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PoliziaPenitenziaria Società Giustizia e Sicurezza

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anno XXIII • n.238 • aprile 2016

2421-2121

www.poliziapenitenziaria.it

Addio Nicola... amico di tutti



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26 Polizia Penitenziaria

In copertina: L’ex Presidente del Sappe Nicola Caserta durante un Congresso

04 EDITORIALE Il Ministro Orlando all’evento conclusivo degli Stati Generali di Donato Capece

05 IL PULPITO Addio Nicola... amico di tutti di Giovanni Battista de Blasis

06 IL COMMENTO Ripristinare la leva obbligatoria: perchè no? di Roberto Martinelli

08 CRIMINOLOGIA L’educazione alla legalità in un quadro criminologico di Roberto Thomas

Società Giustizia e Sicurezza

anno XXIII • n.238 • aprile 2016 12 L’OSSERVATORIO POLITICO Riordino e riallineamento di Giovanni Battista Durante

14 DIRITTO & DIRITTI Il detenuto e il diritto al lavoro di Giovanni Passaro

16 LO SPORT Le FiammeAzzurre acquistano una stella: Giusy Versace altri servizi su Vincenzo Mangiacapre e Stefano Pressello di Lady Oscar

18 DALLE SEGRETERIE Cremona, Padova e Porto Azzurro

Le norme italiane alla base del processo europeo di Ciro Borrelli

Kill zone - Ai confini della giustizia a cura di G. B. de Blasis

PoliziaPenitenziaria Società Giustizia e Sicurezza

Organo Ufficiale Nazionale del S.A.P.Pe. Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Direttore responsabile: Donato Capece capece@sappe.it Direttore editoriale: Giovanni Battista de Blasis deblasis@sappe.it Capo redattore: Roberto Martinelli martinelli@sappe.it Redazione cronaca: Umberto Vitale, Pasquale Salemme Redazione politica: Giovanni Battista Durante Comitato Scientifico: Prof. Vincenzo Mastronardi (Responsabile), Cons. Prof. Roberto Thomas, On. Avv. Antonio Di Pietro Donato Capece, Giovanni Battista de Blasis, Giovanni Battista Durante, Roberto Martinelli, Giovanni Passaro, Pasquale Salemme

Le amiche assassine di Pasquale Salemme

24 WEB E DINTORNI Sovraffollamento penitenziario di Federico Olivo

26 COME SCRIVEVAMO Addio Regina Coeli? di AA.VV.

31 SICUREZZA SUL LAVORO Più tutela per prevenire gli infortuni sul lavoro di Valter Pierozzi

32 LE RECENSIONI Editori: ROGIOSI, ARES, LATRIBUNA, SIMONE

20 CINEMA

11 MINORI

22 CRIMINI & CRIMINALI

Direzione e Redazione centrale Via Trionfale, 79/A - 00136 Roma tel. 06.3975901 • fax 06.39733669 e-mail: rivista@sappe.it web: www.poliziapenitenziaria.it Progetto grafico e impaginazione: © Mario Caputi www.mariocaputi.it

“l’appuntato Caputo” e “il mondo dell’appuntato Caputo” © 1992-2016 by Caputi & de Blasis (diritti di autore riservati)

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34 L’ULTIMA PAGINA La vignetta dell’Appuntato Caputo

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Cod. ISSN: 2421-1273 • web ISSN: 2421-2121 Stampa: Romana Editrice s.r.l. Via dell’Enopolio, 37 - 00030 S. Cesareo (Roma) Finito di stampare: aprile 2016 Questo periodico è associato alla Unione Stampa Periodica Italiana

Edizioni SG&S

Il S.A.P.Pe. è il sindacato più rappresentativo del Corpo di Polizia Penitenziaria

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L’EDITORIALE

Donato Capece Direttore Responsabile Segretario Generale del Sappe capece@sappe.it

Il Ministro Orlando all’evento conclusivo degli Stati Generali

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Nella foto: il Ministro della Giustizia Andrea Orlando

l Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE, il primo e più rappresentativo del Corpo, ha presenziato lunedì 18 aprile scorso a Roma Rebibbia, all’evento conclusivo degli Stati Generali dell’esecuzione penale per rispetto istituzionale al Capo dello Stato Sergio Mattarella e al Ministro della Giustizia Andrea Orlando. L’evento è stato la conclusione di un percorso di riflessione e approfondimento sul sistema penitenziario fortemente voluto dal guardasigilli Andrea Orlando per ripensare una dimensione della pena più vicina ai dettami della Costituzione e agli standard europei e che punti al reale reinserimento dei detenuti nella società e alla costruzione di una migliore fisionomia del carcere, più dignitosa per chi vi lavora e per chi vi è ristretto. "Abbiamo fatto una cosa che in questo ambito non era mai stata fatta, per dimensione della riflessione, per ampiezza di visione, per ambizione" ha affermato con orgoglio Orlando, ringraziando i tanti esponenti della società civile che hanno aderito all'iniziativa portando ciascuno il proprio contributo e la propria riflessione, la propria esperienza professionale o scientifica nei 18 tavoli di lavoro tematici che hanno costituito, insieme con la consultazione pubblica, il cuore di un lavoro durato quasi un anno. "Si tratta di un lavoro importantissimo che servirà a riformare l'ordinamento, a cambiare le prassi, a costruire un modello di esecuzione della pena europeo. Ma anche una vera e propria banca dati di progetti, di idee e di riflessioni che potrà essere utile sia al legislatore, sia all'amministrazione penitenziaria, sia alla società". Il punto di partenza degli Stati Generali

è stato dettato dalla necessità e dal desiderio di non disperdere lo sforzo normativo e organizzativo fatto da Governo, Parlamento e Ministero in due anni per affrontare e superare l'emergenza sovraffollamento delle carceri, finita sotto la lente della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo. Nel corso della due giorni a Rebibbia sono state illustrate le relazioni e le proposte elaborate dai gruppi di lavoro ed è stato reso pubblico il documento finale che riassume le ragioni e gli obiettivi di una scelta metodologicamente inedita che punta a sviluppare una nuova cultura della pena. Perchè, come ben sintetizza l'ultimo passaggio di tale documento, "La società che offre un’opportunità ed una speranza alle persone che ha giustamente condannato si dà un’opportunità ed una speranza di diventare migliore". Abbiamo partecipato all’evento conclusivo degli Stati Generali dell’esecuzione penale per rispetto istituzionale, dicevo prima. Avremmo infatti preferito un maggiore coinvolgimento degli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria ai lavori degli Stati Generali, stante che il contributo dei Baschi Azzurri all’evento è stato assai marginale: hanno parlato di carcere tutti, ma proprio tutti, meno quelli che in carcere, in prima linea, ci stanno 24 ore al giorno, 365 giorni all’anno... Per altro, l’Amministrazione Penitenziaria si ostina a tranquillizzare l’opinione pubblica sull’allarme sovraffollamento delle carceri del nostro Paese, ma in realtà smentisce se stessa. I dati sulle presenze in carcere ci dicono altro. Ci dicono, infatti, che l’affollamento nelle carceri italiane persiste e insiste, a tutto danno del servizio operativo della Polizia Penitenziaria che, nonostante i propri organici siano carenti di più di 7mila unità, a differenza degli altri Corpi di

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Polizia dello Stato non ha avuto nella Legge di Stabilità alcuna nuova assunzione di Agenti. Quelli del carcere non sono problemi da nascondere, come la polvere sotto lo zerbino, ma criticità reali da risolvere. I numeri dei detenuti in Italia sarà pure calato, ma le aggressioni, le colluttazioni, i ferimenti, i tentati suicidi e purtroppo anche le morti per cause naturali si verificano costantemente, spesso a tutto danno delle condizioni lavorative della Polizia Penitenziaria che in carcere lavora 24 ore al giorno. Alla data del 31 marzo scorso erano fisicamente presenti, nei 195 penitenziari italiani, ben 53.495 detenuti, comunque 4mila in più rispetto alla capienza regolamentare fissata dal DAP in 49.480 posti (conteggiando tra questi anche sezioni detentive chiuse e in ristrutturazione). La situazione resta allarmante e lo testimonia meglio di ogni parola il numero degli eventi critici che ogni giorno si verificano nei 200 carceri. Risse, incendi, aggressioni, tentati suicidi, colluttazioni, ferimenti, atti di autolesionismo. Gli eventi critici sono aumentati, che piaccia o meno, da quando ci sono vigilanza dinamica e regime penitenziario “aperto”. Perché se è vero che il 95% dei detenuti sta fuori dalle celle tra le 8 e le 10 ore al giorno, è altrettanto vero che non tutti i ristretti sono impegnati in attività lavorative e, anzi, trascorrono tutte quelle ore del giorno a non far nulla. E, non a caso, il numero degli eventi critici tra le sbarre è drammaticamente aumentato. Nel merito dei lavori degli Stati Generali, il SAPPE ha rivendicato il ruolo e l’identità del Corpo di Polizia Penitenziaria rispetto a chi vorrebbe annullarlo per creare un inutile Corpo di Giustizia, con funzioni diverse da quelle assolte ogni giorno dai Baschi Azzurri: per questo dicemmo da subito che era auspicabile un serio coinvolgimento di poliziotti penitenziari e Sindacati di categoria, come è il SAPPE, che avrebbero potuto suggerire proposte utili e concrete per fronteggiare le criticità delle carceri italiane. Auspichiamo allora che ciò possa avvenire nel prossimo futuro. F


IL PULPITO

Addio Nicola... amico di tutti Giovanni Battista de Blasis Direttore Editoriale Segretario Generale Aggiunto del Sappe deblasis@sappe.it

N

icola Caserta ci ha lasciato! Il buon Nicola, il Nicola gentile, il Nicola generoso, il Nicola amico di tutti non c’è più ... Dopo una lunga e sofferta malattia, il quindici aprile, Nicola Caserta ha smesso di combattere contro il suo brutto male e si è arreso. Nicola Caserta fu eletto Segretario Nazionale del Sappe, insieme a me, al primo congresso, tenuto a Roma, nel 1992. Cinque anni dopo, assunse l’incarico di Segretario Generale Aggiunto, posizione che mantenne fino al 2001. Proprio nel 2001, al congresso di Perugia, fu eletto Presidente del Sindacato, carica che detenette fino al 2011, quando fu costretto a lasciare il sindacato per il sopraggiungere della malattia. Nel 1624 John Donne, un sacerdote inglese protestante, scrisse un sermone, poi tratto in poesia, dal quale Hemingway ricavò il titolo di un libro: Per chi suona la campana. Donne, nel sermone e nella poesia, espresse un concetto secondo il quale nessun uomo è un'isola, non può considerarsi, cioè avulso dal resto dell’umanità. Nessun uomo è un’isola, compiuto in se stesso, ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto. Donne afferma che le persone non sono isolate l’una dall’altra, ma l’umanità è interconnessa attraverso legami comunitari e spirituali, anche se con la consapevolezza dell’ineluttabilità della morte. Dunque, se siamo interconnessi, ogni evento nella vita di un uomo ha una qualche influenza nella vita di tutti gli altri e, se è vero che tutti moriamo un po’ quando un uomo muore, è altrettanto vero che, proprio grazie a questa interconnessione, una parte di noi sopravvive alla nostra morte.

Insomma, Donne dice “non mandare mai a chiedere per chi suona la campana: essa suona per te.” E’ per questo che la morte di Nicola Caserta ha diminuito l’umanità e tutti noi siamo morti un po’ insieme a lui. Ma, allo stesso modo, una parte di lui è sopravvissuta alla sua morte. E’ sopravvissuta ... e continuerà a vivere con sua moglie, con i suoi figli e con tutti noi. Indimenticabile rimarrà il suo ricordo nel Sappe, nel Corpo, nel cuore di tutti i suoi cari e nei pensieri di tutti coloro che hanno avuto l'onore ed il piacere di conoscerlo. Requiescat in pace, per essere stato un marito esemplare, un grande padre, un carissimo compagno e uno straordinario collega. Addio Nicola ... amico di tutti. F

Nessun uomo è un'isola, intero in se stesso. Ogni uomo è un pezzo del continente, una parte della terra. Se una zolla viene portata via dall'onda del mare, la terra ne è diminuita, come se un promontorio fosse stato al suo posto, o una magione amica o la tua stessa casa. Ogni morte d'uomo mi diminuisce, perché io partecipo all'umanità. E così non mandare mai a chiedere per chi suona la campana: essa suona per te. John Donne

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Nelle foto: Nicola Caserta


IL COMMENTO

Roberto Martinelli Capo Redattore Segretario Generale Aggiunto del Sappe martinelli@sappe.it

Ripristinare la leva obbligatoria: perchè no?

A

lcune considerazioni (e una proposta al Ministro genovese della Difesa Roberta Pintotti) dopo aver letto l’articolo, pubblicato dal quotidiano Il Secolo XIX domenica 3 aprile scorso, sui ragazzi ‘bene’ che a Genova si divertono a sfasciare tutto. Quel che ho letto nel bell’articolo di Tommaso Fregatti ha rafforzato in me la convinzione che è stato un errore abolire il servizio di leva obbligatorio. Ma andiamo con ordine.

Nelle foto: una veduta di Genova vandalismo contro un auto in sosta

Fregatti ci ha raccontato che a Genova da mesi ci sono bande di ragazzini che si danno a vandalismi sfrenati. Figli di avvocati, imprenditori, professionisti, medici o ingegneri, che impiegano il loro tempo libero per pianificare raid e assalti. Sfasciano auto, devastano arredi urbani, distruggono cartelli. Imprese che immortalano con i loro smartphone e poi condividono - come fossero trofei - sulle piattaforme social network o sulle chat. Gli episodi denunciati sono decine, come le indagini delle forze dell’ordine che da tempo cercano di risalire a loro. Non è semplice. Anzi. Perché gli unici elementi che hanno in mano sono le immagini - e spesso neppure troppo

nitide - delle telecamere di sorveglianza del Comune o degli impianti privati. E trattandosi di ragazzini incensurati è quasi impossibile riconoscerli e segnalarti alla Procura della Repubblica. In un caso, ci sono riusciti i poliziotti del commissariato San Fruttuoso. Insieme ai colleghi delle volanti hanno sorpreso e denunciato uno studente di diciotto anni che smaltiva la sbornia della serata divertendosi a sradicare dall’asfalto i cartelli stradali. Il tutto davanti alle telecamere dei telefonini degli amici, divertiti, che facevano il tifo per lui e lo incitavano. Il giovane, figlio di un avvocato genovese, ne ha distrutti almeno cinque. Ed è stato proprio grazie a quelle immagini estrapolate dagli iPhone del gruppo che gli agenti lo hanno accusato di danneggiamento aggravato e ubriachezza molestia. I genitori, convocati in commissariato si sono scusati per il gesto del figlio e si sono offerti di ripagare i danni. Quel che accade a Genova accade un po’ dappertutto, in tutte o quasi le città. E, come detto, l’articolo ha rafforzato in me la convinzione che è stato un errore abolire il servizio di leva obbligatorio. Intendiamoci: tutti o quasi abbiamo avuto la consapevolezza che fosse un anno perso, ma va detto che la naja fu scuola di vita, fu palestra per uscire di casa per la prima volta comprendendo la parola dovere prima di diritto, fece conoscere e convivere schiere di giovani provenienti dalle zone più disparate d’Italia e dalle condizioni sociali più varie, aiutò generazioni di italiani a sentirsi popolo, garantisce ancora oggi che vi siano centinaia di migliaia di italiani perbene, di volontari nella Protezione Civile, nella conservazione della memoria, nei tanti servizi per il bene delle nostre

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comunità. Mi convinco sia stato un errore abolirla quando vedo la maleducazione, la superficialità, la sguaiatezza di tanti (non tutti) ragazzi di oggi, che vivono nella dimensione virtuale di social network, internet e facebook ma spesso neppure scambiano de visu una parola una non solo con coetanei e pari età ma talvolta neppure con i genitori! Oggi si parla e si chiacchera con l’amico/a virtuale che sta all’altro capo

del mondo: ma poi non si scambia neppure un saluto col vicino di casa o con la persona che si ha accanto al bar quando prendiamo un caffè... Ipertatuati e traforati da orecchini e piercing, dalla bocca di taluni/e di loro esce il peggio della trivialità. Sconoscono le regole elementari dell’educazione e del senso civico, e non perdono occasione per dimostrarlo: ad esempio, non lasciando il posto a sedere sui bus alle persone anziane o alle donne in gravidanza, gettando carte e rompendo bottiglie di vetro per strada, imbrattando monumenti e aule scolastiche o taluni di quei pochi spazi pubblici che ancora vi sono nelle nostre città. Se questi bulli vengono scoperti,


IL COMMENTO neppure si rendono conto di quel che han fatto, complice anche una risposta repressiva blanda e inutile, tanto che l’eventuale disavventura giudiziaria diventa quasi una medaglia al merito da appuntarsi sul loro petto di bulletti... Una consistente fetta di gioventù, insomma, che mi sembra davvero “bruciata”, complice purtroppo anche lo sfascio di tante famiglie. Secondo recenti dati ISTAT, un dato fortemente negativo è quello secondo il quale 2 milioni e 300 mila giovani (il 25%) fra i 15 e i 19 anni non studiano e non lavorano. Che fanno, dunque, tutto il giorno? Fateci caso, una volta i capisaldi dell’educazione erano famiglia e scuola, e per i maschi era formativa ed educativa anche l’esperienza del servizio militare, la leva obbligatoria. Adesso siamo invece in una sorte di terra di nessuno, senza guide e certezze, e persino in uno dei citati capi-saldi formativi c’è chi snatura l’identità stessa delle istituzioni. Qualche esempio. Qualche giorno fa una studentessa ha lanciato una bottiglietta d'acqua contro l'insegnante che, giustamente, ha dato una nota alla ragazzina. Il giorno dopo, lei si è presentata a scuola con una «contronota» della madre all'insegnante. Una contro-nota! Dove la madre metteva in dubbio che il fatto fosse accaduto davvero. Altro esempio: nelle scorse settimane i Carabinieri, in seguito a diverse segnalazioni da parte di genitori che lamentavano un’attività di spaccio, hanno fatto un blitz all'interno di un liceo romano e hanno sorpreso uno studente diciannovenne a spacciare hashish. Altre dosi le aveva in tasca, pronte per la vendita. A seguito dei fatti le lezioni sono state sospese. Ma gli studenti non hanno apprezzato l'arrivo degli uomini – in borghese – dell’Arma tra di loro e hanno dato vita a un’assemblea straordinaria nel cortile con centinaia di studenti. Dunque in una scuola si spaccia droga, più genitori chiedono l’intervento delle Forze dell’Ordine,

queste intervengono nella maniera più discreta e sapete la reazione di altri “genitori”? «Chiederemo un Consiglio straordinario – ha detto il presidente del Comitato dei genitori - Quello che è successo è grave, non ho ancora abbastanza dati per valutare tutto ma mi sembra molto grave: non mi sembra un atteggiamento giusto nei riguardi degli studenti. Sicuramente bisogna fermare questo uso di droga ma come bisognerebbe vietare di fumare sigarette nel cortile, però va fatto con gli studenti non chiamando le forze dell’ordine». Vicino Brescia, poi, sapete cosa hanno detto ai Carabinieri alcuni altri “genitori” chiamati in caserma per riprendersi i figli minorenni sorpresi con la droga e ubriachi davanti un locale? «Non avete altro da fare che prendervela con un ragazzo per uno spinello? Nemmeno avesse con sé un chilogrammo! Rovinare un giovane per così poco...». I ragazzi erano stati notati fuori dal locale mentre fumavano e bevevano. Ad un controllo, a 6 di loro sono stati trovati 30 grammi tra hashish, marijuana e cocaina e sono stati segnalati come assuntori di droga. Un settimo è stato denunciato perché trovato in possesso di un coltello a serramanico. Eppure, i cattivi sono i Carabinieri... Pensate a che punto siamo arrivati. Bene ha scritto l’editorialista Lucio Gardin: “Quando ai miei tempi facevo il bullo in classe, il professore oltre a darmi una nota mi mollava anche una sberla. E quando arrivavo a casa, mia mamma me ne dava un'altra. E poi quando tornava a casa mio padre me ne mollava un altro paio. E se veniva a saperlo mio nonno, me ne mollava un paio anche lui. Oggi se uno fa il bullo in classe e prende una nota, sua madre prima fa la contronota (!) all'insegnante, e poi manda il marito a dirgliene quattro per avere frustrato il pargolo. Oggi i genitori s'intromettono anche sulle materie d'insegnamento. Fanno i gruppi su whatsapp per contestare il lavoro

degli insegnanti. Perché naturalmente loro saprebbero fare meglio. È come andare dal medico e dirgli cosa deve prescriverti. O dal meccanico e dirgli come si aggiusta la macchina. È un delirio di onnipotenza che si tramanda di genitore in figlio”. Lo Stato deve allora tornare a supplire alle carenze delle famiglie e deve mettere in condizione le giovani generazioni di darsi una formazione etica. Mi torna allora alla mente quel che lessi, nelle mie prime ore da giovane Alpino, 28 anni fa, su un muro della Caserma Ignazio Vian di Cuneo: “chi naja non prova, libertà non apprezza”. E allora mi chiedo, e chiedo alla genovese Ministro della Difesa Roberta

Pinotti: di fronte a questo dilagante degrado morale, di fronte a queste rovine morali, non è giunta l’ora di “restare in piedi” e dunque discutere seriamente sulla possibile reintroduzione in Italia della leva obbligatoria? F

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Nelle foto: atti vanalici su un vagone ferroviario sotto la frase “alpina” sulla naja


Roberto Thomas Docente al Master di criminologia e scienze forensi presso l’Università di Roma La Sapienza Già Magistrato minorile rivista@sappe.it

CRIMINOLOGIA

L’educazione alla legalità in un quadro criminologico I n Italia nella scuola media inferiore, fino all'inizio degli anni settanta (la cosiddetta scuola dell'obbligo, che all'epoca arrivava fino ai quattordici anni), costituiva materia di studio l'educazione civica, che rifletteva l'approfondimento delle tematiche relative alla nostra Costituzione.

L'ora di educazione civica venne introdotta nel 1958 e abolita nell'anno scolastico 1990/91. La conoscenza degli articoli della predetta Carta, in particolare dei principi fondamentali, era l'occasione per i professori di illustrare il loro profondo significato educativo ai giovanissimi allievi, con esempi pratici che riflettevano la loro realtà socio-familiare. Pertanto anche i ragazzini che provenivano da famiglie povere e non acculturate sufficientemente (soprattutto appartenenti alle generazioni fino alla fine degli anni cinquanta) potevano aprire le loro menti ai concetti educativi, all'epoca assolutamente prevalenti, esplicati nel motto: Dio, Patria, Famiglia. Ovviamente, nel nostro tempo attuale, il precitato motto appare largamente superato dall'evoluzione del costume. Però nella scuola media, con l'abolizione dell'insegnamento dell'educazione civica tout court, non si è sostituito alcun altro oggetto di studio relativo all'educazione “laica” dei valori di libertà e solidarietà che dovrebbero sempre governare il nostro vivere civile. Ecco perchè occorre proporre con forza l'inserimento tra le materie di studio, fin dalle elementari, del nuovo insegnamento scolastico della cosiddetta educazione alla legalità, come strumento di risoluzione dei conflitti fra gli individui senza l'uso della violenza e di sviluppo personale mediante anche il dialogo interculturale, come finalmente ha fatto, di recente, la legge n. 107 del 2005 ( cosiddetto decreto Renzi “sulla buona scuola” ), che al punto 7, lett. E, prevede fra gli obiettivi scolastici

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prioritari “[lo] sviluppo dei comportamenti responsabili ispirati alla conoscenza e al rispetto della legalità...”. A proposito di quest'ultimo occorre notare che la presenza sempre maggiore di studenti extracomunitari nell'ambito delle classi scolastiche spesso con scarsa conoscenza della stessa lingua italiana, e con un retroterra familiare povero economicamente e culturalmentedeve indurre il sistema scolastico ad una particolare attenzione verso questi minori per una loro adeguata accoglienza, mediante l'inserimento di specializzati mediatori culturali nel ruolo degli insegnanti, che possano curare il loro migliore inserimento nella scuola. Dall'altra parte ci si dovrebbe attivare per una sensibilizzazione ad una sempre maggiore solidarietà da parte degli studenti di famiglia italiana, mediante una metodologia che dovrà tendere a creare uno spazio di auto analisi per il singolo allievo, facendo sviluppare in lui (quasi una maieutica e cioè il metodo d'insegnamento elaborata già nell'antichità da Socrate) il senso della responsabilità civica e della solidarietà verso gli altri , soprattutto i più deboli, in particolare stranieri, che sono bisognosi del nostro aiuto per una loro adeguata integrazione. Invero si deve contrastare la teoria economica secondo cui l'essere umano dovrebbe essere guidato soltanto dalla realizzazione del profitto individuale. Conseguentemente, occorre schierarsi con forza con l'economista indiano Amartya Sen – autore del libro “Governare i beni comuni”, e


CRIMINOLOGIA

premio Nobel nel 1998 “per aver restituito una dimensione etica alla discussione delle vitali questioni economiche” per i suoi studi sul Welfare - che scrive : “L'amore di sé , il proprio interesse in senso stretto, la prudenza che in qualche modo illumina questo interesse, non escludono altre motivazioni quale la generosità, l'empatia, uno spirito di pubblico impegno e il senso della giustizia. In una certa misura non avremmo un terzo settore se le motivazioni umane non fossero contraddistinte da questa varietà e da questa ricchezza”. E di fronte al quotidiano bombardamento mediatico della rappresentazione di violenza e criminalità, il valore della solidarietà pur presente ampiamente nella nostra società con un numero di circa due milioni di italiani che la esercitano concretamente come volontari (appartenenti al cosiddetto terzo settore economico e cioè quello che identifica le attività “non profit” ) sembra essere “messa all'angolo” , quasi appiattita e sconosciuta ai più ! Su questa linea si pone il punto 7, lett. D della precitata legge n. 107 del 2015 che inserisce fra gli obiettivi scolastici prioritari “[lo] sviluppo delle competenze in materia di cittadinanza attiva e democratica attraverso la valorizzazione dell'educazione interculturale e alla pace, il rispetto delle differenze e il dialogo tra le culture, il sostegno dell'assunzione di responsabilità nonché della solidarietà...”. Ciò premesso, in un sistema di moderna criminologia minorile, fra le cause di contrasto alla deriva

criminale degli infradiciottenni, emerge l'importanza proprio della precitata educazione alla legalità come variabile collegata, contemporaneamente, sia alla personalità che all’ambiente in cui vive un minore. Essa, in quanto processo educativo, riguarda sia la famiglia che la scuola, quali organi ambientali di riferimento e dovrebbe venire introiettata nella personalità dell’adolescente, incidendo, in maniera forte, sulla individualità del soggetto in età evolutiva nel suo concreto rapportarsi con la l’ambiente familiare, la scuola, i coetanei, le varie autorità costituite (quali le forze dell’ordine, i magistrati, gli organi politici ecc.) e i fenomeni di grave allarme sociale (come ad esempio, quello della criminalità mafiosa), al fine della prevenzione della devianza, soprattutto di quella che travalica in comportamenti che costituiscono illeciti penali . La tipologia dei reati che possono nascere nei precitati ambiti familiari e scolastici racchiude praticamente, con rare eccezioni (quali, ad esempio, i delitti imputabili ai “colletti bianchi” contro la pubblica amministrazione , che evidentemente, a motivo della loro età, non possono essere mai commessi da minori), l’intero corpus del codice penale . Tra i diversi studi in materia di legalità mi è parso rilevante riportare, in sintesi, le conclusioni di quello in cui questo autore ha partecipato in prima persona, come magistrato minorile di lungo corso, attraverso la somministrazione di un articolato questionario a tutti gli studenti delle scuole medie e liceali di Roma e provincia nel 2000, pubblicato dall’editore Franco Angeli, col titolo “La legalità imperfetta”, a cura di Luigi Barone (uno psicologo di talento ed esperienza, giudice onororario del tribunale per i minorenni di Roma, di cui mi onoro di essere amico da molti anni). Gli studenti che hanno compilato il questionario, strettamente anonimo, pari a 2.040, sono stati divisi - in base al contenuto delle loro risposte - in otto tipologie, differenziate

caratterialmente, e precisamente : 1) i legalisti esposti (che comprendono coloro che, pur essendo astrattamente favorevoli ad una cultura della legalità, sono esposti ad un rischio di devianza); 2) i legalisti non esposti (e cioè studenti che accettano la cultura della legalità, pur essendo solo marginalmente esposti al rischio delle trasgressioni adolescenziali); 3) gli impauriti emotivi (comprensivi di coloro che esprimono, generalmente, un atteggiamento a carattere emotivo nei confronti delle tematiche in materia di legalità ); 4) gli ingenui (che dimostrano scarsa consapevolezza circa i rischi dei comportamenti devianti ); 5) i piccoli emotivi (che si differenziano dagli ingenui per la carica di emotività che dimostrano nell’affrontare le risposte in tema di legalità); 6) gli individualisti materialisti (e cioè quelli assolutamente disinteressati nei confronti dei problemi relativi alla sfera pubblica e sociale e quindi ad una cultura della legalità); 7) i coatti (ovvero i tipici bulli di periferia, che vanno orgogliosi della loro condizione di primitività e di rozzezza, e che sono già entrati in un quadro di devianza border line); 8) i ribelli (che comprendono coloro che con i loro comportamenti trasgressivi esprimono un generalizzato malessere esistenziale nei confronti del mondo degli adulti , che viene più o meno consapevolmente criticato e rifiutato). Tali otto gruppi sono stati successivamente aggregati in tre macrogruppi e precisamente: • i legalisti (comprensivi sia di quelli esposti che degli altri non esposti); • gli immaturi (contenente gli impauriti emotivi, gli ingenui e i piccoli emotivi); • gli antilegalisti (al cui interno sono ricompresi gli individualisti materialisti, i coatti e i ribelli). Il 39,9 % del campione studentesco è risultato appartenere al macro gruppo degli immaturi, raccogliendo la maggioranza numerica del campione statistico e, all’interno di esso, gli

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Nel box sopra: una copertina della Costituzione della Repubblica italiana nell’altra pagina, il frontale marmoreo dedicato alla Giustizia del “Palazzaccio” di Roma

Á


CRIMINOLOGIA impauriti emotivi arrivano al 16,1 % , gli ingenui al 6,5% , mentre i piccoli emotivi rappresentano il 17,3% . Segue, nell’ordine , con il 34% del risultato campionato, l’appartenenza al macrogruppo del legalisti suddiviso nel 17,3% di esposti , mentre il 16,7% risulterebbero non esposti , ragionevolmente, al rischio di devianza .

Nella foto: legalità

Da ultimo vi è il macrogruppo degli antilegalisti (che non possiedono, cioè, alcuna idea di cultura della legalità), che sono pari al 26,1% del campione, raccogliendosi in esso le tre tipologie degli individualisti materialisti, con percentuale pari all’11,4 % , quella dei coatti (2,5 %), e il gruppo dei ribelli (12,2 %) . Emerge un quadro abbastanza sconsolante di una realtà studentesca prevalente (pari al 66%, sommando i due macrogruppi degli immaturi e degli antilegalisti ), quasi estranea e molto sfiduciata nei confronti delle istituzioni (la fiducia espressa nei confronti delle forze dell’ordine è pari solo al 13 %, scende per i magistrati al 9,6 %, e si attesta, addirittura, solo al 1,3 % per i politici), con il conseguente concreto pericolo di determinazione del moltiplicarsi di comportamenti trasgressivi e devianti fra i giovani. Invero, per coloro che hanno risposto al questionario, il valore positivo preminente è la famiglia che costituisce l’unità centrale nell’universo giovanile.

Infatti il 90% degli studenti intervistati la considera il principale punto di riferimento. Assai importante è anche il valore dell’amicizia verso i coetanei (77,7 % degli intervistati), che purtroppo, alle volte, decade negativamente, nell’assuefazione alle devianti regole di un branco ribelle . Altresì significativo è che il 71,7 % degli studenti rilevi l’importanza del lavoro, mentre il riferimento valoriale all’acquisizione della ricchezza si ferma al 62,8 %, e quello del divertimento al 56,4 % . Rispetto alla tipologia dei reati più frequenti commessi dagli studenti appare allarmante il dato relativo alle manifestazioni di vandalismo e all’assunzione di droghe. Per il primo l’80,81 % degli intervistati ammette di aver partecipato almeno una volta al danneggiamento dei muri e delle attrezzature scolastiche. Ciò dimostra l’assoluto difetto di prevenzione in materia da parte dell’autorità scolastica, e la mancanza di una repressione intelligente, non basata meramente sulle sanzioni penali, ma sull’irrogazione, da parte dei singoli presidi, di prescrizioni all’intera collettività scolastica - come fruitrice e garante, al tempo stesso, dei servizi erogati dalla scuola - del ripristino materiale dei danni causati, ad esempio, durante le consuete occupazioni scolastiche. Nel campo dell’assunzione degli stupefacenti, emerge, assai preoccupante, il dato che l’uso delle droghe leggere coinvolge il 74% del campione, mentre, per quelle pesanti, la percentuale, benché sempre elevatissima, si riduce al 52, 7 % , dati che, si discostano sensibilmente, in eccesso, rispetto a quelli ufficiali a carattere nazionale dell'Istat, del 2014, che valuta in un 26,7% dei giovani tra i quindici e i diciannove anni il consumo delle droghe leggere . Il problema dell’assunzione delle droghe nell’ambito dell’universo giovanile è certamente assai arduo da affrontare, rilevandosi il continuo incremento del fenomeno che colpisce, trasversalmente, gli adolescenti di ogni categoria sociale.

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Forse occorrerebbe provare l’uso, per un tempo determinato, di nuovi strumenti legislativi, monitorandone seriamente gli effetti concreti, durante il periodo di prova della vigenza normativa, quali la discussa liberalizzazione delle droghe leggere, che farebbe perdere alle medesime il gusto del proibito, che tanto attira i nostri ragazzi. Certamente una seria educazione alla legalità svolta dalla famiglia e dalla scuola concorrerebbe alla prevenzione dell'uso della droga e in generale alla deriva criminale minorile. In particolare la scuola dovrebbe sempre più, con l'introduzione formale come materia di studio dell'educazione alla legalità, promuovere non solo i valori culturali ma anche quelli etico-politici basati sul rispetto degli altri e della gestione pacifica delle situazioni di conflitto, con l'affermazione che le norme (scolastiche, sociali, etiche e giuridiche) costituiscono la sostanza necessaria della convivenza civile democratica. A questo proposito rileva esattamente il noto magistrato Giancarlo Caselli (già membro del Consiglio Superiore della Magistratura e Procuratore Generale della Repubblica di Torino ) che “essa significa dialogo perchè consente di escludere il ricorso alla violenza nei rapporti tra le persone; significa libertà perchè le regole comuni assicurano lo spazio in cui ogni individuo può agire senza essere sottoposto al potere altrui; significa democrazia perchè non è possibile nessuna partecipazione politica quando si è posti sotto la minaccia criminale; significa sviluppo economico perchè la criminalità soffoca la concorrenza e impedisce l'iniziativa di chi lavora e di chi dà lavoro. Se la scuola fa comprendere questi valori della legalità , che sono le condizioni di una società solidale e prospera, rispettosa dell'ambiente e di tutti i valori costituzionali, si può confidare che i giovani non cadranno nelle reti tese dall'illegalità”. F


GIUSTIZIA MINORILE

Le norme italiane alla base del giusto processo minorile europeo

I

l 3 aprile 2016 a Strasburgo, “Nasce il giusto processo penale minorile europeo. Sul piano giuridico e dei diritti della persona, si tratta di un atto di maturità e di una svolta storica nella legislazione dell’Unione europea, perché per la prima volta viene introdotta una disciplina specifica dei procedimenti penali nei confronti di minori. Il risultato raggiunto, nel quale si riflette in buona parte l’esperienza del sistema italiano, è frutto di un ampio dibattito al quale hanno contribuito con sensibilità e idee sia gli attori istituzionali che le parti sociali, ed è un risultato di cui possiamo essere orgogliosi”. Così l’eurodeputata Caterina Chinnici fotografa il significato della direttiva europea sulle garanzie procedurali per i minori penalmente indagati o imputati, di cui è relatrice per conto della commissione Libe (Giustizia) del Parlamento Europeo. Dopo un ultimo passaggio confermativo in Consiglio, la direttiva sarà pubblicata in Gazzetta Ufficiale e dal quel momento gli Stati membri avranno 36 mesi di tempo per uniformare la normativa interna. La legge riguarderà circa un milione di persone: tanti sono, secondo le stime della Commissione, i minori che ogni anno in Europa entrano formalmente in contatto con le forze dell’ordine e con la giustizia (il 12% del totale della popolazione coinvolta in procedimenti penali). “Il testo è un catalogo di diritti e garanzie minime – aggiunge Caterina Chinnici – che colma le attuali distanze tra gli ordinamenti nazionali e delinea, almeno nei tratti essenziali, un modello europeo condiviso di giusto processo minorile in cui possa

realizzarsi l’equilibrio tra l’esigenza di accertare i fatti di reato, con le relative responsabilità, e quella di tenere nella dovuta considerazione le vulnerabilità e gli specifici bisogni dei minori”. “Il superiore interesse del minore è posto al centro del sistema giudiziario penale – prosegue – e la direttiva fissa importanti punti fermi tra i quali, innanzitutto, la necessaria assistenza di un difensore, il diritto del minore alla valutazione individualizzata, la formazione specialistica sia dei magistrati che degli altri operatori coinvolti nel procedimento, e ancora il principio della detenzione separata rispetto ai maggiorenni. Credo che l’applicazione delle nuove regole contribuirà anche al reinserimento sociale dei minori che hanno problemi con la legge e alla prevenzione delle recidive. Si compie inoltre un importante passo verso l’armonizzazione normativa e verso l’ampliamento dello spazio europeo di giustizia, che favorirà il mutuo riconoscimento delle decisioni giurisdizionali tra i paesi membri dell’Unione”. Caterina Chinnici ha illustrato i contenuti del provvedimento in una conferenza stampa congiunta con Vera Jourova, Commissaria europea alla Giustizia, secondo la quale “i minori hanno bisogno della massima protezione possibile nell’ambito di un procedimento penale, anche affinché comprendano al meglio sia la legge che i propri diritti, e la direttiva prevede salvaguardie relative a tutte le fasi procedimentali”. La principale novità contenuta nel testo sarà dunque il principio dell’obbligo di assistenza legale al minore indagato o imputato, chiarito con l’indicazione dei momenti e degli atti in cui l’intervento

del difensore deve essere assicurato. Come corollario, la direttiva afferma anche il diritto al gratuito patrocinio. Poche le deroghe ammesse, e tutte peraltro bilanciate da contro-deroghe: per esempio, non è mai possibile decidere sulla libertà personale del minore in assenza dell’avvocato. Il testo stabilisce inoltre che dovrà esserci uno specifico momento della procedura, in ogni caso prima dell’imputazione, in cui approfondire la specifica situazione del minore anche con l’ausilio di psicologi. L’esito di questa valutazione individualizzata andrà documentato e messo a disposizione dell’autorità procedente affinché possa avere informazioni sulla personalità del minore, sulla sua condizione familiare, sociale ed economica e su tutti gli altri elementi utili per capire, ad esempio, quale grado di consapevolezza del reato il minore abbia avuto, quale misura cautelare sia più opportuna, quali siano le prospettive di rieducazione. Introdotto anche il principio della detenzione separata: gli infradiciottenni non potranno stare in carcere insieme con i detenuti adulti e i paesi membri avranno facoltà di applicare questo criterio anche ai giovani che dovessero raggiungere la

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Ciro Borrelli Dirigente Sappe Scuole e Formazione Minori borrelli@sappe.it

Nella foto: l’intervento della dott.ssa Chinnici al Parlamento Europeo

Á


MINORI maggiore età durante la detenzione, in ogni caso configurata come extrema ratio. A tutti i minori ai quali sia stata applicata una qualunque restrizione della libertà personale dovranno essere inoltre assicurati l’assistenza medica necessaria e il diritto a incontrare prima possibile il titolare della responsabilità genitoriale. In generale, devono essere garantiti al minore il diritto a essere informato sui propri diritti e la possibilità di partecipare attivamente al procedimento con l’accompagnamento del genitore o di altro soggetto responsabile. Altro elemento essenziale consiste nell’obbligo a carico degli Stati membri di garantire ai minori detenuti l’educazione e la formazione, il regolare esercizio delle relazioni familiari e l’accesso a programmi di sviluppo, il tutto nel pieno rispetto della libertà religiosa e di pensiero. Ove le circostanze lo richiedano, è prevista anche la registrazione audiovisiva degli interrogatori, comunque da non rendere pubblica. Sempre a tutela della privacy del minore, le udienze devono di regola svolgersi a porte chiuse. Per fare in modo che magistrati e altri operatori abbiano la specifica competenza necessaria, gli Stati membri devono garantire loro l’effettivo accesso a una formazione specialistica. Infine, in tema di accertamento della minore età si prevede che, ove la verifica risultasse impossibile all’esito dei controlli documentali o medici, la minore età dovrà essere presunta a ogni effetto. Si tratta di una disposizione importante soprattutto per i minori non accompagnati, in particolare immigrati, spesso coinvolti in questo genere di situazioni. La direttiva sulle garanzie procedurali per i minori indagati o sottoposti a processo penale fa parte della road map decisa dal Consiglio nel 2009 per estendere lo spazio europeo di giustizia e favorire il mutuo riconoscimento delle decisioni nel territorio dell’Unione Europea. F

Riordino e riallineamento

Non vorremmo considerare l’ipotesi che qualcuno stia rileggendo il Gattopardo

P

roseguono i lavori al Ministero dell’Interno per la revisione degli ordinamenti e dei ruoli delle Forze di polizia, in attuazione della delega contenuta nella legge 7 agosto 2015, n. 124, sulla razionalizzazione e sul potenziamento dell’efficacia delle funzioni delle Forze di polizia e sull’assorbimento del Corpo Forestale dello Stato. Bisogna intanto partire dal dato più importante, per comprendere la fattibilità di un progetto organico, che tenga conto di tutti i ruoli, a partire da quelli non direttivi e non dirigenziali. Al momento sono disponibili 119 milioni di euro, da destinare al personale non direttivo e non dirigenziale, delle Forze di polizia e delle Forze armate. Altri 28 milioni di euro, destinati a tutti i ruoli delle Forze di polizia, provenienti dall’attuazione dello schema di decreto legislativo sulla razionalizzazione delle Forze di polizia, approvato recentemente dal Consiglio dei Ministri. Questo è quanto si legge in un documento del Ministero dell’Interno. E’ evidente che le risorse sono davvero esigue, se raffrontate a quelle che avevamo a disposizione qualche anno fa: circa 700 milioni di euro che poi l’allora ministro Tremonti destinò ad altro. Detto ciò, vediamo come stanno procedendo i lavori nel merito, fino a questo momento, fermo restando che, sicuramente, ci saranno cambiamenti, rispetto alle ipotesi attuali, a seguito dei futuri incontri che si terranno tra le amministrazione e tra amministrazioni e sindacati. Una prima modifica dell’ordinamento dovrebbe riguardare l’elevazione del titolo di studio, per l’accesso alla qualifica iniziale di agente; quindi, introduzione del diploma di scuola media superiore.

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E’ prevista: • la valorizzazione degli assistenti capo, con l’attribuzione di un assegno di responsabilità e la denominazione di sostituto sovrintendente, qualora in possesso di un’anzianità di 12 anni nella qualifica; • la valorizzazione dei sovrintendenti capo, con anzianità di 4 anni nella qualifica, mediante l’attribuzione di un assegno di responsabilità e della denominazione di sostituto ispettore; • la valorizzazione del ruolo degli ispettori, anche mediante la trasformazione della denominazione di ispettore superiore sostituto commissario in qualifica di sostituto commissario ed attribuzione al sostituto commissario con quattro anni di anzianità, di un assegno di valorizzazione, unitamente al conferimento della denominazione di primo sostituto commissario. Nella fase transitoria dovrebbero prevedersi procedure semplificate per l’accesso ai ruoli di sovrintendente e di ispettore. Verrà rivista la carriera dei funzionari, attraverso la creazione di un ruolo unico dei funzionari (con posizioni direttive e dirigenziali), a cui si accede con laurea specialistica, affiancato da un nuovo ruolo direttivo, cui si accede con laurea triennale. A regime, per il ruolo unificato, verrebbe prevista una specifica riserva, per il personale interno, in possesso della laurea specialistica. L’accesso al nuovo ruolo direttivo verrebbe riservato, previo possesso di laurea triennale, in prevalenza a coloro che partecipano al concorso dall’esterno, per la restante parte al personale del ruolo degli ispettori, con una riserva di posti per la qualifica apicale. Questo è quanto propone il ministero dell’Interno.


L’OSSERVATORIO POLITICO E’evidente che ogni amministrazione ha peculiarità diverse che dovranno trovare omogeneizzazione nell’ambito dei lavori al tavolo tecnico. Per quanto riguarda i ruoli direttivi l’amministrazione penitenziaria ha specifiche esigenze che derivano, in modo particolare, dai contenuti dell’art. 1, comma 973, della Legge Finanziaria 2016 che, modificando l’art. 3, comma 155, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, ha destinato specifiche risorse per provvedimenti normativi finalizzati all’equiparazione, nell’articolazione delle qualifiche, del personale direttivo del Corpo di Polizia Penitenziaria, ai corrispondenti ruoli direttivi della polizia di Stato, di cui al d.lgs. 334/2000. A tal proposito, di recente, il Dipartimento ha inviato un documento al Capo di Gabinetto del Ministro, nel quale afferma di voler inserire il riallineamento nel riordino delle carriere, poiché apparirebbe la soluzione più logica. In particolare, per il riferimento alla legge n. 350/2003, per la necessità di apportare modifiche al d.lgs. 443/92 e al d.lgs. 146/2000, richiamato all’art. 8 della legge 124/2015. Inserire il riallineamento nel riordino consentirebbe, sempre da quanto si legge nel documento, di superare eventuali vincoli connessi alle dotazioni organiche del ruolo direttivo del Corpo, di cui alle tabelle allegate al d.lgs. 146/2000, permetterebbe altresì di riorganizzare sistematicamente le funzioni dei ruoli del personale del Corpo di polizia penitenziaria e ciò soprattutto alla luce del numero dei dirigenti che l’amministrazione intende prevedere nella dotazione organica dirigenzializzando le funzioni di comandante di reparto. (Cosa vuol dire ? Solo i comandanti di reparto diventeranno dirigenti ?) E’ del tutto evidente che questi non sono validi motivi per inserire il riallineamento nel riordino, considerato che può essere inserito in qualsiasi altro provvedimento normativo che sia più veloce e che, soprattutto, dia più certezze di una positiva soluzione.

Inoltre, il riordino è un provvedimento che riguarda tutte le Forze di polizia e le Forze armate, per cui è sicuramente inopportuno inserirci il riallineamento dei Funzionari della Polizia Penitenziaria. Dopo un accordo tra tutte le organizzazioni sindacali e l’amministrazione, sia nel merito, sia nelle procedure (era stato infatti concordato, in un recente incontro, di procedere al di fuori del riordino, con atto normativo che fosse una legge o avesse forza di legge, ovvero un decreto legislativo), alla fine è prevalsa la volontà di qualche dirigente, rispetto a quella di tutte le organizzazioni sindacali e dei dirigenti generali. E’ vero, dirà qualcuno, che nel documento inviato al Capo di Gabinetto si fa riferimento anche all’ipotesi di un decreto legge, ma molte volte dipende da come le cose vengono presentate e tale ipotesi è stata sicuramente presentata come residuale e meno efficace dell’altra. La proposta dell’amministrazione potrebbe non trovare copertura economica, laddove sono state previste decorrenze economiche da luglio 2015, quando la legge di stabilità ha previsto stanziamenti economici per gli anni 2016/17/18. Un dirigente, al quale è stato evidenziato il problema, pare abbia detto: “L’abbiamo fatto, ma sappiamo che non passerà.” Speriamo che ciò non corrisponda al vero, altrimenti vorrebbe dire che qualcuno sta davvero rileggendo il Gattopardo. Inoltre, il d.lgs 334/2000, quello al quale dovrebbero essere riallineati i funzionari della Polizia Penitenziaria, prevede che la qualifica di vice questore aggiunto (anche qui non si comprende perché i funzionari della Polizia Penitenziaria non possano assumere tale denominazione, mentre per quelli del Corpo forestale fu fatto: probabilmente non piace a qualche dirigente) si raggiunga, per il ruolo speciale, dopo 11 anni e 6 mesi di anzianità complessiva nel ruolo, per il ruolo ordinario dopo 5 anni e 6 mesi; nella proposta inviata al Gabinetto del Ministro, invece, tale anzianità è stata

stabilita in 13 anni per il ruolo speciale e 7 anni e 6 mesi per quello ordinario. Pur volendo accettare tali decorrenze, comunque del tutto arbitrarie, ciò che non è assolutamente accettabile è l’ipotesi dello scrutinio, per l’avanzamento alla qualifica apicale; vista la celerità con cui è solita procedere l’amministrazione, molti degli interessati, probabilmente, farebbero in tempo ad andare in pensione. E’ evidente che ci sono aspetti di non facile soluzione, come la questione delle decorrenze giuridiche ed economiche. Se si prevede una decorrenza giuridica dal 2013, non è certo possibile spostare quella economica al 2016, atteso che ciò esporrebbe l’amministrazione ai possibili ricorsi da parte degli interessati.

Forse la soluzione migliore era proprio quella prospettata dalle organizzazioni sindacali che, nelle norme transitorie, avevano previsto decorrenze giuridiche ed economiche a partire dal 2016. Non vorremmo considerare l’ipotesi, comunque, che per far funzionare un po’meglio questa amministrazione, sarebbe opportuno pensionare anzitempo alcuni dirigenti, ovvero, tralasciando ogni possibile sarcasmo, destinarli almeno ad altri e più rilassanti incarichi, dopo tanti anni di duro lavoro, nello stesso ufficio. D’altra parte le norme anticorruzione, argomento di cui in questo periodo si parla tanto, impongono la rotazione dei dirigenti nei vari uffici. F

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Giovanni Battista Durante Redazione Politica Segretario Generale Aggiunto del Sappe durante@sappe.it

Nella foto: il Ministero dell’Interno


DIRITTO E DIRITTI

Giovanni Passaro Segretario Provinciale del Sappe passaro@sappe.it

Il detenuto e il diritto al lavoro N el mondo penitenziario il lavoro è sempre stato visto in forma punitiva, apparendo come modalità di espiazione della pena tipicamente afflittiva. Questa concezione di fondo è rimasta tale fino alla riforma dell’Ordinamento Penitenziario del 1975, quando, nel suo art. 15 pone il lavoro quale elemento principale del trattamento rieducativo e in particolare nell’art. 20 che ribadisce, nel comma 2, prima come “il lavoro non ha carattere afflittivo” e poi fissando che “l’organizzazione e i metodi del lavoro penitenziario devono riflettere quelli del lavoro nella società libera al fine di far acquisire ai soggetti una preparazione professionale adeguata alle normali condizioni lavorative per agevolarne il reinserimento sociale”. L’unico punto di contatto tra la vecchia e la nuova disciplina, è rappresentato dall’obbligatorietà del lavoro, e lo si desume dal fatto che il volontario inadempimento è sanzionato a livello disciplinare. La perdita di ogni connotazione afflittiva del lavoro rispecchia i principi della Costituzione che, elevando il lavoro a fondamento della Repubblica democratica, e nel riconoscerlo a tutti i cittadini come diritto la cui effettività deve essere perseguita promuovendo le condizioni che lo rendano possibile, ne discende che la stessa Carta Costituzionale non opera alcuna distinzione tra lavoratori liberi e detenuti. Proprio, però, per la mancanza di un espressa previsione normativa che sancisca la suddetta distinzione, le questioni inerenti al rapporto tra lavoro libero e carcerario, sono state più volte messe all’attenzione della giurisprudenza costituzionale, soprattutto con riferimento al compenso spettante al detenuto per l’attività lavorativa prestata e per le

relative decurtazioni che l’ordinamento penitenziario prevede, sollevando sempre la lesione degli artt. 3 e 36 Cost. La Corte ha, però, ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale in merito agli artt. su citati, dichiarando legittimo l’art. 22 Ord Pen. nella parte in cui prevede che la mercede dei lavoratori detenuti possa essere inferiore rispetto a quanto previsto dai contratti collettivi (sentenza n. 1087 del 1988). La differenza di trattamento tra lavoratori liberi e detenuti è data dal fatto che la remunerazione del detenuto subisce una decurtazione a titolo di risarcimento del danno e di rimborso delle spese procedimentali. Inoltre, la ragionevolezza di questa decurtazione è strettamente connessa alla peculiarità del lavoro svolto alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria, che secondo quanto affermato dalla stessa Corte Costituzionale: “ trae origine da un obbligo legale e non da un libero contratto; ha la finalità di raggiungere la redenzione ed il riadattamento del detenuto alla vita sociale; l’amministrazione non si prefigge né utili né guadagni; si avvale di una mano d’opera disorganica, a volte non qualificata, disomogenea, variabile per le punizioni ed i trasferimenti; i prodotti non sono sempre curati e sempre rifiniti, e il più delle volte si vendono a sottocosto”. In altri termini, la decurtazione prevista dall’art. 22 Ord Pen, si giustificherebbe per la minore produttività del lavoro penitenziario rispetto a quello all’esterno. Ma dal carattere peculiare del lavoro penitenziario discende pure che in quanto lavoro subordinato sia in parte assimilabile al lavoro libero. In questa direzione si è mossa la L. 193 del 2000, che ha introdotto misure

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per favorire il lavoro dei detenuti, proprio evidenziando che il lavoro dei detenuti dovrebbe essere considerato, prima di ogni altra cosa, come un lavoro in senso stretto. Questa tendenza sembra essere la più conforme al quadro costituzionale, proprio in quanto da essa emerge, come già evidenziato, il più ampio riconoscimento dei diritti delle persone soggette a restrizione della libertà personale. Però, nonostante le premesse fatte e le apposite previsioni penitenziarie nel qualificare il lavoro come obbligatorio e nell’essere assicurato salvo i casi d’impossibilità, si dubita sul pieno riconoscimento di un “diritto al lavoro” da parte del detenuto. In primo luogo data la stessa dicitura dell’art. 15 sembra poter dedurre che il dovere dell’amministrazione penitenziaria di offrire un lavoro si vanifichi nella stessa previsione di “salvo i casi d’impossibilità”. In secondo luogo perché, dal dettato costituzionale si riconoscono ulteriori diritti al lavoratore oltre quello della retribuzione, quali il diritto al riposo settimanale e alle ferie annuali retribuite, la cui rilevanza è confermata dalla loro irrinunciabilità (art.36, comma 3, Cost.). In materia la normativa penitenziaria, mentre prevede la limitazione della durata delle prestazioni lavorative, secondo quanto stabilito dalle vigenti leggi in materia di lavoro, riconosce il diritto al riposo festivo, assicurativo e previdenziale, nulla dice in ordine al diritto di ferie annuali. Sul punto è intervenuta la Corte Costituzionale dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 20, comma 16, Ord Pen, nella parte in cui non riconosce tale previsione verso il detenuto che presti la propria attività lavorativa alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria, e ciò perché, sempre a detta della Corte, la specificità del rapporto di lavoro penitenziario, la cui regolamentazione può conoscere delle “varianti”, non può affievolire il contenuto minimo di tutela che secondo la Costituzione, deve assistere ogni rapporto di lavoro subordinato. Il ricorso alle ferie annuali, in quanto garantito dal’ art. 36 Cost., non consente deroga alcuna e, al


DIRITTO E DIRITTI contrario, va assicurato ad ogni lavoratore, senza distinzioni di sorta, ivi compreso chi presti attività lavorativa in stato di detenzione. Ciò non toglie che il medesimo diritto possa subire eventuali adattamenti in ordine a modalità o tempo, al fine di garantirne la compatibilità con lo stato detentivo, dal quale ne discende che, una volta nato un rapporto di lavoro subordinato, questo darà luogo ai relativi diritti e obblighi. All’interno dei diritti dei detenuti lavoratori, la stessa normativa penitenziaria opera una distinzione, che incide soprattutto a differenza di regime, tra i lavoratori che sono ammessi al lavoro all’esterno rispetto a chi svolge lavoro intramurario. La normativa di riferimento prevede in prima analisi che l’ammissione al lavoro all’esterno sia concessa e approvata dall’autorità carceraria da parte del magistrato di sorveglianza, il quale dovrà valutare la natura del reato, la durata della pena e l’esigenza di prevenire il pericolo che l’interessato commetta altri reati (art.21 Ord. Pen). Inoltre, dall’affermazione per cui “i detenuti e gli internati ammessi al lavoro all’esterno esercitano i diritti riconosciuti ai lavoratori liberi, con le sole limitazioni che conseguono agli obblighi inerenti all’esecuzione della misura privativa della libertà” (art. 48 comma 11 Reg. Esec.), discende il pieno riconoscimento dell’applicabilità della legislazione lavoristica comune. Nello specifico, questi hanno il diritto di esercitare il diritto di sciopero, partecipare alle assemblee sindacali, svolgere attività sindacali quando si svolgono nel periodo durante il quale possono rimanere all’esterno, nonché, diritto alla disoccupazione e all’indennità di anzianità. In mancanza di un’analoga disciplina per i detenuti che esercitano attività lavorative intramurarie, si è sostenuto che se il legislatore non li ha espressamente riconosciuti è perché li ha ritenuti esclusi. In realtà, il problema è stato risolto in parte dalla Corte costituzionale in merito al diritto di ferie, come prima si accennava, restando aperto il problema inerente ai diritti sindacali riconosciuti dalla Costituzione. La tesi sostenuta in merito

afferma che il diritto di sciopero, ad esempio, non possa essere compresso per ragioni di ordine e sicurezza, in quanto comunque non pregiudicherebbe la disciplina interna del carcere. Con tale visione la disciplina carceraria in materia di diritti del lavoratore detenuto si pone in armonia con una prospettiva non più legata all’ideologia repressiva e punitiva, bensì ad una ideologia volta all’effettivo recupero del condannati. Resta, per una completa trattazione della materia, da volgere lo sguardo a quali siano i mezzi offerti al lavoratore detenuto nel caso in cui il suo diritto sia compresso. Data l’assimilazione, che la stessa Corte Costituzionale ha sostenuto, secondo cui il rapporto di lavoro carcerario, quale che sia la natura della sua fonte, a quello del libero lavoratore, con quel che ne consegue sul piano dei diritti del detenuto, ne dovrebbe discendere il riconoscimento della competenza del giudice del lavoro a decidere in merito alle questioni concernenti il rapporto di lavoro con i detenuti. Successivamente all’entrata in vigore della legge n. 663 del 1986 (legge Gozzini), per effetto della modifica dell’art. 69 della legge n. 354 del 1975, operata dall’art. 21 della stessa legge n. 663, e della conseguente introduzione sui reclami del detenuto (concernenti "l’attribuzione della qualifica lavorativa, la mercede e la remunerazione, nonché lo svolgimento delle attività di tirocinio e di lavoro e le assicurazioni sociali") di un procedimento, il quale si deve qualificare di natura giurisdizionale, attesa la garanzia del diritto di difesa (assicurata dall’art. 2 della legge n. 663 del 1986, additivo dell’art. 14 - ter alla legge n. 354 del 1975) e la previsione della decisione del Magistrato di Sorveglianza, non più con un ordine di servizio, bensì con una "ordinanza impugnabile soltanto per cassazione", e, quindi, con un provvedimento avente natura di sentenza, si deve reputare che la competenza sia devoluta in via esclusiva al detto Magistrato di Sorveglianza, il quale, peraltro, la esercita nell’ambito della giurisdizione ordinaria, non implicando detta devoluzione una delimitazione della giurisdizione ordinaria nei confronti di quella amministrativa o di altra speciale

(Cass. S.U. n. 26/2001). Dubbi, però, persistono sull’effettività della tutela da un punto di vista processuale poiché, l’art. 14-ter Ord. Pen, consente al reclamante soltanto la possibilità di presentare memorie per sostenere le proprie tesi, ma non quella di partecipare all’udienza o di essere sentito personalmente. Il procedimento si instaura in camera di consiglio con la partecipazione del difensore e del pubblico ministero, ma non dell’amministrazione penitenziaria, in quanto anch’essa potrà solo presentare memorie e non rivestire la qualifica di parte.

Ne discende una scarsa garanzia del contraddittorio e conseguenzialmente una scarsa compatibilità con l’art. 111 Cost. (“ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità e davanti un giudice terzo e imparziale”), quindi risulta evidente come una siffatta previsione, apparentemente limitata al solo aspetto processuale, si rifletta sulla consistenza del diritto del lavoratore e sulla sua effettiva tutela. Pur costatando che al detenuto lavoratore sia riservata una disciplina speciale, non sembra possibile rintracciare una giustificazione alla sottrazione della competenza del giudice del lavoro, soprattutto ad una sostituzione con un procedimento sicuramente meno garantista per le ragioni esposte. Sembra dover concludere che ancora una volta si sia di fronte ad una logica di “separazione” delle vicende che riguardano il detenuto rispetto quelle riguardanti il cittadino libero, proprio perché le esigenze di sicurezza poste a legittimo limite del godimento dei diritti, non sembra in questo ambito trovare spazio alcuno. F

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Nella foto: detenuti al lavoro


LO SPORT

Lady Oscar rivista@sappe.it

Le Fiamme Azzurre acquistano una stella: Giusy Versace

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Nelle foto: Giusy Versace

iusy Versace è diventata un'atleta del Gruppo Sportivo Fiamme Azzurre. La bravura e la forza della talentuosa stella del sud, atleta, conduttrice televisiva ed esperta di moda, è ora patrimonio del settore Paralimpico della Polizia Penitenziaria (prima tra tutte le forze armate e di polizia ad aprirlo a seguito del protocollo d'intesa con il Cip del 2007). «Sono davvero felice di avere l’opportunità di correre con un club così prestigioso, sono rimasta colpita dall’organizzazione tecnica della squadra, e soprattutto dalla loro professionalità. Sicuramente sarà per me di grande stimolo, oltre che di aiuto pratico, in una stagione che si preannuncia intensa e molto eccitante».

Queste le parole della reggina e solare neo tesserata delle Fiamme Azzurre. Il suo esordio con i colori della Polizia Penitenziaria è avvenuto a Grosseto, al Grand Prix Paralimpico dell’8-10 aprile, ed è stato un esordio di livello mondiale. Alla prima esperienza sui 400m, ha stabilito il record italiano della distanza e ha contribuito al primato mondiale della staffetta 4x100m con il quartetto della nazionale: sul giro di pista, con il tempo di 1’04”21, ha fatto oltre tre secondi meglio del precedente per la categoria T43, che era valso un quarto posto agli ultimi Mondiali di Doha. Grazie a questo risultato Giusy è sempre più lanciata verso i prossimi Giochi Paralimpici di Rio de Janeiro (7/19 settembre). Nella staffetta 4x100 metri invece ha contribuito a stabilire il primato mondiale per quartetti delle categorie da T42 a T47. Con 1’02”29, ha potuto festeggiare l’im presa con le compagne di squadra Monica Contrafatto, Federica Maspero e Alessia Donizetti. Giusy dalle tante vite e dalle mille virtù, si potrebbe intitolare così la biografia sua vita se non fosse che lei la sua biografia l'ha scritta già :«Con la testa e con il cuore si va ovunque», in cui ripercorre tutta la sua storia personale, il prima ed il dopo l'incidente sulla Salerno-Reggio Calabria che le costò entrambi le gambe, la rinascita, la fede e la caparbietà nel raggiungere tanti obiettivi prestigiosi e tanti traguardi nei più disparati settori della vita: nella moda, nello sport ed in TV come conduttrice e vincitrice di talent di successo. Giusy è una bellezza mediterranea vera, capelli d'ebano e pelle olivastra, ma quel che più colpisce di lei sono la dolcezza ed il sorriso.

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Due doni che troppo spesso si perdono per cose prive di effettivo spessore e che lei ha invece saputo conservare sempre e comunque, guardando avanti, con la testa ed il cuore certamente, ma accompagnate anche da tanta umiltà e semplicità. Dopo il suo esordio con i colori della Polizia Penitenziaria non ha perso l'occasione di raccontare alla Domenica Sportiva, di cui è una delle conduttrici, del nuovo tesseramento con i colori delle Fiamme Azzurre e della gioia di essere diventata una portacolori d'eccezione. Mai parole più sentite e spontanee come quelle che ha usato durante la trasmissione sono state il biglietto da visita migliore per quello che il gruppo sportivo vorrebbe essere, oltre che per i suoi risultati sportivi, in relazione alle qualità umane dei suoi interpreti migliori. F

Vincenzo Mangiacapre proiettato verso Rio 2016

V

incenzo Mangiacapre potrà giocarsi la partecipazione a cinque cerchi ai prossimi Giochi di Rio de Janeiro 2016. Battendo ai punti e con verdetto unanime l’armeno Vladimir Margaryan, si è qualificato per la finale del preolimpico europeo di boxe a Samsun ma soprattutto nella categoria dei pesi welter in vista del


LO SPORT

La Polizia Penitenziaria al Motoday 2016

S

i è svolta dal 5 all’8 marzo 2016 l’ottava edizione del tradizionale evento motoristico della capitale, il Motoday, con la presenza di oltre 145.000 visitatori. Anche quest’anno la Polizia Penitenziaria è stata rappresentata con uno stand messo a disposizione dalla Fiera di Roma proprio per il Dap. Per rappresentare l’immagine del Corpo di Polizia Penitenziaria, sono stati scelti due settori particolarmente operativi: gli istruttori di difesa personale e il reparto di unità cinofile con i loro conduttori. Il reparto delle unità cinofile si è esibito davanti al folto pubblico presente con professionalità e competenza, con la partecipazione di cani antidroga, creando delle simulazioni operative per ritrovamenti di sostanze stupefacenti all’interno di un veicolo messo a disposizione per l’occasione. Per incorniciare l’evento motoristico della capitale, da sottolineare la presenza degli Istruttori di difesa personale della Direzione Generale dell’Ufficio Quarto della Formazione e Aggiornamento del Personale del Corpo di Polizia Penitenziaria: Isp. Capo Andrea Tocchi; Ass. Capo Stefano

Pressello; Ass. Capo Dimitri Pollo; Ass. Capo Biagio Di Nicola; Ass. Christian Lucchetti; Ag. Sc. Fabrizio Lippiello e Ag. Sc. Dennis Cascino. Gli stessi hanno dato vita ad una serie di esibizioni di tecniche di difesa personale, durante le quattro giornate del Motoday, sotto l’attenta direzione tecnica dell’Ass. Capo Stefano Pressello. Grazie alla professionalità tecnica e competenza degli istruttori, anche nelle esibizioni di difesa personale si è riscontrato un numeroso pubblico accorso per l’occasione, incuriosito dalle musiche marziali durante le dimostrazioni sul tatami. Tutto questo ha dato vita ad un clima suggestivo, anche per la presenza di numerosi gruppi di scolaresche arrivati per l’occasione. Inoltre, nelle brevi pause tra le numerose esibizioni svolte nei giorni fieristici, gli istruttori di difesa personale si sono messi a disposizione per il pubblico presente per delle lezioni propedeutiche di arti marziali tra Judo, Karate e Jiu jitsu, coinvolgendo soprattutto i numerosi bambini che hanno partecipato. Gradita è stata la presenza del Capo

prestigiosissimo appuntamento brasiliano. È la seconda partecipazione olimpica per il 27enne di Marcianise, che nel 2012 conquistò la medaglia di bronzo tra i superleggeri. Nella sfida di qualificazione Margayan ha tentato di partire aggressivo nella prima ripresa con un montante sinistro, ma Mangiacapre ha risposto con due ficcanti ganci destri. Dopo circa 90 secondi, il campano ha destabilizzato l’avversario iniziando a combattere in guardia destra. Un potente gancio sinistro del portacolori delle Fiamme Azzurre ha provocato anche un

brutto taglio sotto l’occhio del rivale dell’Est Europa. Nella seconda frazione Mangiacapre, determinatissimo e grintoso ma anche sciolto, è stato abile a mantenere la distanza e andare a segno ogniqualvolta che Margaryan gliene ha fornito l'opportunità. Particolarmente pregevole una combinazione che ha visto l’italiano portare un gancio destro ed un montante sinistro. A metà ripresa, il pugile di Marcianise, tornato nuovamente in guardia sinistra, è andato a segno con il jab, piazzando un pesante montante destro al corpo. Ormai perdente ai punti, l’armeno ha

Dap, Santi Consolo, in occasione dell’evento pubblico durante le esibizioni del reparto cinofili e degli Istruttori di difesa personale, gratificando il lavoro svolto e congratulandosi poi con tutto il personale di Polizia Penitenziaria presente per l’occasione. A testimoniare l’evento fieristico, con la nostra rappresentanza istituzionale, sul posto presente la Web tv Studios con l’intervista diretta dell’Ass. Capo Stefano Pressello, testimone della professionalità e competenza degli Istruttori di difesa personale del Corpo di Polizia Penitenziaria. F

tentato il tutto per tutto nel round conclusivo, buttandosi a testa bassa verso Mangiacapre. L’azzurro non ha accettato il corpo a corpo ed ha chiuso in bellezza con un montante destro nelle battute finali. Con il pass in tasca Vincenzo Mangiacapre può già pensare al Brasile, dove raggiungerà i già qualificati Valentino Manfredonia e Clemente Russo ed Irma Testa in campo femminile. F

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Nelle foto: gli Istruttori di difesa personale della Polizia Penitenziaria al Motosay 2016 nel box Vincenzo Mangiacapre


SEGRETERIE rivistas@sappe.it

Cremona XX Consiglio Regionale della Lombardia

I

n data 17 marzo 2016 si è tenuto nella sala eventi del Comune di Cremona il XX Consiglio Regionale SAPPe Lombardia con la presenza del Segretario Generale Dott. Donato Capece.

Nelle foto: alcune fasi dell’evento lombardo

Presenti al consiglio il Segretario Regionale Greco Alfonso e tutti i Dirigenti della Segreteria Regionale e delle Segreterie provinciali e locali lombarde che hanno fatto anche il punto della situazione sulle criticità del sovraffollamento delle carceri lombarde e della carenza di personale di Polizia Penitenziaria. Alla data del 29 febbraio 2016 i detenuti in Lombardia erano 7.916 a fronte di una capienza regolamentare di 6.132 e mancano dai 600 ai 700 Agenti di Polizia Penitenziaria in tutta la Regione. Il dibattito centrato principalmente sui

bilanci dell'attività sindacale, sugli esiti del VI Congresso Nazionale, Stati Generali Esecuzione Penale e il riordino delle carriere ha avuto un clamoroso successo ed è stata anche l'occasione per consegnare una medaglia di riconoscimento per gratitudine e stima ad un fedelissimo iscritto della C.C. di Mantova che risulta essere tra i più anziani del SAPPe Lombardia nonché è stata consegnata al Segretario Nazionale Francesco Di Dio l'onorificenza di Accademico Benemerito, rilasciata dall'Accademia Costantina, per i suoi meriti e la sincera dedizione dimostrata. Nella prima mattinata si è tenuta anche una visita alla Casa Circondariale di Cremona da parte del leader dei baschi azzurri che accompagnato da una delegazione del SAPPe e dal Direttore e Comandante di Reparto ha riscontrato tantissime criticità. La visita in Lombardia del Segretario Generale Dott. Donato Capece ha spinto anche i Dirigenti Sindacali del SAPPe di Monza ad organizzare una magica serata tra gli iscritti. F Segretario Regionale Lombardia Alfonso Greco e Segretario Provinciale Lodi Dario Lemmo

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DALLE SEGRETERIE Padova

Tutte le info sono disponibili sul sito internet dedicato al torneo: http://www. torneoduepalazzi.wix.com/torneoduepalazzi. F Giovanni Spinelli

Iniziato il Torneo di calciotto all’istituto Due Palazzi

N

ell’allegato ritaglio de Il Mattino di Padova leggiamo l’articolo che riporta la notizia dell'inizio della 5ª edizione del Torneo Due Palazzi, Memorial di calciotto, 2016, di cui tra l'altro il SAPPE è sponsor. Il tutto è avvenuto alla presenza del Presidente del Padova Calcio, dott. Bergamin, che ha dato il calcio di inizio alla manifestazione che conta 120 iscritti suddivisi in otto squadre tutte composte da appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria. Le partite si giocheranno sul campetto in erba adiacente il carcere padovano. La finale si disputerà il 27 maggio.

Porto Azzurro Raduno Nazionale Vespa Club e tappa nell’istituto

S

del '46 la Piaggio lanciò sul mercato questa fantastica innovazione a due ruote progettata dall'ingegnere aeronautico Corradino d'Ascanio. Nella sosta "particolare" come indicato nel manifesto del club, i centauri hanno potuto godere di un rinfresco organizzato all'aperto e nel contesto godere dei panorami

mozzafiato visibili dall'alto della struttura spagnola. F Pasquale Amato Vice Segretario Provinciale Sappe

i è disputato il 9 e 10 aprile 2016 il Raduno Nazionale del Vespa Club Isola d'Elba. Il presidente (l’ex Comm. di Polizia Penitenziaria Stanislao Munno) nel tour organizzato intorno alla bellezza dei panorami dell'isola, ha previsto una visita con aperitivo nella giornata di domenica 10 aprile all'interno della struttura della casa di reclusione di Porto Azzurro, ovviamente nel perimetro accessibile al pubblico denominato "cittadella". Tale iniziativa è stata possibile grazie alla disponibilità dei vertici dell'istituto e del personale che si è reso disponibile all'organizzazione della stessa. Il gruppo di oltre 200 vespisti provenienti da tutte le regioni d’Italia dopo l'ingresso e l'esposizione dei mezzi per far ammirare la loro bellezza, ha celebrato i 70 anni dalla loro creazione, in quanto il 9 marzo Polizia Penitenziaria n.238 • aprile 2016 • 19

rivistas@sappe.it

Nei box: il ritaglio de Il Mattino di Padova e la locandina dell’evento sportivo


a cura di Giovanni Battista de Blasis

CINEMA DIETRO LE SBARRE

Kill zone 2

Regia: Pou-Soi Cheang Titolo originale: SPL 2, Kill zone 2 Soggetto: Ying Wong Sceneggiatura: Lai-yin Leung Fotografia: David M. Richardson Montaggio: Kenny Tse Musica: Ken Chan, Kwong Wing Chan Costumi: Bruce Yu Effetti: Alex Lim, Free-D Workshop Company

Ai confini della giustizia

D

Nelle foto: la locandina e alcune scene del film

iscreto prison movie prodotto dai prolifici studios di Hong Kong, Kill zone – Ai confini della giustizia è in realtà il sequel di un film del 2005 intitolato Saat po long, meglio conosciuto come SPL, (il titolo originale è, infatti, SPL 2). Invero, però, si tratta di un sequel soltanto per quel che riguarda il titolo, visto che le vicende ed i personaggi si distaccano completamente dalla trama dell’originale. Le atmosfere del film sono molto cupe ed introducono il dramma del traffico di organi, che sarà al centro dell’intera narrazione. Il protagonista, Chatchai, è un poliziotto penitenziario di Hong Kong che lavora in Thailandia con una figlia gravemente malata di leucemia. L’unico modo per salvare la piccola è quello di trovare, nel più breve tempo possibile, un donatore compatibile di midollo osseo.

la scheda del film

Produzione: 1618 Action Limited, Abba Movies Co. Ltd., Bona Film Group Distribuzione: Bravos Pictures, Celestial Pictures Nel carcere dove lavora Chatchai viene rinchiuso Hung, un poliziotto sotto copertura con un passato da infiltrato nel clan di Hung Mun-Gong, spietato boss del traffico di organi umani, dove era stato scoperto. Per ironia della sorte, proprio Hung Mun-Gong si trova ad aver bisogno di un trapianto di cuore e, per salvarsi, rapisce il fratello minore per espiantargli l’organo. Il tutto avviene proprio nella prigione thailandese, con la complicità del Direttore del penitenziario che fa saltare la copertura di Hung. Nella parte centrale del film i momenti più tesi e serrati, con l’opprimente ambientazione carceraria e una lunghissima sequenza con i detenuti che escono dalle loro celle e si scontrano con gli agenti penitenziari. Alla fine, interverrà anche l’ispettore di polizia Chan Kwok-Wah, zio di Hung, pronto a tutto pur di riportare a casa il nipote, che arriverà in Thailandia a

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Personaggi e interpreti: Chatchai: Tony Jaa Chan Chi-Kit: Jing Wu Chan Kwok-Wah: Simon Yam Ko Hung: Jin Zhang Hung Mun-Gong: Louis Koo Wong Kwong: Ken Lo Hung Mun-Biu: Jun Kung Cheung Chun-Tung: Dominic Lam Kwok Chun-Yat: Babyjohn Choi Dai-Hau: Wai Al Fan Ging-Hung: Philip Keung Zio On: Andrew Ng Genere: Azione Durata: 120 minuti, China - Hong Kong 2015 dispetto degli ordini dei superiori. Tutti i protagonisti della vicenda formeranno improbabili alleanze, dando inizio ad una vera e propria corsa contro il tempo per salvare i propri cari. F


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CRIMINI E CRIMINALI

Pasquale Salemme Segretario Nazionale del Sappe salemme@sappe.it

Nelle foto: Nadia Roccia, Marilena Sica e Anna Maria Botticelli

Le amiche assassine Q uesta vicenda avrebbe potuto essere, senza l’epilogo che ha avuto, una delle tante storie di ragazzi e ragazze che crescono insieme, in un piccolo paese di provincia, e solidificano sempre più, nel tempo, i legami di amicizia.

fase evolutiva caratterizzata da profonde trasformazioni, accanto ad un disagio che potrebbe sfociare in condotte violente, spostando, attraverso l’agito impulsivo, nella relazione con l’ambiente una conflittualità psichica insostenibile.

Le amicizie, molto spesso, nascono già dalle scuole elementari - oggi scuole primarie - e a volte proseguono, a seguito di percorsi scolastici comuni, nelle scuole superiori, e fino all’università. La caratteristica comune è il legame di amicizia che si cristallizza nel corso degli anni e che porta a condividere il percorso adolescenziale: la trasformazione psico-corporea, i primi amori e soprattutto il sogno di trasgredire la quotidianità, che si accentua, soprattutto, quando il luogo di origine non soddisfa appieno le aspettative giovanili. Sogni che indubbiamente accomunano tutti i ragazzi nella fase adolescenziale. Ma spesso le crisi e le difficoltà affrontate dal singolo nella fase adolescenziale possono indurre lo sviluppo di condotte psicopatologiche e aggressive, nonché l’adesione a gruppi di coetanei violenti. Peraltro, non va sottovalutata la peculiarità dell’adolescenza in quanto

Forse è ciò che è avvenuto nel pomeriggio del 14 marzo 1998, a Castelluccio dei Sauri, piccolo borgo agricolo in provincia di Foggia. Le protagoniste sono tre studentesse diciottenni, a prima vista normali, due dell’Istituto Magistrale “Poerio” di Foggia, corso sperimentale di psicopedagogia e l’altra dell’Istituto Professionale Statale. Tre amiche unite sin da bambine sia nell’ambiente scolastico che din quello sociale. Le tre ragazze, Nadia Roccia, Marilena Sica ed Anna Maria Botticelli si incontrano nel primo pomeriggio nel garage dei genitori della Botticelli, per studiare e preparare insieme una tesina scolastica per la maturità. Non è la prima volta che le ragazze si incontrano nel box per studiare, ma quel maledetto pomeriggio è diverso da quelli precedenti. E’ diverso perché quello che accade in quel pomeriggio segnerà le anime in delle ragazze per tutta la vita.

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Verso le 20,00, Marilena e Anna Maria allertano i genitori di Nadia Roccia, riferendo che la porta del garage è chiusa dall’interno e che Nadia non risponde alla loro richiesta di aprire: loro due si erano allontanate poco prima. I genitori di Nadia si recano al garage della famiglia Botticelli, dove, dopo aver forzato la porta, entrano e trovano Nadia stesa sul pavimento con una corda al collo. Carmine Roccia, il papà di Nadia e Luigi Botticelli, papà di Anna Maria, sistemano rapidamente Nadia in macchina per trasportarla all’ospedale di Foggia, ma la giovane è ormai senza vita: la temperatura corporea è già bassa. La scena del crimine, a prima vista, fa pensare ad un suicidio: la ragazza sembra essersi impiccata con una corda avvolta al collo. Le circostanze della morte, però, non convincono gli investigatori e così vengono avviate indagini più approfondite. La stessa sera del ritrovamento i Carabinieri eseguono uno scrupoloso sopralluogo nel garage della famiglia Botticelli. Due degli elementi rinvenuti, in particolare, rendono poco plausibile la morte per impiccagione della giovane: la corda, della lunghezza di poco più di due metri, era troppo corta per essere legata al soffitto del garage, (che aveva una altezza di circa cinque metri) e soprattutto il soffitto non presentava “agganci” ai quali la ragazza avrebbe potuto attaccare la corda. Inoltre, sotto al tavolino dove le tre ragazze stavano studiando, viene rinvenuta una lettera dattiloscritta firmata da Nadia, in cui sono riportate le ragioni del suo gesto: Nadia sarebbe stata innamorata della sua compagna di banco Anna Maria e confessare la sua omosessualità sarebbe stato molto meno grave che suicidarsi, perché avrebbe dovuto sopportare le chiacchiere di paese. Il giorno seguente vengono convocate in Procura, come testimoni, Anna Maria Botticelli e Marilena Sica, in quanto ultime due persone ad aver


CRIMINI E CRIMINALI visto Nadia ancora in vita. Le due ragazze, dopo le incessanti domande da parte del P.M., confessano di essere le autrici dell’omicidio e di aver inscenato il suicidio per creare un alibi. Le giovani donne, senza trasmettere alcuna emozione, raccontano come si sono svolti gli accadimenti, dando però diverse versioni delle motivazioni che le avrebbero spinte ad uccidere. Motivazioni che saranno più volte modificate e smentite nel corso degli interrogatori successivi; le ragazze forniranno, invece, un’agghiacciante e minuziosa descrizione dei fatti: Marilena “Eravamo sedute a studiare ...Anna Maria mi ha dato un colpetto alla gamba ...Mi sono alzata ...Anna Maria è andata a spegnere la luce...”, “Mi fa cenno... Io comincio a togliere la sciarpa... Spegne la luce... Il tempo di arrivare qui... Nadia ha cominciato ad urlare... Anna Maria mi ha detto: «tappale la bocca»... Anna Maria: “Marilena mi diceva: «Anna, Anna, i capelli, i capelli» e vedevo che Marilena era sopra a Nadia... Seduta... con le ginocchia per terra... nel frattempo aveva già preso la corda... e ha detto: «ora gliela metto al collo...» E diceva: «muori, muori, muori... Anna, questa bastarda non muore...» e io le ho detto: «come? Respira ancora?...» lei mi ha detto: «ma io non lo so, vieni a vedere tu...» Sono andata e ho visto che Anna Maria le aveva messo un piede sopra... e poi è venuta accanto a me... passando sul corpo di Nadia... dopo un po’ Marilena smette tutto... e ha detto:«ora credo che vada bene così». (1) Accertata, a seguito della confessione, la responsabilità delle due ragazze, restava da capire quali fossero state le motivazioni che avevano spinto le due giovani a compiere una azione così efferata. Le ipotesi sul movente del delitto restavano sostanzialmente tre: la prima è quella del legame amoroso tra le due assassine e l’amore non corrisposto di Nadia per Anna Maria, così come riportato nella missiva

trovata nel garage; la seconda è quella del mancato impegno preso dalla vittima circa un ipotetico viaggio delle tre negli Stati Uniti la terza e ultima, la più accreditata, è quella esoterica, della setta satanica che avrebbe plagiato le due giovani donne inferme di mente. Nel corso di intercettazioni ambientali, all’interno della caserma di Foggia, le due ragazze, rimaste sole inneggiavano a Satana: “Lucifero è bello... bello... sta in mezzo alle mutandine“, e, poi “Il sangue, lo abbiamo versato tutti”, “Il demonio... non mi dire... che sono stata anch’io con il demonio ieri sera”. Tale pista fu collegata anche ad un furto che era avvenuto pochi mesi dopo il delitto, nel cimitero del paese e che sembrò avvalorare i sospetti della pista satanica su quel delitto: dal cimitero del paese fu trafugata una statuetta raffigurante Gesù Bambino, i cui capelli erano stati composti con una ciocca di capelli di Anna Maria Botticelli, quando questa aveva dieci anni. Il 5 luglio del 1999, innanzi alla Corte d'Assise di Foggia, si apre il processo alle due ragazze. Dopo 22 udienze, oltre cento testimoni ascoltati, tra investigatori, amici delle due giovani imputate, parenti della vittima e delle due assassine e una ventina di consulenti (periti psichiatrici, psicologi), la Corte sentenzia l’ergastolo per entrambe le ragazze. Secondo la tesi dei tre periti psichiatrici nominati (tra i quali Giancarlo Nivoli, ordinario di psichiatria dell'Università di Sassari) l'omicidio è stato commesso con piena consapevolezza. Le ragazze erano perfettamente in grado di intendere e di volere. «In loro non abbiamo riscontrato alcuna psicosi, soltanto dei disturbi della personalità, che però sono presenti in tutte le persone». Le conclusioni dei periti, ad ogni modo, non trovano d'accordo Francesco Bruno, consulente di parte delle assassine, secondo cui si tratta di un tipico caso, anche se raro, di delirio a due. Ma che cosa significa? «Significa che la follia della

Botticelli, che è schizofrenica e oltre a una personalità affascinante possiede una capacità straordinaria di raccontare bugie, si è trasferita nell'amica, che a lei era morbosamente legata - spiega il criminologo romano nel corso del processo -. La Botticelli, approfittando del suo carattere magnetico, ha evidentemente ridotto l'amica Maria Filomena Sica in uno stato di profonda dipendenza. Prova ne sia che quando la Botticelli ha cominciato a soffrire di paralisi temporanee alle gambe, anche la Sica ha avuto gli

stessi sintomi». (2) Inoltre, nelle motivazioni si evidenziava come il delitto fosse stato compiuto dalle due ragazze per tastare la loro forza, per vendicarsi del mancato viaggio in America e di come “fu un’azione pianificata e caparbiamente perseguita” (ANSA, 14 febbraio 2001). I Giudici, inoltre, ritennero che per la gravità dell’episodio sussistevano tutte le aggravanti contestate dall’accusa: la premeditazione, i futili motivi e la crudeltà. In secondo grado la massima pena venne ridotta a 25 anni di reclusione per ciascuna; nel corso del processo d’appello fu ripreso l’aspetto della relazione omosessuale tra Anna Maria e Marilena, che era emerso nel corso delle indagini e che era stato tralasciato nel corso del processo di primo grado. Secondo il Procuratore di Bari, Antonio Mirabile, tale aspetto tralasciato forse “per un senso di

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Nelle foto: sopra i funerali di Nadia Roccia nel box, la madre sotto Giancarlo Nivoli dell’Università di Sassari

Á


CRIMINI pudore paesano”, costituiva “l’attrazione, l’infatuazione, il delirio sessuale” che univa le due imputate, a spingerle ad ammazzare Nadia, da loro considerata “il terzo incomodo, l’ostacolo di un rapporto fulgido”; il riferimento a Lucifero, emerso nel corso delle intercettazioni ambientali, si spiegava proprio con la circostanza che per le due ragazze “rappresentava un’eccitazione reciproca” (ANSA, 27 marzo 2001). La condanna delle imputate fu ridotta perché i giudici di appello esclusero le aggravanti dell’aver agito per motivi futili e abietti e ritennero equivalenti alle attenuante generiche le aggravanti contestate, tra le quali la premeditazione. La Corte di Cassazione, il 23 settembre del 2003, accogliendo parzialmente il ricorso, annullò la sentenza e ordinò di celebrare un nuovo processo

Nella foto: Anna Maria Botticelli

d’appello, al termine del quale la pena fu ulteriormente ridotta a 21 anni di reclusione (2). Nel 2003, Anna Maria Botticelli è stata scarcerata in quanto affetta da sclerosi multipla. Nell’aprile del 2013, sia Marilena Sica che Anna Maria Botticelli hanno terminato di scontare le loro pene e sono tornate ad essere persone libere. Sono trascorsi 18 anni da quel pomeriggio in cui i compiti si sono trasformati in un incubo a vita. Alla prossima. F (1) www.cronacanera.org (2) I grandi delitti italiani, Andrea Accorsi-Massimi Centini, Newton 2013

WEB E DINTORNI

Sovraffollamento penitenziario: quando la matematica diventa opinione

S

ovraffollamento, sovraffollamento e ancora sovraffollamento. Un’unica parolina che ha condizionato, anzi, monopolizzato, l’attività del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria negli ultimi anni e che ancora oggi fa gridare allo “scandalo” per i quattromila detenuti in più - 3.950 per l’esattezza - rispetto alla capienza delle carceri italiane, nonostante le rassicurazioni del Ministro Orlando e dei vertici del DAP che cercano di dire a tutti che l’emergenza è finita.

Il carcere di Latina è il più sovraffollato d’Italia - dati di marzo 2016 - con una percentuale di sovraffollamento del 189,47% dei detenuti previsti. Un’emergenza? Neanche per sogno. Semplicemente i detenuti previsti sono di molto inferiori a quelli che il carcere potrebbe accogliere ed infatti nessuna delle persone ristrette a Latina, a quanto ci è dato sapere, ha a disposizione meno di tre metri quadri nella sua camera detentiva, quando vi soggiorna.

Ma cosa significa “sovraffollamento”? Tecnicamente vuol dire che in un dato carcere ci sono rinchiusi più detenuti di quanti ne possa contenere. Un concetto talmente semplice che il DAP è riuscito a monitorarlo solo dal 2015 o, per meglio dire, a rappresentarlo alla politica, in particolare quella europea. Il dato di partenza, dunque, è la conta dei detenuti presenti: e quella è facile; ma questi numeri, poi, bisogna confrontarli con la capienza di ogni carcere, e questo è un po’ più difficile perché la capienza non è sempre un dato “certo”, ma soggetto a molti fattori. Si prenda ad esempio il carcere di Latina.

Qualcuno del DAP, in qualche giorno che ormai si è perso nelle nebbie del tempo, ha deciso che il carcere di Latina poteva contenere 76 persone detenute: amen! Se a Latina la stima è stata fatta per difetto, è logico supporre che tra i circa duecento penitenziari italiani ci sia stata qualche altra stima per eccesso e, pertanto, ci si deve affidare ad un dato arbitrariamente fornito dal DAP, senza alcun riscontro oggettivo. Quindi, è lecito supporre che i dati diffusi dal DAP non rispecchiano perfettamente la realtà. Ci sono poi da considerare gli spazi detentivi temporaneamente indisponibili, che il DAP si guarda

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WEB E DINTORNI detenuti, il Prof. Mauro Palma, lo ha affermato il giorno dopo del comunicato con cui Orlando dichiarava superata l’emergenza sovraffollamento: “ ...nella realtà le persone presenti dovrebbero essere meno della capienza teorica. Per intenderci, se ho 100 posti a un femminile e 70 donne dentro, non è che se ho l’esigenza di trovare un posto a 30 detenuti maschi li posso mettere lì.” Se sommiamo i numeri di casi simili a quelli del carcere di Agrigento, arriviamo appunto agli ottomilaquattrocentoventi detenuti in più rispetto alla somma dei posti detentivi disponibili nelle carceri italiane. Sovraffollamento? Un problema ben lungi dall’essere superato, senza considerare il fatto che la presenza delle persone detenute

nelle carceri italiane è tornato ad aumentare e i dati di aprile che saranno pubblicati a giorni confermeranno la preoccupante inversione di tendenza. Ci sarebbe poi un’altra ultima considerazione da fare sui calcoli del sovraffollamento, ma per il momento non la riportiamo perchè, forse il DAP e il Ministro Orlando non sono ancora pronti ad affrontarla. F

Statistiche, carceri e Polizia Penitenziaria: Tutti numeri, nient’altro che numeri.

S Se andiamo a verificare i dati di ogni istituto penitenziario i conti sono ben altri. Mi spiego meglio ... se Agrigento ospita 382 detenuti su 276 posti, ne consegue che ci sono 106 detenuti in più. E questi 106 li dobbiamo sommare a tutti quelli che sono in una condizione analoga. Non è che, siccome ad Alghero ci sono 62 detenuti presenti su 157 posti, allora i 106 di Agrigento diminuiscono e stanno più larghi ... E’ una banalissima considerazione che però il DAP non riesce (o molto più probabilmente non vuole) a comprendere. Anche il Garante Nazionale dei

ono anni che il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria chiede al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria di mettere a disposizione del Sindacato i dati delle capienze delle carceri in modo disaggregato, divisi sezione per sezione e di mettere a disposizione i dati delle presenze nei posti di servizio previsti per la Polizia Penitenziaria, con i dati delle traduzioni e piantonamenti, delle presenze al netto delle ferie, distacchi, malattie del personale... Solo così si può fare una discussione seria ed oggettiva dei carichi di lavoro del personale di Polizia Penitenziaria. Solo così si può fare una comparazione più accurata sulla condizione detentiva per ogni carcere, perché senza personale di Polizia, molte delle attività previste in carcere per la popolazione detenuta, non si possono effettuare. Ma in tutti questi anni il DAP ha

sollevato il solito “muro di gomma”, senza degnarsi nemmeno di rispondere. Ne prendiamo atto, ma noi del SAPPe continuiamo ad andare avanti e, da oggi, siamo in grado di presentare i dati delle capienze detentive di ogni carcere, di compararli con le presenze di Polizia Penitenziaria “in forza” in ogni istituto e di ognuno tracciare i grafici dei mesi precedenti. Nei prossimi mesi continueremo ad incrociare altre informazione, magari con la collaborazione di altre Istituzioni e Associazioni. E magari, un giorno, il DAP inizierà anche a pubblicare un report statistico degno di un Paese democratico.

Polizia Penitenziaria n.238 • aprile 2016 • 25

Federico Olivo Coordinatore area informatica del Sappe olivo@sappe.it

LA SCHEDA

bene dal rendere pubblici, perché così sarebbe ancora più complicato raccontare a tutti che l’emergenza è superata. Di tutti i 49.545 posti letto disponibili comunicati a marzo, vogliamo scommettere che ce n’è almeno uno non disponibile? Fino a qui, semplici considerazioni alla portata di tutti, ma cosa dire allora del vero dato del sovraffollamento delle carceri italiane? In Itali, infatti, ci sono 8.420 detenuti in più rispetto alla capienza detentiva massima e dimostrarlo è semplicissimo. A marzo 2016 abbiamo 53.495 detenuti per 49.545 posti detentivi. Da un semplice calcolo, abbiamo 3.950 detenuti in più rispetto alla capienza massima. Ma questo non è totalmente vero. Questo è solo il risultato di un dato nazionale aggregato.

Nelle foto: nell’altra pagina l’ingresso del carcere di Latina sopra il DAP a sinistra il Ministro Orlando


a cura di Giovanni Battista de Blasis

COME SCRIVEVAMO

Addio Regina Coeli articoli di Giovanni Battista De Blasis, Mario Pascale, Moraldo Adolini, Assunta Borzacchiello e Michele Mambuca Più di venti anni di pubblicazioni hanno conferito al mensile Polizia Penitenziaria Società Giustizia & Sicurezza la dignità di qualificata fonte storica, oltre quella di autorevole voce di opinione. La consapevolezza di aver acquisito questo ruolo ci ha convinto dell’opportunità di introdurre una rubrica - Come Scrivevamo che contenga una copia anastatica di un articolo di particolare interesse storico pubblicato tanti anni addietro. A corredo dell’articolo abbiamo ritenuto di riprodurre la copertina, l’indice e la vignetta del numero originale della Rivista nel quale fu pubblicato.

N

el mese di gennaio (gennaio 1996 n.d.r.)è salito alla ribalta delle cronache il caso della chiusura del carcere romano di Regina Coeli e di una sua riconversione a Centro Residenziale da impiegare come Ostello turistico per il Giubileo del 2000. L'argomento ci è sembrato degno di nota e, pertanto, abbiamo deciso di realizzare un ampio servizio sul caso attraverso interviste, sondaggi, cenni storici ed opinioni. Nella composizione del dossier ci siamo avvalsi della collaborazione di molte persone ed abbiamo interpellato, con alterna fortuna, il Presidente della Regione Lazio Badaloni, il Sindaco di Roma Rutelli ed il Presidente dell'Agenzia per il Giubileo Zanda. Abbiamo anche cercato di raccogliere le testimonianze del dott. Veschi, Provveditore Regionale del Lazio e del dott. Benedetti Direttore della Casa Circondariale di Regina Coeli, ma, nonostante la cortese disponibilità

degli interessati, non siamo riusciti ad ottenere in tempi ragionevoli (quasi un mese) la indispensabile preventiva autorizzazione del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria (da notizie ufficiose abbiamo appreso che la richiesta s'è persa nella solita tarantella tra un piano e l'altro e tra una stanza e l'altra). Se facciamo subito richiesta, avremo sicuramente una qualche probabilità di ottenere l'autorizzazione ad intervistare il Direttore di un eventuale nuovo carcere romano per discutere della sua chiusura perchè divenuto, nel frattempo, troppo vecchio! Miglior fortuna abbiamo avuto con il personale dell'istituto sia esso della Polizia Penitenziaria, dell'Amministrazione Penitenziaria, medico e paramedico. Assente, come sempre (e non soltanto nel concedere le autorizzazioni), il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria sempre più fossilizzato nella sua politica del "tira a campà". GBDB F

Nella foto: l’ingresso di Regina Coeli

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Ma chi pensa ai posti di lavoro?

C

onsapevoli del fatto che l'eventuale chiusura del carcere di Regina Coeli avrebbe nuociuto anzitutto al personale dipendente, abbiamo voluto dare la parola agli addetti ai lavori, che stanno vivendo, sulla propria pelle, questo momento di incertezza, dovuto al problema chiusura o non chiusura della Casa Circondariale di Regina Coeli. A tutto ciò si aggiunge l'indifferenza, la totale assenza e il completo disinteresse alle problematiche, che sorgerebbero all'indomani dell'eventuale chiusura dell'istituto capitolino, da parte di coloro che risultano essere gli stessi promotori della richiesta di variazione di destinazione d'uso del carcere in questione. Si cari lettori mi riferisco proprio al primo cittadino di Roma-Capitale, il Sindaco Francesco Rutelli, che dopo aver lanciato il sasso ha nascosto la mano. Il Sindaco è stato più volte e da più parti, chiamato in causa ma lui era impegnato, non poteva, era in seduta, insomma, a parere mio, si è eclissato. Il grave non sta nel fatto che abbia negato la disponibilità, ma nel fatto


COME SCRIVEVAMO che egli sconosce realmente i problemi che giornalmente vengono affrontati e risolti da tutto il personale che opera all'interno della struttura. Il Sindaco, tra l'altro, non conosce nemmeno quali sono le categorie che operano nell'istituto ed il loro livello di professionalità, il numero di questo operatori e soprattutto sconosce i disagi a cui verrebbero sottoposti nell'eventualità della chiusura della struttura penitenziaria. Circa 800 unità del Corpo di Polizia Penitenziaria, di cui il 70% coniugato con figli e residente in Roma; circa 300 unità tra personale medico e paramedico, di cui il 65% coniugato con figli residente in Roma (peraltro con unica fonte di sostentamento e senza possibilità di essere sottoposto a mobilità, perché assunto con contratto a termine); circa 100 dipendenti amministrativi di cui il 90% coniugato e residente in Roma; circa 900 detenuti.

Dunque abbiamo ritenuto opportuno dare la possibilità agli addetti ai lavori di esprimere il proprio parere in merito alla chiusura dell'istituto e alla conseguente, per alcuni di loro, perdita del posto di lavoro. La prima a parlare è l'infermiera professionale Maria Pia Tozzi, che incalza affermando che nel caso in cui l'istituto venisse chiuso lei, come tutti gli altri suoi colleghi, perderebbe il posto di lavoro «e questo non è giusto, perché oltre a non tener conto della professionalità, non hanno preso in considerazione che tutto il personale della categoria

perderebbe il posto di lavoro· continua poi dicendo che gli amministratori romani non hanno neppure tenuto conto che all'interno del carcere esiste un centro clinico perfettamente funzionante in grado, tra l'altro, di effettuare operazioni chirurgiche di medio livello, con circa 250 interventi l’ anno, capace di ospitare circa 90 detenuti e suddiviso in tre reparti, di cui uno interamente destinato alle malattie

infettive con particolare riguardo ai detenuti affetti da AIDS; da considerare peraltro, che nel centro clinico prestano la loro opera specialisti provenienti da vari ospedali romani tra cui lo Spallanzani, specializzato tra l'altro nella cura delle patologie infettive. Tutto ciò significa che i detenuti ospitati nel centro clinico, ricevono una assistenza di gran lunga superiore a quella che potrebbero ricevere in una struttura esterna». A questo punto la domanda nasce spontanea: «Ma il Sindaco, nel momento in cui ha richiesto

l'inserimento della struttura nel programma "Giubileo", aveva pensato a tutto ciò?» Sulla questione interviene un medico in servizio presso l'istituto che non può far altro che approvare quanto già detto dall'infermiera Tozzi, aggiungendo, tra l'altro che loro sono in grado di offrire un'assistenza nell'arco delle 24 ore per tutti i tipi di emergenza che possono verificarsi all'interno del carcere. Ed è per questo motivo che detto servizio è imprescindibile dall'istituto, ed è strettamente legato ad esso. Loro, i medici della guardia medica, che all' interno del penitenziario sono in 17, si chiedono: "dove potrebbero mai essere collocati i detenuti? Dove si potrebbe realizzare un istituto organizzato come Regina Coeli?” Questo è un istituto che lavora 24 ore su 24 fornendo, molto velocemente, un'assistenza adeguata ed altamente professionale, non solo dal personale medico e infermieristico, ma anche e soprattutto dal personale di Polizia Penitenziaria. Neanche a parlare dell'opinione del personale di Polizia Penitenziaria, che, sentito a campione in merito alla chiusura dell'istituto, non ha fatto altro che confermare le stesse problematiche delle altre figure che operano all'interno dell'istituto, con la sola differenza che essendo soggetto alla mobilità, subirebbe sicuramente un trasferimento, in gran parte, in istituti diversi da quelli romani. Altra importante eccezione è da far risalire a quanto il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, in termini economici, ha impegnato per la recente ristrutturazione del carcere

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Nelle foto: sopra una veduta aerea del complesso di Regina Coeli a fianco i cortili interni

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COME SCRIVEVAMO romano sia per le caserme, sia per la mensa, sia per alcune sezioni. Detto impegno, a quanto ci è dato di sapere, ammonterebbe circa ad una cinquantina di milionii. Lascio a voi trarre le conclusioni. Per quanto riguarda infine il Sindaco di Roma Francesco Rutelli posso garantire di aver cercato di contattarlo, allo scopo di sentire il suo parere sui problemi accennati, però, ovviamente, non ci sono riuscito... era in riunione. Sarà mia cura inviargli una "copia omaggio", sperando che trovi il tempo di leggerla e chissà, forse, di rispondere alle nostre sollecitazioni. M.P. F

6 gennaio 1996: Befana triste

L

a Festa della befana organizzata quest'anno per i figli del personale dipendente presso la Casa Circondariale di Regina Coeli ha avuto un particolare significato. Si è svolta infatti, in un momento di stanca dell'istituto, in cui si è parlato e scritto con molta insistenza sulla possibile chiusura del medesimo in occasione del Giubileo di Roma 2000. La grande partecipazione del personale di Polizia Penitenziaria e del personale amministrativo con le rispettive famiglie è sembrata una spontanea risposta di compattezza, di

unione, a dimostrazione di una esplicita volontà di continuare a lavorare nel vetusto e glorioso istituto di pena romano. Grazie alla costruttiva partecipazione dei membri del comitato organizzatore (OO.SS. e gestore bar) ed alla loro capacità di interpretare i desideri del personale e dei loro bambini, la festa si è svolta in un susseguirsi di simpatici giochi organizzati da due intrattenitrici e da interventi spontanei di presentatori improvvisati. Fino alla consegna dei bei regali, scelti con cura dal comitato, il tempo è

Gli storici “tre scalini”

I

Nei box il sommario e la vignetta del numero di febbraio 1996

n Italia, ed a Roma in particolare, il problema del sovraffollamento delle carceri era già sentito in tutta la sua gravità nel XIX secolo. L'aumento della popolazione e l'incremento della criminalità rendevano le vecchie carceri inadeguate per capienza, condizioni igieniche e fatiscenza delle strutture. Il Regno d'Italia, subito dopo la riunificazione, intendeva adeguare il sistema carcerario a quello prevalente nelle altre nazioni che avevano adottato il sistema di importazione statunitense, denominato "cellulare". Lo scopo di tale sistema era di mantenere in

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isolamento permanente i detenuti, affinchè si potesse sperimentare "il pieno effetto della solitudine e del lavoro" ai fini della punizione e dell'emenda, secondo il principio espresso dalla Società delle prigioni. E' utile ricordare che il sistema cellulare era stato introdotto per la prima volta nella prigione di Filadelfia (fine XVIII), costruita sul modello del Panopticon benthamiano. Questo era composto da una torre centrale dalla quale si diramavano a raggiera i corridoi su cui si aprivano le celle. Dalla torre i poliziotti penitenziari esercitavano un controllo totale sui condannati, senza essere visti. Altro esempio di sistema cellulare venne applicato nel carcere di Auburn, a New York, dove una prima versione prevedeva l'isolamento continuo diurno e notturno e nessuna attività lavorativa veniva fatta svolgere ai condannati. Si passò, quindi, ad una versione più "morbida" che prevedeva l'isolamento notturno e il lavoro diurno in comune, da svolgere in assoluto silenzio. Il parlamento italiano il 28 gennaio 1864 votò la legge che prescriveva la costruzione di carceri a sistema cellulare, che solo in rari casi, però, venne applicato in tutta la sua durezza. Furono in molti, infatti, che


COME SCRIVEVAMO

trascorso velocemente tra suoni, luci ed immagini festose. Mentre i grandi parlavano del futuro dell'Istituto, i bambini si divertivano come solo loro sanno fare. E nei loro giochi hanno coivolto i grandi che hanno avuto l'occasione di conoscersi meglio e di capire che anche in un ambiente così particolare come quello penitenziario

c'è spazio per trascorrere alcune ore liete e spensierate. Dopo un piccolo buffet e la consegna dei regali, sono stati sorteggiati doni per i bambini di ogni fascia d'età, tutti hanno partecipato all'estrazione, non tralasciando commenti scherzosi specie sui fortunati vincitori.

Alla fine, qualcuno si è fermato a cantare, le loro voci si sentivano per tutto l'istituto. Nella fredda serata invernale, un coro misto di voci di donne ed uomini ha riscaldato anche le mura, non più tetre e minacciose, della "cara e vecchia Regina Coeli". Ma sì, Regina Coeli vivrà ancora a lungo, per essere rinnovata da chi vuole un futuro migliore per i suoi ospiti e, soprattutto, per chi ci deve lavorare. Altre feste dell'Epifania saranno celebrate, organizzate per i figli del personale che, è l'augurio di tutti, si spera sempre più sereno e soddisfatto di vivere e lavorare in armonia e comprensione reciproca. A.M. F

denunciarono i gravi danni che tale sistema produceva sul corpo e sulla psiche del condannato. In Italia si aprirono ampie discussioni sulla versione cellulare da adottare nelle carceri da costruire; nella seduta della camera del 6 novembre 1873 il Deputato De Rudini invitava l'assemblea a scegliere tra il sistema filadelfiano, auburniano o quello inglese (quest'ultimo era una versione aggiornata del precedente). In quell'anno in Italia si contavano sei carceri a sistema cellulare, tutti gli altri erano a sistema comune. La situazione carceraria italiana postunitaria era particolarmente grave a Roma, eletta capitale nel1871, dove le carceri funzionanti erano tre: le Carceri Nuove, fatte costruire nel 1655 dal papa Innocenzo X, il San Michele, istituito nel 1704 da papa Clemente XI, per rinchiudervi i detenuti minori dei venti anni, mentre in alcune celle del Conservatorio, annesso al monastero delle penitenti di via della Lungara, erano detenute le donne. Complessivamente le carceri romane disponevano di 64 celle di media grandezza e 202 celle singole, per un totale di circa mille posti. Le trattative per la costruzione di un unico penitenziario romano, a sistema cellulare, capace di ospitare mille detenuti, iniziarono nel giugno del 1872 col comune di Roma, ma molti problemi si frapposero all' immediata

esecuzione del progetto, che venne ripreso nel1875. Le condizioni poste dal Municipio di Roma per la cessione del suolo furono ritenute troppo esose dal Governo. Le trattative si riaprirono nel 1878 e il governo preventivò una spesa di 5 milioni per costruire un carcere capace di ospitare 1.100 celle. La decisione di costruire un penitenziario degno della capitale si scontrò subito con le non floride finanze dello Stato che dovette ripiegare in un più modesto progetto. Si affermò, quindi, l'idea di riadattare il vecchio monastero di Regina Coeli, sede delle Carmelitane scalze, situato in via della Lungara, fatto costruire dalla nobildonna Anna Colonna Barberini tra il 1643 e il 1654. Le monache restarono nel monastero fino al 1873, anno in cui venne incamerato dallo Stato, per trasferirsi quindi in quello attiguo delle Mantellate, ove restarono fino al 2 aprile del 1881, allorquando furono avviati i lavori di ampliamento dell'ex monastero di Regina Coeli. Nel 1880 la capienza del carcere di Regina Coeli era di 23 celle singole, 36 celle a tre posti e una camerata di 30 posti. Insieme al San Michele e alle carceri nuove si potevano ricavare 1.000 posti. Naturalmente la tipologia dei vecchi penitenziari non consentiva la

separazione assoluta, prescritta dalla legge del 1864 sulla costruzione delle carceri a sistema cellulare. Per ovviare a ciò, e senza dover sostenere l'onere della costruzione di un nuovo penitenziario, si studiò la possibilità di modificare e ingrandire Regina Coeli. Il 7 giugno 1880 Depretis, Ministro dell'Interno, chiese all'assemblea parlamentare un finanziamento di 300.000 lire, per la costruzione di un nuovo braccio a due raggi, a sistema cellulare, capace di 240 celle e

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Nelle foto: sopra la Festa della befana sotto un disegno di Regina Coeli nell’ottocento

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COME SCRIVEVAMO costruito in economia, utilizzando il lavoro dei condannati. A partire dal 1881 l'amministrazione carceraria entrò definitivamente in possesso dell'ex convento di Regina Coeli, il che rese possibile coordinare gli ingrandimenti con la parte preesistente, al fine di dar vita al vecchio progetto di un unico carcere cellulare. La costruzione di una crociera a quattro bracci fu portata avanti da un centinaio di detenuti, la direzione dei lavori fu affidata all'ing. Mongini del genio civile, sotto l'ispezione del Comm. Commotto. I lavori ebbero inizio nel settembre del1881.

Comunicato sindacale sulla chiusura di Regina Coeli

Nella foto: una immagine storica dell’ingresso della sala colloqui

Nel 1882 nel penitenziario venne allestita la tipografia per la pubblicazione della Gazzetta Ufficiale, i macchinari arrivarono dal carcere di Civitavecchia, insieme ad alcuni reclusi esperti nel lavoro tipografico. Il primo gennaio 1882 la suddetta tipografia stampò la prima Gazzetta Ufficiale, la cui stampa era stata precedentemente affidata a una ditta privata. La tipografia detta "delle Mantellate" dava lavoro a 110 tra reclusi e operai specializzati addetti; presso l'annessa legatoria lavoravano 60 tra reclusi e operai.

Nel novembre del 1891 il carcere di Regina Coeli era quasi ultimato e risultava composto da tre gruppi di fabbricati, che ancora oggi mantengono le seguenti caratteristiche: la parte anteriore, sede degli uffici, si estende su via della Lungara; alle spalle di questo edificio segue un primo edificio a crociera a quattro bracci con 472 celle e una seconda crociera di 378 celle. Nel 1900 furono progettate le celle di punizione di via San Francesco di Sales, oggi adibite ad altri usi. Il carcere si estende su un'area di 22.600 metri quadri. A. B. F

Regina Coeli: Si chiude? Il Sappe dice NO!

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uesta O.S., tramite i mezzi d'informazione, ha avuto modo di conoscere che personalità politicoamministrative hanno manifestato la volontà di chiudere la Casa Circondariale di Roma - Regina Coeli. La sigla scrivente, quale componente sociale maggiormente rappresentativa degli interessi del Corpo di Polizia Penitenziaria, esprime una ferma disapprovazione su tale iniziativa. Da un esame obiettivo di quanto dianzi appreso, non si riesce a capire la ragione per la quale si vuole necessariamente utilizzare, per il Giubileo del 2000, la struttura di Regina Coeli e non una delle altre costruzioni presenti nella città di Roma. I promotori dell'anzidetto progetto hanno forse pensato come risolvere i problemi che creeranno a coloro i quali, con religioso silenzio ed indiscutibile fedeltà, hanno sempre servito le istituzioni dello Stato, dovunque questi siano stati comandati di farlo? Che faranno le circa trecento persone che rimarranno senza lavoro? I circa mille detenuti, attualmente ristretti presso la Casa Circondariale di Regina Coeli, andranno ad affollare i carceri già super affollati, che a volte raggiungono il limite della vivibilità? Con l'occasione, forse è anche opportuno ricordare che a Regina Coeli esiste ed è attualmente operativo, con circa 100 posti letto, un centro diagnostico e terapeutico, unico nella regione del Lazio, il quale, con attrezzature sanitarie ad altissimo livello, assicura un indispensabile servizio al sistema carcerario, evitando che persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, affette da particolari malattie, vadano ricoverate in strutture ospedaliere extra penitenziarie. La chiusura dell'anzidetto centro clinico andrebbe sicuramente ad ingigantire il problema dei posti letto, oggi quasi mai disponibili, negli ospedali della città di Roma. Senza considerare poi che il ricovero di detti detenuti in altre strutture ospedaliere diverse da quelle penitenziarie, implicherebbe un servizio di piantonamento articolato su quattro turni di sei ore e venti minuti ciascuno per coprire le ventiquattro ore giornaliere, dove andrebbero impiegati, come minimo, due unità per ogni turno, di personale appartenente al Corpo di Polizia Penitenziaria, escludendo il supporto logistico. C'é da aggiungere poi le decine e decine di miliardi spesi per ristrutturare il carcere di Regina Coeli, che andrebbero sicuramente sprecati, e perchè poi servirebbero altre centinaia e centinaia di miliardi per ristrutturare le nuove celle, in modo tale da renderle idonee alle nuove esigenze a cui dovrebbero essere destinate. Tutte queste spese su chi dovrebbero gravare? Forse sulle spalle dei soliti contribuenti? Ci sarebbero ancora tante domande su cui riflettere e tanti problemi da analizzare che, almeno a noi, ci inducono a sostenere che il carcere di Regina Coeli deve continuare ad assicurare quell'indispensabile servizio che ha sempre ed immancabilmente reso alla città di Roma, salvaguardando l'interesse della collettività. Tanto premesso, la Sigla scrivente si riserva di attuare ogni legittima forma di lotta, qualora sia necessaria, per tutelare l'interesse della collettività e quello della componente sociale che a maggioranza rappresenta, nelle sedi e nelle modalità che riterrà più opportune. Michele Mambuca

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SICUREZZA SUL LAVORO

Anche nei penitenziari più tutela per prevenire gli infortuni sul lavoro

I

n materia di prevenzione infortuni gli adempimenti a carico di un imprenditore o cooperativa che volesse avvalersi del lavoro dei detenuti si allineano a quelli richiesti nei confronti di ogni altro lavoratore interno all’Amministrazione. Il Ministero della Giustizia, con regolamento in vigore dal 4 febbraio 2015, disciplina l'applicazione delle misure prevenzionistiche a tutela dell'incolumità psico-fisica dei lavoratori anche ai detenuti con conferme e peculiarità rispetto ai rapporti di lavoro "esterni". Irrinunciabili, il servizio di prevenzione e protezione, il documento unico di valutazione dei rischi e la sorveglianza sanitaria, ma con i dovuti correttivi. Il lavoro è una componente essenziale del trattamento rieducativo dei condannati in espiazione di pena. Centinaia di edifici penitenziari richiedono quotidianamente manutenzione e periodicamente interventi di più ampio respiro; la sicurezza del lavoro (da chiunque espletata, interno od esterno alla struttura) deve essere compiutamente garantita, in modo da non compromettere la salute e le peculiari esigenze custodiali e di mantenimento dell'ordine e della disciplina. Il carcere non può essere luogo "vuoto di diritti", anche perché lo Stato assume uno specifico impegno di protezione e tutela di chi - suo malgrado - diventa ospite della struttura. Questo principio vale sia per il personale operante negli istituti penitenziari (come agenti di Polizia Penitenziaria, Psicologi ed Educatori) sia per i detenuti lavoratori, che svolgono una certa attività. Le strutture giudiziarie e penitenziarie, in quanto luogo di lavoro, rientrano a pieno titolo nell'ambito di applicazione del d.lgs. 9 aprile 2008 n. 81, recante il Testo Unico in materia di salute e sicurezza. Il detenuto che accetta opportunità lavorative in carcere deve poter espletare le incombenze lavorative senza essere esposto ai rischi di un ambiente insicuro e compromettente per la sua integrità fisica. In Italia non è previsto il lavoro forzato; il lavoro carcerario è previsto (e caldeggiato) come un'opportunità di impiego del tempo, di apprendimento di un mestiere che, in prospettiva, faciliti un reinserimento a fine pena nella società libera e infine, come fonte di reddito per migliorare le condizioni di vita in carcere, risarcire il danno da reato, pagare le spese processuali e di mantenimento in carcere, contribuire ai bisogni della famiglia. Comunque sia, forzato o volontario, svolto per conto dell'amministrazione penitenziaria o per entità esterne, il lavoro del detenuto non può non essere lavoro sicuro, esattamente come il lavoro di un soggetto libero. Lavoro carcerario - questa volta inteso come lavoro in carcere - è anche quello di chi è chiamato dall'esterno a svolgere la propria attività lavorativa in una struttura penitenziaria. Da un lato, il committente pubblica amministrazione deve mettere a disposizione un ambiente di lavoro sicuro e con eventuali insidie segnalate e/o rimosse (DUVRI). Dall'altro, non possono venir trascurate le

peculiari esigenze connesse al servizio istituzionale espletato e le specifiche peculiarità organizzative delle strutture giudiziarie penitenziarie. Ad ogni modo il lavoro del detenuto e il lavoro che l'esterno espleta in luogo carcerario non devono diventare occasione per favorire evasioni o compromissioni dell'ordine e della disciplina carceraria. Ne consegue l'importanza del decreto 18 novembre 2014 n. 201, in vigore dal 4 febbraio 2015, con cui il Ministero della Giustizia ha adottato il regolamento previsto dal TU della sicurezza sul lavoro in merito alle norme prevenzionistiche riguardanti non solo il personale operante negli istituti penitenziari ma anche gli stessi detenuti lavoratori. Fondamentale è che la sicurezza nel carcere è considerata valore subvalente rispetto alla sicurezza e salute nei luoghi di lavoro (art. 2 comma 1): la tutela della incolumità ed integrità fisica è il principio conduttore cui si devono adeguare le misure strutturali e organizzative necessarie per garantire la disciplina carceraria. Sempre l'art. 2 del D.M. elenca le esigenze da tener presenti comunque in occasione di esecuzione di lavori all'interno del circuito penitenziario: si va dalla non interferenza con l'ordinato esercizio della funzione “giurisdizionale", alla tutela della sicurezza dei luoghi da attentati e sabotaggi (mediante garanzia della piena operatività del personale di custodia) fino al mantenimento delle misure di rapida evacuazione dei detenuti (e del personale) in presenza di situazioni di pericolo, con"idonei percorsi per l'esodo" (piano d’emergenza). In questa prospettiva, di considerazione del carcere alla stregua di un qualsiasi luogo di lavoro, viene ribadito che sono irrinunciabili il servizio di prevenzione e protezione, il documento unico di valutazione dei rischi da interferenze e la sorveglianza sanitaria. Ne consegue che, almeno in materia prevenzionistica, gli adempimenti a carico di un imprenditore che volesse avvalersi del lavoro dei detenuti non si discostano di molto da quelli richiesti nei confronti di ogni altro lavoratore. Logicamente, tuttavia, si impongono dei correttivi: i servizi di vigilanza (da non confondere con il controllo sui detenuti) sono affidati "in via esclusiva" all'apposito servizio istituito con riferimento alle strutture penitenziarie mentre, solo tra i lavoratori detenuti, non trovano applicazione – ai sensi dell'art. 2 comma 5 del decreto - gli artt. 47 e 50 del TU, con questo derogando all'istituzione dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (siano essi aziendali, territoriali o di sito) negli istituti penitenziari. I rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (art. 4) del personale interno devono, inoltre, tener conto del fatto che quota dei lavoratori interessati è formata da detenuti, soggetti per definizione "meno liberi" di fare osservazioni critiche nei confronti dell'amministrazione penitenziaria, ma comunque destinatari di una tutela non minore rispetto a quella da assicurare ai lavoratori liberi che accedono alla struttura carceraria. Purtroppo, ormai da anni, mancano veri incentivi tali da rendere economicamente allettante investire nel lavoro in carcere, anche se una maggior chiarezza a livello normativo costituisce di per sé un passo in avanti in questa direzione. Nel ringraziarvi per l’attenzione, si rimanda al prossimo numero per ulteriori notizie. F Polizia Penitenziaria n.238 • aprile 2016 • 31

a cura di Valter Pierozzi Dirigente Sappe Esperto di sicurezza sul lavoro valter60@live.it


a cura di Erremme rivista@sappe.it

LE RECENSIONI Carlo Brunetti

THULE. Il segno del comando ROGIOSI Edizioni pagg. 214 - euro 18,00

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arlo Brunetti ha il pregio e il merito di avere reso avvincente questo romanzo, ambientato in carcere che ha come protagonisti degli operatori penitenziari impegnati in una complessa indagine interna che rivela un legame con tanti misteri del passato (Agharti, Himmler, le SS, la Thule, etc.). Non era certo facile conciliare i due argomenti, carcere ed esoterismo nazionalsocialista, ma l’Autore, che nella vita di tutti i giorni è un dirigente penitenziario, c’è riuscito, eccome! Non va trascurato che l’unico momento storico-culturale del Nazionalsocialismo al potere in cui si è cercata una sintesi tra le sue diverse correnti ideologiche e mistiche (comprese le relazioni tra Buddhismo, Induismo e Taoismo!) è stato il decennio che va dal 1935 al 1945, a Wewelsburg, il castello dell’Ordine SS, all’interno della sezione Ahnenerbe sotto il comando di Heinrich Himmler. Il carcere romano di Regina Coeli e gli operatori penitenziari che vi operano non fanno solamente da sfondo a questa storia: ne sono interpreti e - ed è questo un merito di Brunetti - caratterizzano questo

romanzo giallo, sì da rendere la complessa ma affascinante comunità carceraria una casa di vetro davvero trasparente.

Michele Brambilla

L’ESKIMO IN REDAZIONE ARES Edizioni pagg. 264 - euro 15,00

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uesto eccellente libro è un “pugno nello stomaco” e ci racconta a che punto di pericolosa faziosità arrivarono intellettuali, giornalisti, opinionisti, storici, politici, radicalchic imbevuti dell’ideologia rivoluzionaria degli anni Settanta. E’ un libro impietoso, che nella precisione archivista dei documenti raccolti dall’Autore racconta fatti e riporta dichiarazioni che fanno davvero accapponare la pelle. L’Eskimo in redazione ci racconta uno spaccato della storia del nostro Paese che non può e non deve essere dimenticato, anche perché tra i tanti che davvero pensavano, sostenevano e dicevano che le Brigate Rosse erano sedicenti, che il Commissario di Polizia Luigi Calabresi (poi ucciso da un comando di Lotta Continua) era un commissario torturatore, che gli assassini di un giovane militante missino milanese, Sergio Ramelli, andavano ricercati tra i suoi camerati di fede politica (ed invece erano militanti comunisti di Avanguardia Operaia, oggi tutti liberi e con avviate carriere mediche...); ebbene, tra i tanti che pensavano, sostenevano e dicevano queste bestialità e queste bugie, ve sono alcuni che non hanno mai chiesto scusa delle loro gravi e stupide affermazioni ma anzi ancora pretendono di insegnare agli altri cos’è il bene e cos’è il male. Resterete sconvolti, a leggere certi nomi. Ed all’Autore, affermato ed apprezzato giornalista, va il merito di avere avuto il coraggio di denunciare, con racconti precisi e circostanziati, questa

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sconcertante ambiguità di una certa intellighenzia italiana. La lettura di questo libro è imprescindibile per chi intende studiare e approfondire “gli anni di piombo”. Ma, in verità, dovrebbe essere affiancato ad una qualsiasi testo di storia contemporanea in uso nelle scuole e nelle università italiane.

Potito L. Iascone

IL NUOVO CODICE DELLA STRADA 2016 LA TRIBUNA Edizioni pagg. 930 edizione fuori commercio

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l Parlamento ha approvato definitivamente una proposta di legge volta a introdurre nel codice penale i delitti di omicidio stradale e di lesioni personali stradali, puniti entrambi a titolo di colpa. La legge, approvata in ultima lettura dal Senato nella seduta del 2 marzo 2016, inserisce nel codice penale il delitto di omicidio stradale (articolo 589-bis) attraverso il quale è punito, a titolo di colpa, con la reclusione (di diversa entità in ragione del grado della colpa stessa) il conducente di veicoli a motore la cui condotta imprudente costituisca causa dell'evento mortale. In particolare, è confermata la fattispecie generica di omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla circolazione stradale (la pena rimane la reclusione da 2 a 7 anni). Parimenti, è punito con la reclusione da 8 a 12 anni l'omicidio stradale colposo commesso da conducenti un veicolo a motore in stato di ebbrezza alcolica grave (tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro) o di alterazione psico-fisica conseguente all'assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope; se si tratta di conducenti professionali, per l'applicazione della stessa pena è sufficiente essere in stato di ebbrezza alcolica media (tasso


LE RECENSIONI alcolemico compreso tra 0,8 e 1,5 grammi per litro). E’ invece punito con la pena della reclusione da 5 a 10 anni l'omicidio stradale colposo commesso da conducenti di un veicolo a motore in stato di ebbrezza alcolica media, autori di specifici comportamenti connotati da imprudenza: • superamento di limiti di velocità; • attraversamento di incroci con semaforo rosso; • circolazione contromano; • inversione di marcia in prossimità o in corrispondenza di intersezioni, curve o dossi; • sorpassi azzardati. Questa edizione del Codice della Strada de La Tribuna, in special edition per gli amici del Sindacato Autonomo di Polizia SAP, colma ogni lacuna in materia di infrazioni al Codice della strada ed è indispensabile per chi, come gli addetti ai Nuclei delle Traduzioni e Piantonamenti della Polizia Penitenziaria, accertano violazioni di automobilisti e motociclisti alla guida.

80 Commissari della Polizia di Stato - Manuale SIMONE Edizioni pagg. 880 - euro 46,00

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ella Gazzetta Ufficiale n. 22 del 18 marzo 2016 e stato pubblicato il bando di concorso per 80 Commissari nella Polizia di Stato. L’editore Simone, che si conferma Casa editrice leader nella predisposizione di testi e volumi di preparazione ai concorsi, ha immediatamente messo in commercio questa Opera che riporta, con una trattazione chiara, semplice ed aggiornata, tutte le materie oggetto della prova preselettiva: diritto penale, diritto processuale penale, diritto civile, diritto costituzionale, diritto amministrativo, permettendo, cosi, al candidato di avere in un unico volume tutte le discipline di interesse.

Il volume si caratterizza, dunque, come supporto indispensabile per quanti vogliano affrontare l’esame con una preparazione adeguata. Ma non solo: il libro è utile anche alla preparazione degli esami orali per il concorso interno a 643 posti di vice Ispettore nel Corpo di Polizia Penitenziaria.

80 Commissari della Polizia di Stato - 5.000 quiz SIMONE Edizioni pagg. 832 - euro 38,00

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l libro di preparazione alla prova preselettiva del concorso a Commissario della Polizia di Stato riporta i 5.000 quiz (ufficiali) a risposta multipla delle materie oggetto dell’esame: diritto penale, diritto processuale penale, diritto civile, diritto costituzionale e diritto amministrativo. Integra il manuale di Manuale di preparazione della medesima Casa Editrice Simone.

Francesca Vianello Alessandro Maculan

LA POLIZIA PENITENZIARIA IN VENETO. Condizioni lavorative e salute organizzativa

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na particolare nota di apprezzamento va riservata a questo studio dell’Università degli Studi di Padova che pone al centro della ricerca le condizioni lavorative e il benessere organizzativo degli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria in servizio nella Regione Veneto. Un lavoro che ha concentrato l’attenzione dei ricercatori più che sulle dimensioni individuali, com’è tipico delle indagini sullo stress lavorativo e sul burnout, sull’analisi del contesto organizzativo.

E sono stati proprio le poliziotte e i poliziotti in servizio negli istituti e servizi penitenziari del Veneto a fornire elementi di studio e ricerca, aderendo (volontariamente) alla compilazione del questionario multidimensionale della salute organizzativa. Il questionario è stato somministrato tra il giugno e l’ottobre 2013 ed era incentrato sul comfort dell’ambiente lavorativo e su dieci differenti dimensioni della salute organizzativa. I risultati di questa interessante ricerca sono davvero interessanti e merita di essere sottoscritta la considerazione finale secondo la quale la Polizia Penitenziaria si ritrova, di fatto, a gestire le ricadute della principale contraddizione che attraversa la nostra società: quella che, basandosi sul presunto volere della maggioranza, pretende il contenimento e la segregazione di quella parte della collettività che ha infranto, con il diritto penale, le regole riconosciute della convivenza. Ed oggi più che mai è necessario aprire le porte del carcere e far conoscere il vissuto di coloro che vi operano e di coloro che vi sono ospitati. Musica per le orecchie del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, che come prima e più rappresentativa Organizzazione sindacale del Corpo di Polizia Penitenziaria ha portato e porta all’attenzione delle istituzioni e dell’opinione pubblica le difficili condizioni di lavoro che si trovano a svolgere i poliziotti penitenziari. F

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L’ULTIMA PAGINA Il mondo dell’appuntato Caputo di Mario Caputi e Giovanni Battista de Blasis © 1992-2016 rivista@sappe.it

FORSE VESTITO COSÌ MI FARANNO PARTECIPARE AGLI STATI GENERALI...

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www.mariocaputi.it

Per ora é uscito il libro! Raccolta antologica delle vignette dell’Appuntato Caputo pubblicate dal 1994 al 2014 sulla Rivista mensile Polizia Penitenziaria - Società Giustizia & Sicurezza Da che parte é l’uscita? si puo’ acquistare in tutte le librerie laFeltrinelli oppure sui siti www.lafeltrinelli.it e www.ilmiolibro.it

Formato 15 x 23 cm Copertina morbida 240 pagine a colori ISBN: 9788891092052



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