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PoliziaPenitenziaria Società Giustizia e Sicurezza anno XXIV • n.247 • febbraio 2017

2421-2121

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Riordino delle carriere: scopriamo le carte



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16 Polizia Penitenziaria

In copertina:

Società Giustizia e Sicurezza

Il riordino delle carriere della Polizia Penitenziaria

04 EDITORIALE Le aspettative del Corpo di Polizia Penitenziaria di Donato Capece

05 IL PULPITO Riordino delle carriere di Giovanni Battista de Blasis

06 IL RIORDINO I contenuti del riordino delle carriere

10 IL COMMENTO Il ruolo della Polizia Penitenziaria tra le misure alternative e la banca dati del DNA di Roberto Martinelli

13 L’OSSERVATORIO POLITICO L’emergenza migratoria secondo il rapporto dell’intelligence italiana di Giovanni Battista Durante

anno XXIV • n.247 • febbraio 2017 14 CRIMINOLOGIA Il concetto criminologico del minorenne normale di Roberto Thomas

16 DIRITTO & DIRITTI Dalle pene corporali alle punizioni dell’anima di Giovanni Passaro

20 LO SPORT Scherma: Montano, Cini e Vismara vincono tre medaglie in Coppa del Mondo di Lady Oscar

22 CINEMA DIETRO LE SBARRE Cate McCall - il confine della verità a cura di G. B. de Blasis

“Oltre le sbarre”, la trattoria dell’IPM di Bologna di Ciro Borrelli

Società Giustizia e Sicurezza

Direttore responsabile: Donato Capece capece@sappe.it Direttore editoriale: Giovanni Battista de Blasis deblasis@sappe.it Capo redattore: Roberto Martinelli martinelli@sappe.it Redazione cronaca: Umberto Vitale, Pasquale Salemme Redazione politica: Giovanni Battista Durante Comitato Scientifico: Prof. Vincenzo Mastronardi (Responsabile), Cons. Prof. Roberto Thomas, On. Avv. Antonio Di Pietro Donato Capece, Giovanni Battista de Blasis, Giovanni Battista Durante, Roberto Martinelli, Giovanni Passaro, Pasquale Salemme

Congedo biennale per assistenza

26 CRIMINI & CRIMINALI Callisto Grandi: delinquente o malato mentale? di Pasquale Salemme

28 WEB E DINTORNI Sovraffollamento penitenziario: dati virtuali e dati reali di Federico Olivo

29 SICUREZZA SUL LAVORO La delega delle funzioni in materia di sicurezza di Luca Ripa

30 COME SCRIVEVAMO

23 MINORI

PoliziaPenitenziaria Organo Ufficiale Nazionale del S.A.P.Pe. Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria

24 L’AGENTE SARA RISPONDE...

Direzione e Redazione centrale Via Trionfale, 79/A - 00136 Roma tel. 06.3975901 • fax 06.39733669 e-mail: rivista@sappe.it web: www.poliziapenitenziaria.it Progetto grafico e impaginazione:

© Mario Caputi www.mariocaputi.it “l’appuntato Caputo” e “il mondo dell’appuntato Caputo” © 1992-2016 by Caputi & de Blasis (diritti di autore riservati)

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Perché il carcere esca dall’emergenza di A.B.

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Cod. ISSN: 2421-1273 • web ISSN: 2421-2121 Stampa: Romana Editrice s.r.l. Via dell’Enopolio, 37 - 00030 S. Cesareo (Roma) Finito di stampare: febbraio 2017 Questo periodico è associato alla Unione Stampa Periodica Italiana

Edizioni SG&S

Il S.A.P.Pe. è il sindacato più rappresentativo del Corpo di Polizia Penitenziaria

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L’EDITORIALE

Donato Capece Direttore Responsabile Segretario Generale del Sappe capece@sappe.it

Le aspettative del Corpo di Polizia Penitenziaria

I

n queste ultime settimane sono accadute alcune cose importanti. La prima è l’approvazione in sede di Consiglio dei Ministri del provvedimento di riordino e riallineamento delle carriere. Un provvedimento atteso da tempo dal personale di tutte le Forze di Polizia e Armate per sanare ogni sperequazione di carriera e omogenizzare le analoghe carriere. Sul tema della delega di riordino delle carriere e di riallineamento delle Forze di Polizia, abbiamo preso atto delle risorse stanziate, che verificheremo all'esito del rinnovo contrattuale, ma restiamo fortemente critici sul testo del riordino. E’ questa la posizione, pressoché unitaria, assunta dai sindacati rappresentativi della Polizia Penitenziaria Sappe, Uilpa, Sinappe, Fns Cisl, Uspp, Cnpp e Fp Cgil commentando il via libera, giovedì 23 febbraio, del Consiglio dei Ministri al decreto attuativo. Riteniamo si tratti di un riordino calato dall'alto su cui non vi è mai stato un confronto degno di questo nome con le organizzazioni sindacali. C'è stato un problema di praticabilità del dialogo e il risultato è quello di un provvedimento che non consente adeguate progressioni in carriera al personale di Polizia Penitenziaria e rischia di creare ulteriori sperequazioni rispetto ad altre Forze di Polizia. La nostra battaglia prosegue e faremo di tutto per modificare il testo durante l'iter parlamentare, ma resta comunque un serio problema di relazioni sindacali con l'amministrazione penitenziaria rispetto al quale non mancheremo di mettere in campo azioni incisive. Il provvedimento, che come detto dovrà ora seguire il percorso parlamentare, è stato preceduto da una riunione (mercoledì 22 febbraio) al Ministero della Giustizia, in via Arenula. Il tavolo è stato presieduto dal Ministro Guardasigilli Andrea Orlando ed erano presenti il Capo di Gabinetto Melillo, il Capo DAP Consolo ed il Direttore Generale del Personale del DAP Buffa. Dopo una breve introduzione del Ministro che ci ha illustrato lo stato dei

lavori, lo stesso Guardasigilli ha dato la sua piena disponibilità, e quella dell’Amministrazione, a tenere “un canale aperto” con le OO.SS al fine di recepire qualsiasi ulteriore suggerimento o proposta di modifica/integrazione fino a quando il provvedimento non sarà approvato definitivamente. Premessa la richiesta di espungere le ventilate modifiche al D.Lgs. 449/92 (disciplina del Corpo), nel corso dell’incontro al Ministero della Giustizia il SAPPE ha ribadito che avrebbe preferito l’unificazione del ruolo degli Agenti/Assistenti con quello dei Sovrintendenti al fine di consentire a tutte le qualifiche apicali di ciascun ruolo di avere la possibilità di progredire in carriera con il riconoscimento delle professionalità acquisite attraverso l’anzianità. Abbiamo, quindi, rappresentato al tavolo politico le seguenti proposte di modifica/integrazione: • Aumento in fase di prima attuazione dei posti disponibili per l’inquadramento degli Assistenti Capo nel ruolo dei Sovrintendenti, fino a raggiungere il numero di 7.000 unità nel ruolo; • Aumento in fase di prima attuazione dei posti disponibili per l’inquadramento dei Sovrintendenti nel ruolo degli Ispettori, fino a raggiungere il numero di 6.000 unità nel ruolo; • Aumento in fase di prima attuazione dei posti disponibili per l’inquadramento degli Ispettori nel ruolo Direttivo Speciale, fino a raggiungere il numero di 200 unità nel ruolo; • Stralcio della parte del riordino dove si tratta delle funzioni del ruolo Direttivo e Dirigenziale per prevedere un D.M. ad hoc da concordare con le OO.SS; • Aumento dei posti di Dirigente della Polizia Penitenziaria fino alla completa copertura di tutti gli Istituti e servizi penitenziari (circa 250); • Eliminazione della subordinazione gerarchica dei Dirigenti della Polizia Penitenziaria da quelli penitenziari; • Sostituzione della qualifica di Commissario Coordinatore con quella di Vice Questore Aggiunto e quella di

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Commissario Coordinatore Superiore penitenziario con quella di Vice Questore. Seguiremo ora l’iter del provvedimento in sede parlamentare, per tentare di apporre i necessari correttivi. Un altro, importante, provvedimento è stata l’approvazione del c.d. “MilleProroghe”, che ha dato il via libera a 887 assunzioni nella Polizia Penitenziaria con lo scorrimento delle graduatorie dei concorsi. 887 Agenti non bastano di certo per sanare le croniche carenze di personale della Polizia Penitenziaria, anche alla luce del crescente aumento dei detenuti nelle carceri italiane, ma sono indubbiamente una boccata di ossigeno per i Baschi Azzurri. Contiamo ogni giorno gravi eventi critici nelle carceri italiane, episodi che vengono incomprensibilmente sottovalutati dall’Amministrazione Penitenziaria. Ogni 9 giorni un detenuto si uccide in cella, mentre ogni 24 ore ci sono in media 23 atti di autolesionismo e 3 suicidi in cella sventati dalle donne e dagli uomini del Corpo di Polizia Penitenziaria. Aggressioni, risse, rivolte e incendi sono all’ordine del giorno e i dati sulle presenze in carcere ci dicono che il numero delle presenze di detenuti in carcere è in sensibile aumento. Ed il Corpo di Polizia Penitenziaria ha carenze di organico pari ad oltre 7.000 Agenti. Da quando sono stati introdotti nelle carceri vigilanza dinamica e regime penitenziario aperto sono decuplicati gli eventi critici in carcere. Se è vero che il 95% dei detenuti sta fuori dalle celle tra le 8 e le 10 ore al giorno, è altrettanto vero che non tutti sono impegnati in attività lavorative e che, anzi, la maggior parte trascorrono il giorno a non far nulla. Ed è grave che sia aumentato il numero degli eventi critici nelle carceri da quando sono stati introdotti vigilanza dinamica e regime penitenziario aperto. Nell’anno 2016 ci sono stati infatti 39 suicidi di detenuti, 1.011 tentati suicidi, 8.586 atti di autolesionismo, 6.552 colluttazioni e 949 ferimenti. Ed allora questi 887 nuovi Agenti sono necessari per fronteggiare le criticità, ancorché non in numero sufficiente rispetto alle reali esigenze operative. Qualcosa è stato fatto, molto c’è ancora da fare. E il SAPPE sarà in prima linea per soddisfare le necessità e le aspettative delle donne e degli uomini appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria. F


IL PULPITO

Riordino delle carriere: avanti... nonostante bufale disinformazione e post-verità

U

na bufala è un’affermazione fraudolenta, di solito finalizzata a ingannare o prendere in giro i lettori, che rappresenta deliberatamente per reale qualcosa di completamente falso o artefatto. Secondo il vocabolario dell’Accademia della Crusca, bufala deriva dall'espressione popolare "Menare per il naso come una bufala", ovverosia portare a spasso l'interlocutore trascinandolo per l'anello attaccato al naso, come si fa con i buoi e, appunto, i bufali. La disinformazione è la diffusione intenzionale di notizie inesatte o distorte, costituite da informazioni false, fuorvianti, non oggettive o non complete, che alterano la realtà dei fatti e ingannano, cercando di confondere o modificare le opinioni verso una persona, un argomento o una situazione, allo scopo di influenzare le azioni e le scelte di qualcuno. Il neologismo post-verità, derivante dall'inglese post-truth, indica un fatto o una notizia in cui la verità è considerata una questione di secondaria importanza, la notizia è percepita e accettata come vera dal pubblico sulla base di emozioni e sensazioni, senza alcuna analisi effettiva sulla veridicità o meno dei fatti reali. In genere, dunque, si parla di postverità con riferimento a una notizia completamente falsa (fake-news) ma che, spacciata per autentica, potrebbe essere in grado di influenzare una parte dell'opinione pubblica diventando, di fatto, un argomento reale, dotato di un apparente senso logico. Bufale, disinformazione e post-verità sono state usate a (s)proposito nella e sulla vicenda del riordino delle carriere. Gli ultimi giorni di confronto sul riordino sono stati caratterizzati da flussi ininterrotti d’informazioni, che si sono accavallate e, spesso, contraddette rendendo, così, problematica la possibilità di avere una chiara idea dei fatti. In questo contesto, hanno proliferato coloro che inventano e raccontano storie, e la post-verità

sembra essere diventata la chiave per acquisire il consenso dei colleghi. Purtroppo, va anche detto che tra i colleghi c’è una particolare propensione a ritenere vere alcune notizie, palesemente false o alterate, soprattutto quando hanno forza emotiva e coincidono con immaginarie rappresentazioni della realtà. In effetti, il sistema sembra funzionare. Prendiamo ad esempio la recente vicenda della Brexit. Durante la campagna referendaria sulla permanenza o meno del Regno Unito nell'Unione Europea, i sostenitori dell’uscita affermavano insistentemente che l'appartenenza all'Unione costava al paese 350 milioni di sterline a settimana arrivando, alla fine, ad intendere il dato come reale ammontare netto di denaro inviato direttamente all'UE. Di contro si sostenne che tali fondi sarebbero dovuti andare, invece, al sistema sanitario nazionale. Questo dato, fu dichiarato «potenzialmente fuorviante» dall’Istituto Nazionale di Statistica e «irragionevole» dall'Istituto per gli Studi Fiscali, oltre ad essere smentito dalle verifiche effettuate da importanti emittenti giornalistiche, come BBC News, News Channel 4 e altre. Tuttavia, i sostenitori dell’uscita dall’Unione continuarono a usare il dato come elemento centrale della loro campagna fino al giorno del referendum, dopo il quale hanno minimizzato la promessa trasformandola in un «esempio», un suggerimento, un possibile uso alternativo dei fondi inviati all’Unione Europea, smentendo di aver mai fatto la promessa di investire i fondi nel Servizio Sanitario Nazionale. Ebbene, questo è, più o meno, quello che hanno fatto (e stanno facendo) i

Giovanni Battista de Blasis Direttore Editoriale Segretario Generale Aggiunto del Sappe deblasis@sappe.it

Bastian Contrari del riordino delle carriere. Quelli che hanno fatto della disinformazione e della post-verità il loro agire sindacale. Quelli per i quali non va bene nulla... e tutto è disastroso. Soprattutto quando sono gli altri, con fatica e abnegazione, a trovare un accordo che possa andare bene per tutti o, perlomeno, per la maggior parte dei colleghi. E proprio grazie alla fatica, all’abnegazione e, soprattutto, al senso di responsabilità dimostrato dai sindacati che si sono fatti carico dello sforzo per raggiungere il massimo risultato, oggi possiamo dire di aver portato a casa il migliore dei riordini delle carriere possibili. Questo riordino, a regime, con l’aumento dei parametri e meccanismi di defiscalizzazione, porterà innanzitutto alla stabilizzazione dei famosi 80 euro, con benefici sulla pensione e sulla liquidazione. E’ previsto, inoltre, un aumento dell’organico del ruolo dei

Nella foto: il mago del Riordino delle carriere

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IL PULPITO sovrintendenti, che arriveranno a 5300, e degli ispettori, che arriveranno a 3530. Ci sarà un’elevazione del livello culturale, con la previsione del diploma di scuola secondaria per l’assunzione degli agenti e della laurea breve per gli ispettori. Il possesso del titolo accademico della laurea breve sarà utile per l’accesso alla qualifica di Vice Commissario, della nuova carriera dei commissari, che avverrà solo dall’interno. Diminuiscono i tempi di permanenza per gli avanzamenti tra un grado e l’altro, al fine di accelerare il raggiungimento della qualifica apicale: • 1 anno in meno per gli Assistenti Capo (da 15 a 14); • 4 anni in meno per i Sovrintendenti (da 14 a 10); • 7 anni in meno per gli Ispettori (da 32 a 25). E’ stato, in pratica, unificato il percorso di carriera da Agente a Sovrintendente Capo con tutela della sede (il riordino prevede che il 70% delle vacanze che si registreranno nell’organico dei sovrintendenti ogni anno saranno destinate agli Assistenti Capo, con concorso solo per titoli e a domanda). Il restante 30%, sarà riservato agli Agenti e Assistenti che, non avendo problemi a cambiare sede, potranno concorrere dopo 4 anni di servizio e con frequenza di un corso non superiore a tre mesi. Oltre ai vantaggi economici, quindi, nella fase transitoria migliaia di Assistenti Capo diventeranno Vice Sovrintendenti, centinaia di Sovrintendenti diventeranno Vice Ispettori e, purtroppo, solo 50 Sostituti Commissari andranno nel ruolo ad esaurimento dei Commissari (abbiamo ancora qualche speranza di far aumentare tutti questi numeri). E va tenuto anche conto che, adesso, stanno per iniziare le trattative per il rinnovo del contratto di lavoro che dovrà portare altri benefici economici e maggiori tutele normative. In definitiva, seppur nella consapevolezza che questo riordino non riuscirà ad accontentare tutti, è innegabile che le forze dell’ordine stanno facendo un ulteriore piccolo passo nella direzione di migliori retribuzioni e aspettative di carriera. E tutto ciò a dispetto delle bufale, della disinformazione e delle post-verità di ciarlatani, saltimbanchi e illusionisti della frottola. F

I contenuti del riordino delle carriere

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uolo degli agenti assistenti • La promozione alla qualifica di assistente capo si consegue a ruolo aperto mediante scrutinio per merito assoluto al quale è ammesso il personale che abbia compiuto quattro anni di effettivo servizio nella qualifica di assistente. • Agli assistenti capo che maturano otto anni di effettivo servizio nella qualifica è attribuita, ferma restando la qualifica rivestita, la denominazione di “coordinatore” che determina, in relazione alla data di conferimento, preminenza gerarchica anche nei casi di pari qualifica con diversa anzianità. • Gli assistenti capo con qualifica di coordinatore, oltre alle specifiche mansioni previste assumono l’onere di verificare il corretto svolgimento delle attività del personale di pari qualifica o subordinato con il controllo del puntuale rispetto delle tabelle di consegna. Ruolo dei sovrintendenti • La nomina alla qualifica iniziale del ruolo dei sovrintendenti di consegue a domanda: • mediante selezione effettuata con scrutinio per merito comparativo riservato a domanda nel limite dell’70% dei posti disponibili al 31 dicembre di ciascun anno, agli assistenti capo che ricoprono, alla predetta data, una posizione in ruolo non inferiore a quella compresa entro il doppio dei posti individuati; • nel limite del restante 30% dei posti disponibili al 31 dicembre di ciascun anno, mediante concorso per titoli ed esami con modalità semplificate, da espletare anche mediante procedure telematiche, riservato al ruolo degli agenti assistenti con una età non superiore ad anni 40, che abbia compiuto almeno quattro anni di effettivo servizio (fino all’anno 2026 non è richiesto il requisito dell’età);

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• La promozione alla qualifica di sovrintendente si consegue, a ruolo aperto, mediante scrutinio per merito assoluto al quale sono ammessi i vice sovrintendenti che alla data dello scrutinio abbiano compiuto cinque anni di effettivo servizio nella qualifica. • La promozione alla qualifica di sovrintendente capo si consegue, a ruolo aperto, mediante scrutinio per merito assoluto al quale sono ammessi i sovrintendenti che alla data dello scrutinio abbiano compiuto cinque anni di effettivo servizio nella qualifica. • Ai sovrintendenti capo che maturano otto anni di effettivo servizio nella qualifica è attribuita, ferma restando la qualifica rivestita, la denominazione di “coordinatore” che determina, in relazione alla data di conferimento, preminenza gerarchica anche nei casi di pari qualifica con diversa anzianità. Ruolo degli ispettori con carriera a sviluppo direttivo Articolazione della carriera del ruolo degli ispettori: • Vice Ispettore; • Ispettore; • Ispettore Capo; • Ispettore Superiore; • Sostituto Commissario. La nomina a vice ispettore si consegue: • Nel limite del 50% dei posti disponibili al 31 dicembre di ogni anno mediante concorso pubblico, con riserva di un sesto dei posti agli appartenenti ai ruoli del Corpo di Polizia Penitenziaria con almeno tre anni di anzianità di effettivo servizio alla data del bando che indice il concorso, in possesso dei prescritti requisiti ad eccezione del limite di età; • Nel limite del 50% dei posti disponibili al 31 dicembre di ogni anno, mediante concorso interno per titoli di servizio ed esame, riservato al personale del Corpo di Polizia Penitenziaria che espleta funzioni di


IL RIORDINO polizia in possesso alla data del bando che indice il concorso, di anzianità di servizio non inferiore a cinque anni, (e non più sette), del diploma di istruzione secondaria che consente l’iscrizione ai corsi per il conseguimento del diploma universitario. I vincitori del concorso esterno di cui alla lettera a) frequentano un corso di durata di due anni preordinato anche all’acquisizione della specifica laurea triennale. Gli allievi vice ispettori che al termine dei primi due anni del corso abbiano ottenuto il giudizio di idoneità al servizio di Polizia Penitenziaria quali vice ispettori ed abbiano superato gli esami previsti e le prove pratiche, sono nominati vice ispettori in prova e sono avviati alla frequenza di un periodo di tirocinio applicativo della durata non superiore ad un anno. Queste disposizioni si applicano a partire dal 1 gennaio 2026;

I posti di cui al comma 1, messi a concorso e non coperti, sono portati in aumento di quelli riservati, per gli anni successivi, alle rispettive aliquote di cui al medesimo comma 1, lettere a e b. I vincitori del concorso interno di cui alla lettera b) devono frequentare un corso di formazione della durata di sei mesi. • La promozione a ispettore capo si consegue a ruolo aperto mediante scrutinio per merito assoluto al quale è ammesso il personale avente un’anzianità di cinque anni (e non più sette) di effettivo servizio nella qualifica di ispettore. • la promozione a ispettore superiore si consegue a ruolo aperto mediante scrutinio per merito assoluto al quale è ammesso il personale avente una anzianità di nove anni di effettivo servizio nella qualifica di ispettore capo. Per l’ammissione allo scrutinio è necessario (solo a partire dal 1°

gennaio 2026) il possesso di una delle lauree individuate dall’art. 7 del decreto legislativo 21 maggio 2000 n. 146; • La promozione alla qualifica di sostituto commissario si consegue mediante scrutinio per merito comparativo al quale è ammesso il personale che ha maturato otto anni di effettivo servizio nella qualifica di ispettore superiore; • Ai sostituti commissari che abbiano maturato un’anzianità nella qualifica di almeno quattro anni è attribuita la denominazione di “coordinatore”. Gli stessi nell’ambito del coordinamento di una o più unità operative, assume l’onere di avviare gli interventi finalizzati alla verifica dell’efficienza dei servizi affidati alle medesime. Tali attività sono svolte con particolare riguardo all’esigenza di garantire gli obiettivi di sicurezza dell’istituto ivi compresi l’ordine e la disciplina nelle

Tabella riepilogativa parametri

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IL RIORDINO sezioni detentive ed il perfetto funzionamento degli impianti di controllo interni ed esterni e del servizio di vigilanza armata. Ruolo dei funzionari Articolazione della carriera dei funzionari del Corpo di Polizia Penitenziaria • Vice commissario penitenziario; • Commissario penitenziario; • Commissario capo penitenziario • Commissario coordinatore penitenziario; • Commissario coordinatore superiore; • Primo dirigente; • Dirigente superiore. L’accesso al ruolo dei funzionari avviene: • nei limiti del 70% dei posti disponibili mediante concorso pubblico al quale sono ammessi i candidati in possesso di laurea magistrale o specialistica ed età compresa tra i 18 e i 32 anni; Il 20% dei posti disponibili (del 70%) è riservato al personale appartenente al Corpo di Polizia Penitenziaria con una anzianità di servizio di almeno cinque anni in possesso di laurea magistrale specialistica ad eccezione del limite dell’età; • nei limiti del 30% dei posti disponibili mediante concorso interno per titoli di servizio ed esame al quale è ammesso a partecipare il personale del ruolo degli ispettori del Corpo di Polizia Penitenziaria con almeno cinque anni di servizio nel ruolo, in possesso di laurea triennale;

il 20% dei posti (del 30%) è riservato ai sostituti commissari in possesso di laurea triennale; • i vincitori del concorso di cui alla lettera a) sono nominati allievi commissari e frequentano un corso di formazione della durata di due anni; al termine del corso di formazione gli idonei prestano giuramento e accedono con la qualifica di commissario capo; • i vincitori del concorso di cui alla lettera b) sono nominati vice commissari e frequentano un corso di formazione della durata dodici mesi; al termine del corso di formazione sono confermati nel ruolo dei funzionari con la qualifica di vice commissario. • La promozione a commissario si consegue, a ruolo aperto, mediante scrutinio per merito assoluto, al quale è ammesso il personale con la qualifica di vice commissario che abbia compiuto due anni di effettivo servizio nella qualifica; • La promozione a commissario capo si consegue, a ruolo aperto, mediante scrutinio per merito assoluto, al quale è ammesso il personale con la qualifica di commissario che abbia compiuto cinque anni di effettivo servizio nella qualifica; • La promozione a commissario coordinatore si consegue a ruolo chiuso, mediante scrutinio per merito comparativo e superamento di un corso di formazione dirigenziale della durata di tre mesi al quale è ammesso: • Nei limiti del 70% dei posti, il personale con qualifica di commissario capo, vincitore del concorso per esterni che ha maturato almeno sei anni di

PROPOSTE MIGLIORATIVE AVANZATE DAL SAPPE • Aumento in fase di prima attuazione dei posti disponibili per l’inquadramento degli Assistenti Capo nel ruolo dei Sovrintendenti, fino a raggiungere il numero di 7.000 unità nel ruolo; • Aumento in fase di prima attuazione dei posti disponibili per l’inquadramento dei Sovrintendenti nel ruolo degli Ispettori, fino a raggiungere il numero di 6.000 unità nel ruolo; • Aumento in fase di prima attuazione dei posti disponibili per l’inquadramento degli Ispettori nel ruolo Direttivo Speciale, fino a raggiungere il numero di 200 unità nel ruolo; • Stralcio della parte del riordino dove si tratta delle funzioni del ruolo Direttivo e Dirigenziale per prevedere un D.M. ad hoc da concordare con le OO.SS; • Aumento dei posti di Dirigente della Polizia Penitenziaria fino alla completa copertura di tutti gli Istituti e servizi penitenziari (circa 250); • Eliminazione della subordinazione gerarchica dei Dirigenti della Polizia Penitenziaria da quelli penitenziari; • Sostituzione della qualifica di qualifica di “Commissario Coordinatore” con quella di “Vice Questore Aggiunto” e quella di “Commissario Superiore penitenziario” con quella di “Vice Questore”. 8 • Polizia Penitenziaria n.247 • febbraio 2017

effettivo servizio nella qualifica; • Nei limiti del 30% dei posti, il personale con qualifica di commissario capo, vincitore del concorso per interno, che abbia maturato almeno sei anni di effettivo servizio nella qualifica. • La promozione alla qualifica di commissario coordinatore superiore avviene mediante scrutinio per merito comparativo al quale è ammesso il personale con qualifica di commissario coordinatore che ha maturato cinque anni di effettivo servizio nella qualifica. • La promozione a primo dirigente si consegue mediante scrutinio per merito comparativo al quale è ammesso il personale con la qualifica di commissario coordinatore superiore che abbia compiuto quattro anni di effettivo servizio nella qualifica; • La promozione alla qualifica di dirigente superiore si consegue mediante scrutinio per merito comparativo al quale è ammesso il personale con la qualifica di primo dirigente che abbia compiuto almeno cinque anni di effettivo servizio nella qualifica. Disposizioni transitorie e finali per il Corpo di Polizia Penitenziaria Entro il 31 dicembre 2019 si provvede all’ampliamento della dotazione organica del ruolo dei sovrintendenti e degli ispettori fino al raggiungimento rispettivamente di n. 5300 e n. 3550 unità. Nella fase di prima applicazione: • Alla copertura dei posti disponibili dal 31 dicembre 2008 al 31 dicembre 2016 nel ruolo dei sovrintendenti si provvede mediante concorso straordinario per titoli, da attivare entro il 30 ottobre 2017, riservato al personale in servizio alla data di indizione del bando, attraverso il ricorso a modalità e procedure semplificate, secondo le seguenti aliquote: • Per il 60% dei posti disponibili, agli assistenti capo che ricoprono alla predetta data una posizione in ruolo non superiore a quella compresa entro il triplo dei posti riservati; • Per il 40% riservato al personale del ruolo degli agenti ed assistenti che alla predetta data abbiano compiuto almeno quattro anni di effettivo servizio. • Alla copertura degli 800 posti di vice


IL RIORDINO sovrintendente si provvede mediante un concorso straordinario per titoli da attivare entro il 30 giugno 2018 secondo le modalità previste in precedenza dalla lettera a); Al personale partecipante ai posti riservati agli assistenti capo è salvaguardato il mantenimento, a domanda, della sede di servizio. • Le procedure concorsuali per l’accesso al ruolo degli ispettori non concluse alla data di entrata in vigore del presente decreto rimangono disciplinate dalla previgente normativa. • In fase di prima attuazione l’accesso al ruolo degli ispettori avviene, per il 70% dei posti disponibili, mediante concorso interno per titoli riservato al personale di Polizia Penitenziaria con un’anzianità di servizio di 5 anni: • Di questo 70% di personale appartenente al Corpo: 1.a) il 70% riservato agli appartenenti al ruolo dei sovrintendenti; la metà dei posti del predetto 70% riservato ai sovrintendenti capo; 2.b) il 30% riservato al ruolo degli agenti assistenti con almeno cinque anni di effettivo servizio; • Fino all’anno 2026 per l’ammissione allo scrutinio di ispettore superiore non sono richiesti i titoli di studio previsti dalle disposizioni a regime. • Nella fase di prima attuazione , in via transitoria: • È istituito il ruolo a esaurimento del corpo di Polizia Penitenziaria articolato nelle seguenti qualifiche; • Vice commissario penitenziario; • Commissario penitenziario; • Commissario capo penitenziario. L’accesso alla qualifica iniziale del ruolo ad esaurimento avviene, per una sola volta, per n. 50 posti, mediante concorso interno per titoli, riservato al ruolo degli ispettori con qualifica non inferiore a ispettore capo in possesso del diploma d’istruzione secondaria superiore. Il 20% dei posti (quindi 10 posti) è riservato ai sostituti commissari. I vincitori del concorso sono nominati vice commissari e frequentano un corso di formazione della durata di sei mesi. • La promozione alla qualifica di commissario capo dei commissari nominati con la procedura transitoria di prima attuazione si consegue mediante scrutinio per merito comparativo a ruolo aperto, dopo

quattro anni di effettivo servizio nella qualifica di commissario. Con decorrenza 1 gennaio 2017: • Gli assistenti che al 1 gennaio 2017 hanno maturato un’anzianità nella qualifica pari o superiore a quattro anni, sono promossi, previo scrutinio per merito assoluto, alla qualifica di assistenti capo; • I vice sovrintendenti che al 1 gennaio 2017 hanno maturato un’anzianità nella qualifica pari o superiore a cinque anni, sono promossi, previo scrutinio per merito assoluto, alla qualifica di sovrintendenti; • I sovrintendenti che al 1 gennaio 2017 hanno maturato un’anzianità nella qualifica pari o superiore a cinque anni, sono promossi, previo scrutinio per merito assoluto, alla qualifica di sovrintendenti capo; • Al personale che riveste la qualifica di assistente capo con almeno otto anni di anzianità nella stessa è attribuita la denominazione di “coordinatore”; • Al personale che riveste la qualifica di sovrintendente capo con almeno otto anni di anzianità nella stessa è attribuita la denominazione di “coordinatore”; • Il personale che riveste la qualifica di ispettore capo con un’anzianità pari o superiore a nove anni è ammesso allo scrutinio, a ruolo aperto, per la promozione a ispettore superiore; • Il personale che riveste la qualifica di ispettore superiore che ha maturato anzianità nella stessa pari o superiore ad otto anni è promosso per merito comparativo a sostituto commissario; • Al personale che riveste la qualifica di sostituto commissario che ha maturato un’anzianità nella qualifica di almeno quattro anni è attribuita la denominazione di “coordinatore”; Per i vincitori dei concorsi interni a complessivi 1757 posti per l’accesso al corso di aggiornamento di formazione professionale per la nomina alla qualifica di vice sovrintendente del ruolo dei sovrintendenti del Corpo di Polizia Penitenziaria , pubblicati nella Gazzetta ufficiale – IV serie speciale concorsi ed esami – n. 12 dell’11 febbraio 2000, in servizio alla data di entrata in vigore del presente decreto, la decorrenza giuridica dell’anzianità è anticipata al 31 dicembre 2000. F

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Due libri di formazione e aggiornamento professionale ‘ad hoc’ per gli operatori del Comparto Sicurezza e Difesa e per chiunque, nell’esercizio delle proprie funzioni, ha compiti di polizia giudiziaria. Pietro Luigi Vigna magistrato italiano e Procuratore nazionale antimafia dal 1997 al 2005, esprime con semplicità ed estrema chiarezza gli elementi di diritto penale e di procedura penale, argomenti spesso materie d’esame di molti concorsi (tra i quali quello in atto, interno, per l’acquisizione della qualifica da vice Ispettore del Corpo) e di una qualificata attività formativa e di aggiornamento professionale.

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IL COMMENTO

Roberto Martinelli Capo Redattore Segretario Generale Aggiunto del Sappe martinelli@sappe.it

Il ruolo della Polizia Penitenziaria tra la scommessa delle misure alternative e la banca dati DNA

U

no dei più qualificati esperti in materia di esecuzione penale è Fabio Fiorentin, con un curriculum vitae davvero di eccellenza in materia. Magistrato dell’ufficio di sorveglianza di Udine e componente togato del Tribunale di sorveglianza, Fiorentin ha il pregio di affrontare temi delicati come quelli penitenziari con una chiarezza espositiva non comune. Nei giorni scorsi ha pubblicato, sul quotidiano Il Sole 24 ore, un interessante argomento sulla chance delle misure alternative.

Nella foto: il magistrato Fabio Fiorentin

Fiorentin ha evidenziato che il sistema delle misure alternative alla detenzione è una vera "valvola di sfogo" per il sistema penitenziario e sta in parte arginando l’aumento del numero dei reclusi nelle carceri italiane, aumento che però è costante e continuo. I dati del ministero della Giustizia testimoniano, infatti, un costante aumento delle misure alternative in esecuzione sul territorio nazionale, in costante ascesa se si guarda al passato meno recente. Al 31 dicembre del 2010 erano 15.828 i condannati affidati in prova ai servizi sociali, in semilibertà o assegnati alla detenzione domiciliare, contro le oltre 34mila persone sottoposte a misure alternative al 31 gennaio scorso.

E se negli ultimi anni non ci sono più stati picchi, il trend d’aumento resta comunque costante, in media per un migliaio di condannati in più all’anno negli ultimi tre anni. Dietro a questi numeri, rileva Fiorentin, c’è l’impegno della magistratura di sorveglianza, che ha fatto crescere le esecuzioni penali esterne al carcere senza pregiudicare le esigenze di sicurezza della collettività, se è vero che - dati alla mano - sono davvero sporadici i casi di revoca di misure alternative per l’insuccesso della prova o per la commissione di un nuovo reato da parte dell’ammesso. Va rilevato, però, che i tempi dell’istruttoria nei procedimenti di applicazione delle misure alternative si sono dilatati, soprattutto per le difficoltà operative in cui versano gli uffici dell’esecuzione penale esterna (Uepe), che rappresentano, di fatto, il braccio operativo della giustizia su questo fronte. Si tratta di uffici ai quali, negli ultimi anni, sono state affidate sempre maggiori competenze e il cui carico di lavoro è quindi lievitato nel tempo. Alle nuove attività, però, non corrispondono sufficienti risorse di personale e di mezzi per farvi fronte. Da tre anni a questa parte, gli Uepe sono impegnati in prima linea anche sul fronte dei procedimenti in materia di sospensione del processo con messa alla prova dell’imputato, istituto su cui si gioca una parte importante della strategia di deflazione del sistema penale. Gli Uepe, in particolare, sono incaricati di predisporre i programmi e le attività riparative su cui si sviluppa la messa alla prova dell’imputato. Guardando ai dati territoriali, si vede che in alcune aree - come in Friuli Venezia Giulia - le istanze di messa alla

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prova sono state numerose, ma quelle concretamente avviate sono state molte meno. Un risultato dovuto soprattutto all’eccessivo carico di lavoro per gli Uepe, che non riescono a fronteggiare la massa delle istanze. In altri territori, invece, come nel Lazio e in molte regioni del Sud Italia, il ricorso alla messa alla prova è ancora marginale. Dai dati del ministero della Giustizia sulla popolazione carceraria emerge una lenta, ma costante, crescita del numero di presenze negli stabilimenti penitenziari, risalita a gennaio 2017 a quota 55.381 detenuti, dopo il minimo di 52.164 raggiunto nel dicembre 2015. A fronte dell’understatement politico (la recente relazione del ministro Andrea Orlando sullo stato della giustizia non menziona il problema), il dato non è però sfuggito ai tecnici. Questi ultimi, in particolare, guardano con preoccupazione alle possibili conseguenze dell’eventuale aggravarsi di una criticità che potrebbe porre di nuovo, come già quattro anni fa dopo la sentenza "Torreggiani", l’Italia nella scomoda e umiliante veste di "osservata speciale" per le condizioni detentive praticate negli istituti penitenziari. Uno scenario che imporrebbe gravi conseguenze non solo per le sanzioni pecuniarie che verrebbero imposte dall’Europa nel caso fosse accertata la perdurante violazione da parte del nostro Paese dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (che vieta i "trattamenti inumani o degradanti"), ma anche per le difficoltà che insorgerebbero sul piano della cooperazione giudiziaria internazionale. Le richieste di estradizione avanzate dall’Italia potrebbero infatti - come è già accaduto in un recente passato -


IL COMMENTO essere rifiutate dagli altri Stati dell’Ue qualora vi fosse il fondato motivo di ritenere che l’estradato possa subire in Italia una detenzione contraria alla dignità umana. Se è vero che le cause dietro l’aumento dei detenuti sono molte, è chiaro che, a fronte di tali possibili scenari, puntare sugli strumenti dell’esecuzione penale esterna è una delle vie da seguire per decomprimere la situazione nelle carceri. In questa prospettiva, Fiorentin evidenzia che si deve quindi guardare con interesse al disegno di legge in materia di riforma dell’ordinamento penitenziario in corso di esame da parte del Parlamento e al recepimento delle importanti indicazioni emerse dai lavori degli Stati generali dell’esecuzione penale da poco conclusisi. Fiorentin, va ricordato, è stato nominato dal Ministro della Giustizia componente del Tavolo XVI

operativo solo da poche settimane, è quello di raggiungere i risultati di chi da anni dispone di questo strumento: nel Regno Unito il 62% dei dati inseriti ha restituito un legame tra la traccia trovata sul luogo di un crimine e il possibile autore. Semplice intuire le potenzialità del "cervellone" interforze: in Italia sono oltre 2,4 milioni i reati registrati nelle ultime statistiche ufficiali del Ministero dell’Interno (dal 1 agosto 2015 al 31 luglio 2016), di cui circa 32mila rapine e oltre 1,3 milioni furti. L’impiego potrà rivelarsi utile anche per omicidi, ricerca di persone scomparse, "cold case" e lotta al terrorismo. «A fine gennaio – ha annunciato all’Adnkronos Egidio Lumaca, Primo dirigente tecnico della Polizia scientifica - abbiamo immesso il primo profilo. Si tratta di una banca dati con finalità giudiziarie,

ragioni di sicurezza saranno decodificati in un momento successivo. Complesse misure per rendere inattaccabile il sistema e rispettare la privacy. La Polizia Penitenziaria raccoglie i tamponi salivari dei detenuti, invece la polizia, i carabinieri e la guardia di finanza raccolgono quelli di chi è ai domiciliari, a esclusione dei reati meno gravi per i quali non è previsto il prelievo. La Polizia Scientifica o il Ris analizzano e valutano invece i profili genetici sconosciuti estratti dalle "prove" del crimine, cioè dal materiale biologico rilasciato sulla scena. Le tracce vengono analizzate in laboratori accreditati a norma Iso 17025, che garantisce la competenza del personale, dei processi, delle prove eseguite e assicura la tracciabilità di ogni fase di lavoro.

degli “Stati Generali per la riforma dell’esecuzione penale”, nel cui ambito ha concorso alla elaborazione di un’articolata proposta di riforma di alcune fondamentali disposizioni della legge di ordinamento penitenziario (segnatamente: artt. 4-bis, 41-bis, 58ter, ord. penit.). Ancora una volta, dunque, l’Autore ci offre importanti materiali di studio e riflessione, che meritano approfondite analisi. Prosegue, intanto, a pieno ritmo, la banca-dati del Dna: sono stati 30.000 gli schedati, tra detenuti e chi ha commesso reati, e ora si attende il "match" che potrebbe risolvere un caso o riaprirne uno irrisolto. L’obiettivo del progetto, istituito con una legge nel giugno 2009 ma

l’inserimento di ogni informazione genetica deve essere autorizzato dall’Autorità Giudiziaria». I tamponi salivari da cui estrarre il Dna, raccolti dal 10 giugno 2016 sono circa 30.000 tra detenuti e chi ha commesso reati, ma presto anche il resto della popolazione carceraria sarà sottoposta a prelievo. Il Dna ottenuto viene confrontato con quello estrapolato dalle tracce rinvenute sulla scena del crimine, attualmente sono stati inseriti in banca dati alcune decine di profili, ma presto diventeranno centinaia e poi migliaia. A ogni profilo genetico viene associato un codice alfanumerico, se due profili combaciano c’è il "match", ma chi accede al sistema non trova un nominativo ma quei codici che per

Se il Dna su una sigaretta trovata su un luogo di una rapina combacia con quello di un soggetto già inserito in banca dati, solo allora si potrà chiedere all’Afis, la banca dati delle impronte digitali che ha generato il codice anonimo del profilo genetico, di decodificare quel codice fornendo nome e cognome. «Il profilo del Dna di ciascun individuo – ha sottolineato ancora Lumaca - ha caratteristiche che lo rendono praticamente unico, con la sola eccezione dei gemelli identici, e ci consente di identificare con certezza una singola persona. Tanti più dati verranno inseriti, maggiore sarà la possibilità di trovare un ‘match’, il che non vuol dire automaticamente risolvere un

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Nella foto: un Ufficio per l’Esecuzione Penale Esterna

Á


IL COMMENTO caso, ma identificare in modo certo colui che ha rilasciato la propria traccia biologica sulla scena del crimine. Possiamo dire che dall’esito positivo del confronto tra traccia e soggetto può partire con più forza una nuova indagine alla ricerca del colpevole». L’esperienza - il Regno Unito si è dotato nel 1995 di un banca dati, nel 2004 le corrispondenze tra profili erano pari al 45% e sono salite al 62% nel 2014 - «ci dice che la banca dati di per sé non diminuisce il tasso di criminalità, ma sicuramente incide sui reati seriali e sul numero di risoluzioni. Un deterrente forse meno efficace per i delitti d’impeto come molti omicidi, ma sapere che esiste potrà comunque avere un effetto preventivo».

I titoli di studio, dell’Università Telematica PEGASO, oltre ad accrescere la cultura personale, sono spendibili per la partecipazione a concorsi riservati a laureati (esempio Commissario penitenziario).

Costi e pagamenti in convenzione Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza: retta annuale 1.700 euro anziché 3.000 euro rateizzabile in 4 rate Percorso Class Form (Principi delle Scienze Giuridiche) riservato ai diplomati Durata annuale, carico didattico 1.350 ore corrispondenti a 54 CFU. Progetto finalizzato a fornire le basi ed una preparazione di livello elevato nel settore delle Scienze Giuridiche per l’avviamento al Corso di Laurea Magistrale. Contenuti e crediti formativi

Nella foto: la struttura a doppia elica del DNA

La banca dati del Dna - l’Italia sta cercando di recuperare i ritardi rispetto agli altri Paesi - consentirà all’autorità giudiziaria di chiedere confronti con profili genetici delle omologhe banche dati estere «intensificando l’interscambio di informazioni che è fondamentale». Il "cervellone" con profili genetici «sarà utile soprattutto per aiutare nella risoluzione di reati seriali, come i furti o le rapine», sottolinea il direttore della divisione dove operano i laboratori biologici della Polizia Scientifica. «Probabilmente la banca dati aiuterà a risolvere anche alcuni "cold case", ma il valore della banca dati si misurerà principalmente negli anni futuri, quando si arricchirà di sempre più numerosi dati. Oggi le tecniche consentono di ottenere ben più dei 10 marcatori genetici, considerati il numero minimo per avere la sicurezza di identificazione; mentre in passato – ha concluso - si disponeva di un numero inferiore di informazioni, che portava ad esprimere solo un giudizio di compatibilità, ma non di certa identità». Fiorentin e Lumaca delineano, dunque, nuovi orizzonti e prospettive professionali in materia di esecuzione della pena: e questo non può che prevedere anche un nuovo ruolo operativo per il Corpo di Polizia Penitenziaria ed i suoi appartenenti. L’auspicio è che, chi di competenza, sappia raccogliere entrambi. F 12 • Polizia Penitenziaria n.247 • febbraio 2017

Tematica

SSD

CFU

1 Principi costituzionali

IUS/08

9

2 Istituzioni di diritto romano

IUS/18

12

3 Istituzioni di diritto privato

IUS/01

18

4 Storia del diritto medievale e moderno

IUS/19

9

5 Teoria generale del diritto e dell’interpretazione IUS/20

6

Totale

54

Costi e pagamenti in convenzione Class Form: Forze dell’ordine: 1.200 euro anziché 1.800 euro rateizzabili in 3 comode rate Sedi d’esame: Napoli, Torino, Roma, Palermo, Trani, Bologna, Milano, Assisi, Messina, Ariano Irpino, Acireale, Agrigento, Cagliari, Caltanissetta, Campobello di Mazara (TP), Catania, Cosenza, Firenze, Latina, Macerata, Reggio Calabria, Siracusa, Venezia, Vibo Valentia, Vittoria (RG).

info e appuntamenti:

06.3975901 studipenitenziari@gmail.com Via Trionfale, 140 • Roma


L’OSSERVATORIO POLITICO

L’emergenza migratoria secondo il rapporto dell’intelligence italiana

I

n base a quanto si legge nella relazione annuale che i nostri servizi di intelligence fanno al Parlamento, la composizione dei flussi migratori irregolari che hanno interessato il Mediterraneo nel corso del 2015 appare mutata a causa della situazione esistente in alcune aree di crisi e di conflitto. Per entrare nello spazio Schengen le rotte maggiormente utilizzate sono state quella nordafricana che è il più importante canale di ingresso alle coste italiane e quella anatolico balcanica, per i migranti che provengono da Siria, Palestina, Iraq (Vicino Oriente) e Pakistan, Afghanistan, Bangladesh (Asia). Il trasferimento dalle zone di origine a quelle di destinazione ormai è diventato un business importante per molti circuiti illegali che favoriscono l’immigrazione clandestina proprio per trarne profitti illeciti. I flussi illegali provenienti da questi paesi, oltre a costituire un’emergenza di carattere umanitario, sanitario e di ordine pubblico – si legge nella relazione – può presentare insidie sul piano della sicurezza. Nella medesima ottica, la ricerca intelligence è stata focalizzata sulle possibili, ancorché non sistematiche, contaminazioni tra immigrazione clandestina e terrorismo, alla luce di alcuni indicatori. Innanzitutto, i contesti di crisi siriana, irachena, libica, sub sahariana e del Corno d’Africa sono infiltrati in parte da espressioni terroristiche di matrice islamista che possono inquinare i canali dell’immigrazione e sottoporre alla radicalizzazione elementi poi destinati ad emigrare nei Paesi europei. Di rilievo è, inoltre, la possibilità di acquisire documenti falsi, contraffatti o autentici, nella disponibilità anche di

formazioni terroristiche, che consente l’ingresso di ex combattenti o di militanti riconducibili a milizie islamiste. Tali informazioni smentiscono quindi le rassicurazioni di qualche politicante che ha più volte affermato che i terroristi non vengono attraverso i barconi, ma in aereo e con tanto di passaporto.

Il territorio libico costituisce lo snodo principale e privilegiato della migrazione africana verso l’Europa, soprattutto a causa della locale instabilità politica e della mancanza di un efficace apparato locale di contrasto al crimine. Il fenomeno è talmente diffuso che in Anatolia, addirittura, i trafficanti ricorrono anche alla promozione tramite internet di una politica dei prezzi per il trasferimento dei clandestini. In Italia sono proliferati gruppi criminali etnici composti prevalentemente da soggetti egiziani, del Corno d’Africa e rumeni, specializzati sia nella falsificazione di documenti, sia nel fornire assistenza ai

Questo può essere vero per i foreign fighters che rientrano in patria, ma non per coloro che raggiungono l’Europa clandestinamente. L’Italia è sicuramente il Paese maggiormente interessato al fenomeno migratorio irregolare via mare. Secondo i dati forniti dal Ministero dell’Interno nel corso del 2015 sono giunte in Italia (sbarcate/intercettate) 153.842 persone, cifra inferiore a quella registrata nel 2014 (170.100). Tale decremento, secondo quanto riporta la relazione dell’intelligence, sarebbe verosimilmente dovuto, più che a una diminuita avanzata migratoria, alla riattivazione della direttrice anatolico-balcanica che ha orientato in maniera diversa l’esodo dei siriani, nonché dei migranti provenienti da Iraq, Afghanistan e Pakistan. La migrazione selvaggia e gli elevati guadagni hanno accresciuto i gruppi criminali dediti al trasferimento di clandestini, soprattutto nelle zone del Nord Africa.

migranti per il trasferimento dai centri di accoglienza alle località dì destinazione nel Nord Europa. Quindi paghiamo anche un prezzo in termini di proliferazione di gruppi criminali, a causa della migrazione selvaggia e incontrollata proveniente dai paese del Nord Africa e dell’Asia. Sempre secondo quanto è scritto nella relazione dell’intelligence gruppi di ex contrabbandieri di tabacchi, esperti scafisti capaci di eludere la sorveglianza marittima, utilizzerebbero imbarcazioni veloci di limitate dimensioni (massimo venti persone), per intercettare una domanda in grado di sostenere costi elevati di viaggio. Traffico ben diverso, quest’ultimo, da quello che vediamo attraverso i telegiornali, fatto di grossi barconi traballanti e stipati di clandestini: uomini, donne e bambini, molti dei quali, spesso, finiscono in mare. Esisterebbe, quindi, anche una migrazione d’élite, destinata a coloro che sono in grado di spendere di più, ovvero di indebitarsi maggiormente. F

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Giovanni Battista Durante Redazione Politica Segretario Generale Aggiunto del Sappe giovanni.durante@sappe.it

Nella foto: migranti su un natante di fortuna


Roberto Thomas Docente del corso di formazione specialistico in criminologia minorile presso l’Università di Roma La Sapienza Già Magistrato minorile rivista@sappe.it

CRIMINOLOGIA

Il concetto criminologico del minorenne normale

A

Nella foto: un gruppo di ragazzi

ssai arduo e dibattuto in dottrina è il problema della classificazione criminologica dei minori di diciotto anni. Quella, a mio parere, più lineare per una immediata comprensione del fenomeno, facendo riferimento esclusivamente al punto di vista sociologico dell'analisi dei loro concreti comportamenti, li raccoglie tutti nelle tre macrocategorie dei normali, in quella dei devianti e nella terza macrotipologia dei criminali.

1949 “Teoria e struttura sociale”, che la mutua dal concetto statistico di devianza, consistente nello scostamento dal valore medio di una distribuzione dei dati, ed è un concetto fluido, in quanto assolutamente relativo alla variabilità dello spazio e del tempo di osservazione. Il minore criminale è quello che realizza un'azione che viola il divieto contenuto in una legge penale, commettendo un reato e costituisce una classificazione, a differenza di

I minorenni normali possono essere definiti correttamente da un punto di vista sociologico soltanto in maniera residuale, cioè come coloro che non commettano né azioni devianti né quelle criminali. Per deviante si deve intendere, in prima approssimazione, colui che non rispetta le regole sociali maggiormente condivise da una determinata collettività in un particolare momento storico, violando con il suo comportamento il cosiddetto controllo sociale. La nozione di devianza (applicabile sia ai minori che agli adulti) viene creata per la prima volta, in connessione con una teoria sociologica integrale della società, dal sociologo americano Robert K. Merton nel suo libro del

quella precedente di devianza, meno fluida e più facilmente riconoscibile in quanto rigidamente collegata al sistema normativo penale vigente in una determinata società . A questa triplice distinzione mi sembra necessario, per completezza, aggiungere una quarta categoria e cioè quella dei minori anormali che sono quelli completamente incapaci d'intendere e di volere a causa di una grave malattia mentale o per una devastante disabilità fisica fin dalla nascita, e ai quali non si può imputare, come responsabilità, né i comportamenti devianti , né tantomeno quelli criminali . Tutte e quattro le predette distinzioni hanno in comune un connotato che, prendendo spunto dal loro

14 • Polizia Penitenziaria n.247 • febbraio 2017

comportamento, si rapporta necessariamente alla personalità del minorenne e cioè la sua immaturità di natura affettiva o sociale (che preferisco definire come fluidità, valorizzandone il suo concetto dinamico che sottolinea proprio “l'inafferrabilità” del minore da parte degli adulti per lui significativi che, per così dire, se lo vedono sfuggire dalle loro mani senza sapere come “prenderlo” e comprenderlo al fine di aiutarlo nella sua crescita psico-fisica) sia pur in graduazioni quantitative diverse che vanno dalla minima, per quelli anormali (in cui sono assorbenti le cause biologiche genetiche di origine psichiatrica rispetto a quelle psicologiche affettive e sociali), e poi, in scala crescente, per i normali, per i devianti fino a quella massima per i criminali. E' chiaro che la precedente mia classificazione, per così dire integrata, in quanto riunisce alla valutazione dei comportamenti anche quella della sfera psicologica dei minorenni, costituisce una mera semplificazione di una realtà umana variegatissima, sia per i profili psicologici che per quelli comportamentali che sono certamente diversi, qualitativamente e quantitativamente, a seconda del singolo individuo, al pari del DNA della sua costituzione organica, in particolare per i minori cosiddetti normali, per cui una loro identificazione oggettiva è praticamente impossibile perché non esiste, in natura, un individuo “tipo” che, dalla nascita al compimento dei diciotto anni, abbia rigide modalità di comportamento e di carattere, standardizzate come “normali”, che possano costituire un sicuro parametro di confronto e di valutazione per tutti gli altri coetanei.


CRIMINOLOGIA Storicamente, in varie dittature (penso, ad esempio, tanto per citarne una abbastanza recente, a quella della “rivoluzione culturale” di Mao Tsetung in Cina, negli anni sessanta del secolo scorso) si è attuato un vera e propria “normalizzazione” attuata con la forza, che induceva necessariamente ad una uniformità comportamentale (visibile anche all'esterno da un identico modo di vestire che costituiva una vera e propria divisa) tutti i cittadini sottoposti a regole ferree, soprattutto se minori, vincolati, fin dallo loro possibilità di nascita (in Cina, fino al settembre 2015, vi era l'obbligo di nascita di un unico figlio per coppia, attualmente aumentato a due) ad una rigida educazione “normale” o meglio “normalizzata” da standard imposti coattivamente dal regime dittatoriale. Del resto la cosiddetta normalità

dovrebbe avere una duplice sfera di ricerca relativa sia all'aspetto interno della personalità (comprensivo del carattere e del temperamento individuale), che a quello esterno, concernente la condotta del singolo minore. Per sopperire a tale carenza si sono utilizzati, caso per caso, dei parametri medico-psicologici per valutare l'aspetto caratteriale e altri sociologici per quello comportamentale, entrambi soggetti all'evoluzione dei progressi della scienza medica-psicologica e dei mutamenti sociali. Così, per il primo aspetto, si è individuato il criterio della “normale” capacità d'intendere e di volere, da accertarsi mediante una combinata indagine psichiatricapsicologica che approfondisce tutti gli

aspetti di una singola personalità , giudizio riconosciuto valido dal diritto penale ai fini dell'imputabilità della commissione di un reato - per il minorenne esclusivamente dopo il compimento dei quattordici anni (ex art. 97 cod. pen.) - e, conseguentemente, per attribuire la responsabilità e punibilità dell'azione criminosa (ex art. 85 cod. pen.). Tale ricerca sulla personalità minorile, soggetta alla variabilità delle metodologie degli esperti nel caso concreto, si espone a giudizi di “normalità” spesso confliggenti sulla medesima fattispecie e, pertanto, nell'ipotesi di commissione di un reato, è rinviata alla decisione del giudice che, con la sua sentenza, emette un giudizio definitivo sulla esistenza o meno della “normalità penale” (e cioè di quella capacità d'intendere e volere necessaria per la punibilità del commesso delitto). Per ciò che riguarda l'aspetto comportamentale vengono generalmente utilizzati dei riferimenti sociologici assai fluidi circa la percezione sociale prevalente in una singola collettività della “normalità” o meno di una concreta azione individuale, che dà luogo ad una “normalità sociale”. Quel che è certo che tutti gli autori concordano nel ritenere la normalità minorile come una “normalità incompleta”, in quanto deve rapportarsi, per gradi, al progressivo aumento dell'età, dalla prima infanzia alla adolescenza, fino al diciottesimo anno, in cui , per legge – ma solo per il diritto ! - si raggiungerebbe una “normalità completa” . Ne consegue che il codice penale, all'art. 98, primo comma, cod. pen., riconoscendo la presenza di questa naturale “incompletezza” di normalità, prevede la riduzione obbligatoria di un terzo della pena per tutti i reati commessi dagli infradiciottenni, sia pur capaci d'intendere e volere ai fini dell'imputabilità penale e alla conseguente responsabilità e punibilità per il delitto commesso. Da quanto detto ne deriva che per definire in maniera generale la

nozione di “normalità” del minore soccorrono solo due possibili definizioni. La prima, rifacendosi alla etimologia dell'aggettivo normale, che deriva dal sostantivo norma, afferma che l'individuo normale è colui che rispetta tutte le regole di comportamento previste da norme sociali, amministrative e penali, regole che sono più “tenui” per i minori, al fine di rispettare la già definita loro normalità “incompleta”. La seconda ricorre al già ricordato concetto residuale, psico- sociologico, identificando come minori normali coloro che, per carattere, non siano né disagiati o disadattati, e, quanto al loro comportamento, non commettano azioni devianti (e cioè violazioni sociali, secondo la prevalente percezione sociale o del contenuto di norme amministrative)

oppure criminali (e cioè violazioni di norme penali). Anche queste due nozioni di “normalità”, però, non costituiscono una tipizzazione rigorosamente oggettiva, perché il concetto di devianza, come già detto, è variabile in base all'epoca e alle collettività di riferimento e anche il sistema del diritto positivo, civile, amministrativo e penale, evolve nel tempo ed è diverso a secondo degli Stati. Ne consegue che anche le nozioni di devianza e criminalità sono “mobili” e non possono costituire un parametro generale e immutabile - e quindi assolutamente oggettivo rispetto al quale si possa ricavare una sicura e stabile valutazione della normalità. F

Polizia Penitenziaria n.247 • febbraio 2017 • 15

Nelle foto: a sinistra “indottrinamento scolastico” nella Cina di Mao Tse-tung sopra una banda giovanile


DIRITTO E DIRITTI

Giovanni Passaro Vice Segretario Regionale Lazio passaro@sappe.it

Dalle pene corporali alle punizioni dell’anima

I

l significato che attualmente attribuiamo al termine carcere e che tendenzialmente associamo a quella struttura all’interno della quale sono presenti soggetti che hanno violato la norma penale, non è sempre stato di immediata veduta, ma è stato costruito pezzo per pezzo nel corso dei secoli. Il carcere appare oggi una realtà metafisica sempre esistita ed inevitabile. Tale visione, storicamente inesatta, dipende dal fatto che negli ultimi due secoli si è assistito al definitivo

Nelle foto: sopra la rotonda di un carcere in alto una sedia con chiodi per la tortura

tramonto delle pene corporali, di cui quella capitale resta l’ultimo anacronistico retaggio; e al progressivo, parallelo affermarsi della pena detentiva, graduabile e proporzionale in ragione del tempo, come la principale tra le sanzioni criminali. Ricercare il filo conduttore che segue l’intera storia delle carceri non è un’impresa facile, per molteplici motivi. Per molti secoli, sono state accomunate sotto lo stesso nome esperienze diverse tra loro, non solo per le loro caratteristiche peculiari e il loro funzionamento, quanto per la loro istituzione, per le finalità che perseguivano e per le diverse discipline dategli.

Inoltre, non di poco rilievo sono le influenze subite da istituzioni nate originariamente con funzioni diverse da quelle privative della libertà, ma inglobate col tempo nella stessa istituzione carceraria: le così dette case di correzione. Storicamente la nascita delle istituzioni carcerarie si fa risalire all’avvento dell’Illuminismo; tempo in cui lo splendore dei supplizi, quella violenza corporale e quel cerimoniale accurato fatto di peripezie, grida e sofferenze del condannato, smise di inscriversi nel funzionamento politico della penalità e in cui il carcere venne elevato a strumento principale per punire i trasgressori. Ed in effetti, è solo con l’ottocento che la pena carceraria diventò “la pena”. Questa assoluta predominanza non vuole però negare la presenza di un qualche spazio all’interno dei sistemi e procedure penali dei secoli precedenti, ma sottolineare come fu da allora che nacque quell’idea che modernamente si ha del carcere. Infatti, se escludiamo epoche troppo remote quali l’alto medioevo, in cui era la stessa idea punitiva a mancare tra i fini dello Stato e la repressione dei reati era rimessa alla volontà di vendetta dell’offeso, possiamo affermare che il carcere, sebbene esistesse, non fu considerato fin da subito come una pena in senso tecnico, ma solo come semplice luogo di custodia per tutti coloro che dovevano essere condannati per evitare che si potessero sottrarre alla punizione. Principio dominante era la carcerazione preventiva, per assicurarsi che gli individui inaffidabili fossero presenti al processo o all’emissione del verdetto. Questo è lo scenario che presenta il basso medioevo, arricchito, per motivi

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economico-sociali, dalla sostituzione della pena pecuniaria e della vendetta personale con atroci pene corporali; se le pene pecuniarie riflettono nel primo medioevo un mondo contadino scarsamente popolato in cui la ricchezza è facile da equilibrare, nel secondo medioevo l’assetto storico cambia e la ferocia delle pene corporali riflette quell’eccessivo aumento della popolazione che portò a fratturare drasticamente le disparità tra ricchi e poveri, creando un maggior numero di mendicanti, disordine sociale e rivolte. La criminalità cambia il proprio aspetto; ne risultò un forte incremento dei reati contro la proprietà e lentamente al posto delle pene precedenti, si sostituirono le flagellazioni, le mutilazioni e la pena di morte, dapprima ancora redimibili con il denaro, poi come strumento di pene universali, in quanto sembravano le sole in grado di garantire una certa difesa contro la criminalità delle crescenti masse di diseredati. Seppure, quindi, il panorama sociale risulti totalmente trasformato rispetto a quello del primo medioevo, la


DIRITTO E DIRITTI posizione del carcere resta invariata. La sua funzione resta circoscritta a quel semplice edificio in cui si custodiscono gli imputati in pendenza di giudizio o si praticano le pene corporali. Al fine di mantenere il valore deterrente, più la popolazione s’impoveriva, più le pene diventavano severe. Le pene corporali aumentarono rapidamente fino ad imporsi come forma dominante. Le esecuzioni, le mutilazioni e la frusta non furono affatto introdotti d’un colpo ad opera di qualche mutamento rivoluzionario, ma divennero gradualmente la regola all’interno di una situazione che si trasformava. Le pene più severe che dominarono fino al XIV secolo, ed utilizzate solo nei casi estremi, ora costituivano la normalità ogniqualvolta vi era il dubbio che l’imputato fosse un pericolo per la società; così come la pena di morte, che già nel XVI secolo (apice di questo mutamento) passò da estrema ratio a normale strumento punitivo utilizzato per liberarsi dei soggetti pericolosi; le modalità esecutive si inaspriscono al fine di rendere più dolorosa la stessa pena di morte. Nasce l’arte del supplizio. Ma cos’è un supplizio? E’ un fenomeno inesplicabile, l’estensione dell’immaginazione degli uomini in fatto di barbarie e di crudeltà. Inesplicabile, ma non privo di regole. Una pena per essere un supplizio deve rispondere a tre criteri principali: deve produrre una certa quantità di sofferenza che si possa, se non misurare esattamente, per lo meno valutare; la morte è un supplizio nella misura in cui non è semplicemente privazione del diritto di vivere ma occasione di una calcolata gradazione di sofferenza: dalla decapitazione, che le riconduce tutte ad un solo gesto e in un solo istante, che porta al grado zero il supplizio, passando per lo squartamento, che lo porta quasi fino all’infinito, finendo con l’impiccagione, il rogo, la ruota sulla quale si agonizza lungamente; ed infine la morte-supplizio quale arte di

trattenere la vita nella sofferenza. Quando la pena non veniva esasperata fino alla morte, le pene corporali servivano per riconoscere il tipo di reato del quale l’individuo si era macchiato e far sì che il reato e il suo autore diventassero di dominio pubblico. La politica nascosta dietro questo sistema punitivo era quella di rendere la pena e la sofferenza fattori pubblici, mettendo in scena una vera opera teatrale in cui la popolazione fungesse da pubblico. L’effetto deterrente era la pubblicità del supplizio, l’esemplarità della pena, non il supplizio in quanto tale. Questo circolo vizioso spingeva inevitabilmente i condannati e i marchiati a fuggire dalla società, ove non erano più accettati, per riabbracciare ancora una volta la strada del crimine, quale unica alternativa per vivere. Questa era l’ideologia di fondo dell’epoca feudale: pene spettacolari e crudeli. Da ciò possiamo intendere come fosse impossibile che il carcere, come noi l’intendiamo oggi, trovasse una sua postazione autonoma, ma si lasciasse a semplice surrogato delle pene corporali. Il carcere era una pena, ma sussidiaria, applicata a coloro che, condannati a pena pecuniaria, non erano in grado di pagare, o a coloro che per il rango sociale di appartenenza non si riteneva conveniente infliggergli una pena corporale. Tra il XV e XVI secolo l’assetto storico iniziò a mutarsi nuovamente. Si assiste alla fine del mondo feudale e all’affermarsi di una nuova realtà socio-economica: è l’alba del mondo moderno. Ed è in questa fase che l’istituzione carceraria riceverà un forte sviluppo congeniale alla sua crescita ricevendo il suo primo “input” quale luogo di esecuzione della pena privativa della libertà personale caratterizzata da un quantum predeterminato. Ciò prende avvento sotto lo scenario del Mercantilismo, caratterizzato dalla scarsità di forza-lavoro, da un nuovo

sistema punitivo, da una graduale estensione della nozione di crimine, da nuove leggi e dalla dissoluzione economica, politica e sociale del vecchio mondo. La reazione allora fu quella di sostituire la “depressione economica” con la coercizione. Con la scarsità della manodopera “sarebbe stata una crudeltà economicamente insensata continuare ad annientare i delinquenti. La pena della privazione della libertà prende il posto delle pene corporali e capitali; dovunque erano luoghi di supplizio, ora si costruivano case di correzione”. Una nuova forma di umanità, rivestita dal carattere economico e dallo sfruttamento della forza-lavoro. Difatti, sebbene la pena di morte rimase operante per i reati più gravi (quali omicidi o delitti di lesa

maestà), per i reati minori, destinati a ladri, mendicanti e vagabondi, si sostituì la pena del castigo corporale con altre economicamente più vantaggiose. Non fu un caso lo svilupparsi di tre nuove forme di sanzione allo scopo di sfruttare la forza-lavoro dei condannati, quali la servitù sulle galere, la deportazione ed i lavori forzati. E’ opportuno precisare come tutti questi stravolgimenti non furono dettati dal solo scopo di adeguarsi economicamente ai cambiamenti sociali che la storia stava creando, ma anche dalla totale rottura del mondo feudale e dalla consequenziale nascita degli Stati Assoluti.

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Nella foto: detenuti ai lavori forzati

Á


DIRITTO E DIRITTI Inevitabilmente si passò ad affrontare la criminalità in modo del tutto differente. Si assiste al trapasso da un sistema penale privato a quello pubblico; da questo momento in poi lo Stato parteciperà attivamente nell’amministrazione della giustizia penale e risponderà al diverso carattere dei crimini con la promulgazione di nuovi codici penali. La comparsa contemporanea di questi codici non era tanto il riflesso dell’influenza statutaria, quanto l’indice dello sviluppo di nuovi problemi penali specifici che questi codici cercavano di risolvere. Lo Stato diventa l’unica fonte per

Nelle foto: sopra un tribunale medievale

esercitare l’azione penale; ogni crimine commesso non era più visto come un’aggressione tra privati, ma come un’aggressione diretta allo stesso Stato. Risultato diretto furono non solo uno spettacolare aumento degli statuti e la revisione delle nozioni dei crimini, quanto un inasprimento delle pene. Fu un movimento rivoluzionario per tutta l’Europa; ogni Stato reagì rendendo ancor più esemplari le pene rispetto a quelle che si erano inflitte nel Medioevo. Ora la pena corporale prende un ruolo centrale nel sistema punitivo, in particolare la tortura, che si fece protagonista di qualsiasi azione giudiziaria. Non esisteva reato che non fosse punito con qualche forma di pena corporale e i tribunali, che dovevano rappresentare quel foro destinato a stabilire la colpevolezza o l‘innocenza,

si trasformarono in una sorta di teatro in cui i magistrati ricoprivano il ruolo centrale. Il XVI secolo segnò definitivamente il passaggio del diritto e delle procedure penali da una sfera privata ad una pubblica. Ma questo passaggio non comportò una più efficace e imparziale azione penale, portò invece a un’arbitrarietà della giustizia penale senza precedenti. Un vero teatro punitivo caratterizzato da un apposito rituale scomposto in tre momenti: un primo corteo dal luogo della detenzione a quello dell’esecuzione, l’esecuzione vera e propria ed infine l’esposizione del cadavere. Scenario costruito sulla forza deterrente dell’atrocità della punizione; lo scopo era scolpire nella memoria del popolo il patibolo che s’incontrava nell’aggredire lo Stato. Ed è sotto questo panorama che si gettano le fondamenta del sistema penitenziario moderno costituite dalle già accennate case di correzione. Quest’ultime costituirono le prime istituzioni a livello europeo nelle quali i detenuti venivano rinchiusi ed educati coattivamente al lavoro. Incontriamo l’ideologia embrionale del correggere i “deviati” con una disciplina ad hoc. Dapprima protagonisti di tale istituzione furono semplici vagabondi, oziosi e mendicanti (in quanto autori dei reati meno gravi), successivamente, per l’esito riscosso, si iniziò a rinchiudervi anche i marchiati, i fustigati e i condannati alle pene più severe, e poiché il problema principale non era costituito dalla rieducazione degli internati ma dallo sfruttamento razionale della loro forzalavoro, il modo in cui questi venivano reclutati non era certo il problema centrale dell’amministrazione. Il regime disciplinare e le condizioni di vita al suo interno non erano facilmente distinguibili dal vecchio carcere preventivo del tardo Medioevo; nella pratica, cogliere la distinzione risultò un’opera ardua se si esclude il solo scopo di massimizzare i profitti con il lavoro dei detenuti e posto alla base della sua stessa nascita.

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Ma il triste spettacolo dell’incertezza delle leggi, delle eccessive incriminazioni e dell’atrocità delle pene venne rivoluzionato alle soglie del XVIII secolo. Si aprì un nuovo secolo riformatore, un movimento teso a rivoluzionare il diritto penale. Con l’avvento dell’Illuminismo, tutti i teorici del diritto, i giuristi e gli uomini di legge iniziarono a denunciare un legittimo esercizio del potere e a rivendicare una giustizia criminale che iniziasse a punire invece di vendicarsi. In pochi decenni il corpo suppliziato, squartato, amputato, simbolicamente marchiato sul viso o sulla spalla, esposto vivo o morto, dato in spettacolo, è scomparso. É scomparso il corpo come principale bersaglio della repressione penale. Per tutta la fine del diciassettesimo e del diciottesimo secolo, la detenzione sarà la forma punitiva per eccellenza. Le utopie illuministe trasformarono il fine ultimo della punizione: non più il corpo ma l’anima. Il cuore della riforma non sarà il creare un nuovo diritto del punire, quanto il ricreare una nuova economia del potere di punire; non punire meno ma punire meglio. Si propone di universalizzare l’arte del punire riducendo le prerogative della parte pubblica, che gli accusati siano considerati innocenti fino all’eventuale condanna, che il giudice sia un giusto arbitro fra loro e la società, che le leggi siano fisse, costanti e determinate nella maniera più precisa, in modo che i sudditi sappiano a cosa si espongono ed i magistrati non siano niente di più che organi della legge. Tra i tanti giuristi promotori di questa straordinaria rivoluzione, uno fra tanti pubblicò un opuscolo, nel 1764, che intensificò il dibattito sulla finalità della nuova arte del castigare. Pubblicato clandestinamente e in forma anonima, intitolato Dei delitti e delle pene, ottenne una portata universale in tutta Europa. Il suo autore, Cesare Bonesana, marchese di Beccaria, delineò i valori del carcere moderno nelle sue caratteristiche principali: la detenzione come pena rieducativa e non afflittiva,


DIRITTO E DIRITTI la tassatività e la predeterminazione delle pene con funzione esclusivamente preventiva e non più punitiva. Il cuore del testo era abolire la pena di morte per rintracciarne una che fosse ugualmente capace di far scontare ai colpevoli il danno arrecato alla società. Il marchese propose il lavoro coatto come risposta, creando la prima vera teorizzazione del carcere di recupero. La teoria sulla giustizia penale di Beccaria si strutturava su cinque punti fondamentali: lo scopo del diritto penale venne individuato non nel proibire alcuni comportamenti ma quale mezzo per regolamentare certe

attività (rompendo l’impostazione precedente che al contrario cercava con gli innumerevoli statuti di regolare ogni situazione immaginabile); a livello procedurale propose l’innocenza dell’accusato fino a prova contraria (per evitare l’arbitrio dei giudici in casi dubbiosi e l’inumano utilizzo della tortura); la pena per punire doveva utilizzare la sola forma dell’incarcerazione in quanto rappresentava la sola con esattezza adeguabile al crimine e alla lunghezza della condanna. Lo stesso afferma: il fine delle pene non è di tormentare ed affliggere un essere sensibile, né di disfare un delitto già commesso. Il fine dunque non è altro che d’impedire il reo dal fare nuovi danni ai suoi cittadini, e di rimuovere gli altri dal farne uguali. Altro punto cardine era la prevenzione dei crimini, costruita sulla base di un

sistema equo e legale e non più sulla tipica idea del vecchio mondo che utilizzava la tortura come deterrente; un sistema d’eguaglianza davanti alla legge e di una parità di trattamento per tutti gli internati. Infine, rimodella la responsabilità penale che per decidere il grado di colpevolezza tra i vari reati non poteva basarsi su elementi personali e ambientali e sosteneva l’esistenza di una pena chiara per ciascun tipo di reato. L’opera di Beccaria scosse l’Europa; furono riformati alcuni codici penali e fu abolita la tortura in molti stati europei. Ne derivò un impatto culturale del quale nemmeno gli stessi pensatori illuministi potevano cogliere la portata. È, difatti, a questo periodo che dobbiamo la nascita di quei famosi concetti, per noi oggi scontati del: nullum crimen sine lege (non viene riconosciuto più come lecito l’irrogare una pena ad un’azione che non sia espressamente riconosciuta come reato dalla legge), nulla poena sine lege (sarà la legge a determinare la relativa punizione per il reato commesso), nemo damnetur nisi per legale iudicium (non ci sarà un condannato senza un previo regolare giudizio). Impatto culturale che a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo accende una lotta a favore di numerose riforme carcerarie. Se da un lato le utopie illuministe si dilagavano nel territorio europeo, dall’altro, la loro applicazione era difficilmente attuabile. Nelle carceri dominavano la sporcizia, le malattie, catene e fruste; il problema del sovraffollamento, ancor prima di nascere, s’insediò in quei pochi edifici costruiti per rieducare i perduti. Non estiva una disciplina comune, non esisteva un trattamento per gli “ospiti” di quel luogo infernale. In alcuni luoghi vi erano detenuti rinchiusi in assoluto isolamento e costretti a lavorare anche otto ore al giorno, in altri, persone condannate per gli stessi crimini erano lasciate all’ozio. Da qui nasce l’esigenza di promuovere una campagna che stabilisse un

trattamento comune. Di fondamentale importanza furono i sistemi americani, che costituirono la nascita del penitenziario moderno e l’esempio adottato dalla maggior parte degli stati europei. Sistemi elaborati attraverso principi tipicamente europei della pena-lavoro e del carcere come luogo di espiazione. Il primo era costruito sul principio della vita in comune dei detenuti e si basava sul presupposto che solo con l’unione di tutti i carcerati si potesse esercitare sugli stessi una continua ed assidua vigilanza, al fine di costringerli, attraverso le incessanti esortazioni e la comminazione di severi castighi, ad una migliore condotta. In senso contrario si poneva il sistema Pensilvanico, chiamato anche sistema Filadelfiano, ideato sul principio dell’isolamento continuo, di giorno e di notte. Questo sistema intendeva far raggiungere il pentimento nei condannati attraverso una vita contemplativa. Infine tra i due poli venne proposto il sistema Auburniano con il quale venne sperimentato per la prima volta l’isolamento notturno e il lavoro in comune con l’obbligo del silenzio. Questo sistema fu teorizzato solo dopo aver constatato gli esiti e gli effetti negativi prodotti dalla segregazione cellulare del sistema Filadelfiano sulla psiche dei detenuti. Sotto la scia della campagna di riforma molte scuole cercarono di ricreare sistemi alternativi tra l’inflessibilità dell’isolamento continuo e la promiscuità della vita in comune. Il primo, chiamato sistema misto o inglese, alternava un primo periodo d’isolamento continuato, costruito su un’iniziale severità nel trattamento, per terminare alla liberazione condizionale del condannato ravveduto. La scienza penitenziaria era ormai in cammino. Un obiettivo definitivo era già stato raggiunto; la privazione della libertà personale era ormai la sola pena applicabile. Il lavoro sull’anima dei detenuti era stato avviato. F

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Nelle foto: a sinistra un ritratto di Cesare Beccaria sopra il libro Dei delitti e delle pene


LO SPORT

Lady Oscar rivista@sappe.it

Scherma: Montano, Cini e Vismara vincono tre medaglie in Coppa del Mondo

F

Nella foto: la squadra di fioretto femminile vincitrice della medaglia d’oro a Danzica

ebbraio si è aperto con le gare di Coppa del Mondo di scherma ed è stato un avvio pieno di successi per i colori delle Fiamme Azzurre. Dal 3 al 5 febbraio successi sono arrivati da Danzica (Polonia), Padova, ed Espoo (Finlandia). Prove convincenti e medaglie che hanno premiato, oltre al veterano e sempre performante Aldo Montano, anche i due nuovi arrivi nella Polizia Penitenziaria: Chiara Cini e Federico Vismara, giunti a fine dicembre scorso a rinverdire le fila degli atleti penitenziari.

Mondo. La conpagine azzurra si è presentata in pedana con una formazione inedita composta da Martina Batini, Alice Volpi, Camilla Mancini e la nostra Chiara Cini, chiamata al non semplice compito di gareggiare in sostituzione dell'esperta e medagliata olimpica Arianna Errigo, costretta a rimanere in Italia dai postumi dell'influenza. La scelta sulla nostra portacolori è risultata azzeccata ed il risultato finale ha visto l'inno di Mameli risuonare nel cielo polacco grazie alla stoccata decisiva del 45-44 in favore delle nostre. Il tutto al termine di un

Chiara Cini ha conquistato l'oro col nuovo “dream team” del fioretto a Danzica, argento per Aldo Montano nel “Trofeo Luxardo” di sciabola a Padova e oro juniores per lo spadista Federico Vismara (Campione del Mondo 2016 nella categoria Under 20 a squadre) nel torneo di categoria disputato a Espoo. L'Italia di fioretto femminile nell'individuale non ha affatto brillato, ma la prova delle singole è stata prontamente riscattata nella gara a squadre che concludeva la tappa di Danzica del circuito di Coppa del

confronto acceso ed avvincente che ha entusiasmato il pubblico presente. Quarta vittoria in quattro gare per il Dream Team azzurro, arrivata al termine di una finale dall’esito sempre incerto, in cui le francesi sono arrivate ad avere anche 5 stoccate di vantaggio all’ultimo e decisivo giro di assalti. Il quartetto azzurro era approdato in finale, avendo sconfitto in semifinale col punteggio di 45-43 gli Stati Uniti. Americane che non sono poi riuscite a riscattarsi nella finalina per il terzo posto, perdendo con la Russia per 4535. In precedenza, nel primo impegno

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di giornata, le azzurre avevano superato l'Austria col punteggio di 4523, proseguendo poi con la vittoria netta contro la Germania, ai quarti di finale, con lo scorw di 45-18. La terza piazza finale è andata alla Russia, che dopo aver perso con la Francia, si è preso il gradino più basso del podio proprio a spese degli Stati Uniti. A differenza di quanto accaduto alle fiorettiste azzurre, che hanno trionfato vincendo nella lotteria dell'ultima stoccata, l'oro è sfuggito alla squadra di sciabolatori impegnata a Padova nel prestigioso "Trofeo Luxardo", classica di Coppa del Mondo di apertura della stagione della sciabola mondiale 2017, giunta alla sessantesima edizione. È stata una finale bellissima, appassionante e sempre all'insegna dell'incertezza quella fra Italia e Corea. A deciderla in favore di Gu e compagni, una stoccata di Oh Sanguk che ha suscitato delusione non tanto per l’esito, quanto per l'“eccesso di zelo” dell’arbitro, che, in una fase così delicata del match (sul punteggio di 44-44), avrebbe potuto attendere un’azione più netta per assegnare la stoccata vincente. Resta l’orgoglio per una grandissima prova di tutto il quartetto azzurro, che centra il terzo podio in altrettante gare con due secondi posti e una vittoria. Grazie ad Aldo Montano, il campione livornese delle Fiamme Azzurre spettacolo in pedana garantito. Trentanove anni e non sentirli: opposto ad Andras Szatmari, che lo ha chiuso a fondo pedana, è riuscito a parare il suo attacco e dare la risposta vincente mentre si trovava già in caduta. Punto all'Italia e palazzetto animato da un'esplosione di gioia per questa ennesima dimostrazione di come la classe sia sganciata da quel


LO SPORT che è scritto all'anagrafe, soprattutto per un campione come il portacolori della Polizia Penitenziaria, valore aggiunto di ogni competizione e team ormai da almeno un decennio abbondante. Il suo apporto è stato fondamentale in una gara che continua ad incoronare campioni di successo e stelle nascenti del panorama della scherma mondiale. Tra queste ultime non poteva scegliere occasione migliore Andras Szatmari per festeggiare la sua prima vittoria in Coppa del Mondo. Il ventiquattrenne ungherese, vice-campione del Mondo Under 20 nel 2013 a Porec, ha sbaragliato la concorrenza, rinnovando la tradizione della scuola magiara nella gara padovana, diventando il settimo tiratore dell’Ungheria a vincere il “Luxardo”: prima di lui ci erano riusciti Tibor Pesza (1962, 1965), Zoltan Horvath (1963), Peter Bakonyi (1966), Imre Gedeovari (che con

gli atleti in attività a poter ambire di mettere in valigia la maschera dorata, si è però fermata ai quarti di finale, per mano del coreano Sanguk Oh. Riproverà magari negli anni a venire, perchè fra il Luxardo e Szilagyi l’amore è reciproco, al punto che il più acclamato e tifato dal pubblico dopo gli azzurri è stato proprio lui, il fuoriclasse ungherese capace per due volte di salire sul trono di Olimpia. Federico Vismara ad Espoo, in Finlandia, ha conquistato l'oro con gli spadisti juniores. L'oro è giunto al termine della gara a squadre maschile, dove il quartetto azzurro guidato dal CT Sandro Cuomo e composto da Davide Canzoneri, Alessio Preziosi, Valerio Cuomo e Federico Vismara ha superato in finale la Germania col punteggio di 40-34. Gli azzurri avevano iniziato superando nel turno dei 16 il Belgio per 45-31, proseguendo poi col successo ai quarti di finale sulla Polonia per 45-37 e

fioretto squadre Femminile: (1) Italia/Martina Batini-Alice Volpi-CHIARA CINI-Camilla Mancini (32: bye 16: V/Austria 45-23, QF: V/Germania 45-16, SF: V/Usa 4543, F: V/Francia 45-44), (2) Francia, (3) Russia.

quattro vittorie è il secondo più vincente di sempre in coabitazione con Michele Maffei), Domonkos Ferjanciks (2003) e, in tempi più recenti Tamas Decsi (2008) e Aron Szilagyi (2010 e 2015). Come avveniva per la vecchia “Coppa Rimet”, progenitrice della Coppa del Mondo di calcio, il magnifico trofeo spettante al vincitore del Luxardo (una maschera dorata) diventa proprietà di chi si afferma per tre volte (anche non consecutivamente) nella prestigiosa tappa padovana. La rincorsa di Aron Szilagyi, unico fra

vincendo il match di semifinale contro la Russia col punteggio di 45-30. Nell'individuale poca fortuna per il nostro atleta, uscito nel tabellone dei sessantaquattresimi.

ESPOO (3/5 febbraio) Coppa del Mondo giovani (A) – spada Maschile: (1) Koki Kano JPN, (2) Cosimo Martini ITA, (3) Georgiy Bruyev RUS e Romain Cannone FRA, (36) FEDERICO VISMARA (Q/6V-0S, 64: S/Justin Yoo USA 1315); spada squadre Maschile: (1) Italia/FEDERICO VISMARA (32: bye, 16: V/Belgio 45-31, QF: V/Polonia 45-37, SF: V/Russia 45-30, F: V/Germania 40-34), (2) Germania, (3) Russia. F

DANZICA (3/5 febbraio) Coppa del Mondo di scherma (A) – fioretto Femminile: (1) Svetlana Tripapina RUS, (2) Pauline Ranvier FRA, (3) Astrid Guyart FRA e Lee Kiefer USA, (52) CHIARA CINI (Q/5V-1S, Q128: bye, Q64: V/Marie Duchesne FRA 15-4, 64: S/Erica Cipressa ITA 13-15);

PADOVA (3/5 febbraio) Coppa del Mondo di scherma (A) – sciabola Maschile: (1) Andras Szatmari HUN, (2) Mojtaba Abedini IRI, (3) Kim Junghwan KOR e Oh Sanguk KOR, (13) ALDO MONTANO (64: V/Francesco Bonsanto ITA 15-8, 32: V/Dmitriy Danilenko RUS 15-11, 16: S/Andriy Yagodka UKR 12-15); sciabola squadre Maschile: (1) Corea del Sud, (2) Italia/ALDO MONTANO-Luigi Samele-Enrico Berrè-Luca Curatoli (32: bye, 16: V/Georgia 45-27, QF: V/Germania 4540, SF: V/Ungheria 45-43, F: S/Corea del Sud 44-45), (3) Ungheria.

Polizia Penitenziaria n.247 • febbraio 2017 • 21

Nelle foto: sopra Federico Vismara a sinistra la squadra di sciabola maschile


a cura di Giovanni Battista de Blasis

CINEMA DIETRO LE SBARRE

Cate Mc Call

Regia: Karen Moncrieff Titolo originale: The Trials of Cate McCall Soggetto: Claudio Carvalho Sceneggiatura: Karen Moncrieff Fotografia: Antonio Calvache Montaggio: Toby Yates Musica: Peter Nashel Scenografia: Wayne Shepherd Costumi: Maya Lieberman

Il confine della verità

A

Nelle foto: la locandina e alcune scene del film

scesa e caduta di una brillante avvocatessa. Cate McCall (interpretata da una splendida Kate Beckinsale) è una giovane procuratrice di fama e di successo. Riesce a vincere tutte le cause che intraprende e sembra incamminata lungo la strada di una luminosa e gratificante carriera legale. Improvvisamente, però, finisce nella spirale dell’alcolismo con la sciagurata conseguenza di perdere la poltrona in procura e, addirittura, l’affidamento della giovanissima figlia, che viene assegnata al marito, da cui è separata, e che si sta trasferendo in un altra città. Per di più, viene sottoposta ad una misura cautelare. Dopo un lungo e travagliato periodo di riabilitazione, nel tentativo di riacquistare credibilità e riottenere la custodia della figlia, Cate torna ad esercitare la professione di avvocato.

la scheda del film

Produzione: Sunrise Film, Pitbull Pictures, Sierra/Affinity Distribuzione: Batrax Entertainment, Koch Media

Assume, così, l’incarico di difendere una giovane donna, Lacey, condannata in primo grado all'ergastolo per omicidio. La ragazza, non solo si dichiara innocente e vittima di un errore giudiziario, ma denuncia di aver subito uno stupro da parte di una guardia durante la detenzione. Durante lo svolgimento delle indagini, Cate si ritrova a scontrarsi con i propri demoni personali e un apparato di poliziotti corrotti, scoprendo tutte le falle di un sistema giudiziario che si ferma alle sole apparenze senza ricercare davvero la verità. Alla fine, però, Cate, non solo perde la causa contro il marito per l'affidamento della figlia, ma scopre anche che Lacey non è quella ragazzina innocente e povera vittima che le aveva fatto credere. F

22 • Polizia Penitenziaria n.247 • febbraio 2017

Personaggi e interpreti: Cate McCall: Kate Beckinsale Bridges: Nick Nolte Giudice Sumpter: James Cromwell Detective Welch: Mark Pellegrino Lacey: Anna Schafer Josh: David Lyons D.A. Brinkerhoff: Clancy Brown Augie: Ava Kolker D.A. Barker: Johnny Sneed Loncraine: Jay Thomas Officer Duncan: Joseph Lyle Taylor Mrs. Stubbs: Dale Dickey Rusty Burkhardt: Brendan Sexton Wilson George: Isaiah Washington Fern: Michael Hyatt Dr. Ennis: Brad Greenquist Hazel Cole: Lily Knight Genere: Drammatico Durata: 89 minuti, Origine: USA 2013


GIUSTIZIA MINORILE

“Oltre le sbarre”

Si prepara a partire la trattoria dell’IPM di Bologna

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razie all’impegno del personale di Polizia Penitenziaria, quattro giovani detenuti assunti regolarmente e guidati da uno chef, stanno per dare corpo al nuovo progetto del carcere del Pratello: una trattoria aperta a tutti. Il direttore della struttura ha dichiarato: «Puntiamo sulla formazione per dare un futuro ai ragazzi».

L’occasione per fare il punto è la seduta congiunta delle commissioni Affari generali, Pari opportunità e Politiche sociali, organizzata presso il carcere del Pratello. A fronte di una capienza di ventidue persone, al momento sono presenti diciannove giovani tra i 16 e i 25 anni, in prevalenza stranieri. Autori, nella maggior parte dei casi, di reati contro il patrimonio.

La trattoria si chiamerà “Oltre le sbarre” e potrà accogliere fino a venticinque clienti. In cucina, appunto, quattro giovani detenuti guidati dallo chef Mirko Gadignani, che già lavora con loro. Apertura nei weekend, magari dal prossimo autunno. È questo il piano d’azione del direttore dell’Istituto Penale minorile di Bologna: «Come modello abbiamo InGalera, il ristorante del carcere di Bollate. Naturalmente qui le cose sono diverse: siamo un istituto minorile. Abbiamo avviato l’iter per le autorizzazioni con il Ministero della Giustizia e anche l’Azienda Usl è al lavoro. Stiamo pensando anche al menù: rispetteremo le tradizioni di tutti, di tutte le religioni. I ragazzi che frequentano il laboratorio hanno anche imparato a fare ottimi biscottini vegani, che ci piacerebbe offrire ai futuri clienti».

Molti hanno problemi di tossicodipendenza, altri di disagio psichico. Frequentano due laboratori finanziati dalla Regione EmiliaRomagna, uno di edilizia e uno di ristorazione: sono moduli da 70 ore, retribuiti in base alla frequenza dei ragazzi, che possono arrivare a guadagnare anche 200 euro. «Il laboratorio di ristorazione è gettonatissimo, tutti i ragazzi vogliono partecipare. Devo dire che sono molto bravi: fanno un’ottima pizza. L’aspetto su cui noi puntiamo di più è proprio quello della formazione, attraverso la quale possono costruirsi una professionalità da mettere a frutto in futuro». Come sempre ringraziamo il personale di Polizia Penitenziaria che con enorme sacrificio riesce sempre ad essere presente e garantire le attività programmate dalla Direzione dell’Istituto bolognese. F Ciro Borrelli

SEGRETERIE Trieste Carnevale dei bambini 2017

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el pomeriggio di venerdì 24 febbraio 2017, presso la sede del Sindacato Autonomo Forze dell'Ordine in Congedo (S.A.F.O.C.) di Trieste si è tenuta la festa di carnevale per i bambini. Grande successo e apprezzamento da parte dei numerosi bambini e familiari intervenuti, al “Carnevale dei bambini 2017” organizzato dal SAP (Sindacato Autonomo Polizia) SAPPe (Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria) e CONAPO (Sindacato Autonomo Vigili del Fuoco).

Anche in questa edizione SAP, SAPPe e CONAPO hanno voluto condividere un pomeriggio di festa, allegria e spensieratezza, dedicato ai bambini e alle famiglie della Polizia di Stato, della Polizia Penitenziaria e dei Vigili del Fuoco e conoscenti, per portare un benevolo contributo all’ Associazione Triestina Ospedaliera per il sorriso dei bambini “ASTRO” che si occupa dei bambini ricoverati presso strutture ospedaliere. Un bel pomeriggio di felicità e allegria, condiviso dalle famiglie di chi ogni giorno garantisce la Sicurezza e il Soccorso Pubblico ai cittadini. Un enorme ringraziamento va all’Associazione “ASTRO” che con la propria vivacità e simpatia ha animato il pomeriggio di festa e all’Associazione Gaia Eventi, che con l’ormai “collaudata” bravura, ha animato in modo perfetto la festa con giochi, balli e magia attirando l’attenzione dei numerosi presenti con i loro spettacoli. Un ringraziamento particolare va a tutti i partecipanti che con le loro maschere hanno contribuito ad allietare la festa. F

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Nelle foto: scene della festa dei bambini


DALLE SEGRETERIE Locri Premio internazionale d’Arte contemporanea Sandro Botticelli

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opo Arte Fiera Firenze 2016, tenutasi nella splendida location della Fortezza da Basso inaugurata da Vittorio Sgarbi; arriva un altro importantissimo riconoscimento per l'artista Giovanni Vescio nella capitale francese. Con "Arte Paris premio Salvador Dalí” nella galleria Espace Crhistine Peugeot che si affaccia in Rue de la Grande Armée a pochi passi dall'Arc de Triomphe un'esposizione d'arte moderna ha visto sfilare 50 artisti

Nelle foto: sopra Giovanni Vescio mentre riceve il Premio da Josè Dalí a destra l’opera premiata: “Essenzialmente” a fianco una immagine di Giovanni Vescio

provenienti da tutto il mondo che si è conclusa a Parigi lo scorso 29 gennaio. Parigi, città che per antonomasia è fonte d'ispirazione da ogni tempo di tutte le correnti artistiche. L'inaugurazione è avvenuta il 19 gennaio preceduta da un saluto di Josè Dalí, figlio del noto artista spagnolo intervenuto al vernissage. Ospite della galleria Peugeot, Giovanni Vescio, Segretario Sappe, che ha partecipato con un opera dal titolo "Essenzialmente", ha ricevuto un prestigioso riconoscimento artistico internazionale che lo ha confermato ancora una volta artista contemporaneo molto apprezzato. Come in tutte le sue opere, anche in

quest'acquarello presentato a questo appuntamento si riconoscono nei tratti del disegno, visibili sotto le velature di colore, le forme di un'anima ricercata nelle linee e nelle volumetrie, che si incrociano armoniosamente. Il risultato è un dipinto che descrive un corpo morbido nei movimenti, dove, il fulcro su cui ruota l'espressione dell'anima, si apre allo spettatore nelle sue molteplici forme. Rivedremo questo giovane artista nel prossimo appuntamento che si terrà a

Palermo per la Biennale d'Arte del Mediterraneo dal 9 al 12 marzo prossimo. F

24 • Polizia Penitenziaria n.247 • febbraio 2017

B

uongiorno Agente Sara, sono un Assistente Capo, mi chiamo Stefania. Ho purtroppo un problema davvero serio, mio marito con il quale vivo, è in situazione di disabilità grave riconosciuta ai sensi dell'art. 3, comma 3, della legge n.104 del 5 febbraio 1992. Per lo stesso, da sola e da sempre, provvedo all'assistenza, fruendo anche dei tre permessi mensili. Adesso sarei intenzionata a richiedere al mio istituto la fruizione del congedo biennale per assistenza, ti chiedo quindi, come dovrei procedere e soprattutto come devo articolare la mia richiesta scritta? Grazie mille, Assistente Capo Stefania. Buongiorno Stefania, la circolare dipartimentale GDAP 0325597 del 26.09.2014, richiama la disciplina a tal proposito. Nel tuo caso specifico, posso dirti che ti spetta in quanto sei coniuge convivente con il disabile (per convivenza, si deve far necessariamente riferimento alla residenza, luogo in cui la persona ha la dimora abituale ai sensi dell'art. 43 c.c., non potendo ritenersi conciliabile con la predetta necessità la condizione di domicilio nella mera elezione di domicilio speciale previsto per determinati atti o affari dell'art. 47 c.c.). Ti faccio presente che un'altra condizione essenziale è la mancanza di ricovero a tempo pieno, ovvero per le


L’AGENTE SARA RISPONDE...

Congedo biennale per assistenza intere 24 ore presso strutture ospedaliere o simili, pubbliche o private, che assicurano assistenza sanitaria continuativa. Deroga possibile soltanto nel caso in cui tale assistenza sia richiesta dai sanitari come previsto dal D. Lgs 119/2001. Il periodo richiesto ha una durata massima di due anni. E' frazionabile ma non inferiore alla giornata, quindi non è ammesso il frazionamento ad ore. Nel conteggio dei giorni si computano anche i giorni festivi ricadenti nello stesso periodo. Considerata la fruizione dei benefici dei tre giorni di permesso mensili, ricorda che laddove si utilizzasse il congedo parentale, la scelta deve intendersi alternativa e non cumulativa nell’arco del mese, proprio perché sono due istituti speciali finalizzati a garantire l'assistenza al disabile.

Concludendo, la fruizione del congedo in questione non si computa ai fini della maturazione delle ferie, della tredicesima mensilità e del trattamento di fine rapporto. Inoltre la validità dei periodi ai fini del calcolo dell'anzianità riguarda la loro commutabilità per il raggiungimento del diritto a pensione, essendo coperti da contribuzione, ma non sembra poter raggiungere l'equivalenza al servizio effettivo da prendere in considerazione ai fini della progressione in carriera. Ti allego un fac/simile di domanda. F Agente Sara

o ex ario retribuit in rd o ra st o d ge rio manda di con 51 per il prop 1 . n , 1 0 0 2 o OGGETTO: Do arz a 5, d.lgs. 26 m art. 42, comm ______________.___ coniuge____ resso in servizio p , _ _ _ _ _ _ _ _ di _ qualifica a_________ tt ri sc o la tt so n La co Direzione, codesta , _ _______ __________ CHIEDE al in allegato, za n ta is te guen el congedo oltro della se poter fruire d i d e n alla S.V. l'in fi o l a , le Regiona , d.lgs. 26 marz Provveditorato ibuito ex art. 42, comma 5 _________ retr ___ orni dal ___ straordinario gi _, za en rr o ec nd __________ 2001, n. 151 co , per il proprio coniuge __ ice __ ______ cod al_________ _______ il _________ tuazione di ___ in si nato ad ___ ________, _ _ ma 3, _ _ _ _ _ _ _ _ dell'art.3, com di si n se i a fiscale ____ ta a ve riconosciu resta in attes Si . 2 9 9 1 io disabilità gra ra rdiali. 04 del 5 febb della legge n.1 e si porgono i saluti più co tro cortese riscon Firma

AL PROVVEDITORATO REGIONALE OGGETTO: Domanda di congedo straordinario retribuito ex art. 42, comma 5, d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151 per il proprio coniuge __________________ .-

La sottoscritta _________________ , in servizio presso la Casa Circondariale di _______________ , con la qualifica di ______________________ , CHIEDE ai sensi dell'art. 42, comma 5, del d.lgs. n.151/2001 di poter fruire di un periodo di congedo straordinario retribuito dal________ al _________ per assistere il proprio coniuge__________________ nato ad __________ il giorno_________ codice fiscale _________________, in situazione di disabilità grave riconosciuta ai sensi dell'art.3, comma 3, della legge n.104 del 5 febbraio 1992. A tal fine, la sottoscritta consapevole, ai sensi dell'art. 76 del d.p.r. n. 445 del 28 dicembre 2000, delle responsabilità amministrative civili e penali previste per dichiarazioni false dirette a procurare indebitamente le prestazioni richieste, DICHIARA

ETTORE AL SIGNOR DIR SEDE

data,

?

• di essere convivente con il coniuge in condizione di disabilità grave, in via _______________________ ; • che il soggetto da assistere è stato riconosciuto in condizione di disabilità grave ai sensi dell'art. 3, comma 3, della legge 104/1992; • che nessun altro familiare fruisce del congedo straordinario retribuito per assistere il medesimo soggetto; • di non aver fruito di periodi di congedo straordinario retribuito per lo stesso soggetto; • di non aver fruito nell'arco della propria vita lavorativa, per assistere altri familiari disabili, di periodi di congedo straordinario retribuito; • che per assistere la stessa persona in condizione di disabilità grave nessun altro familiare ha già fruito del predetto congedo; • di non aver già usufruito nell'arco della propria vita lavorativa di periodi di congedo straordinario non retribuito per gravi e documentati motivi familiari ex art. 4 comma 2, legge n. 53 dell'8.03.2000; • che il soggetto disabile non è ricoverato a tempo pieno; • che il soggetto disabile, attualmente, è collocato in malattia. data, Firma

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CRIMINI E CRIMINALI

Pasquale Salemme Segretario Nazionale del Sappe salemme@sappe.it

Callisto Grandi: delinquente o malato mentale?

I

n un articolo del 1881 Cesare Lombroso, il padre fondatore dell’antropologia criminale, confutò, da un punto di vista meramente scientifico, una sentenza di qualche anno prima, emessa dalla Corte d’Assisse di Firenze con cui un certo Callisto Grandi veniva condannato a vent’anni di lavori forzati per avere ucciso quattro bambini.

Nella foto: Callisto Carlo Grandi

La critica si fondava sulla circostanza che i giudici non avevano tenuto conto delle problematiche psichiatriche dell’imputato. Lombroso considerava sbagliata quella scelta giuridica, in quanto riteneva che l’imputato fosse affetto da cretinismo. Il termine aveva, a quei tempi, un preciso valore scientifico, ben diverso da quello che oggi utilizziamo nel linguaggio comune. Il «cretinismo» era una patologia in relazione alle condizioni sociosanitarie ed, infatti, si poteva leggere nei volumi dell’epoca che «la miseria non è diretta conseguenza del cretinismo ma un elemento favoritore, incubatore. E’ un morbo antichissimo ed esteso per ogni parte del globo. Il numero di questi

infelici è più grande che non si pensi comunemente». Il cretinismo, secondo Lombroso, che nel 1858 aveva approfondito l’argomento nel corso dei suoi studi in medicina con una tesi sul «cretinismo nelle campagne lombarde», era scandito in tre stadi e caratterizzato dalla presenza di istinti e tendenze crudeli e feroci. Ma chi era Callisto Carlo Grandi e perché aveva ucciso quei quattro bambini? La vicenda giudiziaria di Callisto Grandi, detto anche Carlino, assunse una valenza fondamentale sulle teorie del positivismo, della psichiatria e della nascente antropologia criminale. La «Rivista sperimentale di freniatria e medicina legale», diretta da Carlo Livi (fisiologo e psichiatra) e dai redattori Augusto Tamburini (psichiatra) ed Enrico Morselli (psichiatra e antropologo), pubblicata in quel periodo, nelle sue pagine riporta la cronaca minuziosa del processo, tanto che lo stesso professor Morselli, nel 1879, ne trasse un libro, che costituisce una pietra miliare nei rapporti tra diritto e psichiatria in Italia (1). Callisto Carlo Grandi, detto Carlino, era nato nel 1851 ad Incisa Val d'Arno, un piccolo paesino che contava a quel tempo circa 3.200 anime, in provincia di Firenze, che proprio il 2 agosto di quell’anno era riuscito a “staccarsi” dal paese limitrofo Figline Val d’Arno. Carlino aveva un aspetto deforme, basso e calvo, con la testa sproporzionata al corpo e con sei dita in un piede. In paese, a causa del suo aspetto, veniva continuamente deriso da tutti, soprattuto dai bambini. Orfano e con uno scarso quoziente intellettivo, trascorreva la gran parte delle giornate in solitudine.

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Nonostante tutto, sin da piccolo aveva sempre lavorato come garzone in una piccola bottega. Una volta imparato il mestiere aveva aperto una piccola bottega artigianale, specializzandosi nell’arte del carradore, ovvero riparazione di carretti e barrocci. I bambini del paese andavano continuamente a prenderlo in giro nella sua bottega, per via del suo aspetto. Esausto, l'uomo manifestò il suo disagio in piu occasioni, lamentandosi anche con il prete e col maestro del paesino, riguardo al fatto che i bambini sostavano davanti alla sua bottega e lo schernivano; addirittura, in diverse circostanze, gli avevano rubato gli attrezzi e imbrattato di pittura i carretti. Addirittura, uno di essi gli aveva dipinto il viso con un pennello. Nessuno gli diede però ascolto, tanto che alla fine lui decise di farsi giustizia da solo. La follia, dentro di sé, esplose in modo razionale: Callisto meditò la sua vendetta con calma e poi, per quattro volte, uccise. Fingendo di non provare alcun astio nei confronti delle sue vittime, riusciva, di volta in volta, a portarle all’interno della bottega, offrendo loro giocattoli e, in alcuni casi, anche del denaro. Grandi uccise quattro bambini, nel periodo che va dal 1873 al 1875. Il modus operandi era sempre lo stesso: dopo che i piccoli entravano nella sua bottega, venivano uccisi con una pesante ruota. Il primo, Luigino Bonecchi di soli 4 anni, scomparve nel marzo del 1873, mentre giocava nella piazza del paese. Luigino fu la prima vittima del mostro: ucciso, venne seppellito nel sottoscala della bottega, dove vennero rinvenuti i


CRIMINI E CRIMINALI suoi resti due anni dopo la sua morte. Tra il 21 e il 22 agosto del 1875, scomparvero, a distanza di ventiquattro ore l’uno dall’altro, altri due bambini, Fortunato e Angiolino, rispettivamente di 9 e 8 anni. I due bambini non fecero più ritorno a casa. Il quarto bambino che non fece ritorno a casa si chiamava Angelo, aveva sette anni e di lui si persero le tracce mentre girovagava per la fiera del paese. L’ultima vittima di Carlino fu Amerigo Turchi, un bambino di nove anni che abitava nelle adiacenze della sua bottega. Amerigo giocava a nascondino con la sorellina ed altri bambini. Decise di nascondersi nella bottega del carradore, che peraltro conosceva bene.

del Grandi, si basava sul codice penale allora vigente, peraltro, estremamente rigido nel riconoscere la patologia mentale. Di veduta completamente diversa fu la difesa dell’assassino e, soprattutto, la comunità scientifica del tempo, secondo cui l'uccisore dei bambini non era un delinquente, ma un malato mentale. E le prove erano quanto mai evidenti: dalla forma del cranio alle anomalie somatiche, dalla tabe ereditaria alle deformazioni psichiche. La Corte d’Assise di Firenze, invece, lo condannò a venti anni di lavori forzati e alle spese di giudizio. Il Grandi scontò la pena nella colonia penale dell’isola di Capraia, nell’arcipelago toscano.

anni avendo sempre una condotta innocua e operosa. Grandi, nel corso della sua permanenza nella struttura ospedaliera, un giorno dichiarò: «Se ero pazzo non dovevo essere messo in carcere ma in un manicomio; se non lo ero, come risultavo dal processo, sarei dovuto essere rilasciato dopo aver espiato la pena». Purtroppo per lui, ciò non avvenne mai! Nel 1911, all’età di cinquantanove anni morì all’interno dell’ospedale psichiatrico. Callisto Grandi è ricordato con il soprannome di «l'ammazzabambini», che è anche il titolo di un libro «L'ammazzabambini. Legge e

La sorellina non vedendolo tornare, si avvicinò alla bottega del Carlino e sentendo delle grida provenienti dall’interno, iniziò anche lei a gridare attirando numerosi passanti. Di li a poco arrivarono i Carabinieri di Figlini che trovarono Carlino che tratteneva il bambino. Colto, quindi, in flagranza di reato venne arrestato nell’agosto del 1875. Il 18 settembre 1876, i magistrati, in istruttoria come in assise, furono avversi alla tesi dell'infermità mentale propugnata dagli avvocati difensori dell’imputato e lo giudicarono colpevole dei suoi crimini determinati da un insaziabile sete di vendetta ed organizzati lucidamente. Il loro procedimento logicogiudiridico, che portò alla condanna

Il 10 ottobre 1895, uscito dal carcere, dove peraltro si paventava che avesse scritto anche un romanzo, venne portato nel manicomio di San Salvi a Firenze. Il Grandi venne ricoverato definitivamente con una diagnosi di «megalomania paranoica, anestesia morale, ipocrisia, alopecia congenita». In manicomio si comportava bene scriveva le sue memorie e disegnava spesso se stesso, i Carabinieri e i bambini da lui uccisi. Era vanitoso e diceva di avere grande ingegno. Era un paziente operoso, docile e innocuo; nessuno pensava a mancargli di rispetto. Nel manicomio ci trascorse altri 16

scienza in un processo di fine Ottocento» scritto da Patrizia Guarnieri. Il libro ricostruisce in modo minuzioso la cronaca dei delitti e il processo, che sconvolse l'opinione pubblica del tempo. Alla prossima... F (1) Tra le sue opere principali vanno ricordate: Il metodo clinico nella diagnosi generale della pazzia (1882); Manuale di semejotica delle malattie mentali (1885, 1894); Il magnetismo animale (1886); Carlo Darwin e il darwinismo nelle scienze biologiche e sociali (1892); Psicologia e spiritismo (1908); Antropologia generale (1911).

Polizia Penitenziaria n.247 • febbraio 2017 • 27

Nelle foto: in alto la copertina del libro di Patrizia Guarnieri sopra l’ex manicomio di San Salvi a Firenze a sinistra Cesare Lombroso al centro Enrico Morselli


WEB E DINTORNI

Federico Olivo Coordinatore area informatica del Sappe olivo@sappe.it

Sovraffollamento penitenziario: dati virtuali e dati reali

I

Nella foto: il Ministro della Giustizia Andrea Orlando e il Capo del Dap Santi Consolo

l modo migliore per iniziare a risolvere un problema è quello di riconoscere di avere un problema e questo, almeno il Capo Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Santi Consolo, lo ha riconosciuto. Nei giorni scorsi, su “Il sole 24 Ore” sono state riportate alcune sue affermazioni che ammettono che il sovraffollamento delle carceri c’è e, soprattutto, che la “tendenza” è in aumento da almeno un anno: «... il trend di aumento della popolazione detenuta - spiega Santi Consolo - è da ricondurre al venir meno della liberazione anticipata speciale». La liberazione anticipata speciale era una misura temporanea, introdotta per due anni dal decreto legge 146 del 2013 (Governo Enrico Letta con Ministro della Giustizia Anna

Maria Cancellieri) e scaduta a dicembre 2015, che aveva aumentato lo sconto di pena concesso ai detenuti da 45 a 75 giorni per ogni sei mesi di pena detentiva scontata. L’ultimo che ancora se ne deve convincere è il Ministro Andrea Orlando o forse, più semplicemente, deve solo capire che ormai l’evidenza dei dati è nota a tutti ed è anacronistico cercare di difendere l’indifendibile, così come ha fatto lo scorso 26 gennaio in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario presso la Suprema Corte di Cassazione: «Nell'ambito dell’esecuzione penale è cessata l’emergenza dovuta al sovraffollamento». Ora, invece, sarebbe indispensabile riavvolgere il nastro, fare il punto della situazione e fare i conti con la realtà. Nei fatti, il sovraffollamento non è

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un’emergenza perché non è una situazione che “emerge” dalla normalità, ma è esso stesso LA NORMALITA' delle carceri italiane. Il passo successivo per cercare di risolvere il PROBLEMA delle carceri italiane è che il Ministro e il Capo DAP rendano pubblici i dati dei posti detentivi NON disponibili per ogni singolo carcere. Da quei dati scaturirebbe in maniera evidente che il tasso di affollamento delle carceri non è del 110% come appare ora dai dati pubblicati sul sito www.giustizia.it, ma ha già superato il 120%. Sarebbe un dovere di comunicazione pubblica e mostrerebbe a tutti che i problemi delle carceri possono finalmente iniziare ad essere risolti ... partendo, però, dalla realtà oggettiva, iniziando a fare i conti con i dati reali. F


SICUREZZA SUL LAVORO

Decreto Legislativo n.81/2008: la delega delle funzioni in materia di sicurezza sul lavoro

P

rima di analizzare l’istituto della delega di funzioni in materia di sicurezza sul lavoro e le sue modalità di utilizzo, è opportuno inquadrarne puntualmente la nozione, e stabilire cosa significhi incarico per mera esecuzione. Il termine delega, relativamente alla norma di cui ci stiamo occupando, deve essere ricollegato all’istituto civilistico del “mandato” che trova la sua disciplina all’articolo 1703 del Codice Civile. Il mandato è il contratto con il quale una parte si obbliga a compiere uno o più atti giuridici per conto dell’altra. I due protagonisti del contratto di mandato sono pertanto il mandante, che ha la necessità di un altro soggetto per gestire, tutelare e rappresentare un proprio interesse (sia esso un diritto, facoltà o potestà), e il mandatario, che abbia la capacità di svolgere il fine indicato e che sia delegato a compiere gli atti strumentali al perseguimento dell’obiettivo prefissato. L’istituto della delega delle funzioni, nell’ambito specifico del diritto penale del lavoro, si connota per il trasferimento della posizione di potere dal legale rappresentante ad un altro soggetto. L’incarico ad altri di svolgere le proprie mansioni può avvenire in due modi diversi: • Con delega di funzioni (o trasferimento di funzioni); • Attraverso l’incarico di mera esecuzione. La delega di funzioni è la sola, laddove eseguita con determinate condizioni, ad avere un effetto liberatorio dalla responsabilità penale del soggetto delegante ed un effetto costitutivo per il soggetto accettante. L’incarico di mera esecuzione, invece, non trasmette la posizione rilevante per il diritto penale, in quanto chi lo conferisce si serve unicamente dell’opera di altri per adempiere alla propria funzione.

L’incarico di esecuzione non priva, dunque, il soggetto che lo conferisce della posizione di garante e delle responsabilità ad esso connesse ed è tale da esonerarlo solo in maniera molto ridotta, imponendogli di controllare l’operato affidato ad altri. Lo strumento della delega delle funzioni consente, in materia prevenzionistica, di far sì che i doveri siano trasferiti ad un altro soggetto, che viene pertanto investito a pieno titolo dagli obblighi della prevenzione normativa risultando anch’egli destinatario delle norme di prevenzione. La delega produce quindi l’effetto di ampliare il campo dei destinatari dei doveri, di aggiungere, a quelli già previsti dal nostro ordinamento giuridico, un nuovo soggetto che, con un atto di autonomia negoziale, viene ad assumere una posizione che, accettando la delega, lo espone ad una responsabilità penale. Il Testo Unico sulla Sicurezza (DLgs n. 81/2008) all’art. 16 disciplina la delega di funzioni da parte del datore di lavoro, che “ove non espressamente esclusa, è ammessa con precisi limiti ed alle seguenti condizioni”: • La delega deve risultare da atto scritto recante data certa; • Il delegato deve possedere tutti i requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate; questo implica da parte del datore di lavoro non soltanto una particolare attenzione nella scelta del delegato, ma anche il dovere di formarlo professionalmente. L’inidonietà del delegato può essere infatti fondamento per un addebito al delegante della culpa in eligendo, cosa che non esime però il delegato da responsabilità per non essersi dimostrato all’altezza dei suoi compiti, alla stregua dei criteri comuni di colpa. Assumere un incarico che non si è in

grado di svolgere nel rispetto delle regole proprie di esso è, infatti, il fondamento della cosiddetta colpa per assunzione. • La delega deve attribuire al delegato tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate; • La delega deve attribuire al delegato l’autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate. • La delega deve essere accettata dal delegato per iscritto. Il legislatore ha inoltre disposto che: • Alla delega deve essere data adeguata e tempestiva pubblicità; • La delega delle funzioni non esclude in capo al datore di lavoro l’obbligo di vigilanza in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite; • Il datore di lavoro può esplicare la vigilanza anche attraverso i sistemi di verifica e controllo (art. 16 comma 3) previsti nello stesso D.Lgs. n. 81/2008 all’art. 30 comma 4. In materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, la giurisprudenza ha sempre riconosciuto la responsabilità del datore di lavoro, a prescindere dall’eventuale delega, quando l’infortunio è da attribuire non tanto all’attuazione di questa o quella misura, ma più in generale ad una situazione di assoluta inadeguatezza degli impianti in relazione alle esigenze di tutela dell’integrità fisica dei lavoratori. Per concludere è bene, però, sottolineare che il datore di lavoro non può delegare alcune importantissime attività così come disciplinato all’articolo 17. Nello specifico egli non può delegare: • La valutazione di tutti i rischi con la conseguente elaborazione del documento (DVR) previsto dall’art. 28; • La designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi. F

Polizia Penitenziaria n.247 • febbraio 2017 • 29

Luca Ripa Dirigente Sappe Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza rivistai@sappe.it


a cura di Giovanni Battista de Blasis

COME SCRIVEVAMO

Opinioni a confronto “Perché il carcere esca dall’emergenza” Gli operatori penitenziari discutono sul futuro dell’A.P. Più di venti anni di pubblicazioni hanno conferito al mensile Polizia Penitenziaria Società Giustizia & Sicurezza la dignità di qualificata fonte storica, oltre quella di autorevole voce di opinione. La consapevolezza di aver acquisito questo ruolo ci ha convinto dell’opportunità di introdurre una rubrica - Come Scrivevamo che contenga una copia anastatica di un articolo di particolare interesse storico pubblicato tanti anni addietro. A corredo dell’articolo abbiamo ritenuto di riprodurre la copertina, l’indice e la vignetta del numero originale della Rivista nel quale fu pubblicato.

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enerdì 17 novembre si è svolto, presso l'Auletta dei Gruppi parlamentari a Montecitorio, un incontro con gli operatori penitenziari organizzato dall'Area giustizia e sicurezza - Gruppo sul carcere - della Direzione del Partito democratico della sinistra che ha avuto come filo conduttore il tema: "Perché il carcere esca dall'emergenza". Nel corso del dibattito si è discusso dei provvedimenti urgenti per il funzionamento dell'Amministrazione penitenziaria. Al convegno hanno preso parte il Sottosegretario Donato Marra, il Direttore Generale del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, Presidente Salvatore Cianci, i dirigenti generali Emilio di Somma, Capo della segreteria del DAP, Luigia Culla, direttore dell'Ufficio centrale della formazione e direttore dell'Istituto Superiore di Studi Penitenziari, una folta rappresentanza di operatori rappresentanti le diverse categorie (assistenti sociali, direttori, educatori, Polizia Penitenziaria, rappresentanti della V qualifica, rappresentanti sindacali). Il dibattito è stato condotto da Pietro Folena, responsabile dell'area giustizia del PDS; "assente illustre" il SAPPE, che ha fatto giungere in ogni modo il proprio apprezzamento per l'iniziativa. Prossimamente, infatti, avverrà un incontro con i rappresentanti del SAPPE, annunciato dallo stesso Folena nel corso del dibattito, sui problemi specifici della Polizia Penitenziaria. Il dibattito ha avuto inizio con la presentazione di un documento programmatico sugli aspetti che rivestono una maggiore urgenza e che richiedono un intervento immediato. Il problema principale è la situazione d'immobilismo in cui versa

l'Aministrazione Penitenziaria fin dal 1990, anno della Legge di riforma del Corpo di Polizia Penitenziaria. La Legge 395 era attesa da decenni dagli operatori penitenziari, quale atto decisivo per il riconoscimento della specificità delle funzioni e per un adeguato allineamento con le altre forze di polizia. E invece... evidentemente la riforma partì con il piede sbagliato, il primo esplicito segnale è stato il ritardo di ben due anni con cui furono emanati i decreti delegati.

evidenza Folena nel suo intervento introduttivo, è uno dei tre punti prioritari da affrontare in materia civile e penale. Il problema del sovraffollamento della popolazione detenuta aggravano le condizioni di lavoro della Polizia Penitenziaria e del personale civile, le carceri sono vicino al collasso se non s'interviene con un preciso indirizzo politico e culturale, e questa situazione può condurre alla vanificazione dei contenuti delle leggi di riforma del 1975 e del 1990.

Questi ed altri sono stati i temi del dibattito che ha registrato numerosi interventi dei rappresentanti delle categorie presenti. La richiesta è stata uniforme e concorde per tutti: voglia di concretezza, di pragmatismo, il rifiuto di nuove leggi o decreti, ma attuazione della normativa esistente. Lo ha detto il Sottosegretario Marra, evidenziando la delicatezza del lavoro degli operatori penitenziari e l'impegno con cui essi vi si dedicano ed ha ricordato, inoltre, la necessità d'incentivare le misure alternative alla detenzione e i necessari rapporti di collaborazione con altre amministrazioni centrali e periferiche. Il tema delle carceri, ha messo in

Una nuova politica per l'Amministrazione Penitenziaria, ha detto Folena, che coinvolga uno schieramento più vasto delle forze tradizionali della sinistra, e che diventi l'asse portante di una politica della giustizia legata non più alle possibili emergenze elettorali, ma che si faccia carico di preparare un pacchetto di proposte da approvare anche con decretazioni d'urgenza. Voglia di concretezza, per porre fine ai balletti legislativi sensibili alla situazione politica generale, finendo per scaricare sul carcere l'immagine dell'emergenza. Una "schizofrenia" del sistema, l'ha definita Emilio di Somma nel suo

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COME SCRIVEVAMO

intervento, che pur non avendo fatto fare al carcere passi indietro, quantomeno a livello normativo, ha in ogni caso abbassato il livello della qualità di gestione degli istituti. Negli ultimi anni, ha ricordato di Somma, abbiamo assistito ad un'altalena di riforme e controriforme: nel 1990 è stata varata la sospirata legge 395, ma nel 1992, dopo le stragi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, si è assistito all'escalation di una legislazione d'emergenza per i boss mafiosi, alla riapertura delle carceri di massima sicurezza dell'Asinara e di Pianosa e non di rado dal centro sono partite, verso la periferia, indicazioni spesso contrastanti, che hanno creato gran confusione negli operatori. Oggi s'avverte un forte bisogno di stabilità, che fa seguito ad un periodo di sperimentazione, che pure è stato necessario, ma che deve lasciare il posto ad un'organizzazione definitiva dell'Amministrazione penitenziaria, senza fughe in avanti di questa o quella categoria, o un'ulteriore

creazione di nuovi ruoli professionali da aggiungere a quelli esistenti, che pure hanno raggiunto un tetto molto alto. Il carcere, ha proseguito ancora di Somma, deve rendersi impermeabile rispetto a questi accadimenti contingenti, che spesso si concretizzano in un'irrazionale voglia di forca da parte di un'opinione pubblica disinformata. Indipendentemente da tutto questo, ha concluso di Somma, nel carcere si continua a lavorare, anche oggi che sui giornali non s'evidenziano più le problematiche e i fatti in toni trionfalistici, come avveniva fino a poco tempo fa (a volte anche in maniera eccessiva), dell'ottimismo della ragione. Un carcere umano e moderno che al tempo stesso salvaguardi una seria politica di fermezza verso i detenuti

è il momento fondamentale per la valorizzazione completa della Polizia Penitenziaria (che lavora in ogni caso con grandi capacità e dedizione al servizio d'istituto), spesso è vanificata dall'attività legislativa che si muove sul piano dell'emergenza anche nell'assunzione del personale, pregiudicando così, e non poco, il momento formativo iniziale. Luigia Culla ha concordato con quanti hanno denunciato l'assenza di un indirizzo ideologico chiaro che indichi a tutti gli strumenti ideali per l'attuazione definitiva dei principi della riforma. Il Direttore Generale Cianci con il suo intervento ha tirato le somme del dibattito, ha apprezzato l'iniziativa che ha offerto la possibilità di riunire un congruo numero di operatori penitenziari per discutere di carcere, anche se ha espresso "disappunto"

"eccellenti", per i quali la legislazione d'emergenza va conservata. Su quest'ultimo punto molti sono stati i consensi, tra cui quello dello stesso Folena. Luigia Culla si è soffermata essenzialmente sul problema della formazione, che non va scisso da altri importanti aspetti della gestione del personale, soprattutto per quanto attiene la Polizia Penitenziaria. Il punto principale, ha sostenuto Culla, richiamando su questo punto l'attenzione del Governo e del Parlamento, è proprio la gestione armonica del personale e l'utilizzo pieno ed efficace d'esso. La formazione del personale, che pure

per l'assenza di parlamentari che, nell'occasione, sarebbero stati i principali interlocutori del dibattito. Cianci ha ribattuto punto per punto ai problemi posti nel documento di apertura, in particolare, per quanto riguarda il problema dei concorsi, il Direttore Generale ha annunciato che ha ottenuto lo sblocco di essi, mentre è allo studio la revoca della sospensione di quei concorsi verificatasi a seguito di una sentenza del Tar relativa ad uno in particolare. Cianci, pur concordando sull'urgenza e la gravità dei problemi discussi, relativi all'organizzazione del DAP e del personale, ha voluto soffermarsi su un altro aspetto che negli ultimi tempi

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Nelle foto: la copertina del numero di dicembre 1995 sotto la vignetta in basso il sommario nell’altra pagina i partecipanti al Convegno

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LE RECENSIONI

Nelle foto: in alto il Sottosegretario alla Giustizia Donato Marra al centro il Direttore Generale Salvatore Cianci in basso Pietro Folena Responsabile Area Gistizia del PDS

sembrava essere stato messo in disparte e che pure è di principale importanza per la società tutta: il problema dei detenuti. Troppo spesso, ha detto il presidente Cianci, si dimentica che ad essi deve essere rivolta l'attenzione per conseguire le finalità indicate dall'art. 27 della Costituzione e ribadite dall'Ordinamento penitenziario del '75. I circuiti differenziati dovuti alla legislazione d'emergenza, i problemi di natura edilizia,la resistenza culturale, il sovraffollamento delle carceri, il problema del lavoro ai detenuti, rappresentano problemi irrisolti, che offendono la dignità della persona umana, dei detenuti che sono costretti, in molte circostanze, a vivere in condizioni gravi. Il buon funzionamento del DAP, la soluzione dei problemi, l'apertura e la collaborazione con Enti Locali, l'uscita del carcere da una condizione di microcosmo, sono punti fondamentali, ha concluso il Direttore Generale, perché il DAP si farà interprete delle esigenze della società per attuare il dettato costituzionale. Concludendo il dibattito Pietro Folena ha annunciato la creazione di un gruppo di studio che si faccia interprete delle esigenze espresse dai partecipanti per poi formulare delle concrete proposte da sottoporre agli organi di Governo e del Parlamento. F A.B.

Santi Consolo con il coordinamento di Roberta Palmisano

CODICE PENITENZIARIO COMMENTATO LAURUS ROBUFFO Ed. pagg. 348 - euro 42,00

L

a sentenza pilota della Corte Europea per i Diritti Umani Torreggiani più altri c/Italia (divenuta definitiva il 28 maggio 2013) è stata, senza dubbio alcuno, un significativo impulso per l’individuazione e la messa in atto di idonee e adeguate misure necessarie per risolvere il problema del sovraffollamento penitenziario. Per effetto di tale sentenza, infatti, le istituzioni del nostro Paese si sono interessate al delicato tema, predisponendo una serie di interventi per una complessiva ed organica rivisitazione del sistema dell’esecuzione della pena. Interventi, legislativi e normativi, che hanno inciso anche sull’organizzazione della vita intramuraria, assicurando e garantendo il principio fondamentale che lo stato di detenzione sia compatibile con il rispetto della dignità umana, senza sottoporre la persona ristretta a uno stato di sconforto che ecceda l’inevitabile livello di sofferenza connessa alla detenzione. In questo contesto, assume particolare rilevanza l’importante Opera della Casa editrice Laurus Robuffo, presentata dal Capo dell’Amministrazione Penitenziaria Santi Consolo e introdotta da Roberta Palmisano, Direttore dell’Ufficio studi, ricerche, legislazione e rapporti del DAP, che ha coordinato il piano editoriale. In sintesi, tutti gli articoli del Codice penitenziario sono commentati da funzionari dell’Amministrazione penitenziaria e magistrati che riportano le singole esperienze professionali e l’applicazione pratica

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delle norme nella quotidianità. Al prezioso lavoro di commento, per ogni articolo si associa la raccolta di pertinenti documenti di interesse (note dipartimentali e lettere circolari), consultabili ed accessibili attraverso l’innovativa formula dei QRcode (insieme di piccoli moduli bianchi e neri disposti all'interno di una cornice rettangolare, che permette di memorizzare informazioni leggibili da un telefono cellulare o da uno smartphone mediante un apposito programma o applicazione). Il Codice si rileva utile e fondamentale strumento di consultazione anche per la preparazione di coloro che affrontano concorsi pubblici ed interni nei vari ruoli del Corpo di Polizia e dell’Amministrazione Penitenziaria.

a cura di Patrizio Gonnella e Marco Ruotolo

GIUSTIZIA E CARCERI SECONDO PAPA FRANCESCO JAKA BOOK Edizioni pagg. 192 - euro 14,00

N

ell’Angelus del 6 novembre scorso, in occasione del Giubileo dei carcerati, il Santo Padre Francesco ha rivolto un appello in favore del miglioramento delle condizioni di vita nelle carceri in tutto il mondo, “affinché sia rispettata pienamente la dignità umana dei detenuti”. Ha inoltre inteso ribadire l’importanza di riflettere sulla necessità di una giustizia penale “che non sia esclusivamente punitiva, ma aperta alla speranza e alla prospettiva di reinserire il reo nella società”. Ha inoltre auspicato che le “competenti Autorità civili di ogni Paese” possano “compiere, in questo Anno Santo della Misericordia, un atto di clemenza verso quei carcerati che si riterranno idonei a beneficiare di tale provvedimento”. Parole sulle quali si può non concordare, ma che hanno l’indubbio


LE RECENSIONI merito di essere chiare e nette. Ma non è la prima volta che Papa Francesco affronta i temi della giustizia e del carcere, evidenziando il fatto che la giustizia debba sempre essere ‘pro homine’. Questo libro raccoglie proprio il contributo dei curatori e di altri ventuno autori sulle parole del Santo Padre.

Flavia Perina

LE LUPE BALDINI E CASTOLDI Ed. pagg. 194 - euro 15,00

A

vvincente romanzo, che si legge d’un fiato per il coinvolgimento che catalizza il lettore, di Flavia Perina, giornalista con un passato giovanile politico a destra, prima donna direttrice di un quotidiano nazionale ed ex parlamentare. In questo suo primo romanzo, l’Autrice ci parla di una signora borghese, Flaminia, con un passato rimosso e mai raccontato a nessuno che si è fatta una vita nuova e irreprensibile. Due figli: Carlo e Caterina. Un equivoco in una feroce domenica di calcio a Roma Nord, zona stadio. Una telefonata: Carlo è morto, ucciso dalla polizia durante una giornata di scontri con gli ultras. Solo che Carlo non è un ultras, ed è morto per niente o quasi niente. Un desiderio di vendetta che prende forma con rapidità, diventa folle ossessione e poi progetto condiviso con l’amica del cuore di tempi molto bui. Un giro di vecchie amicizie che si mette in moto all’improvviso, in odio all’ingiustizia. Un poliziotto. Una soffiata. Una pistola. Due cinquantenni che tornano ragazze per cancellare l’ultimo e più insopportabile torto della vita. «La vendetta, il fargliela pagare. È un’idea che ferma all’improvviso le

lacrime e si porta dietro con naturalezza un terzo pensiero, perché una donna di mezza età, una donna che ha una famiglia, una casa di proprietà, una macchina, la tessera del supermercato nel portafoglio e le rate del mutuo da pagare, può immaginarsi vestita di nero al funerale o in ginocchio davanti a una bara, non all’angolo di una strada buia mentre aspetta che rientri il vigliacco che ha ammazzato suo figlio.» Il libro è bello e avvincente, tiene il lettore incollato fino alla fine. Ma è opportuno sempre precisare, vista la trama, che l’appartenente alle Forze di Polizia che sbaglia (e per questo deve essere punito, sia chiaro!) è l’eccezione, non la regola.

Vittorio Gazale e Stefano A. Tedde

LE CARTE LIBERATE Viaggio negli archivi e nei luoghi delle Colonie penali della Sardegna CARLO DELFINO Ediz. pagg. 381 - euro 60,00

N

elle pagine di questo bellissimo libro c’è la storia di un mondo, quello delle colonie penali della Sardegna, sul quale si sa poco, nonostante siano nate alla fine dell’Ottocento e abbiano rappresentato (e rappresentano) una realtà penitenziaria. Le colonie sono nate con l’obiettivo di bonificare e rendere produttivi terreni marginali, isolati, generalmente paludosi e infestati dalla malaria. Luoghi a prima terribili, inaccessibili, afflittivi epperò, e questo è merito degli Autori, pregni anche di umanità e di rapporti interpersonali, specie tra agenti e detenuti, che non erano per forza e sempre in perenne conflitto. Ma non solo questo ci consegna quest’Opera. Con centinaia di documenti, Gazale e Tedde ci permettono di conoscere

appieno un mondo, ripeto, ai più sconosciuto: dai due pionieristici esperimenti di San Bartolomeo e Cuguttu, poderi di modesta estensione annessi rispettivamente al bagno penale di Cagliari e di Alghero, alle tre colonie dismesse di Castiadas, Tramariglio e Asinara per giungere a quelle ancora attive di Isili, Mamone e Is Arenas. Racconti, aneddoti, storia, umanità varia: tutto si intreccia nelle quasi quattrocento pagine dell’Opera, che la rendono unica nel suo genere e di imprescindibile lettura per capire e comprendere anche i cambiamenti della vita detentiva e del Paese stesso. Le foto a corredo della monumentale ricerca degli Autori, poi, sono qualcosa di davvero straordinario e unico, come le sensazioni che solo le fotografie in bianco e nero talvolta riescono a trasmettere, e raccontano più di tante parole come sia stata radicale tale evoluzione nella vita penitenziaria. Un prezioso lavoro che rende imperdibile e imprescindibile la lettura di questo bel libro a chi intende affrontare un viaggio nella storia delle Colonie penali della Sardegna. F

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a cura di Erremme rivista@sappe.it


di Mario Caputi e Giovanni Battista de Blasis © 1992-2016 caputi@sappe.it

L’ULTIMA PAGINA Il mondo dell’appuntato Caputo

CARTA VINCE... CARTA PERDE... DOVE STA IL SOVRINTENDENTE?

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