’ questa la ragione per la quale sono spesso negati gli incontri con le varie nazionali siano esse di preti o di musicisti, dove il detenuto è presentato come una specie di attrazione da circo e poi lasciato solo con i propri compagni, dove in sostanza è solamente messo in mostra. Ognuna delle uscite è invece un’accoglienza nella quale per alcune ore non si mette in gioco solo l’ospite ma anche la comunità che ospita l’evento: è solo parlando con il detenuto ed i suoi familiari, mangiandoci a tavola assieme che viene la voglia anche di sapere (e di capire) come si sta dentro, cosa si aspetta fuori dalla gente, come pensa di essere giudicato, se è disposto a cambiare vita.



Lionello Pascone Coordinatore Nazionale Anppe Associazione Nazionale Polizia Penitenziaria

Retributivo, contributivo e misto...

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on la riforma del sistema pensionistico del 1995, i lavoratori con 18 anni di contribuzione maturata al 31 dicembre 1995, hanno mantenuto il c.d. criterio retributivo, con il quale, il computo della pensione viene calcolato unicamente in riferimento all’ultima fase dell’attività lavorativa, certamente più favorevole, potendosi beneficiare degli scatti di anzianità, degli adeguamenti contrattuali, delle progressioni di carriera. Chi in quella data aveva meno di 18 anni di anzianità contributiva è stato collocato in un regime misto di computo pensionistico, retributivo per il periodo anteriore al 31 dicembre 1995, contributivo, per il periodo successivo. Gli assunti dopo l’anno fatidico sono assoggettati ad un regime di computo esclusivamente contributivo basato su una logica di capitalizzazione virtuale dei contributi versati durante l’arco dell’intera vita lavorativa. La sommatoria dei contributi versati determina un montante individuale che viene rivalutato annualmente, considerando come tasso di capitalizzazione la variazione media del PIL (Prodotto Interno Lordo) calcolato dall’Istat. I rallentamenti economici, come quello attuale, si riflettono sulle rivalutazioni del montante pensionistico, che deriva dalla conversione in rendita del totale delle somme accantonate al raggiungimento dell’età pensionabile, moltiplicandolo per un coefficiente di trasformazione che tiene conto delle probabilità di sopravvivenza dell’assicurato alla pensione di povertà, assolutamente inadeguata al sostentamento primario. Viene in mente la famigerata Legge 180, quella dei malati di mente; la disposta

chiusura dei manicomi avrebbe dovuto avere, come correlato, la creazione di specifici centri di cura e di assistenza, che non sono stati mai attivati, con un disastroso effetto sui familiari, gravati dalla esclusività nella gestione dei malati, nonchà sulla comunità sociale. Analogamente, con la riforma del sistema pensionistico, sarebbero dovuti decollare i c.d. Fondi Pensione che, per la maggior parte dei lavoratori, non hanno trovato concretezza, a causa del rimbalzello politico di rinvio, per la sconvenienza nell’attuazione da parte dei Governi di turno. Cosa ancor più grave è che la carenza e la frammentarietà dell’informazione non ingenerano, nei lavoratori la sana percezione del pericolo di avere un domani a disposizione una pensione che non permetterà assolutamente di sbarcare il lunario. Chi va in macchina non percepisce spesso il pericolo della velocità e muore; chi lavora e non percepisce il pericolo pensione è destinato a morire di fame. I saggi, ricchi di pregiata esperienza, quelli che un tempo erano i riferimenti della co-

munità sociale, saranno costretti, claudicanti, a cercarsi, finché avranno forza, una occupazione in nero o, alternativamente, a mendicare. La longevità, già penalizzante nel vecchio sistema pensionistico a causa del congelamento dell’assegno di pensione a fronte del lievitare dei costi di sostentamento ordinario, sanitario e di assistenza, con il nuovo regime pensionistico diventerà fattore di deflagrazione sociale. E’ necessario fornire ai lavoratori esatte informazioni sul pericolo pensione, mettendoli in condizione di effettuare scelte di salvataggio. E’ urgente che la classe politica di governo crei i giusti compensativi di garanzia attuando i correlati meccanismi di salvaguardia previsti all’atto della riforma del sistema pensionistico, per scongiurare l’imponente pericolo ed assicurare dignità a chi lavora onestamente per una vita. Bisogna attivarsi, ora, per scongiurare l’imponente pericolo, assicurando dignità a chi lavora onestamente per una intera vita. ✦

Polizia Penitenziaria - SG&S 172 - aprile 2010 Polizia Penitenziaria - SG&S n. n. 167 - novembre 2009


AVELLINO: unadelegazione dell’ANPPe partecipa al precetto Pasquale In data 26 Marzo, in occasione della Santa Pasqua nella Chiesa Cattedrale di Napoli è stato celebrato il Precetto Pasquale Interforze, organizzato quest’anno dall’Amministrazione Penitenziaria Regionale. La solenne Liturgia Eucaristica è stata officiata da Sua Eccellenza Reverendissima Cardinale Crescenzio Sepe , Arcivescovo Metropolita di Napoli e concelebrata dai Cappellani delle varie Forze di Polizia. La Cerimonia, organizzata dal Provvedi-

torato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria Campania in maniera impeccabile, ha visto la partecipazione delle massime Autorità Civili e Militari della Regione . L’A.N.P.Pe (Associazione Nazionale Polizia Penitenziaria) con una propria rappresentanza e con il Gonfalone concesso per Decreto dal Presidente della Repubblica ha partecipato alla manifestazione A margine dell’evento Sua Eccellenza

Cardinale Sepe ha incontrato una delegazione del S.A.P.Pe composta dal Segretario Nazionale Emilio Fattorello e dei delegati Carlo Lettieri e Attilio Russo. ✦

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Ragusa: Alessandria: istituito il Volontariato ANPPe premio «semper La sezione ANPPe di Alessandria ha iniziato una collaborazione con la locale polizia per il servizio di volontari sociali. Justitia Fidelis» municipale L’associato Sovrintendente Capo in congedo Milano Antonio, iscritto A.N.P.P.E. di Alessandria, ha iniziato nel mese di marzo il servizio presso le strutture comunali che richiedono questo tipo di intervento. Presto inizieranno il servizio altri volontari che copriranno tutto il fabbisogno comunale. ✦

Nella foto, Giovanni La Magra

La Segreteria provinciale di Ragusa (con il Presidente Giovanni La Magra), nella riunione del Consiglio Direttivo del 15 marzo 2010, ha deliberato l’istituzione del premio «SEMPER JUSTITIA FIDELIS» da assegnare a tutti coloro che sono fedeli alla giustizia. Il premio per la prima edizione è stato assegnato alla Sezione ANPPe Antonio Tramacere di Rovigo. La consegna del premio avverrà il 17 aprile 2010 a Venezia, in occasione della celebrazione della Madonna della Sfida direttamente nelle mani del presidente della sezione ANPPe di Rovigo Cav. Roberto Tramacere. ✦

Busto Arsizio: lutto in sezione

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Nei giorni scorsi è deceduta la figlia di Francesco La Polla, socio della sezione di Busto Arsizio. La Redazione e la Segreteria Nazionale si stringono attorno al carissimo amico per il gravissimo lutto.

Per evitare gli acciacchi della vecchiaia, niente di meglio del servizio di volontariato Se poi ci si dedica all’aiuto dei più piccoli nei compiti scolastici, anche il cervello ne trae beneficio. Un gruppo di ricercatori dell’Università della California ha intervistato più di un migliaio di ultrasettantenni in buone condizioni di salute: un quarto si prendeva cura dei nipotini, il 28 per cento svolgeva attività di volontariato mentre meno del 20 per cento era ancora impegnato in un lavoro retribuito. «Rispetto a chi si godeva la pensione senza fare nulla, tutti costoro, dopo tre anni, avevano meno probabilità di trovarsi in condizione di fragilità, cioè di aver perso peso, forza e voglia di muoversi» Difficile, però, stabilire quale fosse la causa e quale la conseguenza: si potrebbe obiettare che all’inizio dello studio erano verosimilmente più attivi proprio coloro che stavano meglio. «Tenendo conto di questo, emerge che solo il volontariato ha un effetto davvero protettivo». Una prova in più a sostegno del lavoro presentato l’anno scorso al Congresso annuale dell’American Geriatrics Society, secondo cui i pensionati oltre i 65 anni che fanno volontariato hanno un rischio di morire che è pari alla metà di quello degli altri loro coetanei. Sono stati sottoposti a risonanza magnetica del cervello otto volontari seguendo un programma che prevede di affiancare tutori anziani ai bambini delle elementari in condizioni disagiate, per aiutarli in lettura e in matematica. Non è un impegno da poco: circa duemila uitracinquantacinquenni, in una ventina di città degli Stati Uniti, seguono corsi di aggiornamento di almeno quaranta ore prima di dedicarsi a questa attività che li assorbe per non meno di 15 ore settimanali. «Ma i frutti ci sono da ambo le parti» commenta la ricercatrice. Oltre ai miglioramenti nei bambini, ce ne sono anche sulle volontarie: «Sebbene le donne che abbiamo esaminato fossero considerate, all’inizio dello studio, ad alto rischio di declino cognitivo, perché, oltre a essere a basso reddito e non particolarmente colte, già “perdevano qualche colpo” nei test - spiega la ricercatrice, dopo sei mesi di sostegno ai bambini, la situazione appariva ribaltata: le aree del loro cervello, responsabili della cosiddetta “funzione esecutiva” da cui alla fine dipende l’autonomia, apparivano come riattivate». ✦

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Reggio Calabria: partecipazione al precetto Pasquale Il 30 marzo 2010, una delegazione ANPPe della sezione di Reggio Calabria è stata invitata ufficialmente al precetto Pasquale avvenuto nella Chiesa di «San Giorgio Al Corso» di Reggio Calabria. L’invito ufficiale, pervenuto da parte della Marina Militare per il precetto pasquale, è stato la prima uscita ufficiale della delegazione della sezione ANPPe di Reggio Calabria. Felicitazioni e congratulazioni per qesta nuova sezione che va ad aggiungersi alle altre presenti e numerosissime di tutto il territorio nazionale. ✦

Reggio Calabria: allestita la nuova sede locale ANPPe Il 20 marzo 2010 è terminata la sistemazione della nuova sede ANPPe di Reggio Calabria sita in via Sn Pietro, 15. La nuova sezione, istituita da pochi mesi, già conta più di dieci iscritti ed ha a disposizione, come è ben visibile dalle foto inviate, degli ottimi locali per le attività statutarie. Ben presto verrà allestita anche una sala riunione per i vari incontri che si succederanno nel tempo. ✦

Nelle foto, gli iscritti e la sede di Reggio Calabria

Franco Denisi

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XXI Consiglio Nazionale

I vertici del Sappe riuniti ad Abano Terme

Nelle foto, alcune fasi del Consiglio Nazionale del Sappe

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l 2009 è stato contraddistinto dal Piano edilizio per le carceri, presentato nel mese di aprile dal Capo del Dipartimento, approvato solo il 13 gennaio 2010 dal Consiglio dei Ministri e ancora del tutto inattuato, anche se in questi giorni è stata firmata l’ordinanza dal Presidente del Consiglio dei Ministri che conferisce l’incarico straordinario delle carceri al Dott. Ionta: ormai il sovraffollamento della popolazione detenuta e le carenze di organico sono una emergenza sempre più critica ma di fronte a cui non viene assunto alcun effettivo, concreto provvedimento. In proposito, il SAPPe ha sempre risposto, proponendo una nuova politica della pena, prevedendo un maggiore ricorso alle misure alternative alla detenzione e l’adozione di procedure di controllo mediante strumenti elettronici o altri dispositivi tecnici, come il brac-

cialetto elettronico; efficienza delle misure esterne e garanzia della funzione di recupero fuori dal carcere potranno far sì che cresca la considerazione della pubblica opinione su queste misure: se ne è parlato ampiamente in occasione

del Convegno tenuto a Roma l’8 marzo scorso, alla presenza dei Vertici ministeriali e del D.A.P.. Rispetto ad una situazione così dirompente per l’organizzazione penitenziaria è necessario interrogarsi su che cosa fare e quali iniziative intraprendere. Riteniamo che la politica debba dare delle risposte certe ed immediate. Il piano carceri è una prima e importante risposta, ma bisogna fare ancora di più. Una attenta analisi consente di affermare che un numero rilevante di detenuti fa ingresso in carcere per fattispecie minori, di non particolare gravità e che non appaiono per nulla allarmanti socialmente. Una riflessione equilibrata sulle norme penali che producono carcere e che non comportano un reale ritorno in termini di soddisfazione delle istanze di sicurezza, potrebbe condurre ad interventi normativi, secondo valutazioni da fare caso per caso, che possono essere orientati verso forme di depenalizzazione, oppure verso l’introduzione di sanzioni o misure cautelari (obbligatoriamente) al-

ternative al carcere. Il fenomeno implica, inoltre, una necessaria discussione sui tempi del processo (che certamente incidono notevolmente sulle vicende della custodia) e sul rapporto tra la custodia cautelare e il dibattimento. In un momento in cui si riconoscono una situazione di emergenza e una condizione di detenzione che non garantisce la dignità della persona e l’umanità della pena e si pensa alla costruzione di nuovi spazi detentivi, non si può non riflettere sui modelli di custodia e sui necessari in-

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terventi nella organizzazione della detenzione. Non è solo risolvendo il problema del sovraffollamento (se e quando si risolverà) che si migliorerà la qualità del tempo che le persone trascorrono in carcere. Le difficoltà del sistema penitenziario colpiscono tutto il Paese. La situazione di sovraffollamento carcerario rischia di diventare uno strumento di stabilizzazione anche da parte della criminalità organizzata che, in modo nascosto, è in grado di approfittare delle tensioni e di stimolarle per collassare il sistema penitenziario, che è fragile, perché senza mezzi, poliziotti, educatori, risorse finanziarie. Tanto più sarà in crisi il presidio di legalità e sicurezza che il carcere rappresenta, tanto più la criminalità organizzata potrà strumentalizzare tale disagio e rafforzarsi. Un reale ostacolo alla criminalità organizzata può opporsi solo investendo adeguate risorse finalizzate al rafforzamento dei presidi di legalità: condizione essenziale è allora una maggiore presenza dello Stato sul territorio, attraverso le Forze dell’Ordine, tutte le forze di polizia, anche penitenziaria, perché la criminalità organizzata non vive solo nella società libera ma esiste ed agisce anche nelle carceri, dove recluta, istruisce, progetta e ordina. Appare opportuno ricordare che l’ultima relazione dei servizi segreti lancia l’allarme proprio sulla possibilità che i boss mafiosi continuino a comandare da dietro le sbarre.

il liogo del Consiglio Nazionale del Sappe

Ciò deve farci rendere conto di quanto sia sempre più importante sviluppare l’attività investigativa e di intelligence della polizia penitenziaria, al fine di evitare tali fenomeni, consentendo anche quella raccolta di informazioni necessaria allo sviluppo delle indagini di polizia.

zione delle pene presso il domicilio e sulla messa alla prova, che intende accompagnare il piano di adeguamento edilizio con norme che consentano di eseguire le pene più brevi anche in luoghi diversi dagli istituti penitenziari, o destinando il colpevole a prestazioni lavorative di pubblica utilità, fermo restando il principio che la detenzione, anche se breve, va comunque eseguita: l’attuale sistema sanzionatorio appare superato, quello che la collettività chiede - e che il SAPPe evidenzia da anni - è la certezza della pena. ✦

In tale direzione riteniamo che vada potenziata l’attività del NIC (Nucleo Investigativo Centrale) e modificata tutta quella normativa che, attualmente, non consente alla polizia penitenziaria di entrare a far parte delle strutture interforze, come la DIA: in proposito, è stato istituito il Ruolo tecnico del Corpo di polizia penitenziaria. Un’attenzione particolare va posta, in merito, alla Bozza di disegno di legge del Ministro della Giustizia sulla esecu-

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In una lettera Federica Montalto ricorda il suo papà ucciso dalla mafia:

e il DAP ?

Nella foto: Giuseppe Montalto

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Caro Papà, mi manchi. Siamo stati insieme per pochi mesi e non mi ricordo niente di te. Ho imparato a conoscerti solo attraverso i racconti della mamma che mi diceva molte cose belle sulla nostra vita insieme. Mi sarebbe piaciuto conoscerti e trascorrere dei bei momenti con te, come tutti i papà fanno con i propri figli. Ma questo non ci è stato permesso perché ti hanno portato via da me quando ancora non potevo capire cosa stava succedendo. Non mi ricordo il momento in cui hanno detto che non c’eri più e sono cresciuta con il vuoto della tua assenza. Quella sera quando te ne sei andato, io la mamma e Ilenia, che era nella sua pancia, abbiamo corso un grande pericolo e tu sei morto per salvarci. Tante volte mi sono chiesta perché ti hanno portato via da me e a questa domanda non ho mai saputo rispondere. La mia vita con te sarebbe stata più facile perché è molto difficile crescere senza un padre. Ogni volta che ti penso, ti immagino felice e sorridente, come nelle poche foto che abbiamo insieme. Per quello che sei stato, ti voglio bene e sei il mio eroe».

Questa e la lettera che Federica Montalto ha scritto nei giorni scorsi al padre Giuseppe, Agente Scelto del Corpo di Polizia Penitenziaria in servizio all'Ucciardone, ucciso in un agguato mafioso quindici anni fa a Trapani in contrada Palma. Federica è stata tra gli studenti che hanno partecipato al concorso indetto dal Comune di Erice (TP), riservato agli studenti delle otto scuole ericine, elementari, medie e superiori, dedicato a Giuseppe Montalto. Un concorso inserito all'interno delle manifestazioni Non ti scordar di me, il ciclo di manifestazioni indetto per il terzo anno consecutivo dal Comune per ricordare le vittime della strage di Pizzolungo del 2 aprile 1985. Il ricordo di Barbara Rizzo e dei gemellini Giuseppe e Salvatore Asta, a 25 anni dalla strage in cui furono uccisi da quell'autobomba destinata al pm Carlo Palermo, si è intrecciato quest’anno con quello di Giuseppe Montalto. Gli studenti si sono misurati con diversi elaborati dedicati a Montalto. Sono stati proiettati i video:

«Un futuro che viene dal passato» del primo circolo didattico; «Insieme» dell’Alberghiero; «Giuseppe: l’amico che ognuno vorrebbe avere» dell’istituto comprensivo Castronovo; «Giuseppe Montalto: l’eroismo della quotidianità» del comprensivo Pagoto; «Il diario dei quattro giorni dopo l’uccisione» del comprensivo Rubino; «Facciamo che» del secondo circolo didattico; «Un faro di luce nel mondo» della media Di Stefano. Anche Liliana Riccobene, la moglie di Giuseppe Montalto, oggi è diventata testimone della lotta alla mafia, incontra gli studenti eracconta la sua storia. Rispetto al 1995, lei riconosce che tra i giovani c'è più voglia di fare. E questo è accaduto anche per suo merito, per il sacrificio di Giuseppe Montalto e di altri caduti, e di altri che ancora oggi mantengono un impegno diuturno e carico di sacrifici, ma di grande fedeltà allo Stato ed ai suoi cittadini liberi. La notizia è tratta dal sito web Antimafia 2000, non la troverete sul quello della Polizia Penitenziaria, non la troverete su altre pagine web o cartacee dell'Amministrazione penitenziaria. Il perché di un simile comportamento omissivo non lo conosciamo, possiamo però segnalare qualche riferimento al lettore che potrà

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Era il 23 dicembre del 1995 quando in contrada Palma, in provincia di Trapani, Giuseppe Montalto fu assassinato davanti gli occhi della moglie: erano in auto, fermi, sul sedile posteriore la loro figlioletta, Federica di 10 mesi. La moglie Liliana ancora non lo sapeva, ma in grembo stava crescendo un'altra loro figlia, Ylenia. Un omicidio per il quale i boss si erano messi pure a gara per eseguirlo. L'alcamese Nino Melodia ebbe a lamentarsi del fatto che alla fine Giovanni Brusca, uomo d'onore di San Giuseppe Jato, che nel 1995 faceva il latitante tra le campagne di Trapani e Valderice, non gli disse più nulla. L'ordine di morte era arrivato dall'Ucciardone. Dai boss palermitani, dai Madonia: «Ninuccio manda a dire che vuole fatta una cortesia, vuole eliminata una guardia carceraria che si comporta male». È a Salemi che si svolsero i summit per decidere e organizzare l'omicidio di Giuseppe Montalto, nella villetta di Rosario Calandrino si trovarono i capi mafia di Trapani con Messina Denaro, ebbero anche l'aiuto di una gola profonda dentro l''ufficio della Motorizzazione per individuare chi fosse quell'agente: dal carcere infatti avevano fatto sapere che quello da uccidere aveva una Fiat Tipo targato Torino. E così Giuseppe Montalto fu individuato.

farsi un'idea del contesto in cui maturano certe inadempienze del DAP. L'INTERESSE DEL DAP IN MERITO ALLA QUESTIONE DEL RICORDO DEI CADUTI 11 luglio 2006: durante una riunione della Commissione Ricompense tenutasi presso il DAP, il rappresentante del Sappe propose di realizzare un volume cartaceo in memoria dei caduti della Polizia Peni-

I killer lo attesero la sera del 23 dicembre 1995 davanti casa dei suoi suoceri. Non fece in tempo a salire in auto che fu ucciso con due colpi di pistola, cadendo addosso alla giovane moglie che sedeva nel sedile di fianco. «Il regalo di Natale ai detenuti così - raccontarono poi i pentiti durante il processo - si fanno il Natale più allegro». Quei giorni del 1995 erano stati pesanti per gli agenti dell'Ucciardone, più volte avevano ricevuto chiari segnali di pressione da parte dei detenuti al 41 bis. In questo clima, da aprile 1995 in poi, maturò il delitto. A scatenarlo fu il fatto che Montalto impedì al boss palermitano Raffaele Ganci di passare una lettera al catanese Nitto Santapaola. Giuseppe Montalto fù ucciso per aver svolto il proprio dovere al servizio dello Stato e nel 1997 gli è stata assegnata la Medaglia d'oro al Valore Civile con la seguente motivazione: "Preposto al servizio di sorveglianza di esponenti del clan mafioso denominato Cosa Nostra, nonché di criminali sottoposti al regime carcerario 41 bis, assolveva il proprio compito con fermezza, abnegazione e alto senso del dovere. Proditoriamente fatto segno a colpi d'arma da fuoco in un vile attentato tesogli con efferata ferocia da appartenenti all'organizzazione criminosa, sacrificava la vita a difesa dello Stato e delle istituzioni. Località Palma (Trapani), 23 dicembre 1995."

tenziaria. Proposta accolta favorevolmente dal DAP stesso. • Nel 2006, il Sappe indirizzò al DAP una delle tante lettere in cui si auspicavano iniziative per ricordare i caduti del Corpo: un sacrario, un libro, etc. e il 29 gennaio del 2008 il DAP espresse la prima timida risposta, manifestando l'intenzione di volersi occupare del sacrario. • Ma è qualche giorno dopo, il 1° febbraio del 2008 il DAP fece il primo passo formale, istituendo un gruppo di lavoro

incaricato di «procedere ad attività di ricerca e alla realizzazione di un volume dedicato alle vittime appartenenti al Corpo». • Il 19 luglio 2008, ancora il Sappe scrive al DAP per conoscere gli sviluppi del lavoro svolto dal gruppo di lavoro incaricato di realizzare il volume cartaceo. • Il 15 ottobre 2008, giorno in cui (in quell'anno) si celebra la Festa del Corpo di Polizia Penitenziaria, non ci sono ancora notizie sul sacrario ai caduti del Corpo. • Il 24 novembre 2008 ancora nessun segnale da parte del DAP riguardo il volume cartaceo così come nessuna notizia il 20 gennaio 2009. • Il 15 settembre 2009 muro di gomma del DAP riguardo alle attività del gruppo di lavoro incaricato di realizzare il volume cartaceo alla memoria dei caduti del Corpo. • Il 12 ottobre 2009 (tre anni e mezzo dopo) la prima risposta del DAP riguardo lo stato dei lavori per la realizzazione del volume cartaceo. ✦

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l’omicidio di giuseppe montalto

fonte: www.poliziapenitenziaria.net

Nella foto i funerali di Giuseppe Montalto

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Bologna: Mirko Maragno, un ciclista promettente Il figlio del nostro collega Gianni Maragno si è confermato un buon ciclista passando alla categoria Allievi riservata ai nati nel ‘96-’97. Nella sua giovane carriera ha partecipato dall’anno 2007 a molte gare ciclistiche di prestigio, prima nella categoria G6 giovanissimi, poi in quella degli esordienti Emilia Romagna, ottenendo buoni piazzamenti. Complimenti al nostro piccolo atleta e al collega Gianni Maragno da parte della Rivista per l’impegno profuso che sicuramente verrà premiato. ✦

Sanremo: festeggiato il pensionamento del collega marco Porcu Festa del guadagnato pensionamento del V. Sovr. te Marco Antonio Porcu, della C.C. di Sanremo, iscritto al Sappe dal 1991. Il collega è stato collocato a riposo dalla CMO Ligure, dopo 30 anni di onorato servizio, per motivi di salute . Alla festa ha partecipato il Vice segretario Sappe della Liguria Cosimo Galluzzo, il Segretario Provinciale Vincenzo Russo e il Segretario locale Massimiliano Sanna presenti in tutta la fase dei festeggiamenti. La festa si è tenuta al Ristorante Il pozzo dei desideri di Sanremo. Durante i festeggiamenti è stato letto un comunicato scritto dal Vice Segretario Regionale Sappe Cosimo Galluzzo e dedicato al caro amico Marco Porcu, un momento veramente toccante che ha commosso i diversi partecipanti, colleghi e non. Presenti ad onorare il carissimo collega e militante Sappe da una vita, anche l'ex medico responsabile del penitenziario sanremese Dr.ssa Sonia Sciandra e l'attuale medico incaricato Luca Cambiaso con la presenza particolare della affezionatissima infermiera professionale Nadia Castro. ✦

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Turi: presentata la richiesta per un nuovo carcere Il Sindaco del Comune di Turi Vincenzo Gigantelli, in data 9 febbraio 2010, ha avanzato formale richiesta al Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi per la «realizzazione del nuovo Carcere di Turi ai sensi della legge 23 dicembre 2009, n. 191 e del DPCM 13 gennaio 2010 “Dichiarazione dello stato di emergenza conseguente all’eccessivo affollamento degli Istituti Penitenziari presenti sul territorio nazionale”. Nella nota si legge «Si ritiene di poter affermare con orgoglio che la popolazione turese ha sempre accettato la presenza di una tale istituzione nella consapevolezza della sua utilità in un sistema istituzionale improntato alla legalità, al rispetto delle regole ed, al contempo, alla pari dignità di tutti gli uomini indifferentemente. Tale consapevolezza ha indotto l’Amministrazione a valorizzare ulteriormente l’istituzione con la previsione di strutture che hanno l’obiettivo di integrare le politiche nazionali di tutela e garanzia della popolazione carceraria.» . « In funzione degli scopi indicati, con la presente, in qualità di Sindaco del Comune di Turi, intendo sottoporre alle SS. LL. la proposta di realizzazione di una nuova infrastruttura carceraria nel territorio del nostro Comune, in applicazione delle procedure straordinarie previste dal DPCM 13 gennaio 2010, facendo ricorso alle somme stanziate con la legge finanziaria 2010, art. 1 comma 219.

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agevole l’opera della polizia giudiziaria e ad accrescerne la professionalità. Seconda edizione anche per la Guida alla redazione degli atti di Polizia giudiziaria, a cura di Loris d’Ambrosio (pagine 140, prezzo € 22), uno strumento di valido aiuto per gli Ufficiali e gli Agenti, indispensabile guida per una corretta redazione degli atti di polizia giudiziaria e per una spedita e completa compilazione. Arriva l’undicesima edizione del Prontuario dei controlli di Polizia, di Giovanni Calesini (400 pagine, prezzo € 34), agile e tascabile prontuario che reca una descrizione sintetica di tutte le violazioni, con sanzioni, procedure ed Autorità competenti in materia penale ed amministrativa. Diciannovesima edizione per il volume secondo della Legislazione complementare, anch’esso a cura di Piero Luigi Vigna (768 pagine per un prezzo di 42€), che raccoglie le norme penali speciali di maggior interesse per gli appartenenti al Comparto Sicurezza. Trova il suo naturale completamento ne «I codici per l’udienza penale - Volume I», i cui commenti e annotazioni agevolano una corretta interpretazione delle singole disposizioni per una loro applicazione pratica. Ultima segnalazione, la nuova edizione del fondamentale Atti di Polizia giudiziaria, di Basilio Buzzanca e Fausto De Santis (pagine 720, integrate da Cd rom con tutti gli atti stampabili, prezzo € 46), un’opera in grado di dare risposta certa ad ogni domanda che l’operatore di

polizia giudiziaria si pone nell’espletamento dell’attività di Polizia Giudiziaria Comprende oltre 170 formule di atti di Polizia Giudiziaria con l’indicazione degli adempimenti che l’operatore deve osservare durante l’esecuzione e immediatamente dopo. Dedica ampio spazio agli atti nel procedimento penale dinanzi al giudice di pace e a quelli depenalizzati. Dispone di tabelle sinottiche, del prontuario dell’arresto e del fermo aggiornato e di un CD Rom con i verbali copiabili e stampabili. La nuova edizione è aggiornata con le più recenti disposizioni, in particolare con il D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, conv. in legge 23 aprile 2009, n. 38 “Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori” e con la legge 15 luglio 2009, n. 94 “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica” (c.d. pacchetto sicurezza). La puntualità degli aggiornamenti apportati si prefigge lo scopo di mantenere il lavoro sempre fresco, attuale e sicuro punto di riferimento di tutti gli operatori delle forze polizia, dei frequentatori dei corsi di formazione e aggiornamento, delle polizie locali, degli investigatori privati, dei magistrati e degli avvocati. ✦ erremme

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EDIZIONI LAURUS ROBUFFO

i conferma leader del settore la Casa Editrice romana Laurus Robuffo, specializzata in particolare nei testi di formazione ed aggiornamento professionale per le Forze di Polizia. La (scontata) conferma viene con la pubblicazione delle nuove edizioni di alcuni importanti volumi. Iniziamo con la seconda edizione di Elementi di diritto penale per la Polizia giudiziaria, a cura di Loris d’Ambrosio e Piero Luigi Vigna (199 pagine, prezzo € 22), che illustra i principali reati alla cui prevenzione e repressione è chiamata la Polizia giudiziaria. L’analisi dei reati è completata da riferimenti giurisprudenziali e processuali (competenza, arresto, fermo) e dalla indicazione degli elementi che differenziano le varie fattispecie. Nuova edizione anche per gli Elementi di procedura penale per la Polizia giudiziaria, a cura di Piero Luigi Vigna (186 pagine, prezzo € 22), che con una esposizione completa edi agevole lettura espone, oltre ai princìpi fondamentali che regolano il codice di procedura penale, gli istituti che rilevano per l’attività della Polizia giudiziaria, con utili esemplificazioni e puntuali richiami alle norme del codice. Si tratta di uno strumento finalizzato a rendere più

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Gamer

In alto, la locandina del film sotto, alcune scene

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due registi action Neveldine e Tayklor, cultori dell’adrenalina cinematografica e già autori di Crank e del sequel Crank 2, escono un po’ fuori dai propri schemi e si azzardano nel genere prison movie shakerato con la science fiction. Il leitmotiv del loro film è il presupposto che «Siamo tutti controllati da qualcuno. Chi ha in mano il joystick della nostra vita?» La storia è calata in un futuro prossimo venturo (il film è ambientato nel 2034) dominato da sesso e violenza. In questo altrove futuristico Kable, interpretato da Gerard Butler, è l’eroe di un programma tv-videogioco (Slayers) in cui venti detenuti, gestiti da altrettanti gamer, devono combattere all’ultimo sangue tra di loro come antichi gladiatori romani per ottenere come premio finale la libertà dal carcere. Nel prologo della storia il produttore di videogames Ken Castle (Michael C. Hall) lancia Society: un nuovo gioco con cui è possibile comandare a distanza un essere umano, con lo scopo di vivere una vita virtuale a pagamento. Dopo il successo di questo videogame, Castle lancia un altro gioco: Slayer. Il nuovo gioco, sempre a pagamento, consiste nel controllare dei condannati a morte che si impegnano in missioni molto pericolose con l’ obiettivo di ottenere la liberazione. La prima edizione di questo videogioco ha come protagonista, appunto, Kable, un detenuto condannato per omicidio, che accetta di essere controllato dal diciassettenne Simon (Logan Lerman) per ottenere la libertà. Ovviamente, Kable si ribella alle regole del gioco e comincia a lottare contro il sistema. Gamer, per alcuni versi, è quasi un remake de L’implacabile (The Running Man, 1987), con Arnold Schwarzenegger.

La scheda del Film Regia: Mark Neveldine, Brian Taylor Altri titoli: Citizen Game Soggetto e Sceneggiatura: Mark Neveldine, Brian Taylor Fotografia: Ekkehart Pollack Musiche: Robb Williamson, Geoff Zanelli Montaggio: Fernando Villena, Peter Amundson, Doobie White Scenografia: Jerry Fleming Arredamento: Betty Berberian Costumi: Alix Friedberg Produzione: Lakeshore Entertainment, Albuquerque Studios Distribuzione: Moviemax Personaggi ed Interpreti: Kable: Gerard Butler Ken Castle: Michael C. Hall Gina Parker Smith: Kyra Sedgwick Simon: Logan Lerman Rick Rape: Milo Ventimiglia Trace: Alison Lohman Sandra: Zoe Bell Freek: John Leguizamo Angie: Amber Valletta Hackman: Terry Crews Humanez Dude: Aaron Yoo (Chris 'Ludacris' Bridges) Humanz Brother: Ludacris DJ Twist: Efren Ramirez Scotch: Johnny Whitworth Kat: Christine Price to • Vieta Delia: Brighid Fleming i r o in m ai i n Genere: Fantascienza, Thriller di 14 a n Durata: 95 minuti Origine: USA, 2009

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a cura di G. B. De Blasis

Cella 211 l giovane Juan Oliver (interpretato da un convincente Alberto Ammann) è riuscito a farsi assumere come guardia penitenziaria. Per non sembrare troppo sprovveduto il primo giorno di servizio, decide di rendersi conto in anticipo del nuovo luogo di lavoro e si presenta in carcere ventiquattro ore prima. Purtroppo per lui questa non si rivela una scelta felice. Infatti, mentre si trova all’interno del braccio di massima sicurezza, viene colpito alla testa da un pezzo di intonaco che si stacca dal soffitto e perde conoscenza. Si risveglierà, più tardi, all’interno della cella 211 dove i suoi colleghi l’avevano disteso per andare a cercare soccorso. Nel frattempo, però, proprio all’interno della massima sicurezza è scoppiata una rivolta dei detenuti capeggiata dal pericolosissimo Malamadre. A questo punto, l’unica speranza di salvezza per Juan Oliver è quella di fingersi anch’egli un detenuto e mimetizzarsi tra gli altri nel cuore della rivolta. Cella 211 è un film di genere che si ispira apertamente al prison-movie americano laddove il protagonista, Juan, è un personaggio ordinario calato in un contesto straordinario. Ma un occhio il regista Daniel Monzon lo strizza anche al maestro Hitchock allorquando decide di rovesciare i ruoli con il personaggio principale che si finge oppositore per sopravvivere e che si scopre, alla fine, capo carismatico e principale fautore della rivolta carceraria. Una rivolta che, come accade nel miglior cinema di genere, ha una forte connotazione politica e affronta argomenti come la condizione carceraria e la denuncia delle violenze di regime, le questioni diplomatiche con il governo basco e la gestione dei terroristi dell'ETA. E non manca, infine, la condanna del ruolo strumentalmente fondamentale dei media sull'opinione pubblica.

A fianco, la locandina sotto, alcune scene del film

La scheda del Film Regia: Daniel Monzón Titolo originale: Celda 211 Altri titoli: Cellule 211 - Cell 211 Tratto dal romanzo: Celda 211 di Francisco P. Gandull Soggetto: Francisco Peréz Gandull (romanzo) Sceneggiatura: Jorge Guerricaechevarría, Daniel Monzón Fotografia: Carles Gusi Musiche: Roque Baños Montaggio: Cristina Pastor Scenografia: Antón Laguna Costumi: Montse Sancho Produzione: La Fabrique 2, La Fabrique de Films, Morena Films, Telecinco Cinema, VACA Films Distribuzione: Bolero Film Personaggi ed Interpreti: Malamadre: Luis Tosar Juan Oliver: Alberto Ammann PRESENTATO ALLA Utrilla: Antonio Resines 6ª EDIZIONE DELLE Elena: Marta Etura 'GIORNATE DEGLI Apache: Carlos Bardem AUTORI' (VENEZIA, Almansa: Manuel Morón 2009). Releches: Luis Zahera Tachuela: Vicente Romero Armando Nieto: Fernando Soto Elvis: Jesús Carroza Direttore del carcere: Manolo Solo Germán: Félix Cubero Calígula: Juan Carlos Mangas Genere: Drammatico Durata: 104 minuti Origine: Francia, Spagna 2009

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Nuvola Rossa infoe@sappe.it

Il restauro di tre porte delle celle della Vicaria ovvero del carcere S. Francesco di Trapani ell’ottobre del 2008, durante una visita alla Vicaria (il vecchio carcere di Trapani, altrimenti detto San Francesco), il Commissario Giuseppe Romano notò che in un angolo dell’androne d’ingresso giacevano tre porte in legno, due delle quali appartenevano a delle celle, l’altra era una porta di sbarramento, di quelle che chiudevano il corridoio della Sezione detentiva.

Sopra, lo stato in cui sono state ritrovate le porte

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Quelle porte giacevano nel più totale degrado e quindi, preso da un lampo di genio, chiese al Presidente del Consiglio Provinciale, Peppe Poma (in quanto il vecchio carcere è di proprietà della Provincia Regionale di Trapani) se, il Carcere di Trapani si potesse intestare il compito di restaurare, a costo zero, quelle porte e riportarle così al loro antico e triste splendore. Il Presidente Poma si dimostrò disponibile e quindi, dopo aver ricevuto il benestare anche dall’architetto Luigi Biondo, della Soprintendenza Beni Culturali di Trapani e chiaramente del Presidente della Provincia Regionale avv. Mimmo Turano, il solerte commissario (che fortunatamente non aveva incarichi particolari di docenze, commissioni, corsi vari ecc. come quasi tutti gli altri commissari...) organizzò il trasporto delle porte al Carcere di San Giuliano. Qui, grazie alla disponibilità dell’allora direttore, dottoressa Francesca Vazzana, nonché al Capo Area Educatori, dottoressa Luisa Marchica, fu elaborato un progetto, su base volontaria che Usualmente, nel Medioevo, il termine “Vicaria” indicava prevedeva la parla circoscrizione territoriale su cui aveva giurisdizione tecipazione di n.2 un vicario, cioè il funzionario o comunque un soggetto detenuti – faledelegato all’esercizio di un potere decentrato. gnami o restauraNel Regno di Sicilia, la Gran Corte della Vicaria – divisa tori – che in due ruote – una per le cause civili e una per quelle avrebbero esepenali, fu il Tribunale cui spettò la suprema giurisdiguito il restauro zione. sotto l’esperta Sin da allora, le strutture carcerarie quasi sempre anguida dell’assinesse ai tribunali penali provinciali, destinate a contestente capo di Ponere i detenuti in attesa di giudizio, andarono anch’esse lizia Penitenziaria assumendo il nome di “Vicarie”. Leonardo Di Bella,

nel tempo libero, provetto restauratore di mobili antichi. Ed è qui, nella falegnameria dell’Istituto Penale che iniziò il lavoro di restauro, sotto la guida del Commissario Romano, novello storico delle carceri, dal quale emerse che: a) Le porte c.d. sicure appartenevano a due celle del 1° piano, la n.16 e la n.17. La terza porta, come già detto è un portoncino di sbarramento dal quale si accedeva all’interno della sezione. Le porte versavano in un grave stato di degrado. Dall’esame delle due porte emerse che le cerniere che giravano sui cardini, non erano altro che dei chiodi forgiati dal fabbro ed inseriti a martellate nel legno. Questi chiodi venivano denominati anticamente chiàncani. Le porte erano originali ed avevano più di due secoli di vita, nel corso dei quali avevano subito continue riparazioni; infatti si trovarono delle zeppe di legno laddove vi erano dei nodi delle tavole che erano saltati via; laddove si formavano dei buchi, erano state sovrapposte delle

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La stessa porta «prima e dopo»

lapazze di legno, oltre che per coprire i buchi anche per rinforzare la sicurezza delle stesse. Gli spioncini furono aggiunti successivamente all’installazione delle porte, poiché inizialmente, sulla porta dovevano esserci solo delle minuscole bocche di lupo. Ma, grande sorpresa ed emozione suscitò nei restauratori la scoperta di quelli che a prima vista potevano sembrare dei piccoli graffi sulla porta, in realtà ad un esame più attento si rivelarono delle stecche (tanto per prendere in prestito una parola dal linguaggio militare); in questa stecca, ogni piccola tacca rappresentava un mese di galera; infatti ogni 12 piccole incisioni ve n’era una più lunga che stava ad indicare l’anno trascorso; inoltre da una porta affiorarono dall’oblio in cui erano state relegate dalla vernice e dalla polvere da oltre 150 anni, delle frasi incise sul legno di larice probabilmente con un chiodo che suscitarono nel Commissario Romano, un’intensa commozione; queste frasi, furono scritte con ogni probabilità da patrioti liberali che, venivano trasferiti alla Vicarìa, provenienti da ogni parte d’Italia, in transito, per essere poi trasferiti al

loro destino definitivo sull’Isola di Favignana (Ergastolo di Santa Caterina o il Bagno Penale di San Giacomo); Su una porta fu inciso, da un detenuto, l’anno:1843. b) La porta di sbarramento, in legno di Larice, inizialmente era a due mezzine ma col tempo, forse per intuibili ragioni di sicurezza, fu modificata. Infatti, una volta sverniciata furono visibili i segni di due ferri che chiudevano la mezzina, una sorta di porta a libro. Visibili anche dei tappi in legno dove c’era probabilmente una ulteriore serratura di sicurezza. Infine, dopo un lavoro durato un paio di mesi le tre porte della Vicarìa, veramente irriconoscibili da come erano state prese in consegna, vedevano la luce e presto saranno esposte al pubblico affinchè tutti possano ammirare questi documenti della sofferenza umana. Per la riuscita del progetto, del quale il Commissario Romano, che è stato il promotore e materialmente colui che ha seguito tutte le fasi del restauro fino alla costruzione di un carrello in metallo su ruote in modo da trasportare le porte per eventuali mostre, subì anche dei meschini attacchi sindacali, ma grazie alla sua tenacia oggi i cittadini trapanesi si sono riappropriati di un pezzetto di storia della loro città. Il Commissario Romano ha dimostrato che anche la PoliziaPenitenziaria può fare cultura. ✦

Sopra colleghi in moto (Trapani 1950 circa); sotto l’ingresso della Casa di Reclusione di Favignana

I GRAFFITI DEL DOLORE Dal restauro sono emerse delle frasi incise nel legno, dai detenuti, che esprimono la sofferenza della dura prigionia: NON VE SARA’ PIU’ UOMO IN QUESTA (CELLA?) CHE PASSERA’ TUTTE LE SVENTURE... da Pietro Min (Mineo – Minore?) LA CAMERA DEL PIU’ UOMO SVENTORATO INFELICE ANNOCENTI PATIRE LO STESSO MORIRE (ovvero patire la galera da innocente è lo stesso che morire) Polizia Penitenziaria - SG&S n. 172 - aprile 2010

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Aldo Maturo* avv.maturo@gmail.com

Stupratori senza confini

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orse per evitare una paralisi delle carceri rumene ed allontanare intuibili proposte da parte dei nostri organi di governo, il Ministro degli esteri di quel Paese, Diaconescu, ha precisato che un Accordo con l’Italia prevede il rimpatrio dei suoi concittadini, per scontare la pena in Romania, solo se sono stati condannati in via definitiva. Se i processi da noi avessero un iter più celere non sarebbero poi così pochi i romeni da spedire in quei carceri visto che loro coprono il 5,71% dei delitti commessi in Italia. Il 16% dei reati commessi da stranieri porta la firma di un romeno. Al 30 giugno 2008 su 20617 detenuti stranieri in carcere, i romeni erano 2828. Nel 2007 a Roma su 3577 stranieri arrestati i rumeni erano 2.689. Il binomio stupro=romeno riempie la terribile cronaca di questi ultimi tempi ed allora prima di rassegnarmi all’idea che solo i romeni stuprano ho dato per curiosità uno sguardo al rapporto ONU 2006 sulla violenza per apprendere, con sorpresa, che in 89 dei 192 Stati membri la violenza sessuale non viene punita e anche lì dov’è reato non è detto che si riesca a condannare chi lo ha commesso. Uno dei posti al mondo dove la donna è più rispettata e questo reato è meno frequente è l’Indonesia dove la religione islamica invece lascia immaginare una totale soggezione della donna (gli stupri li fanno i loro soldati in guerra, per sfregio o per torturare il nemico) o il Giappone, dove addirittura nella metropolitana, per evitare il fenomeno del palpeggiamento, esistono vagoni “Women only”, solo per donne. Non è possibile, per problemi di spazio, fare il giro del mondo ma può essere utile guardare cosa succede oltre i con-

Il Codice penale romeno, che dopo la caduta di Ceasescu ha abolito l’ergastolo, punisce lo stupro con la reclusione da 3 a 10 anni e, se sussistono le aggravanti, lo stupratore può stare dietro le sbarre anche 20 o 25 anni.

fini più vicini a casa nostra, tenendo presente che in Italia l’art.609 bis del codice penale punisce la violenza sessuale con una pena da 5 a 10 anni che diventa da 6 a 12 in presenza di aggravanti, quale ad esempio quella commessa su minore dei 14 anni. ROMANIA Secondo uno studio citato nel rapporto ONU, la Romania resta tra i Paesi europei quello con l’indice più alto di violenza alle donne, con 2226 casi nel 2003 e 2198 nel 2004. La mentalità dell’uomo romeno – salvo che nelle grandi città - non è cambiata molto e quindi in certi ambienti caratterizzati da povertà, promiscuità, disoccupazione, consumo esagerato di alcol o stupefacenti la donna è vista come la proprietà assoluta del capofamiglia. Ogni anno in Romania, soprattutto in campagna, migliaia di donne anziane o minorenni vengono stuprate e percosse. La violenza in famiglia è molto diffusa ma le mogli soffrono in silenzio e quelle che osano chiedere il divorzio vengono minacciate di morte, tanto che il più delle volte la polizia è chiamata dai vicini di casa e non dalle dirette interessate.

ALBANIA In alcune zone dell’Albania le tradizioni ancora legittimano la subordinazione della donna all’uomo. La violenza familiare, subìta mediamente da una donna su tre da mariti e partners, è considerata normale e tollerata da istituzioni, polizia e apparato giudiziario. In questi territori vige ancora la legge del Kanun, un codice di leggi creato intorno al 1400 e trasmesso per secoli, oralmente, di generazioni in generazioni. Si tratta di una vera e propria raccolta delle tradizioni giuridiche e degli usi albanesi di cui determinati strati sociali non riescono a liberarsi. La legge del Kanun legittima la vendetta e quando una famiglia subisce un omicidio si deve vendicare su tutti i familiari dell’altra famiglia entro le prime 24 ore. Secondo un articolo di questo codice il marito ha diritto di consigliare e correggere la moglie, e, quando disprezza le sue parole e i suoi ordini, può bastonarla e legarla. Se una donna è stuprata davanti alla famiglia deve suicidarsi per evitare che il disonore ricada sui consanguinei. FRANCIA In Francia lo stupro è punito con 15 anni di carcere che diventano 20 se lo stupratore è un parente o una persona che abusa della sua autorità sulla vittima. Dal 1990 è riconosciuto anche lo stupro coniugale, intendendosi per stupro qualsiasi atto di penetrazione sessuale, di qualunque natura esso sia, commesso

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sulla persona attraverso la violenza, l’obbligazione, la minaccia o la sorpresa. Anche in questo Paese i dati sono allarmanti con 14.000 casi di stupro nel 2005, di cui molti avvenuti nel quartieri periferici, le banlieues, dove si assiste con sempre maggior frequenza al fenomeno degli stupri collettivi. BELGIO In Belgio il reato di stupro è stato riconosciuto solo nel 1989 e prevede una pena fino a 20 anni di carcere. Secondo il citato rapporto ONU vengono denunciati in media sette casi di violenza al giorno di cui il 50 per cento riguarda donne di oltre 18 anni. Quelli conosciuti, secondo gli addetti ai lavori, sarebbero un terzo di quelli effettivamente consumati. In sede processuale solo una percentuale di circa il 40% arriva ad una condanna. Tre volte su quattro lo stupro viene commesso da persone conosciute e il colpevole va ricercato nell’ambito familiare allargato o sul luogo di lavoro, senza distinzione di ceto o di razza. GERMANIA Ogni giorno viene violentata più di una ventina di donne. Nel 2005 ci sono stati 8.133 stupri, 6.519 violenze sessuali su donne tra i 20 e i 60 anni e 13.962 su bambini. E questo in un posto dove solo uno su 20 viene denunziato. Il 33,4 per cento degli stupratori stranieri è di origine turca, seguiti dai serbi e dagli italiani. Le pene vanno da 1 a 10 anni con un minimo di 5 anni se la violenza è stata commessa con armi. E’ considerata naturalmente aggravante la violenza di gruppo. GRAN BRETAGNA Secondo le statistiche del Ministero degli Interni inglese le donne stuprate nel 20042005 sono state 13.322 cui si aggiungono 19.000 episodi di molestie sessuali. La maggioranza delle donne comunque non presenta la denunzia e due terzi di quelle che lo fanno la ritirano prima di

arrivare in tribunale. Forse anche per questo il 94 per cento dei colpevoli resta libero. L’archiviazione è ricorrente se risulta che la vittima e il colpevole già si conoscevano.

all’interno della coppia legalmente riconosciuta o di fatto, eterosessuale o omosessuale, è perseguibile d’ufficio, e non solo in seguito a querela da parte della vittima. Questa può abbandonare il tetto coniu-

RUSSIA Secondo i dati riportati nel rapporto, il 40% delle donne sposate è soggetta a violenza fisica da parte di mariti ubriachi ma non arrivano al 10% quelle che li denunziano perché è necessario non solo riempire dei questionari dalla polizia ma anche andare in ospedale per farsi fare la certificazione medica. Nella maggioranza dei casi i mariti che violentano o picchiano la propria moglie non vanno incontro ad alcun tipo di persecuzione da parte della legge. Uno dei motivi è che la legge russa non riconosce la violenza domestica come un crimine distinto. I mariti non vengono considerati colpevoli e la polizia liquida le denunce come affari interni alla coppia. E questo in un Paese dove già dal giorno prima dell’8 marzo, Festa della Donna, non si trova più una rosa neanche a pagarla a peso d’oro perché le donne quel giorno, semel in anno, vengono sommerse di fiori.

gale in caso di pericolo così come la Polizia può allontanare da casa il marito per almeno 30 giorni. Nonostante tale severità nel 2005 ci sono stati 646 stupri.

SVIZZERA La Svizzera ha la normativa antistupro più severa d’Europa ed è previsto l’ergastolo per criminali sessuomani o violenti, particolarmente pericolosi e refrattari alla terapia. Dal 2004 la violenza sessuale domestica,

POLONIA Fino a 10 anni fa lo stupro era considerato un reato secondario, un crimine contro la moralità e addirittura in qualche processo si era valutato se l’atteggiamento provocatorio delle vittime avesse influito sul comportamento del colpevole. Con l’ingresso in Europa, Varsavia è stata invitata a rivedere la normativa e la pena è stata portata a 12 anni. Nel 2005 ci sono stati comunque 1987 casi di stupro, considerati dagli osservatori di dieci volte inferiore a quello reale. Terminiamo qui il giro per constatare che la violenza sulle donne è un fenomeno connesso alla bestialità dell’uomo, l’uomo senza confine perché il crimine non ha bandiere. Sapere che 89 Paesi al mondo sui 192 facenti parte dell’ONU non punisce questo reato ci dice che per la donna la dignità e il rispetto sono obiettivi culturali ancora tutti da conquistare. ✦ * Avvocato, già Dirigente dell’Amministrazione Penitenziaria

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CUBA Cosa succede nelle prigioni cubane? Fidel Castro ha assicurato più volte che a Cuba i prigionieri non vengono torturati e non ci sono esecuzioni extragiudiziali. Il giornalista cubano dissidente Alejandro González Raga, in carcere tra il 2003 e il 2008, lo smentisce in un’intervista a El País. «Ho visto prigionieri entrare in cella sulle loro gambe e impiccarsi 24 ore dopo. Ho visto prigionieri scomparire dopo una notte di pestaggi che tutti potevamo sentire per le urla. Nelle carceri cubane ci sono esecuzioni extragiudiziali, ma non c’è nessuno che possa entrare per verificarlo”. González Raga è entrato nell’obiettivo del governo dopo aver fondato un’agenzia di stampa indipendente nella sua città e dopo aver partecipato al progetto Varela, un’iniziativa che consisteva nel raccogliere 25mila firme per chiedere all’Assemblea nazionale di aprire il paese alla democrazia. La conseguenza dell’iniziativa è stata, nel 2003, la condanna di 75 dissidenti a un totale di 1.400 anni di prigione. González Raga è stato condannato a 14 anni. Dopo averne scontati cinque è stato esiliato in Spagna. «Quella di Orlando Zapata non è la prima morte per sciopero della fame nelle prigioni cubane. Ci sono almeno dodici casi documentati. La novità per il governo cubano in questo caso è rappresentata dall’impatto mediatico che la morte di Zapata ha avuto in tutto il mondo». «Di fronte a questa situazione la comunità internazionale dovrebbe fare fronte comune, come ha fatto nei confronti del Sudafrica a i tempi dell’apartheid. In Sudafrica le forze al potere discriminavano per il colore della pelle. A Cuba per il colore delle idee».

ARGENTINA

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Castrazione chimica per gli stupratori della provincia di Mendoza Negli ultimi mesi del 2009 i crimini sessuali nella provincia Argentina di Mendoza, ad ovest del Paese, sono saliti del 30% ed è stato stimato che il 70% dei detenuti è recidivo: una volta libero le possibilità che torni a colpire sono molto alte. A questo proposito il Governatore Celso Jaque ha

deciso di prendere seri provvedimenti: pochi giorni fa ha firmato un decreto che autorizza la castrazione chimica per gli uomini condannati per stupro. I trattamenti farmacologici dovrebbero iniziare tra poco e i detenuti verranno messi di fronte ad una scelta: sottoporvisi o perdere completamente i benefici previsti dalla legge. Se non si sottoporanno al trattamento, non potranno ottenere alcuno sconto di pena e non potranno avanzare richiesta per la libertà vigilata: saranno costretti a scontare le loro condanne fino all’ultimo giorno. In molti si stanno già schierando contro questa soluzione che, va ricordato, non è definitiva. C’è chi sostiene che la sua efficacia non è provata al 100% o anche chi, come alcuni psicologi, ricordano che non è solo la libido a spingere gli stupratori: Ridurre la libido di un violentatore non risolve gli altri problemi che costituiscono il profilo di uno stupratore e e il suo desiderio di minacciare gli altri. Ha detto la sua anche la signora María Elena Leuzzi, madre di una vittima e membro dell’Aviv, Ayuda a Víctimas de Violación: Fino a quando non dimostreranno che questo trattamento è efficace al 100%, l’unica soluzione è evitare che queste persone possano tornare in libertà. Possiamo solo tenerli in carcere, sempre nelle migliori condizioni possibili.

ISLANDA Il governo decide di non costruire nuove carceri, ricorrerà alle misure alternative Il governo islandese ha deciso di non costruire nuove carceri, optando per le misure alternative alla detenzione, nonostante l’aumento delle persone in attesa di scontare la pena carceraria. La crescita della popolazione residente e la presenza nell’isola di organizzazioni criminali internazionali ha causato un aumento dei condannati, a cui l’amministrazione statale ha risposto pianificando pene alternative per i crimini meno gravi e per i soggetti ritenuti non pericolosi. Già ora i reclusi possono già beneficiare della libertà condizionale dopo aver scontato i tre quarti della pena. Attualmente il paese nordico possiede celle disponibili solo per 145 persone. L’Islanda presenta l’indice di popolazione carceraria più basso al mondo, 42 detenuti ogni 100 mila persone. Una nullità confrontato con i 754 reclusi ogni 100 mila abitanti degli Stati Uniti.

GIAPPONE Accusato di omicidio di una bimba, libero dopo 17 anni con la prova del DNA In carcere, a causa di un ergastolo per omicidio, torna libero grazie alla prova del DNA dopo 17 anni. E’ successo in Giappone. Protagonista un ex autista di autobus di un asilo, 63 anni, scagionato da ogni accusa e riabilitato ora a tutti gli effetti. Le disavventure dell’uomo iniziarono nel 1991, quando la polizia ritenne compatibile con il suo DNA del materiale organico ritrovato sul cadavere di una bambina di quattro anni uccisa nel maggio del 1990.

TURCHIA Dal lavoro in fabbrica al carcere per il lancio di un sasso Non vanno a scuola e a volte crescono in un clima tale che si ritrovano in carcere, condannati come se fossero uomini, scontando anni di prigione per aver tirato un sasso. Sono una parte dei bambini della Turchia, soprattutto quelli che vivono nelle aree a est del Paese, a maggioranza curda. Qui spesso i bambini sono avviati al lavoro ancora piccoli per aiutare la famiglia, saltando la scuola. Un’emergenza sociale, secondo le associazioni umanitarie sentite dal quotidiano Hurriyet, che il governo sta cercando di fronteggiare, ma con provvedimenti che a volte rimangono solo sulla carta. Stando ai dati rilasciati dal Ministero della Giustizia - non aggiornati dopo il 2008 - su 2.622 minori dietro le sbarre in Turchia, 1.440 subiscono lo stesso trattamento di detenuti adulti e non scontano la loro pena in istituti idonei. Fra il 2006 e il 2007 quelli finiti sotto processo secondo la legge anti terrorismo per aver tirato sassi contro la polizia sono stati 1.056. Di questi 208 sono finiti in carcere. L’ultima, una quindicenne curda, a gennaio è stata condannata a otto anni di prigione. Nel rapporto 2009 sui progressi della Turchia la Ue cita il sistema giudiziario minorile come una grossa fonte di preoccupazione per l’assenza di tribunali dei minori e le leggi antiterrorismo che accusano di terrorismo i bambini che partecipano a manifestazioni, nel sud e nel sudest del paese. Un recente rapporto Usa sui diritti umani in Turchia punta il dito sul sistema giudi-

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fonte: www.pianetacarcere.it

ziario minorile per i bambini accusati di terrorismo, sui matrimoni tra bambini, sul lavoro minorile e sull’accesso dei minori all’educazione e ai servizi sanitari. Il governo si sta preparando a cambiare le leggi antiterrorismo per i minori, riducendo le pene per chi lancia pietre e inviando i bambini ai tribunale dei minori, ma per Sahin Antakyalioglu, presidente Centro Diritti Minori di Ankara, non basta, perchè la Turchia viola la Convenzione Onu sui diritti dei minori, di cui è firmataria. «I bambini possono essere giudicati dai tribunali minorili, ma non serve a niente se non vengono esclusi completamente dalla giurisdizione della legge antiterrorismo. Non vanno considerati terroristi e dovrebbero essere giudicati solo per il lancio delle pietre». Critica anche la situazione nel mondo del lavoro. Secondo statistiche ufficiali si calcola che i bambini fra i 6 e i 17 anni che lavorano fin Turchia siano 960mila. Il governo islamico-moderato sta cercando di fronteggiare la situazione, con una campagna per incentivare la scolarizzazione.

Ma, secondo gli addetti ai lavori, intervistati dal quotidiano Hurriyet, nonostante negli ultimi 10 anni la situazione sia migliorata, alle migliori intenzioni non corrispondono sempre i risultati più efficaci. «Il sistema di protezione dei minori in Turchia - ha spiegato a Hurriyet Sahin Antakyalioglu, presidente Centro Diritti Minori di Ankara - In molte aree del Paese quando si parla di diritti dei minori, la Turchia fallisce il rispetto delle regole contenute nelle convezioni internazionali. Il motivo maggiore è che le persone che operano in questi sistema hanno fallito nel comprendere l’’essenza delle convenzioni internazionali e il sistema di protezione dei fanciulli. La misure semplicemente rimangono sulla carta».

YEMEN Ministro dell’Interno smentisce evasione di detenuti da un carcere del Sud

Il ministero dell’Interno yemenita ha smentito le notizie sull’evasione in massa di detenuti da un carcere della turbolenta provincia meridionale di al-Dhalee, dopo un’esplosione. Una fonte del ministero, citata dall’agenzia di stampa locale Saba, ha affermato che si tratta di «indiscrezioni prive di fondamento». Secondo le notizie, invece, sarebbero oltre 30 i detenuti fuggiti dal carcere dopo l’esplosione di un ordigno avvenuta in seguito a una serie di violenze scoppiate tra i prigionieri arrestati durante le manifestazioni secessioniste dei giorni scorsi e gli agenti della sicurezza. «I 20 elementi sovversivi che erano stati arrestati per rissa e atti criminali sono ancora in carcere e nessuno di loro ha tentato di fuggire» ha detto la fonte. Secondo quest’ultima sarebbe stato «uno degli elementi sovversivi, identificato nella persona di Faiys Saleh Basbas, a lanciare una bomba nascosta tra i vestiti prima che i detenuti fossero perquisiti». La deflagrazione, ha precisato la fonte, ha provocato il ferimento di Basbas e di altri sei detenuti. ✦

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Lettera al Direttore o letto l’articolo apparso all’ultima pagina della vostra rivista Polizia Penitenziaria n.169 del mese di gennaio 2010 condividendone appieno il contenuto. Ritengo utile da tempo che organi di stampa accedano con frequenza negli istituti penitenziari per dare giusto risalto al lavoro svolto dalla Polizia Penitenziaria la cui immagine è spesso, pubblicamente e infondatamente, insidiata da eventi luttuosi che si verificano all’interno degli istituti per cause non ricollegabili all’operato della polizia penitenziaria. Al riguardo ritengo rappresentare che, al fine di sgomberare il campo da dubbi che potevano sorgere tra l’opinione pubblica a seguito di tragici eventi verificatisi

presso questa struttura, si è ritenuto promuovere, come da allegati articoli di stampa, un incontro con organi di informazione finalizzati allo scopo sopra illustrato nonché con esponenti enti locali a seguito di un tentativo -recente- di suicidio scongiurato dalla prontezza di intervento di uomini del reparto. Il tutto in una struttura - al pari delle altre - sovraffollata con le note comuni problematiche derivanti dalla forza in organico. Tanto trasmetto auspicando il diffondersi di tali iniziative che sinceramente danno conforto, motivazione e incoraggiamento al reparto. Voglia gradire i miei cordiali saluti, F.to Il Direttore della Direzione Istituto Penitenziario Castrovillari Dott. Fedele Rizzo

La lettera del collega Spanu che abbiamo pubblicato sul numero 169, indirizzata fra l’altro al direttore de Il Manifesto, era evidentemente polemica e provocatoria nei confronti di certa stampa e di certo giornalismo senzazionalista e morboso che si interessa al carcere soltanto quando c’è da sbattere il mostro in prima pagina. Il giornalismo che ci piace, e che è sempre gradito all’interno degli istituti, è quello con la “G” maiuscola, quello interessato ai fatti raccontati fedelmente. Questa è la stampa che vorremmo tutti i giorni a raccontare quello che succede dentro le mura del carcere.

IL MONDO DELL’APPUNTATO CAPUTO

IL DAP GALLEGGIANTE

AVANTI!

© 2010 Caputi & De Blasis

AVANTI!

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radici salde e profonde sostengono gli alberi piu’ grandi.

Sappe: la forza nelle radici.



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