PoliziaPenitenziaria Società Giustizia e Sicurezza
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anno XXIV • n.249 • aprile 2017
2421-2121
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Facebook o Speaker’s Corner?
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05 Polizia Penitenziaria
Società Giustizia e Sicurezza
In copertina:
anno XXIV • n.249 • aprile 2017
Una pagina Facebook
04 EDITORIALE Carceri e sanità, intesa del Sappe con i medici aderenti allo SMI di Donato Capece
05 IL PULPITO Qualcuno crede che Facebook sia come lo Speaker’ Corner di Hyde Park di Giovanni Battista de Blasis
06 IL COMMENTO Rems, se qualcuno avesse raccolto i nostri allarmi... di Roberto Martinelli
08 L’OSSERVATORIO POLITICO Vigilanza dinamica e affettività in carcere diventano legge di Giovanni Battista Durante
22 CINEMA DIETRO LE SBARRE
10 CRIMINOLOGIA Gli strumenti amministrativi di recupero dalla devianza-criminalità minorile di Roberto Thomas
12 MINORI Ordinamento Penitenziario minorile: le inerzie del legislatore di Ciro Borrelli
14 DIRITTO & DIRITTI Da fascismo alla Costituzione italiana: la nascita del carcere moderno di Giovanni Passaro
16 LO SPORT Scherma: Federico Vismara oro ai Mondiali di Plovdiv in Bulgaria Pentatholon: al Cairo, bronzo per Alice Sotero di Lady Oscar
PoliziaPenitenziaria Società Giustizia e Sicurezza
Organo Ufficiale Nazionale del S.A.P.Pe. Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Direttore responsabile: Donato Capece capece@sappe.it Direttore editoriale: Giovanni Battista de Blasis deblasis@sappe.it Capo redattore: Roberto Martinelli martinelli@sappe.it Redazione cronaca: Umberto Vitale, Pasquale Salemme Redazione politica: Giovanni Battista Durante Comitato Scientifico: Prof. Vincenzo Mastronardi (Responsabile), Cons. Prof. Roberto Thomas, On. Avv. Antonio Di Pietro Donato Capece, Giovanni Battista de Blasis, Giovanni Battista Durante, Roberto Martinelli, Giovanni Passaro, Pasquale Salemme
Direzione e Redazione centrale Via Trionfale, 79/A - 00136 Roma tel. 06.3975901 • fax 06.39733669 e-mail: rivista@sappe.it web: www.poliziapenitenziaria.it Progetto grafico e impaginazione: © Mario Caputi www.mariocaputi.it
“l’appuntato Caputo” e “il mondo dell’appuntato Caputo” © 1992-2016 by Caputi & de Blasis (diritti di autore riservati)
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Son of a gun a cura di G. B. de Blasis
23 WEB E DINTORNI La Cassazione equipara le Vittime del Dovere alle Vittime del terrorismo e della criminalità di Federico Olivo
24 CRIMINI & CRIMINALI La mattanza delle donne anziane di Pasquale Salemme
26 SICUREZZA SUL LAVORO D. Lgs. 81/2008: I luoghi di lavoro di Luca Ripa
28 COME SCRIVEVAMO Il suicidio. Breve storia del “mal di vivere” di Assunta Borzacchiello
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Cod. ISSN: 2421-1273 • web ISSN: 2421-2121 Stampa: Romana Editrice s.r.l. Via dell’Enopolio, 37 - 00030 S. Cesareo (Roma) Finito di stampare: aprile 2017 Questo periodico è associato alla Unione Stampa Periodica Italiana
Edizioni SG&S
Il S.A.P.Pe. è il sindacato più rappresentativo del Corpo di Polizia Penitenziaria
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L’EDITORIALE
Donato Capece Direttore Responsabile Segretario Generale del Sappe capece@sappe.it
Carceri e sanità, intesa del Sappe con i medici aderenti allo SMI
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avorire il confronto tra Polizia Penitenziaria e medici per migliorare le condizioni di vivibilità di chi in carcere lavora e vi è ristretto. Sono le basi dell’intesa sancita a Roma il 19 aprile scorso dai poliziotti aderenti al Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE ed i medici aderenti al Sindacato Medici Italiani SMI, rappresentati dal Segretario Generale Pina Onotri.
Nella foto: la consegna al Segretario Generale SMI, Pina Onotri, della medaglia commemorativa dei 25 anni della fondazione del Sappe
Si è trattato di un momento di confronto molto costruttivo ed importante, a sancire una prossima collaborazione sul delicato tema della sanità in carcere finalizzata a garantire adeguatamente il diritto alla salute per i detenuti e tutela a chi opera in prima linea nei nostri istituti penitenziari: polizia, medici e personale sanitario. Non va infatti trascurato come autorevoli studi scientifici abbiano evidenziato che, nel corso del 2015, sono transitati all'interno dei 195 istituti penitenziari italiani quasi centomila detenuti, per l'esattezza 99.446 individui. Sulla base di numerosi studi nazionali di prevalenza puntuale, si stima possano essere circa 5.000 gli HIV
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alla metà dell’ottocento (più precisamente dal 1855) a Londra, in un angoletto dell’Hyde Park (appunto un corner), chiunque può salire su un pulpito artigianale (una cassetta, una sedia o una scaletta) e parlare in pubblico di qualsiasi argomento. Tuttavia, contrariamente alle credenze positivi, circa 6.500 i portatori attivi del popolari, non esiste un’immunità per chi parla, anche se le Autorità tendono virus dell'epatite B e circa 25.000 i ad essere tolleranti ed intervengono positivi per il virus dell'epatite C. solo se ricevono una denuncia. Uno dei problemi principali è che Ebbene, qui in Italia, da qualche anno circa la metà di costoro sono ignari a questa parte, più di qualcuno crede della propria malattia, ovvero non si che scrivere un post su una pagina sono dichiarati tali ai servizi sanitari Facebook sia come salire su una penitenziari. cassetta nello Speaker’s Corner di E' inoltre scientificamente dimostrato Hyde Park e cominciare a recitare che la trasmissione di queste infezioni (HIV-HBV-HCV) è 6 volte più frequente sermoni urbi et orbi. Nel solco di questa nuova moda, sono da pazienti inconsapevoli rispetto a nate alcune pagine Facebook per e quelli che ne sono a conoscenza. Eppure, nonostante la gravità di queste sulla Polizia Penitenziaria, da cui anonimi fustigatori di usi e costumi, cifre, la “sorveglianza sanitaria”, ovvero una visita di controllo finalizzata lanciano anatemi contro tutto e tutti e impartiscono lezioni di new deal e di a verificare lo stato di salute dei politicamente corretto. dipendenti, viene effettuata solamente Ancora tuttavia, contrariamente alle nei confronti di circa il 30% del credenze popolari, anche sui social personale dei quali il 70% sono network non esistono immunità per videoterminalisti ed il restante 30% riguarda prevalentemente chi è esposto chi scrive e la libertà di scribacchiare a rischi quali agenti chimici o rumore. quel che si vuole contro chiunque si Eppure è noto a tutti che in materia di vuole, dura soltanto fino a quando qualcuno presenta una denuncia per igiene e sicurezza sul lavoro, la calunnia o diffamazione alla Costituzione italiana (articoli 2, 32 e competente autorità giudiziaria. 41) prevede la tutela della persona Spesso alla denuncia si accompagna umana nella sua integrità psico-fisica anche una richiesta di oscuramento come principio assoluto ai fini della della pagina incriminata (...un po’ predisposizione di condizioni come quando la polizia londinese si ambientali sicure e salubri. porta via qualcuno da Hyde Park per Partendo da questi imprescindibili impedirgli di continuare a offendere e principi costituzionali, abbiamo ritenuto importante incontrare i medici ingiuriare qualcun altro). Talvolta mi è capitato (su segnalazione aderenti al SMI, nella persona di Pina di qualche collega) di andare a Onotri, per creare una collaborazione sul tema sanità e carcere che coinvolga leggere alcuni scritti di queste pagine e ho, così, avuto modo di prendere e migliori le condizioni di salute e di coscienza del fenomeno. intervento sanitario per poliziotti, medici, personale sanitario e detenuti. Mi sembra abbastanza evidente come queste pagine (una in particolare) L’auspicio del Sindacato Autonomo usino il nome e l’immagine della Polizia Penitenziaria, dunque, è che Polizia Penitenziaria per declinare su questa preziosa e importante collaborazione con il Sindacato Medici Facebook il populismo più convenzionale, quello alla “...piove Italiani SMI si traduca in interventi e Governo ladro!” per capirci, proposte concrete per migliorare le finalizzato ad intercettare il consenso condizioni di salute di tutti coloro che in carcere lavorano o sono detenute. F dei colleghi più scontenti e cercando
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IL PULPITO
Qualcuno crede che Facebook sia come lo Speaker’s Corner di Hyde Park di orientare alla protesta i colleghi più moderati. In altre parole, una versione web di un certo tipo di giornalismo improntato alla spasmodica ricerca delle magagne dell’avversario (ricordate la barzelletta del tizio che uccideva il leone dentro al supermercato e che da eroe diventava malfattore quando rivela la sua fede politica? ...quello che nel titolo divenne “Picchiatore fascista uccide leone indifeso”?). Beh, queste pagine Facebook (una in particolare) mi fanno proprio pensare al “Picchiatore fascista uccide leone indifeso” ... Tempo fa, in un mio editoriale, raccontai una storiella di Fedro in relazione a un nostro collega sindacalista che da tanti anni ha “sposato” la politica del populismo sindacale. La favoletta di Fedro è davvero calzante anche a proposito di certe pagine Facebook radical-populiste, come si può facilmente desumere rileggendo qualche stralcio del mio articolo. «C’era una volta un calzolaio inesperto che, a causa della sua mal destrezza, non aveva clienti e finì in miseria. Per non morire di fame, il calzolaio escogitò un raggiro: si trasferì in una nuova città dove era sconosciuto e, sotto falso nome, si fece passare per un famoso medico. Con arguti espedienti, e grazie all’abilità dialettica, spacciò come sua grande specialità un antidoto contro ogni tipo di veleno. Purtroppo per lui, però, il Re di quella città cadde molto malato e, sentita la sua fama, lo mandò a chiamare per farsi curare. Giunto al cospetto del Re, questi volle metterlo alla prova e lo invitò a bere un potentissimo veleno per dimostrare, poi, l’efficacia dell’antidoto su se stesso. A quel punto, terrorizzato dalla prova e dalla paura di morire, il
ciabattino confessò l’inganno e spiegò di essere diventato medico famoso non per le sue capacità ma per l’ingenuità e la credulità della gente. Dopo la confessione, il Re convocò tutta la cittadinanza sotto al Palazzo reale. “Quanta stoltezza aleggia in questa città” disse alla folla “se tutti hanno messo la propria vita nelle mani di colui al quale nessuno voleva affidare nemmeno i propri piedi. La vostra ingenuità è davvero un affare per chi non ha scrupoli ad approfittarne”.» Credo che questa favoletta di Fedro, ripresa da un precedente racconto di Esopo, rappresenti in maniera chiara ed evidente l’indole di certi personaggi che, incapaci di fare qualcosa di concreto e costruttivo, si servono della mistificazione, della tendenziosità e del sotterfugio per cercare di manipolare la realtà e presentare se stessi agli altri per quello che non sono e non saranno mai. Di solito, questi individui cercano di migliorare sempre più la propria eloquenza, per riuscire meglio ad ingannare gli altri. Quasi sempre costoro sono maestri della critica, perché criticare gli altri è di gran lunga più facile di fare qualcosa di concreto. Non a caso si dice che “la critica è l’arte di chi non sa fare”. Certi soggetti ricorrono continuamente alla critica perché vorrebbero che gli altri fossero diversi da quello che sono, nella consapevolezza che loro non potranno essere mai alla loro altezza. Non a caso, Nietzsche diceva che più ci innalziamo e più sembriamo piccoli a quelli che non possono volare. Purtroppo, però, qualche volta le calunnie e le maldicenze non ci lasciano indenni. Basti pensare a casi come quello di Girolimoni... Girolimoni, nonostante fosse stato
Giovanni Battista de Blasis Direttore Editoriale Segretario Generale Aggiunto del Sappe deblasis@sappe.it
scagionato completamente da ogni accusa, rimase sempre colpevole nell’immaginario collettivo, tanto che il suo nome a Roma viene spesso usato come sinonimo di mostro. Tempo fa mi sono imbattuto in una fantastica vignetta di Mafalda (la ragazzina disegnata da Quino) che sosteneva: “ ...se critichi tutti non hai mai pensato di essere tu il problema?” Peraltro, da quello che ho potuto
leggere su certe pagine Facebook, rigoriste e pretenziose, non c’è scrupolo o remora a superare i limiti della rispettabilità altrui finendo spesso, a mio avviso, per debordare nel reato di diffamazione. Credo che, in qualche caso specifico, non sia difficile prevedere che, come i bobbies londinesi che arrivano a portarsi via oratore e cassetta dallo Speaker’s Corner, molto presto potrebbe arrivare la Polizia Postale a portarsi via pagina Facebook e web master dall’Hyde Park virtuale della Polizia Penitenziaria. Alfine, però, come dimenticare quel che scrisse il Divin Poeta nel XXIX canto dell’Inferno: “...credo ch’un spirto del mio sangue pianga la colpa che là giù cotanto costa” che, detto in altre parole, vorrebbe dire “...chi è causa del suo mal pianga se stesso”. F
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Nella foto: Totò in una famosa scena del film Gli onorevoli
IL COMMENTO
Roberto Martinelli Capo Redattore Segretario Generale Aggiunto del Sappe martinelli@sappe.it
Rems, se qualcuno avesse raccolto i nostri allarmi...
R
icordate quando le ‘anime pie’, garantiste e radical chic, tuonavano, un giorno sì e l’altro pure, sulla necessità di superare gli Ospedali psichiatrici giudiziari per la loro inadeguatezza strutturale e funzionale? E ricordate cosa disse allora il SAPPE al riguardo, ossia che un pur giusto e legittimo cambiamento avrebbe comunque dovuto tenere conto delle esigenze di sicurezza e della particolarità delle persone ristrette, malati ma comunque responsabili di gravi fatti di criminalità?
Nella foto: una stanza di detenzione
Ebbene, un recente monitoraggio del Consiglio superiore della magistratura sugli effetti della riforma dai vertici degli uffici giudiziari ha fatto emergere un quadro definito "preoccupante" per l'esiguo numero di posti disponibili nelle strutture che hanno preso il posto degli Ospedali psichiatrico giudiziari. Il presidente del tribunale di Sorveglianza di Catania si è spinto oltre, affermando tra l’altro: "Ammalati psichiatrici gravi, violenti e socialmente pericolosi vagano nel territorio". E situazioni simili sono state registrate in varie parti d'Italia. Ma facciamo un passo indietro e contestualizziamo i fatti, anche con l’aiuto del primo Rapporto sullo stato dei diritti in Italia, progettato e
realizzato dall’Associazione A Buon Diritto. Gli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg), pensati per accogliere persone con disagio mentale autori di reato, nascono nel 1978 con la legge 180 di riforma della psichiatria che prende il nome di Franco Basaglia, la quale ha abolito i cosiddetti manicomi civili. Nel corso degli ultimi anni si è avvertita sempre più forte l’esigenza di superare gli Opg dotandosi di luoghi diversi per la cura e la custodia di autori di reato con infermità mentale, e la Commissione d’inchiesta sul sistema sanitario nazionale presieduta dal Senatore Ignazio Marino nella XVI legislatura ha fornito dati utili per procedere in questo senso. La “Relazione sulle condizioni di vita e di cura all’interno degli ospedali psichiatrici giudiziari” documentò, grazie a seguito di numerose visite ispettive effettuate, “gravi e inaccettabili carenze strutturali e igienico sanitarie” oltre all’utilizzo di pratiche, come la contenzione meccanica e farmacologica, “lesive della dignità umana”. Nel 2012, con la legge 17 del 9 febbraio, vennero date disposizioni per il definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari – facendo seguito a quanto già previsto dal DPCM del 1° aprile 2008 – e venne fissato il termine del 31 marzo 2013 per la creazione delle nuove strutture e il definitivo trasferimento di quanti dovevano scontare una misura di sicurezza. Leggi successive rinviarono la chiusura definitiva degli Opg al 31 marzo 2015, data entro la quale le Regioni avrebbero dovuto dotarsi di Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza sanitaria (Rems), sostitutive delle vecchie strutture. Al luglio 2016, la situazione era la seguente: sono stati chiusi gli Opg di
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Napoli Secondigliano, Reggio Emilia e Aversa, mentre sono ancora in funzione quelli di Barcellona Pozzo di Gotto e Montelupo Fiorentino. Il sesto Opg, quello di Castiglione delle Stiviere, ha semplicemente cambiato nome trasformandosi in Rems ma, con i suoi 200 internati, parve essere in netto contrasto con lo spirito della legge di riforma e con la previsione di un numero molto contenuto di persone ospitate all’interno di ogni Residenza. Un’altra importante novità è stata rappresentata da una modifica introdotta nella legge 81 del 2014, la quale stabilì una durata massima per le misure di sicurezza – prima prorogabili perpetuamente – che non possono superare la condanna massima comminabile agli imputabili. Come primo e più rappresentativo Sindacato del Corpo di Polizia Penitenziaria, il SAPPE affermò fin da subito l’esigenza di avere certezze su tale riforma strutturale e legislativa, anche in relazione al futuro lavorativo dei poliziotti impegnati negli Opg. Venne evidenziato che se il percorso di riforma e superamento degli Ospedali psichiatrici giudiziari fosse stato lo stesso che, dall'oggi al domani, trasferì la sanità penitenziaria al servizio sanitario nazionale vi sarebbe stato di che preoccuparsi. Scrivemmo: "Troppo semplice dire chiudiamo gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. E poi? Quel che serve sono strutture di reclusione con una progettualità tale da garantire l'assistenza ai malati e la sicurezza degli operatori. Non dimentichiamoci che tempo fa in Sicilia, nel VI Reparto dell'Ospedale Psichiatrico di Barcellona Pozzo di Gotto, un internato nigeriano in osservazione ha aggredito un nostro Ispettore di Polizia Penitenziaria e gli ha staccato con un morso la falange della mano destra. Gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari hanno risentito nel tempo dei molti tagli ai loro bilanci. Ma colpevole è anche una diffusa e radicata indifferenza della politica verso questa grave specificità penitenziaria". Sarebbe stato allora necessario, dicemmo ancora, che i politici, a tutti i
IL COMMENTO livelli, invece delle solite passerelle a cui si accompagnavano puntualmente anatemi e demagogie quanto estemporanee soluzioni, si fossero fatti carico del loro ruolo istituzionale, mettendo le strutture psichiatriche nelle condizioni di poter svolgere al meglio il loro lavoro, poiché le condizioni disumane in cui versano gli O.P.G. erano il frutto di una voluta indifferenza della società civile, dei politici, ma anche dei vertici dell'Amministrazione penitenziaria. Ribadisco per evitare fraintendimenti e strumentalizzazioni: gli ospedali psichiatrici giudiziari erano stati definiti dal Consiglio d’Europa «luoghi di tortura» e dunque il loro superamento rappresentava in primis una doverosa svolta di civiltà, ma il SAPPE intese porre subito la questione sicurezza: è possibile ospitare una persona che ha compiuto azioni crudeli ed è definita dai giudici «pericolosa», in un luogo che può lasciare con tanta nonchalance? Ciò detto, con l’approvazione della legge 30 maggio 2014 n. 81, si diede l’avvio ad un nuovo tassello della riforma dell’assistenza psichiatrica in Italia, iniziata con la legge 180 del 1978 (legge Basaglia), che prevedeva appunto la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari (OPG) e la contestuale attivazione delle REMS (residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza). Ma subito emerse il problema, ovvio e palese, già evidenziato dal SAPPE: il ruolo di «custodia» che medici e infermieri avrebbero dovuto esercitare nelle REMS, evitando di compromettere la professionalità del personale medico e infermieristico ma allo stesso tempo garantendo ai pazienti le cure migliori, nonché la sicurezza tout court delle nuove strutture. Lo rilevarono anche alcuni parlamentari del Gruppo 5Stelle, firmatari ad agosto 2015 (!) di una interrogazione al Ministro della Sanità rimasta ad oggi senza riscontro. Non fu raccolta la denuncia del SAPPE, non furono ascoltate le Associazioni di categoria di medici ed infermieri, non vennero raccolte i rilievi parlamentari... Ed oggi arriva, impietosa, la denuncia del Csm:
“Dopo la chiusura degli Opg, le Rems sono piene e i criminali malati mentali restano liberi”. Oggetto del lavoro sono le Rems, ovvero le residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza nate con la chiusura degli Ospedali psichiatrico giudiziario: strutture che, in molte parti d’Italia, sono piene. Risultato: responsabili anche di “gravissimi reati di sangue”, ma prosciolti per infermità mentale, vagano liberi in alcune zone del Paese perché non c’è posto nelle Rems. Il quadro preoccupante, come detto, emerge da un monitoraggio condotto dal Consiglio superiore della magistratura, che ha raccolto informazioni sugli effetti della riforma dai vertici degli uffici giudiziari. Il problema della carenza di posti in queste strutture, con l’inevitabile formazione di liste d’attesa per l’accettazione di nuovi pazienti, è diffuso. Ma in certe realtà è una vera emergenza. Come nel distretto di Catania: l’unica Rems, a Caltagirone, ha appena venti posti letto a disposizione, già da tempo occupati con ammalati psichiatrici provenienti in gran parte dalle vecchie strutture carcerarie abolite. Il risultato di questa situazione lo descrive proprio il presidente del tribunale di sorveglianza: “Vagano nel territorio ammalati psichiatrici gravi, violenti e socialmente pericolosi”, per i quali è stato disposto il ricovero nelle Rems, “in attesa che si rendano disponibili posti” presso queste strutture. È allarme anche in Puglia, una regione popolosa ma che dispone soltanto due Rems per un totale di appena 38 posti. La loro limitatezza è fonte di rischio, segnala il Pg di Bari, perché si traduce nella “presenza sul territorio di soggetti autori anche di gravissimi reati di sangue che, affetti da patologie psichiatriche anche valutate di alta pericolosità, non sono stati ricevuti da alcuna Rems per indisponibilità di posti una volta recuperata la piena libertà”. Pure a Napoli per carenza di disponibilità di posti sono “molte” le misure di sicurezza in attesa
di esecuzione. Ma così, rileva il presidente del tribunale, “non si riesce né a garantire la cura della malattia psichiatrica né ad assicurare la difesa sociale”. Criticità analoghe si registrano a Roma, dove il presidente del tribunale avverte: il ritardo nell’esecuzione delle misure di sicurezza espone a “gravi pericoli” la collettività e le vittime di reato. E a Firenze, dove “l’indisponibilità di un sufficiente numero di posti nelle strutture esistenti nel territorio toscano – nota il Pg – impedisce di procedere all’applicazione della misura, rimasta in diversi casi inseguita per non breve tempo”. Non solo posti contingentati: nelle Rems c’è anche un problema di inadeguatezza della sorveglianza interna e esterna. A Caltagirone ci sono state aggressioni al personale infermieristico ed “episodi di allontanamento dalla struttura degli
ospiti ricoverati”, come segnala il Pg di Catania. E altre tre fughe (ma gli ospiti sono stati poi rintracciati) si sono verificate a Bologna. Anche a Genova, dove esiste una Rems nel quartiere di Prà, si sono contate tre evasioni in un mese e mezzo, l’ultima delle quali conclusa tragicamente. L’uomo fuggito dalla Rems di Prà, a bordo di una moto, è morto infatti investito in autostrada sulla A26. C’è allora l’urgente necessità di porre rimedio a questa grave situazione, a questa diffusa inadeguatezza, con l’assunzione di adeguati provvedimenti normativi. Ma con altrettanta fermezza va stigmatizzato il comportamento di chi, preavvisato di quel che sarebbe potuto accadere (ed è poi accaduto), ha quantomeno sottovalutato le prevedibili conseguenze. F
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Nella foto: una Rems
L’OSSERVATORIO POLITICO
Giovanni Battista Durante Redazione Politica Segretario Generale Aggiunto del Sappe giovanni.durante@sappe.it
Vigilanza dinamica e affettività in carcere diventano legge
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l disegno di legge n. 4368, presentato dal Ministro Andrea Orlando, di concerto con i ministri Alfano e Padoan apporta sostanziali modifiche ai Codici penale e di procedura penale, nonché all’Ordinamento penitenziario. Per quanto riguarda le modifiche all’Ordinamento penitenziario il legislatore, tra i principi e criteri direttivi di cui si dovrà tenere conto nella predisposizione dei decreti legislativi, ha previsto: • la revisione delle modalità e dei presupposti di accesso alle misure alternative sia con riferimento ai presupposti soggettivi sia con riferimento ai limiti di pena, al fine di facilitare il ricorso alle stesse, salvo che per i casi di eccezionale gravità e pericolosità e in particolare per le condanne per i delitti di mafia e terrorismo anche internazionale; • previsione di una necessaria osservazione scientifica della personalità da condurre in libertà, stabilendone tempi, modalità e soggetti chiamati a intervenire; • integrazione delle previsioni sugli interventi degli uffici dell’esecuzione
penale esterna; • previsione di misure per rendere più efficace il sistema dei controlli, anche mediante il coinvolgimento della Polizia Penitenziaria; • eliminazione di automatismi e di preclusioni che impediscono ovvero ritardano, sia per i recidivi sia per gli autori di determinate categorie di reati, l’individualizzazione del trattamento rieducativo e la differenziazione dei percorsi penitenziari in relazione alla tipologia dei reati commessi e alle caratteristiche personali del condannato, nonché revisione della disciplina di preclusione dei benefici penitenziari per i condannati alla pena dell’ergastolo, salvo che per i casi di eccezionale gravità e pericolosità specificatamente individuati e comunque per le condanne per i delitti di mafia e terrorismo anche internazionale; • previsione dell’esclusione del sanitario dal consiglio di disciplina istituito presso l’istituto penitenziario; • riconoscimento del diritto alla affettività delle persone detenute e internate e disciplina delle condizioni generali per il suo esercizio;
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• eliminazione di ogni automatismo e preclusione per la revoca o per la concessione dei benefici penitenziari, in contrasto con la funzione rieducativa della pena e con il principio dell’individuazione del trattamento; • previsione di norme volte al rispetto della dignità umana attraverso la responsabilizzazione dei detenuti, la massima conformità della vita penitenziaria a quella esterna, la sorveglianza dinamica; • revisione del sistema delle pene accessorie improntata al principio della rimozione degli ostacoli al reinserimento sociale del condannato ed esclusione di una loro durata superiore alla durata della pena principale. Per quanto riguarda le modifiche al codice penale il legislatore, all’articolo 1, introduce l’istituto dell’estinzione del reato per condotte riparatorie. Si prefigge, inoltre, di incrementare i limiti minimi di pena per alcuni reati, come lo scambio elettorale politico mafioso, il furto in abitazione e quello con strappo, la rapina, l’estorsione. Altre proposte di modifiche
LIBRI PER CONCORSI riguardano la sospensione e l’interruzione della prescrizione, la procedibilità a querela di parte per la violenza privata, ad eccezione dei casi in cui la persona offesa sia un incapace, per età o per infermità di mente, ricorrano circostanze aggravanti ad effetto speciale, ovvero quelle indicate nell’art. 339 del Codice penale, nei casi di reati contro il patrimonio, se il danno arrecato alla persona offesa sia di rilevante gravità. Inoltre, si prevede una revisione delle misure di sicurezza personali. Il legislatore si prefigge anche di porre rimedio ad un vuoto normativo, riguardante l’istituzione delle REMS, dopo la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari. La legge vigente, infatti, non consente il ricovero nelle REMS, per i soggetti la cui infermità sia sopravvenuta durante l’esecuzione della pena. Il disegno di legge 4368 prevede che il ricovero possa essere disposto anche nel caso di infermità sopravvenuta, nonché per gli imputati sottoposti a misure di sicurezza provvisorie e di tutti coloro per i quali occorra accertare le relative condizioni psichiatriche, qualora le sezioni degli istituti penitenziari alle quali sono destinati non siano idonee, di fatto, a garantire i trattamenti terapeutico-riabilitativi, con riferimento alle peculiari esigenze di trattamento dei soggetti e nel pieno rispetto dell’articolo 33 della Costituzione. Per quanto riguarda le modifiche al Codice di procedura penale vale la pena notare, per quanto riguarda la diretta incidenza sul sistema penitenziario e, quindi, sul nostro lavoro, la partecipazione a distanza alle udienze dibattimentali, di coloro che si trovano in carcere per i reati indicati nell’articolo 51, comma3-bis, nonché nell’articolo 407, comma 2, lettera a), numero 4, del codice di procedura penale. Si tratta, sostanzialmente, dei reati di criminalità organizzata, di terrorismo e altri di particolare gravità. Tale possibilità è estesa anche ai collaboratori di giustizia. F
Manuale completo per la preparazione al concorso per 540 Allievi Agenti di Polizia Penitenziaria Teoria + Quiz pagg. 768 • 24,00 euro
NLD Editore www.nldconcorsi.it
In data 7 aprile 2017, il Ministero della Giustizia ha pubblicato il concorso pubblico, per titoli ed esami, per il reclutamento di complessivi 540 allievi agenti del Corpo di Polizia Penitenziaria del ruolo maschile e femminile, riservato ai sensi dell'articolo 2199, comma 7-bis, del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, ai volontari in ferma prefissata di un anno o quadriennale ovvero in rafferma annuale, in servizio o in congedo. Lo svolgimento della prova d’esame consiste in una prova scritta, vertente su una serie di domande a risposta sintetica o a scelta multipla, relative ad argomenti di cultura generale e a materie oggetto dei programmi della scuola dell'obbligo. Il volume edito da NLD Editore costituisce un valido strumento per la preparazione alla prova scritta del Concorso. Per ciascuna materia, vengono trattate in maniera chiara ed esaustiva le nozioni teoriche essenziali, in modo tale da fornire al candidato la possibilità di apprendere rapidamente i concetti e di ripassare velocemente i contenuti oggetto di studio. Le discipline trattate sono: Italiano (Letteratura + Lingua italiana), Storia, Geografia, Matematica, Educazione civica, Scienze. Il volume si compone, inoltre, per ciascuna materia trattata teoricamente, di una sezione dedicata alle batterie di domande a risposta multipla che prevedono quattro opzioni di soluzione fra le quali viene indicata la risposta corretta. Completa il volume, aggiornato ad aprile 2017, l’innovativo simulatore online con il quale è possibile esercitarsi con batterie di domande a risposta multipla, aventi ad oggetto ciascuna delle materie oggetto del volume, consultabile con apposita password presente nel retro del volume. Polizia Penitenziaria n.249 • aprile 2017 • 9
Roberto Thomas Docente del corso di formazione in criminologia minorile de La Sapienza Università di Roma Già Magistrato minorile Michela Battiloro Avvocato rivista@sappe.it
CRIMINOLOGIA
Gli strumenti amministrativi di recupero dalla devianza-criminalità minorile
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toricamente la rieducazione dei minorenni “traviati” (con una connotazione eccessivamente moralistica che li etichettava negativamente per tutta la loro vita) avveniva, a seguito dell'entrata in vigore del Regio Decreto Legislativo n. 1404 del 1934, istitutivo dei Tribunali per i minorenni, attraverso i centri di rieducazione (già denominati “istituti di educazione e correzione” nell'articolo 53 del Codice Penale Zanardelli del 1889 ),
bambini, più che “irregolari di condotta”, afflitti dall'estrema povertà economica e morale delle loro famiglie di origine, quindi bimbi “poveri” che restavano nei predetti Centri fino alla maggiore età, imparando uno dei mestieri rigidamente incasellati in quelli del fabbro, del falegname, del sarto o del calzolaio, oltre allo studio obbligatorio delle cinque classi elementari (che era una grossa iniziativa culturale, se si pensa all'alto
dislocati in varie regioni d'Italia, dipendenti dal ministero di Grazia e Giustizia (secondo la denominazione dell'epoca, attualmente, semplicemente Ministero della Giustizia) che accoglievano bambini dai nove anni in su, considerati monelli o discoli per aver marinato la scuola, ovvero vagabondi che commettevano dei piccoli furti o frequentavano cattive compagnie, segnalati dalla polizia o ai carabinieri d'ufficio o su richiesta dei loro genitori, parenti o istituti di beneficenza. Insomma si trattava generalmente di
tasso di analfabetismo esistente all'epoca in Italia). I mestieri precitati venivano insegnati dai maestri d'arte, che sovente erano gli stessi agenti di custodia, sotto la supervisione di un censore che di fatto era anche il comandante degli agenti di custodia. La carenza di questi Centri consisteva nel fatto che erano sovraffollati di ragazzi conviventi promiscuamente, fra i nove e i ventuno anni (età, quest’ultima, con cui fino alla riforma del diritto di famiglia del 1975 si raggiungeva la maggiore età), con immaginabili ricadute negative dovute
Nella foto: il monello del film di Chaplin
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all'anomia e alla prevaricazione dei più grandi , anche potenziali maestri del crimine per i più piccoli, come già notato da Cesare Lombroso alla fine del 1800 nel suo libro “L'uomo delinquente”. Quindi, con la circolare n. 3935/2405 dell'otto febbraio1951 del Ministero di Grazia e Giustizia, istitutiva di un progetto pilota di un primo servizio sociale a Roma “destinato alle indagini sulla personalità sociale ed altri compiti relativi alla assistenza e alla rieducazione dei minorenni”, si avviò l'istituzione di un servizio sociale che sarebbe stato regolamentato dalla legge 25 luglio 1956 n.888, che ampliava le funzioni dei Centri di Rieducazione per i minorenni che coordinavano ulteriori servizi quali gli istituti di osservazione, i gabinetti o istituti medico-psicopedagogici, le case di rieducazione, i focolari di semilibertà e pensionati giovanili , i riformatori giudiziari e le prigioni scuola. L'attività del servizio sociale territoriale ( dipendente direttamente dagli enti locali comunali ) è una funzione amministrativa diretta alla realizzazione d'interventi “per la prevenzione, il sostegno e il recupero delle persone, famiglie, gruppi e comunità in situazioni di bisogno e di disagio” ai sensi dell'ordinamento professionale disciplinato dalla legge 23 marzo 1993 n.84. Tra di essi, per la loro peculiare importanza, svettano quelli amministrativi di recupero in favore di soggetti minorenni devianti in generale, ovvero soggetti a provvedimenti delle autorità giudiziaria minorili nel campo della competenza civile e amministrativa (ex art.23 lett. C del D.P.R. 2 luglio 1977 n. 616 con cui si trasferirono le
CRIMINOLOGIA competenze in materia di assistenza minorile dallo Stato agli enti locali) e penale, in raccordo con i servizi minorili distrettuali , dipendenti direttamente dal Ministero della giustizia (ex art. 6 D.P.R. 22 settembre 1988 n. 448). Siffatta attività viene espletata da una pluralità di figure professionali, quali assistenti sociali, psicologi , educatori, sociologi, nonché medici, quali psichiatri e neuropsichiatri infantili, e dovrebbe essere coordinata con l'attività assistenziale degli altri organismi pubblici e privati, quali quelli di volontariato regolati dalla legge quadro 11 agosto 1991 n. 256. L'assistente sociale (attualmente fornito di un diploma rilasciato dall'università ex art. 9 D.P.R. 18 marzo 1982 n. 162) è diventato nella prassi l'interlocutore istituzionale del tribunale per i minorenni, soprattutto per i provvedimenti di urgenza, previsti nell'ultimo comma dell'art. 336 del codice civile, dove lo informa direttamente, senza neanche il filtro dell'ufficio del p.m. minorile, delle gravi situazioni di disagio minorile. Deve pertanto sottolinearsi la delicatezza del suo ruolo, soprattutto in relazione al contenuto delle relazione sociali, da lui redatte nel campo amministrativo, che contengono dati personali , familiari e sociali del minore che confluiscono nel procedimento giudiziario senza le garanzie formali della testimonianza o della consulenza tecnica, rimanendo agganciate esclusivamente all'elevata soggettività propria della professionalità del singolo operatore sociale. Tali dati costituiscono delle vere e proprie prove “bloccate” per l'impossibilità , nella maggior parte di casi, che le parti private, la difesa e lo stesso pubblico ministero minorile possano controbatterle, acquisendo delle diverse fonti informative. Deve rilevarsi che una politica di recupero minorile dalla devianza potrebbe far sì che numerose situazioni di disagio minorile non divengano di competenza amministrativa dei tribunali per i minorenni attraverso la segnalazione
dei servizi sociali. Invero la comunità locale, di cui i servizi sono espressione qualificata, gode di migliori spazi di mediazione dei conflitti minorili e familiari, considerata la sua natura essenzialmente non autoritativa, a differenza di quella giudiziaria. Invero l'ingresso dei magistrati minorili all'interno di dinamiche familiari già compromesse, viene spesso vissuto dai suoi componenti, in particolare i soggetti minorenni, come un intervento sanzionatorio, anche se questo ultimo sia oggettivamente più che giustificato. Qualora gli indirizzi di politica sociale contribuissero a creare un'informazione più diffusa e capillare, il lavoro che sovente gli assistenti sociali svolgono su mandato dei giudici minorili potrebbe essere realizzato, invece in via preventiva, senza cioè l'ordine dell'autorità giudiziaria, e, pertanto in un clima di reciproca fiducia con le famiglie dei minori interessati. E' rilevante osservare che gli aspetti strutturali dei problemi sociali sono intrinsecamente legati al modello di sviluppo socio-economico vigente in una determinata realtà storica. Pertanto per le scienze sociali , più che per altre scienze, si pone il problema del loro rapporto con la politica sociale. La comunicazione fra operatori tecnici e politici deve essere circolare , nel senso che le tendenze espresse dalla programmazione di una valida politica sociale incidono sia sugli orientamenti della professionalità , del metodo e degli strumenti degli operatori sociali, in una parola sul loro modello operativo. Accanto a tale problema esiste anche quello della necessità di promuovere delle modalità reciproche di conoscenza fra i diversi partner istituzionali. Invero la matrice culturale che realizza l'intervento del servizio sociale si distingue da quella propria dei magistrati minorili o di altre figure professionali presenti nei servizi. Pertanto è necessario procedere , anche mediante progetti di formazione mirati, ad una migliore conoscenza culturale dei linguaggi propri dei vari esponenti istituzionali
che operano nel campo del disagio minorile al fine di poter superare lo storico steccato culturale fra scienze sociali e quelle del diritto. Pur cambiando, con il D.P.R, n. 616 del 1977 il titolare della gestione delle competenze in materia di assistenza minorile, non mutò sostanzialmente il problema del sovraffollamento degli istituti di accoglienza che durò fino al 2009, quando entrò finalmente in vigore l’ art. 2, punto n. 4 della legge 28 marzo 2001 n. 149 sull'adozione ( dopo una serie di proroghe annuali ) che determinò obbligatoriamente l'inserimento dei minori abbandonati materialmente o moralmente in case famiglia che riproducevano, per il limitato numero dei suoi ospiti ( al massimo fino a dieci ex art. 10 Decreto Legislativo 18 luglio 1989 n. 272 ), il focolare della famiglia cosiddetta normale.
Invero, nella prassi, l’intervento autoritativo dei servizi viene sovente “girato” alla competenza del tribunale per i minorenni nella sua funzione amministrativa , ai sensi dell’art. 25 della legge minorile (R.D.L. 20 luglio 1934, n. 1404) che testualmente recita : “Quando un minore degli anni 18 dà manifeste prove di irregolarità della condotta o del carattere, il procuratore della Repubblica, l’ufficio di servizio sociale minorile, i genitori, il tutore, gli organismi di educazione, di protezione e di assistenza dell’infanzia e dell’adolescenza,
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Nella foto: una famiglia
Á
poliziapenitenziaria.it
CRIMINOLOGIA possono riferire i fatti al Tribunale per i minorenni, il quale, a mezzo di uno dei suoi componenti all’uopo designato dal presidente, esplica approfondite indagini sulla personalità del minore, e dispone con decreto motivato una delle seguenti misure : 1) l’affidamento al servizio sociale 2) il collocamento in una casa famiglia (che ha sostituito l’originaria casa di rieducazione e l’istituto medicopsico-pedagogico).
Nella foto: giudice minorile
L’intervento autoritativo del giudice minorile, in funzione amministrativa attuato formalmente mediante un decreto, costituisce l’applicazione di una tutela rinforzata a favore del minore che non risulta più gestibile, a causa del suo grave disadattamento, nemmeno dai servizi sociali che lo hanno preso in carico, sostituendosi ai suoi genitori incapaci di contenerlo. Il giudice minorile in funzione amministrativa costituisce sempre una specie di “ultima spiaggia”, quando cioè si siano esauriti tutti gli altri possibili interventi di natura non autoritativa, che hanno cercato,
inutilmente, di ascoltare e comprendere la voce del minorenne , senza però un risultato positivo per la sua rieducazione. Giustamente, infatti, notavo nel mio precedente libro, scritto con Maurizio Bruno, “I provvedimenti a tutela dei minori”, pag.5, che : “Siffatta voce, spesso contenente una struggente richiesta di aiuto diretta al mondo degli adulti, deve essere ascoltata e, se possibile, raccolta dagli appartenenti alla comunità locale (parenti, amici, vicini di casa e organi dei servizi locali territoriali). Solo ove tale mediazione sociale fallisca e la voce si affievolisca a lamento, occorre l’intervento del giudice, che, col sistema di garanzie proprie della giurisdizione, cerca di realizzare concretamente il fondamentale diritto del minore ad un armonico ed equilibrato sviluppo psico-fisico.” . E’ quindi una extrema ratio che non ha più alcuna possibilità di appello, nell’ipotesi di un suo fallimento, in quanto il minore, in tal caso, facendo il salto di confine, con la realizzazione di un comportamento di reato, passerebbe direttamente alla giurisdizione penale (e non più amministrativa) del tribunale per i minorenni, con i relativi provvedimenti sanzionatori derivanti da una formale sentenza di condanna. La rete delle case famiglia sul territorio nazionale è composta da oltre 1800 unità (secondo l'indagine dell'Istituto degli Innocenti di Firenze della fine del 2010 “Bambini e bambine temporaneamente fuori dalla famiglia di origine ”) che accolgono circa trentamila minori (sempre secondo i dati della precitata ricerca), ma che è assolutamente insufficiente all'accoglienza dei numerosissimi minori, non solo irregolari di condotta (che ne costituiscono una parte minoritaria), ma soprattutto di quelli migranti stranieri non accompagnati, di cui ho già trattato nel precedente articolo su questa Rivista n. 233 del novembre 2015, che, purtroppo, approdano sulle nostre coste in sempre maggior numero. F
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GIUSTIZIA MINORILE
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l sistema penale per il minore dovrebbe rappresentare uno strumento di educazione rafforzata, il cui obiettivo è non solo quello di collegare una sanzione al comportamento illecito, ma anche quello di determinare un’evoluzione positiva della personalità del soggetto al fine di incentivarlo al rispetto del patto sociale. E’ doveroso ricordare che in ambito processuale il D.P.R. n. 448 del 1988 recante le norme sul processo penale a carico d’imputati minorenni rappresenta un momento essenziale per il raggiungimento di tali obiettivi: rispetto alla normativa precedente, il minore è con questa riforma, considerato soggetto di diritti, persona portatrice del diritto a una regolare crescita psico-sociale. Il processo penale minorile risponde quindi al principio di autonomia e specialità dell’assetto normativo, oltre che al principio di minima offensività della sanzione, al fine di circoscrivere le inevitabili ripercussioni negative sul processo evolutivo del minore. Una scelta, quindi orientata alla tutela “dell’interesse del minore” che è identificato soprattutto nelle esigenze educative di quest’ultimo. Il nuovo assetto normativo si basa sui principi di legalità, tutela giurisdizionale delle posizioni soggettive, rispetto del principio di umanità della pena, separazione dei ristretti secondo la posizione giuridica, uguaglianza e tutela dei diritti compatibili con lo stato di detenzione. Tuttavia l’Ordinamento Penitenziario, più volte oggetto di riforme significative, si presenta ancor oggi come un complesso di norme i cui naturali destinatari sono soggetti adulti e mal si adatta alla peculiarità dell’intervento penale minorile e, soprattutto mal si raccorda con gli istituti del processo minorile che prevedono le varie possibilità di evitare la carcerazione. L’art. 79 dell’Ordinamento Penitenziario recita: “Le norme della presente legge si applicano anche nei confronti dei minori degli anni diciotto sottoposti a misure penali, fino a quando non sarà provveduto
I minori detenuti
L’Ordinamento Penitenziario minorile: le inerzie del legislatore
con apposita legge". Questa norma ha dichiaratamente carattere transitorio e lascia intravedere una volontà legislativa di regolare la materia per i minori attraverso criteri di specialità. La norma contenuta nell’art. 79 fu inserita nell’ordinamento penitenziario alla fine dell’iter parlamentare per evitare che una volta abrogato il vecchio regolamento si verificasse una lacuna all’interno dell’ordinamento, risultando impossibile varare contemporaneamente una riforma complessiva del settore minorile per la quale era stato predisposto un apposito disegno di legge. L’art. 79 dell’Ordinamento Penitenziario è dunque una disposizione chiaramente transitoria a cui però non ha fatto seguito, da oltre 40 anni, un’attività legislativa volta a regolare in maniera specifica il settore dell’Ordinamento Penitenziario
minorile. La materia resta quindi regolata fondamentalmente dalla legge 354/1975 con qualche modesta deroga contenuta nel regolamento d’esecuzione modificato con il D.P.R. 230/2000 in materia di vestiario, alimentazione, accompagnamento al lavoro all’esterno e attività sportive. F
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Ciro Borrelli Dirigente Sappe Scuole e Formazione Minori borrelli@sappe.it
Nelle foto: il Dipartimento Giustizia Minorile e di Comunità di Roma
DIRITTO E DIRITTI
Giovanni Passaro Vice Segretario Regionale Lazio passaro@sappe.it
Dal fascismo alla Costituzione italiana: la nascita del carcere moderno
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Nella foto: Tribunale speciale fascista
on il nuovo secolo, un nuovo capitolo nella storia italiana del carcere si stava aprendo, nonché una nuova concezione per l’intero sistema del diritto penale. Si aprì la strada al “carcere duro”. Si ritorna al principio dell’afflittività della pena e dell’esclusione di qualsiasi mezzo educativo. La pena, quale mezzo di difesa della società lesa nel diritto, ritorna ad adempiere la sua “normale” funzione intimidatrice ed emendatrice.
La grande rivoluzione posta in essere dal Codice Rocco fu lo spostare l’attenzione non solo sul crimine in generale ma anche sul criminale, e interrompendo l’impossibile compromesso tra la scuola positiva e quella classica, introdusse le misure di sicurezza detentive, in aggiunta o in sostituzione della pena (il c.d. sistema del doppio binario). Il nuovo codice rispondeva alla filosofia fascista; enunciava l’emenda della pena come principio generale
religiose, definiti come punti cardini per il miglioramento dello spirito umano. Miglioramento che contrapponeva però, l’ostacolare qualsiasi azione che mantenesse integra la personalità al detenuto (infatti era proibito chiamare un detenuto con il proprio cognome ma solo con il rispettivo numero di matricola) e mantenendo, l’isolamento continuo, l’obbligo del silenzio e i vecchi sistemi punitivi della cintura di sicurezza.
Questo è lo scenario in cui le nuove normative e riforme si conformarono all’ideologia fascista. Tre furono gli interventi di portata storica: la Direzione Generale e dei Riformatori divenne, con il Regio Decreto del 5 aprile del 1928 n. 828, la Direzione Generale per gli Istituti di Prevenzione e di Pena; il nuovo Codice Penale del 1930, detto anche Codice Rocco, dal nome del guardasigilli dell’epoca, e il nuovo regolamento per gli istituti di prevenzione e pena, emanato dallo stesso Alfredo Rocco con il regio decreto del 18 giugno del 1931, n. 787.
occupando però un posto in secondo piano rispetto alla funzione intimidatrice della stessa. Il nuovo regolamento non poteva che non adeguarsi alla filosofia del codice; si elaborarono quindi un insieme di norme regolatrici della vita carceraria che emendassero il reo senza perdere però il carattere afflittivo e intimidatore a cui per natura il castigo doveva rispondere. Per rispondere a tutte le finalità a cui la pena tendeva, il regolamento carcerario del 1931 si costruì su tre pilastri fondamentali: il lavoro, l’istruzione civile e le pratiche
Il lavoro rispondeva alla duplice funzione di soddisfare le esigenze interne agli stabilimenti carcerari e soddisfare le richieste della pubblica amministrazione nonché quelle militari. Si approvò “La carta del lavoro carcerario” per evitare lo sfruttamento della forza-lavoro da parte dei privati e obbligare le pubbliche amministrazioni a commissionare parte delle loro richieste alle lavorazioni carcerarie. Il regolamento del 1931 distingueva le carceri giudiziarie in tre suddivisioni: i carceri di custodia preventiva (che
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DIRITTO E DIRITTI racchiudeva coloro che dovevano ancora essere processati), i carceri per l’esecuzione della pena ordinaria e quelli per l’esecuzione della pena speciale. Come il vecchio regolamento carcerario, anche quello del 1931 prevedeva un sistema di penalità e di premi: erano vietati, quindi puniti, i reclami collettivi, il riposo sulla branda non giustificato, il possesso di giornali a sfondo politico, il rifiuto a presentarsi alle funzioni religiose e la lettura, inoltre era obbligatorio l’uso della divisa. Quanto alle concessioni, erano sostanzialmente limitate alla possibilità di aderire al lavoro in carcere. Il carcere diventò la rappresentazione della società fascista, e restò tale anche a seguito della liberazione dell’Italia dal nazi-fascismo. Difatti il dopoguerra si caratterizzò per l’assoluta lentezza nell’affrontare le problematiche penitenziarie. L’isolamento e l’emarginazione dei detenuti continuarono a costituire i principi fondamentali che reggevano le istituzioni penitenziarie; molteplici furono i tentativi di riformare il regolamento carcerario allora vigente, ma le pessime condizioni di vita all’interno delle stesse e la delusione della speranza di un cambiamento dopo la liberazione, portarono solo a numerose rivolte all’interno delle carceri. L’apice dei risultati ottenuti fu rappresentato solo dall’eliminazione delle disposizioni manifestamente autoritarie e afflittive. La svolta storica in materia la si ottenne però quando l’Italia si dotò di una Costituzione, fornendo un concreto punto di partenza per ristrutturare l’intero edificio penitenziario. Il dettato normativo stabilì definitivamente il fine ultimo della pena: la rieducazione, e spingendosi oltre dichiarò il principio di “umanizzazione” della pena stessa, come fedelmente recita l’art. 27, c. 3: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.
Si tratta del principio costituzionale più importante in materia penitenziaria, che spinse la scienza penitenziaria a riadattare le disposizioni del regolamento del 1931 non solo perché non più congeniali al periodo storico, quanto per l’inadeguatezza delle stesse rispetto alla portata dell’ art. 27 della Costituzione; principio che sottende non più la rieducazione quale emenda morale del reo o pentimento spirituale attuabile mediante qualsiasi pena e in qualsiasi condizione carceraria, ma intesa quale recupero sociale del condannato, allo scopo di riattivare in lui i valori fondamentali perduti con il reato. Considerato che ormai non aveva più giustificazione la rigida disciplina del regolamento Rocco, le commissioni parlamentari iniziarono a proporre un’impostazione più liberale della disciplina che regolava la vita dei condannati, partendo dal richiedere un uso limitato dell’isolamento diurno e proseguendo con l’abolizione delle modalità disciplinari più restrittive: fu abolito l’obbligatorio taglio dei capelli e dell’uniforme, venne abolita la necessaria presenza ravvicinata degli agenti durante i colloqui del detenuto con i propri congiunti e furono intensificati i corsi d’istruzione. Questi piccoli cambiamenti portarono a un’ondata di riforme mosse soprattutto dal continuo innescarsi di rivolte da parte dei detenuti che rivendicavano un totale adeguamento del trattamento penitenziario alla nuova giustizia penale lanciata dalla Costituzione. Il ritratto normativo più importante a cui si arrivò fu quello posto in essere dalla Legge 26 luglio 1975, n. 354 contenente le nuove “Norme sull’Ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure preventive e limitative della libertà”. Con questa nuova legge l’edificio penitenziario arrivò definitivamente a dotarsi di una disciplina organica, non più limitata al solo carattere amministrativo della materia, ma rispondente in “toto” ai nuovi principi costituzionali. Attualmente quest’ultima costituisce la fonte per eccellenza dell’ordinamento penitenziario. F
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IUS/01
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IUS/19
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LO SPORT
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Scherma: Federico Vismara oro ai Mondiali juniores di Plovdiv in Bulgaria
D
opo il recente doppio argento agli europei giovanili è arrivato anche l'oro per Federico Vismara ai Campionati del Mondo Cadetti e Giovani di Plovdiv (Bulgaria 4-10 aprile). Il gradino più alto del podio ha premiato il portacolori della Polizia Penitenziaria nell'ultima giornata di gara della rassegna iridata giovanile dedicata alla competizione a squadre
Nei primi turni del tabellone ad eliminazione diretta, la squadra italiana aveva vinto contro il Cile per 45-26, e contro Israele per 45-35. Il successo del gruppo under20 del ct Sandro Cuomo si completa anche con la vittoria della Coppa del Mondo di specialità. La spedizione azzurra ha chiuso con 2 titoli, cinque medaglie d'argento e cinque di bronzo.
(64: bye), 32: V/Cile 45-26, Jorge Valderrama 5-2, 16: V/Israele 45-35, Adi Gutman 4-5, Jacob Pizenberg 3-4, Stanislav Galper 5-1, QF: V/Russia 4140, Oleg Knysh 4-4, Yegor Guzhiev 0-0, Georgiy Bruev 10-7, SF: V/Ungheria 43-42, Patrik Esztergalyos 3-5, Mate Tamas Koch 3-2, Gergely Siklosi 1211, F: V/Polonia 45-32, Damian Michalak 4-5, Wojciech Lubieniecki 54, Maciej Bielec 5-6).
Pentathlon: al Cairo bronzo in Coppa del Mondo per Alice Sotero
Nelle foto: sopra la squadra di spada vincitrice della medaglia d’oro (da sininistra Buzzacchino, Cuomo, Vismara e Martini) al centro un esultante Federico Vismara a destra Alice Sotero Nell’altra pagina: Alice Sotero in una prova di equitazione, di scherma e in compagnia della collega Gloria Tocchi
di spada, compensando l'amara sconfitta dell'individuale, rimediata ad opera del connazionale Valerio Cuomo in apertura della kermesse mondiale. Al nostro atleta il merito di aver deciso, sul fil di lana e di misura, tutti gli scontri più ostici: sua la stoccata del 41-40 il match dei quarti di finale contro la Russia, con il punto decisivo messo a segno proprio da Vismara nel minuto supplementare. La squadra italiana si è ripetuta anche in semifinale con il successo contro l'Ungheria col punteggio di 43-42, sempre siglato dal giovane rappresentante delle Fiamme Azzurre. In finale, poca storia, vinto nettamente col punteggio di 45-32 lo scontro contro la Polonia. Si conferma così, per il settore giovanile, il titolo iridato conquistato lo scorso anno a Bourges.
Il quartetto azzurro era composto tra l'altro da Valerio Cuomo, Gianpaolo Buzzacchino e Cosimo Martini. PLOVDIV (4/10 aprile) Campionati Mondiali juniores di scherma – spada Maschile: (1) Yegor Guzhiev RUS, (2) Valerio Cuomo ITA, (3) Cosimo Martini ITA e Gergely Siklosi HUN, (8) FEDERICO VISMARA (Q/4V-2S, 256: bye, 128: V/Emil Thewanger AUT 15-11, 64: V/Clement Dorigo FRA 1511, 32: V/Romain Cannone FRA 15-9, 16: V/Linus Islas Flygare SWE 15-10, QF: S/Valerio Cuomo ITA 11-15); spada a squadre Maschile: (1) Italia/Valerio CuomoFEDERICO VISMARA-Cosimo Martini-Gian Paolo Buzzacchino
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a seconda tappa della Coppa del Mondo di pentathlon moderno al Cairo (22/26 marzo) ha visto l’Italia targata Fiamme Azzurre come protagonista in campo femminile. Ottimi risultati sono arrivati infatti da Alice Sotero e Gloria Tocchi, rispettivamente terza e quarta, e protagoniste di un duello molto emozionante nel laser run, nella gara dominata dalla britannica Kate French, davanti alla turca Ilke Ozyuksel. Una prestazione molto convincente per le rappresentanti azzurre, con Alice Sotero addirittura strepitosa nel nuoto. Le due portacolori della Polizia Penitenziaria avevano già ben figurato già nella prima prova di World Cup 2017 a Los Angeles. Alice Sotero ha conquistato il bronzo
SEGRETERIE
LO SPORT con 1.313 punti al termine di una gara che l’ha vista protagonista sin dalla prima prova, seguita sempre dalla compagna italiana Gloria Tocchi che ha chiuso al 4° posto dopo un testa a testa con la stessa Alice Sotero durato fino all’ultimo giro del laser run. La soddisfazione è grande per l'astigiana venticinquenne delle Fiamme Azzurre che ha conquistato la prima medaglia della sua carriera a livello assoluto, ottenuta dopo due anni di lotta sportiva di alto profilo. Ottima gara anche per l’azzurra Gloria Tocchi in rimonta dopo essere partita addirittura dal 25° posto dopo la prima prova, risalendo posizioni di classifica prova dopo prova, fino a sfiorare l'impresa nel laser run, in cui a poche centinaia di metri dall’arrivo è
stata superata da Alice Sotero, chiudendo al 4° posto con 1.306 punti. Insomma un derby tutto in casa Fiamme Azzurre quello tra la medaglia di bronzo e quella "di legno". La gara, come anticipato, è stata vinta dalla britannica Kate French con 1.356 punti, secondo posto per la turca Ilke Ozyukselcon 1.326 punti. La terza tappa di Coppa del Mondo è invece in programma a Kecskemet, in Ungheria, dal 4 all’8 maggio. Guardando al dettaglio delle singole prove: Alice Sotero ha chiuso la prova di nuoto al 4° posto in 2:12.69, conquistando 285 punti. Il round robin di scherma ha visto l’azzurra ottenere 244 punti (24v11s), grazie ai quali è salita al 2° posto con 529 punti, e nel bonus round ha chiuso a zero.
Nell’equitazione ha conquistato 286 punti, confermandosi al 2° posto con il punteggio di 815. Infine il laser run, dove l’atleta delle Fiamme Azzurre ha chiuso in 13:22.02 e 498 punti, scendendo al 3° posto. Gloria Tocchi ha chiuso la prova di nuoto al 25° posto in 2:22.80 ottenendo 265 punti. Nel round robin di scherma l’azzurra conquista 232 punti (22v-13s), grazie ai quali è risalita al 6° posto con 497 punti totali, e nel bonus round ha chiuso con 1 punto. Nell’equitazione ha centrato il netto, 300 punti, risalendo al 5° posto con 798 punti. Infine il laser run, dove ha chiuso in 13:12.88 (508 punti) e conquistato il 4° posto finale.
IL CAIRO (22/26 marzo) Coppa del Mondo di Pentathlon Moderno, 2ª prova – donne: 1) Kate French GBR 1356, (2) Ilke Ozyuksel TUR 1326, (3) ALICE SOTERO 1313 (244+2/24V-11S, 285/2’12”69, 286/17^, 498/13’22”02) - 5QB 987 (250/18V-7S, 287/2’11”83, 450/14’10”89), (4) GLORIA TOCCHI 1306 (233/22V-13S, 265/2’22”80, 300/3^, 508/13’12”88) – 13QB 971 (258/19V-6S, 263/2’23”87, 450/14’10”00), (5) Sarolta Kovacs HUN 1301, (6) Julie Belhamri FRA 1299. F
Teramo Il Reparto detentivo femminile della Casa Circondariale
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l Reparto detentivo femminile della Casa Circondariale di Teramo a seguito delle ultime assegnazioni di detenute "ribelli" e "ingestibili", già note a tutti gli istituti del distretto è diventato esplosivo. Ad oggi nel Reparto detentivo femminile sono presenti, in due distinte semi-sezioni a regime perimetrale aperto, 42 detenute a fronte delle 22 consentite (sic!),
quindi con un sovraffollamento di quasi il 100% e ben 13 di queste sono sottoposte al divieto d'incontro tra loro perche litigiose e insofferenti al regime detentivo. A ciò occorre aggiungere la gravissima carenza di personale femminile pari a 9 unità (il 25% dell'organico stabilito in 36 unità con il P.C.D. 27 giugno 2014). Delle 27 unità presenti molte sono prossime alla pensione o titolari di assistenza Legge 104/92 e maternità, che ancor di più acuisce la già caotica organizzazione dovuta alla gestione di un numero sproporzionato di detenute “ingestibili”. Nonostante tutto, tale recluse, seppur gravate da numerosi comportamenti contrari al Regolamento penitenziario, rimangono stanziate a Teramo (!) Solo la professionalita e lo spirito di abnegazione delle donne della Polizia Penitenziaria, sotto organico e stressate da turni massacranti, ha finora limitato conseguenze ancora più tragiche. F
Polizia Penitenziaria n.249 • aprile 2017 • 17
Nella foto: il casrcere di Castrogno (Teramo)
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DALLE SEGRETERIE Lecce
Norcia
Manifestazione del Sappe
Una raccolta fondi devoluta alle scuole
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l 27 aprile si è tenuta una manifestazione di protesta davanti all’istituto di Lecce. Nonostante la cronica carenza di personale, l’Amministrazione intende aprire una sezione psichiatrica e il vecchio carcere minorile. F
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er iniziativa dei Funzionari degli istituti di Firenze, Livorno, Lucca e Pistoia è partita, alla fine di gennaio scorso , una raccolta di fondi che ha mobilitato tutto il personale di Polizia Penitenziaria. Raccolti più di duemila euro. Una delegazione del Corpo, ottenuto il placet del DAP, ha raggiunto Norcia dove, tra i mezzi di soccorso delle varie forze di Polizia, è sfilato anche il mezzo della Polizia Penitenziaria che ha portato, oltre alla solidarietà di tutto il personale della regione, una importante donazione alle scuole riunite "Battaglia-De Gasperi".
Teramo Traduzione in ambulanza
I Nelle foto: alcuni momenti della protesta a Lecce
l 31 marzo è stata approntata una traduzione di un detenuto "AS" dalla CC Teramo alla CC di Reggio Calabria per oltre 800 km con un nuovo veicolo "ambulanza" del Corpo (sic!). Come si può ben vedere dalla foto pubblicata, l'interno del veicolo è simile a quello di un'ambulanza, lettino per il detenuto e due sedie per il personale di scorta. All'interno dei veicolo oltre al personale di scorta e detenuto, saranno ammassati i bagagli
18 • Polizia Penitenziaria n.249 • aprile 2017
Qui centinaia di ragazzi sono costretti ad alternarsi in un container per non perdere l'anno scolastico, e i tablet elettronici donati dal gruppo specificatamente richiesti dalla preside - serviranno a seguire i programmi didattici anche nei lunghi intervalli di inattività forzata. Prima e dopo la consegna ufficiale alla Preside dott.ssa Rossella Tonti, il personale docente e non docente della scuola ha raccontato le proprie esperienze drammatiche dei giorni delle scosse più devastanti. Gli effetti sono evidenti nelle mura e negli edifici della città, dove le attività stanno lentamente ricominciando in una parvenza di normalità. Più di un passante, alla vista del personale di Polizia Penitenziaria in uniforme, si è avvicinato incuriosito per informarsi. Una spontanea simpatia reciproca è "scoppiata" tra i colleghi della delegazione e la gente del posto. F
personali del detenuto e del personale di scorta tutto assieme (sic!) ...con quale sicurezza per il personale e la traduzione? ...dal momento che tra i quattro componenti della scorta vi è anche uno di sesso femminile? F
SEGRETERIE Roma XVII Consiglio Regionale del Lazio
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ella giornata dell'11 aprile 2017, si è svolto presso l'Aula Blu della S.F.A.P.P. "Giovanni Falcone", il XVII Consiglio Regionale del Lazio del SAPPe. Presenti, per l'occasione, il Segretario Generale Donato Capece, il Segretario Generale Aggiunto Giovanni Battista de Blasis, il Segretario Generale Aggiunto Umberto Vitale, il Segretario Nazionale e Regionale del Lazio Maurizio Somma unitamente ai Delegati Sindacali del Lazio. Presenti, altresì, i rappresentanti dell'Euroqcs Finanziamenti, in convenzione con il SAPPe. Alle 10,45 il Segretario Nazionale e Regionale del Lazio Maurizio Somma, con grande entusiasmo ha salutato e ringraziato tutti i presenti. Altresì, nell'occasione ha ringraziato la dott.ssa Laura Brancato ed il Commissario Salvatore Mariano, rispettivamente Direttore e Comandante di Reparto della S.F.A.P.P. "Giovanni Falcone" i quali, anche quest'anno, si sono resi pienamente disponibili ad ospitare i lavori del Consiglio Regionale. L'apertura dei lavori ha avuto inizio con l'Inno Nazionale italiano al quale, successivamente,è seguito l'Inno del SAPPe, mentre tutti i partecipanti si sono alzati in piedi. Terminato l'ascolto, sono stati proiettate sullo schermo le slide con il numero degli iscritti sia per Regione che per Sede così che ciascuno dei Delegati potesse meglio apprendere i propri risultati. Il Segretario Nazionale e Regionale del Lazio, Maurizio Somma, ha ringraziato i Delegati, ciascuno per l'impegno durante il fare sindacato nel quotidiano, ognuno presso la propria sede. Certo, ci sono delle difficoltà, ma il SAPPe in questo non deve mai demordere anzi tutt'altro deve sempre riuscire a trovare la giusta forza per risolvere ogni problema che, di volta in volta, si presenta e che affligge il collega nonché nostro iscritto. Con particolare spirito motivazionale il Segretario Nazionale e Regionale
Maurizio Somma, ha ricordato a ciascun Delegato come bisogna essere sempre uniti e raggiungere gli obiettivi che s'intendono realizzare, ricordando a tutti la locuzione latina che sempre riporta il Segretario Generale Donato Capece, ovvero: "gutta cavat lapidem" che, tradotta letteralmente, significa la goccia perfora la pietra. E, proprio come questa goccia, ciascun rappresentante del SAPPe deve perseverare così da riuscire nel proprio intento, in ausilio del collega poliziotto penitenziario. Come un fiume in piena, come d'altronde è la sua natura, prezioso è stato l'intervento del Segretario Generale Donato Capece. Intervento carico di argomenti attuali quali il Riordino delle Carriere; il Bonus degli 80 euro e gli arretrati che arriveranno nel mese di aprile; le nuove assunzioni nel ruolo agenti-assistenti sia per gli idonei non vincitori che per il nuovo concorso in atto per chi ha prestato servizio nell'esercito e per i prossimi concorsi a venire, aperti a tutti senza distinzioni di sorta; le piante organiche per le sedi extramoenia e poi, successivamente, la discussione sulle piante organiche degli istituti penitenziari. Il Segretario Generale Donato Capece, con la sua passione nel fare sindacato riesce sempre a raggiungere il cuore di tutti i partecipanti, grande è la stima nei suoi confronti per l'importante impegno che da anni porta avanti per il Corpo di Polizia Penitenziaria. Il SAPPe, un Sindacato con la "S" maiuscola che riesce a far provare le emozioni di chi crede davvero nella politica del fare "Sindacato Sano". Il SAPPe, conosce sul serio l'importante ruolo del poliziotto penitenziario, crede fortemente
nell'importanza di questo Corpo e per nessun motivo si gonfia di sole parole bensì cerca sempre di concretizzarle nei fatti. D'altronde motto di sempre di questo sindacato é: "Res non Verba" ovvero "Fatti non parole". Ad ogni modo, anche questa giornata del XVII Consiglio Regionale del Lazio SAPPe è riuscita a lasciare la propria impronta. Il sindacato vero emoziona sempre. Come in tutte le cose, per comprenderne il vero significato, bisogna mettersi in gioco: vestire il ruolo da sindacalista che non é certo facile ma, quando si riesce a lavorare ogni giorno per ascoltare ed aiutare il collega, si capisce davvero che fare sindacato nel modo corretto è quanto di più eccezionale, per il semplice motivo che l'unico obiettivo è tutelare e rappresentare il collega! Fare sindacato, significa allo stesso
tempo impegnarsi per garantire i diritti del poliziotto penitenziario e per crescere, nel tempo, come Corpo di polizia. E, anche quando tutto sembra difficile, non bisogna mai arrendersi: gli uomini e le donne della Polizia Penitenziaria hanno una marcia in più, il SAPPe lo ripete ogni giorno, ecco perché pretende sempre il meglio! W il SAPPe, W la Polizia Penitenziaria! F
Polizia Penitenziaria n.249 • aprile 2017 • 19
SEGRETERIE Torino Il XX Consiglio della Regione Piemonte
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l 6 aprile si è tenuto il Consiglio Regionale del Piemonte del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, nello splendido scenario del lago di Avigliana. Il Consiglio è stato organizzato dal Segretario Regionale dott. Vicente Santilli in collaborazione con il Segretario Nazionale Nicola Sette. È intervenuto al Consiglio Regionale Piemonte il Segretario Generale del Sappe dott. Donato Capece e il dott. Domenico Ravetti Presidente della Commissione Sanità della Regione Piemonte. Le tematiche affrontate sono state: riordino delle carriere, riparametrazione, contratto e carenza di personale di Polizia Penitenziaria. Al Consiglio tanti sono stati i punti di discussione da parte di tutti i delegati sindacali della Regione. F
Nelle foto: a fianco Nicola Sette, Donato Capece e Vicente Santilli
SARA RISPONDE...
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Scrutatore di seggio elettorale: è possibile?
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uongiorno Agente Sara, da sempre prima di arruolarmi nel Corpo della Polizia Penitenziaria ho svolto le funzioni di scrutatore di seggio elettorale. La mia domanda è: "adesso che faccio parte di questo Corpo, posso presentarmi ugualmente oppure ci sono delle limitazioni per gli appartenenti alle Forze di polizia?". Ti ringrazio. Agente Mario.
Buongiorno Agente Mario, per rispondere alla tua domanda ti richiamo la circolare n. 055158/1.1. dell'8 febbraio 2000, la quale, al punto 5) afferma che il personale del Corpo di Polizia Penitenziaria non può svolgere funzioni di Presidente, di Segretario, né di scrutatore di seggio elettorale, come già specificato nella lettera circolare n. 2199/90/bs del 1 settembre 1995. Inoltre a maggior ragione il personale in parola non può ricoprire l'incarico di rappresentante di lista in occasione delle consultazioni elettorali, in ossequio ai principi indicati dall'articolo 81 della legge 1 aprile 1981 n. 121, che al primo comma sancisce che gli appartenenti alle forze di polizia debbono in ogni circostanza (fatta salva, ovviamente, l'ipotesi della candidatura, con le modalità di cui si è fatto cenno sopra) mantenersi al di fuori delle competizioni politiche e non possono assumere comportamenti che compromettano l'assoluta imparzialità delle loro funzioni, e pone il divieto di svolgere propaganda a favore o contro partiti, associazioni, organizzazioni politiche o singoli candidati. Agente Sara
sotto i Quadri del Sappe e i partecipanti al Consiglio Regionale
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MONDO PENITENZIARIO
di Giovanni Passaro passaro@sappe.it
Corso di formazione per istruttori di addestramento formale a Sulmona
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i è concluso il Corso di Formazione, in tre edizioni, della durata complessiva di tre settimane, per qualificare Istruttori del Corpo per l’addestramento formale, al fine di soddisfare le necessità addestrative degli Allievi durante i Corsi per l’immissione in ruolo e corrispondere alle esigenze di rappresentanza del Corpo a livello centrale e territoriale in occasione di particolari ricorrenze o eventi, nonché incontri di carattere ufficiale e partecipazione ad analoghe iniziative da parte di altre Amministrazioni o Enti. L’istruzione formale, anche se non può essere più intesa nella sua accezione originale, conserva gli scopi iniziali, per cui mantiene ancora il suo carattere formativo e disciplinare. Essa, infatti, tende a conferire ai singoli ed ai Reparti un’impronta spiccatamente militare, caratterizzata da portamento marziale, scioltezza, coordinamento ed uniformità di movimenti, per realizzare, oltre che una educazione del fisico, una autentica educazione dello spirito, affinché non sia semplice modo di apparire, ma fedele espressione del modo di essere. L’iniziativa è stata svolta, tra febbraio e aprile, nella splendida cornice dell’Istituto di Istruzione di Sulmona, la cui Scuola, operativa dal 1992, è inserita in un impareggiabile scenario storico e naturalistico. L’intera area è sovrastata dalle scalee del tempio italico dedicato ad Ercole Curino, sormontata dall’Eremo di Sant’Onofrio, in cui trascorse ampia parte della propria esistenza Fra Pietro del Morrone che, nelle spoglie celle ricavate nella roccia, ivi accettò la nomina al soglio pontificio il 4 Luglio 1294, assumendo la carica con il nome di Celestino V.
In posizione limitrofa è ancora visibile la Base logistica di Fonte d’Amore, mutuata da un pregresso Campo di Concentramento insediato per i due conflitti mondiali e che, in occasione del Secondo, divenne noto come Aussie Camp (Il Campo degli Australiani). Il Corso ha avuto un carattere tecnico/pratico in quanto, oltre alle lezioni teoriche, finalizzate all’acquisizione della normativa di riferimento, sono state svolte simulazioni ed esercitazioni. L’insieme di queste attività è stato possibile in forza dell’efficienza e del clima accogliente, apprezzato dai partecipanti, che da sempre distingue Sulmona tra tutte le Scuole del Corpo. E’ doveroso, pertanto, rivolgere un sentito complimento ai coordinatori del Corso, Comm. Roberto Rovello e Sost. Comm. Giuseppe Ninu, Sost. Comm. Goffredo Tammaro, Sost. Comm. Francesco Tarallo, Sost. Comm. Antonio Paglialunga, Isp. Capo Giacomo Lombardo, Isp. Capo Francesco Magliozzi, Sovr. Raffaele Ciccarelli, Sovr. Vincenzo Giordano, Ass. Capo Francesco Anello, Ass. Capo Giovanni Calvano, Ass. Capo Antonio Di Geronimo Ass. Capo Giuseppe Veneziano. F
Polizia Penitenziaria n.249 • aprile 2017 • 21
Nelle foto: istruttori e allievi del Corso di formazione per l’addestramento formale tenutosi presso al Scuola di Formazione di Sulmona (AQ)
a cura di Giovanni Battista de Blasis
CINEMA DIETRO LE SBARRE
Son of a gun
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Nelle foto: la locandina e alcune scene del film
mbientato in Australia, Son of a gun racconta la storia del diciannovenne JR, che finisce in prigione per un piccolo reato ma si trova, da subito, a fare i conti con la durezza della vita della galera. La prigione, infatti, è tanto moderna dal punto di vista architettonico quanto 'antica' nelle dinamiche di sopraffazione secondo la legge del più forte. Per sopravvivere in queste condizioni JR si consegna alla protezione di Brendan Lynch, un famoso rapinatore, che non agisce per generosità, ma pretenderà dal ragazzo un aiuto per evadere. Uscito dal carcere, infatti, JR aiuta Brendan ad evadere. Il suo coinvolgimento con il criminale, però, non finirà qui perché JR sarà anche costretto a partecipare ad una rapina ad alto rischio, finalizzata a rubare oro direttamente da una miniera.
Nella banda di Brendan, JR conosce Tasha, una giovane ragazza esibita come un trofeo dal boss, della quale si innamora e che cambierà radicalmente il suo futuro. Il mandante della rapina, però, tradisce Linch e la sua banda e costringe i due alla fuga, disperatamente alla ricerca di vendetta e al recupero dell’oro ma anche, per JR, alla ritrovamento della ragazza di cui si è innamorato. Inevitabilmente, quando le cose iniziano a precipitare, inizia anche un gioco mortale tra gatto e topo. All’improvviso JR non sarà più sicuro di chi può fidarsi e di chi no, e si ritroverà, suo malgrado, in collisione con quello che credeva suo amico e protettore. Imparerà, così, che nel mondo criminale, la vita è come un gioco di scacchi nel quale devi rimanere sempre qualche mossa davanti al tuo avversario. Non a caso, infatti, il titolo del film strizza l’occhio a "Son of sorrow", figlio del dolore, come fu soprannominata la clamorosa apertura di Bobby Fisher in un torneo a scacchi internazionale. F
22 • Polizia Penitenziaria n.249 • aprile 2017
la scheda del film Regia: Julius Avery Soggetto: John Collee Sceneggiatura: Julius Avery, John Collee Fotografia: Nigel Bluck Montaggio: Jack Hutchings Musica: Jed Kurzel Scenografia: Fiona Crombie Costumi: Terri Lamera Effetti speciali: Peter Stubbs, Mark Holman Harris Produzione: Southern Light Films, Media House Capital , Altitude Film Entertaintment, in associazione con Bridle Path Films, WBMC Distribuzione: Eagle Pictures Personaggi e interpreti: JR White: Brenton Thwaites Brendan Lynch: Ewan McGregor Guardie: Brendan Kerkvliet, Matt Flannagan, Geoff Kelso, Peter Neaves Sterlo: Matt Nable Merv: Eddie Baroo Compagno di cella JR: Kazimir Sas Dave: Sam Hutchin Amici di Dave: Craig Sparrowhawk, Jared De' Har Sam Lennox: Jacek Koman Josh: Tom Budge Ken: Marko Jovanovic Mitch: Ivan Lightbody Tommy: Soa Palelei Andy: Lucas Brown Tasha: Alicia Vikander Wilson: Damon Herriman Genere: Azione, Drammatico Durata: 108 minuti, Origine: Australia 2014
WEB E DINTORNI
La Cassazione equipara le Vittime del Dovere alle Vittime del terrorismo e della criminalità
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na sentenza storica, la n. 7761/2017, quella che la Corte di Cassazione a Sezioni Unite Civili ha emesso nei giorni scorsi, con cui ha definitivamente affermato il seguente principio di diritto: “L’ammontare dell’assegno vitalizio mensile previsto in favore delle vittime del dovere e dei soggetti ad essi equiparati è uguale a quello dell’analogo assegno attribuibile alle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata”. Con questa Sentenza le Vittime del Dovere e i soggetti equiparati vedono riconosciuta, dalle Sezioni Unite, la tesi secondo cui l’assegno vitalizio a loro attribuito debba essere erogato nella misura economica di Euro 500,00, ovverosia nella stesso valore economico attribuito alle Vittime del terrorismo e della criminalità organizzata; ciò in ragione di un’interpretazione conforme al principio di equità e razionalità di cui all’art. 3 della nostra Costituzione. Ad onor del vero la distinzione interpretativa, sino ad oggi sostenuta strenuamente dalle Amministrazioni, faceva apparire alcune categorie di vittime più nobili e meritevoli di considerazione; differenza che, oggi, a seguito della Sentenza citata, non ha più motivo di esistere dal punto di vista giuridico. I tragici fatti si sangue che hanno contraddistinto la vita politica e sociale della nostra Repubblica negli ultimi decenni, hanno chiesto un alto tributo a quei cittadini “colpevoli” di essere vedove e figli di un familiare che ha pagato con la vita l’adempimento al proprio Dovere. Il Corpo di Polizia Penitenziaria ha numerose Vittime del Dovere tra i propri ranghi. Ricordiamo per esempio: Giuseppe Montalto, Gennaro De Angelis,
Francesco Rucci, Lugi Bodenza, Ignazio De Florio e tanti altri la cui memoria ci impegniamo a preservare anche da queste pagine. Un primo riconoscimento nel 2013 è arrivato quando, adito il Consiglio di Stato, nell’interesse di due soci e in sede di ottemperanza a sentenza del giudice ordinario che aveva attribuito l’assegno in 500,00 euro, è stato riconosciuto il principio secondo cui a tutte le Vittime del Dovere spetta l’importo elevato dalla Legge 350 del 2003.
Il principio è stato poi recepito anche dal Giudice Ordinario e la primissima sentenza in merito risale al maggio 2014. L’ultimo tassello è stato posto poi dalla recentissima sentenza della Corte d’Appello di Milano che ha visto vittoriose due famiglie associate. In seguito, molte sentenze, in primo e secondo grado, confermavano le tesi dell’Avvocato Andrea Bava e oggi tale corretta interpretazione è stata confermata anche dalla suprema Corte di Cassazione. Il risultato è stato ottenuto grazie
all’impegno dell’Avvocato Andrea Bava, Socio Onorario dell’Associazione Vittime del Dovere, il quale è riuscito, innanzi la Suprema Corte, ad ottenere un risultato senza precedenti che segue, a breve distanza di tempo, le sentenze della Corte di Cassazione a Sezioni Unite del novembre 2016 n.23300 e n. 23396 relative alla conferma della Giurisdizione del Giudice ordinario, in funzione di Giudice del Lavoro, per la materia delle Vittime del Dovere. Il Presidente dell’Associazione Vittime del Dovere Onlus ha dichiarato: “Queste tappe e questi traguardi raggiunti siamo lieti che vengano presi come riferimento da altre vittime, da altri legali o da altre associazioni al fine di garantire la tutela dei diritti delle, purtroppo, numerose Vittime del Dovere. Inoltre speriamo che tale risultato porti finalmente le Amministrazioni competenti a riconoscere ciò che fino ad oggi l’Associazione ha chiesto in ogni sede, anche in quella parlamentare con proposte di legge, emendamenti, ordini del giorno, interrogazioni parlamentari, convegni e conferenze stampa, ovverosia il giusto riconoscimento in via amministrativa di un beneficio che attualmente, date le numerose cause in corso, comporta solo un aggravio di costi per lo Stato e di conseguenza per tutta la collettività.” Ci uniamo alla soddisfazione dei Soci, familiari delle Vittime del Dovere, consapevoli che si sia risolta una importante materia resa ancora più delicata dal fatto di essere strettamente connessa al dolore personale vissuto dai singoli familiari e a fatti di sangue e sacrificio che hanno interessato la storia militare e civile del nostro Paese. F
Polizia Penitenziaria n.249 • aprile 2017 • 23
Federico Olivo Coordinatore area informatica del Sappe olivo@sappe.it
CRIMINI E CRIMINALI
Pasquale Salemme Segretario Nazionale del Sappe salemme@sappe.it
La mattanza delle donne anziane Q uattordici donne ammazzate, un suicidio, otto persone innocenti rinchiuse in carcere per anni. L’agghiacciante sequenza d’omicidi, posti in essere dal 1995 al 1997, tra la Puglia e la Basilicata farebbe di Ben Mohamed Ezzedine Sebai un serial killer unico nel suo genere.
Nella foto: sopra Mohames Ezzedine Sebai a destra donne anziane vestite di nero
E’ d’obbligo usare il condizionale, in quanto, seppur inizialmente condannato per soli quattro omicidi, per le restanti vittime furono inizialmente condannate altre persone e si scatenò un vero e proprio scontro tra I diversi magistrate che si erano occupati dei diversi processi. Le vittime predilette della mattanza erano tutte donne in età molto avanzata, rimaste sole e quasi sempre vestite di nero. Le vittime venivano uccise con le stesse modalità: accoltellate, a volte con solo fendente altre volte infierendo sulle donne con numerose coltellate. La successione delle morti, in buona parte avvenute in quell periodo, perlopiù lungo la costa ionica, è lunga e complessa: • Petronilla Vernetti, un'anziana donna di Melfi soffocata in casa l'8 luglio del 1995;
• Celeste Commesatti, di anni 73, uccisa a Palagiano, in provincia di Taranto, il 13 agosto del 1995; • Celeste Madonna, uccisa nell’aprile del 1996 a Lucera, in provincia di Foggia. La donna era nella propria abitazione quando vide entrare un uomo: le porte di case nei piccoli paesi erano solitamente aperte. Inizia a gridare, ma l’assassino, dapprima la immobilizza e poi le tappa la bocca con una mano, per poi colpirla con un coltello a serramanico alla gola. Prima di andare via, ruba i pochi soldi che trova su un mobile; • Garbetta Giuseppina, di anni 71, uccisa il 29 maggio del 1996 a San Ferdinando di Puglia, allora provincia di Foggia; • Anna Stano, uccisa il 9 agosto del 1996 a Ginosa, in provincia di Taranto; • Angela Sansone, di 84 anni, uccisa con sei coltellate alla gola e poi violentata, il 27 agosto del 1996 a Spinazzola, allora provincia di Bari; • Maria Todaro uccisa con una ferita da taglio alla gola, il 15 gennaio del 1997 a Cerignola in provincia di Foggia; • Grazia Montemurro, di 75 anni, uccisa il 4 aprile del 1997 a Massafra in provincia di Taranto; • Anna Maria Stella, maestra in pensione di 69 anni sgozzata nel suo appartamento il primo maggio del 1997 a Trinitapoli, allora provincia di Foggia; • Santa Leone, di anni 82, uccisa l’8 maggio del 1997 a Canosa; • Pasqua Rosa Ludovica, di anni 86, uccisa il 14 maggio del 1997 a Castellaneta; • Maria Valente, di anni 83, viene uccisa con ventiquattro colpi di coltello al corpo e alla gola, il 29 luglio del 1997 a Palagiano. La psicosi del serial killer si inizia a diffondere su tutta la costa ionica.
24 • Polizia Penitenziaria n.249 • aprile 2017
Gli investigatori iniziano a delineare anche un primo profilo dell’assassino seriale: opera solo il mercoledì e il giovedi e uccide solo donne che hanno nomi legati a suggestioni religiose, ma il particolare più rilevante e che la porta d’ingresso delle abitazioni delle vittime non viene mai forzata.
Inoltre, l’assassino lascia numerose tracce nelle case delle sue vittime, tra cui tracce di sangue, da cui ben presto gli inquirenti ne ricavano il DNA. Le forze di Polizia, intraprendono senza sosta una interminabile caccia all’uomo in tutta la regione pugliese. Il 21 agosto del 1997, a Laterza, in provincia di Taranto, l’ennesimo delitto, l'omicidio di Rosa Lucia Lapiscopia, di 90 anni e dopo circa un mese, era il 15 settembre 1997, finalmente la svolta. Il mostro colpisce ancora, questa volta a Palagianello, in provincia di Taranto. La vittima si chiama Lucia Nico, di 75 anni, l’anziana donna è malata e si fa aiutare nelle sue faccende domestica da una bambina che abita nelle vicinanze. Ed è proprio la bambina, che recatasi nel primo pomeriggio a casa della donna, trova nell’abitazione un uomo. La bambina pensa ad un ladro e
CRIMINI E CRIMINALI quindi scappa e chiede aiuto alla zia. Le due donne, tornate insieme nella case scorgono nuovamente l’uomo ed iniziano a gridare, attirando l’attenzione di altri vicini. L’uomo scappa e si dirige verso la locale stazione ferroviaria. Alcune persone, attirate dalle grida, entrano nell’abitazione dell’anziana e trovano Lucia morta, colpita da due coltellate, riversa in un lago di sangue nella camera da letto. Nel frattempo, i Carabinieri, avvisati di quanto accaduto, raggiungono la locale stazione ferroviaria. I militari della Compagnia di Castellaneta, individuano un uomo scuro di carnagione e straniero, che
alla vista degli operatori di polizia, cerca di scappare. I militari, tra i binari trovano anche un borsone bianco contenente un pantalone macchiato di sangue e più in là, nelle traversine, un coltello anch’esso insanguinato. Fermato e accompagnato in Caserma viene subito identificato in Ben Mohamed Ezzedine Sebai, nato il 15 ottobre del 1964 in Tunisia. Secondo di otto fratelli è un immigrato clandestino, di corporatura media e che parla discretamente in italiano e con diversi precedenti penali. Nel 1991 anni era stato espulso per tentato omicidio e violenza carnale in provincia di Bolzano (successivamente gli era stato intimato l'allontanamento anche dalle questure di Ancona e di Bari). Da Merano era fuggito, verso le Marche e poi sceso in Puglia. L’uomo si dichiara da subito
innocente, ma le prove a sue carico sono schiaccianti. Peraltro, nel corso della perquisizione presso la sua abitazione, in una casa diroccata del centro storico di Cerignola, vengono ritrovati una serie di oggetti appartenenti a Maria Todaro, la donna ammazzata nel gennaio del 1997 e ad Angela Sansone la donna uccisa nell’agosto del 1996, nonché altri oggetti. Nel corso dei vari processi, inizialmente per soli quattro omicidi, i periti psichiatrici raccolgono le sue testimonianze. Emerge una storia d’alcolismo e abusi, anche sessuali, sin dalla più tenera età. «Mio padre mi massacrava di botte se non sapevo il Corano, lui e l’Imam mi picchiavano. Mi legava a due ganci fuori dalla porta di casa»(1). Con le donne il rapporto s’incrina maggiormente: «Mia madre mi metteva del tabacco in polvere negli occhi per punirmi. E le donne del paese l’aiutavano». Punizioni su punizioni: gli introducono persino del peperoncino nelle parti intime. Da qui un’avversione per le donne, in particolare per quelle «vestite di nero», come spesso accade per le più anziane donne del Sud, quello in cui Ezzedine vive, quando arriva in Italia. Se a 14 anni, in Tunisia, inizia a sentire le «voci» che lo portano a rapinare, è in Italia che quelle «voci» l’avrebbero portato a uccidere. «Le voci sono tre», scrivono i periti, «la prima è un uomo adulto, l'imam; la seconda è un uomo più giovane; la terza è una delle donne che lo picchiavano da piccolo». La presenza delle «voci» che l’hanno indotto ad ammazzare, da quando è detenuto, pare che sia diminuita. Serbai, al termine dei diversi processi, fu condannato a quattro ergastoli per altrettanti omicidi. Il 10 febbraio 2005, Ezzedine è rinchiuso nel carcere di Opera a Milano e scrive ad Alberto Nobili, pm della Direzione distrettuale antimafia di Milano, per delle rivelazioni importanti. Una volta al cospetto del magistrato racconta: «Sono responsabile di altri
undici omicidi» dice, e li elenca, uno per uno, fornendo i primi particolari. Entrava nelle loro case per rapinarle: l’istinto omicida scattava soltanto dopo. «Ho ucciso Celeste Commessatti: era il 13 agosto 1995, era una domenica pomeriggio. Ho conosciuto in carcere le due persone che furono condannate ingiustamente per questo omicidio: Vincenzo Donvito e Giuseppe Tinelli Voglio solo dire come stanno le cose, assumermi le mie responsabilità, non ho intenzione d’autocalunniarmi»(1). Al PM Pina Montanaro, a Taranto, spiegò che avrebbe voluto confessare anche prima, ma temeva di essere
ucciso, senza spiegare da chi. Gli imputati ingiustamente detenuti per i diversi omicidi confessati dal tunisino erano e poi liberati erano: Vincenzo Faiuolo, condannato a venticinque anni di carcere per l’omicidio di Pasqua Ludovico, anziana donna uccisa a Castellaneta il 14 maggio 1997; Davide Nardelli e Giuseppe Tinelli entrambi condannati per aver ucciso, il 13 agosto 1995 a Palagiano, l’anziana Celeste Commesatti; e Francesco Orlandi Cosimo Montemurro. Un altro condannato per l’omicidio di Celeste Commesatti si era suicidato in carcere nel luglio del 2005. Proprio a seguito della morte di Vincenzo Donvito, il Sebai decise di confessare la serie di omicidi. Per la procura di Taranto, per due magistrati su tre, però, Sebai non è credibile. Il tunisino è stato etichettato dalla
Polizia Penitenziaria n.249 • aprile 2017 • 25
Nelle foto: a sinistra Carabinieri in azione sopra Vincenzo Faiuolo uno degli imputati, poi scagionato sotto il magistrato Alberto Nobili
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CRIMINI pubblica accusa come un «mitomane» che vuole scagionare detenuti che ha conosciuto in carcere. Il 22 dicembre del 2011 la Corte di Cassazione stabilisce, affidando l'incarico alla Corte d'Appello di Potenza, la revisione del processo per tre delle persone condannate in via definitiva per omicidi, Vincenzo Faiuolo, Giuseppe Tinelli e Davide Nardelli. Il primo condannato a 25 anni di carcere - ne aveva già scontati 15 - per l'omicidio di Pasqua Ludovico, l'anziana uccisa a Castellaneta il 14 maggio 1997.
Nella foto: la Casa di Reclusione Due Palazzi di Padova
Gli altri due condannati per aver ucciso, il 13 agosto 1995 a Palagiano, l'anziana Celeste Commesatti. Nardelli, era già in libertà dopo aver scontato 7 anni di carcere, mentre Tinelli era ancora detenuto in quanto condannato all'ergastolo in quanto ritenuto responsabile anche di un altro omicidio, quello di Maria Valente, uccisa sempre a Palagiano il 29 luglio 1997. La mattina del 14 dicembre del 2012, intorno alle 7,30, Sebai viene trovato, ancora in vita, impiccato con un lenzuolo fissato alle grate della sua cella nella Casa di Reclusione Due Palazzi di Padova. Condotto in ospedale morirà poco dopo. Alla prossima... F Note (1) La Stampa Italia, 20 settembre 2008.
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uando si è chiamati a valutare i rischi presenti in un ambiente di lavoro, o meglio, i rischi dovuti alla sistemazione dei luoghi di lavoro, bisogna porre particolare attenzione ad individuare tutti quei fattori che sono riconducibili ad una disattenta progettazione o ad una insufficiente manutenzione della struttura edilizia. Questi rischi, infatti, possono presentarsi nella normale percorribilità e fruibilità degli ambienti lavorativi: pavimenti irregolari, scale, porte, finestre, balconi che possono provocare cadute e scivolamenti, vetri non di sicurezza. Anche la presenza di elementi costitutivi della struttura edile, i complementi di arredo e la scarsa illuminazione vanno ricompresi nella categoria dei rischi strutturali. Il D.Lgs. 81/2008 stabilisce i requisiti che un luogo di lavoro deve rispettare, dedicandovi il Titolo II che costituisce il recepimento della direttiva comunitaria 89/654/CEE. Tale direttiva, infatti, ha avuto il pregio di regolamentare le prescrizioni minime di sicurezza per i luoghi di lavoro. Di fatto, questo Titolo comprende nel proprio articolato le disposizioni che erano specificate anche nel precedente D.Lgs. 626/1994, integrate da alcune disposizioni contenute nell’abrogato D.P.R. 303/1956, che recava norme generali per l’igiene del lavoro. Il Titolo in questione si compone del Capo I, contenente le disposizioni generali, e del Capo II, contenente le sanzioni a carico del datore di lavoro. Il testo di legge comprende gli articoli dal 62 al 68 e l’allegato IV. Dalla lettura della normativa, così come dei testi e delle riviste più accreditate del settore, si evince come siano principalmente due i fattori che concorrono alla determinazione dell’entità del rischio tanto da essere, purtroppo, in grado di compromettere non poco le condizioni di salute e sicurezza dei lavoratori: la cattiva o assente progettazione e la scarsa manutenzione dei luoghi di lavoro. Per “luogo di lavoro” si intende un ambito spaziale specifico entro cui è
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ordinato, con criteri organici e razionali, un processo produttivo. Tuttavia, la definizione di legge, riportata all’art. 62, comma 1, recita: “…si intendono per luoghi di lavoro […]i luoghi destinati a ospitare posti di lavoro, ubicati all’interno dell’azienda ovvero dell’unità produttiva, nonché ogni altro luogo di pertinenza all’azienda o dell’unità produttiva accessibile al lavoratore nell’ambito del proprio lavoro”. Il comma 2 dell’art. 62 stabilisce, successivamente, che le disposizioni del Titolo II, non si applichino: a) ai mezzi di trasporto; b) ai cantieri temporanei o mobili; c) alle industrie estrattive; d) ai pescherecci; d-bis) ai campi, ai boschi e agli altri terreni facenti parte di un’azienda agricola o forestale. Il termine “ospitare” denota che il legislatore ha voluto ricomprendere nella tutela non soltanto gli ambienti che siano stati espressamente predisposti per contenere postazioni fisse di lavoro, ma anche quegli spazi potenzialmente idonei ad accogliere posti di lavoro. Tali luoghi, anche se distanti dall’azienda o una sua unità produttiva ad essa funzionalmente riconducibili, devono essere considerati nel campo di applicazione delle norme: infatti, l’uso del termine “pertinenza” sembra richiamare una nozione in grado di ampliare i confini del concetto in esame. L’art. 63 del D.Lgs. 81/2008 dispone, al comma 1, che i luoghi di lavoro debbano essere conformi ai requisiti indicati nel Allegato IV ed essere strutturati tenendo conto, se del caso, dei lavoratori disabili, con particolare riferimento a quanto specificato dal comma 3, introdotto dal D.Lgs. 106/2009, ovvero “in particolare per le porte, le vie di circolazione, gli ascensori e le relative pulsantiere, le scale e gli accessi alle medesime, le docce, i gabinetti ed i posti di lavoro utilizzati da lavoratori disabili”. All’art. 64 sono, invece, elencati i principali obblighi del datore di lavoro, il quale deve provvedere affinché i luoghi di lavoro siano
SICUREZZA SUL LAVORO
Decreto Legislativo n.81/2008:
i luoghi di lavoro conformi ai requisiti di sicurezza. In generale, egli deve: • garantire la possibilità di evacuare i locali. Le vie di circolazione sia interne che esterne e le uscite di emergenza devono essere sgombre al fine di consentire l’utilizzazione in ogni circostanza (per vie di circolazione interne si intendono quelle che collegano o conducono ai posti di lavoro); • garantire il funzionamento della struttura. La manutenzione dei luoghi di lavoro, degli impianti, e dei dispositivi deve essere tale da eliminare eventuali difetti di funzionamento quanto più rapidamente possibile, oltre che consistere nel periodico controllo sul loro funzionamento (nell’Allegato IV si rafforza il concetto, introducendo l’obbligo di manutenzione, pulizia e sanificazione per la tutela della salute dei lavoratori degli impianti di condizionamento o di ventilazione meccanica eventualmente presenti); • garantire le condizioni di igiene, mediante la pulitura dei luoghi di lavoro, dei dispositivi e degli impianti, onde assicurare condizioni di igiene adeguate; • garantire il funzionamento dei dispositivi di sicurezza, attraverso la loro manutenzione, periodica e regolare. Come detto i luoghi di lavoro devono rispettare i requisiti indicati nell’Allegato IV del D.Lgs. 81/2008, ove sono state raccolte le disposizioni precedentemente contenute nell’art. 33 del D.Lgs. 626/1994, quelle riportate nell’allegato II al medesimo decreto e le altre disposizioni che erano state imposte dal D.P.R. 303/1956 e dal D.P.R. 547/1955, ampliandone la portata e integrandone i contenuti. L’Allegato in questione è stato oggetto
di alcune modifiche da parte del D.Lgs. 106/2009 e da altri più recenti provvedimenti del Governo. Tale Allegato stabilisce i requisiti degli ambienti di lavoro per quanto riguarda le seguenti caratteristiche: • stabilità e solidità;
• servizi igienico assistenziali; • dormitori. Inoltre, nell’Allegato IV sono comprese anche altre disposizioni per quanto concerne la protezione dei lavoratori nel caso di presenza nei luoghi di lavoro di agenti nocivi,
• altezza, cubatura e superficie; • pavimenti, muri, soffitti, finestre e lucernari dei locali scale e marciapiedi mobili, banchina e rampe di carico; • vie di circolazione, zone di pericolo, pavimenti e passaggi; • vie e uscite di emergenza; • porte e portoni; • scale; • posti di lavoro e di passaggio e luoghi di lavoro esterni; • microclima; • temperatura dei locali; • illuminazione naturale ed artificiale dei luoghi di lavoro; • locali di riposo e refezione; spogliatoi e armadi per il vestiario;
nonché le prescrizioni inerenti ad attività che si devono svolgere in ambienti particolari (quali vasche, canalizzazioni, tubazioni, serbatoi, recipienti e silos), le misure contro l’incendio e l’esplosione e le caratteristiche delle installazioni di certi impianti nei luoghi dove esistono pericoli di esplosione o di incendio. F
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Luca Ripa Dirigente Sappe Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza rivistai@sappe.it
Nelle foto: sopra un’alloggio per il personale sotto controllo di un’estintore
a cura di Giovanni Battista de Blasis
COME SCRIVEVAMO
Il suicidio
breve storia del “mal di vivere” di Assunta Borzacchiello
Più di venti anni di pubblicazioni hanno conferito al mensile Polizia Penitenziaria Società Giustizia & Sicurezza la dignità di qualificata fonte storica, oltre quella di autorevole voce di opinione. La consapevolezza di aver acquisito questo ruolo ci ha convinto dell’opportunità di introdurre una rubrica - Come Scrivevamo che contenga una copia anastatica di un articolo di particolare interesse storico pubblicato tanti anni addietro. A corredo dell’articolo abbiamo ritenuto di riprodurre la copertina, l’indice e la vignetta del numero originale della Rivista nel quale fu pubblicato.
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in dall'antichità la storia ci riporta esempi di suicidi messi in atto da personaggi che intendevano in tal modo manifestare il proprio dissenso politico, ideologico, culturale: la negazione della vita appariva l'evento estremo per salvare la propria dignità. Ma non è l'unico movente che ha indotto (e ancora induce) l'uomo a darsi la morte. Altro è il suicidio attuato quale epilogo di grandi passioni sgretolatesi a seguito di abbandono da parte della persona amata, lasciando nella mente e nell'animo ferite non rimarginabili, o il suicidio messo in atto in seguito a dissesti economici (e con l'estremo gesto si recupera la dignità e si cancella la vergogna) o, ancora, a seguito di profonde depressioni che fanno apparire la vita un'inutile saga del nulla, un profondo buco nero. Il suicidio, inteso come estremo gesto di coraggio e di condanna verso uno stato di cose divenuto insopportabile, in passato è stato praticato da filosofi, politici, consiglieri di principi, poeti e scrittori e le modalità messe in atto, descritte da testimoni diretti e indiretti, sembrano seguire una liturgia che tende ad evidenziare la determinatezza e la consapevolezza dell'eroicità del gesto attuato, talvolta davanti a spettatoritestimoni. Nei tempi antichi esistevano addirittura scuole filosofiche ove venivano impartite "lezioni di suicidio". Tra i "maestri" di tale facoltà, viene ricordato in particolare Egesia di Cirene, condannato per questo da Tolomeo I. Socrate, Catone Uticense, Seneca, Petronio, Cleopatra sono solo alcuni tra i tanti personaggi che si sono dati la morte per manifestare la propria opposizione a un ideale o a qualcuno: suicidi che per la personalità dei protagonisti, per gli eventi e i contesti storici e politici nei quali si sono consumati, hanno lasciato un'indelebile e importante testimonianza storica. Nel passato il suicidio era ammesso
da molte culture e da esse veniva particolarmente giustificato se messo in atto per valori eroici: basti pensare alla pratica cavalleresca dell'harakiri, una "nobile" rappresentazione dell'autodistruzione praticata in Giappone. I guerrieri samurai si uccidevano con tale tecnica con l'intento di umiliare i propri avversari che, per contro, talvolta adoperavano lo stesso metodo per contraccambiare l'offesa. La condanna del suicidio trova delle eccezioni nella cultura greca, a seconda delle motivazioni che avrebbero indotto la persona a rinunciare alla propria vita. Secondo alcune testimonianze, infatti, in certi casi il cadavere del suicida non veniva sepolto "intero": ad esso veniva amputata la mano che aveva provocato la morte e la stessa veniva sepolta in altro luogo, distante dal resto del corpo. La morte di Socrate (470-399 a.C. ), descritta da Platone nell’“Apologia” e nel “Fedone”, assume significati filosofici e questo suicidio, anche se indotto dalla condanna cui Socrate fu sottoposto, è forse il più famoso dell'antichità. Esso sposta la prospettiva dal campo individuale a quello simbolico, politico e morale assumendo così connotazioni di valenza universale. Socrate rifiutò di abiurare ai princìpi filosofici e venne perciò condannato a morte, condanna a cui non si sottrasse, ma anzi accelerò bevendo per propria volontà la mortale cicuta. Dalla testimonianza di Platone sappiamo, però, che Socrate si intrattenne fino alla fine con i suoi discepoli, accettando con animo sereno l'ingiusta condanna e la pena finale. Per Platone il suicidio è giustificato solo nei casi in cui il suicida con il suo gesto si sottrae a una naturale predisposizione al crimine, per prevenire una condanna giustamente pronunciata, perché non in grado di sopportare una vergogna incancellabile,
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ovvero, in sintesi, per “motivi di giustizia”. In ogni caso, le conseguenze del gesto si rifletteranno in seguito sul cadavere del suicida, che verrà sepolto in un luogo isolato e senza onori. Il suicidio, quindi, appare a Platone come un atto di disubbidienza alla divinità che predispone ogni uomo al proprio destino; nel caso di Socrate, invece, il suicidio del filosofo non è attuato in opposizione al volere di Dio, ma come preciso ossequio al volere di questo, seppure mediato dal precetto della legge umana.
Non è così per Aristotele che colse l'importanza sociale del suicidio ritenendolo un atto di disubbidienza allo Stato ed alle sue leggi. Il suicidio, pertanto, si configura come una stolta affermazione di autolibertà, contro le leggi che governano la polis. Fautori del suicidio furono anche gli appartenenti alle scuole postsocratiche: gli scettici ed ancora di più gli stoici, mentre gli epicurei ne rimasero sostanzialmente estranei. La libertà, per gli stoici, è data dal saper vivere secondo ragione, accettando l'ordine sovrannaturale delle cose. La schiavitù è nel non sapere. Il saggio, quindi, sa anche rinunciare alla propria vita (come farà Seneca) quando la sua coscienza delle cose è tale da non potere fare nulla per intervenire e cambiare la realtà.
COME SCRIVEVAMO
E proprio da Seneca, infatti, il suicidio viene praticato quale estremo e dignitoso rimedio alla sofferenza. Diffusosi a Roma, lo stoicismo fece molti proseliti, soprattutto tra le classi colte, e indusse in molti casi a praticare il suicidio. Coloro che si uccidevano, salvo che per sfuggire a una condanna, non venivano perseguitati dalla legge. Viceversa, lo erano i soldati e gli schiavi che con il loro gesto arrecavano un danno alla società. Insomma, non era biasimato il suicidio messo in atto per sottrarsi al tedium vitae o all'infelicità, bensì il suicidio che provocasse una perdita materiale - di forza lavoro o di difesa - alla collettività. Catone Uticense (95-46 a.C.), stoico e sostenitore della causa della Repubblica senatoria, si schierò con Pompeo durante la guerra civile e preferì darsi la morte piuttosto che accettare il perdono che Cesare gli offriva. Seneca (4 a.C.-65 d.C.), massimo esponente della filosofia stoica nella cultura latina, precettore di Nerone, tentò di guidare l'imperatore in un governo moderato e illuminato. Tuttavia, gli eccessi del Principe lo
spinsero ad allontanarsi dalla corte. Nel 65 d.C., scoperta la congiura antineroniana di Pisone, Seneca fu sospettato di esserne l'ispiratore e quindi condannato a morte. Il filosofo, allora, si dette una morte eroica atroce e magniloquente fino alla teatralità. Con un piede immerso in una vasca da bagno, si apriva le vene continuando a conversare con i discepoli. Una morte analoga scelse Petronio (suicidatosi nel 66 d.C.), ritenuto insuperabile arbitro dell'eleganza presso la corte imperiale, che, dapprima intimo di Nerone e suo ascoltato consigliere, in seguito cadde in disgrazia per l'opposizione fattagli da Tigellino e non sopportò oltre l'onta del sospetto di essere un traditore. Anch’egli, con piglio tranquillo e grande distacco, decise di darsi la morte sfoggiando lo stesso aplomb e signorilità che lo contraddistinsero in vita e trasformò la propria morte in una rappresentazione teatrale. Un suicidio le cui motivazioni sono da ricercare tra la dimensione privata e la sfera pubblica è il suicidio di Cleopatra regina d'Egitto (69-31 a.C.): legata prima a Cesare e in seguito ad Antonio appoggiò quest'ultimo nella lotta contro Augusto. Dopo la battaglia di Azio (31 a.c.) e la definitiva vittoria di Augusto, secondo la leggenda Cleopatra si diede la morte facendosi mordere da due aspidi, velenosissimi serpenti, per non cadere nelle mani dell'odiato nemico. A quarantaquattro anni muore il poeta latino Lucrezio (99/94 a.C.-55/50 a.C.) che, secondo alcuni biografi, si diede la morte perché colpito da follia intermittente dopo avere ingerito un filtro d'amore. Marco Tullio Cicerone mostra ammirazione per il suicidio di Lucrezio, uccisosi per sfuggire al disonore, anche se lo stesso Cicerone condanna il suicidio, perché in tal modo l'uomo sfugge alla responsabilità che Dio gli ha affidato dandogli la vita. Con il Cristianesimo il suicidio, da atto eroico, diviene in seguito il peccato più grave per l'uomo. Agli albori del Cristianesimo, però, furono numerosi i seguaci della nuova religione, di ogni sesso ed età, che deliberatamente rinunciavano alla propria vita, sopportando sofferenze atroci per cercare la via del Paradiso, sacrifici esaltati dai primi Padri della Chiesa.
Fu Sant'Agostino a condurre una feroce battaglia contro il sacrificio spontaneo della propria vita da parte dei cristiani, sostenendo che questa pratica di morte era una "depravazione detestabile e condannabile", richiamandosi implicitamente al quinto comandamento: non uccidere. La lotta di Sant'Agostino contro la pratica del suicidio risultò vittoriosa al Concilio di Arles nel 452, ove venne enunciato che il suicidio era un delitto perpetrato per effetto del furore diabolico. San Tommaso distinse tra il suicidio dell'uomo in possesso delle sue facoltà e il suicidio commesso dal furiosus e dall'insanus, per indicare colui che si uccide a causa di affezioni patologiche. La rigida condanna del suicidio, come atto contro natura, è presente anche nella Divina Commedia di Dante. Nel XIII canto dell'Inferno - secondo girone, settimo cerchio - il Sommo Poeta incontra i suicidi (e, tra questi,
Nelle foto: la copertina del numero di novembre 1996 sotto la vignetta in basso il sommario nell’altra pagina una statua di Platone
DETENUTO ECCELLENTE
Pier delle Vigne) trasformati in alberi dai cui rami pendono le loro teste. Le anime dei suicidi vi germogliano e vi crescono i pruni di cui si nutrono le Arpie. L'asprezza del paesaggio rispecchia, con la rappresentazione dell'orribile selva dei suicidi, l'anormalità dell'estremo gesto, e la natura deformata che appare agli occhi di Dante esprime la violenza dell'atto per cui viene spezzato il vincolo affettivo che lega l'uomo a se stesso. La Chiesa cattolica ha negato il rito funebre ai suicidi fino ai nostri giorni e solo negli ultimi tempi è prevalsa una posizione più indulgente verso i morti per suicidio, ma tale posizione non manca di suscitare accese polemiche. Nel Nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica, pubblicato nel 1992, seppure
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COME SCRIVEVAMO
Nella foto: Friederick Nietzsche
permane la condanna morale verso i suicidi perché, come si afferma a proposito del quinto comandamento non uccidere, “... siamo gli amministratori, non i proprietari della vita che Dio ci ha affidato. Non ne disponiamo”, tale condanna morale lascia aperta la porta al perdono di Dio. Anche se la naturale inclinazione dell'essere umano è di conservare e perpetuare la propria vita, il nuovo catechismo, infatti, non toglie del tutto la speranza della salvezza dell'anima di colui che rifiuta il dono dell'esistenza. Ci sono situazioni personalissime che inducono la Chiesa ad attenuare la responsabilità del suicida, ad esempio “... gravi disturbi psichici, l'angoscia o il timore grave della prova, della sofferenza o della tortura”. Infine, accanto alla imperscrutabile volontà di Dio che può preparare al pentimento l'anima del suicida, nei casi citati “... la Chiesa prega per le persone che hanno attentato alla loro vita”. Anche la morale cattolica, quindi, è suscettibile di cambiamenti, ma ciò, comunque, non significa che il suicidio sia diventato moralmente lecito. Infatti, se è pur vero che il catechismo cattolico non usa mai il termine peccato per indicare il suicidio, lo definisce un atto "gravemente contrario al giusto amore di se" ed "all'amore del Dio vivente". Per quanto riguarda il divieto di funerali religiosi ai morti per suicidio, negli ultimi tempi è stato osservato che esso è stato disatteso in occasione di "suicidi eccellenti" di politici, alti funzionari e imprenditori travolti dalle inchieste giudiziarie di "Tangentopoli", destando non poche perplessità sia da parte cattolica che da parte laica. La condanna morale del suicidio cade e l'atto si trasforma quasi in un esempio di libertà, con gli Enciclopedisti e gli Illuministi per i quali l'atto suicida venne annoverato tra i segni della libertà della ragione. La presa di posizione degli intellettuali del XVIII secolo a favore della libertà del suicidio diede i suoi frutti nei codici penali postrivoluzionari, che depenalizzarono l'atto suicidario fino ad allora considerato reato. Un rilevante aumento dei casi di suicidi si verifica nel XIX secolo: la letteratura romantica ne è ricca di esempi. Con il Romanticismo, infatti, il suicidio riconquista un posto di privilegio nella scala dei valori dell'eroe romantico.
Lo Jacopo Ortis di Ugo Foscolo, il Werther di Wolfgang Goethe ed altri personaggi della letteratura romantica mettono fine ai propri tormenti togliendosi la vita. Perire rappresenta il riscatto dalle ingiustizie, la liberazione dal potere che plagia le coscienze o per sfuggire alla precarietà della vita. In campo filosofico, in epoca moderna, il suicidio è stato oggetto di riflessione da parte dei filosofi esistenzialisti: Sartre, Jaspers ed ancora prima Nietzsche e Schopenauer. Per Arthur Schopenauer il suicidio è un atto della volontà che esprime nel modo più elementare e radicale la libertà di disporre di se stessi.
Friederick Nietzsche, in "Così parlò Zarathustra" fa dire al protagonista del suo libro: "Chi liberamente pone termine al suo destino muore da vincitore, circondato da coloro che promettono e sperano... Io lodo a voi la mia morte, la libera morte, che viene perché io voglio". Per Jean Paul Sartre il suicidio rappresenta l’estrema possibilità della libertà. Karl Jaspers - psicopatologo e filosofo esistenzialista - definisce il suicidio “l'unica operazione che ci libera da tutto il nostro agire interiore. La morte, che è una situazione - limite di valore decisivo per l'esistenza, - è un fatto che si verifica da se e non viene invocato. Solamente l'uomo, una volta che egli sa rendersi conto della morte, si trova dinanzi alla possibilità del suicidio. Egli non solo può consapevolmente mettere a repentaglio la sua vita, ma può anche decidere se vuole o non vuole vivere. La morte rientra nella sfera della sua libertà”. Jaspers rifiuta la spiegazione dell'atto suicida facendo ricorso alla malattia
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mentale: “Il suicidio non è la conseguenza della malattia mentale allo stesso modo che la febbre è la conseguenza dell'infezione”. 1 motivi che conducono al suicidio per Jaspers rimangono insondabili: “L'origine prima e incondizionata del suicidio rimane un segreto della persona singola, e non si può rivelare agli altri. Quando i suicidi lasciano delle confessioni al riguardo, rimane sempre la questione se il suicida abbia veramente compreso se stesso”. A livello di fenomenologia sociale, si deve pur rilevare che, a fronte di andamenti statisticamente omogenei delle percentuali annue dei suicidi, c'è stato un periodo della storia italiana recente in cui se ne è verificato un aumento vertiginoso. Ciò è avvenuto durante talune fasi del regime fascista che, peraltro, si premunì di mettere il bavaglio alla divulgazione di fatti di cronaca che potessero in qualche modo apparire come una crepa del sistema. Non solo le notizie che riguardavano gli omicidi erano rigorosamente censurate dalla stampa dell'epoca, ma, e soprattutto, lo erano quelle riguardanti i suicidi: rendere il pubblico edotto di tali fatti e, per giunta, del loro notevole incremento, significava ammettere che non tutto andava bene così come assicurava la propaganda di regime del ventennio. Ed allora la via migliore per eliminare il problema era quella di non parlarne affatto. Abbattuto poi il fascismo, la cronaca nera torna a riferire di omicidi e suicidi, anche se non viene abbandonato del tutto un atteggiamento censorio a proposito di questi ultimi da parte dei nuovi governi repubblicani. Il suicidio rende i sopravvissuti impotenti, pone interrogativi, avanza ipotesi. Ancora peggiori inquietudini destano tipi e categorie particolari di suicidi come quelli posti in atto da minori, per i quali si giunge addirittura - come è stato recentemente dimostrato - a falsare la rappresentazione statistica e sociale da parte anche di organismi ufficiali quali l'ISTAT, l'OMS e il Ministero degli Interni. Tuttora, in Italia, risulta difficile fornire stime precise sul dato reale dei suicidi. Non va sottovalutato, infatti, il comportamento ufficiale di fronte al fenomeno. Allorquando il suicidio viene attuato facendo ricorso a tecniche che possono confondersi con un incidente, con una tragica fatalità, si tenta così di coprire la tragedia come se le conseguenze morali e sociali dell'evento potessero ricadere sull'intero nucleo familiare.
COME SCRIVEVAMO Occorre inserire nel novero dei suicidi "sommersi" le morti che si concludono negli ospedali, che referti compiacenti fanno passare come morti naturali o come conseguenza di incidenti. Ci sono poi i morti per droga e quelli che perdono la vita in automobile, dove il guidatore è solo con le proprie angosce e i propri tormenti, e difficilmente è possibile perciò diagnosticare che la causa della morte sia dipesa dalla volontà della vittima stessa in caso di morte per overdose o in seguito a gravi incidenti sulle strade. Ricerche recenti in Italia hanno tentato di delineare un identikit del suicida e dell'aspirante suicida. Per la prima ipotesi prevale il sesso
maschile: il soggetto, per lo più operaio, ha più di sessantacinque anni , è sposato e vive prevalentemente al Nord, in particolare in piccoli centri di provincia, il livello di istruzione si ferma alla quinta elementare o alla terza media. Il periodo dell'anno in cui il tasso dei suicidi è più alto si identifica nella primavera e per la "tecnica" prescelta dal morituro prevale l'impiccagione. Delineato l'identikit del suicida si ricercano le cause dell'atto, e sempre a partire dalle caratteristiche testè descritte si rileva che, al di là delle angosce, delle sofferenze fisiche e psichiche, gli attori del dramma risultano essere, in maggioranza, anziani ed adolescenti. Gli anziani che si tolgono la vita rappresentano quasi un quarto della totalità dei suicidi, mentre per gli adolescenti si stima che i suicidi reali siano quasi il doppio di quelli accertati, senza contare che per due giovani che si tolgono la vita altri dieci tentano di farlo. Povertà, problemi di sopravvivenza quotidiana (come ad esempio lo sfratto
di casa, le malattie ecc.) si associano al fantasma della solitudine, a una indifferenza cronica della società rispetto alle difficoltà di vivere dell'anziano. Per gli adolescenti il discorso cambia, si delineano altre ipotesi causali, si individuano sofferenze ed ansie legate alla difficoltà di crescere, di stabilire un rapporto con le figure parentali adeguato alle nuove esigenze dell'età: ci si muove disordinatamente tra ansia di crescere e paura del nuovo. Ma se a volte la responsabilità del gesto potrebbe essere imputata a disfunzioni interne al nucleo familiare - sovente la motivazione suicidaria del giovane, dell'adolescente e persino del bambino deve essere riportata a modelli e situazioni di vita particolarmente opprimenti sul piano psicologico e pedagogico. Dal suicida all'aspirante suicida, ovvero dei tentativi messi in atto da persone che intendono unicamente esprimere un gesto dimostrativo, forse per attirare l'attenzione su di se, perché ci si attende una mano che possa salvare dall'angoscia e dal dolore. Gli studi svolti in proposito evidenziano che gli aspiranti suicidi sono in prevalenza donne, sia in età adulta che adolescenti, e che in genere il mezzo più usato è l'avvelenamento da barbiturici, ove la scelta di questo mezzo specifico sembra quasi un ultimo tacito tentativo di preservare il proprio corpo da lesioni cruente. Infine, sempre a proposito dei tentativi di suicidio, c'è chi sostiene che coloro i quali minacciano di suicidarsi in realtà non sono seriamente motivati ad eseguire l'atto estremo e che quanti hanno già tentato non ci riproveranno in futuro. In realtà, si tratta solo di pregiudizi non suffragati da certezze scientifiche. In anni recenti l'eroe romantico impersonato dai vari "Jacopo Ortis" e "Werther" sembra essere stato sostituito da un'altra categoria di eroi-artisti che hanno coniugato un linguaggio nuovo misto di ansia di emergere con l'incapacità di resistere alle spinte emotive. I luoghi comuni che accompagnano le morti violente dei divi del rock trasformano quest'ultimi in mitici eroi di masse giovanili, che proiettano sulle rockstar le proprie ansie e insoddisfazioni. I mass-media ne fanno spesso dei geni incompresi, anche se in vita le loro doti
artistiche non sono state particolarmente apprezzate: distrutti dall'alcool e dalle droghe, animati soprattutto da spirito di autodistruzione, si riscattano con la morte. La commistione o confusione tra arte e vita, cara agli eroi romantici vissuti o creati dalla fantasia di letterati tra il Settecento e l'Ottocento, si ripropone identica ai nostri giorni. Un nuovo Sturm und Drang sembra attraversare indenne i secoli e riproporsi identico ai nostri giorni, sotto le sembianze dei vari Jimi Hendrix, Jim Morrison, Janet Joplin, Brian Jones e, ultimo solo in ordine di tempo, Kurt Kobain, leader del gruppo rock "Nirvana", dalle cui interviste già
si presagiva una morte annunciata, così come dai testi delle sue canzoni quali I Hate Myself And want To Die (Mi odio e voglio morire), titolo che la casa discografica, accorta e consapevole della reazione negativa che avrebbe potuto provocare una tale asserzione nelle masse giovanili, obbligò a cambiare in Nirvana. Un esempio dell'influenza in negativo, presso i giovani fan, della vita e della morte dei "divi del rock", è quello che riguarda un diciottenne di Treviso che, nel giorno dell'anniversario del cinquantesimo anno di Jim Morrison morto in seguito a somministrazione di droga e ingestione di alto quantitativo di alcool - si è tolto la vita dedicando la propria morte al suo idolo. Il giovane lasciò, come spiegazione del suo gesto, vari foglietti su cui aveva scritto tutta la sua disperazione: "La morte come soluzione, la morte come resurrezione". Significativo, inoltre, il modo in cui si è tolto la vita: dandosi fuoco, così come cantava Jim Morrison in una famosa canzone degli anni Settanta dal titolo Light my Fire. F
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Nelle foto: a sinistra Karl Jaspers sopra Jimi Hendrix e Jim Morrison
LE RECENSIONI Giuditta Boscagli
IL CUORE OLTRE LE SBARRE ITACA Edizioni pagg. 176 - euro 13,00
L’
Autrice nel libro racconta in forma di romanzo la sua vera storia: una storia complicata, condita da ingredienti a primo impatto incompatibili: delitto, carcere, amicizia, amore e redenzione dell’uomo che è poi diventato suo marito. Spesso abbiamo messo in evidenza come non sia semplice coinvolgere sui temi penitenziari la grande opinione pubblica. Perché la società nel suo complesso è disattenta a questi problemi, quando addirittura non prova fastidio per questi problemi, quasi disinteresse, e vuole la rimozione dei temi del carcere, dei temi del penitenziario. Tende a rimuoverli, perché i temi del sistema penitenziario fanno riflettere su aspetti che la gente comune preferisce non affrontare. I temi carcerari sono oggetto di attenzioni da parte dei giornali, delle televisioni, delle discussioni dell’opinione pubblica solo quando emergono le patologie del sistema: evasioni, aggressioni, eventi tragici come le morti in carcere e i suicidi, oppure quando ci sono
ospiti, nei nostri istituti, detenuti eccellenti che fanno notizia in sé e ci si dimentica dei altri 54mila detenuti "normali". L’Autrice, con questo libro, apre uno “spaccato” sul carcere e la detenzione con un romanzo da leggere e che racconta come il cuore possa, talvolta, arrivare oltre le sbarre.
a cura di Maria Sabina lembo e Giuseppe Potenza
LA NUOVA DISCIPLINA DELLE MISURE CAUTELARI Dopo la Legge 16 aprile 2015, n.47 MAGGIOLI Edizioni pagg. 230 - euro 24,00
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ibro utilissimo per capire e comprendere uno degli strumenti giuridici più innovativi degli ultimi anni: l’istituto della messa a prova per gli adulti (introdotto nel nostro ordinamento con la legge n. 67 del 2014) e i minori. La messa alla prova è una forma di probation giudiziale innovativa nel settore degli adulti e consiste nella sospensione del procedimento penale nella fase decisoria di primo grado, su richiesta di persona imputata per reati di minore allarme sociale. Con la sospensione del procedimento, l'imputato viene affidato all'ufficio di esecuzione penale esterna per lo svolgimento di un programma di trattamento che prevede come attività obbligatorie, l’esecuzione di un lavoro di pubblica utilità, consistente in una prestazione gratuita in favore della collettività, l’attuazione di condotte riparative, volte all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, nonché il risarcimento del danno dallo stesso cagionato e, ove possibile, l’attività di mediazione con la vittima del reato. Inoltre, in un'ottica di riduzione del rischio di reiterazione del reato, il programma può prevedere
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l’osservanza di una serie di obblighi relativi alla dimora, alla libertà di movimento e al divieto di frequentare determinati locali, oltre a quelli essenziali al reinserimento dell’imputato e relativi ai rapporti con l’ufficio di esecuzione penale esterna e con eventuali strutture sanitarie specialistiche. In questo libro, vengono evidenziate le criticità e le possibile strategie difensive, risultando utilissimo sul piano sostanziale e procedurale.
Antonio Di Tullio D’Elisis
L’APPLICAZIONE DELLA MESSA ALLA PROVA PER GLI ADULTI E I MINORI. Giurisprudenza, Criticità, Strategie MAGGIOLI Edizioni pagg. 304 - euro 32,00
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uesto prezioso libro fa il punto della situazione sulla disciplina delle misure cautelari personale dopo la legge 16 aprile 2015, n. 47, che ha apportato significative modifiche al codice di procedura penale in materia di misure cautelari personali. Sono stati tra gli altri modificati gli articoli 274 e ss. del codice di rito in un’ottica di extrema ratio attribuita alla custodia in carcere. L’intervento normativo investe numerosi temi: esigenze cautelari e criteri di valutazione delle medesime; criteri di scelta delle misure cautelari personali con particolare riguardo ai criteri di adeguatezza e proporzionalità rispetto al fatto ed alla pena, nonché agli automatismi applicativi; l’ampliamento dell’area applicativa delle misure interdittive, anche combinate con l’impiego di misure coercitive non carcerarie; le modifiche concernenti le impugnazioni. Nelle oltre 300 pagine del libro si alternano analisi normative e giurisprudenziali a focus di apprendimento, anche sugli effetti operativi dell’intervento legislativo, ed un confronto tra vecchio e nuovo testo.
LE RECENSIONI Paolo Bellotti
VISTI DA DENTRO ITACA Edizioni pagg. 160 - euro 13,00
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uattro storie umane e il carcere di Alessandria sullo sfondo. Le racconta l’Autore, operatore penitenziario nel carcere di Alessandria. E le relazioni che redige per il magistrato di sorveglianza, che servono per decidere se e quali benefici concedere a seconda della condotta, diventano spunti letterari per i ritratti di vita vera di quattro detenuti: un vecchio contadino fratricida suo malgrado, un impenetrabile straniero innamorato che ha ucciso per gelosia, un agente segreto dalla doppia personalità e un camorrista pentito. Storie che vengono confinate nel perimetro di una cella, una volta superata l’esposizione mediatica del fatto di cronaca, ma che aiutano a comprendere le difficoltà umane, senza giustificare o assolvere.
Adriana Simone
AIMENTAZIONE FUNZIONALE E BENESSERE NEGLI OPERATORI DI POLIZIA FERRARI SINIBALDI Ed. pagg. 172 - euro 18,00
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n questo libro l’Autrice, medico principale della Polizia di Stato, spiega come favorire gli stili di vita salutari come ridurre lo stress attraverso l’alimentazione. Anche tra gli operatori del Comparto Sicurezza, Difesa e Soccorso Pubblico la prevalenza del sovrappeso/obesità rappresenta una problematica per l’aumentata suscettibilità a patologie cardiovascolari e metaboliche e per le ridotte capacità operative. In questo interessante libro, l’Autrice fornisce chiare linee guida per instaurare un giusto stile di vita sia in termini di attività fisica che di corretta alimentazione, funzionali alla
specificità del lavoro a cui si è preposti. E’ infatti scientificamente provato che l’educazione alla corretta alimentazione determina effetti positivi e concreti sugli stili di vita e sul lavoro. Diversi, e tutti interessanti, gli argomenti trattati: tra questi, particolare importanza hanno indubbiamente gli stili di vita non salutari degli operatori ed i correlati fattori di rischio, l’alimentazione inquadrata come campo di indagine e di cura dello stress e l’incidenza sulla efficienza funzionale del lavoro quotidiano degli operatori della sicurezza. Operatori, va ricordato, che spesso lavorano in condizioni di criticità oggettive o emotive. Da segnalare, in Appendice, la trattazione di sicurezza alimentare e igiene degli alimenti.
F. Sadowki, P. Rampolla E. Nembrini
CRISTO DENTRO ITACA Edizioni pagg. 64 - euro 15,00
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mprimere dei segni sulla propria pelle è una tradizione antichissima e ancora diffusa in molte popolazioni tribali. Il tatuaggio oggi è diventato soprattutto una moda. Specialmente tra i più giovani. In realtà, il significato e la storia sono molto più profondi. E’ un dato storico che esso sia stato un simbolo di ribellione, e non è un caso se tra i primi a portare sulla propria pelle i tatuaggi vi fossero carcerati, marinai di lungo corso, prostitute. Ha scritto, su Il Foglio, Stefano Di Michele che oggi vi è “un accorrere generale all’ago e allo stencil: ce l’ha il delinquente e ce l’ha lo sbirro (venne pure fuori la storia di un carabiniere, che fu indagato per certi scontri, riconosciuto nelle foto da un tatuaggio), il borgataro e quello di zona centro, l’imprenditore e l’operaio precario, la sposa in abito bianco e il calciatore esultante e il tifoso teppista, il rapper (con tela di ragno che si prolunga fin sotto al mento, roba da far invidia all’Uomo Ragno medesimo) e tiè, come da testimonianza, il prete, il fascio e
l’antagonista, il riformista e il reazionario, lo studente e la vicepreside – di tutti questi non ne citiamo nemmeno uno per nome, per non far torto a nessuno”. In questo bel libro, gli Autori, attraverso gli scatti di un maestro della fotografia qual è Pino Rampolla, si sono occupati della presenza di Dio nelle carceri attraverso il linguaggio del corpo dei detenuti. Un autentico reportage in diversi istituti di pena italiani, con le foto delle immagini sacre trasformate in tatuaggi e le storie di chi - e perché - ha deciso di farli. Francesca Sadowski, Pino Rampolla, Eugenio Nembrini hanno il merito di avere studiato e approfondito, proprio nell’Anno della Misericordia, un aspetto particolare della detenzione: quello che concilia la Fede con l’espiazione di una pena. “Dio è dentro con loro. Nessuna cella è così isolata da escludere il Signore; il suo amore paterno e materno arriva dappertutto”, scrive Papa Francesco nella premessa al Libro. E proprio dalla provocazione del tatuaggio, da queste preghiere, grida, domande, bisogni e infine certezze stampate indelebilmente sulla pelle, spesso con strumenti non adeguati, è nata l’idea di realizzare un libro che raccogliesse le immagini tatuate e le testimonianze di come Gesù sia presente e incontrabile ovunque e nella vita di ciascun uomo. Un libro davvero interessante. F
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a cura di Erremme rivista@sappe.it
di Mario Caputi e Giovanni Battista de Blasis © 1992-2017 caputi@sappe.it
L’ULTIMA PAGINA Il mondo dell’appuntato Caputo
QUALCUNO USA FACEBOOK COME LO SPEAKER’S CORNER DI HYDE PARK.. 34 • Polizia Penitenziaria n.249 • aprile 2017
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di Federico Del Giudice • pagg. 384 • 19,00 euro
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• Codice Penitenziario commentato di Santi Consolo • pagg.3 52 • 42,00 euro
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