PoliziaPenitenziaria Società Giustizia e Sicurezza anno XXIII • n.245 • dicembre 2016
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SPECIALE
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Il Servizio Cinofili
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04 Polizia Penitenziaria
In copertina:
Società Giustizia e Sicurezza
Una collega del Servizio Cinofili con il suo cane
anno XXIII • n.245 • dicembre 2016
(foto archivio fotografico Ufficio Stampa - DAP)
04 EDITORIALE Dopo Renzi, Gentiloni. Cosa ci aspettiamo dal “nuovo “Governo e dall’Orlando bis di Donato Capece
05 IL PULPITO I suicidi nella Polizia Penitenziaria di Giovanni Battista de Blasis
06 IL COMMENTO Polizia Penitenziaria: serve un’efficace comunicazione contro la disinformazione di Roberto Martinelli
08 L’OSSERVATORIO POLITICO Italicum, Porcellum, Mattarellum e Consultellum di Giovanni Battista Durante
10 SPECIALE Il Servizio Cinofili della Polizia Penitenziaria
14 CRIMINOLOGIA La scena del crimine e la cosiddetta criminologia mediatica di Roberto Thomas
16 MINORI Inaugurato il teatro dell’IMP “Beccaria“ di Milano di Ciro Borrelli
17 DIRITTO & DIRITTI La remissione del debito e la riabilitazione di Giovanni Passaro
18 LO SPORT
22 CINEMA DIETRO LE SBARRE La stoffa dei sogni a cura di G. B. de Blasis
Società Giustizia e Sicurezza
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Il Dirigente e il Preposto di Luca Ripa
24 CRIMINI & CRIMINALI Carlo Lissi: una reazione abnorme, assurda e quasi patologica di Pasquale Salemme
26 WEB E DINTORNI Le vere percentuali dei detenuti che lavorano di Federico Olivo
28 SAPPEINFORMA
Carolina Kostner torna sul podio di Lady Oscar
PoliziaPenitenziaria Organo Ufficiale Nazionale del S.A.P.Pe. Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria
23 SICUREZZA SUL LAVORO
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Dedicato al bicentenario del Corpo il Calendario del Sappe 2017
30 COME SCRIVEVAMO Carcere & espressività di Francesco Dell’Aira
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L’EDITORIALE
Donato Capece Direttore Responsabile Segretario Generale del Sappe capece@sappe.it
Dopo Renzi, Gentiloni. Cosa ci aspettiamo dal “nuovo” Governo e dall’Orlando bis
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Nella foto: il Ministro della Giustizia Andrea Orlando
seguito dell’esito del referendum costituzionale del 4 dicembre scorso, il Presidente del Consiglio dei Ministri Matteo Renzi ha rassegnato le dimissioni, sue e del suo Governo, dopo avere assolto la richiesta del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella di approvare - “blindata” con la fiducia parlamentare - la legge di bilancio. Tra i tanti commenti che abbiamo letto, ci ha colpito quello di Donatella Stasio su Il Sole 24 ore, che ha valutato le ricadute negative che la conclusione del Governo Renzi e la legge di bilancio “blindata” ha determinato nell’Amministrazione della Giustizia. “Il ministro aveva presentato un pacchetto di emendamenti a Montecitorio, stoppato da Renzi con la promessa di esaminarlo al Senato. La crisi di governo blocca le modifiche del ministro Orlando già proposte alla Camera ma rinviate al Senato dai Rapporti con il Parlamento... È sfumata infatti la possibilità di assumere... 880 poliziotti penitenziari, con una norma in deroga per sbloccare lo scorrimento dalle graduatorie degli idonei... Per gli 880 poliziotti penitenziari, la Giustizia aveva chiesto una norma in deroga all'ordinamento militare, per sbloccare lo scorrimento delle graduatorie dei vincitori di concorsi già espletati fino al 2014 e, per i posti residui, quelle degli idonei non vincitori, per consentire un piano di assunzioni efficiente nel Corpo di Polizia Penitenziaria. Ma anche qui la risposta è stata un no...”. Fin qui, l’articolo di Donatella Stasio. Aggiungiamo qualche altra nostra considerazione. Il TITOLO V (Articolo 52, commi 1-2 e 4-5 -Fondo per il pubblico impiego) legge di stabilità per il 2017, oltre alle assunzioni, contiene, la “definizione” dell’incremento - dal 2017 - del finanziamento previsto a legislazione
vigente, per dare attuazione alle previsioni della legge-delega n. 124 del 2015 (ossia il tanto agognato “Riordino delle carriere”) di revisione della disciplina in materia di reclutamento, stato giuridico e progressione in carriera del personale delle Forze di Polizia, nonché della legge n. 244 del 2012 per il riordino dei ruoli del personale delle Forze di Polizia e delle Forze Armate. Tuttavia, c'è una grande incognita in questa norma e cioè la previsione di un riordino solo alternativamente al finanziamento della proroga del contributo straordinario previsto dalla legge n. 208 del 2015 all'articolo 1, comma 972. Pertanto, qualora il riordino non sia attuato con decreto legislativo del Governo, a pena di decadenza, entro febbraio 2017, nel 2018 le Forze di Polizia perderanno gli 80 euro e non avranno quel riordino atteso da più di venti anni. Inoltre, è bene ricordare che gli 80 euro non sono utili al fine dei contributi pensionistici, a differenza del riordino che avrebbe inciso sul monte contributivo oltre a innalzare parametri e qualifiche per tutti. Eppure, malgrado tutto ciò, a pochi giorni dall’approvazione della legge di stabilità regna il silenzio. Vi è di più. Il decaduto Governo Renzi ha continuato a formulare numerose promesse che rimangono disattese in tema di riallineamento dei Funzionari. Finanche il Sottosegretario Chiavaroli, con delega alla Polizia Penitenziaria, lo scorso 20 settembre a Radio Radicale, aveva affermato: “Io rappresento non la mia intenzione ma l’intenzione del Ministro … Noi siamo pronti con il testo del riallineamento, lo inseriremo nel primo veicolo legislativo utile ... perché questa è la ferma intenzione del Ministro, e quindi su questa strada si procederà celermente, ed io dico mal che vada
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abbiamo la legge di stabilità che comunque viene presentata il 15 ottobre e comunque approvata entro l’anno...”). Vista l’autorevolezza di chi ha assunto gli impegni, ci si aspettava che il Ministro Orlando e il Suo Sottosegretario tenessero fede alla solenne promessa impegnandosi nell’approvazione del testo legislativo che avrebbe finalmente cancellato una sperequazione che perdura da oltre 15 anni e su cui sono state proposte da marzo ad oggi ben 6 interrogazioni parlamentari nel 2016 (On. Di Maio Luigi M5S; Sen. Ginetti PD commissione giustizia; On. Camilla Sgambato PD; On. Molteni Nicola Lega Nord, On. Renata Polverini Forza Italia e dal NCD). Si incassa questa ulteriore delusione per i 40.000 uomini della Polizia Penitenziaria che si sono visti negare il riallineamento dei funzionari (mentre il DAP era costantemente impegnato a garantire i “lussi” ai detenuti, e le prerogative reali dei direttori penitenziari), peraltro già finanziato con la legge di bilancio del 2016, art. 1 comma 972, con perdita dei relativi fondi, già attribuito da 15 anni alla Polizia di Stato ed al Corpo Forestale. Vergognosa, infine, la vicenda delle assunzioni ...l'intero anno 2016 senza immettere un solo uomo in servizio (contro un migliaio di pensionamenti) e il 2017 che si prospetta allo stesso modo, se non ci saranno interventi di carattere legislativo! (...e nel frattempo le altre Forze dell'Ordine hanno ottenuto un incremento di 2.500 unità con la "scusa" del Giubileo) Tante promesse e nulla di fatto... poteva mai vincere il SI? Il nuovo Presidente del Consiglio dei Ministri, Paolo Gentiloni, ha nominato la sua squadra di Governo. Per il Ministero della Giustizia, è stato confermato nell’incarico il Guardasigilli Andrea Orlando. Il “nuovo” Ministro della Giustizia sa già quel che deve fare... F
IL PULPITO
I suicidi nella Polizia Penitenziaria sono il doppio rispetto alle altre forze dell’Ordine e il triplo rispetto alla società civile
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essun uomo è un'isola, intero in se stesso. Ogni uomo è un pezzo del continente, una parte della terra. Se una zolla viene portata via dall'onda del mare, la terra ne è diminuita, come se un promontorio fosse stato al suo posto, o una magione amica o la tua stessa casa. Ogni morte d'uomo mi diminuisce, perché io partecipo all'umanità. E così non mandare mai a chiedere per chi suona la campana: essa suona per te. John Donne Continuo a proporre, per riflettere, questa poesia scritta nel 1500 da John Donne, e ripresa da Hemingway in epigrafe al suo romanzo Per chi suona la campana, perché a mio avviso rende perfettamente l’idea della “perdita”. Quando parliamo di perdita, di diminuzione dell’umanità, il suicidio è sicuramente il lutto più doloroso, quello più difficile da accettare: una “privazione” conseguente alla volontà di chi non vuole più vivere, di chi vuole lasciare questo mondo. Schopenhauer diceva che “Anche l'uomo più sano e più sereno può risolversi per il suicidio, quando l'enormità dei dolori e della sventura che si avanza inevitabile sopraffà il terrore della morte.” Vorrei dare maggior risalto a questo passaggio, ripetendolo di nuovo: “...quando l’enormità dei dolori e della sventura è più grande del terrore della morte ...” Parliamo di un essere umano che soffre talmente tanto a vivere, da risolversi al suicidio. Secondo l’Istituto Nazionale di Statistica, in Italia avvengono una media di 4.000 suicidi l’anno, lo 0,006% della popolazione o meglio, per usare il modo di valutazione dello stesso ISTAT, 4,4 suicidi ogni centomila abitanti. (Nel mondo, sempre secondo le statistiche ufficiali, si rilevano in media 11,4 suicidi ogni centomila abitanti.)
Nella Polizia Penitenziaria il fenomeno suicidario ha assunto delle proporzioni assai maggiori, oserei dire esponenziali, rispetto alla media del Paese (significativamente superiori anche a quella mondiale). Sappiamo bene come, quanto e perché la nostra professione, come le altre helping professions (poliziotti, vigili del fuoco, medici, infermieri, ecc.), sia soggetta al burnout e a tutte le sue letali conseguenze. E pur tuttavia, in termini percentuali, i suicidi dei poliziotti penitenziari sono il doppio dei colleghi delle altre forze dell’ordine. (crfs: www.cerchioblu.org/reportosservatorio-suicidi-forze-di-polizia/) Questo il report-suicidi degli ultimi anni: sette nel 2016; due nel 2015; dieci nel 2014; sette nel 2013; nove nel 2012; otto nel 2011. Una media di 7 suicidi all’anno che, raffrontati ad una forza di circa 37.000 uomini, costituiscono lo 0,018% ovvero, secondo i parametri ISTAT, 14,25 casi ogni 100.000. In parole povere, tra le fila della Polizia Penitenziaria ci si suicida 3 volte di più che nella società italiana. Io credo che questo dato, più che ogni analisi psico-sociologica, dimostri in maniera inequivocabile che c’è un collegamento, anche se circoscritto, tra suicidio e professione svolta. A chi afferma il contrario il compito di dimostrare, allora, il perché nella nostra professione si verificano tre volte più suicidi che nella vita comune e, comunque, due volte di più che nelle altre forze dell’ordine. Io penso che il lavoro che svolge il poliziotto penitenziario influisce, eccome, nella volontà di togliersi la vita, o quantomeno contribuisce ad arrivare a quella determinazione. Il mal di vivere, come qualcuno ha definito la depressione che porta al suicidio, è sicuramente alimentato dal tipo di lavoro svolto, soprattutto a contatto con la sofferenza delle sezioni detentive.
Ecco perché io sostengo che ogni Direttore e ogni Comandante dovrebbero “sentire” come una sconfitta personale il verificarsi di un suicidio nel proprio istituto giacché, parafrasando Donne: “ ...ogni morte d'uomo li diminuisce, perché loro partecipano al contingente dell’istituto...” Dall’altro lato, il cameratismo, lo spirito di corpo e la solidarietà dei colleghi dovrebbero essere la panacea del rischio suicidio. In istituto, così come in ogni altro posto di servizio, il ruolo dello psicologo dovrebbe essere svolto dai colleghi e dai superiori, i primi a dover raccogliere qualsiasi segnale di disagio. Aiutare un collega in difficoltà è dovere di tutti noi. Secondo accreditate teorie psicoterapeutiche, la prevenzione del rischio suicidario prevede anche interventi sull’ambiente; ad esempio, il potenziamento della rete sociale per migliorare il senso di appartenenza alla comunità. Vengono consigliati, inoltre, interventi in ambito familiare per non far sentire tutto su di sé il peso e la responsabilità di un’eventuale situazione economica difficile. Assolutamente necessario, infine, togliere l’arma di ordinanza ai soggetti a rischio, giacché proprio l’arma di ordinanza è il principale strumento usato per suicidarsi. (Pure se, purtroppo, nell’ultimo caso accaduto al minorile di Roma, abbiamo dovuto costatare che, sebbene senza pistola d’ordinanza, il collega ha raggiunto lo stesso il suo scopo impiccandosi con la cintura). Ciò nondimeno, il mio auspicio è che ognuno di noi senta profondamente il dovere di prestare attenzione a ogni richiesta di aiuto, implicita o esplicita che sia, proveniente da un collega, da un sottoposto e, persino, da un superiore “... e così non mandare mai a chiedere per chi suona la campana.” F
Polizia Penitenziaria n.245 • dicembre 2016 • 5
Giovanni Battista de Blasis Direttore Editoriale Segretario Generale Aggiunto del Sappe deblasis@sappe.it
Nella foto: un cappio
IL COMMENTO
Roberto Martinelli Capo Redattore Segretario Generale Aggiunto del Sappe martinelli@sappe.it
Polizia Penitenziaria: serve un’efficace comunicazione per non alimentare una costante disinformazione
C
i siamo spesso occupati, su queste colonne, dei temi della comunicazione e dell’immagine del Corpo di Polizia Penitenziaria nel contesto sociale. Lo abbiamo fatto e lo facciamo, principalmente, per mettere nella condizione l’opinione pubblica di avere elementi oggettivi di valutazione circa i compiti e il ruolo delle donne e degli uomini della Polizia nel difficile contesto penitenziario.
Nelle foto: quotidiani e mass media
La gente, spesso, sa poco di quel che succede in carcere; questo perché è indotta ad approcciarsi ad esso, alle tematiche penitenziarie più in generale, solamente in occasione di eventi drammatici (suicidi, evasioni, presenza in carcere di detenuti eccellenti in particolare) che sono poi quelli che trovano maggiore evidenza sugli organi di informazione. Ancor più approssimativa è la conoscenza del nostro lavoro, quello del poliziotto penitenziario, perché se il carcere è – come esso è - un ambiente chiuso, ancor più difficile è venire a sapere quel che fanno le donne e gli uomini con il Basco Azzurro. Un dato è oggettivo: spesso e volentieri, quando stampa-radio-tv si occupano di carcere, non lo fanno per mettere in evidenza anche il ruolo sociale del Corpo di Polizia Penitenziaria ma piuttosto per dare risalto a iniziative estemporanee di
singole Direzioni, come ad esempio la sfilata delle donne detenute al termine di un corso di sartoria, l’impiego di qualche ristretto in attività di recupero del patrimonio ambientale cittadino, l’organizzazione di un corso da chef e cose così. E’ giusto che queste cose siano messe in evidenza, sia chiaro: ma è sbagliato non farlo - non comunicarlo - quando si tratta di eventi legati all’operatività quotidiana della Polizia Penitenziaria. Penso al suicidio in cella sventato dai nostri Agenti. Nessuno sa un dato che di per sé, per le fredde cifre, dovrebbero far strabuzzare gli occhi a chiunque. Negli ultimi 20 anni le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria hanno sventato, nelle carceri del Paese, più di 20mila – 20.263, per la precisione, dal 1992 al 30 giugno scorso – tentati suicidi di detenuti e hanno altresì impedito che i quasi 142mila atti di autolesionismo potessero avere nefaste conseguenze. Penso, anche, ai tempestivi interventi in caso di incendi (dove l’intervento risolutivo dei poliziotti ha scongiurato vere e proprie tragedie), malori, risse, colluttazioni, rinvenimento di droga, telefoni cellulari, armi tra le sbarre... Eppure mai, quasi mai, queste notizie sono veicolate agli organi di informazione, come invece dovrebbero, attraverso i canali istituzionali. E’ il Sindacato che si è sostituito all’Amministrazione in quest’opera ed è il Sindacato che diffonde i numeri di queste tragedie e di questa operatività. L’impegno del primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il SAPPE, è sempre stato ed è quello di rendere il carcere una “casa di vetro”, cioè un luogo trasparente dove la società civile può e deve vederci “chiaro”, perché nulla abbiamo da nascondere ed anzi
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questo permetterà di far apprezzare il prezioso e fondamentale – ma ancora sconosciuto - lavoro svolto quotidianamente – con professionalità, abnegazione e umanità - dalle donne e dagli uomini della Polizia Penitenziaria. Qualificati esperti di comunicazione hanno messo chiaramente in evidenza come l’ascolto attivo, la trasparenza, l’integrità, l’apertura verso la stampa sono – dovrebbero essere, anche per
il Corpo di Polizia Penitenziaria... valori essenziali ed elementi portanti dell’attività di comunicazione, sia con l’ambiente esterno sia con quello interno. La cultura della Polizia Penitenziaria, così come quella della Polizia di Stato, è formata dall’insieme dei valori, credenze e linguaggi che sostengono il suo mandato. L’assoluta trasparenza dell’immagine diventa il punto centrale della politica di comunicazione in quanto crea le migliori condizioni di visibilità dell’istituzione da parte dei cittadini che, a loro volta, saranno stimolati ad avere più fiducia e ad aprirsi. Anche l’Ordine nazionale dei Giornalisti ha redatto, nel marzo 2013, un Protocollo deontologico per i giornalisti che trattano notizie concernenti carceri, detenuti o ex detenuti, noto come “Carta di Milano”, affinché le notizie ”del, dal e
IL COMMENTO sul” carcere vengano trattate con l’obiettività e la serietà che meritano, scevre da sensazionalismo e pregiudizi. La trasparenza, insomma, è una condizione ottimale di visibilità nei due sensi, dall’interno all’esterno e viceversa, ed è quindi ancora più incomprensibile constatare come verso essa l’Amministrazione della Giustizia – e quella Penitenziaria, in particolare – dedichi poche risorse e poca attenzione. Ciò detto, a mio avviso assume ancor più importanza la necessità di una efficace comunicazione istituzionale a fronte di un approccio alle questioni penitenziarie che, da parte di qualcuno, è talvolta condizionato da un eccesso di pregiudizio e sensazionalismo, per cui il bene è sempre e solo da una parte (non quello della Polizia Penitenziaria...) e il male dall’altra. E’ sbagliato, come sbagliata sarebbe anche una impostazione esattamente opposta. Si può e si deve parlare di Polizia Penitenziaria, di carcere e di quel che in esso avviene con semplicità, chiarezza, precisione, concisione, concretezza, personalità. E’ il silenzio che crea disinformazione e spinge i giornalisti a rivolgersi ad altre fonti o a ripiegare su temi minori, collaterali, ma più sensazionalisti, fondati su dicerie e speculazioni provenienti da fonti meno affidabili. Il silenzio può inoltre essere interpretato come intenzione di nascondere una colpa e, in ogni caso, condiziona la percezione del pubblico e della stampa. Qualche esempio. Partiamo dalla tragedia di Stefano Cucchi. Tutti sappiamo la sua triste storia. Fin dall’inizio, si è alimentata una grancassa mediatica, alimentata ad hoc, che ha visto mettere sotto accusa il Personale di Polizia Penitenziaria, ritenuto - senza prove - responsabile della sua morte. Articoli e articoli, denunce, servizi tv, interventi di senatori, depositari della verità assoluta ed “esperti” di diritti umani in servizio permanente effettivo (quasi vi fossero, in contrapposizione, fautori e sostenitori della tortura...).
Il SAPPE è intervenuto, da subito, invitando tutti ad attendere gli esiti degli accertamenti giudiziari e a non trarre giudizi affrettati. L’Amministrazione Penitenziaria non ha assunto alcuna posizione rispetto al “linciaggio” mediatico cui è stato sottoposto il personale in servizio a piazzale Clodio, sede degli Uffici Giudiziari di Roma. La verità è che la sentenza di primo grado che quella di appello hanno assolto i tre poliziotti penitenziari dalle accuse (non suffragate da alcuna prova!) loro mosse. Lo hanno accertato due Corti, 4 giudici togati, 12 giudici popolari. Lo ha confermato, definitivamente, la Corte di Cassazione. Eppure, c’è ancora chi semina disinformazione e favorisce il radicamento di opinioni false e senza alcun elemento oggettivo di veridicità. Come Alessandro Zaghi, che nel numero di ottobre 2016 del mensile musicale Rolling Stone, ha scritto un articolo, titolato “La vergogna senza fine della morte di Stefano Cucchi”, e, sull’esito della perizia medico legale per le indagini preliminari nell’inchiesta bis sulla morte del giovane romano, afferma che in essa non vi è “alcuna menzione al pestaggio subito da Cucchi in carcere” dato che “in carcere Cucchi sarebbe stato selvaggiamente pestato da alcuni agenti della Polizia Penitenziaria”! Abbiamo scritto più volte ad Alessandro Zaghi e alla redazione del mensile per chiedere una rettifica, doverosa quanto necessaria, alle falsità sostenute ma nulla è accaduto. Abbiamo allora segnalato la cosa all’Ordine dei Giornalisti. Prima di lui, anche Corrado Formigli, volto de La7 e curatore di una rubrica sul settimanale femminile “Gioia”, arrivò a scrivere, nonostante le richiamate sentenze di assoluzione, che Cucchi “nei sotterranei del tribunale (di Roma, ndr) era stato massacrato di botte”. Ma quando mai... Abbiamo scritto anche a lui, che ha fatto “orecchie da mercante”. Questi sono solamente due chiari ed
evidenti esempi di disinformazione rispetto alla quale avrebbe dovuto assumere una netta posizione non solamente il SAPPE ma, a tutela degli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria coinvolti loro malgrado nella triste e drammatica vicenda, il Ministero della Giustizia ed il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Come avrebbero dovuto prendere posizione rispetto a Roberto Saviano, giornalista e autore dei bestseller Gomorra, ZeroZeroZero e La paranza dei bambini, quando sul settimanale L’Espresso del 17 dicembre 2015, scrivendo nella sua rubrica “L’antitaliano” un articolo titolato “Ascoltiamo la denuncia di un uomo colpevole”, prendendo posizione sulle accuse di (presunti) maltrattamenti
subìti in varie carceri italiane da un detenuto straniero, che ha supportato le sue affermazioni con alcune intercettazioni audio. O come quando, nella puntata de Le Iene di martedì 8 marzo 2016, fu trasmesso un servizio di Matteo Viviani, “Torturato in un carcere italiano”, riferito a episodi accaduti nella Casa Circondariale di Asti dodici (12!) anni fa. Verità e giustizia devono sempre prevalere, per il bene dell’onorabilità del Corpo di Polizia Penitenziaria e coloro che ne fanno parte, perché nulla dev’esserci da nascondere. Ma sono le aule di Giustizia le uniche sedi deputate ad accertare anomalie, irregolarità, violazioni o reati. Non i salotti tv, le conferenze stampa (anche se in luoghi autorevoli, come il Senato della Repubblica), o le colonne di quotidiani e settimanali... Rispetto, per favore. F
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Nella foto: la sorveglianza di un detenuto
L’OSSERVATORIO POLITICO
Giovanni Battista Durante Redazione Politica Segretario Generale Aggiunto del Sappe durante@sappe.it
Italicum, Porcellum, Mattarellum e Consultellum
I Nelle foto: il Presidente del Cosiglio Gentiloni e alcuni schemi della legge elettorale
l nuovo Governo Gentiloni si è insediato da poco, con il principale scopo di varare una riforma della Legge elettorale che consenta di andare al voto, senza creare instabilità successive. Questo, però, non è l'obiettivo di tutti i partiti e gli schieramenti politici, soprattutto quelli minoritari, i quali, da un esito elettorale incerto e di equilibrato, sperano di trarne vantaggio facendo l'ago della bilancia:
socialisti. L'esigenza di una riforma della legge elettorale nasce dalla mancata approvazione della riforma costituzionale. L'Italicum è la legge elettorale voluta dal governo Renzi che, con l'abolizione del Senato elettivo, come lo conosciamo oggi, avrebbe dovuto funzionare solo per la Camera dei Deputati. La mancata approvazione, da parte dei
collegi; ad ogni Collegio spetterebbe un determinato numero di seggi, in proporzione ai suoi abitanti. Sono previste delle soglie di sbarramento, in base alla percentuale di voti ottenuti a livello nazionale: 12% se si tratta di una coalizione di liste, 8% se è una lista singola, 4,5% per una lista singola all'interno della coalizione. Ciò che ha fatto maggiormente discutere di questo nuovo sistema
un vecchio sistema, questo, tutto italiano che per tantissimi anni soprattutto nella prima Repubblica ha consentito a piccoli partiti di poter partecipare alla formazione dei vari governi democristiani e anche
cittadini italiani con il referendum del 4 dicembre 2016, della riforma Costituzionale, ha lasciato in eredità due leggi elettorali diverse per Camera e Senato: da una parte l'Italicum e dall'altra il c.d. Consultellum, ciò che rimane del Porcellum (riforma Calderoli), dopo la sentenza della Corte Costituzionale del 4 dicembre 2013. L'Italicum prevede che dei 630 seggi previsti per la Camera dei Deputati 618 provengano dai voti espressi sul territorio nazionale ed i restanti 12 da quelli degli italiani all'estero. Dalle attuali 27 circoscrizioni si passerebbe a 20, una per ogni regione e le regioni verrebbero divise in
elettorale è il premio di maggioranza, inviso ai partiti minori. In base ai risultati elettorali si potrebbero determinare i seguenti scenari. Intanto bisogna evidenziare che per l'attribuzione del premio di maggioranza bisogna ottenere il 37% dei voti. Se la lista o coalizione di liste non ottiene il 37% si va al ballottaggio tra le due che hanno raggiunto il maggior numero di voti; se ottiene il 37% dei voti, ma meno di 340 seggi, vince e ottiene il premio di maggioranza. Se raggiunge il 37% e 340 seggi vince senza premio di maggioranza. Al Senato si dovrebbe invece andare a
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L’AGENTE SARA RISPONDE... votare con il c.d. Consultellum, sistema elettorale proporzionale, le cui soglie di sbarramento sono pari al 2% per i partiti coalizzati e al 4% per quelli non coalizzati. E' un sistema entrato in vigore in seguito alla sentenza della Corte Costituzionale del 4 dicembre 2013. La Corte ritenne incostituzionale sia il premio di maggioranza, sia le liste bloccate senza preferenze. Tali liste erano state approvate con la Legge Calderoli che, in seguito, lui stesso definì in una trasmissione di Porta a Porta «una porcata», da qui il termine Porcellum. Le modifiche della Corte lasciarono in vigore una legge proporzionale pura, priva del premio di maggioranza e con la possibilità, per gli elettori, di esprimere una sola preferenza. Renzi, nella recente riunione della direzione nazionale del PD, ha lanciato la proposta di partire dalla legge elettorale che porta il nome dell'attuale presidente della Repubblica. La legge Mattarella fu approvata il 4 agosto del 1993, dopo il referendum del 18 aprile dello stesso anno. Fu introdotto un sistema elettorale misto, così composto: • maggioritario a turno unico per la ripartizione del 75% dei seggi; • recupero proporzionale dei più votati e non eletti per il Senato, attraverso un meccanismo di calcolo denominato scorporo, per il rimanente 25% dei seggi assegnati al Senato; • proporzionale con liste bloccate per il rimanente 25% dei seggi assegnati alla Camera; • sbarramento del 4% alla Camera. Tale sistema riunì tre diverse modalità di ripartizione dei seggi: quota maggioritaria di Camera e Senato, recupero proporzionale al Senato, quota proporzionale alla Camera. Tale proposta potrebbe essere la base di partenza, almeno da quanto si è appreso attraverso le reazioni della maggior parte dei partiti presenti in Parlamento, una buona base di partenza per giungere ad un accordo che vada oltre l'attuale maggioranza parlamentare. F
Maternità: lavorare nel corso dell’ottavo mese di gravidanza
S
alve Agente Sara, sono l'Agente Scelto Ludovica, sono venuta a conoscenza di essere incinta e non appena ho fatto presente la notizia alla direzione in cui lavoro, esibendo la dovuta certificazione sanitaria, sono stata assegnata temporaneamente in ufficio anziché nei reparti detentivi. Questo mi ha tranquillizzata molto. Per ora, la mia gravidanza sembra procedere bene e a tal proposito, la mia domanda é: "posso lavorare nel corso dell'ottavo mese per prolungare il periodo di congedo post partum?". Grazie mille. Agente Scelto Ludovica
Buongiorno cara Ludovica, l'art.9 del D. Lgs. 151/2001 stabilisce che le lavoratrici del Corpo di Polizia Penitenziaria, durante tutto il periodo di gravidanza, non possono essere assegnate a compiti operativi, ecco perché di conseguenza sei stata esonerata dalle turnazioni presso i reparti detentivi. Per quanto concerne la tua domanda, il congedo di maternità obbligatorio è disciplinato dall'art. 16 del Dlgs 151/2001; lo stesso, viene chiamato anche “astensione obbligatoria” dal lavoro e consiste in un periodo di 5 mesi (due mesi precedenti la data presunta del parto e tre dopo) nei quali la donna per legge deve astenersi dal lavoro. Esiste la possibilità per la lavoratrice dipendente di continuare l’attività lavorativa nel corso dell’ottavo mese e di prolungare il periodo di congedo post partum, a condizione che il medico specialista del S.S.N o convenzionato ed il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro, attestino che tale opzione non arrechi
pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro (art. 20 Dlgs 151/2001). Pertanto, laddove questa dovesse essere la tua intenzione, potrai presentare in Segreteria Polizia Penitenziaria, idonea istanza nella quale si richiede di continuare l'attività lavorativa nel corso dell'ottavo mese e di prolungare il periodo di congedo post partum, allegando alla stessa certificato del medico specialista del S.S.N o convenzionato che attesti lo stato di buona salute e contestualmente, sarà osservanza della Direzione sottoporre la tua richiesta anche al medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro della tua sede di servizio. F Un saluto Agente Sara
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SPECIALE
Il Servizio Cinofili della Polizia Penitenziaria Una delle Specializzazioni che rendono orgogliosi i baschi azzurri del Corpo
Nella foto: un pastore tedesco con la “divisa” della Polizia Penitenziaria (foto archivio fotografico Ufficio Stampa DAP)
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IL SERVIZIO CINOFILI
I
l “Servizio cinofili” rappresenta senza dubbio uno dei fiori all’occhiello delle Specializzazioni del Corpo di Polizia Penitenziaria. Seppur istituito, formalmente, con D.M. 17 dicembre 2002, trova la sua genesi nell’accordo stipulato nell’anno duemila tra il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e il
cinofili del Corpo di Polizia Penitenziaria. I tre colleghi Istruttori cinofili, insieme ai cani loro assegnati, costituivano, così, il primo distaccamento Cinofili del Corpo di Polizia Penitenziaria presso la Casa di Reclusione di Asti. Nell’anno 2001, presso il “Centro Addestramento Cinofili" di Intimiano
Successivamente, con Provvedimento del Capo Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del 2004, veniva istituito il “Centro Addestramento Cinofili del Corpo di Polizia Penitenziaria” presso la Casa di Reclusione di Asti. Grazie a questo Centro, da allora, i baschi azzurri formano conduttori di cani e
Ministero dell’Economia e del Tesoro. La sottoscrizione di detta intesa, infatti, permetteva l’avvio del primo corso di cinofilia presso la Scuola Cinofili della Guardia di Finanza di Capiago Intimiano (CO), attraverso il quale veniva resa possibile la specializzazione dei primi tre Istruttori
(CO), due dei tre Istruttori del nostro Corpo, unitamente agli Istruttori della Guardia di Finanza, davano vita ad un corso per la formazione dei primi 16 conduttori di cani antidroga, al termine del quale venivano creati i distaccamenti di Roma, Milano e Benevento.
quadrupedi in piena autonomia. Il Corpo di Polizia Penitenziaria può annoverare, allo stato, nove distaccamenti regionali (Piemonte, Lombardia, Veneto, Lazio, Campania, Puglia, Sicilia e Sardegna), nonché 55 conduttori di cani antidroga e 54 quadrupedi.
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Nelle foto: il Servizio Cinofili in attività (foto archivio fotografico Ufficio Stampa DAP)
Á
SPECIALE L’effettiva dislocazione delle diverse unità cinofile, così come previsto dal Modello Organizzativo e Funzionale del Servizio, viene attuata tenendo conto di molteplici indicatori di rischio, quali la consistenza del fenomeno tossicodipendenza nel territorio dove è ubicata la struttura penitenziaria di riferimento, la popolazione tossicodipendente detenuta, nonché il numero complessivo dei detenuti e degli istituti presenti nella regione in interesse. Il Servizio Cinofili nasce, dunque, col precipuo scopo di arginare i continui, sempre più vari e, a volte, bizzarri, tentativi di introdurre abusivamente sostanze stupefacenti o psicotrope all’interno degli istituti penitenziari, svolgendo un’indispensabile ed irrinunciabile funzione di prevenzione e repressione contro tali illegali atti. I nostri “cani poliziotto” sono addestrati per rinvenire sostanze, quali ad esempio marijuana, hashish, olio di hashish, oppio, cocaina, eroina, ecstasy, subutex e similari, anche se abilmente occultate su persone, mezzi di trasporto, valigie, borse, zaini, plichi. Per dare un’idea dell’importanza del servizio svolto, giova segnalare che, nei primi dieci mesi di quest’anno, i vari distaccamenti cinofili della Polizia Penitenziaria operanti sul territorio nazionale hanno effettuato 1.679 interventi, procedendo a 9 arresti e 170 denunce, e sequestrando più di 870 grammi di hashish, nonché 1.730 grammi di marijuana, 13 grammi di Dati relativi alle attività effettuate da gennaio ad ottobre 2016 dai Nuclei Regionali Cinofili Antidroga Mesi Gennaio Febbraio Marzo Aprile Maggio Giugno Luglio Agosto Settembre Ottobre
Interventi Attività conseguenti agli interventi effettuati Sequestri in ambito Art.73 DPR Art.75 DPR Hashish Marijuana Cocaina Eroina Subotex Ecstasy Anfet. Altro Ammin.Penit. Arrresti Denunce 309/90 309/90
145 166 165 177 195 157 161 134 187 192
0 0 0 3 1 0 0 0 5 0
10 12 14 24 38 20 9 9 16 18
10 10 13 23 38 17 7 9 14 14
0 2 1 4 1 3 2 0 4 4
4,14 27,20 0,52 0,10 52,29 5,53 0,00 29,02 1,27 151,93 1656,00 4,25 4,29 66,92 5,55 0,00 255,37 0,20 40,13 10,24 0,00 0,00 29,42 1,06 60,16 43,18 0,00 0,00 158,83 6,02
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0,00 0,00 1,00 0,00 1,01 3,25 0,00 1,68 0,00 0,00
0 0 0 0 40 3 0 0 7 0
0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
0,00 0 0,00 0 2,51 0 0,00 0 0,00 0 0,00 0 0,00 0 0,00 44 0,00 0 0,00 0
IL SERVIZIO CINOFILI
cocaina, 7 grammi di eroina, 2,5 grammi di anfetamina e 50 grammi di subutex. È facile allora comprendere come il Servizio Cinofili rappresenti un imprescindibile baluardo nell’azione di contrasto alla criminalità ed un efficace presidio che concorrere al mantenimento dell’ordine e della sicurezza all’interno delle strutture dell’Amministrazione Penitenziaria. L’auspicio è che il Dipartimento sappia valorizzare sempre più, anche con l’innesto di ulteriore personale qualificato, tutte le Specializzazioni, le quali, oltre a dar lustro all’immagine del Corpo, mostrano di che tipo e di quanta professionalità siano dotati le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria. F
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Nelle foto: personale del Servizo Cinofili durante alcune operazioni di controllo (foto archivio fotografico Ufficio Stampa DAP)
Roberto Thomas Docente dei corsi specialistici di formazione di criminologia minorile organizzati dalla Sapienza Università di Roma Già Magistrato minorile rivista@sappe.it
CRIMINOLOGIA
La scena del crimine e la cosiddetta criminologia mediatica
I
Nelle foto: scene del crimine
l termine scena in materia criminologica ci riporta inevitabilmente al concetto di teatro che costituisce uno strumento classico di comunicazione, talora simbolica, di azioni umane concrete riprodotte per finta, compreso i più gravi delitti. L'evocazione teatrale lascia però il campo ad una cruda realtà quando si tratta di penetrare all'interno di un luogo in cui si sia verificato un reato concreto per raccoglierne le sue tracce al fine dell'identificazione del suo autore.
delitti, di quelle relative ai profili criminologici e vittimologici) e, appunto, in microcriminologia (volta all'esame lenticolare di un concreto reato, del suo autore e della sua vittima). Soprattutto nei più gravi delitti di sangue l'immediata e ragionata conoscenza della scena del crimine costituisce spesso la chiave di volta per scoprire in tempi brevi il suo autore. E' noto che nella prassi degli investigatori delle forze dell'ordine esiste il principio, applicabile quasi sempre, che l'autore di un omicidio o
Tale attività rientra più propriamente nella cosiddetta criminalistica (così denominata per la prima volta nel 1888 da Franz von Liszt, pioniere della scuola sociologica tedesca di diritto penale), che che studia le modalità concrete in cui si è svolto un delitto al fine di identificare il suo autore, pur costituendo una disciplina autonoma dalla criminologia, pur essendo una materia connessa alla microcriminologia, secondo la distinzione della criminologia in macrocriminologia (e cioè quella relativa allo studio dei sistemi normativi, delle tipologie generali dei
viene scoperto in pochi giorni o rimarrà ignoto per sempre (l'omicidio di Yara Gambirasi, avvenuto a Brembate, costituisce certamente una rilevante eccezione a tale assunto in quanto, dopo due anni d'indagini e l'analisi di circa trentacinquemila differenti DNA, si è giunti ad “incastrare” il colpevole ! ). Le investigazioni da eseguire sulla scena del crimine sono descritte analiticamente nell'art. 354 del codice di procedura penale secondo cui: “1. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria curano che le tracce e le cose pertinenti al reato siano
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conservate e che lo stato dei luoghi e delle cose non venga mutato prima dell'intervento del pubblico ministero. 2. Se vi è pericolo che le cose, le tracce e i luoghi indicati nel comma 1 si disperdano o comunque si modifichino...gli ufficiali di polizia giudiziaria compiono i necessari accertamenti e rilievi sullo stato dei luoghi e delle cose...”. Ne deriva che attualmente la criminalistica, come già detto, può essere definita la disciplina che esamina i vari mezzi di prova per identificare l'autore di un reato, e le modalità in cui concretamente si è attuato un crimine. In particolare rientrano in essa gli accertamenti medico – legali (quali l'autopsia sul cadavere, le indagini sul DNA sul sangue e gli altri liquidi organici, il prelievo delle impronte digitali ecc.) e le indagini di polizia giudiziaria previste nell'art. 55, primo comma, del codice di procedura penale (“ La polizia giudiziaria deve, anche di propria iniziativa, prendere notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant'altro possa servire per l'applicazione della legge penale.” ). Successivamente il codice di procedura penale analizza singolarmente le attività di polizia giudiziaria negli articoli 330 “Acquisizione delle notizie di reato”, art.347 “Obbligo di riferire la notizia di reato”, art.348 “Assicurazione delle fonti di prova”, art.349 “Identificazione della persona nei cui confronti vengano svolte le indagini e di altre persone”, art.350 “ Sommarie informazioni dalla
CRIMINOLOGIA persone nei cui confronti vengono svolte le indagini”, art.352 “Perquisizioni”, art.353 “Acquisizione di plichi o di corrispondenza”, art.354 “Accertamenti urgenti sui luoghi , sulle cose e sulle persone. Sequestro.” In particolare, fra i precitati articoli, si segnala il contenuto del già citato art.354 cod. proc. pen. che risponde, sostanzialmente alla traduzione giuridica, di quello che in criminologia viene definita la scena del crimine e il prelievo di campioni organici da sottoporre a successiva analisi medico-legale-...”). In pratica dall'esame del contenuto delle precitate norme processuali penali si evince che la criminalistica risponde ai quesiti posti dalle cosiddette cinque W, e cioè Who ? (“Chi” ha commesso il delitto), When? ( “Quando” il reato è stato commesso), Were? (“Dove” il delitto si è verificato ), What (“Che cosa” è materialmente successo e cioè le modalità di commissione del delitto) e Why? (“Perché” il reato è stato commesso). Invero negli ultimi anni, sulla suggestione di studi americani, si è cercato di identificare, per il campo microcriminologico, anche la peculiare figura di un criminologo specializzato nell'ausilio tecnico degli investigatori delle forze di polizia (questi ultimi costituenti i criminalisti propriamente detti) al fine della individuazione dell'autore di un reato, attraverso la costruzione di un suo profilo criminologico (cosiddetto “criminal profiling” ) desunto dalle tracce concrete lasciate sulla scena del delitto. Le indagine investigative che abbiamo visto vengono spesso riprese dai mass media e amplificate in una serie di valutazioni extra giudiziarie in numerosi programmi televisivi di intrattenimento, venendosi così a costituire un complesso di informazioni più o meno veritiere che vengono a costituire la cosiddetta criminologia mediatica, più correttamente definibile criminalistica mediatica. Così si ritorna, in un certo senso, alla scena teatrale, diventandola
di fatto lo studio televisivo in cui una serie di soggetti più o meno qualificati esprime giudizi di valore circa l'attendibilità delle prove di accusa o l'eventuale innocenza dell'indagato. Questi programmi influenzano l'opinione pubblica in maniera sensibile, innestando un vero e proprio pubblico processo mediatico, parallelo a quello giudiziario (con il rischio di continue interferenze su questo ultimo), dividendo i suoi fruitori in colpevolisti ed innocentisti. La “passione” di siffatti due gruppi è tale da indurli, spesso, a praticare un vero e proprio “turismo macabro”, organizzando viaggi collettivi sul luogo in cui si è verificato l'efferato omicidio, come se questo fosse un “santuario” da visitare con atteggiamento quasi devozionale. A tal proposito viene da chiedersi se siffatta curiosità morbosa risponda ad una pura esigenza di sentirsi in qualche modo protagonisti del tragico
l'esecuzioni delle pene capitali, si svolgevano nelle grandi piazze davanti ad un tumultuoso pubblico, tanto che Cesare Beccaria nel suo libro “Dei delitti e delle pene” del 1764, edizione Rizzoli Milano, 1950, pag. 26 scriveva . “Pubblici sieno i giudizi e le prove del reato, perché l'opinione che è forse il solo cemento della società imponga un freno alla forza ed alle passioni; perché il popolo dica, noi non siamo schiavi, e siamo difesi; sentimento che ispira coraggio, e che equivale ad un tributo per un sovrano che intende i suoi veri interessi.”. C'è però da dire che la “pressione” della pubblica opinione, ampliata a dismisura dalla comunicazione dei mass media, può costituire talora un indice sensibile di una “giustizia popolare prevalente” che talora può essere pericolosa per la “serenità” delle sentenze che devono essere
evento, possedendo una smania esibizionistica di poter affermare “io c'ero e l'ho visto con i miei occhi ”, ovvero, in taluni ipotesi, anche una vera e propria patologia mentale di rivivere nel proprio io la scena criminale, immedesimandosi , a secondo dei casi, nel ruolo del carnefice o in quello della vittima . Si può obiettare che l'amplificazione delle notizie riguardanti i processi penali non è nient'altro che l'applicazione del principio della pubblicità dell'udienza penale (ex art. 471 cod. proc. pen.) e che in passato molte manifestazioni, quali
emanate dai giudici . Ciò è più tangibile nel caso dell'attività dei pubblici ministeri che , talora , inseguono l'onda lunga della emozione partecipata popolare, “forzando”, alle volte inconsapevolmente (almeno così spero!), i loro provvedimenti nel senso voluto dalla pubblica opinione (si pensi al caso delle indagini di “mani pulite” avvenute a Milano nel 1992 che portarono ad una raffica di arresti di imprenditori e politici, riconosciuti per quasi il 50%, molti anni dopo, dalla Suprema Corte di Cassazione assolutamente innocenti). F
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GIUSTIZIA MINORILE
Ciro Borrelli Dirigente Sappe Scuole e Formazione Minori borrelli@sappe.it
Inaugurato il teatro dell’IPM “Beccaria” di Milano
U Nelle foto: lo spettacolo teatrale al Beccaria
n nuovo teatro con un collegamento con l’esterno. Martedì 13 dicembre, grazie al personale di Polizia Penitenziaria, l’Istituto Penale per Minorenni Cesare Beccaria di Milano si è aperto al dialogo con il quartiere e la città con due forti gesti simbolici: alle 18:00 si è inaugurata la nuova porta che permetterà al pubblico di accedere direttamente al teatro del Beccaria;
alle 19:00 nello stesso teatro, la cui sala ristrutturata da Puntozero, a seguito di un Protocollo d’intesa con il Centro Giustizia Minorile di Milano è andata in scena “La Cenerentola per i bambini” con i complessi dell’Accademia Teatro alla Scala diretti da Pietro Mianiti di fronte a una platea di ragazzi del quartiere. Ricordiamo che lo scorso 7 dicembre 2016 il teatro è stato per la prima volta sede di una delle proiezioni di Madama Butterfly organizzate dal Comune di Milano nell’ambito del progetto Prima Diffusa. Oggi grazie alla presenza costante del personale di Polizia Penitenziaria, l’Istituto Penale Minorenni “Cesare Beccaria” di Milano possiede al suo interno un teatro moderno, funzionale e tecnologicamente aggiornato. L’associazione Puntozero ha potuto realizzare questo progetto, nato nel 2005, grazie al lavoro svolto negli ultimi anni da Giuseppe Scutellà e Lisa Mazoni, con il sostegno del Dipartimento Giustizia Minorile e di Comunità, della Polizia Penitenziaria e di numerose altre Istituzioni e Aziende Milanesi.
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Il Teatro alla Scala, che per interessamento del Direttore Generale Maria Di Freda è accanto all’Associazione dal 2005 e nel 2007 ha destinato al teatro del Beccaria le poltrone dopo il restauro del Piermarini, ha fornito un sostegno fondamentale coordinando i lavori grazie alla passione dell’ingegnere Franco Malgrande, con il coinvolgimento della società Mapei che a sua volta ha contribuito con la fornitura gratuita dei propri prodotti e una donazione. Il ripristino del teatro interno all’Istituto Penale Minorile e l’inizio dell’attività teatrale permanente crea un nuovo punto di produzione culturale aperto e accessibile all’intera cittadinanza, contribuendo ad arricchire l’offerta culturale della città di Milano e ad attenuare l’idea del carcere come istituzione punitiva, facilitando la comunicazione tra “dentro” e “fuori” attraverso l’accessibilità della cittadinanza. L’attività di Puntozero si è avvalsa del contributo di sostenitori e volontari tra cui l’Onorevole Franco Mirabelli, Giuseppe Vaciago della Fondazione Marazzina, Moreno Gentili per la comunicazione, Alexander Pereira e Maria Di Freda per il Teatro alla Scala, Sergio Escobar per il Piccolo Teatro e altri. All’iniziativa erano presenti, insieme alla Direzione dell’Istituto Olimpia Monda, al Direttore del Centro Giustizia Minorile Flavia Croce e al Cappellano dell’I.P.M. Beccaria Don Gino Rigoldi, il Sindaco di Milano Giuseppe Sala, l’Onorevole Gennaro Migliore, il Senatore Franco Mirabelli, il Direttore Generale del Dipartimento Giustizia Minorile e di Comunità Vincenzo Starita e l’Assessore alle Politiche Sociali Pierfrancesco Majorino. F
DIRITTO E DIRITTI
La remissione del debito e la riabilitazione
L
a remissione del debito è uno strumento utilizzato dal diritto penitenziario che comporta, alla realizzazione dei presupposti richiesti dalla legge, la rinuncia da parte dello Stato alla riscossione dei crediti che lo stesso ha anticipato ai condannati, per le spese processuali e di mantenimento nel carcere. In armonia con quanto stabilito dall’art. 27 Cost, costituisce un istituto con chiare finalità premiali e di reinserimento sociale. La disciplina era contenuta nell’art. 56 Ord. Pen., che venne abrogato a seguito dell’entrata in vigore del Testo Unico in materia di spese di giustizia (D.P.R. 30 maggio 2002, n.115). Attualmente, pertanto, la disciplina è raccolta negli artt. 6 del Decreto citato e 106 del Regolamento d’esecuzione. La concessione del beneficio è soggetta alla congiunta presenza di due requisiti: 1) che l’interessato versi in disagiate condizioni economiche; 2) che abbia tenuto una regolare condotta. E’ opportuno rendere evidente come tale ultimo requisito, se agevole può essere la verifica nei confronti dei detenuti e internati (poiché si rimanda alla definizione di buona condotta offerta dal comma 8 dell’art. 30-ter Ord. Pen), più complesso può risultare nei confronti di quei soggetti che non abbiano sofferto della detenzione o internamento, e ciò potrebbe condurre ad un irragionevole ampiezza del potere discrezionale conferito al giudice. Si può procedere con la domanda di remissione soltanto fino a che non sia conclusa la procedura per il recupero delle spese, pertanto, non sono stabiliti termini di ammissibilità o decadenza. Con la presentazione della richiesta, si
Giovanni Passaro Vice Segretario Regionale Lazio passaro@sappe.it
sospende la procedura d’esecuzione; tale sospensione avviene di diritto, nel momento in cui la cancelleria dell’ufficio di sorveglianza dà notizia dell’apertura del procedimento alla cancelleria del giudice dell’esecuzione. La riabilitazione è l’istituto riconosciuto dall’ordinamento giuridico, all’applicazione del quale si riconnette l’estinzione delle pene accessorie ed ogni altro effetto penale della condanna. Disciplinato dall’art. 178 c.p., mostra un evidente finalità di recupero sociale del condannato, poiché consente la reintegrazione integrale nei diritti pubblici. L’effetto principale della riabilitazione, perciò, consiste nella cancellazione delle incapacità giuridiche. Le condizioni necessarie per usufruire del beneficio, sono definite dall’art. 179 c.p. (come modificato dalla Legge 12 giugno 2004, n.145): in primo luogo devono essere trascorsi almeno 3 anni dal giorno in cui la pena principale è stata eseguita o si è estinta in altro modo; nel caso di pena sospesa condizionalmente il termine decorre dallo stesso momento da cui decorre la sospensione condizionale; in secondo luogo: il richiedente non deve essere stato sottoposto a misura di sicurezza, salvo che il provvedimento sia stato revocato, e deve aver adempiuto le obbligazioni civili derivanti dal reato, salvo che dimostri di trovarsi nell’impossibilità di adempierle. Il beneficio in esame può essere concesso solo su istanza dell’interessato e in relazione alle sentenze dallo stesso indicate. Questo può essere revocato di diritto se il riabilitato, nei termini fissati dall’art. 180 c.p., commette un nuovo reato. F
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I titoli di studio, dell’Università Telematica PEGASO, oltre ad accrescere la cultura personale, sono spendibili per la partecipazione a concorsi riservati a laureati (esempio Commissario penitenziario).
Costi e pagamenti in convenzione Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza: retta annuale 1.700 euro anziché 3.000 euro rateizzabile in 4 rate Percorso Class Form (Principi delle
Scienze Giuridiche) riservato ai diplomati Durata annuale, carico didattico 1.350 ore corrispondenti a 54 CFU. Progetto finalizzato a fornire le basi ed una preparazione di livello elevato nel settore delle Scienze Giuridiche per l’avviamento al Corso di Laurea Magistrale. Contenuti e crediti formativi Tematica
SSD
CFU
1 Principi costituzionali
IUS/08
9
2 Istituzioni di diritto romano
IUS/18
12
3 Istituzioni di diritto privato
IUS/01
18
4 Storia del diritto medievale e moderno
IUS/19
9
5 Teoria generale del diritto e dell’interpretazione IUS/20
6
Totale
54
Costi e pagamenti in convenzione Class Form: Forze dell’ordine: 1.200 euro anziché 1.800 euro rateizzabili in 3 comode rate Sedi d’esame: Napoli, Torino, Roma, Palermo, Trani, Bologna, Milano, Assisi, Messina, Ariano Irpino, Acireale, Agrigento, Cagliari, Caltanissetta, Campobello di Mazara (TP), Catania, Cosenza, Firenze, Latina, Macerata, Reggio Calabria, Siracusa, Venezia, Vibo Valentia, Vittoria (RG).
info e appuntamenti:
06.3975901
studipenitenziari@gmail.com Via Trionfale, 140 • Roma
LO SPORT
Lady Oscar rivista@sappe.it
Carolina Kostner torna sul podio
O
ttavo titolo tricolore seniores per Carolina Kostner (Egna 14/15 dicembre 2016), a tredici anni dal primo conquistato a Lecco 2003 quando era una giovane e più che promettente sedicenne fatina del ghiaccio. Poi Merano 2005, Sesto San Giovanni 2006, Trento 2007, Pinerolo 2009, Milano 2011 e 2013, fino all'edizione di questo fine 2016. Un campionato italiano in cui Carolina ha potuto sentire, ancora più che nell'esordio vittorioso di Zagabria di una settimana precedente, il calore del pubblico e l'affetto dei suoi moltissimi fans.
Nelle foto: sopra e a destra e nella pagina a fianco Carolina Kosner in basso Luca Lanotte e Anna Cappellini
mano a terra, rispetto alla prima uscita di Zagabria, è stato triplo). Per il resto ha offerto la solita sublime interpretazione, dolce e soave sulle lame. Il punteggio complessivo di 210,97 punti tra corto e libero, la tiene una spanna sopra qualunque altra contendente al titolo: Roberta Rodeghiero, 26 anni, quinta all'ultimo Europeo, con 181.97 segue sul podio e Giada Russo, vincitrice degli ultimi due titoli, è stata terza con 175.74. Poi Micol Cristini (164.02) e Lucrezia Gennaro (152.96). A far la differenza a favore della nostra Carolina è stato come sempre il merito artistico.
Erano trascorsi tre anni dall'ultimo impegno agonistico prima che le note vicende legate all'ex compagno la tenessero lontana dalle piste e dai circuiti nazionali ed internazionali, ma Carolina al Wurth Arena ha dimostrato di essere sempre la donna forte e l'atleta competitiva che i suoi trent'anni e le tante esperienze umane e sportive l'hanno portata ad essere oggi. Lo ha fatto con un programma di tutto rispetto. Il libero, su note di Antonio Vivaldi, è un primo test in vista dei campionati d'Europa di fine gennaio, ad Ostrava. La fuoriclasse della Polizia Penitenziaria è stata leggermente imprecisa sul salti (ma il lutz, pur con 18 • Polizia Penitenziaria n.245 • dicembre 2016
L’atleta delle Fiamme Azzurre conquista il titolo italiano seniores
Un valore aggiunto di Carolina, premiato anche al Golden Spin di Zagabria 8/9 dicembre 2016, valido come ultima prova delle “Challenger Series ISU”. Come se il tempo si fosse fermato, a dispetto dei tre anni di lontananza dalle arene sportive, alla Dom Sportova la campionessa delle Fiamme Azzurre si è messa davanti nel programma corto e poi ha difeso la sua leadership nel libero davanti a campionesse di tutto rispetto, le stesse che con molta probabilità ritroverà agli Europei di Ostrava (25/27 gennaio 2016), ormai vicini. Sulle note di Vivaldi la fuoriclasse gardenese ha incantato il pubblico croato. Grazie ad un secondo segmento da 126.28 (55.40 punti di valutazione tecnica e 70.88 per i components) ha conquistato i minimi per le rassegne continentali ed iridate nonché il 27 podio consecutivo in carriera. Prima con 196,23. Alle sue spalle due russe: la Tuktamysheva, seconda con 192.03 e la Leonova, terza con 191 .39. Per il resto, tornando ai tricolori di Egna, nella danza su ghiaccio le Fiamme Azzurre hanno confermato la supremazia italiana, e non solo, dei campionissimi Anna Cappellini e Luca Lanotte, seguiti dal duo formato da Charlene Guignard e Marco Fabbri.
LO SPORT Terza medaglia di bronzo per l’Ass. Capo, ex Fiamme Azzurre, Stefano Pressello al campionato del mondo di Judo a Fort Lauderdale, Miami - Florida Nelle coppie di artistico Ondrej Hotarek, e la partner Valentina Marchei, pur ottenendo il miglior punteggio nel libero, non sono riusciti a recuperare l'ottimo punteggio accumulato nello “short program” dalla coppia Della Monica-Guarise, primi con 36/100 di distacco rispetto ai nostri (complici i components maggiormente premiati) che hanno fatto chiudere i nostri nella piazza d'onore. ZAGABRIA (8/9 dicembre) Isu Challenger Series “Golden Spin 2016” – singolo F: (1) CAROLINA KOSTNER 196.23, 2. Elizaveta Tuktamysheva RUS 192.03, 3. Alena Leonova RUS - 191.39 4. Amber Glenn USA - 183.68 5. Alexandra Avstriyskaya RUS - 161.77 6. Gracie Gold USA - 159.03 7. Karen Chen USA - 155.63 8. Kailani Craine AUS - 153.04 9. Laurine Lecavelier FRA - 151.58 10. Dasa Grm SLO - 144.97 EGNA (14/15 dicembre) Campionati Italiani elite pattinaggio su ghiaccio singolo: (1) CAROLINA KOSTNER 210.97 (1/74.27 + 1/136.70), (2) Roberta Rodeghiero 181.97, (3) Giada Russo 175.74; coppie artistico: (1) Nicole Della Monica-Matteo Guarise 193.74, (2) Valentina Marchei-ONDREJ HOTAREK 193.38 (2/66.04 + 1/127.34), (3) Rebecca GhilardiFilippo Ambrosini 140.32; danza su ghiaccio: (1) ANNA CAPPELLINI LUCA LANOTTE 195.78 (1/78.68 + 1/117.10), (2) Charlene Guignard-Marco Fabbri 182.39, (3) Jasmine Tessari-Francesco Fioretti 138.95. F
G
randi riflettori nel judo Master per l'Italia al campionato del mondo di Judo presso Fort Lauderdale Miami in Florida, svoltosi dal 18 al 21 novembre, organizzati dalla IJF (International Judo Federation). Ogni anno tale evento internazionale raduna centinaia di atleti di caratura mondiale, un appuntamento straordinario che ha registrato la partecipazione di 999 atleti di 63 nazioni in una location di tutto rispetto. l’Italia si è fatta onore presso la città di Fort Lauderdale con numerose medaglie, in particolare con l'atleta Assistente Capo Stefano Pressello in servizio presso il DAP. Dopo essere stato sconfitto al primo turno dal futuro vincitore della categoria, ha poi inanellato quattro incontri consecutivi che hanno segnato il prestigioso risultato di Stefano Pressello conquistando un bronzo che vale oro. Una finale segnata da un infortunio per il precedente incontro per L'atleta Stefano Pressello, nonostante ciò, non ha concesso sconti successivi, intraprendendo una brillante prestazione nella fase dei recuperi. Nella ripresa il judoka di Ostia Lido ha affrontato lo spagnolo Teruel, passando dal Russo Sanoev, per poi proseguire con l'Algerino Mouhoubi. Finalissima disputata nel pomeriggio, con l'ostico Russo Tiulkin che, con un clima da stadio, ha conquistato il suo terzo Bronzo al mondiale nella cittadina americana di Fort Lauderdale Beach USA (Florida) Per l'atleta lidense ex Fiamme Azzurre appartenente alla nazionale italiana master, nella categoria M4 kg 90, tesserato per l'A.s.d. Mushin club di Fiumicino è stato un anno sportivo
davvero proficuo di risultati, nonostante i numerosi infortuni che hanno in parte "segnato" i suoi già, numerosi successi della sua lunga carriera sportiva. Dopo i campionati Europei di Brazilian Jiu Jitsu nel mese di Gennaio, dove Stefano Pressello ha segnato ben due medaglie (Oro e Argento), ha poi proseguito il suo percorso agonistico con il campionato del mondo di BJJ, purtroppo l'infortunio occorso ha segnato in negativo la sua prestazione presso Las Vegas del pluricampione romano. In preparazione per questo World Judo Championships presso Miami, l’atleta ha partecipato al campionato
italiano di Judo presso Follonica e al campionato italiano di Judo a squadre presso Cisarno (BG) conquistando i gradini più alti del podio con due splenditi ori. E' doveroso ringraziare chi ha creduto e sostenuto l'atleta-Maestro Stefano Pressello per questo mondiale: Il direttore della BBC della filiale di Casalotti Primavalle in Roma, Autoricambi Matteo di Mattei Casalotti e il ristorante Da Gabriele via Boccea Casalotti-Primavalle. F
Polizia Penitenziaria n.245 • dicembre 2016 • 19
Nella foto: il podio sul quale è salito Stefano Pressello
DALLE SEGRETERIE Basilicata
l Consiglio della Regione Basilicata ha conferito a Donato Capece, Segretario Generale del Sindacato
Basilicata lo ha scelto, insieme ad altri quattro premiati, per i meriti raggiunti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario e per la diffusione e la conoscenza dell'identità lucana. “Oltre a riconoscere i lucani che si sono distinti nel mondo portando alto il nome della Basilicata, il premio ai ‘Lucani Insigni’ vuole essere un esempio per chi lavora e si impegna dentro e fuori i confini regionali”, ha detto nei giorni scorsi
pubblico e delle carceri italiane con passione, sacrificio, entusiasmo e determinazione – caratteristiche proprie della gente della Basilicata e perciò mi lusinga essere stato nominato “Lucano Insigne” . Capece, Commissario Coordinatore del Corpo di Polizia Penitenziaria, è il Segretario Generale del primo Sindacato dei Baschi Azzurri, il SAPPE, ed è anche tra i fondatori dell’Associazione Nazionale Funzionari
Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE, il Premio "Lucani Insigni", che gli è stato consegnato sabato 17 dicembre, nel corso di una cerimonia che si è tenuta nell’incantevole cornice Castello di Lagopesole, in provincia di Potenza. Capece, residente da molti anni a Cairo Montenotte, in Valbormida, è nativo di Albano di Lucania e la Regione
in una conferenza stampa il Presidente del Consiglio Regionale Francesco Mollica illustrando le ragioni del premio.“Sono onorato per questo premio”, ha commentato commosso Donato Capece, “Ho sempre nel cuore la mia Regione d’origine e per una vita mi sono dedicato ai temi della sicurezza sociale, dell’ordine
ANFU e dell’Associazione d’Arma ANPPE. Commendatore al merito della Repubblica Italiana, è Presidente della Consulta Sicurezza, l’organismo interforze dei Sindacati Autonomi di Polizia, ed è Vice Presidente del Consiglio di Giustizia dei Sindacati europei indipendenti CESI, con sede a Bruxelles. F erremme
Assegnato il premio “Lucano insigne” a Donato Capece
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Cagliari Uta Giornata nazionale contro la violenza sulle donne
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nche nella casa circondariale di Uta si è svolta l'iniziativa in ricordo delle donne vittime di violenza. Una rappresentanza di personale femminile agli ordini del vice comandante Commissario Barbara Caria ha affisso nella Caserma agenti e all'ingresso della struttura alcune poesie e frasi di noti autori e scrittori che riprendono la tematica della manifestazione... allestendo una parte con delle scarpe rosse, segno della lotta contro la violenza delle donne. Nella foto sono presenti il Vice Comandante di Reparto Barbara Caria e l'Assistente Capo Giorgia Cocco delegata del Sappe che ha curato l'organizzazione. F
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Palermo VI Premio Azzurri d’Italia al Comm. Francesco Pennisi
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ssegnato al Commissario Dott. Francesco Pennisi il prestigioso premio “Azzurri d’Italia”, giunto alla sua VI edizione. L’ambito riconoscimento gli è stato infatti conferito dall’Associazione Nazionale Atleti Olimpici e Azzurri d’Italia durante la Cerimonia svoltasi il 17 dicembre 2016 presso la suggestiva cornice della “Torre Ventimiglia”nel Comune di Montelepre(PA). Il premio è stato consegnato dal Presidente della Delegazione Regione Sicilia, Prof. Leonardo Sorbello il quale ha evidenziato gli elevati meriti del funzionario siciliano, in qualità di Dirigente del Gruppo Sportivo Fiamme Azzurre, particolarmente distintosi nel panorama sportivo Nazionale ed Internazionale. Un riconoscimento ampiamente meritato dal Commissario Pennisi, il quale ha sempre dato prova del suo
qualificato e costante impegno a supporto degli atleti delle Fiamme Azzurre che con i loro successi hanno dato grande prestigio al Corpo di Polizia Penitenziaria. Al Commissario Francesco Pennisi, Segretario Nazionale del Sappe per la Regione Sicilia, con l’auspicio di nuovi importanti traguardi, le vivissime congratulazioni della Segreteria Generale. Nelle foto, sotto a sinistra: il Comm. Pennisi con il Presidente della Delegazione Regione Sicilia Sorbello, sotto a destra con Salvatore Campanella e in alto con il Sindaco di Montelepre Maria Rita Crisci. F
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2017
Polizia Penitenziaria n.245 • dicembre 2016 • 21
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a cura di Giovanni Battista de Blasis
CINEMA DIETRO LE SBARRE
La stoffa dei sogni
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Nelle foto: la locandina e alcune scene del film
re camorristi in fuga si mescolano a una compagnia di teatranti naufragati sulle coste dell'isola dell'Asinara. La stoffa dei sogni racconta, dunque, le vicissitudini di una modesta compagnia di teatranti, con a capo Oreste Campese (Sergio Rubini), che naufraga su un’isola-penitenziario e si ritrova a dover nascondere alcuni pericolosi criminali decisi a evitare il carcere confondendosi fra gli attori. Così facendo nessuno è più in grado di distinguere gli uni dagli altri. Sarà il direttore del carcere (Ennio Fantastichini) a cercare di smascherare i criminali, lanciando una sfida al capocomico per scoprire chi nella compagnia è vero attore e chi un malvivente: dovranno mettere in scena La tempesta di William Shakespeare. A quel punto il boss dei camorristi ingiunge a Campese di riscrivere il copione con un linguaggio che lui e i suoi tirapiedi possano imparare e recitare in maniera decente, senza
rivelare la propria natura. Nel frattempo, sullo sfondo assisteremo alla nascita di una storia d'amore tra Miranda (Kraghede Bellugi), figlia adolescente del direttore del carcere, e il camorrista naufrago Ferdinando Aloisi (Maziar Fayrouz), in un rapporto fatto di sguardi e di parole sussurrate, supportate però dall’eloquente linguaggio dei loro giovani corpi. Il teatro diventerà, così, il luogo in cui ognuno potrà ritrovare se stesso e la propria umanità e qualcun altro anche l'amore. La stoffa dei sogni è liberamente ispirata a "L’Arte della commedia" di Eduardo De Filippo, del quale il regista Gianfranco Cabiddu è stato assistente, e alla sua traduzione napoletana de "La Tempesta" di William Shakespeare. Il pubblico è parte integrante della scena, quale punto di contatto fra il teatro di Shakespeare e di Eduardo, e caratterizza questo film in cui attori, pubblico e protagonisti, si fondono e
la scheda del film Regia: Gianfranco Cabiddu Altro titolo: Asinara. La stoffa dei sogni Soggetto: Eduardo De Filippo (pièce teatrale e traduzione de "La Tempesta"), Gianfranco Cabiddu Sceneggiatura: Ugo Chiti, Gianfranco Cabiddu, Salvatore De Mola, Francesco Marino (collaborazione) Fotografia: Vincenzo Carpineta Montaggio: Alessio Doglione Musica: Franco Piersanti Scenografia: Livia Borgognoni Costumi: Beatrice Giannini, Elisabetta Antico Produzione: Isabella Cocuzza e Arturo Paglia per Paco Cinematografica, in coproduzione con White Pictures, in collaborazione con RAI Cinema Distribuzione: Microcinema (2016) Personaggi e interpreti: Campese, il capocomico: Sergio Rubini De Caro, il direttore del carcere: Ennio Fantastichini Miranda, la figlia del direttore: Gaïa Bellugi (Alba Gaïa Bellugi) Don Vincenzo: Renato Carpentieri Andrea: Francesco di Leva Saverio: Ciro Petrone Maria, la moglie di Campese: Teresa Saponangelo Capitano: Luca De Filippo Pasquale: Nicola Di Pinto Tenente Franci: Jacopo Cullin Antioco: Fiorenzo Mattu Ferdinando: Maziar Fayrouz Genere: Commedia, Drammatico Durata: 103 minuti, Origine: Italia, Francia 2016 rimescolano per dare voce alle trepidazioni della vita reale. E, come in una stoffa, s'intrecciano le trame e i fili dei destini. F
22 • Polizia Penitenziaria n.245 • dicembre 2016
SICUREZZA SUL LAVORO
Decreto Legislativo n.81/2008: il Dirigente e il Preposto
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ei numeri precedenti avevamo intrapreso il tortuoso percorso delle definizioni di tutti gli “attori” della sicurezza sui luoghi di lavoro, così come enunciati dalla normativa. Nello specifico ci eravamo soffermati sulla definizione di lavoratore e di datore di lavoro. Proseguendo questo excursus relativo alle definizioni è necessario trattare le figure del Dirigente e del Preposto. All’art.18, comma 1, è disciplinato il corposo elenco di obblighi che il datore di lavoro condivide con il dirigente. E’ evidentemente per questa ragione che molti giuristi ritengano lecito identificare il dirigente come l’alter ego del datore di lavoro, espressione che ha il pregio di rendere concisamente l’idea del ruolo che costui svolge all’interno dell’azienda o dell’ente pubblico in cui presta la sua opera lavorativa. Il D.Lgs. 81/2008 (art.2, comma 1, lettera d ) definisce il dirigente come la “persona che, in ragione delle competenze professionali e di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, attua le direttive del datore di lavoro organizzando l’attività lavorativa e vigilando su di essa”. Con riferimento al preposto, che nel nostro ambito lavorativo è associabile al Comandante di Reparto o al Responsabile del Reparto, la normativa definisce questa importante figura come la”persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa (art. 2, comma 1, lettera e). Il preposto ha obblighi e
responsabilità minori del datore di lavoro e del dirigente, non dovendo occuparsi di compiti organizzativi, né di predisposizione delle misure preventive. L’art. 19 “obblighi del preposto” dispone che questi soggetti, secondo le loro attribuzioni e competenze, debbano: a) sovrintendere e vigilare sulla osservanza da parte dei singoli lavoratori dei loro obblighi di legge, nonché delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuale messi a loro disposizione e, in caso di persistenza della inosservanza, informare i loro superiori diretti; b) verificare affinché soltanto i lavoratori che hanno ricevuto adeguate istruzioni accedano alle zone che li espongono ad un rischio grave e specifico; c) richiedere l’osservanza delle misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso di emergenza e dare istruzioni affinché i lavoratori, in caso di pericolo grave, immediato e inevitabile, abbandonino il posto di lavoro o la zona pericolosa; d) informare il più presto possibile i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave e immediato circa il rischio stesso e le disposizioni prese o da prendere in materia di protezione; e) astenersi, salvo eccezioni debitamente motivate, dal richiedere ai lavoratori di riprendere la loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste un pericolo grave ed immediato; f) segnalare tempestivamente al datore di lavoro o al dirigente sia le deficienze dei mezzi e delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale, sia ogni altra condizione di pericolo che si verifichi durante il lavoro, delle quali venga a conoscenza sulla base della formazione ricevuta;
g) frequentare appositi corsi di formazione secondo quanto previsto dall’articolo 37. Le definizioni di queste due figure, quella del dirigente e del preposto, sono state date per la prima volta nel 2008 dal Testo Unico. La previgente legislazione era infatti in tal senso carente, tanto che la Cassazione penale con sentenza 15.04.2005 n. 14017, rilevando che una compiuta definizione del dirigente e del preposto non era fornita né dal D.P.R. 547/1955, né dal D.Lgs. 626/1994 che si limitavano a qualificarli quali “soggetti destinatari degli obblighi di legge”, nelle motivazioni, provvedeva ad individuare gli elementi distintivi delle due figure, al fine di delimitare il confine di attribuzioni e responsabilità penali. Nel definire queste due figure, la Suprema Corte, infatti, ha voluto rimarcare che, secondo il principio di effettività, queste strutture dei soggetti obbligati alla prevenzione e la relativa limitazione delle responsabilità connesse, devono essere correlate alle funzioni da loro concretamente svolte, piuttosto che alle loro qualità formali. Il D.Lgs. 81/2008 traspone, dunque, in legge quanto finora assunto dalla giurisprudenza, disponendo all’art. 299 “esercizio di fatto di poteri direttivi: le posizioni di garanzia relative ai soggetti di cui all’articolo 2, comma 1, lettere b), d) ed e), gravano altresì su colui il quale, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi definiti”. In sintesi, delle responsabilità che gravano in capo alle figure di datore di lavoro, dirigente e preposto, si risponde, ex lege, anche senza la presenza di un formale incarico, rilevando unicamente il dato sostanziale, cioè l’effettivo esercizio dei poteri svolto da queste predette figure. F
Polizia Penitenziaria n.245 • dicembre 2016 • 23
Luca Ripa Dirigente Sappe Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza rivista@sappe.it
CRIMINI E CRIMINALI
Pasquale Salemme Segretario Nazionale del Sappe salemme@sappe.it
Carlo Lissi: una reazione abnorme, assurda e quasi patologica
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l 14 giugno del 2014, allo stadio Arena da Amazônia di Manaus, l’Italia vince, all’esordio mondiale in Brasile, 2-1 contro l’Inghilterra. Trova tre punti preziosissimi e Cesare Prandelli, il suo allenatore, le conferme che cercava. Mario Balotelli segna e zittisce le critiche del popolo azzurro. Milioni di Italiani, nonostante la partita sia iniziata alle ore 24,00 in Italia (ore 18,00 in Brasile), hanno guardato in TV l’esordio della Nazionale.
Nella foto: Carlo Lissi
Carlo Lissi è uno dei 12,7 milioni di Italiani che hanno visto la partita. Carlo, dopo aver visto la partita con degli amici nel pub Zimé in via Borgognani a Motta Visconti, un comune della città metropolitana di Milano, fa rientro a casa poco prima delle ore 2,00. L’uomo apre la porta di casa e, una volta entrato, trova nel soggiorno il corpo esanime della moglie riverso a terra, in un bagno di sangue. La donna, a prima vista, sembra che sia stata accoltellata; corre al piano di sopra, dove ci sono i suoi due figli, anche loro sono stati uccisi. Alle 2,10 circa, l’uomo telefona al 112. Poco dopo, arrivano i Carabinieri del nucleo radiomobile di
Abbiategrasso e, a seguire, gli operatori sanitari del 118, che accertano il decesso della donna, Cristina Omes, di 38 anni, e dei figli Giulia, di 5 anni, e Gabriele, di 20 mesi. Carlo Lissi, nell’immediatezza, racconta ai militari dell’Arma che, una volta rientrato a casa dal pub, si è spogliato nel garage che accede alla cantina per non svegliare la famiglia, che ha raggiunto il piano dell'ingresso in mutande e ha visto la moglie in un lago di sangue. A questo punto, stando alla sua ricostruzione, si è avvicinato alla donna, l'ha toccata e si è reso conto che era morta. Ha aperto la porta di casa gridando aiuto, quindi è salito a cercare i figli. Ha acceso la luce delle due stanze, dove dormivano i piccoli, e li ha trovati morti, con le camere completamente messe a soqquadro. Si è rivestito e ha chiamato i soccorsi. Gli inquirenti, nonostante i diversi furti perpetrati negli appartamenti nei mesi precedenti nella zona, fanno fatica ad ipotizzare una rapina degenerata nel sangue, in quanto, anche se la casa è stata messa a soqquadro, non ci sono segni di effrazioni sulle porte e sulle finestre; inoltre, anche l’ipotesi che la stessa donna abbia ammazzato i suoi due figli sembra da escludersi, considerato che sulla scena del crimine non è stata rinvenuta alcuna arma. La donna, peraltro, conduceva una vita tranquilla, lavorava presso una compagnia di assicurazioni ed era abbastanza conosciuta nella comunità soprattutto per l’attività di volontariato che svolgeva. Il marito, nelle ore immediatamente successive alla scoperta del crimine, viene ascoltato dai Carabinieri. La ricostruzione dell’uomo, però, da subito non convince gli investigatori, tanto che il delitto in meno di 24 ore viene risolto.
24 • Polizia Penitenziaria n.245 • dicembre 2016
Il 16 giugno, Carlo Lissi, dopo un lungo interrogatorio, confessa l’omicidio plurimo e viene arrestato con l’accusa di triplice omicidio e condotto nel carcere pavese di Torre del Gallo. «È stato un delitto orribile, efferato. Qualsiasi cosa io possa dire non è abbastanza», spiegherà, nel corso di una conferenza stampa, il Procuratore di Pavia Calogero Cioppa, che coordinava le indagini, subito dopo la confessione.(1) Quella sera, secondo la ricostruzione degli investigatori, verso le 23,00, l’uomo, prima di uccidere la moglie, ebbe con lei un momento d’intimità sul divano, nel salotto, dove la coppia stava guardando insieme la televisione. I figli dormivano entrambi, Giulia nella sua cameretta e Gabriele nel letto dei genitori. L’uomo ad un certo punto si alza e va in cucina, prede un coltello, ritorna nel salotto e colpisce con dei fendenti la donna, colpendola alla gola e all’addome. La donna cerca di reagire e soprattutto di sottrarsi alla furia omicida dell’uomo; grida, ma ormai è condannata, si accascia a terra e muore. L’uomo, dopo essersi accertato della morte della donna, sale al piano di sopra della villetta e si reca dapprima nella cameretta della piccola Giulia, tagliandole la gola; dopodichè prosegue nella camera matrimoniale ammazzando, allo stesso modo, il piccolo Gabriele. Dopo la mattanza, Carlo Lissi si reca in cantina, si lava, si veste ed esce di casa per recarsi a vedere la partita. Mentre seguiva la partita, Carlo Lissi, probabilmente allo scopo di crearsi un alibi, mandò un messaggio Whatsapp al cellulare della moglie chiedendole se stava seguendo anche lei la partita (2). Durante gli interrogatori, Carlo Lissi spiegò al pubblico ministero che il suo
CRIMINI E CRIMINALI gesto era motivato dal desiderio di mettere fine al suo matrimonio, in quanto si sentiva oppresso dalla famiglia. Probabilmente il fattore scatenante della follia omicida fu anche l’ossessione dell’uomo per una infatuazione non corrisposta. Lissa si era innamorato di una sua collega di lavoro, nonostante la donna non avesse mai mostrato alcun interesse per lui: la donna ammise, nel corso di una deposizione, di essere stata oggetto di una corte serrata da parte del collega, ma sostenne anche di aver sempre respinto le sue avances. Così, nel quadro diabolico dell’uomo, la famiglia era diventata un peso, un ostacolo da eliminare per arrivare alla donna “amata”. «Con mia moglie non andava, non ero contento, avevo pensato di divorziare, ma poi quel giorno mi è
venuto questo raptus. Non avevo il coraggio di chiederglielo e ho pensato di liberarmene così».(3) Malgrado la presenza di una piena confessione, le indagini proseguirono per diverso tempo, coinvolgendo il RIS per i riscontri scientifici. Furono esaminati il cellulare e il personal computer di Carlo Lissi. I corpi dei figli furono sottoposti ad autopsia per verificare se fossero stati sedati. Agli inquirenti, che chiesero se avesse pensato al divorzio, Carlo Lissi rispose che non voleva rischiare di perdere l’affetto dei figli e giustificò il fatto di averli uccisi dichiarando: «non volevo che soffrissero senza il padre e la madre perché li amavo troppo». Nel corso del processo, i giudici del
Tribunale di Pavia contestarono a Carlo Lissi la premeditazione, basandosi su alcune dichiarazioni rese dall’imputato durante gli interrogatori, e considerato il tentativo di costruirsi un alibi. La difesa di Carlo Lissi, rappresentato dall’avvocato Corrado Limentani, contestò l’accusa e sostenne «un vizio parziale di mente» dell’imputato, sostenendo la mancanza di premeditazione e che l’uomo fu colto da un «raptus»: a sostegno di tale tesi depositò una perizia psichiatrica, redatta dal dottor Marco Garbarini. La difesa, inoltre, chiese e ottenne il rito abbreviato, puntando a una riduzione della pena. Il perito nominato dal Tribunale, lo psichiatra Giacomo Mongodi, descrisse Carlo Lissi come un narcisista, manipolatore, convinto di poter ingannare tutti sulle sue vere intenzioni, smantellando l’ipotesi della parziale infermità mentale. Secondo lo psichiatra, il Lissi aveva avuto una reazione «abnorme, assurda e quasi patologica». Più assurdo, anche per l’esperto, comprendere il gesto di Lissi di uccidere i suoi figli. «Li ho ammazzati perché non volevo che soffrissero, mi avrebbero odiato». Per questo Lissi, dopo avere colpito sua moglie, con cui aveva appena avuto un rapporto sessuale, è salito al piano di sopra, dove i figli dormivano e ha infierito su di loro. «Ho usato la punta del coltello, non si sono accorti di nulla».(4) Il gesto di un pazzo, di un uomo insano di mente? No, secondo lo psichiatra Mongodi. Il 18 gennaio del 2016, il GUP di Pavia ha condannato Carlo Lissi all’ergastolo con isolamento diurno. Per effetto del rito abbreviato la pena è stata commutata nell’ergastolo senza isolamento diurno. Sono state riconosciute, come aggravanti dell’omicidio, la premeditazione, l’efferatezza e la minorata difesa. Il giudice ha inoltre disposto il pagamento di una provvisionale di 100mila euro a favore della madre della vittima, Giuseppina Redaelli, e di
50mila euro al fratello Fulvio Omes. Prima della lettura della sentenza, Carlo Lissi ha reso una dichiarazione spontanea dicendo di essere pentito. «L’elemento scatenante pare possa essere stato il rifiuto di quella collega che gli piaceva. Poniamo che lei l’avesse rifiutato dicendogli che era un uomo sposato e con dei figli: ecco, in un soggetto incapace di reggere alla frustrazione, la famiglia potrebbe essere diventata soltanto un ostacolo da rimuovere. Secondo questa logica aberrante, quando figli e moglie non ci fossero più stati sarebbe potuto tornare da lei finalmente libero e dirle che si sarebbero messi insieme. Badi bene, neppure gli importa che l’altra non lo voglia: ma la riduzione della donna a oggetto è un altro filo conduttore. Seguendo questa
ipotesi, troverebbe una spiegazione anche il rapporto sessuale con la moglie prima dell’omicidio: faccio con te quello che non riesco a fare con l’altra».(5) Alla prossima... (1) Libero 16 giugno 2014; (2) SMS alla moglie uccisa: «Guardi l’Italia? » Da il Corriera della Sera del 21 giugno 2016; (3) La Provincia Pavese del 20 gennaio 2016; (4) Lissi, il killer senza pietà che pensava di farla franca. La Provincia Pavese del 20 gennaio 2016; (5) La Stampa Premium del 17 novembre 2014, intervista a Vittorino Andreoli. F
Polizia Penitenziaria n.245 • dicembre 2016 • 25
Nelle foto: a sinistra l’arma del delitto sopra personale del RIS dei Carabinieri sulla scena del crimine
WEB E DINTORNI
Federico Olivo Coordinatore area informatica del Sappe olivo@sappe.it
Le vere percentuali dei detenuti che hanno un lavoro finalizzato al reinserimento sociale
L
a Legge n. 354 del 1975, la riforma del sistema penitenziario italiano, prevede che: “L'organizzazione e i metodi del lavoro penitenziario devono riflettere quelli del lavoro nella società libera al fine di far acquisire ai soggetti una preparazione professionale adeguata alle normali condizioni lavorative per agevolarne il reinserimento sociale. Il lavoro penitenziario non ha carattere afflittivo ed è remunerato”. E questo non è un caso, infatti poco prima, la stessa Legge prevede: “Il trattamento del condannato e dell'internato è svolto avvalendosi principalmente dell'istruzione, del lavoro, della religione, delle attività culturali, ricreative e sportive e agevolando opportuni contatti con il mondo esterno ed i rapporti con la famiglia. Ai fini del trattamento rieducativo, salvo casi di impossibilità, al condannato e all'internato è assicurato il lavoro.” Perciò la Legge prevede che nelle carceri i detenuti svolgano un lavoro: assicurato e remunerato, elemento fondamentale del trattamento rieducativo del detenuto, al fine di fargli acquisire una preparazione professionale adeguata agli standard reali che troverà all’esterno del carcere, in modo da agevolarne il reinserimento sociale e quindi, abbassando la famosa recidiva di cui tutti parlano, ma di cui nessuno (nemmeno il Ministro della Giustizia) conosce il dato reale. Tralasciando per ora le considerazioni sulla recidiva, non c’è dubbio che il lavoro è uno dei maggiori, se non il più importante, degli elementi trattamentali, ma allora qual è la situazione del lavoro all’interno delle carceri in Italia? Gli ultimi dati disponibili li ha forniti, come sempre, la sezione statistica del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria e si riferiscono al giorno
della fine del primo semestre 2016. Le rilevazioni sono pubblicate semestralmente e quest’ultima, al pari delle precedenti, non è molto rassicurante. Al 30 giugno 2016, il DAP ha rilevato 15.272 detenuti al lavoro che equivalgono al 28,24% rispetto alle 54.072 persone ristrette quello stesso giorno. Quindi, stando ai dati ufficiali del DAP, più o meno un detenuto su tre lavora, acquisisce un’adeguata preparazione professionale utile al suo reinserimento ed è adeguatamente remunerato. E’ davvero così? No. La situazione è “leggermente” diversa. Di quelle 15.272 persone che lavorano nelle carceri, ben 12.903 svolgono lavori alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria, pari all’84,49% del totale dei lavoratori (23,86% dell’intera popolazione detenuta). I restanti 2.369 detenuti invece, lavorano “non alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria”, cioè per cooperative, ditte e società esterne. Qual è la differenza tra queste due tipologie di datori di lavoro (DAP e Società esterne)? La differenza sta nella tipologia di lavoro che effettuano i detenuti, nel periodo di tempo in cui sono impiegati e nella remunerazione che ricevono. Quelli alle dipendenze del DAP si occupano di lavori essenzialmente riconducibili alla gestione e al funzionamento ordinario del carcere: spesino, porta-vitto, pulizie etc. Sono lavori poco qualificanti che di certo non possono essere considerati tra quelli che offrono una “preparazione professionale adeguata alle normali condizioni lavorative” esterne. A meno che non vogliamo credere che spingere un carrello con i pentoloni del pranzo su e giù per i corridoi del carcere sia un lavoro “spendibile” all’esterno, che predispone la persona detenuta ad un sicuro reinserimento nella società...
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Ad aggravare questa condizione di lavoro poco professionalizzante, interviene anche il fatto che a questo lavoro non è sempre demandata la stessa persona detenuta, ma, stante la condizione di difficoltà economica in cui versa la maggior parte dei ristretti e anche il diritto di ognuno di loro di guadagnare qualche euro e svolgere un’attività che interrompa la monotonia della vita penitenziaria, è prassi comune che quasi ogni detenuto, a rotazione, è impiegato in questo tipo di attività. Questo significa che ogni detenuto riesce ad essere impiegato in questo tipo di lavori solo per un periodo limitatissimo di tempo, a volte anche solo una settimana l’anno. Per il DAP però, anche questo è lavoro e ognuno di queste persone detenute “alimenta” le statistiche del totale dei detenuti che lavorano e che, ad uno sguardo poco attento, possono sembrare persone pronte ad essere reinserite nella società dopo anni ed anni di intenso e professionalizzante lavoro svolto in carcere. Cosa dire invece degli altri 2.369 detenuti che lavorano “non alle dipendenze dell'Amministrazione Penitenziaria”? Una prima riflessione va fatta sul numero di persone coinvolte. Rispetto alle 54.072 persone detenute il 30 giugno 2016, quei 2.369 ne rappresentano solo il 4,38%. Sono persone impiegate in lavori da assemblatore di componenti, call center, falegnameria, ristorazione/pasticceria, sartoria... lavori che possono essere utili a trovare un impiego vero e sufficientemente remunerato, per ricostruirsi una vita all’esterno del carcere, ma che riguardano solo il 4,38% di tutte le persone detenute. Un po’ pochino... Un’altra riflessione va fatta sul perché solo il 4,38% dei detenuti (meno di uno ogni duecento) svolge un lavoro
WEB E DINTORNI che abbia la minima possibilità di consentirgli un reinserimento nella società. Dipende forse dai detenuti che non hanno voglia di lavorare? Dalle leggi finanziarie che tagliano i fondi per il lavoro nelle carceri? Dal mondo imprenditoriale che non è capace di sfruttare le vantaggiose opportunità fiscali offerte a chi impiega manodopera detenuta? Oppure dipende dalla mancanza di capacità manageriali di chi dirige le carceri e dalla inutilità dei tanti progetti e progettini che un ormai sparuto gruppo di funzionari e impiegati civili riescono a “spacciare” come attività lavorative trattamentali? Provate ad immaginare un’istituzione dello Stato come la Scuola che alla fine dell’anno scolastico, su 100 bambini della prima elementare, riuscisse ad insegnare a leggere e scrivere solo a cinque di loro: partirebbero delle indagini da parte della magistratura o no? E cosa dire delle decine di strutture, capannoni, officine, sparse in tutte le carceri italiane e abbandonate da decenni oppure utilizzate come magazzini della MOF o come archivi cartacei? Qualcuno del DAP o del Ministero della Giustizia, ha mai fatto una ricognizione
di quante e dove sono, comparandole con i progetti e le proposte che l’imprenditoria esterna ha presentato in questi ultimi anni? E che dire allora di quelle due o tre realtà imprenditoriali che nelle carceri offrono davvero un’opportunità di imparare una professione, un mestiere realmente “spendibile” all’esterno una volta concluso il periodo di detenzione? Sono guidate da geni della finanza o da premi Nobel dell’economia? Oppure hanno semplicemente messo in pratica capacità e competenze manageriali tali che oggi, le loro aziende e cooperative, non solo a fine mese versano stipendi e contributi come quelli delle aziende esterne, ma sono anche redditizie e vantano fatturati da milioni di euro! Se nel Veneto c’è una percentuale di detenuti “non alle dipendenze del DAP” di quasi il 400% in più rispetto alla media nazionale, significherà pur qualcosa o no? E quanto incide tutta questa inefficienza sui costi sociali di lungo termine di un elevato tasso di recidiva a cui andiamo inevitabilmente incontro se continueremo a mantenere queste percentuali di lavoro in carcere, rispetto agli investimenti economici e
professionalità manageriali che invece potremmo mettere in campo oggi? Sono domande banali, quasi elementari, alle quali però il DAP ancora non sa rispondere e che (peggio) fa rimbalzare all’esterno con le dichiarazioni di Capi e Vice Capi che continuano a chiedere un maggiore coinvolgimento imprenditoriale della società esterna. La gestione della carceri è di competenza del DAP che deve render conto al Ministero della Giustizia che deve rendere conto al Parlamento, perché le carceri incidono con costi vivi e nascosti, di breve e di lungo termine, su tutta la società italiana. Chiunque è realmente interessato a migliorare il funzionamento del sistema penitenziario in Italia, deve necessariamente valutare le reali dimensioni dei fenomeni sociali coinvolti, come questi dati reali sul lavoro nelle carceri. Fino a quando il DAP continua a pubblicare dati statistici fuorvianti sulla recidiva, sulla capienza delle carceri, sulla distribuzione del personale di Polizia Penitenziaria, sulle percentuali di detenuti impiegati in attività lavorative effettivamente utili al loro reinserimento nella società, non riusciremo a fare nessun passo avanti. F
Giugno 2016
Regione Capienza Carceri ABRUZZO 1.587 BASILICATA 474 CALABRIA 2.657 CAMPANIA 6.093 EMILIA R. 2.800 FRIULI V.G. 476 LAZIO 5.267 LIGURIA 1.109 LOMBARDIA 6.120 MARCHE 863 MOLISE 263 PIEMONTE 3.840 PUGLIA 2.359 SARDEGNA 2.633 SICILIA 5.892 TOSCANA 3.406 TRENTINO A.A. 506 UMBRIA 1.336 VALLE D’AOSTA 181 VENETO 1.839 TOTALI 49.701
Detenuti presenti 1.705 505 2.643 6.889 3.128 620 5.893 1.381 7.967 853 319 3.682 3.180 2.062 5.899 3.211 424 1.399 176 2.136 54.072
Affollamento % 107.44% 106.54% 99.47% 113.06% 111.71% 130.25% 111.89% 124.53% 130.18% 98.84% 121.29% 95.89% 134.8% 78.31% 100.12% 94.27% 83.79% 104.72% 97.24% 116.15% 108.79%
Lavoratori NON DAP (% ) 23 (1,35%) 4 (0,79%) 38 ( 1,44%) 217 (3,15%) 126 (4,03%) 13 (2,10%) 169 (2,87%) 55 (3,98%) 665 (8,35%) 23 (2,70%) 10 (3,13%) 158 (4,29%) 104 (3,27%) 79 (3,83%) 73 (1,24%) 207 (6,45%) 19 (4,48%) 24 (1,72%) 3 (1,70%) 359 (16,81%) 2.369
Lavoratori DAP (%) 517 (30,32%) 185 (36,63%) 535 (20,24%) 1.384 (20,09%) 681 (21,77%) 110 (17,74%) 1.340 (22,74%) 236 (17,09%) 2.136 (26,81%) 239 (28,02%) 84 (26,33%) 898 (24,39%) 773 (24,31%) 613 (29,73%) 1.188 (20,14%) 987 (30,74%) 89 (20,99%) 379 (27,09%) 46 (26,14%) 483 (22,61%) 12.903
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SAPPEINFORMA
Dedicato al bicentenario del Corpo il Calendario del Sappe 2017
N
ell’anno 2017, ventiseiesimo dalla riforma, si celebra il bicentenario del Corpo di Polizia Penitenziaria. Questa ricorrenza, di enorme importanza e risonanza, non ci poteva lasciare indifferenti nella realizzazione del nuovo calendario. Nel 1817 nel Regno di Sardegna furono promulgate le Regie Patenti che contenevano il “Regolamento della Famiglia di Giustizia” che fu l’atto di nascita dei Custodi delle Carceri che nel Regno d’Italia assumeranno poi la denominazione di Guardiani. Nel 1849 fu creato l’Ispettorato Generale delle Carceri che successivamente, nel 1861, si trasformò nella Direzione Generale delle Carceri dipendente dal Ministero dell’Interno. Il R.D. 6 luglio 1890, n. 7011, emanò
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I LIBRI DEL MESE
l’Ordinamento degli Agenti di Custodia degli stabilimenti carcerari e dei riformatori governativi che istituisce il Corpo degli Agenti di Custodia. L’art. 1 recitava : “Il Corpo degli Agenti di Custodia è istituito per vigilare e custodire i detenuti delle Carceri giudiziarie centrali, succursali, mandamentali; i condannati chiusi negli stabilimenti penali o lavoranti all’aperto; i minorenni nei Riformatori governativi. Al personale di custodia può essere, in via eccezionale, affidata la sorveglianza esterna degli Stabilimenti suddetti”. Col D.Lgs. 21 agosto 1945 fu attribuita agli Agenti di Custodia la qualifica di polizia giudiziaria e sancita l’appartenenza alle Forze Armate dello Stato ed a quelle in servizio di Pubblica Sicurezza. Il 15 dicembre 1990 con la legge n. 395, che riforma il Corpo degli Agenti di Custodia, nasce il Corpo di Polizia Penitenziaria, smilitarizzato, e viene istituito il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Smilitarizzazione, professionalità e sindacalizzazione hanno adeguato il Corpo del personale di custodia alle nuove prospettive del carcere in cui la sicurezza e la legalità tendono ad attuare il fine della rieducazione e del reinserimento sociale del condannato. F
di AA.VV.
di AA.VV.
800 ASSISTENTI GIUDIZIARI. MANUALE
800 ASSISTENTI GIUDIZIARI. QUIZ
MAGGIOLI Editore pagg. 1.198- euro 39,00
MAGGIOLI Editore pagg. 646- euro 27,00
N
ella Gazzetta Ufficiale Serie Concorsi n. 92 del 22 novembre 2016 è stato pubblicato il bando di concorso per 800 posti nella qualifica di Assistente Giudiziario, area funzionale seconda, fascia economica F2, nei ruoli del personale del Ministero della Giustizia – Amministrazione giudiziaria. Si tratta di un concorso molto atteso, rispetto alla quale è facile prevedere siano stato presentate molte domande di partecipazione. Il profilo di Assistente Giudiziario rientra nella categoria del personale amministrativo non dirigenziale degli uffici giudiziari che si articola in aree funzionali – la prima, la seconda e la terza – che descrivono i requisiti indispensabili per l’accesso ai diversi profili professionali. Da una recente ricognizione effettuata dal Ministero nel mese di agosto 2016 risulta che la scopertura totale dell’organico degli uffici giudiziari è di 7.470 unità, di questi 4.076 riguardano i tre profili dell’assistente giudiziario. La selezione dei candidati avverrà sulla base di due prove scritte e un colloquio. A discrezione della commissione, le prove scritte potrebbero essere precedute da una prova preselettiva. Nel caso, questa Prova preselettiva consiste in una serie di quesiti a risposta multipla su elementi di diritto pubblico ed elementi di diritto amministrativo. Saranno ammessi alle prove scritte i candidati classificatisi entro i primi 3.200. La prima Prova scritta consiste invece in quiz a risposta multipla su elementi di diritto processuale civile mentre la
seconda Prova scritta sarà basata su una serie di quiz a risposta multipla su elementi di diritto processuale penale. Le due prove si svolgeranno in successione, senza soluzione di continuità. I candidati avranno a disposizione 150 minuti in tutto. Il calendario delle prove scritte o dell’eventuale prova preselettiva (e le modalità di svolgimento delle prove) sarà pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale IV Serie Speciale del 14 febbraio 2017. Il colloquio, invece verterà sulla materie delle prove scritte e inoltre su Ordinamento Giudiziario, elementi di Servizi di Cancelleria, nozioni sul rapporto di pubblico impiego, informatica (prevista una prova pratica) e una lingua straniera tra inglese, francese, spagnolo e tedesco. La Maggioli Editore, Società leader nella pubblicazione di testi giuridici e di preparazione ai concorsi pubblici, ha editato questi due Volumi che consentono una adeguata preparazione. Nell’edizione Manuale si trova un’ampia e approfondita disamina delle materie oggetto del concorso, mentre in quella riservata ai Quiz offre una ricca rassegna di quesiti a risposta multipla per prepararsi a tutte le prove d’esame. I due Volumi sono dunque utili e preziosi per arrivare alle prove concorsuali. F
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a cura di Erremme rivista@sappe.it
a cura di Giovanni Battista de Blasis
COME SCRIVEVAMO
Carcere & espressività di Francesco Dell’Aira (Direttore della Casa di reclusione di Spoleto)
Più di venti anni di pubblicazioni hanno conferito al mensile Polizia Penitenziaria Società Giustizia & Sicurezza la dignità di qualificata fonte storica, oltre quella di autorevole voce di opinione. La consapevolezza di aver acquisito questo ruolo ci ha convinto dell’opportunità di introdurre una rubrica - Come Scrivevamo che contenga una copia anastatica di un articolo di particolare interesse storico pubblicato tanti anni addietro. A corredo dell’articolo abbiamo ritenuto di riprodurre la copertina, l’indice e la vignetta del numero originale della Rivista nel quale fu pubblicato.
L
a spinta a questo articolo è venuta dalla necessità di rendere completa l’informazione giacchè quella “ufficiale” è sempre estremamente parziale. Né appare superfluo e retorico osservare che fa “notizia” ciò che coinvolge in qualche modo il detenuto ovvero il caso di cronaca che riguarda il personale e mai gli innumerevoli episodi che vedono protagonista, in quest’ultimo, lo spirito di sacrificio, l’abnegazione, la silenziosa costanza nei quotidiani mille compiti che condividono, più che in altri, in un giusto equilibrio fra il corretto adempimento del dovere e le doti morali e di carattere di ognuno, in un continuo flusso di “comunicazioni”. Doverosa premessa per giungere alla notizia che si voleva sottolineare. Nella cornice di internazionalità del Festival dei Due Mondi, è stata finalmente presente anche l’Amministrazione Penitenziaria la cui realtà si intreccia indissolubilmente con il contesto urbano e sociale della città tanto da far apparire addirittura troppo tardiva tale partecipazione. Basti pensare da un lato al fascino e alla presenza della “Rocca” Albornoziana, vecchia sede della Casa di Reclusione, che dall’alto del colle di S. Elia domina la città e la valle spoletana e ricordare, dall’altro, che le quasi quattrocento famiglie dei dipendenti costituiscono una vera e propria comunità all’interno della città. Invero occorre ricordare anche la precedente partecipazione alle manifestazioni culturali spoletine. Si trattò allora del concerto vocalestrumentale della Banda del Corpo della Polizia Penitenziaria, svoltosi l’8 luglio 1992 nello splendido scenario
dell’anfiteatro romano, sempre nel contesto della manifestazione del Festival dei Due Mondi. Anche in quell’occasione grande fu il successo del pubblico ed altrettanto grande la soddisfazione degli organizzatori.
La presenza più recente di cui si parla si è concretizzata in una mostra d’arte e di materiale storico, all’interno degli ampi locali del “Circolo Ricreativo dei Dipendenti Difesa”, in un clima di reciproca collaborazione fra la Direzione della Casa di Reclusione e la Direzione dello Stabilimento Militare del Munizionamento Terrestre di Baiano, altra importante realtà insediata nel territorio comunale.
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Inaugurata alle ore 17.00 del 21 giugno alla presenza di Autorità civili e militari, è rimasta aperta al pubblico dal 24 giugno al 16 luglio. Lo sforzo congiunto, contraddistinto in ogni momento dal piacere sottile di
lavorare insieme in perfetta sintonia, con il solo scopo di avere soddisfazione del risultato, mi appare coronato da meritato successo. La manifestazione si è articolata in due settori, schematicamente individuati in una “collettiva d’arte” ed in una mostra di materiale storico. La collettiva comprendeva opere realizzate dai dipendenti del Ministero della Difesa e dai detenuti della Casa di Reclusione. Sono state esposte opere realizzate con le più differenti tecniche.
COME SCRIVEVAMO Nelle foto: la copertina del numero di settembre 1995 a sinistra i visitatori della mostra in basso il momento dell’inaugurazione
Erano presenti pitture ad olio, intarsi, lavori in rame sbalzato, lavori artigianali realizzati con i materiali più diversi, tutti di grande fascino ed apprezzabile qualità. Unanime il consenso e l’apprezzamento dei visitatori. Il settore storico ha suscitato vivo interesse fra i visitatori e gli stessi organizzatori. Il clou sicuramente le divise d’epoca del Corpo di Polizia Penitenziaria, costituenti parte della collezione storica del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. La mirabile collocazione su manichini ha costituito grande fascino per l’attento visitatore e si può affermare che di attenzione ne hanno attirata molta. Ogni uniforme è un pezzo di storia e le didascalie a corredo hanno stimolato
la curiosità di ognuno dispiegando a più ampi orizzonti le conoscenze ed i convincimenti di ciascuno
speranze, grandi aspirazioni, grandi progetti che vedono l’uomo protagonista. F
sull’argomento. Altrettanta attenzione per altri oggetti recuperati dalla Rocca e amorevolmente conservati e restaurati, così un crocifisso ligneo di fine ‘700, un forziere, oggetti sacri, oggetti di arredamento e numerosi vecchi testi giuridici. Tutto ciò per uscire dal guscio, per far conoscere alla “gente” quanto sia veramente sfaccettato l’universo penitenziario, quante diverse professionalità vi operano, con quanto paziente, silenzioso, costante impegno, per far sapere agli altri che il carcere non è solo sofferenza, affievolimento dei diritti e delle libertà, ma può anche essere luogo dove nascono e crescono grandi Polizia Penitenziaria n.245 • dicembre 2016 • 31
nell’altra pagina il programma della mostra di Spoleto
sopra la vignetta a fianco il sommario
a cura di Erremme rivista@sappe.it
LE RECENSIONI Barbara Bellomo
LA LADRA DEI RICORDI SALANI Edizioni pagg. 321 - euro 15,90
C
osa accomuna l’omicidio, ai giorni nostri, di una dolce, vecchia signora dalla vita irreprensibile e i grandi protagonisti dell’età repubblicana – Cesare, Lepido, Cicerone, Marco Antonio, la crudele moglie Fulvia e la piccola Clodia? È quello che dovrà scoprire un terzetto stranamente assortito, chiamato in causa per l’occasione. Isabella De Clio, giovane archeologa siciliana specializzata in arte antica, è bella, volitiva, preparatissima, ma ha un motivo particolare per temere la polizia. E il fatto che l’affascinante Mauro Caccia, l’uomo che la affianca nelle indagini, sia un commissario non l’aiuta più di tanto. Con loro c’è anche Giacomo Nardi, depresso professore di museologia e beni culturali... È l’inizio di una storia che intreccia la Roma del I secolo a.C. e l’Italia contemporanea, gli antichi intrighi politici e i mediocri baroni universitari dei nostri tempi, la violenza che si nasconde tra le mura di casa e la precarietà in cui i ragazzi di oggi, anche i migliori, sono costretti a crescere e a diventare adulti. Un romanzo fresco e ricco d’atmosfera, che si muove con agilità
tra passato e presente, per un esordio che non passa inosservato. Barbara Bellomo, brillante scrittrice catanese, conferma con quest’ultima sua fatica letteraria di essere apprezzata autrice nel panorama letterario nazionale. Al suo terzo romanzo, ha un dottorato di ricerca in storia antica e ha svolto attività di ricerca come assegnista presso la cattedra di Storia romana dell’Università di Catania. Attualmente è docente di ruolo di lettere al Nautico di Catania. All’attivo ha diverse pubblicazioni di storia romana, tra cui recensioni, articoli e una monografia dal titolo Le immunità ecclesiastiche. Dinamiche sociali, religiose ed economiche da Costantino a Teodosio II, (Il Cigno, Roma 2006).
Maurizio Esposito
IL DOPPIO FARDELLO. Narrazioni di solitudine e malattia CEDAM Edizioni pagg. 168 - euro 16,00
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ecenti studi di settore hanno accertato che il 60-80% dei detenuti ospitati presso le carceri italiane presenta almeno una malattia, con prevalenza di malattie infettive (48%), tossicodipendenze (32%) e disturbi psichiatrici (27%%). Le infezioni a maggior valenza in termini di salute pubblica sono rappresentate dal bacillo della tubercolosi (22% dei detenuti), dall’Hiv (4%) e da epatite B (5% con infezione attiva). Le altre patologie ad ampia diffusione sono le malattie osteoarticolari (17%), le malattie cardiovascolari (16%), i problemi metabolici (11%) e le malattie dermatologiche (10%). Alla base di queste cifre ci sono i numerosi fattori, particolarmente radicati nell’ambiente carcerario italiano, che favoriscono il rischio sanitario e che ostacolano l’applicazione di programmi di controllo incentrati su
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prevenzione, diagnosi e cura. A ciò si aggiungono i frequenti spostamenti dei carcerati sia all’interno dello stesso istituto che tra strutture differenti. Emerge così una vastissima diffusione di epidemie infettive, sia intramurarie che extramurarie. Alla luce di questi dati oggettivi, assume estrema importanza la lettura del libro di Esposito, che affronta con approccio sociologico il delicato problema della salute in carcere. E lo affronta compiutamente, rappresentando di fatto un atto di accusa esplicito verso il sistema penitenziario attuale. Interessante e consigliato.
Giuseppe Napolitano Fabio Piccioni
DEPENALIZZAZIONE E DECRIMINALIZZAZIONE MAGGIOLI Edizioni pagg. 346 - euro 39,00
C
ome ha esemplarmente spiegato in una nota la Corte di Cassazione – Ufficio del Massimario, Settore Penale - con i decreti legislativi nn. 7 e 8 del 15 gennaio 2016 viene data esecuzione all’art. 2 della legge 28 aprile 2014, n. 67, che ha conferito delega al Governo per la “Riforma della disciplina sanzionatoria” di reati; nel comma 2 e nel comma 3, lettera b), dell’art. 2 della legge delega sono contenuti i criteri e i principi direttivi per la trasformazione di reati in illeciti amministrativi, mentre le restanti disposizioni del comma 3 contengono criteri e principi direttivi per l’abrogazione di alcuni reati, con contestuale previsione, per i fatti corrispondenti, di sanzioni pecuniarie civili aggiuntive rispetto al risarcimento del danno. Con questi interventi il legislatore intende dare concretezza ad una scelta politica volta a deflazionare il sistema penale, sostanziale e processuale, in ossequio ai principi di frammentarietà, offensività e sussidiarietà della sanzione criminale: l’idea condivisa e che una penalizzazione generalizzata,
LE RECENSIONI seppure formalmente rispondente a intenti di maggiore repressività, si risolve di fatto in un abbassamento della tutela degli interessi coinvolti, nella misura in cui la macchina repressiva penale non e (e non può essere) calibrata per sanzionare un numero elevato di fatti, specie quando questi siano minori per grado di offensività. La nuova architettura penale disegnata dai citati provvedimenti è esaminata in ogni dettaglio nell’analisi ragionata degli Autori, che affrontano il nuovo sistema sanzionatorio e tutti i reati trasformati in illeciti con sanzione pecuniaria e forniscono con questo libro un utile strumento di formazione e aggiornamento professionale.
Alessandra Bassi
LA CAUTELA NEL SISTEMA PENALE. Misure e mezzi di impugnazione CEDAM Edizioni pagg. 527 - euro 50,00
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ulla più della presente opera affronta compiutamente l’argomento, offrendo un quadro completo e aggiornato sull’attuale stato della disciplina processuale in tema di misure cautelari personali e reali. Le novelle legislative introdotte negli anni dal 2013 al 2015 a seguito di diverse emergenze (l’esacerbarsi delle episodi di violenza contro le donne come il sovraffollamento carcerario, la condanna della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, i numerosi interventi delle Corti superiori, della Consulta e della Cassazione in particolare sulla pericolosità sociale) sono state numerose ed hanno riguardato diversi aspetti – sostanziali e procedurali – del procedimento cautelare. Non a caso l’Autrice, nell’introduzione, evidenzia l’auspicio che “all’esito del profondo ripensamento che ha subìto in questi ultimi anni la materia, segua finalmente un periodo di stabilità normativa, arrestando il periodico oscillare fra
inasprimento e allentamento della risposta giudiziaria sulla spinta ora dell’emergenza data da talune gravi forme di criminalità, ora di giuste istanze di equità o di clemenza, ora di fronteggiare la drammatica situazione di sovraffollamento degli istituti penitenziari”. Merito dell’Autrice è non solo quello di avere dissezionato al meglio, nelle oltre 500 pagine dell’opera, ogni fattispecie che riguarda la materia ma di averlo saputo fare con chiarezza e competenza, attraverso un linguaggio agevole e comprensibile, sì da rendere il libro nel suo complesso non solo ‘pietra miliare’ nell’affrontare il tema della cautela nel sistema penale italiano ma un’eccellente conoscenza dell’argomento.
Gli Stati Generali dell’Esecuzione Penale visti dall’Osservatorio carcere dell’UCP PACINI GIURIDICA Ed. pagg. 111 - euro 12,00
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uesto è il primo libro dedicato all’evento degli Stati Generali dell’esecuzione penale, evento organizzato dal Ministero della Giustizia che ha comportato un lungo percorso di riflessione e approfondimento durato circa un anno durante il quale 18 tavoli di lavoro, composti da personalità esperte del sistema penitenziario e di diverse discipline, hanno dibattuto e prodotto riflessioni e proposte circa l’esecuzione della pena. Le finalità di uno sforzo così prolungato sono molteplici. Dopo il superamento della censura della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo era chiara e piena la consapevolezza di essere usciti da una delle emergenze, ma tuttavia restava e resta il tema di fondo, cioè come ridefinire una dimensione della pena che nel quadro dei diritti e delle garanzie punti al reinserimento del detenuto. L'Italia è uno dei Paesi che
ha il più alto tasso di recidiva al mondo, che sino a due anni fa aveva dedicato scarsa attenzione alle misure alternative al carcere, che aveva largamente fatto ricorso alla custodia cautelare. Quest’opera, curata dall’Osservatorio Carcere dell’Unione delle Camere Penali Italiane, ha il pregio di non disperdere il lavoro fin qui fatto e, anzi, di mantenere vive le conclusioni dei lavori ai quali le decine e decine di personalità esperte del sistema penitenziario e di diverse discipline si sono dedicate per molti mesi.
Salvatore Aleo
DAL CARCERE PACINI GIURIDICA pagg. 319 euro 28,00
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l libro raccoglie le riflessioni di un professionista, un docente penalista, che per cinque mesi ha frequentato le carceri catanesi di Bicocca e Piazza Lanza. Un libro che fa riflettere, scritto con sincero coinvolgimento dall’Autore, che spazia a 360° sull’universo carcere e disseziona le professionalità che vi operano e le umanità che si incontrano. Aleo ha il merito di essersi approcciato alla delicata materia in punta di piedi, senza quella pretesa di dare lezioni a chi il carcere lo vive tutti i giorni, piglio fastidioso che purtroppo caratterizza molti scritti del e sul carcere. Ripensare il carcere e la pena si può, probabilmente. Aleo ci spiega, bene, anche come. F
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di Mario Caputi e Giovanni Battista de Blasis © 1992-2016 caputi@sappe.it
L’ULTIMA PAGINA Il mondo dell’appuntato Caputo
CHI NON LA FA IN COMPAGNIA O E’ UN LADRO O E’ UNA SPIA...
34 • Polizia Penitenziaria n.245 • dicembre 2016
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