PoliziaPenitenziaria Società Giustizia e Sicurezza
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anno XXIV • n.246 • gennaio 2017
A chi danno fastidio i servizi di polizia stradale del Corpo?
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www.poliziapenitenziaria.it
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04 Polizia Penitenziaria
In copertina:
Società Giustizia e Sicurezza
Agenti del Corpo di Polizia Penitenziaria in servizio di polizia stradale
04 EDITORIALE A chi danno fastidio i servizi di polizia stradale di Donato Capece
05 IL PULPITO Polizia Penitenziaria sgradita a un italiano su due di Giovanni Battista de Blasis
06 IL COMMENTO Stefano Cucchi: la disinformazione continua di Roberto Martinelli
08 L’OSSERVATORIO POLITICO La tutela del Dirigente sindacale nella Polizia Penitenziaria di Giovanni Battista Durante
11 MINORI
anno XXIV • n.246 • gennaio 2017 23 CINEMA DIETRO LE SBARRE
12 CRIMINOLOGIA Il profilo criminale del minore omicida di Roberto Thomas
15 L’AGENTE SARA RISPONDE... Esonero dal servizio notturno
16 DIRITTO & DIRITTI La sospensione delle normali regole di trattamento penitenziario (art. 41-bis) di Giovanni Passaro
Una bella giornata di sport giovanile. Oro per Cecilia Maffei nei 3000 F short track di Lady Oscar
Palermo, Ferrara, Airola, Paola Teramo, Campania
PoliziaPenitenziaria Società Giustizia e Sicurezza
Organo Ufficiale Nazionale del S.A.P.Pe. Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Direttore responsabile: Donato Capece capece@sappe.it Direttore editoriale: Giovanni Battista de Blasis deblasis@sappe.it Capo redattore: Roberto Martinelli martinelli@sappe.it Redazione cronaca: Umberto Vitale, Pasquale Salemme Redazione politica: Giovanni Battista Durante Comitato Scientifico: Prof. Vincenzo Mastronardi (Responsabile), Cons. Prof. Roberto Thomas, On. Avv. Antonio Di Pietro Donato Capece, Giovanni Battista de Blasis, Giovanni Battista Durante, Roberto Martinelli, Giovanni Passaro, Pasquale Salemme
24 CRIMINI & CRIMINALI Maurizio Giugliano il killer dell’Agro Romano di Pasquale Salemme
27 SICUREZZA SUL LAVORO Obblighi e responsabilità del Datore di Lavoro di Luca Ripa
28 WEB E DINTORNI
18 LO SPORT
20 DALLE SEGRETERIE
Il Ministro Andrea Orlando in visita a Nisida di Ciro Borrelli
Riot - In rivolta a cura di G. B. de Blasis
Direzione e Redazione centrale Via Trionfale, 79/A - 00136 Roma tel. 06.3975901 • fax 06.39733669 e-mail: rivista@sappe.it web: www.poliziapenitenziaria.it Progetto grafico e impaginazione:
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Terrorismo islamico: siamo pronti ? di Federico Olivo
30 COME SCRIVEVAMO Carceri S.p.A. Polizia Penitenziaria azionista di riferimento? di F.P.
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Edizioni SG&S
Il S.A.P.Pe. è il sindacato più rappresentativo del Corpo di Polizia Penitenziaria
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L’EDITORIALE
Donato Capece Direttore Responsabile Segretario Generale del Sappe capece@sappe.it
A chi danno fastidio i servizi di polizia stradale della Polizia Penitenziaria?
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l drammatico incidente del pullman ungherese sulla A4 a Verona del 20 gennaio scorso con 16 giovanissime vittime costituisce un eccezione in quanto a numero di morti e gravità. Ma gli incidenti cosiddetti plurimortali non sono invece altrettanto rari. Nel 2016 l’Osservatorio ASAPS (acronimo di Associazione Sostenitori ed Amici della Polizia Stradale) - Il Centauro ne ha registrati 125 nei quali hanno perso la vita 278 persone e 137 sono rimaste ferite negli stessi schianti.
Nella foto: Agenti della Polizia Penitenziaria in servizio di polizia stradale
E l’Osservatorio prende in considerazione solo i sinistri con 2 o più morti nell’immediatezza dell’evento e non i plurimortali diventati tali per decessi avvenuti nei giorni successivi a quello del ricovero dopo il sinistro. In particolare gli incidenti con due vittime mortali sono stati 104, quelli con tre morti sono stati 17, sono stati invece 3 quelli con quattro vittime, uno solo l’incidente con più di 4 morti. 86 plurimortali con 189 morti si sono verificati lungo strade statali e provinciali, 20 plurimortali con 48 morti sulle autostrade o raccordi, 19 incidenti con più vittime e 41 morti in totale, si sono verificati in strade urbane.
E’ quindi evidente che la sicurezza stradale è un impegno prioritario per tutti coloro che quotidianamente svolgono compiti e funzioni di polizia stradale, servizio cui sono chiamati anche gli appartenenti alla Polizia Penitenziaria. Ciò detto, risulta davvero incomprensibile constatare come vi sia, da taluni settori del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, una serie continua di atti e provvedimenti che tendono a smantellare l’identità di Forza dell’Ordine al Corpo di Polizia Penitenziaria. L’ultimo incredibile esempio è l’inaccettabile sospensione delle attività di accertamento delle infrazioni al Codice della Strada da parte del personale di Polizia Penitenziaria, quotidianamente impegnato sulle strade ed autostrade del Paese prevalentemente nei servizi di traduzione e piantonamento dei detenuti. Alla fine dello scorso mese di dicembre, infatti, il DAP ha comunicato la sospensione del servizio di polizia stradale a causa del mancato rinnovo del contratto con la ditta fornitrice del programma informatico che gestisce il predetto servizio. Tutto questo ci appare troppo inverosimile, anche perché il contratto con la ditta che presta la propria opera anche con la Polizia di Stato risulta già scaduto dallo scorso 31 dicembre 2015, ovvero da un anno, periodo che avrebbe consentito a chiunque di sistemare tale attività senza interrompere un servizio che, tra l’altro come risulta, ha fatto incassare allo Stato Italiano più di 600.000,00 (seicentomila) euro per le violazioni accertate dalla Polizia Penitenziaria. Violazioni che, di fatto, hanno consentito al Corpo di partecipare ad
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elevare la sicurezza stradale, nonché a garantire la sicurezza dei siti sensibili dell’Amministrazione presidiati dal personale del Corpo. Premesso quanto sopra, certi che questa procedura di sospensione rasenta a dir poco profili omissivi, poiché si tratta pur sempre di una limitazione dell’attività di polizia amministrativa che è demandata comunque anche alla Polizia Penitenziaria, seppur in via sussidiaria, auspichiamo che i vertici del Ministero della Giustizia intevengano nell’immediatezza per assicurare il rinnovo del contratto scaduto già nel 2015 con la MData System per assicurare così il ripristino dell’attività sospesa in tempi brevissimi, al fine di evitare ogni ulteriore nocumento e/o mancato introito per le casse dello Stato italiano, con conseguenti responsabilità contabili. La gestione di un Corpo di polizia merita certamente una maggiore attenzione e programmazione delle necessità per adempiere ai propri compiti: questo si aspettano i cittadini e questo deve essere fatto, a garanzia anche della sicurezza stradale, cui il Corpo, fin dall’avvio del servizio, partecipa attivamente sanzionando, in particolare, quasi sempre comportamenti di guida pericolosi per gli utenti della strada. In virtù del decreto interministeriale sottoscritto anche dall’On.le Ministro della Giustizia lo scorso 20 dicembre 2016, relativo all’aggiornamento delle sanzioni amministrative per le infrazioni al Codice della Strada il SAPPE si è immediatamente attivato con il Ministro Guardasigilli, auspicando un suo tempestivo ed autorevole intervento per riattivare l’attività sanzionatoria ed evitare un danno economico e di immagine per l’intero Corpo. F
IL PULPITO non ce ne Rapporto Eurispes: la Polizia Seandiamo al più presto dal Dap, Penitenziaria sgradita a un finiremo per stare antipatici a tutti italiano su due
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roprio in questi giorni, l’Istituto di Studi Politici, Economici e Sociali Eurispes, ha preannunciato la prossima pubblicazione del 29° Rapporto Italia, sulla situazione generale del nostro Paese. Sulla stampa sono trapelate le prime anticipazioni sui contenuti e quello che più ci ha interessato è stato, ovviamente, il sondaggio sul gradimento delle istituzioni da parte dei cittadini e, più in particolare, quello sulle forze di polizia. Secondo l’Eurispes tra le forze dell’ordine è la Polizia di Stato che, con il 61% circa, conquista il maggior gradimento degli italiani. La Finanza si colloca al 60% e i Carabinieri al 58,6%. Tuttavia il tasso di fiducia dei cittadini è in calo nei confronti di tutte le forze dell’ordine. E se le Fiamme Gialle perdono “solo” il 7% dei consensi, il dossier registra che l’anno scorso la Polizia di Stato era al 73% e l’Arma dei Carabinieri al 74%. In discesa anche i consensi per la Penitenziaria, che passa dal 57,1% al 50,9%. D’altra parte, un calo di gradimento generale ha caratterizzato il rapporto degli italiani anche con le altre istituzioni. In flessione l’apprezzamento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che a inizio mandato era al 52% e ora è al 44,1%. Il 74,2% ritiene che non valga la pena accordare la fiducia al Parlamento, mentre il consenso per la Magistratura scende dal 35,3% al 31,3%. Stabili invece i Partiti (11,9%) e la Pubblica Amministrazione (23%). Tra le altre istituzioni la più gettonata è la Protezione Civile (78,2%, con un +13,6%). In calo invece la Chiesa Cattolica (dal 52,5% al 50,2%). Tuttavia, nel contesto di generalizzato calo dei consensi nei confronti delle forze dell'ordine, va notato che la Polizia di Stato ha scavalcato i
Carabinieri in testa al gradimento degli italiani. Dunque, per quello che ci riguarda, l’apprezzamento per la Polizia Penitenziaria è calato dal 57,1% del 2016 al 50,9% di quest’anno. Insomma, per dirla a parole nude e crude, i poliziotti penitenziari sono sgraditi a un italiano su due! Nell’andare ad approfondire la questione, mi ha colpito in maniera particolare l’introduzione del Presidente di Eurispes, Gian Maria Fara, al Rapporto Italia dell’anno scorso. «L’invidia è il vizio che blocca l’Italia. Una vera e propria sindrome che l’Eurispes definisce ‘Sindrome del Palio’ che non ci permette di trasformare la nostra potenza in energia. L’Italia è infatti rallentata da una diffusa e radicata sindrome del Palio di Siena la cui regola principale è quella di impedire all’avversario di vincere, prima ancora di impegnarsi a vincere in prima persona. Sempre senese era l’anima nel XIII Canto che dice a Dante: ‘Fui molto più lieta della sfortuna altrui che della mia fortuna’. L’invidia e la gelosia, se volte in positivo, diventano il propellente indispensabile alla crescita e allo sviluppo. Stimolano la concorrenza nel mercato privato; spingono a comportamenti più virtuosi, apprezzabili e spendibili sul piano del ruolo e dell’immagine, nel pubblico. Di fatto, nel nostro Paese ciò non accade.» Le parole di Fara sono, a mio personale avviso, davvero illuminanti. Credo che niente di più calzante può essere accostato alla situazione amministrativa e gestionale del Corpo. La Polizia Penitenziaria, infatti, non ha alcuna autonomia gestionale e dipende, organizzativamente, funzionalmente e gerarchicamente, dalla dirigenza penitenziaria e dai magistrati. In pratica, è come se fossimo un
organismo avulso all’interno dell’amministrazione penitenziaria (un’enclave) laddove tutte le altre professionalità (soprattutto la dirigenza penitenziaria) ci vedono come un competitor da invidiare... un antagonista da ostacolare e combattere. Per di più, si attaglia perfettamente alla situazione, la disamina finale del presidente Fara: «Invidia e gelosia si traducono in rancore e denigrazione. Odiamo e denigriamo il nostro vicino più bravo e, invece di impegnarci per raggiungere risultati migliori e superarlo in creatività, efficienza e capacità, spendiamo le nostre migliori energie per combatterlo, per mortificarne i successi, per ostacolarne o addirittura bloccarne il cammino. Insomma un vero e proprio ‘spreco di potenza’, una filosofia del ‘contro’ invece che del ‘per’ .» Ed è proprio questo il più grande, e più grave, problema della Polizia Penitenziaria: essere diretta e amministrata con la filosofia del ‘contro’ invece che con quella del ‘per’. Nessuno si deve meravigliare, allora, del pessimo indice di gradimento che il Corpo riscontra tra i cittadini, perché va detto a gran voce che c’è chi, all’interno della nostra stessa amministrazione, lavora tutto l’anno ‘per denigrare il vicino più bravo’. Peraltro, sempre secondo il presidente Eurispes «Altri due ganci continuano a frenare l’Italia e ad impedirle di valorizzare al meglio le proprie enormi risorse. Il primo, la burocrazia e l’iperproduzione di norme, leggi e disposizioni. Un freno che trattiene la crescita e mortifica spesso la volontà e l’ingegno degli spiriti migliori. La paranoia regolativa ha ormai raggiunto livelli insopportabili e mentre da una parte si costituiscono e si insediano
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Giovanni Battista de Blasis Direttore Editoriale Segretario Generale Aggiunto del Sappe deblasis@sappe.it
Nella foto: il Presidente dell’Euirispes Gian Maria Fara e il logo dell’Istituto di Studi Politici Economici e Sociali
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IL PULPITO commissioni per la semplificazione o per la riduzione o l’eliminazione di leggi ritenute superate od obsolete, dall’altra si continua, come in una gara, a produrne di nuove che si intrecciano, si accavallano, si contraddicono con quelle già esistenti. In questo senso, l’Italia è un paese prigioniero. Prigioniero delle Istituzioni, della burocrazia e delle carte. Un sistema siffatto scoraggia la libera iniziativa, mortifica le imprese, annichilisce i cittadini ed è incapace di mantenere i ritmi e i tempi che la modernità richiede e impone. Weber definiva la burocrazia “spirito coagulato”, si tratta quindi di “sciogliere” questo coagulo per evitare forme di arroccamento e di isolamento che producono separatezza e distanza da coloro che dovrebbero essere i primi e diretti beneficiari del lavoro svolto dalla burocrazia e cioè i cittadini.» Anche questa analisi pare scritta proprio per noi. Provate a sostituire la parola ‘Italia’ con ‘Polizia Penitenziaria’ e capirete quanto è confacente a noi la situazione descritta da Fara. Mi sembra davvero paradigmatico parafrasarne alcuni passaggi: “...due ganci continuano a frenare ‘la Polizia Penitenziaria’ e ad impedirle di valorizzare al meglio le proprie enormi risorse ...Il primo, la burocrazia e l’iperproduzione di norme, leggi e disposizioni” e, ancora: “La paranoia regolativa ha ormai raggiunto livelli insopportabili” e, infine: “ ...la ‘Polizia Penitenziaria’ è prigioniera. Prigioniera delle Istituzioni, della burocrazia e delle carte.” E che sia ben chiaro che tutto questo l’ha detto il presidente dell’Eurispes Gian Maria Fara e non (soltanto) io... Io posso aggiungere soltanto un’altra cosa: alla Polizia Penitenziaria, secondo me, per riguadagnare la fiducia della gente non rimane altro che fare armi e bagagli e trasferirsi al Ministero dell’Interno, lontano da tutti questi invidiosi e, per noi, inutili burocrati. Anche perché, se non ce ne andiamo al più presto dal Dap, finiremo per stare sulle palle a tutti i cittadini italiani... #byebyedap F
IL COMMENTO
La morte di Stefano Cucchi:ladisinformazione continua
L
a morte di Stefano Cucchi, geometra romano di 32 anni, è uno dei casi giudiziari più controversi che ancora reclama giustizia. Ed è un caso che “ha triturato” l’immagine del Corpo di Polizia Penitenziaria e di tre suoi appartenenti, in servizio alle celle della cittadella giudiziaria di piazzale Clodio a Roma, che si sono trovati coinvolti, loro malgrado, nella triste vicenda con l’accusa di essere i responsabili delle lesioni al giovane poi deceduto nel Reparto detentivo dell’Ospedale capitolino Pertini. Per tutti – allora, e per i mesi e gli anni successivi - i colpevoli erano loro, i tre poliziotti penitenziari, poi invece assolti in tutti i tre gradi di giudizio dalle accuse. Oggi emergerebbe un’altra verità, ma ricordiamo prima le tappe della vicenda. Il 15 ottobre 2009, Stefano Cucchi viene fermato dai carabinieri con l'accusa di detenzione di stupefacenti: il successivo 16 ottobre 2009, a piazzale Clodio, si svolge l'udienza di convalida dell'arresto. Il 22 ottobre 2009 Cucchi muore all'ospedale Sandro Pertini. La Procura di Roma apre un'inchiesta. Il 5 giugno 2013 è il giorno della fine del processo in Assise che assolve tre agenti della Polizia Penitenziaria e tre infermieri del Pertini. Condannati invece a pene comprese fra gli 8 mesi e i 2 anni di reclusione sei medici in servizi alla struttura protetta dell'ospedale. Il 31 ottobre 2014 si registra invece l’assoluzione per tutti gli imputati nel giudizio di appello. Il 12 gennaio 2015, la Corte d'Assise d'Appello deposita i motivi della sentenza, disponendo la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero per nuovi accertamenti sull'operato di alcuni Carabinieri e sul pestaggio subito da Cucchi e l’11 dicembre 2015 l’incidente probatorio davanti al Gip
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che ordina una perizia sul pestaggio subito da Cucchi. Il 15 dicembre 2015 la Cassazione conferma le assoluzione di agenti, infermieri e del primo medico che visitò Cucchi al Pertini. Nuovo processo, invece, per gli altri medici la cui assoluzione viene ribadita il 18 luglio 2016 dalla corte d'Assise d'Appello perché il fatto non sussiste. Quasi tre mesi dopo, il 4 ottobre 2016, il 'pool' di periti nominati dal giudice conclude gli accertamenti escludendo un nesso tra il violento pestaggio e il decesso di Cucchi. Per gli esperti, il geometra è morto improvvisamente di epilessia, ritenuta causa "dotata di maggiore forza e attendibilità". Arriviamo, infine, al 17 gennaio 2017, giorno in cui la Procura di Roma chiude l'inchiesta bis contestando il reato di omicidio preterintenzionale a tre carabinieri e negando che la causa della morte sia l'epilessia. Falso e calunnia sono gli altri reati ipotizzati a carico di altri due militari. Omicidio preterintenzionale, dunque. Per questa accusa la Procura di Roma ha chiuso l'inchiesta e depositato gli atti nei confronti di 3 carabinieri in relazione alla morte di Stefano Cucchi, avvenuta ad una settimana dall'arresto, nel reparto protetto dell'ospedale Sandro Pertini, il 22 ottobre 2009. I militari sono ritenuti responsabili del pestaggio che originò i problemi di salute che condussero al decesso. Il Pubblico Ministero ipotizza anche il reato di calunnia ai danni di agenti della Polizia Penitenziaria. Gli inquirenti hanno ritenuto infondata l'ipotesi della epilessia, così come era emersa nel corso dell'ultima perizia. Nel complesso, dunque, sono cinque i carabinieri sotto accusa. Sono garantista e, come avevo detto e sostenuto in altri tempi, non mi piacciono i processi che si svolgono nelle sedi che non sono quelle
IL COMMENTO deputate, appunto le aule di giustizia. Non mi piacciono i processi in piazza e sui social network, non mi piacciono le accuse di colpevolezza a prescindere, non mi piacciono le generalizzazioni. Confido nel lavoro di una Magistratura indipendente e impermeabile a questi pregiudizi, e nei tre gradi di giudizio. Com’è noto, nel diritto e nella procedura penale, la presunzione di non colpevolezza è il principio secondo cui un imputato è innocente fino a prova contraria. In particolare, l’articolo 27, comma 2, della Costituzione afferma che «l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva». Tale principio risponde a due esigenze fondamentali: affermare la presunzione di innocenza e prevedere la custodia cautelare prima dell’irrevocabilità della sentenza. L’imputato, infatti, non è assimilato al colpevole fino al momento della condanna definitiva. Questo è quello che dice la nostra Costituzione, questo è quello in cui credo. Ma questo è anche quel che in pochi hanno ricordato quando a finire sotto processo furono i tre appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria, colpevoli comunque e a prescindere per più di qualcuno. Se ricordo cosa disse in quei giorni, ad esempio, il ministro della Difesa Ignazio La Russa, mi domando con quale coraggio possa guardarsi ancora allo specchio... La giustizia ha fatto il suo corso ed oggi, assolti nei tre gradi di giudizio i poliziotti penitenziari, si profila nuovi scenari per ricostruire quel che davvero accadde a Stefano Cucchi. Il comandante generale dell’Arma dei Carabinieri, Tullio Del Sette, ha dovuto prendere atto dell’avviso di conclusione indagini (atto che prelude di norma a una richiesta di rinvio a giudizio) nei confronti dei cinque militari. "Non può lasciare nessuno indifferente quel suo corpo sottile ha detto Del Sette, quel suo volto tumefatto che abbiamo visto nelle fotografie mostrateci con quei segni profondi delle vicissitudini e delle sofferenze patite". Segni dovuti - secondo la Procura - a
"schiaffi, pugni e calci", che ne determinarono anche una "rovinosa caduta con impatto al suolo in regione sacrale" e poi il decesso. "Siamo io, l’Arma dei Carabinieri e tutti i carabinieri - ha dichiarato ancora Del Sette - accanto alla magistratura per arrivare fino in fondo alla verità". Ed ha assicurato che i "dovuti" provvedimenti saranno presi "poi" - al termine dell’iter processuale, evidentemente - "con tempestività, con giustizia trasparente, equanime e rigorosa". Non ricordo, a memoria, analoghe dichiarazioni di chi allora ricopriva il ruolo di Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, che è anche il Capo del Corpo di Polizia Penitenziaria, e di Ministro della Giustizia, e gli unici a difendere l’onorabilità e l’immagine dei tre Baschi Azzurri loro malgrado coinvolti e dell’intero Corpo furono i Sindacati (alcuni, non certo tutti...), con il SAPPE in testa. Ne ho parlato nell’articolo del mese precedente: l’assenza di una tempestiva comunicazione istituzionale in questa triste vicenda è un aspetto che ha colpevolmente contraddistinto il DAP e va, una volta di più, stigmatizzato. Perché la disinformazione è davvero deleteria e favorisce l’ignoranza e, talvolta, persino la malafede. Una disinformazione che, nonostante tutto, nonostante le verità processuali, nonostante la realtà dei fatti, persiste e permane in qualcuno. Alla luce dei nuovi sviluppi giudiziari sul caso Cucchi, è capitato infatti di leggere, sul blog de Il Fatto Quotidiano, un articolo di Susanna Marietti, coordinatrice di Antigone, intitolato “Cucchi, Aldrovandi e gli altri assassinati: chiamiamo le cose con il loro nome”. Marietti tra l’altro scrive: “...in questi sette anni, abbiamo assistito a una famiglia onesta e sincera – la famiglia Cucchi, ndr - che veniva trattata come una banda di criminali. Qualcosa avrà pur fatto se ha tirato su un figlio drogato, anoressico, che chiede un succo di frutta in ospedale e che è certo un tipo strano. Quante ne abbiamo
dovute sentire ...Persino Ilaria, querelata dal Sappe a seguito di alcune sue dichiarazioni, il Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria”. Questo è un esempio di disinformazione. L’accostamento tra le due vicende è improprio e può ingenerare confusione ovvero suggestioni negative nei confronti del sindacato. Infatti, il SAPPE non querelò Ilaria Cucchi per la triste e drammatica vicenda della morte del fratello Stefano. Abbiamo detto, da subito, di essere solidali con la famiglia Cucchi per la perdita del loro familiare. Lo ribadiamo oggi. Ma siamo anche fieri del nostro lavoro quotidiano e certi della nostra abnegazione al servizio del Paese. Per questo abbiamo sempre confidato nella magistratura.
Il SAPPE ha presentato una querela nei confronti di Ilaria Cucchi nell’agosto del 2014 dopo che la sorella di Stefano rilasciò pubbliche dichiarazioni di avere visto tre Agenti di Polizia Penitenziaria accusati di aver “pestato e malmenato” un uomo a Roma, in via Tiburtina nei pressi del cimitero Verano. Quei tre colleghi, invece, erano soltanto intervenuti in una operazione di ordine pubblico (chiamati da un autista dell’Atac) per sedare una rissa tra un uomo e due donne (tutti stranieri) e costretti per questo ad immobilizzare l’uomo. Per questo fu presentata querela nei confronti di Ilaria Cucchi. Perché si riteneva che l'immagine del Corpo di Polizia Penitenziaria andasse tutelata, visto che nessuno l’aveva fatto. Per questo, non per altro. Lo accertò lo stesso Pubblico Ministero che esaminò il carteggio, il Sostituto Procuratore della Repubblica
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Roberto Martinelli Capo Redattore Segretario Generale Aggiunto del Sappe martinelli@sappe.it
Nella foto: Stefano Cucchi
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IL COMMENTO presso il Tribunale di Roma, dott.ssa Margherita Pinto, la quale - nel chiedere l'archiviazione del procedimento - ebbe comunque ad affermare come la signora Cucchi “travisò la situazione”, a causa della sua situazione personale, che la indusse “a interpretare negativamente l’operato delle forze dell’ordine”. Ed aggiunse: “una maggiore prudenza da parte della Cucchi nel formulare giudizi tranchant sull’agire della Polizia Penitenziaria, prima di rilasciare interviste esponendo come verità rivelata la propria interpretazione degli eventi, sarebbe stata cosa corretta e rispettosa dell’altrui sensibilità, atteso che la Polizia Penitenziaria, intervenuta su richiesta di cittadino, si è vista accusare di comportamenti gravi e illeciti ingiustamente”.
Nella foto: Ilaria Cucchi con Susanna Marietti
I fatti, dunque, devono essere e vanno contestualizzati, per non ingenerare inutili e strumentali polemiche, di cui nessuno ha bisogno. Marietti ha scritto una cosa parziale e non contestualizzata e l’ha scritto in maniera impropria. Chi ha letto il suo intervento, ma non ha potuto leggere la nostra replica con l’esatta ricostruzione di quella querela ad Ilaria Cucchi, non è stato informato ma disinformato. E questo determina un giudizio pregno di pregiudizio... Per questo ne abbiamo chiesto tempestivamente la rettifica alla redazione de Il Fatto Quotidiano, in osservanza della normativa vigente in materia, che però ha fatto “orecchie da mercante” e si è ben guardato dal farlo. E la disinformazione continua... F
L’OSSERVATORIO POLITICO
La tutela del Dirigente sindacale nella Polizia Penitenziaria Alla luce della sentenza della Corte di Cassazione, Sez. Unite, n. 2359/2015
L
e norme sulla tutela del dirigente sindacale, basate sulla preventiva richiesta di concessione del nulla osta da parte dell’organizzazione di appartenenza, mirano a tutelare il dipendente che svolge attività sindacale sul posto di lavoro, ma anche l’organizzazione sindacale stessa che con l’allontanamento del proprio dirigente potrebbe subire una perdita di chance, in termini di organizzazione, gestione e consensi del sindacato stesso. Infatti, alcune sentenze fanno riferimento proprio al fatto che l’allontanamento dal luogo di lavoro determinerebbe l’impossibilità, per il dirigente trasferito, di svolgere l’attività sindacale. Per quanto riguarda le Forze di polizia ad ordinamento civile i contratti di lavoro di questi ultimi anni hanno definito una tutela abbastanza omogenea, a partire dal d.P.R. 395/95. Alcune delle norme enunciate nei contratti sono state poi riprese ed inserite negli accordi di amministrazione. Per quanto riguarda la Polizia Penitenziaria l’articolo 6, comma 2, dell’accordo quadro vigente prevede che Nell'ambito della stessa sede di servizio, da intendersi quale località ove è ubicata la struttura o la singola direzione, il trasferimento dei dirigenti sindacali - che ricoprono cariche in seno agli organismi direttivi previsti dalle 00. SS. rappresentative sul piano nazionale del Corpo di Polizia Penitenziaria - in un Ufficio o Servizio diverso da quello di assegnazione può essere disposto
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solo previo N.O. delle OO.SS. di appartenenza. L’amministrazione penitenziaria ha sempre interpretato tale disposizione normativa come impossibilità di effettuare il trasferimento da una sede di servizio ad altra, senza il preventivo nulla osta, nell’ambito dello stesso comune, considerando invece possibile il cambio di mansioni nell’ambito della stessa sede lavorativa, senza con questo incorrere nella condotta antisindacale. Infatti, il direttore della Casa Circondariale di Pescara trasferì alcuni anni fa un dirigente sindacale dal nucleo traduzioni e piantonamenti al servizio a turno in istituto, ragione per cui l’organizzazione sindacale di appartenenza propose ricorse al tribunale di Pescara, lamentando la condotta antisindacale; il tribunale accolse il ricorso ed ordinò la cessazione di tale condotta, con relativo reintegro dello stesso dirigente nelle precedenti mansioni. Stesso esito ebbe l’appello proposto dall’amministrazione poiché, in base a quanto previsto dall'art. 6 dell'Accordo Nazionale Quadro di Amministrazione per il personale appartenente al Corpo di Polizia Penitenziaria, era necessario il nulla osta sindacale per il trasferimento in un ufficio o servizio diverso, come avvenuto nel caso di specie. Avverso l'anzidetta sentenza della Corte territoriale il Ministero della Giustizia ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi. L’organizzazione sindacale ha resistito con controricorso. La causa è stata assegnata alle Sezioni
L’OSSERVATORIO POLITICO Unite essendo stata sollevata, con il primo motivo di ricorso, questione di riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo il ricorrente, denunciando, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1, violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 3, comma 1, e art. 63, commi 3 e 4, della L. n. 83 del 2000, art. 4, e della L. n. 300 del 1970, art. 28, eccepisce il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, in favore di quello amministrativo, laddove, come nella specie, il dipendente pubblico interessato dalla condotta asseritamente antisindacale appartenga ad una categoria di personale sottratta alla cosiddetta privatizzazione del pubblico impiego. Con il secondo motivo il ricorrente, denunciando, in relazione all'art. 360
c.p.c., comma 1, n. 3, violazione della L. n. 300 del 1970, art. 22, e dall'art. 6 dell'Accordo Nazionale Quadro di Amministrazione per il Personale appartenente al Corpo di Polizia Penitenziaria, deduce che, da una corretta esegesi di quest'ultima disposizione, deve ritenersi che il nulla osta sia richiesto soltanto in ipotesi di mobilità nell'ambito dello stesso Comune e non già in ipotesi di mutamento di mansioni nell'ambito della medesima struttura. 2. In ordine al primo motivo deve rilevarsi che la giurisprudenza di queste Sezioni Unite ha già avuto modo di esaminare la questione giuridica sollevata dal Ministero ricorrente, osservando, all'esito di attenta disamina dell'evoluzione del quadro legislativo interessante le
materie, che sono assoggettate alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie promosse dalle associazioni sindacali ai sensi dell'art. 28 dello Statuto dei lavoratori, anche quando la condotta antisindacale afferisca ad un rapporto di pubblico impiego non contrattualizzato e che incida non solo sulle prerogative sindacali dell'associazione ricorrente, ma anche sulle situazioni soggettive individuali dei pubblici dipendenti (cfr, Cass., SU, n. 20161/2010). Al riguardo, in particolare, è stato evidenziato che l'intervenuta abrogazione, ad opera della L. n. 83 del 2000, art. 4, della L. n. 300 del 1970, art. 28, commi 6 e 7, esprime la volontà del legislatore che la regola della giurisdizione in materia di controversie promosse da sindacati ed aventi ad oggetto condotte antisindacali di pubbliche amministrazioni sia solo quella dettata, in termini inequivoci, dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 3, che devolve al giudice ordinario le controversie relative a comportamenti antisindacali delle pubbliche amministrazioni ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 28, senza più l'interferenza data dalla particolare ipotesi in cui l'associazione sindacale richieda anche la rimozione di un provvedimento incidente su posizioni individuali di dipendenti pubblici regolate ancora con atti amministrativi e non già con atti di gestione di diritto privato; ossia senza più quell'eccezione, in favore della giurisdizione del giudice amministrativo, che residuava proprio in forza della L. n. 300 del 1970, abrogato art. 28, comma 7, (secondo il quale "Qualora il comportamento antisindacale sia lesivo anche di situazioni soggettive inerenti al rapporto di impiego, le organizzazioni sindacali di cui al comma 1, ove intendano ottenere anche la rimozione dei provvedimenti lesivi delle predette situazioni, propongono il ricorso davanti al tribunale amministrativo regionale competente per territorio, che provvede in via di urgenza con le modalità di cui al comma 1. Contro
il decreto che decide sul ricorso è ammessa, entro quindici giorni dalla comunicazione del decreto alle parti, opposizione davanti allo stesso tribunale, che decide con sentenza immediatamente esecutiva"). A ciò deve aggiungersi che, in relazione alla possibilità della coesistenza di due controversie in qualche misura connesse (l'una, promossa innanzi al giudice ordinario, Legge n. 300 del 1970, ex art. 28, dal sindacato, per la repressione del comportamento antisindacale dell'amministrazione pubblica; l'altra, promossa innanzi al giudice amministrativo, dal dipendente ancora in regime di lavoro pubblico, per contestare la legittimità di un provvedimento, incidente sul suo rapporto di impiego, affetto da un motivo di discriminazione sindacale), con conseguente ipotizzata violazione,
sul piano costituzionale, del principio di ragionevolezza (oltre che dell'art. 25 Cost.), la Corte costituzionale, con ordinanza n. 143/2003, avallando la surriferita opzione ermeneutica, ha rilevato che tale soluzione interpretativa "implica o b1) una prevenzione del paventato conflitto di giudicati, attraverso il coordinamento, ex art. 295 c.p.c., dell'azione individuale con quella promossa dal sindacato, ovvero b2) la radicale negazione di ogni possibilità di conflitto pratico di giudicati, riconoscendo la totale autonomia delle due azioni in quanto volte a tutelare distinte situazioni sostanziali", concludendo quindi nel senso che "del tutto insussistente è la violazione dell'art. 25 Cost., così come insussistente è la
Polizia Penitenziaria n.246 • gennaio 2017 • 9
Giovanni Battista Durante Redazione Politica Segretario Generale Aggiunto del Sappe giovanni.durante@sappe.it
Nelle foto: sopra il Palazzo di Giustizia di Pescara a sinistra toghe
Á
L’OSSERVATORIO POLITICO lamentata irragionevolezza della disciplina (ex art. 3 Cost.)". Queste Sezioni Unite intendono qui dare continuità al sopra ricordato orientamento, con conseguente rigetto del motivo, non ravvisando nelle argomentazioni svolte dal ricorrente ragioni che già non siano state oggetto di disamina. 3. Quanto al secondo motivo giova ricordare che l'art. 6 dell'Accordo Nazionale Quadro di Amministrazione per il Personale appartenente al Corpo di Polizia Penitenziaria prevede che
Nella foto: l’ingresso del carcere di Pescara
"Nell'ambito della stessa sede di servizio, da intendersi quale località ove è ubicata la struttura o la singola direzione, il trasferimento dei dirigenti sindacali - che ricoprono cariche in seno agli organismi direttivi previsti dalle 00. SS. rappresentative sul piano nazionale del Corpo di Polizia Penitenziaria - in un Ufficio o Servizio diverso da quello di assegnazione può essere disposto solo previo N.O. delle OO.SS. di appartenenza". Tale previsione contrattuale va letta in correlazione con quanto previsto dal D.P.R. n. 395 del 1995, art. 32, comma 1, (Recepimento dell'accordo sindacale del 20 luglio 1995 riguardante il personale delle forze di polizia ad ordinamento civile (Polizia di Stato, Corpo di Polizia Penitenziaria e Corpo Forestale dello Stato) e del provvedimento di concertazione del 20 luglio 1995 riguardante le forze di polizia ad ordinamento militare (Arma dei Carabinieri e Corpo della Guardia di Finanza), secondo cui “i trasferimenti ad ufficio con sede
in un comune diverso di appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria ed al Corpo forestale dello Stato, che ricoprono cariche di dirigenti sindacali in seno agli organismi direttivi previsti dagli statuti delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale, possono essere effettuati previo nulla osta delle organizzazioni sindacali di appartenenza" e dal D.P.R. n. 254 del 1999, art. 34, comma 1, (Recepimento dell'accordo sindacale perle Forze di polizia ad ordinamento civile e del provvedimento di concertazione delle Forze di polizia ad ordinamento militare relativi al quadriennio normativo 1998-2001 ed al biennio economico 1998-1999), secondo cui, "Nell'ambito della stessa sede di servizio, i trasferimenti in uffici diversi da quelli di appartenenza del segretario nazionale, regionale e provinciale delle organizzazioni sindacali delle Forze di Polizia ad ordinamento civile rappresentative sul piano nazionale, possono essere effettuati previo nulla osta dell'organizzazione sindacale di appartenenza", fatte salve, come disposto dal comma 5 del medesimo articolo, le previsioni del D.P.R. n. 395 del 1995, art. 32. Se ne ricava che il ridetto art. 6 dell'Accordo Nazionale Quadro di Amministrazione per il Personale appartenente al Corpo di Polizia Penitenziaria, con carattere di specialità, prevede che il nulla osta delle organizzazioni sindacali di appartenenza per il trasferimento dei dirigenti sindacali non è limitato all'ipotesi che il trasferimento stesso implichi la destinazione ad un ufficio con sede in un comune diverso, né che, per i trasferimenti nell'ambito della stessa sede di servizio, gli stessi debbano riguardare soltanto il segretario nazionale, regionale e provinciale delle organizzazioni sindacali. La questione che si pone è dunque limitata all'accertamento degli (eventuali) limiti che condizionino, a mente del medesimo art. 6
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dell'Accordo Nazionale Quadro di Amministrazione per il Personale appartenente al Corpo di Polizia Penitenziaria, la necessità che i trasferimenti dei dirigenti sindacali contemplati dalla norma siano preceduti dal nulla osta dell'organizzazione sindacale di appartenenza e, più in particolare, in relazione a quanto sostanzialmente prospetta la parte ricorrente, se detto nulla osta sia richiesto soltanto ove il trasferimento avvenga, seppur nell'ambito dello stesso comune, in una struttura di destinazione distinta da quella di origine. Osserva al riguardo il Collegio che il riferimento fatto dalla previsione contrattuale all'esame alla "località ove è ubicata la struttura o la singola direzione" trova la sua ragion d'essere proprio in relazione al ricordato disposto del D.P.R. n. 395 del 1995, art. 32, comma 1, in base al quale il previo nulla osta delle organizzazioni sindacali di appartenenza era richiesto soltanto per i trasferimenti ad un ufficio con sede in un comune diverso, ed ha quindi la specifica finalità (derogatoria rispetto a quella generale testè indicata) di escludere tale limitazione territoriale e non già quella, priva di riscontro testuale, di contemplare la necessità del previo nulla osta soltanto nelle ipotesi di trasferimenti presso strutture diverse site nel medesimo ambito territoriale. La norma contrattuale è invece al contrario inequivoca nello statuire che il suddetto previo nulla osta è comunque richiesto, (anche) nell'ambito della medesima località sede di servizio, ogni qual volta venga disposto il trasferimento di un dirigente sindacale in un Ufficio o Servizio diverso da quello di assegnazione. Le sezioni unite, quindi, hanno rigettato il ricorso della Amministrazione penitenziaria e confermato l’interpretazione della Corte territoriale, secondo la quale la richiesta del nulla osta è necessaria anche per il cambio di mansioni del dirigente sindacale nell’ambito della stessa sede di servizio. F
GIUSTIZIA MINORILE
Il Ministro Andrea Orlando in visita a Nisida: il carcere minorile non va dimenticato
I
l 5 gennaio 2017 il personale di Polizia Penitenziaria in servizio a Nisida ha vissuto una giornata speciale con il Ministro Andrea Orlando e alcuni calciatori famosi.
"Questa realtà non va dimenticata, il carcere non va dimenticato, sennò produce soltanto effetti negativi". Lo dice il Ministro della Giustizia, Andrea Orlando, al personale di Nisida durante la visita all'Istituto Penale con i calciatori del club azzurro Dries Mertens, Marek Hamsik e Leonardo Pavoletti. I giocatori del Napoli e il Ministro sono stati accompagnati dalla Polizia Penitenziaria, nei laboratori di pizza, arte presepiale, pasticceria e ceramica che impegnano quasi tutti i ragazzi accolti nell'Istituto. L'intento del carcere è di aprire al mercato i prodotti realizzati nell'ambito dei quattro laboratori attivi attraverso delle innovative start-up. Il Ministro ha parlato del carcere di Nisida come di una "struttura di eccellenza nell'ambito del circuito minorile e del Sistema Penitenziario italiano. Siamo tra i Paesi con la recidiva più alta tra gli adulti - commenta Orlando - ma a livello europeo la recidiva è la più bassa tra i minori perché' il sistema minorile penitenziario funziona. La presenza
dei calciatori della società calcistica partenopea nell'I.P.M. di Nisida è importante per i ragazzi a cui si lancia - spiega il Ministro - un messaggio forte: si può avere successo e affermazione ma non bisogna dimenticarsi di chi si trova in situazioni di difficoltà. I ragazzi di Nisida utilizzino questo tempo come un'occasione di riscatto". E in questo senso lo sport gioca un ruolo chiave "è una grande metafora, le sconfitte - sottolinea Orlando sono un momento in cui si ragiona e riflette. Questi ragazzi hanno bisogno di essere sostenuti ma chi ha sbagliato usi questo errore come un momento di riflessione e di ripartenza. Si tratta di giovani detenuti che hanno fatto cose molto brutte ma che non hanno visto di certo cose molto belle nella loro vita". A intervenire anche il sottosegretario Gennaro Migliore: «La sparatoria avvenuta a Napoli in cui è rimasta ferita anche una bambina di 10 anni» spinge il governo a «incrementare il lavoro sul piano sociale per svuotare le sacche da cui pesca la criminalità organizzata», bisogna «essere duri con le cause della criminalità e duri contro la criminalità». Migliore, rispondendo ai cronisti che gli riportavano le frasi del sindaco de Magistris secondo cui non c'è un'emergenza sicurezza a Napoli, ha detto: «Napoli ha straordinarie potenzialità e capacità, ha elementi incredibilmente positivi ma il tema della convivenza tra il negativo e il positivo a Napoli è sempre stato un elemento forte su cui interrogarsi. Negare l'uno o l'altro è sempre un errore. Si deve cercare di comprendere la complessità della città, dicendo che purtroppo c'è la
Ciro Borrelli Dirigente Sappe Scuole e Formazione Minori borrelli@sappe.it
criminalità violenta, molto violenta anche dal punto di vista del come si manifesta, ma è un errore ritenere che esista solo una storia negativa». Fra l'entusiasmo di tutti i presenti, il
coro finale di "un giorno all'improvviso" e la foto di gruppo, è lo stesso Orlando a trarre le conclusioni: "E' stata davvero una bella iniziativa la presenza dei calciatori. Hanno consegnato anche ai ragazzi di Nisida la metafora dello sport: chi sbaglia e perde una partita può comunque ripartire". F
Polizia Penitenziaria n.246 • gennaio 2017 • 11
Nelle foto: il Ministro Andrea Orlando nella sua visita all’IPM di Nisida
Roberto Thomas Docente del corso di formazione in criminologia minorile organizzato dalla Sapienza - Università di Roma Già Magistrato minorile rivista@sappe.it
CRIMINOLOGIA
Il profilo criminale del minore omicida
L
Nella foto: Omar Favaro e Erika De Nardo nel 2001
a tendenza statistica della commissione, in Italia, di omicidi volontari consumati da minorenni è in calo fin dall'anno 2001, passandosi dai 67 del 2001 ai 22 del 2014 (fonte Annuario Statistico Italiano 2015). Siffatto calo tendenziale è conforme a quello costante del numero di tutti i delitti di omicidio volontario denunciati all'autorità di Polizia (commessi sia da adulti che da minorenni ) che passano dai 611 del 2008 ai 502 del 2013 ( fonte Annuario Statistico Italiano anni 2014 e 2015).
esempio in Inghilterra ed in Francia gli omicidi sono circa il doppio) e degli Stati Uniti in cui, nel 2012, si sono verificati 16298 omicidi (fonte EU.R.E.S.- Google). Le cause che spingono un adolescente a commettere un omicidio volontario sono molteplici. Esse sono ben sintetizzate, in generale, da Introna nel suo libro “Lineamenti di criminologia minorile”, pag. 234, secondo cui : “La dinamica dei delitti di omicidio volontario e di lesioni personali volontarie commesse dai minorenni prende le
Secondo il Rapporto E.U.R.E.S. (Ricerche Economiche e Sociali) del 2013, circa un terzo di tutti gli omicidi volontari (commessi sia dai minori che dagli adulti) avviene all'interno della famiglia (33,3%), mentre il 23,2% è opera della criminalità comune, il 16,0% viene commesso da quella organizzata, l'11,0% avviene nel contesto amicale e infragruppo, il 3,4% degli omicidi volontari avviene nell'ambito lavorativo, mentre il 2,5% per incomprensioni di vicinato. I dati predetti, pur sempre inquietanti, sono assai inferiori a quelli di molti Paesi dell'Unione Europea (ad
mosse dalle componenti aggressiveimpulsive che sono proprie di questa età, nonché dalla scarsa capacità del minorenne di ben finalizzare la propria condotta e di commisurarla ai motivi, onde avviene che spesso esista una sproporzione fra i motivi e condotta delittuosa, oppure che il minore uccida per la paura di subire le conseguenze penali di un altro reato (comportamento motivato dalla frustrazione ) ...Alla base esistono spesso un difetto di comprensione dei valori di vita e di morte, una personalità immatura e
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disarmonica, la pseudo-necessità della rapida soddisfazione dei bisogni, la suggestionabilità di fronte ai temi di violenza e di aggressione, la sofferenza da abbandono totale ( o anche solo affettivo ) da parte dei genitori e la conseguente mancanza del sentimento di alterità ”. Distinguerei, per chiarezza, le cause relative agli omicidi intrafamiliari dagli altri. Per i primi, che sono quelli che mediaticamente sconvolgono maggiormente l'opinione pubblica (si pensi al caso dell'uccisione della madre e del fratellino di otto anni ad opera della figlia Erika De Nardo e del suo fidanzatino Omar Favaro, con cinquanta coltellate, avvenuto a Novi Ligure nel 2001 e il recentissimo caso del figlio sedicenne che, in concorso con l'amico del cuore diciassettenne, ha ucciso i genitori a colpi di ascia il 9 gennaio scorso a Pontelangorino, in provincia di Ferrara), mi sembra trarre il convincimento che nella mente degli omicidi, - che fino a prima del fatto di sangue, si comportavano in maniera normale, sia pure con i contrasti, talora violenti, con i genitori per il cattivo rendimento scolastico, come nel caso di Ferrara, o forme di ribellione per una maggiore libertà nelle frequentazioni amorose, come nel caso di Novi Ligure – scatti una specie di ossessione di dover eliminare qualsiasi ostacolo concreto si possa frapporre davanti alla propria libertà . Una forma quasi patologica di dover affermare ad ogni costo il proprio io (egocentrismo) contro l'altro (genitore o parente) che inibisce i tradizionali freni biologici e morali, dando un senso di fortissima frustrazione e angoscia della propria sopravvivenza , quasi che questa fosse condizionata necessariamente all'eliminazione fisica dell'ostacolo familiare, secondo l'antico adagio “mors tua, vita mea”, insomma una gravissima incapacità di adattamento socio-familiare . Così avvenne, ad esempio, in un caso che trattai alcuni anni fa come pubblico ministero minorile di Roma.
CRIMINOLOGIA Riguardava l'omicidio del proprio padre, commesso da una minorenne che convinse il fidanzato maggiorenne ad ucciderlo perché il genitore non approvava la loro relazione sentimentale. L'adolescente in questione fu particolarmente diabolica ad architettare con premeditazione il parricidio. Approfittò dell'assenza della madre e della sorella partite ad agosto in ferie, mentre il padre doveva lavorare a Roma, per aprire la porta al complice - un po' “coatto”, che aveva plagiato per fargli commettere l'omicidio, promettendogli eterno amore - durante il riposo pomeridiano del predetto. Quindi assistette implacabile, come fosse un rito liberatorio di purificazione (così mi disse durante l'interrogatorio), ai ripetuti colpi di bastone inferti dal fidanzato sulla testa di quel poveretto. Nessun pentimento, men che meno un minimo senso di colpa quando venne arrestata insieme al complice. Per lei era stato compiuto un atto di “giustizia” che la liberava per sempre dalla schiavitù di un padre rigido ed autoritario (così affermò davanti a me, sempre durante il suo primo interrogatorio). Alla mia domanda se non avesse mai pensato che forse sarebbe stato meglio, invece di uccidere il proprio padre, fuggire di casa per andare a vivere insieme al fidanzato, mi rispose che ciò non sarebbe stato possibile perché, conoscendo il carattere severissimo ed intransigente del suo genitore, egli li avrebbe ritrovati anche in capo al mondo, e li avrebbe uccisi entrambi. Sul punto del perché non avesse partecipato fisicamente all'uccisione del padre, limitandosi ad assistere all'infierire selvaggio del complice, affermò che non voleva “insozzarsi mani” con un essere che l'aveva sempre schiavizzata anche con dei sonori ceffoni quando non ubbidiva al suo volere: ormai aveva ricevuto la vendetta dei suoi precedenti patimenti e pertanto “non era bello mettersi alla pari con un 'energumeno' pronto a menare ! ”. Questa convinzione profonda rimase stabile in lei negli anni successivi
vissuti nella solitudine assoluta della detenzione, perché né la madre né la sorella maggiore la perdonarono (a differenza del padre di Erika che ha sempre seguito con affetto la figlia assassina della moglie e del suo secondogenito, visitandola spesso durante la carcerazione), anzi si rifiutarono sempre di accedere ai colloqui all'interno del carcere. Unica consolazione l'epistolario con il complice – fidanzato che si mantenne costante durante tutto il periodo della detenzione e quando la ragazza uscì agli arresti domiciliari in una comunità dopo cinque anni di pena detentiva, si sposò con lui, fedele alla parola di un amore eterno con cui l'aveva convinto ad uccidere . Il caso sopra descritto è sintomatico di come quella ragazza non avesse ancora elaborato adeguatamente il ruolo del genitore autoritario, e pertanto non avesse avuto una possibile capacità di adattamento al
conseguente risoluzione traumatica del complesso edipico. Per quanto concerne gli omicidi extrafamiliari per circa il 40 % sono commessi dalla criminalità comune e organizzata - in cui è assolutamente prevalente il fenomeno dell'apprendimento e imitazione di “regole” e “riti” violenti fin dalla nascita – e costituenti una particolare tipologia di omicidi commessi dai minori che rientra in quelli che nascono in una sottocultura della violenza presidiata da pseudo regole d'onore “in cui il motivo dell'omicidio rientra in un codice, socialmente patologico, di onore di gruppo ...è da ritenere che il minore sia solo uno strumento nelle mani di altri o che, se agisce in modo autonomo, venga condizionato da ciò che sente dagli adulti” come notano Franchini-Introna in “Delinquenza minorile”, pag.605 . Per un ulteriore approfondimento di
proprio padre che, a suo dire, la “schiavizzava terrorizzandola”. Certamente i minori genitoricidi sono sicuramente adolescenti molto immaturi e con problemi gravi di strutturazione della loro personalità , ma, ove non siano affetti da gravissime patologie psichiatriche, non sono tali da poter essere considerati non imputabili per mancanza d'intendere o di volere . Invero la spiegazione della dinamica posta in atto dai predetti deve essere spesso riportata al concetto psicanalitico di liberazione dalla dipendenza affettiva genitoriale e
questa tipologia di omicidi si rimanda al mio articolo stampato su questa rivista (n. 227) nell'aprile del 2015, intitolato “Il minore mafioso”. Invece il profilo criminologico dei minori che commettono omicidi volontari che nascono in un contesto amicale e di gruppo , o di vicinato riguarda adolescenti immaturi, soggetti a commettere omicidi d'impeto, spesso per motivi passionali, di cui, a differenza di quanto abbiamo già detto per gli omicidi intrafamiliari, si pentono quasi sempre subito dopo la loro commissione.
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Nelle foto: a sinistra violenza sopra mani sporche di sangue
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CRIMINOLOGIA
Nella foto: lo psichiatra criminologo Vincenzo Maria Mastronardi
Facilmente utilizzano il coltello come arma tipica dell'esecuzione omicidiaria, spesso un temperino che per prassi portano con sé, come molti giovanissimi. L'affronto subito davanti ai propri amici scatena la follia omicida qualora non venga provvidenzialmente bloccata dai presenti che si frappongono fra i due avversari. La pulsione ad uccidere scatta improvvisa come una carica potente di adrenalina e subito dopo svanisce, lasciando nell'autore sgomento , incredulità e un profondo senso di colpa che normalmente s'incanala in una irrefrenabile crisi di pianto. Ad esempio molti anni fa, quando ero sostituto procuratore della Repubblica minorile di Venezia, ricordo ancora che un ragazzo di quindici anni attirò in un fienile isolato una bimba di dieci anni, figlia dei vicini di casa, amici della sua famiglia residente in un paesino del trevigiano, la violentò e poi temendo di essere da lei denunciato la uccise soffocandola. Dopo pochi minuti, piangendo disperatamente, si recò dai Carabinieri raccontando l'accaduto. Quando lo interrogai si dichiarò pentito in un fiume di pianto. Mi disse che non voleva ucciderla ma che aveva avuto tanta paura e vergogna di quello che aveva fatto: paura del padre, un agricoltore onesto e severo nei suoi atteggiamenti educativi verso i figli, vergogna di non aver rispettato quanto aveva appreso dei sentimenti onesti dai suoi genitori. Venne giudicato capace d'intendere e di volere, e condannato a quattordici anni di carcere, tenendo conto della giovanissima età e della piena confessione resa, seguita da un sincero pentimento. Certamente la curiosità sessuale male interpretata era stata la molla di tutta la terribile vicenda in una personalità assai fragile nella sua strutturazione in cui giocava un ruolo importante un senso di solitudine che il minore soffriva per un certo distacco affettivo nei suoi confronti da parte dei genitori, abituati al duro lavoro dei campi e poco inclini a dimostrargli situazioni di affetto.
Si deve rilevare che non esiste ancora in Italia (a differenza di altre nazioni, soprattutto gli Stati Uniti), la figura del minore omicida seriale, cioè chi commette più omicidi (almeno due) in una sequenza temporale anche ampia e generalmente (ma non necessariamente) per una stessa finalità, quale ad esempio quella sessuale, anche se è ipotizzabile che esso sia già stato attivo concretamente, soprattutto nell'ambito dell'attività criminale delle organizzazioni mafiose, ma appartenga al cosiddetto numero oscuro dei criminali, e cioè di quelli che di fatto non vengono mai scoperti dall'autorità di Polizia.
Uno dei principali cultori sull'argomento omicidiario seriale è l'autorevole psichiatra-criminologo Vincenzo Maria Mastronardi, nel suo libro “I serial killer”, Newton Compton Editori, terza edizione 2014, scritto insieme a Ruben De Luca, sottolinea a pag. 188 che “La 'motivazione profonda' è sempre la stessa ed è unica: tutti gli assassini seriali uccidono per soddisfare la stessa motivazione profonda: il bisogno assoluto di esercitare il potere e il controllo su altri esseri umani per affermare il proprio Sé. La 'motivazione superficiale' può anche essere più di una e può variare all'interno di una stessa serie omicidiaria”. In particolare Mastronardi, alle pagg. 54-62 dell'opera citata, propone una nuova classificazione dell'omicidio
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seriale “in base alle modalità esecutive, senza tener conto delle motivazioni” distinguendo un assassino seriale classico (quello in cui “in qualche modo è presente una componente sessuale”) da quello atipico (quello che non possiede una siffatta componente quale l'omicidio mafioso o terroristico). Quindi differenzia, in base alla scelta delle vittime, gli omicida in potenziali (quelli arrestati dopo la commissione di un unico assassinio ma con caratteristiche motivazionali tali da ritenere che sarebbe stato il primo di una catena, qualora non fosse stato bloccato dalla polizia), seriali per divertimento (uccisione di singole vittime incontrate per caso), seriali di massa (assassinio di una pluralità di persone occasionalmente conosciute, uccise insieme in un unico contestodenominato strage dall'art. 422 del codice penale -, che viene ripetuto almeno per una volta) e seriali rituali (“che uccide per esigenze ritualistiche codificate in maniera rigida dalla propria cultura di appartenenza”). Inoltre il predetto Autore , con riguardo alle concrete modalità esecutive degli omicidi, distingue tre tipi di assassini seriali e precisamente “l'incendiario”, “il bombarolo” e il “cecchino”, rilevando, da ultimo, una categoria autonoma di omicida seriale per induzione che è colui, come ad esempio un capo mafia, che “non uccide effettivamente nessuna vittima, ma esercita il suo influsso affinché altri soggetti uccidano per suo conto”. In generale si deve rilevare che le cause, le motivazioni e le finalità dell'omicidio commesso dai minori e di quello realizzato da adulti sono sostanzialmente le stesse da un punto di vista qualitativo; vi possono essere differenze, in alcuni casi, soltanto di natura quantitativa poiché, di solito, la capacità a delinquere dell'adolescente è inferiore a quella dell'adulto criminale, in quanto non si è radicata profondamente nella sua personalità, data la sua età evolutiva, nella quale è ben possibile che avvengano delle modifiche anche in senso positivo. F
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S
alve Agente Sara, sono Matteo un Assistente Capo. Ti scrivo perché ho appena compiuto 51 anni di età. Mi ricordo che c'è la possibilità di non fare le notti, considerata l'età sopramenzionata. Come funziona? Potresti consigliarmi anche una istanza da presentare a lavoro? Grazie. Assistente Capo Matteo
Buongiorno Assistente Capo Matteo, innanzitutto ti richiamo la norma che disciplina il servizio notturno del personale di Polizia Penitenziaria che abbia superato il cinquantesimo anno di età ovvero l'art. 21 co. 4 del DPR 82/99 che recita testualmente: “il personale del Corpo di Polizia all’art. 42, salvo inderogabili e Penitenziaria che abbia superato il comprovate esigenze di servizio”; cinquantesimo anno di età viene esentato, a sua richiesta, dai servizi inoltre si richiama in tal senso anche notturni di vigilanza e osservazione l'art. 9 co. 3 lett. c dell’AQN del 24 marzo 2004 che afferma: “il dei detenuti di cui O T R A personale del Corpo di Polizia NTE DI REP AL COMANDA E Penitenziaria che abbia SED superato il cinquantesimo i n o azi a dalle turn d n a m o d anno di età, o che abbia oltre a ed nza nero Oggetto: Eso mbito dei servizi di vigila 2 del trenta anni di servizio, è .4 l’a notturne nel ei detenuti di cui all’art urno esentato, a sua richiesta, d e n n o io iz ott osservazi .82 e dal serv . 4 del DPR dalle turnazioni notturne n 9 9 io ra b b DPR 15 fe rt. art. 21 co nell’ambito dei servizi di armata, ex a N del 24 marzo za n la gi vi i d dell’AQ c . tt le 3 . vigilanza ed osservazione co 82/99 e 9 dei detenuti di cui all’art. 2004.___ in _ _ _ _ _ _ _ _ 42 del DPR 15 febbraio 99 ___ _________ Il sottoscritto questo istituto, n.82 e dal servizio o servizio press notturno di vigilanza CHIEDE ni armata, salvo o zi a rn tu e ato dall nza ed essere esoner alla S.V. di mbito dei servizi di vigila 2 del inderogabili e .4 l’a notturne nel ei detenuti di cui all’art urno comprovate esigenze di d e n n o io iz ott osservazi .82 e dal serv . 4 del DPR servizio”. Pertanto nel n 9 9 io ra b b tuo caso specifico, ecco DPR 15 fe rt. art. 21 co armata, ex a N del 24 marzo 2004 di vigilanza Q il di seguito, l'istanza che 3 lett. c dell’A a superato h 82/99 e 9 co. te puoi presentare n ve ri lo sc . in quanto à et all'Ufficio Servizi presso i d o o o ann orgon cinquantesim nticipatamente e si p la tua sede a Si ringrazia d'appartenenza.F ti. cordiali salu Firma Un saluto Agente Sara Data, Polizia Penitenziaria n.246 • gennaio 2017 • 15
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DIRITTO E DIRITTI
Giovanni Passaro Vice Segretario Regionale Sappe Lazio passaro@sappe.it
La sospensione delle ordinarie regole di trattamento penitenziario (art. 41-bis)
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l regime previsto all’art.41-bis è stato introdotto dalla legge di riforma n. 663/86, allo scopo di legalizzare gli interventi straordinari necessari per il mantenimento dell’ordine e della sicurezza. Nel corso del tempo, molteplici sono stati gli interventi in materia, soprattutto nei riguardi dei commi successivamente introdotti, la cui portata era circoscritta in un lasso di tempo determinato e divenuta poi definitivamente parte dell’art. 41-bis con la Legge 23 dicembre del 2002, n.79.
Nella foto: cella adibita al regime speciale 41 bis
Ci riferiamo ai commi 2 e seguenti, la cui ratio non è limitata al mantenimento dell’ordine e della sicurezza, bensì nella lotta alla criminalità organizzata, costituendo, come vedremo, utili strumenti per garantire non la sicurezza interna dell’istituto, ma quella pubblica esterna. Il secondo comma, infatti, prevede che quando ricorrano gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica, anche a richiesta del Ministro dell’Interno, il Ministro della Giustizia ha altresì la facoltà di sospendere, in tutto o in parte, nei confronti dei detenuti o internati per taluno dei delitti di cui al primo periodo del comma 1 dell’art. 4-bis o comunque per un delitto che
sia stato commesso avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l’associazione di tipo mafioso, in relazione ai quali vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con un’associazione criminale, terroristica o eversiva, l’applicazione delle regole di trattamento e degli istituti previsti dalla legge medesima che possano porsi in concreto contrasto con le esigenze di ordine e di sicurezza. Come si coglie dalla norma, i destinatari del provvedimento ministeriale, sono individuati nei condannati che hanno commesso uno dei reati di cui all’art. 4-bis, condannati che facenti parte di un nucleo di criminalità organizzata, sono considerati particolarmente pericolosi per la società. Il dato caratterizzante l’articolo è costituito dal fatto che la sospensione delle ordinarie regole del trattamento penitenziario, si applica sulla base del reato per il quale il soggetto si trova detenuto. Inoltre, la giurisprudenza dei Tribunali di Sorveglianza è solita sostenere che per i detenuti condannati per i reati di cui all’ultima parte della norma in esame, non è sufficiente il solo titolo di condanna, ma bisognerà valutare anche la presenza di elementi che possano far presumere un collegamento attuale con la criminalità organizzata, e da ciò discende che una volta scontata la pena riferibile al reato ostativo, il provvedimento con il quale è stata disposta la sospensione, perde efficacia, salvo che non si presuma l’attualità del collegamento con la criminalità organizzata. Passando ora a esaminare il contenuto delle maggiori restrizioni di cui si fa portatore l’articolo in esame, possiamo evidenziare fin da subito la portata generale delle prescrizioni e
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l’eccessivo ambito di discrezionalità lasciato all’Esecutivo nell’individuare i soggetti e le relative restrizioni. Infatti, la sospensione delle regole di trattamento e degli istituti di cui a comma 2 sopracitato, prevede da un lato l’adozione di misure di elevata sicurezza interna ed esterna, con riguardo principalmente alla necessità di prevenire contatti con l’organizzazione criminale di appartenenza o di attuale riferimento, e dall’altro alcune restrizioni più dettagliate, in particolare, nella determinazione dei colloqui, individuandone nel numero di uno al mese, organizzati in apposti locali tali da impedire il passaggio di oggetti, si vietano i colloqui con persone diverse dai familiari o conviventi (salvo casi eccezionali, determinati volta per volta dal direttore dell’istituto), si prescrive un controllo audiovisivo e le registrazioni dei medesimi (salvo per i colloqui con il difensore); la corrispondenza è sottoposta a visto di censura e la permanenza all’aperto non può superare la durata di due ore al giorno (Art. 41-bis, comma 2quater). Il provvedimento è emesso con decreto motivato del Ministro della Giustizia, anche su richiesta del Ministro dell’Interno, sentito l’ufficio del PM che procede alle indagini preliminari ovvero quello presso il giudice procedente, e acquisita ogni altra necessaria informazione presso la Direzione Nazionale Antimafia, gli organi di polizia centrali e quelli specializzati nell’adozione di contrasto alla criminalità organizzata, terroristica o eversiva (art. 41-bis, comma 2-bis). Il provvedimento medesimo ha durata pari a quattro anni ed è prorogabile nelle stesse forme per periodi successivi, ciascuno pari a due anni,
DIRITTO E DIRITTI proroga che si dispone quando risulta che la capacità di mantenere collegamenti con l’associazione criminale, terroristica o eversiva non è venuta meno e ciò in quanto il mero decorso del tempo non costituisce, di per sé, elemento sufficiente per escludere la capacità di mantenere i collegamenti con l’associazione o dimostrare il venir meno dell’operatività della stessa. Infine, nella disciplina delineata dall’art. 41bis, i commi quinquies e sexies, stabiliscono anche una tutela giurisdizionale nei confronti di tale disciplina e consente ai soggetti nei confronti dei quali è stata applicata la disposizione di poter proporre reclamo entro 20 giorni, presentata inderogabilmente al Tribunale di Sorveglianza di Roma. Esposti brevemente i tratti salienti della disciplina e l’iter procedimentale occorrente per l’applicazione del regime, è opportuno rammendare che frequentemente è stata interpellata la Corte Costituzionale al fine di vagliare la compatibilità costituzionale della materia. La Corte è, difatti, intervenuta con la nota sentenza n. 349/93, con la quale seppure ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 41-bis, comma 2, sollevata in riferimento agli artt. 13, comma 1 e 2 Cost. e 27 comma 3 Cost., 97 e 113 Cost., detta alcuni principi interpretativi al fine di rendere conforme la disciplina al dettato costituzionale. La Corte, con tale sentenza rammenta che anche ai soggetti sottoposti a legittime restrizioni della libertà personale deve essergli garantita la tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, con particolare riferimento alle garanzie dettate dall’art. 13 della Costituzione, e che pertanto, eventuali provvedimenti introduttivi di ulteriori restrizioni, devono essere adottati tenendo presente le stesse garanzie di riserva di legge e di giurisdizione previste dall’art. 13. Prosegue la Corte a delimitare l’ambito di operatività dell’amministrazione penitenziaria, sancendo che quest’ultima non può adottare
provvedimenti che tendono a violare ulteriormente la libertà personale ovvero contrari al senso d’umanità e al diritto di difesa, ma al contrario, devono conformarsi ai principi di proporzionalità e individualizzazione della pena. Alla luce di tali direttive, la Corte con la sentenza citata afferma che l’art. 41bis, comma 2 deve interpretarsi come segue: in primo luogo, il provvedimento di sospensione deve riguardare solo quegli istituti dell’ordinamento penitenziario che appartengono alla competenza dell’amministrazione medesima e che attengono al regime di detenzione in senso stretto; in secondo luogo, il provvedimento potrà contenere la previsione di un regime maggiormente restrittivo, soltanto qualora si giustifichi nella necessità di rieducazione del condannato e solo successivamente, nella necessità di mantenere la sicurezza e l’ordine pubblico; il provvedimento ministeriale, anche in assenza di una espressa previsione normativa, deve essere motivato, al fine di consentire la piena esplicazione della tutela giurisdizionale. Con altro intervento, specificò inoltre che non si possono disporre misure che per il loro contenuto non siano riconducibili alla concreta esigenza di tutelare l’ordine e la sicurezza, o siano palesemente inidonee e incongrue rispetto alle esigenze di ordine e di sicurezza che motivano il provvedimento, ma soprattutto, che su tale provvedimento il controllo spetti al Tribunale di sorveglianza, non esercitando una giurisdizione di legittimità sull’atto bensì esercita soltanto un potere di pronuncia sui diritti e sul trattamento del detenuto sulla base delle norme legislative e regolamentari applicabili. In conclusione, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 41-bis, comma 2-quater, lettera b), ultimo periodo, della legge n. 354 del 1975, limitatamente alle parole "con i quali potrà effettuarsi, fino ad un massimo di tre volte alla settimana, una telefonata o un colloquio della stessa durata di quelli
previsti con i familiari". Secondo l'impostazione dominante della giurisprudenza costituzionale, la garanzia costituzionale del diritto di difesa comprende la difesa tecnica e, dunque, anche il diritto di conferire con il difensore, al fine di definire e predisporre le strategie difensive e di conoscere i propri diritti e le possibilità offerte dall’ordinamento per tutelarli e per evitare o attenuare le conseguenze pregiudizievoli cui si è esposti. Come evidenziato dal giudice delle leggi "il diritto in questione assume una valenza tutta particolare nei confronti delle persone ristrette in ambito penitenziario, le quali, in quanto fruenti solo di limitate possibilità di contatti interpersonali diretti con l’esterno, vengono a trovarsi in una posizione di intrinseca debolezza rispetto all’esercizio delle facoltà difensive".
La Corte ha, dunque riconosciuto che tale diritto "é suscettibile di bilanciamento con altre esigenze di rango costituzionale, così che il suo esercizio può essere variamente modulato o limitato dal legislatore" ma "a condizione che non ne risulti compromessa l'effettività". Principi che "valgono in modo particolare quando si discuta di restrizioni che incidono sul diritto alla difesa tecnica delle persone ristrette in ambito penitenziario, rese più vulnerabili, quanto alle potenzialità di esercizio delle facoltà difensive dalle limitazioni alle libertà fondamentali insite, in via generale, nello stato di detenzione". F
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Nella foto: Agente della Divisione Investigativa Antimafia
LO SPORT
Lady Oscar rivista@sappe.it
Una bella giornata di sport giovanile
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Nelle foto: le centinaia di ragazzi che hanno partecipato alla “Stramunicipale” di Roma
l 15 gennaio si è svolta la XVII edizione della corsa campestre di Villa Carpegna organizzata dal Gruppo Sportivo Fiamme Azzurre e onorata dalla partecipazione di ben 800 studenti delle scuole elementari e medie della capitale. Seguita da Rai Gulp e apprezzata da insegnanti e ragazzi, la “Stramunicipale” del quartiere Aurelio è stata una bella giornata di sport, amicizia e fair play, che ha dato avvio alla stagione 2017 del cross laziale. Tantissimi in gara, in tutte le categorie, molte le "Fiamme Azzurre Giovani"
settore giovanile dell’atletica targata Polizia Penitenziaria. Flavio è un bimbo non vedente, classe 2009. Nel cross regionale di Casal del Marmo, assistito dalla guida Stefano Ciallella, ha portato a termine una gara di circa 400 metri, correndo “libero” rispetto al tecnico sempre e comunque pronto a sostenerlo in caso di pericolo. Per lui buona prova ed applausi a scena aperta del numeroso pubblico di presenti. Prima di correre sostegno e parole di incoraggiamento gli sono giunte da molti campioni del Gruppo Sportivo di
che con grande entusiasmo, impegno e fatica si sono date battaglia lungo tutto il tracciato affollatissimo di piccoli atleti. Citazione di merito per il bel 5° posto di squadra per la categoria Ragazze, ma anche per la splendida organizzazione curata dal Gruppo Sportivo Fiamme Azzurre con tecnici e volontari che hanno reso impeccabile ogni fase dell’evento. Tra tutti i giovani delle Fiamme Azzurre si deve sottolineare l’ottimo esordio di un piccolo atleta diversamente abile, Flavio Soriano, applauditissimo ed in crescita dopo solo pochi mesi di attività presso il
varie discipline: tra i molti atleti che hanno tifato per Flavio anche la bella e brava compagna di disciplina Giusy Versace, che con calore ed affetto ha ricordato alla giovane fiamma
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Tanti studenti alla “Stramunicipale” del quartiere Aurelio di Roma
azzurra di gareggiare ma anche e soprattutto di divertirsi, primo “lavoro” di coloro i quali da piccoli si affacciano alle competizioni sportive di qualunque tipo. F
Pattinaggio: Oro per Cecilia Maffei nella staffetta femminile 3000 metri short track
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al ghiaccio ancora soddisfazioni per le Fiamme Azzurre. Dopo il positivo rientro di Carolina Kostner alle competizioni del pattinaggio di figura ed i titoli di campione d’Italia conquistati, oltre che dalla fuoriclasse bolzanina, da Anna Cappellini e Luca Lanotte nella danza, Cecilia Maffei con la staffetta di “short track” porta alle Fiamme Azzurre il primo oro continentale della stagione. La festa al Palavela di Torino (13/15 gennaio) si era aperta con la vittoria del capitano e leader della squadra
azzurra Arianna Fontana nell’individuale. La valtellinese ha raggiunto il sesto titolo europeo in carriera proprio nella pista dove tutto era iniziato: con il bronzo olimpico nel 2006 quando non aveva neppure 16 anni e in cui ha vinto il titolo continentale del 2009. La rassegna in Italia ed il Mondiale di Rotterdam (previsto a marzo) erano i suoi obiettivi stagionali ed importante è stato il suo apporto al quartetto italiano della staffetta di “short track” in cui la nostra Cecilia Maffei ha brillato in una gara praticamente perfetta dal punto di vista della conduzione tattica e della tenuta fisica.
Le ragazze schierate dal ct Keran Gouadec hanno davvero entusiasmato il Palavela: Cecilia Maffei, Martina Valcepina, Lucia Peretti e Arianna Fontana, dopo un'iniziale testa a testa con l'Olanda di Rianne de Vries e Suzanne Schulting (bronzo), hanno dovuto resistere all'assalto della temibile Ungheria (argento). Sulla distanza dei 3000m le azzurre hanno chiuso in 4:17.166 vincendo in una specialità che ha regalato all’Italia grosse soddisfazioni al movimento azzurro dal bronzo di Sochi 2012 in poi. La portacolori della Polizia Penitenziaria, con l’esperienza pluriennale di chi può vantar ben tre partecipazioni olimpiche, è stata impegnata nell’ultimo cambio che ha deciso l’oro di fronte ad un pubblico di oltre 3000 spettatori. Neppure il tempo di esultare e la staffetta maschile composta da Nicola Rodigari, Yuri Confortola, Tommaso Dotti e Andrea Casinelli ha fatto suo il bronzo sulla distanza dei 5000 metri (alle spalle di Olanda e Russia), dopo aver condotto per gran parte la gara. Con l’oro di Torino sono 157 le medaglie europee complessivamente conquistate dalle Fiamme Azzurre nella loro pur recente storia. Appuntamento per il prossimo assalto ai podi continentali, ai campionati di figura sulla pista di Ostrava, dal 25 al 29 gennaio prossimo.
TORINO (13/15 gennaio) Campionati Europei di “short track” – 3000m staffetta F: (1) Italia/Arianna Fontana-CECILIA MAFFEI-Lucia Peretti-Arianna Valcepina-Martina Valcepina 4’17”166 (2b1 4’18”139, 1sf2 4’12”838), (2) Ungheria 4’17”195, (3) Olanda 4’18”446. F
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Nella foto: Cecilia Maffei in gara e il logo di Torino 2017
Nelle foto: sopra Arianna Fontana e il CT Keran Gouadec sopra a sinistra le ragazze della staffetta dei 3000 m F a sinistra Cecilia Maffei
DALLE SEGRETERIE Palermo Befana per i malati pediatrici
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La consegna, come ogni anno è avvenuta sempre grazie alla raccolta di fondi del personale di Polizia Penitenziaria di Pagliarelli . F Vice Comm. Giuseppe Rizzo Comandante C.C. Pagliarelli
in alto a destra la Banda del Corpo suona ad Airola
Ferrara XII edizione della Befana del poliziotto
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nche quest'anno, nella mattinata del 6 gennaio, si è svolta la ricorrenza de La Befana del Poliziotto. Come ormai da dodici anni, infatti, una delegazione di agenti della Polizia Penitenziaria della Casa Circondariale Costantino Satta di Ferrara , con il
La Banda in Piazza
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irola (BN) ospita la Banda della Polizia Penitenziaria in piazza Vincenzo Lombardi. La manifestazione è nata da una collaborazione del Comune di Airola, con la Pro Loco e con l’Istituto Penale Minorile di Airola che ha predisposto il picchetto d’onore. F C.B.
l 6 gennaio all'Ospedale Civico di Palermo Reparto Oncologia Pediatrica, una delegazione della Polizia Penitenziaria di Palermo Pagliarelli ha consegnato i giochi per la ludoteca del reparto e altri giocattoli per ogni singolo bambino ricoverato.
Nelle foto: la Befana solidale di Palermo e Ferrara
Airola
Comandante di Reparto Commissario Annalisa Gadaleta, si è recata presso il Presidio Ospedaliero di Cona (Fe) Unità Operativa di Pediatria, Dipart. Materno Infantile, per portare doni, giocattoli e giochi di società. Questa visita è avvenuta con la gioiosa partecipazione dei clown della associazione Ambulaclaun, Volontari del Sorriso e con la presenza dei personaggi di Star Wars che, con frizzi e gag, hanno reso colorato ed allegro questo momento. Un agente con il violino ha allietato l'evento con le note soavi della sua musica. I doni stupendi sono stati
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donati dal negozio La Giocheria di Ferrara che, per il terzo anno consecutivo, ha collaborato volontariamente a tale iniziativa. I larghi sorrisi dei piccini degenti e dei genitori hanno caratterizzato questa giornata in cui in allegria e serenità sono stati donati da una vecchia signora, quanto mai solidale ...la Befana. F
SEGRETERIE Paola
Teramo
Un corso formativo a Siderno (RC) sulla violenza familiare
Sospetto Jihadista a Castrogno
Allerta radicalizzazione tra le mura del carcere: detenuto tunisino individuato e trasferito da Teramo
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a segreteria Regionale del Sappe Calabria, in data 16 dicembre 2016, è stata invitata, per gli interventi istituzionali, all’apertura del Convegno Formativo dal titolo Violenza Familiare: Donne e Minori, tale convegno è stato accreditato dagli Ordini degli avvocati ed Assistenti Sociali di Reggio Calabria. Il Sappe ha aderito positivamente all’iniziativa proposta dall’organizzatrice Dott.ssa Marialucia Pugliese, rappresentando in quella sede la categoria della Polizia Penitenziaria aderenti all’organizzazione sindacale. Nell’intervento dei saluti istituzionali il Sappe è stato rappresentato dal Vice Segretario Regionale per la Calabria Dott. Salvatore Panaro, che ha illustrato i compiti demandati alla
Campania Riunione del settore Minorile del Sappe
Polizia Penitenziaria che quotidianamente all’interno degli istituti penitenziari sono chiamati, oltre, che a garantire l'ordine e tutela della sicurezza dando garanzia nell'esecuzione delle misure privative della libertà personale, a partecipare nell'ambito di gruppi di lavoro, alle attività di osservazione e trattamento rieducativo dei detenuti e degli internati, in tale contesto anche nella gestione di individui che hanno commesso crimini in ambito familiare. Al convegno formativo, hanno partecipato quali relatori: il Criminologo dott. Sergio Caruso, il Prof. Carabetta docente dell’Università di Messina, le psicologhe dott.sse Ciambrone e Lo Prete, nonché gli Avvocati Stillitano e Caracciolo. F Il segretario locale di Paola Gerardo Coscarella
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l 29 dicembre 2016 si è tenuta la riunione di fine anno tra i rappresentanti dei Settore Minorile del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria della Campania. La location prescelta è stata come sempre il ristorante Hermanos di Avella, ove invitiamo gli iscritti a recarsi per assaggiare le specialità della zona, avendo un trattamento economico di favore. Con l'occasione auguriamo a voi e alle vostre famiglie un anno meraviglioso, ricco di soddisfazioni e felicità. Buon 2017. F
llerta “radicalizzazione” anche tra le mura del carcere teramano di Castrogno. Il fenomeno dell’indottrinamento nei penitenziari italiani, già noto alle forze dell’ordine come rischio, è divenuto di dominio pubblico in tutta Italia. All’inizio dell’anno il Ministero dell’Interno ha diffuso un report del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria nel quale sono inclusi 373 detenuti a rischio “radicalizzazione” islamista. A testimonianza di quanto il rischio nelle carceri italiane sia concreto c’è anche un caso avvenuto nei mesi scorsi nel penitenziario di Castrogno, dove un detenuto tunisino, denunciato dagli stessi compagni di cella, è stato prima denunciato e poi trasferito in un carcere del Sud Italia come sospetto jihadista, come ha confermato Giuseppe Pallini, Ispettore della Polizia Penitenziaria e Segretario del Sappe - Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria. «Qualche mese addietro - spiega Pallini - abbiamo segnalato un detenuto tunisino che fu subito trasferito in un istituto del sud Italia dove c’erano altri soggetti monitorati e dove esistono reparti penitenziari specializzati. Attualmente ce n’è uno in Calabria e un altro in Sardegna». A dimostrazione di quanto sia concreto l’allarme anche a Teramo, il personale della Polizia Penitenziaria sta partecipando in questi giorni ad un corso di formazione specifico per imparare a riconoscere immediatamente i segnali di radicalizzazione tra i detenuti. M.D.T. F
Polizia Penitenziaria n.246 • gennaio 2017 • 21
Nelle foto: a sinistra immagini del Corso formativo tenutosi a Siderno (RC)
Nelle foto: sopra l’Ispettore Giusppe Pallini di Teramo a sinistra i rappresentanti dei Minori della Campania
DALLE SEGRETERIE Ferrara I titoli di studio, dell’Università Telematica PEGASO, oltre ad accrescere la cultura personale, sono spendibili per la partecipazione a concorsi riservati a laureati (esempio Commissario penitenziario).
Il Befanone del poliziotto
D Nelle foto: alcuni momenti della festa organizzata per i figli dei poliziotti penitenziari in occasione della Befana, tenutasi nella caserma del carcere di Ferrara
opo aver organizzato La Befana del Poliziotto che ha distribuito doni ai bambini del Reparto pediatrico dell’Ospedale di Cona (Fe), gli agenti del reparto di Polizia Penitenziaria hanno allestito nella caserma "Costantino Satta" dellla Casa Circondariale di Ferrara l’evento Befanone del poliziotto 2017 che ha portato tanta allegria e sorrisi per i figli dei poliziotti penitenziari. Un ringraziamento corale va rivolto a tutte quelle persone che dietro le quinte hanno dato il loro contributo, in primis al dirigente dott. Malato e al Comandante di Reparto Commissario Annalisa Gadaleta che hanno dato il loro consenso a tale evento e ai volontari dell'Associazione Vola nel cuore, che con i loro “claun” (come li chiamano loro) hanno donato ai più piccini un sorriso e tanta allegria. In ulteriore ringraziamento va rivolto al ristorante La Tentazione 2 (Liborio Trotta). F Fabio Renda
Costi e pagamenti in convenzione Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza: retta annuale 1.700 euro anziché 3.000 euro rateizzabile in 4 rate Percorso Class Form (Principi delle Scienze Giuridiche) riservato ai diplomati Durata annuale, carico didattico 1.350 ore corrispondenti a 54 CFU. Progetto finalizzato a fornire le basi ed una preparazione di livello elevato nel settore delle Scienze Giuridiche per l’avviamento al Corso di Laurea Magistrale. Contenuti e crediti formativi Tematica
SSD
CFU
1
Principi costituzionali
IUS/08
9
2
Istituzioni di diritto romano
IUS/18
12
3
Istituzioni di diritto privato
IUS/01
18
4
Storia del diritto medievale e moderno
IUS/19
9
5
Teoria generale del diritto e dell’interpretazione
IUS/20
6
Totale
54
Costi e pagamenti in convenzione Class Form: Forze dell’ordine: 1.200 euro anziché 1.800 euro rateizzabili in 3 comode rate Sedi d’esame: Napoli, Torino, Roma, Palermo, Trani, Bologna, Milano, Assisi, Messina, Ariano Irpino, Acireale, Agrigento, Cagliari, Caltanissetta, Campobello di Mazara (TP), Catania, Cosenza, Firenze, Latina, Macerata, Reggio Calabria, Siracusa, Venezia, Vibo Valentia, Vittoria (RG).
info e appuntamenti:
06.3975901 studipenitenziari@gmail.com Via Trionfale, 140 • Roma
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la scheda del film
Riot In rivolta
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iot - In rivolta, è un film thriller d’azione ambientato in una prigione di massima sicurezza americana, arrivato in Italia soltanto in home video. Protagonista della pellicola è il poliziotto Jack Stone, interpretato da un bravissimo Matthew Reese, che finge una rapina in banca per farsi arrestare e poter entrare, così, nella prigione dove è ristretto Balam, un pericolosissimo boss della mafia russa. Balam (interpretato da Chuck Liddell, ex lottatore di arti marziali miste statunitense) non è soltanto un pericoloso mafioso, ma è un vero capo dei capi, molto astuto e spietato, che controlla anche le forze di polizia da dietro le sbarre. Balam vive in carcere per scelta e per esercitare meglio il suo vero potere: il padrone della città. La sua cella è una lussuosa camera privata costruita appositamente per lui, inaccessibile dalle altre parti del penitenziario, tanto che anche il personale di sorveglianza evita la sua area del carcere. Tuttavia, anche circondato dai suoi scagnozzi e dalle guardie a lui fedeli,
Regia: John Lyde Altro titolo: In rivolta, Imprigionato per uccidere Soggetto: John Lyde Sceneggiatura: John Lyde, Spanky Dustin Ward Fotografia: Airk Thaughbaer Montaggio: Airk Thaughbaer, Katerina Valenti Musica: James Schafer Scenografia: Lauren Spalding Costumi: Larissa Beck Produzione: Mainstay Productions, Matthew Reese Films, VMI Worldwide Distribuzione: VMI Worldwide
CINEMA
a cura di Giovanni Battista de Blasis
Balam non sfuggirà alla tremenda vendetta di Stone, che scopriremo odiare a morte il mafioso perché responsabile dell’omicidio della sua famiglia. Peraltro, Jack troverà l’insperato aiuto di un altro detenuto (Dolph Lundgren, il famoso Ivan Drago del “ti spiezzo in due” a Rocky Balboa) altrettanto nemico di Balam e che risulterà essenziale per la vendetta finale. F
Personaggi e interpreti: Jack Stone: Matthew Reese William: Dolph Lundgren Alena: Danielle Chuchran Balam: Chuck Liddell Procuratore Distrettuale Johnson: Michael Flynn Trisha Sinclair: Renny Grames Allison: Eve Mauro Kat: Melanie Stone Rhiana (Michaela Chernoch): Michaela McAllister Kesha: Amy Sturdivant Warden Blain: D.L. Walker Mark Crane (Andrew W. Johnson): Andrew Troy Olesya: Paris Warner Semyon: Nikita Bogolyubov Fedor: Chris Rueckert Timur: Beni Alexander Savva: Benji Phillips Losif: Corbett McAllister Genere: Azione Durata: 87 minuti, Origine: USA 2015 Nelle foto: la locandina e alcune scene del film
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CRIMINI E CRIMINALI
Maurizio Giugliano: Pasquale Salemme Segretario Nazionale del Sappe salemme@sappe.it
la mattanza dell’Agro Romano
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l fenomeno dell'omicidio seriale, come più volte sottolineato in questa rubrica, crea da sempre un grande interesse mediatico: anche se tale interesse non ha contribuito, a mio parere, ad approfondire la conoscenza del fenomeno ma, semmai, ne ha inflazionato la figura attribuendo a semplici assassini l’etichetta di serial killer: non sempre l’uccisione di una o più persone attribuisce all’autore lo “status” di serial killer.
Nelle foto: sopra Maurizio Giugliano a destra Thea Stroppa la prima vittima
Il termine serial killer è stato introdotto in epoca abbastanza recente, agli inizi degli anni '80; prima di allora, si parlava genericamente di "omicidio multiplo", allorquando ci si trovava di fronte ad un unico assassino che uccideva più di una persona. Il termine fu coniato per la prima volta negli U.S.A., dall’agente speciale dell’F.B.I. (Federal Bureau of Investigation) Robert Ressler. Il serial killer, secondo la definizione operata dall’FBI, uccide tre o più vittime, in luoghi diversi e con un periodo di "intervallo emotivo" ("cooling off time") fra un omicidio e l'altro; in ciascun evento delittuoso, il soggetto può uccidere più di una vittima; può colpire a caso oppure sceglierla accuratamente; spesso
ritiene di essere invincibile e che non verrà mai catturato. Inoltre, Holmes e De Burger, autori di quella che è forse la più nota ed ampia classificazione dei serial killer basata sullo studio di 110 casi, distinguono quattro tipi di omicidi seriali, a seconda delle motivazioni: il “Visionary Motive Type”, che risponde ad allucinazioni imperative che ordinano di uccidere una certa classe di persone; il “Mission Oriented Motive Type” che pur intenzionato a “ripulire il mondo” da certe categorie di persone, non mostra segni di psicosi; nel caso dell'omicida seriale “Edonistic” quel che viene ricercato è il proprio interesse o il proprio piacere, il che comporta sia omicidi per libidine, sia per il puro gusto del brivido, sia, infine, per impossessarsi di beni materiali; il “Power/Control–Oriented Type”, infine, uccide perché ricava godimento dal potere assoluto sulla vittima (in questi casi i delitti avranno caratteristiche di particolare ferocia la prolungata tortura avrà lo scopo di protrarre il piacere stesso del dominio). Gli autori, inoltre, hanno definito quelli che, secondo loro, sono gli elementi caratteristici dell'omicidio seriale: l'elemento centrale è la ripetizione dell'omicidio; l'assassino seriale continua ad uccidere finché non viene fermato; il periodo in cui avvengono gli omicidi può estendersi per molti mesi o anni; l'omicidio seriale avviene "uno contro uno", tranne rare eccezioni; di solito, fra l'assassino e la sua vittima non c'è alcun tipo di relazione oppure, se c'è, è superficiale; l'assassino seriale prova "l'impulso ad uccidere"; gli omicidi seriali non sono crimini di passione né originati da una provocazione della vittima; negli omicidi seriali, mancano, tipicamente, motivi evidenti (1).
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Tali caratteristiche ben rispecchiano il profilo criminale di Maurizio Giugliano, uno dei più spietati serial killer italiani. La lunga scia di sangue attribuita a Giugliano inizia nell’estate del 1983. La mattina del 15 luglio, in un cantiere sulla via Flaminia, a Roma, viene trovato il cadavere di una donna, successivamente identificata in Thea Stroppa, una prostituta di circa 30 anni. L’autopsia rileverà che l’assassino, dapprima ha violentato sessualmente la vittima e, successivamente, l’ha strangolata e colpita alla nuca con un colpo di pistola. Inoltre, la donna viene ritrovata con il volto coperto di terra e sassi. Il successivo 22 luglio, a Passo Corese sulla via Salaria, pochi chilometri a nord di Roma, viene uccisa un’altra donna, Luciana Lupi, di 45 anni, anch’essa meritrice di professione. La donna, anch’essa, viene dapprima violentata e poi strangolata con delle calze di nylon. Anche in questo caso, il volto della donna è totalmente ricoperto di arbusti e pietre. Il 24 luglio, a soli due giorni dal ritrovamento della Lupi, all’interno della grande pineta di Castelporziano, nell'area sud del comune di Roma, esternamente al Grande Raccordo Anulare, viene trovato il corpo senza vita di un’altra prostituta, Lucia Rosa, di 33 anni. La donna, che ha subito violenza carnale, è stata strozzata con il suo reggiseno. Per gli investigatori le analogie riguardo alle modalità di esecuzione dei tre omicidi delle prostitute appaiono evidenti, anche se inizialmente i primi due assassini vengono catalogati come “omicidi connessi all’ambiente della prostituzione”.
CRIMINI E CRIMINALI Inizia, quindi, a farsi strada tra gli inquirenti, l’ipotesi di un serial killer, seppure gli indizi per determinarne un profilo siano quasi del tutto insufficienti. Il 5 agosto 1983, a Sabaudia, nel cuore dell' Agro Pontino, a 90 km da Roma e a 25 Km da Latina, l’ennesimo assassinio di una donna. Il corpo di Giuliana Meschi, impiegata comunale, viene ritrovato in un campo di granoturco. Dalla perizia autoptica emerge che è stata sgozzata e martoriata selvaggiamente. L’assassino le è saltato addosso più volte schiacciandola con il peso del corpo e poi l’ha sgozzata. La donna, a differenza delle altre, era una persona perbene e senza lati oscuri. L’omicidio della donna rappresenta una piccola svolta per gli inquirenti, in quanto un contadino ha visto un uomo
fuggire a piedi e poi allontanarsi a bordo di una Ford Capri gialla con il tettuccio nero. Passano pochi mesi e il killer torna a uccidere. Alle 7:30 di lunedì 31 ottobre, su segnalazione di un contadino, i carabinieri di Pratica di Mare ritrovano, in una cunetta a bordo strada, a circa sei chilometri da Pomezia, sempre nell'Agro Romano, il cadavere di una donna con indosso solo un maglioncino bianco e nero e un reggiseno color carne. Accanto al corpo uno slip, due gambaletti bianchi e un coltello a serramanico lungo dieci centimetri, la "molletta" dei malavitosi di periferia. Fernanda Durante, pittrice di via Margutta, viene dapprima stuprata e poi trafitta da 37 coltellate. La sera del 21 gennaio 1984, a
Grottaferrata, nell’area dei Castelli Romani, si consuma “l’ultimo omicidio”. Catherine Skerl, una bella ragazza italo-svedese di 17 anni, saluta gli amici e lascia una festa per far rientro alla propria abitazione. La ritroveranno sommersa nel fango di una vigna: violentata, strangolata e massacrata. Stavolta però il killer è stato notato da un testimone che ha visto salire la ragazza su uno scooter guidato da un giovane, successivamente individuato nella persona di Maurizio Giugliano. Maurizio Giugliano è un giovane di 22 anni affetto da gravi disturbi della personalità sin dall’infanzia. Il presunto serial killer era nato il 7 giugno del 1962 a Roma, da una famiglia di contadini. Secondo di quattro figli, venne alla luce da parto con applicazioni di forcipe (strumento utilizzato in ostetricia costituito da due braccia metalliche incrociate che funzionano come una grande pinza in grado di cingere la testa del bambino favorendo la fuoriuscita dello stesso in tempi brevi). Secondo i genitori tale procedura aveva provocato seri danni cerebrali al bambino. A sette anni viene ricoverato in un istituto assistenziale ed inizia ad essere seguito da un equipe di specialisti che riscontrarono diverse patologie psichiche. Inoltre, ad otto anni fu investito da un’automobile subendo un ulteriore grave trauma, a seguito del quale divenne aggressivo e pericoloso con tutti. A scuola, qualche anno dopo, strappo un occhio ad un compagno con una forchetta. A diciassette anni picchiò e violentò una donna: scontata una breve condanna, uscì di prigione con il dichiarato proposito di vendicarsi sulle donne. Nullafacente e senza fissa dimora, fu più volte arrestato per furto, ricettazione, rapina, lesioni personali. Nel 1983, nonostante le riluttanze della famiglia, sposa Rosa, una ragazza minorenne, la quale dopo qualche mese rimase incinta; la relazione fu causa di continui litigi con la famiglia della ragazza.
Nel 1984, l’ennesimo litigio con la suocera fu la causa dell’incendio che Giugliano appicco alla casa della famiglia della ragazza. Per tale reato venne dapprima arrestato e poi condannato e rinchiuso in carcere; quando la polizia arrivò a lui era ancora detenuto. Ma la storia criminale del serial killer Maurizio Giugliano non si ferma qui perché, durante la celebrazione del processo, la Squadra Mobile di Venezia intuisce che probabilmente c’è un’analogia tra la serie criminosa della zona romana e un omicidio di una donna avvenuto nei pressi di Venezia a Punta Sabbioni, l’anno precedente. Il 3 agosto del 1984, Maurizio Giugliano sta viaggiando con la moglie e il cognato.
Fra Venezia e Jesolo si ferma per una sosta a Punta Sabbioni, per comprare le sigarette. Nel mentre si avvia verso la rivendita, nota Maria Negri, affacciata alla finestra vestita in modo succinto. Giugliano entra nel palazzo e raggiunge la donna nella propria abitazione: appena la Maria apre la porta le piomba addosso aggredendola e strangolandola con il filo dell’aspirapolvere. Finita l’opera, torna tranquillamente dalla sua famiglia che lo aspetta in automobile. A carico di Giugliano si aprono diversi processi che si concludono nei modi più disparati: il Tribunale di Latina, per l’omicidio di Luciana Meschi, lo giudica seminfermo di mente; il Tribunale di Roma lo giudica infermo
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Nelle foto: a sinistra il ritrovamento del cadavere di Thea Stroppa sopra a sinistra Kahty Skerl a destra Lucia Rosa
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CRIMINI di mente per l’omicidio di Thea Stroppa e la Corte d’Assise gli infligge una condanna alla pena della reclusione a 17 anni per omicidio volontario, riconoscendogli la seminfermità di mente. Maurizio Giugliano, rinchiuso in carcere, viene ubicato nella stessa cella di Agostino Panetta, capo di una banda criminale che agli inizi degli anni ’80 aveva compiuto diversi sequestri di persona nella Capitale. Giugliano confessa al compagno di cella l’uccisione delle sette donne, descrivendone anche i dettagli dell’esecuzione. Il Panetta, rivela tutto ciò che ha appreso dal Giugliano ai magistrati, che dopo riscontri e testimonianze,
Nella foto: il Tribunale di Latina
formulano un’ulteriore accusa a carico del Giugliano per tutti e sette gli omicidi. Il killer viene nuovamente processato e condannato per soli due dei sette crimini. All’età di 31 anni viene rinchiuso nell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Montelupo Fiorentino, nel corso della sua detenzione strangola il compagno di cella, colpevole di avergli negato una sigaretta. Trasferito all’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Reggio Emilia, Maurizio Giugliano, soprannominato “il lupo dell’Agro Romano” muore, all’interno della struttura penitenziaria, nel 1994 per un infarto. Alla prossima... F Note (1) R. Holmes, J. De Burger, Serial Murder, Sage, Newbury Park 1988.
SICUREZZA SUL LAVORO
P
rima di affrontare il tema relativo alle responsabilità ed agli obblighi del datore di lavoro è bene fare un piccolo passo indietro al fine di rammentare la definizione di questa figura. Secondo l’art. 2 del Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro, il Datore di lavoro è il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa. Nelle pubbliche amministrazioni, per datore di lavoro si intende il dirigente al quale spettano i poteri di gestione (nel caso di un Istituto penitenziario è il Direttore d’istituto), ovvero il funzionario non avente qualifica dirigenziale, nei soli casi in cui quest’ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale, individuato dall’organo di vertice delle singole amministrazioni tenendo conto dell’ubicazione e dell’ambito funzionale degli uffici nei quali viene svolta l’attività, e dotato di autonomi poteri decisionali e di spesa. Questa definizione riafferma con maggiore fermezza che obbligo di garanzia della norma relativa alla sicurezza nei luoghi di lavori spetta in particolare al datore di lavoro in quanto primo destinatario della norma stessa, trovando, come abbiamo visto trattando l’argomento delle fonti normative di questa delicata materia, fondamento soprattutto nei principi costituzionali sanciti agli articoli 2,4,32,35 e 41 della Costituzione. Tali norme costituzionali debbono, però, essere lette congiuntamente all’art. 2087 del codice civile nel quale è sancito l’obbligo di protezione dell’integrità fisica e della personalità morale dei lavoratori. Questa disposizione sottolinea la necessità che il garante ottemperi non soltanto alle regole cautelari scritte, ma anche a quelle norme prevenzionali che una figura quale quella del datore di lavoro è in grado di ricavare dall’esperienza, secondo i canoni di diligenza, prudenza e perizia. L’art. 2087 c.c. è dunque una norma “aperta”, che trova la propria specificazione nell’obbligo, a carico del datore di lavoro di attuare le
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misure di sicurezza previste dal Decreto Legislativo n. 81/2008, secondo cui, i datori di lavoro, i dirigenti ed i preposti che esercitano, dirigono o sovrintendono a tutte le attività cui sono addetti lavoratori subordinati o ad essi equiparati devono, nell’ambito delle rispettive attribuzioni e competenze, realizzare le misure di sicurezza previste dal citato decreto. Essi devono, altresì, rendere edotti i lavoratori sia delle norme essenziali di prevenzione sia dei rischi specifici a cui sono esposti in virtù dell’attività lavorativa svolta. Nondimeno, devono disporre ed esigere che i singoli lavoratori osservino le norme relative alla sicurezza, con particolare attenzione affinché siano utilizzati i dispositivi di protezione messi a loro disposizione. Il datore di lavoro ha pertanto, in funzione della normativa prevenzionistica, una funzione di primario garante dell’igiene e sicurezza sul lavoro che gli impone, così come prescritto dall’art. 18 del D.Lgs. n. 81/2008, in particolare di: a) nominare il medico competente per l’effettuazione della sorveglianza sanitaria nei casi previsti dal presente decreto legislativo; b) designare preventivamente i lavoratori incaricati dell’attuazione delle misure di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei luoghi di lavoro in caso di pericolo grave e immediato, di salvataggio, di primo soccorso e, comunque, di gestione dell’emergenza; c) nell’affidare i compiti ai lavoratori, tenere conto delle capacità e delle condizioni degli stessi in rapporto alla loro salute e alla sicurezza; d) fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale, sentito il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e il medico competente, ove presente; e) prendere le misure appropriate affinché soltanto i lavoratori che hanno ricevuto adeguate istruzioni e specifico addestramento accedano alle zone che li espongono ad un rischio grave e specifico; f) richiedere l’osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti, nonché delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di igiene del lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione
SICUREZZA SUL LAVORO
Decreto Legislativo n.81/2008: gli obblighi e le responsabilità del datore di lavoro individuali messi a loro disposizione; g) inviare i lavoratori alla visita medica entro le scadenze previste dal programma di sorveglianza sanitaria e richiedere al medico competente l’osservanza degli obblighi previsti a suo carico nel presente decreto; g bis) nei casi di sorveglianza sanitaria di cui all’articolo 41, comunicare tempestivamente al medico competente la cessazione del rapporto di lavoro; h) adottare le misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso di emergenza e dare istruzioni affinché i lavoratori, in caso di pericolo grave, immediato ed inevitabile, abbandonino il posto di lavoro o la zona pericolosa; i) informare il più presto possibile i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave e immediato circa il rischio stesso e le disposizioni prese o da prendere in materia di protezione; l) adempiere agli obblighi di informazione, formazione e addestramento di cui agli articoli 36 e 37; m) astenersi, salvo eccezione debitamente motivata da esigenze di tutela della salute e sicurezza, dal richiedere ai lavoratori di riprendere la loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste un pericolo grave e immediato; n) consentire ai lavoratori di verificare, mediante il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, l’applicazione delle misure di sicurezza e di protezione della salute; o) consegnare tempestivamente al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, su richiesta di questi e per l'espletamento della sua funzione, copia del documento di cui all'articolo 17, comma 1, lettera a), anche su supporto informatico come previsto dall'articolo 53, comma 5, nonché consentire al medesimo rappresentante di accedere ai dati di cui alla lettera r); il documento è consultato esclusivamente in azienda; p) elaborare il documento di cui
all’articolo 26, comma 3, anche su supporto informatico come previsto dall’articolo 53, comma 5, e, su richiesta di questi e per l’espletamento della sua funzione, consegnarne tempestivamente copia ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza; q) prendere appropriati provvedimenti per evitare che le misure tecniche adottate possano causare rischi per la salute della popolazione o deteriorare l’ambiente esterno verificando periodicamente la perdurante assenza di rischio; r) comunicare in via telematica all’INAIL, nonché per loro tramite, al sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro di cui all’articolo 8, entro 48 ore dalla ricezione del certificato medico, a fini statistici e informativi, i dati e le informazioni relativi agli infortuni sul lavoro che comportino l’assenza dal lavoro di almeno un giorno, escluso quello dell’evento e, a fini assicurativi, quelli relativi agli infortuni sul lavoro che comportino un’assenza al lavoro superiore a tre giorni; s) consultare il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza nelle ipotesi di cui all’articolo 50; t) adottare le misure necessarie ai fini della prevenzione incendi e della evacuazione dei luoghi di lavoro, nonché per il caso di pericolo grave e immediato, secondo le disposizioni di cui all’articolo 43. Tali misure devono essere adeguate alla natura dell’attività, alle dimensioni dell’azienda o dell’unità produttiva, e al numero delle persone presenti; u) nell’ambito dello svolgimento di attività in regime di appalto e di subappalto, munire i lavoratori di apposita tessera di riconoscimento, corredata di fotografia, contenente le generalità del lavoratore e l’indicazione del datore di lavoro; v) nelle unità produttive con più di 15 lavoratori, convocare la riunione
periodica di cui all’articolo 35; z) aggiornare le misure di prevenzione in relazione ai mutamenti organizzativi e produttivi che hanno rilevanza ai fini della salute e sicurezza del lavoro, o in relazione al grado di evoluzione della tecnica della prevenzione e della protezione; aa) comunicare in via telematica all’INAIL, nonché per loro tramite, al sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro di cui all’articolo 8, in caso di nuova elezione o designazione, i nominativi dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza; in fase di prima applicazione l’obbligo di cui alla presente lettera riguarda i nominativi dei rappresentanti dei lavoratori già eletti o designati; bb) vigilare affinché i lavoratori per i quali vige l’obbligo di sorveglianza sanitaria non siano adibiti alla mansione lavorativa specifica senza il prescritto giudizio di idoneità. 2. Il datore di lavoro fornisce al servizio di prevenzione e protezione ed al medico competente informazioni in merito a: a) la natura dei rischi; b) l’organizzazione del lavoro, la programmazione e l’attuazione delle misure preventive e protettive; c) la descrizione degli impianti e dei processi produttivi; d) i dati di cui al comma 1, lettera r) e quelli relativi alle malattie professionali; e) i provvedimenti adottati dagli organi di vigilanza. Il datore di lavoro e i dirigenti sono tenuti altresì a vigilare in ordine all’adempimento degli obblighi di cui agli articoli 19, 20, 22, 23, 24 e 25, ferma restando l’esclusiva responsabilità dei soggetti obbligati ai sensi dei medesimi articoli qualora la mancata attuazione dei predetti obblighi sia addebitabile unicamente agli stessi e non sia riscontrabile un difetto di vigilanza (culpa in vigilando) del datore di lavoro e dei dirigenti. F
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Luca Ripa Dirigente Sappe Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza rivistai@sappe.it
WEB E DINTORNI
Federico Olivo Coordinatore area informatica del Sappe olivo@sappe.it
Carceri e web sono la prima linea nella lotta al terrorismo islamico: noi della Polizia Penitenziaria siamo pronti?
C
arceri e web sono la prima linea nella lotta al terrorismo islamico. Lo affermano più che esplicitamente in una conferenza stampa sia il Presidente del Consiglio che il Ministro dell’Interno. L’occasione per parlarne è stata la relazione che un gruppo di esperti ha consegnato al Governo, frutto di quattro mesi di lavoro su come prevenire l'estremismo jihadista, che prolifera sul web e nelle carceri.
Nella foto: jihadisti in posa con la bandiera dell’Isis
Il testo completo della relazione non è stato diffuso nemmeno alla stampa, ma evidentemente contiene argomentazioni sufficientemente convincenti per indurre le istituzioni ad individuare carceri e web come le “frontiere” su cui porre la massima attenzione. Questo non significa che fino ad ora non è stato fatto nulla, ma forse non è stato abbastanza. Forse chi ha titolo e compito di prendere le decisioni nel DAP (tanto per fare un esempio in casa nostra), ancora non ha compreso bene la portata del problema in tutte le sue sfaccettature e le possibili implicazioni che si nascondono dietro la parola “web”, oppure, cosa molto più preoccupante, non è in grado di capirlo. Di quali e quante siano le implicazioni da prendere in considerazione, ne ha parlato in un articolo su Il Sole 24 Ore, l’ex Generale della Guardia di Finanza Umberto Rapetto, già
comandante del Gruppo Anticrimine Tecnologico che nel 2001 catturò e fece condannare gli hacker penetrati nel Pentagono e nella NASA: “È impreciso parlare di web, forse pericolosamente limitativo. La ragionevole fonte di angoscia risiede infatti nelle tecnologie, caratterizzate da una smisurata trasversalità (che le porta ad una sorta di onnipresenza) e dal loro inevitabile impiego duale (che determina l’utilizzo di strumenti per finalità ben differenti dall’originario scopo per i quali erano stati inventati e commercializzati).” Cosa significa? Significa che ci troviamo di fronte ad una notevole accelerazione delle possibilità che i singoli componenti tecnologici ci mettono a disposizione, dei quali però non va considerato solo il singolo utilizzo per cui erano stati progettati, ma anche le risposte che possono offrire ai bisogni di persone interessate ad un loro utilizzo per fini criminali. C’è di più. Vanno considerate anche tutte le possibili combinazioni tra i vari prodotti e loro componenti che possono creare a loro volta altri strumenti, funzioni, utilizzi. Siamo di fronte ad una “competizione” (ormai tristemente dichiarata) tra chi, per esempio, acquista una Playstation per fini ludici e chi la utilizza perché quel “giocattolo” offre un sistema di cifratura tale da consentire loro un vantaggio rispetto alle migliori agenzie di intelligence governative. Il Generale Rapetto individua il primo fattore di questo vantaggio “nella pluralità di mezzi di collegamento, varietà assicurata sia sotto il profilo hardware (pc, tablet, smartphone), sia sotto quello software (deep web, dark net, instant messaging, spazi gratuiti in cui piazzare contenuti e disposizioni operative...), sia sul fronte delle opportunità di accesso
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(a partire dai mille hotspot – o punti di accesso – gratuiti a disposizione di chiunque desideri adoperare in modo anonimo una rete wi-fi libera).” Quindi opportunità, bassi costi (se non addirittura gratuiti), facilità e pervasività d’uso tali da rendere praticamente “invisibile” chiunque. Ma questo è solo il primo aspetto critico: “Il secondo punto di vantaggio è la sostanziale impreparazione delle Istituzioni a misurarsi su questo campo di battaglia”. Prosegue Rapetto: “quando un quarto di secolo fa imploravo che qualcuno mi desse ascolto, ho scoperto la totale insensibilità al problema della sicurezza informatica e in particolare alla drammaticità che avrebbe assunto il non farsi trovare pronti ad una sfida come quella odierna.” E al DAP a che punto siamo? Cosa possiamo dire a riguardo della preparazione della Polizia Penitenziaria, unica forza di polizia dello Stato, chiamata a misurarsi in prima linea in una delle due frontiere, quella delle carceri, nella lotta al terrorismo islamico? Ed è davvero l’unica frontiera dove la Polizia Penitenziaria è chiamata ad intervenire? Oppure la Polizia Penitenziaria è pesantemente esposta anche sulla seconda frontiera delle nuove tecnologie e (ed è l’aspetto più inquietante) nemmeno se ne rende conto (o meglio non se ne rendono conto coloro che la dirigono)? I “segnali” che provengono dal DAP non sono affatto rassicuranti. Quando una quindicina d’anni fa (molto più modestamente del Generale Rapetto) mi ritrovai a lavorare in un ristrettissimo gruppo di informatici della Segreteria Generale del DAP, venimmo incaricati di valutare le possibili implicazioni
WEB E DINTORNI conseguenti alla possibilità di rendere disponibili alla popolazione detenuta, computer portatili, email e accesso ad internet. Erano tutte tecnologie ampiamente alla portata dell’amministrazione penitenziaria, in tutta sicurezza, a patto che venissero messe in atto e rispettate alcune semplici regole. Prima fra tutte, quella di procedere preventivamente ad una formazione specialistica del personale di Polizia Penitenziaria che sarebbe dovuto intervenire su tali tecnologie e, poi, anche lavorare su una consapevolezza diffusa a tutti i poliziotti penitenziari, sui possibili utilizzi fraudolenti di tali strumenti. Poi bisognava rimanere “al passo dei tempi”, specializzarsi, investire in tecnologie e uomini. Era evidente. Poi vennero le sperimentazioni e le soluzioni per “schermare” le carceri per difendersi dall’utilizzo dei primi telefoni cellulari, che già all’epoca iniziavano ad essere rinvenuti dentro le celle. Poi, invece, la Sezione Informatica venne prima dimezzata e poi ridimensionata ad assistenza tecnica. Se oggi, dopo quindici anni, i computer portatili nelle carceri sono a disposizione di chiunque e dovunque senza che nessun poliziotto penitenziario possa realmente considerarsi “pronto” e si sta ancora parlando di email e accesso ad internet per i detenuti e, peggio ancora, si discute allegramente di skype per i ristretti al 41-bis, allora c’è più di una cosa che non va. Davvero non ci si rende conto di cosa significhi mettere a disposizione di un boss mafioso una comunicazione skype (sia pure con tutte le autorizzazioni e i controlli tecnici a monte)? Francamente, a mio avviso, in tutti questi anni si sarebbe potuto fare di più e meglio. Sicuramente si poteva continuare ad “investire” nella Sezione Informatica della Segreteria Generale (magari anche avvicendando il personale scomodo) e, certamente, non si doveva permettere di far sciogliere l’Ufficio informatico del DAP sotto il naso, attraverso una fantomatica riorganizzazione del Ministero della Giustizia, relegandolo
ad un mero problema di gestione del personale e di stanze da riallocare e, ancora peggio, scollegando quel che ne è rimasto dalla diretta dipendenza e comunicazione con il Capo DAP (come invece proponemmo noi del SAPPE). Ovviamente, bisognava ridefinire competenze e obiettivi dell’informatica, coinvolgendo aspetti come la formazione e la comunicazione. E, soprattutto, bisognava creare una task force che coinvolgesse il GOM, le banche dati, il NIC, gli informatici e le eventuali consulenze esterne. Invece, ancora oggi, non abbiamo nulla di tutto questo ...e non venitemi a parlare di banche dati, vi scongiuro. Oggi, sono ancora più vere e più urgenti le considerazioni di Umberto Rapetto: “Si potevano anticipare i tempi, addestrare gli specialisti, attribuire compiti e responsabilità, disporre di una macchina da guerra fatta non solo di apparati troppo facili a comprarsi ma di risorse umane in grado di giocare la partita. Le attività di intelligence e quelle investigative non possono essere delegate ai più sofisticati sistemi hi-tech, ma hanno bisogno di analisti e detective capaci di interpretare quel che man mano accade e di suggerire le azioni maggiormente aderenti alle diverse necessità. Il brusco risveglio ha indirizzato alla ricerca di giovani talenti da pescare nelle Università, dimenticando che i teen-agers più brillanti non sono tra i banchi ma ai Centri Sociali e non considerando che l'esperienza di “sbirri” e “spie” non si acquisisce con un diploma.” Con l’aumentare delle conoscenze, con l’avanzare della robotica, con la diffusione delle notizie, la diminuzione dei costi, la facilità di utilizzo di avanzati sistemi di comunicazioni criptate, fino a quando, nelle carceri, potremmo considerare estranee le altre considerazioni di Rapetto: “I terroristi frammentano le loro comunicazioni passando da un sistema all'altro ogni volta che si scambiano un messaggio. Il dialogo passa da WhatsApp a Telegram, ad una frase pubblicata tra i tanti commenti ad un articolo sul web, a Hangout, ad un sms su una scheda telefonica intestata a chissà chi ed
utilizzata solo una volta, a Messenger, a file di testo da scaricare in FTP da un server accessibile solo con password e per pochi minuti, a Snapchat e così a seguire, spiazzando qualunque tentativo di pedinamento. La velocità è il primo nemico. E i terroristi l’hanno scelta come alleata.”. L’altro nemico è voler ignorare, o anche solo sottovalutare, problemi e tecnologie tra le più disparate: come quella dei droni, per esempio. “Varrà la pena riflettere su quanto sta accadendo. - conclude Rapetto In qualche cassetto del mio vecchio Comando Generale forse ci sono ancora proposte ed appunti che, ormai datati, conservano miracolosamente una attualità straordinaria. E l’ormai arrugginito GAT potrebbe essere il primo
serbatoio cui attingere per tirar su una squadra vincente.” Varrà la pena andare ad aprire quei cassetti? Varrà la pena iniziare ad utilizzare il loro contenuto anche in ambito penitenziario? Varrà la pena mettere a confronto diverse competenze, punti di vista tra centro e periferia, esperienze dei giovani con quelle dei più anziani? Varrà la pena andare a leggere e ragionare, noi della Polizia Penitenziaria (e parlo di ogni ruolo della Polizia Penitenziaria, senza troppe ingerenze di direttori e dirigenti civili che tanto per loro la sicurezza è solo un ostacolo alle loro amicizie), su quegli appunti e ricalibrarli nello scenario attuale? Varrà la pena, oppure vogliamo davvero aspettare che le due frontiere, carceri e web, inizino a “dialogare” tra loro? Perché se una cosa è certa, è che le tecnologie già lo consentono e qualcuno prima o poi sfrutterà questo “vantaggio”. F
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Nella foto: detenuti islamici in preghiera
a cura di Giovanni Battista de Blasis
COME SCRIVEVAMO
Carceri S.p.A. Su di un altro piano, (in questo momento politico, non certo tranquillo e stabile) si parla di liberalismo, di antistatalismo ed una maggiore attenzione del libero mercato. Concetti e contenuti tra loro contrastanti, di differente concezione e contenuto. Questa premessa, per illustrare alla ventilata proposta per privatizzare i reclusori affidandone la gestione e la tutela della sicurezza interna ed esterna ai privati.
contratti per la costruzione di edifici privati che offrono uno speciale programma, alternativo, di detenzione per condannati autori di gravi reati, con persone od enti che svolgono attività nel campo della fornitura di servizi carcerari od enti governativi . In conclusione, negli Stati Uniti l'affidamento a privati della gestione di istituti penitenziari non Federali è previsto e disciplinato dal codice penale e di procedura penale; tale norma autorizza espressamente il Dipartimento della Giustizia a concedere contributi per l'alloggio, l'assistenza e la sicurezza dei detenuti affidati alla custodia dell'autorità locale, attraverso contratti stipulati con soggetti privati. Nel nostro Paese gli stabilimenti di
L'idea trae forse origine da alcuni Stati degli Usa (Texas, Florida, Nuovo Messico, Louisiana) nei quali la gestione degli stabilimenti di pena è affidata ai privati. Un solo esempio si riscontra nell'area dell'Inghilterra, che affida la gestione ai privati esclusivamente per quei reclusori per detenuti in attesa di giudizio. Diversa è la situazione oltre oceano. La legislazione vigente nello Stato del Texas prevede che la contea possa, con l'approvazione del capo della Polizia locale, stipulare contratti con imprese private per il finanziamento, la progettazione, la costruzione, l'acquisto, la manutenzione, la gestione e la direzione dei carceri, centri di detenzione o campi di lavoro. Nel Nuovo Messico il "Corrections department, ha facoltà di stipulare
pena dipendono dal Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria facente capo al Ministero di Grazia e Giustizia. L'idea di questo progetto prende spunto dalla situazione delle carceri italiane, attualmente caratterizzata, quasi ovunque, dal fenomeno dell'affollamento e dal degrado. Una valida alternativa alla gestione statale potrebbe essere quella di promuovere una legge che autorizzi la privatizzazione delle carceri, tenendo conto dell'attuale interesse di gran parte dell'opinione pubblica nel ridurre l'intervento dello Stato in molti settori. La privatizzazione delle carceri si affiancherebbe alla gestione statale degli istituti di pena e permetterebbe un sensibile miglioramento dell'intero sistema carcerario, insieme ad una
Polizia Penitenziaria azionista di riferimento?
Più di venti anni di pubblicazioni hanno conferito al mensile Polizia Penitenziaria Società Giustizia & Sicurezza la dignità di qualificata fonte storica, oltre quella di autorevole voce di opinione. La consapevolezza di aver acquisito questo ruolo ci ha convinto dell’opportunità di introdurre una rubrica - Come Scrivevamo che contenga una copia anastatica di un articolo di particolare interesse storico pubblicato tanti anni addietro. A corredo dell’articolo abbiamo ritenuto di riprodurre la copertina, l’indice e la vignetta del numero originale della Rivista nel quale fu pubblicato.
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bbiamo letto con una certa soddisfazione un articolo pubblicato dalla rivista "Polizia e Democrazia" a firma di Franco Prosperi. L’articolo comparso sul nuovo mensile diretto da Franco Fedeli, Grande Vecchio e maestro del giornalismo specializzato sulle Forze dell ‘Ordine, affronta in chiave fortemente critica la vexata quaestio relativa alla ricorrente proposta di privatizzazione di tutte o di parte delle carceri. Franco Prosperi conclude quella che chiama “una esposizione di una idea embrione”, dichiarando molte incertezze e perplessità sull'ipotesi. Grazie alla gentile concessione del dott. Franco Fedeli riportiamo qui di seguito l’articolo in questione. «E' stata avanzata una proposta di affidare ai privati la costruzione e la gestione di istituti di pena che dovrebbero funzionare con gli stessi criteri e le stesse norme di quelli di Stato. Molte incertezze e perplessità su questa ipotesi. Si fa sempre un gran parlare della Unione Europea, di una grande confederazione di Stati che si modifichi nel sistema economico, in quello monetario e via dicendo. Si rimprovera molto spesso il nostro Paese che con intempestività adegua la sua normativa interna alle cosiddette direttive comunitarie, che non sempre vi ottempera; qualche volta subisce rampogne per la lentezza burocratica o per la scarsa volontà politica su questioni di maggiore rilevanza. Ciò premesso è da rilevare, in senso inverso, una eccessiva solerzia, una tempestività ed anche un desiderio di adeguare qualche aspetto del proprio ordinamento interno a quello di qualche autorevole Paese della Comunità Europea.
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COME SCRIVEVAMO
riduzione dei costi di gestione rispetto a quelli sostenuti dallo Stato, anche se tale affermazione non è suffragata da nessun calcolo attendibile. I nuovi istituti di pena potranno essere localizzati in alcune delle zone più depresse del Paese, consentendo nuove opportunità di lavoro in quelle aree, e offrendo la possibilità di restituire allo sfruttamento delle amministrazioni locali altre zone di interesse turistico, come certe isole, attualmente occupate da carceri e interdette al pubblico. Per quanto riguarda i rapporti tra il Governo, il Ministero di Grazia e Giustizia e i privati incaricati di gestire gli istituti di pena, essi riguarderanno il finanziamento, la costruzione e la gestione degli stessi. Le aziende private interessate alla gestione dovranno essere tra le più qualificate e, in ogni caso, nessun accordo verrà preso a meno che le aziende interessate dimostrino di avere: 1) qualificazione, esperienza e
personale necessari alla gestione; 2) disponibilità finanziaria e capacità di garantire indennità per danni che possano intervenire nella gestione di ampi progetti carcerari; 3) disponibilità a far applicare le sentenze giudiziarie secondo gli standard delll’organizzazione carceraria. Per quanto riguarda l'organizzazione e la gestione interna delle carceri, gli appaltatori dovranno: 1) fornire il servizio di sicurezza interno ed esterno con personale autorizzato a portare armi. Da quanto sopra scaturisce la questione relativa alla funzione che attualmente espleta il personale di Polizia penitenziaria. Sarà soppresso? Verrà affiancato
studiare con il Ministero di Grazia e Giustizia i programmi di apprendistato e di lavoro per i reclusi. Gli appaltatori privati non potranno, in nessun caso, essere autorizzati a interferire su eventuali variazioni delle pene dei reclusi o sul rilascio di licenze e permessi, nonché sul tipo di lavoro dei detenuti e i salari a loro corrisposti. E' inteso che tutti i condannati a pene di reclusione nelle prigioni di Stato possono essere reclusi in prigioni private, con l'eccezione dei condannati per pene riguardanti reati di mafia e terrorismo. Inoltre secondo questa ipotesi di privatizzazione delle carceri si potrà verificare la possibilità di concepire e realizzare istituti di pena appositamente destinati alla
da questo personale di sorveglianza privata? Oppure quest'ultimo opererà esclusivamente nelle carceri private; 2) fornire ai reclusi possibilità di lavoro o di apprendistato; 3) imporre la disciplina ai reclusi solo in accordo con le leggi e le procedure applicabili; 4) fornire appropriati pasti, vestiario, alloggio e cure mediche; 5) aderire in maniera conforme alle procedure della Polizia Penitenziaria per quanto riguarda l'uso della forza. Per quanto riguarda il lavoro dei reclusi, essi verranno pagati dallo Stato e non dai gestori privati. Gli appaltatori non trarranno alcun guadagno dal lavoro dei detenuti e nessun detenuto sarà messo in posizione di autorità su un altro detenuto. Gli appaltatori potranno
reclusione di detenuti tossicodipendenti. Queste carceri a “destinazione speciale”, attualmente inesistenti in Italia, avranno struttura particolare e disporranno di reparti medici specialistici per la cura della tossicodipendenza. Questa è una ipotesi degna di considerazione. Una tipologia carceraria specializzata per la cura della tossicodipendenza rientra nella finalità non sempre perseguita, che la pena inflitta non è soltanto il prezzo da pagare alla società, ma un mezzo di rieducazione. Con un carcere specializzato si persegue l'obiettivo di un recupero del tossicodipendente ed un suo possibile reinserimento nella società civile. Inoltre sarà resa possibile la
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Nelle foto: la copertina del numero di novembre 1995 sotto la vignetta in basso il sommario nell’altra pagina un cercere privato americano
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LE RECENSIONI realizzazione di adeguate carceri per detenuti in attesa di giudizio, con differente trattamento rispetto alle carceri che alloggiano detenuti già condannati mentre altre carceri saranno suddivise a seconda della gravità della pena a cui sono condannati i reclusi. Quest'ultimo aspetto non può essere perseguibile, poiché si verrebbe a creare una differenziazione carceraria inammissibile sotto qualsiasi punto di vista. Nel concludere questa esposizione di un'ideaembrione si è sotto certi aspetti perplessi e molti dubbi permangono. Partendo dalla premessa che non può mai avvenire una trasposizione meccanica di esperienze e situazioni esistenti in altri paesi. Ogni legge, ogni ordinamento interno nazionale è la risultante di situazioni, abitudini, usi e costumi peculiari al tempo stesso, che quasi mai si attagliano ad altri sistemi, ad altre culture. Questo su di un piano generale In particolare ai rilievi mossi nel corso di queste esposizioni si possono aggiungere alcune sottolineature o quantomeno alcuni interrogativi che hanno bisogno di risposte pertinenti. Pur riconoscendo che nell'attuale momento, vi è una tendenza alla privatizzazione, rimane da chiarire quali vantaggi concreti lo Stato ricaverebbe conferendo la gestione delle carceri a privati. Si è veramente convinti che una amministrazione privata possa avere dei costi inferiori agli attuali tenuto conto che, in atto, il costo medio per un recluso è di 102.000 lire il giorno? Questo resta da verificare.” F F. P.
Sebastiano Ardita Leonardo degl’Innocenti Francesco Faldi
DIRITTO PENITENZIARIO III edizione
LAURUS ROBUFFO Ed. pagg. 375 - euro 32,00
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n poco tempo si è giunti alla terza edizione di questo prezioso volume di consultazione e preparazione per esami e studi. La ragione è molto semplice. Come è stato ricordato, questi ultimi tre anni hanno visto la politica gestionale dell’Amministrazione penitenziaria italiana impegnata su più fronti in un’ardua sfida finalizzata a risolvere in maniera duratura il problema del sovraffollamento carcerario. Si può sicuramente affermare che grazie ad un programma di interventi legislativi, strutturali ed organizzativi mirati ed al coordinamento ed alla collaborazione sinergica di tutti gli attori coinvolti, sono stati sin qui raggiunti significativi e rilevanti risultati, che ci spingono a continuare con lo stesso impegno sul percorso avviato. Sicuramente, il tema del sovraffollamento ha sempre orientato l’azione di questo Dipartimento ma non si può nascondere che la sentenza pilota Torreggiani più altri c/Italia (divenuta definitiva il 28 maggio 2013) della Corte Europea per i Diritti Umani ha senza dubbio rappresentato un nuovo significativo impulso per l’individuazione e messa in atto delle misure necessarie per risolvere tale criticità. A seguito di tale sentenza, infatti, l’Italia ha intrapreso un complesso,
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vasto programma di interventi finalizzati ad una complessiva rivisitazione del sistema dell’esecuzione della pena e del modo di organizzare la vita intramuraria, al fine di assicurare che lo stato di detenzione sia compatibile con il rispetto della dignità umana e non sottoponga la persona ad uno stato di sconforto che ecceda l’inevitabile livello di sofferenza connessa alla detenzione. Questa terza edizione di questo Diritto Penitenziario illustra la materia alla luce proprio delle intervenute novità legislative, con un approfondimento particolare all’istituto dei rimedi risarcitori previsti dall’articolo 35-ter.
Amelia Baldaro
DALL’ALTRA PARTE DELLE SBARRE APOLLO Edizioni pagg. 105 - euro 10,00
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o conosciuto Amelia nel maggio del 1992, quando arrivai a Genova Marassi. Non poteva non colpirti, intanto perché era una delle poche donne in divisa e poi perché era sempre col sorriso. Matricolista d.o.c., Amelia è una che la galera se l’è fatta davvero, in prima linea, nel tempo delle terroriste e delle rivolte, nel tempo delle vigilatrici penitenziarie e delle suore in carcere. Donna di spiccata sensibilità, non a caso tra le prime Agenti laureate, ha visto e affrontato l’eterogenea umanità che ha affollato il carcere di Marassi durante i suoi lunghi anni di servizio. E in questo libro ci offre, con una scrittura agile e coinvolgente, uno spaccato di quella umanità e di chi con lei ha vissuto il carcere dall’altra parte delle sbarre. Tutte le storie raccontante colpiscono, ma una citazione particolare la devo fare al suo racconto-ricordo di Mariagrazia Casazza, la poliziotta penitenziaria alla memoria della quale sono intitolati i giardini pubblici del carcere genovese che perse la vita a Torino nel salvare alcune detenute
Claudio Delle Fave dopo un tragico incendio tra le sbarre. Amelia ha prestato servizio con Mariagrazia, erano amiche. Nel suo scritto, nel suo ricordo, Amelia offre uno spaccato di umanità e di normalità davvero significativo della povera ragazza che perse la vita in servizio per salvare delle detenute. Lo scritto di Amelia, in sintesi, aiuta quanti non conosco le dinamiche penitenziarie a conoscere il carcere e fa comprendere compiutamente come il Corpo di Polizia Penitenziaria, quelli che stanno dall’altra parte delle sbarre, è formato da persone che nonostante l’insostenibile, pericoloso e stressante lavoro credono nella propria professione, che hanno valori radicati e un forte senso d’identità e d’orgoglio, e che ogni giorno in carcere fanno tutto quanto è nelle loro umane possibilità per gestire gli eventi critici che si verificano ogni giorno.
Marcello Vitale
LA DONNA DELLA PANCHINA KOINE’ Nuove Edizioni pagg. 160 - euro 15,00
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uesto legal thriller si legge d’un fiato: per l’agile scrittura, la coinvolgente storia, la curiosità che avvolge il lettore di pagina in pagina. La trama è frutto della fantasia dell’Autore, alto magistrato della Corte di Cassazione e già Presidente della Prima Sezione Penale della Corte di Appello di Roma, ma è evidente che essa “risente” positivamente della lunga e onorata carriera professionale di chi l’ha ideata. Racconta l’incontro casuale del protagonista, un procuratore della Repubblica, con una donna in fuga, che teme di essere uccisa dal suo ex amante che più volte l’ha minacciata di morte. Incontri che si ripetono ma che, d’improvviso, s’interrompono. La scoperta di una donna ammazzata e le successive indagini di Aurelio Rasselli, questo il nome del procuratore, alzano il livello di tensione e di coinvolgimento di questo libro da non perdere.
MANUALE DI POLIZIA GIUDIZIARIA. Procedure, atti da redigere, modalità operative IV edizione MAGGIOLI Edizioni pagg. 468 - euro 48,00
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iunge alla IV edizione questo Manuale di Polizia Giudiziaria tra i più letti e consultati dagli Operatori delle Forze di Polizia. E in questa nuova edizione si conferma eccellente e qualificato ausilio per le donne e gli uomini che svolgono, stabilmente o occasionalmente, funzioni di Polizia giudiziaria. Qui dentro c’è tutto: come fare un verbale o una perquisizione, quali sono compiti e funzioni della Pg, le notifiche, gli interrogatori e molto altro ancora. Le oltre 460 pagine del volume sono arricchite di nuovi capitoli in virtù delle intervenute modifiche legislative in materia di minori, guida in stato di ebbrezza, infortunistica stradale, depenalizzazioni e omicidio stradale. Un libro che, in questa nuova edizione, conferma l’alto livello di formazione e aggiornamento professionale.
Daniel Estulin
ISIS SpA. Storia segreta della cospirazione occidentale e del terrore islamico SPERLING & KUPFER Edizioni pagg. 302 - euro 18,00
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n questo libro c’è davvero la verità che nessuno racconta, come recita il sottotitolo. La prima grande inchiesta sugli interessi economici e politici dietro il terrorismo islamico ha, per l’Autore, radici profonde in Occidente. Attentati in Francia, Germania, Belgio, Inghilterra...
LE RECENSIONI Siamo sotto assedio, gli estremisti islamici ci attaccano, tuonano i media. E i governi si affrettano a varare misure straordinarie, i controlli si moltiplicano, le nostre libertà personali diminuiscono in nome della sicurezza collettiva. Eppure, se seguissimo la pista del denaro, verrebbe fuori una realtà ben diversa. Chi arma i kamikaze? Chi paga i loro centri di addestramento? Chi ci guadagna da questo costante stato di allerta, e ancora di più dal caos che impedisce al Medio Oriente di diventare un vero interlocutore politico ed economico? Secondo l'autore la risposta è sotto gli occhi di tutti: da sempre i servizi segreti inglesi e americani hanno alimentato i conflitti degli Stati arabi per impedire che diventassero troppo autonomi. Fomentare le tendenze più radicali è il modo migliore per assicurarsi il controllo delle risorse. È successo in Iran, Iraq, Siria, Afghanistan, proprio quelli che oggi sono i focolai del terrore. In questo libro Daniel Estulin intende documentare la strategia destabilizzatrice dell'Occidente, ricostruire gli interessi dietro il Jihad e spiegare che ISIS, Al Qaida, talebani e Fratelli musulmani hanno un'unica matrice: le scuole estremiste finanziate attraverso l'Arabia Saudita, il principale alleato degli angloamericani in Oriente. F
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a cura di Erremme rivista@sappe.it
di Mario Caputi e Giovanni Battista de Blasis © 1992-2016 caputi@sappe.it
L’ULTIMA PAGINA Il mondo dell’appuntato Caputo
AL DAP HANNO DETTO CHE LE MULTE CE LE POSSIAMO FARE PER GIOCO SOLO TRA DI NOI...
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Inserendo il codice sconto PP15 gli iscritti al Sappe hanno subito una riduzione del 15 % sulla collana Compendi d’autore e un ulteriore sconto di euro 10,00 per acquisti che superino i 100,00 euro NEL DIRITTO Editore è una Casa editrice particolarmente specializzata nella pubblicazione di testi universitari e professionali, utilissimi anche per la preparazione ai concorsi pubblici e interni. Offre decine di testi per la preparazione ed il supporto quotidiano all’attività forense, a quella notarile, fiscale senza tralasciare il mondo giudiziario e della magistratura. I Codici, i Manuali, i Compendi sono scritti con estrema chiarezza ed offrono una approfondita conoscenza degli argomenti. Forniscono, insomma, tutti gli strumenti per affrontare con sicurezza e metodo le prove concorsuali, con una ampia selezione di materie oggetto delle prove scritte ed orali, e la quotidianità delle attività professionali. Il particolare trattamento riservato agli iscritti del SAPPE permette acquisti con interessanti prezzi di favore.
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