PoliziaPenitenziaria Società Giustizia e Sicurezza
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anno XXIV • n.250 • maggio 2017
2421-2121
www.poliziapenitenziaria.it
A Polignano il XXX Consiglio Nazionale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria
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05 Polizia Penitenziaria
Società Giustizia e Sicurezza
In copertina:
anno XXIV • n.250 • maggio 2017
Il logo del XXX consiglio Nazionale del Sappe
04 EDITORIALE Carceri di nuovo affollate: e ai Direttori diciamo... di Donato Capece
05 IL PULPITO Mio padre, adesso, è come mille venti che soffiano... di Giovanni Battista de Blasis
06 L’OSSERVATORIO POLITICO Il divieto di spedire o ricevere libri dal carcere di Giovanni Battista Durante
08 CRIMINOLOGIA La prevenzione della devianza-criminalità minorile mediante l’educazione sociale di Roberto Thomas
10 DIRITTO & DIRITTI Le fonti costituzionali del diritto penitenziario di Giovanni Passaro
23 L’AGENTE SARA RISPONDE...
12 MINORI Le nuove prospettive dell’esecuzione penale esterna di Ciro Borrelli
14 IL COMMENTO Dal XXX Consiglio Nazionale le nuove sfide del Sappe di Roberto Martinelli
20 LO SPORT Vela: le Fiamme Azzurre con Mattia Camboni sul podio europeo di Marsiglia di Lady Oscar
21 DALLE SEGRETERIE Elio Lucente collega ed artista eclettico
22 CINEMA DIETRO LE SBARRE Socialmente pericolosi a cura di G. B. de Blasis
PoliziaPenitenziaria Società Giustizia e Sicurezza
Organo Ufficiale Nazionale del S.A.P.Pe. Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Direttore responsabile: Donato Capece capece@sappe.it Direttore editoriale: Giovanni Battista de Blasis deblasis@sappe.it Capo redattore: Roberto Martinelli martinelli@sappe.it Redazione cronaca: Umberto Vitale, Pasquale Salemme Redazione politica: Giovanni Battista Durante Comitato Scientifico: Prof. Vincenzo Mastronardi (Responsabile), Cons. Prof. Roberto Thomas, On. Avv. Antonio Di Pietro Donato Capece, Giovanni Battista de Blasis, Giovanni Battista Durante, Roberto Martinelli, Giovanni Passaro, Pasquale Salemme
Direzione e Redazione centrale Via Trionfale, 79/A - 00136 Roma tel. 06.3975901 • fax 06.39733669 e-mail: rivista@sappe.it web: www.poliziapenitenziaria.it Progetto grafico e impaginazione:
© Mario Caputi www.mariocaputi.it “l’appuntato Caputo” e “il mondo dell’appuntato Caputo” © 1992-2016 by Caputi & de Blasis (diritti di autore riservati)
Registrazione: Tribunale di Roma n. 330 del 18 luglio 1994
Distacco per assistenza familiare
24 CRIMINI & CRIMINALI Le follie sottovalutate di Sergio Cosimini di Pasquale Salemme
26 MONDO PENITENZIARIO
Probation per migliorare il sistema penitenziario: quando il miraggio offusca la realtà di Federico Olivo
28 SICUREZZA SUL LAVORO Il medico competente di Luca Ripa
30 CULTURA
Accademia di Studi Penitenziari: avviato un corso di criminologia minorile in Calabria
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Cod. ISSN: 2421-1273 • web ISSN: 2421-2121 Stampa: Romana Editrice s.r.l. Via dell’Enopolio, 37 - 00030 S. Cesareo (Roma) Finito di stampare: maggio 2017 Questo periodico è associato alla Unione Stampa Periodica Italiana
Edizioni SG&S
Il S.A.P.Pe. è il sindacato più rappresentativo del Corpo di Polizia Penitenziaria
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L’EDITORIALE
Donato Capece Direttore Responsabile Segretario Generale del Sappe capece@sappe.it
Carceri di nuovo affollate: e ai Direttori diciamo...
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l tredicesimo rapporto dell’associazione Antigone intitolato "Torna il carcere" ha messo in luce ciò che il SAPPE denuncia da mesi: il carcere ritorna protagonista. I numeri parlano più di tante parole: negli ultimi 6 mesi si è passati da 54.912 presenze a 56.436. Ci si era illusi che, dopo la condanna per trattamenti inumani e degradanti della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (sentenza Torreggiani, 2013), il carcere potesse tornare a perseguire gli obiettivi dettati dalla Costituzione. I provvedimenti che incentivavano l’utilizzo delle misure alternative, le proposte degli Stati Generali dell’Esecuzione penale, l’istituzione del Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà avevano reso fiducioso Antigone per un positivo cambio di clima politico. E invece numeri e politiche, ben fotografate dal rapporto, lo ha sottolineato bene un articolo del quotidiano Il Dubbio, evidenziano passi indietro: 56.436 è il numero di persone detenute duemila persone in più in soli quattro mesi -; sono stati 45 i suicidi in carcere nel corso del 2016 - spesso avvenuti dopo la detenzione in celle di isolamento - e con 19 suicidi dall’inizio del nuovo anno; la riforma dell’rdinamento penitenziario è ferma al palo; la legge sul reato di tortura resa "monca" per le varie modifiche. Nel rapporto di Antigone viene spiegato che negli ultimi 6 mesi si è passati dalle 54.912 presenze del 31 ottobre del 2016 alle 56.436 del 30 aprile 2017, con una crescita di 1.524 detenuti in un semestre. Alessio Scandurra scrive nel rapporto che si tratta di un aumento tutt’altro che trascurabile: non solo conferma una tendenza all’aumento già registrata nei mesi precedenti, ma questa tendenza viene consolidata e appare in
progressiva accelerazione. Nel semestre precedente, dal 30 aprile al 31 ottobre del 2016, la crescita era stata infatti di 1.187 detenuti. "Se i prossimi anni dovessero vedere una crescita della popolazione detenuta pari a quella registrata negli ultimi sei mesi – ha spiegato Scandurra - alla fine del 2020 saremmo già oltre i 67.000". Sempre di più sono i detenuti stranieri, ed anche questo è un dato che dovrebbe fare seriamente riflettere. Il rapporto ha evidenziato anche che l’Italia è il quinto paese dell’Unione Europea con il più alto tasso di detenuti in custodia cautelare, con una percentuale di ristretti non definitivi, al 31 dicembre 2016, pari al 34,6%, rispetto ad una media europea pari al 22%. Tra le varie cause che provocano l’elevato numero di reclusi non definitivi viene identificata l’eccessiva durata del procedimento penale e la scarsa applicazione di misure meno afflittive, quale ad esempio gli arresti domiciliari (con o senza l’utilizzo del braccialetto elettronico). Tale dato, inevitabilmente comporta che la custodia cautelare rappresenti anche una anticipazione (o, spesso, una sostituzione) della pena finale. Ma ricordiamo anche che ogni giorno contiamo gravi eventi critici nelle carceri italiane, episodi che vengono incomprensibilmente sottovalutati dal DAP e che vedono coinvolti sistematicamente donne e uomini appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria spesso offesi, umiliati, feriti. Ogni 9 giorni un detenuto si uccide in cella e ogni 24 ore ci sono in media 23 atti di autolesionismo e 3 suicidi in cella sventati dalle donne e dagli uomini del Corpo di Polizia Penitenziaria. Non vediamo però soluzioni concrete alle aggressioni, risse, rivolte e incendi che sono all’ordine del giorno, visto
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anche il costante aumento dei detenuti in carcere, o all’endemica carenza di 7.000 unità nei ruoli della Polizia Penitenziaria. Ai direttori delle carceri vorrei dire che sappiamo come non sia cosa semplice gestire un penitenziario, ma vorrei stimolarli a ricercare sempre un confronto costante, continuo e collaborativo con i rappresentanti delle Organizzazioni sindacali, che sono espressione del Personale. A creare le condizioni per favorirne il benessere, stante anche il particolare (e stressante) lavoro che svolge. A garantire condizioni di lavoro ottimali e più sicure per chi vive il carcere in prima linea: ossia le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria che svolgono quotidianamente il servizio con professionalità, zelo, abnegazione e soprattutto umanità in un contesto assai complicato per l'esasperante sovraffollamento. Servono, però, anche interventi di natura legislativa. Se, ad esempio, i detenuti lavorassero tutti e a tempo pieno, avrebbero il tempo impegnato e questo non favorirebbe certo l’ozio penitenziario. Come SAPPE, da tempo denunciamo che l’Amministrazione Penitenziaria, nonostante i richiami di Bruxelles, ha solo parzialmente migliorato le condizioni di vivibilità nelle celle, perché ad esempio il numero dei detenuti che lavorano è irrisorio rispetto ai presenti. E quasi tutti quelli che lavorano lo fanno alle dipendenze del DAP in lavori di pulizia o comunque interni al carcere, poche ore a settimana. Eppure chi sconta la pena in carcere ha un tasso di recidiva del 68,4%, contro il 19% di chi fruisce di misure alternative e addirittura dell’1% di chi è inserito nel circuito produttivo. Manca allora certamente la volontà politica ma questo è anche il risultato delle politiche penitenziarie sbagliate degli ultimi 25 anni, che hanno lasciato solamente al sacrificio ed alla professionalità delle donne e degli uomini della Polizia Penitenziaria la gestione quotidiana delle sovraffollate carceri italiane. Ed è proprio tenendo a mente la professionalità ed il sacrificio dei Baschi Azzurri che ci si dovrebbe approcciare alle tematiche del carcere. Questo, almeno, il mio, nostro, auspicio. F
IL PULPITO
Mio padre, adesso, è come mille venti che soffiano...
Un uomo nato per condurre, accompagnare e aiutare gli altri. La sua vita è stata interamente dedicata a questo. Con lui se n’è andata una parte di me e una parte di tutti i suoi cari. Nazzareno era un pezzo di ognuno di noi. E ora, basterà mettere insieme i ricordi che ciascuno ha di lui, per farlo sembrare ancora presente tra noi. Tempo fa mi sono imbattuto in un canto degli indiani navajo, intitolato “Io non sono morto” e che mi ha colpito in modo particolare. Il canto è intonato da una persona defunta e si rivolge ai cari che soffrono per la sua morte.
H
o pianto tutte le lacrime che avevo. Ho provato tutto il dolore che è stato possibile contenere nella mia anima. E’ stato il distacco più doloroso della mia vita ...come si fa, dopo cinquantanove anni, ad accettare che papà non ci sarà più? E pur tuttavia qualcosa, in fondo al mio cuore, mi dice di essere grato al mio destino per aver avuto, per tutti questi anni, il privilegio di due genitori. Un privilegio che la vita mi ha dato e che adesso si riprende. Che strana cosa la vita ...un passaggio su questa terra, più o meno piacevole, più o meno duraturo, insieme a qualcuno che farà con te una parte, più o meno lunga, del viaggio. Nazzareno è stato qualcosa di più di un padre ...Nazzareno è stato il mio Virgilio. Nazzareno è stato colui che mi ha preso in braccio appena sceso dalla barca di Caronte e mi ha accompagnato per tutte le strade dell’inferno e del purgatorio, fino a condurmi nel paradiso terrestre della mia esistenza. Poi, esaurito il suo compito, se n’è andato. Un giorno lo ritroverò, sono sicuro che lo ritroverò ...così come sono sicuro che lui ha ritrovato suo padre Giovanni Battista. Nazzareno ha esercitato il ruolo di padre in maniera esclusiva. Sentiva su di se la responsabilità, unica e individuale, di farsi carico della vita di tutti i suoi congiunti. La sua idea di famiglia era di tipo patriarcale e, per lui, tutti coloro che avevano un legame di sangue meritavano protezione. E la sua dedizione era totale. Dopo trentaquattro anni di polizia, si era ritirato, come Cincinnato, a coltivare il suo orto ( ...ma nessuno è
mai venuto a richiamarlo alle armi). E’ morto prima che scadesse la sua patente di guida. Con grande impegno e sacrificio era riuscito a farsela rinnovare fino a giugno 2017. Nel 2015, a novantuno anni, si rivolse a diversi medici, fino a quando ne convinse uno che aveva ancora le capacità psico-fisiche per guidare un’automobile. Non subirà mai l’onta di vedersi negare la patente di guida per inabilità fisica o mentale. Fino a un paio di anni fa, oltre novanta compiuti, era ancora saldo sul volante e accompagnava a destra e a manca tutti coloro che ne avevano bisogno. Poi un progressivo decadimento psicofisico l’ha costretto a un ruolo un po’ meno attivo ...ma mai di retroguardia. Aiutato dal suo bastone (quello che fu del padre) e nonostante la schiena curva, col suo sguardo penetrante e con voce ferma e perentoria, continuava a distribuire consigli e suggerimenti a tutti. Quando si è reso conto di non poter fare più il pilota si è spostato al posto del navigatore. Chi non ha conosciuto Nazzareno non potrà mai immaginare il carisma, il fascino e l’autorevolezza che aveva.
Giovanni Battista de Blasis Direttore Editoriale Segretario Generale Aggiunto del Sappe deblasis@sappe.it
“Non avvicinarti alla mia tomba piangendo. Non ci sono. Non dormo lì. Io sono come mille venti che soffiano. Io sono come un diamante nella neve, splendente. Io sono la luce del sole sul grano dorato. Io sono la pioggia gentile in attesa dell’autunno. Quando ti svegli la mattina tranquillo, sono il canto si uno stormo di uccelli. Io sono anche le stelle che brillano, mentre la notte cade sulla tua finestra. Perciò non avvicinarti alla mia tomba piangendo. Non ci sono. Io non sono morto.” Mio padre era cattolico, particolarmente devoto alla Madonna, ed io spero davvero che abbia trovato quei luoghi promessi dalla sua religione, dove potersi ricongiungere coi suoi genitori. Se, però, così non fosse, mi auguro con tutto il cuore che esista quello che sognavano i navajo e che mio padre, adesso, sia ...come mille venti che soffiano. Ed io prometto che non mi avvicinerò alla sua tomba piangendo. F
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Nelle foto: Nazzareno De Blasis
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L’OSSERVATORIO POLITICO
Giovanni Battista Durante Redazione Politica Segretario Generale Aggiunto del Sappe giovanni.durante@sappe.it
Il divieto di spedire o ricevere libri dal carcere
C
Nella foto: la Corte di Cassazione nell’altra pagina libri
on ordinanza depositata il 29 aprile 2016, il Magistrato di sorveglianza di Spoleto ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 41 – bis, comma 2 – quater, lettere a) e c), della legge 26 luglio 1975, n. 354, nella parte in cui - secondo il "diritto vivente" - consente all'Amministrazione penitenziaria di adottare, tra le misure di elevata sicurezza interna ed esterna volte a prevenire contatti del detenuto in regime differenziato con l'organizzazione criminale di appartenenza o di attuale riferimento, il divieto di ricevere dall'esterno e di spedire all'esterno libri e riviste a stampa.
contenute nella precedente circolare n. 8845/2011 del 16 novembre 2011. Tale circolare prevede che siano rimossi dalle biblioteche degli istituti penitenziari i libri contenenti tecniche di comunicazione criptate; che l'acquisto di qualsiasi tipo di stampa autorizzata (quotidiani, riviste, libri) possa essere effettuato dai detenuti esclusivamente nell'ambito dell'istituto penitenziario, anche per quanto riguarda gli abbonamenti, i quali debbono essere sottoscritti dalla direzione o dall'impresa di mantenimento onde evitare che terze persone vengano a conoscenza dell'istituto di assegnazione del detenuto; che sia vietata la ricezione di libri e riviste provenienti dai familiari,
Il giudice a quo è stato investito della questione da un detenuto del carcere di Terni, il quale chiedeva di poter ricevere dai propri familiari libri e riviste a stampa tramite corrispondenza o pacco postale, ovvero mediante consegna in occasione dei colloqui nell'istituto penitenziario, previa disapplicazione della circolare del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia n. 3701/2014 dell'11 febbraio 2014, che ripristina le disposizioni preclusive già
anche tramite pacco consegnato in sede di colloquio o spedito per posta, come pure la trasmissione del predetto materiale all'esterno da parte del detenuto; che sia impedito, altresì, l'accumulo di un numero eccessivo di libri nelle camere di detenzione, anche al fine di agevolare le operazioni di perquisizione ordinaria; che sia evitato, infine, lo scambio di libri e riviste tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialità. Il Magistrato di sorveglianza di Spoleto aveva precedentemente accolto un
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reclamo dello stesso detenuto, disapplicando una circolare del Dipartimento amministrazione penitenziaria, perché ritenuta in contrasto con l’articolo 15 della Costituzione e ritenendo, sulla base di una interpretazione orientata degli artt. 41 – bis e 18 – ter dell’Ordinamento penitenziario che spettasse alla sola autorità giudiziaria disporre limitazioni e l’eventuale visto di controllo sui libri e sulle riviste spedite al detenuto o da questi trasmesse ai familiari. Successivamente, però, la Corte di Cassazione si era espressa in senso opposto, ragione per la quale, nel 2014, l’amministrazione aveva emanato un’altra circolare, nel 2014, che ribadiva le disposizioni della circolare disapplicata. La Corte di Cassazione ha annullato in plurime occasioni i provvedimenti dei magistrati di sorveglianza che avevano disapplicato la circolare ministeriale del 2011, ritenendo che le relative disposizioni rappresentino coerente esplicazione di un potere conferito all'amministrazione penitenziaria dall'art. 41-bis dell’Ordinamento penitenziario. Tali disposizioni, secondo la Corte di Cassazione, non comprimerebbero eccessivamente il diritto allo studio e all'informazione del detenuto, il quale può sempre ottenere le pubblicazioni mediante l'istituto penitenziario, soffrendo soltanto una maggiore difficoltà nella loro acquisizione; maggiore difficoltà ampiamente giustificata, tuttavia, dal dato di esperienza per cui libri, giornali e stampa in genere sono molto spesso usati dai detenuti in regime differenziato per comunicare illecitamente con l'esterno. Sempre secondo il giudice di legittimità la ricezione della stampa non sarebbe,
L’OSSERVATORIO POLITICO tuttavia, qualificabile come corrispondenza in senso stretto, concetto riferibile alle sole comunicazioni interpersonali tra mittente e destinatario, particolarmente tutelate in quanto strumento per il mantenimento di un nucleo di relazioni e di vita affettiva da considerare intangibile anche a fronte delle forme più intense di restrizione della libertà personale. Nella specie, si discuterebbe, invece, della trasmissione di pubblicazioni che contengono espressioni di pensiero di terze persone destinate alla generalità dei lettori, rispetto alle quali verrebbe in rilievo una diversa facoltà del detenuto, quella di informarsi e di istruirsi, cosa peraltro non preclusa dalle disposizioni ministeriali che impongono canali di acquisto diversi e più controllati. Il giudice a quo, nell’ordinanza di remissione, affronta soprattutto la questione della sostanziale incompetenza dell’organo che ha imposto le restrizioni, cioè l’Amministrazione penitenziaria,
rispetto ad una competenza che egli ritiene essere di natura giurisdizionale, in relazione ad altre disposizioni normative dell’Ordinamento penitenziario (es. 18 -ter), come la possibilità, appunto, di limitare la corrispondenza, ovvero di sottoporla a visto di controllo, non condividendo in toto l’impostazione data alla questione dalla stessa Corte di cassazione. La Corte costituzionale ha sostanzialmente condiviso l’impostazione finora data dalla Corte di cassazione, avendo affermato,
appunto, che in assonanza con la giurisprudenza di legittimità, che le regole di cui si discute non incidono sul diritto alla corrispondenza del detenuto, quale riconosciuto - in termini coerenti, sotto il profilo considerato, con la condizione di restrizione della libertà personale in cui egli versa e perciò non collidenti con la previsione dell'art. 15 Cost. dalla legge di Ordinamento penitenziario... È, peraltro, palese che - in presenza di una immutata libertà di corrispondenza epistolare e di scelta dei testi con cui informarsi ed istruirsi - il mero fatto che il detenuto debba servirsi dell'istituto penitenziario per l'acquisizione della stampa, e non possa trasmetterla all'esterno, non determina livelli di sofferenza e di svilimento della sua persona tali da attingere al paradigma avuto di mira dalla citata norma convenzionale. Ciò ricordato, deve escludersi che il divieto di scambiare libri e riviste con l'esterno, e con i familiari in specie, tramite il servizio postale possa essere assimilato - come ipotizza il rimettente - alla sottoposizione della corrispondenza del detenuto a visto di controllo, la cui disciplina nazionale nell'assetto anteriore alla legge n. 95 del 2004 - è stata ripetutamente censurata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. La limitazione dei canali di ricezione della stampa e il divieto di trasmetterla all'esterno non solo non incidono affatto - come è ovvio - sulla segretezza della corrispondenza del detenuto (diversamente dal visto di controllo), ma neppure comprimono, alla luce delle considerazioni in precedenza svolte, la libertà di corrispondere a mezzo posta già riconosciutagli dalla legge nazionale in coerenza con la condizione di legittima restrizione della libertà personale in cui il soggetto versa: libertà - quella di corrispondere a mezzo posta - che continua a potersi esplicare, in tutta la sua ampiezza, tramite l'ordinaria corrispondenza epistolare. È a mezzo di questa che il detenuto può continuare ad intrattenere le sue relazioni affettive con i familiari. F
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Roberto Thomas Docente del corso specializzato di formazione in criminologia minorile presso La Sapienza Università di Roma Già Magistrato minorile
CRIMINOLOGIA
La prevenzione della devianza-criminalità minorile mediante l’educazione sociale
S
i deve premettere che, purtroppo, una analisi etimologica del termine criminologia - derivante dal greco xrìma, che significa sentenza di condanna (da cui deriva la parola latina crimen e cioè delitto) e logos, che significa ragionamento – ha indotto a considerare la criminologia come la scienza del male che studia esclusivamente i delitti e le personalità criminali (cosiddetti criminal profiling), trascurando , soprattutto per quanto converne il pianeta minori, l'importanza dello studio della prevenzione della devianza e dei delitti che, a mio parere, costituisce la parte principale della multidisciplinare materia criminologica.
Nella foto: il dipinto “ la libertà che guida il popolo“ opera di Eugène Delacroix
Ora, partendo dal presupposto dell'importanza genetica, alle volte purtroppo prevalente, anche se non esclusiva, dell'ambiente sociale sulla commissione dei reati e delle devianze, occorre evidenziare, come bilanciamento positivo alle spinte criminogene ambientali, in primo luogo per importanza, le politiche economiche e sociali di prevenzione al fenomeno criminoso, che dovrebbero produrre una forte educazione sociale idonea a sopperire, almeno in parte, alle carenze educative strutturali derivanti, purtroppo, dalla crisi della famiglia (per la sempre maggiore
disgregazione della sua unità) e della scuola (per la precarietà dei suoi insegnanti e la mancanza dell'applicazioni di valori validi condivisi anche in rapporto all'integrazione multietnica degli studenti). Esse sono basate sul principio programmatico educativo della solidarietà, previsto espressamente nell'articolo 2 della Costituzione che , dopo aver garantito il riconoscimento dei “diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”, esige con forza “l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Tale fondamentale principio si riporta storicamente a quello della “fraternité”, espresso per la prima volta nella rivoluzione francese del 1789 insieme a quelli di “liberté” ed “égalité”. Siffatte politiche sono attualmente in Italia piuttosto deficitarie, in questo periodo di grave crisi economica mondiale, soprattutto per quanto riguarda la possibilità per i giovani di reperire un lavoro onesto, strumento indispensabile per distoglierli dalle “sirene criminali” di facili guadagni illeciti e di comportamenti aggressivi causati dalla frustrazione di non poter realizzare concretamente i propri desideri in una società sempre più competitiva. Sicuramente le precitate politiche dovranno interessare in particolare il cosiddetto Terzo Settore che comprende tutto il mondo del volontariato, in particolare quello giovanile, attraverso l'incentivazione alla creazione di associazioni onlus a carattere non profit, mediante la previsione della destinazione di un
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finanziamento pubblico a loro dedicato con la creazione di fondi specifici per la formazione degli operatori . Siffatte associazioni, generalmente, hanno un contenuto di carattere culturale e ricreativo per i ragazzi come, tanto per citare due esempi concreti, quella denominata “Il tappeto di Iqbal” che tenta di realizzare un delicato progetto di strappare gli adolescenti di Napoli dal degrado morale e culturale e dal potenziale, ma assai presente, pericolo di affiliazione alla camorra, mediante spettacoli di teatro civile e circensi, ovvero l'associazione “Radio Kreattiva” che costituisce la prima Web-radio in Italia che combatte le mafie con le sue trasmissioni in rete . Tra le politiche sociali che devono essere implementate in Italia sicuramente prioritaria è quella relativa all'incremento del numero e della qualità dei servizi sociali locali e delle case famiglia di accoglienza dei minori in stato di abbandono morale o materiale, tra i quali spiccano per il loro numero quelli stranieri non accompagnati, spesso ospitati, per carenza di posti disponibili in casa famiglia, nei centri di accoglienza per immigrati insieme agli adulti che, sovente collocati in quartieri già degradati delle nostre città, possono essere causa di tensioni locali con gli abitanti dei medesimi. L'attività dei servizi sociali regolamentata con la legge istitutiva 25 luglio 1956 n. 888 - pur con carenze evidenti di mezzi, strutture e personale, costituisce , di fatto, un possibile argine alla devianza criminalità minorile, una volta che sia avvenuta il fallimento dell’operato familiare e scolastico. Il suo approccio consiste nel
CRIMINOLOGIA supportare la struttura familiare, in crisi nella gestione del figlio minore (ad esempio perché ribelle alle regole, ovvero dedito all’uso di sostanze stupefacenti ), stimolando nel genitore una sua più forte identità di educatore “affettivo”, idonea ad interpretare il linguaggio delle emozioni, con cui si esprime il disagio del minore, ed anche indirizzando l’adolescente e i suoi genitori verso centri specializzati nella psicoterapia familiare e di contrasto all’uso della droga, gestiti, in generale, direttamente dagli enti locali (quali ad esempio i consultori familiari e i centri di igiene mentale). In tali casi l’opera dei servizi non è solo di sostegno nei confronti dei minori e della loro famiglia, ma apporta un progetto di medio termine, impostato su di un tentativo del recupero del rapporto adolescenti genitori, attivando, a tal fine, tutti i centri di aggregazione sociale disponibili sul territorio (istituti scolastici, rete parentale e amicale, centri culturali e religiosi ecc.), sovente, mediante l’utilizzo non solo degli strumenti psicologici di convinzione, ma anche mediante la minaccia che un suo fallimento porterebbe, in caso di urgenza, ad un intervento autonomo autoritativo dello stesso servizio (ex art. 403 del codice civile , con l’inserimento coattivo del minore in una delle case famiglia di accoglienza per adolescenti. Queste piccole comunità, che riproducono l’ambiente affettivo proprio di una famiglia normale, hanno sostituito le precedenti grandi comunità a decorrere dal 2009 (ai sensi dell’art. 2, punto n. 4 della L. 28 marzo 2001 n. 149 e successive proroghe annuali), considerandosi, giustamente, che queste ultime potessero indurre nei minori un fenomeno di anomia e di spersonalizzazione depressiva, dovuto al gran numero dei loro ospiti e, altresì, a possibili condizionamenti collettivi di devianza. In queste strutture (di regola non superiori, per presenza, alle dieci unità) l’adolescente può ritrovare sé stesso e frequentare la scuola più
vicina, a secondo della scelta dell’indirizzo a cui deve partecipare , ovvero, dopo i sedici anni, essere avviato ad un onesto lavoro . I ruoli genitoriali vengono riproposti dalle figure di riferimento dei singoli operatori della casa famiglia – normalmente costituite da quelle professionali di psicologi, educatori o assistenti sociali - che stabiliscono le regole interne di comportamento e controllano il percorso educativo del minore ospitato. Il periodo di permanenza, all’interno di tali strutture residenziali, di regola, non può superare il compimento del diciottesimo anno di età del giovane, però, nei casi più gravi, nel suo interesse, e su proposta del servizio sociale competente territorialmente, la permanenza può essere prorogata fino al ventunesimo anno di età (prorogato a venticinque anni dal decreto legge 26 giugno 2014 n. 92), con decisione motivata del Tribunale per i minorenni. Inoltre i Servizi sociali sono importanti organi di raccordo con l'autorità giudiziaria minorile nell'ambito del processo penale ai sensi dell'art. 6 del D.P.R. n. 448 del 1988 che recita : “In ogni stato e grado del procedimento l'autorità giudiziaria si avvale dei servizi minorili dell'amministrazione della giustizia. Si avvale, altresì, dei servizi di assistenza istituiti dagli enti locali”. Invero essi realizzano un'importante funzione informativa fornendo ai magistrati minorili delle relazioni contenente ogni possibile notizia sul minore, sulla sua famiglia e sul contesto sociale di riferimento. Inoltre attuano una fondamentale funzione di intervento sul minore, mediante il suo trattamento mediante l’ascolto accogliente, il sostegno e il controllo dello stesso in tutto l'ambito processuale penale, con particolare rilievo nella procedura di messa alla prova che costituisce una causa di sospensione del processo penale a carico del minore con affidamento alla “prova” predisposta dai servizi sociali che se avrà esito positivo porterà all'estinzione del reato commesso.
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I titoli di studio, dell’Università Telematica PEGASO, oltre ad accrescere la cultura personale, sono spendibili per la partecipazione a concorsi riservati a laureati (esempio Commissario penitenziario).
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SSD
CFU
1 Principi costituzionali
IUS/08
9
2 Istituzioni di diritto romano
IUS/18
12
3 Istituzioni di diritto privato
IUS/01
18
4 Storia del diritto medievale e moderno
IUS/19
9
5 Teoria generale del diritto e dell’interpretazione IUS/20
6
Totale
54
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DIRITTO E DIRITTI
Giovanni Passaro passaro@sappe.it
Le fonti costituzionali del diritto penitenziario
L’
Nella foto: aula di un Tribunale italiano
Ordinamento penitenziario è composto da un insieme di norme destinate a incidere su quel bene, definito dalla stessa carta costituzionale come “fondamentale”, rappresentato dalla libertà personale, e rivolte a coloro che a titolo definitivo hanno acquistato lo status di condannato.
principio sopraccitato. ART.10 COST. richiede all’ordinamento giuridico italiano di conformarsi alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute, quali norme consuetudinarie che assumono nel nostro ordinamento il rango di norme costituzionali per riconoscimento della Corte stessa,
Data la peculiarità e delicatezza della materia, è parso necessario al legislatore costituzionale individuare principi che tutelino il detenuto nella fase esecutiva della pena, il cui rispetto è garantito dalla nostra Costituzione. Principi che pongono la stessa come fonte primaria dell’ordinamento penitenziario. Le norme coinvolte sono le seguenti: ART.2 COST. garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, anche se detenuto. ART.3 COST. assicura il principio di eguaglianza sia nel trattamento penitenziario sia nel procedimento di sorveglianza, garantendo così sia una parità di condizioni di vita tra internati e detenuti. Numerose sono le pronunce emesse dalla Corte costituzionale denunciando un contrasto tra le norme dell’ordinamento penitenziario e il
salvo che risultino incompatibili e in contrasto con i principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale. ART.13 COST. espressamente recita: “La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell'Autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. In casi eccezionali di necessità e urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l'autorità di Pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all'Autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni
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effetto. È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà. La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva”. In questa norma il legislatore costituzionale stabilisce una riserva di giurisdizione e una riserva di legge statale. ART.24 COST. prescrive la difesa come un diritto inviolabile da garantire in ogni grado e stato del processo; questo enunciato fa si che anche nel procedimento di sorveglianza il diritto di difesa del condannato trovi piena attuazione, dovendo quest’ultimo nominare necessariamente un difensore di fiducia o anche d’ufficio. ART.25 COST. contiene i principi generali su cui poggia l’intero sistema sanzionatorio penale, e sancisce che: “Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge”, “nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso” e “nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge”. Grazie al primo comma viene garantita l’individuazione del giudice sulla base di criteri che ne assicurino l’imparzialità rispetto alla questione portata in giudizio, ed evitando la discrezionalità nell’assegnazione degli incarichi tra i magistrati. Il secondo comma introduce quel principio meglio conosciuto come “principio di legalità” o come canonizzato dal criminalista tedesco Anselm Feuerbach nella famosa formula latina “nulla poena sine lege” e che esplica la sua importanza in quattro sottoprincipi: il principio di legalità opera in primo luogo come riserva di legge assoluta dal quale discende che solo la legge o un atto a essa equiparato possono stabilire se un fatto sia
DIRITTO E DIRITTI qualificabile come reato e individuare con quale sanzione e in quale misura debba essere represso; la legge nel delineare quale comportamento sia qualificabile come illecito non può utilizzare formule generali o ambigue ma deve rispondere al principio di tassatività e determinatezza affinché la norma penale possa adeguatamente fungere da guida del comportamento del cittadino; risponde inoltre al principio di irretroattività della legge penale, ispirato alla garanzia della libertà personale, limitando il potere punitivo del legislatore verso fatti commessi prima della sua entrata in vigore e infine sottende il divieto di analogia, evitando che al ricorrere dell’identità di ratio venga valutata una fattispecie da disposizioni regolanti casi simili o materie simili. Nel terzo comma, il costituente, prendendo atto del carattere sanzionatorio delle misure di sicurezza, ha cercato attraverso la riserva di legge di attenuare la discrezionalità del giudice e la trasformazione di queste in pene arbitrarie, sancendo la loro definitiva applicabilità solo nei casi e modi previsti dalla legge. ART.27 COST. costituisce un altro fondamento su cui ruota l’intero sistema sanzionatorio penale. Grazie a questa previsione legislativa si garantisce un vero controllo giurisdizionale sul momento applicativo della sanzione, quale risultato finale di un’evoluzione secolare della normativa in materia nel segno di una crescita della civiltà giuridica. L’art. 27 comma 2 Cost. detta una presunzione di non colpevolezza dell’imputato fino alla pronuncia della sentenza definitiva, da cui ne discende come inevitabile conseguenza una diversità nel trattamento penitenziario rispetto a quello previsto per il condannato. L’articolo prosegue sancendo nel suo comma 3 che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso d’umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Questo comma evidenzia come la pena restrittiva della libertà personale non è in sé, contraria al senso d’umanità, ma potrebbe diventarlo attraverso
modalità vessatorie dell’esecuzione, e non esaurisce i suoi fini nella retribuzione del reato (stabilita in misura proporzionale alla personalità del reo e alla gravità del reato), dovendo il legislatore porsi il problema del rientro del reo nella società dalla quale si è autoescluso con il reato, una volta espiata la condanna, e dovendo altresì porsi l’obiettivo di un rientro in società meno traumatico possibile, rieducandolo a vivere ed agire nella stessa. Pertanto obiettivo inderogabile del legislatore sarà far si che tutte le pene tendano alla rieducazione del condannato, affinché nessuna possa esserne esclusa dall’utilizzazione degli strumenti
attendere l’espiazione totale della pena per assolvere la finalità rieducativa e trarne la conseguenza pro reo, potendo essere perseguita con modalità espiative extracarcerarie, intese non come una ricompensa dell’avvenuta rieducazione, ma come una modalità mediata di conseguimento. Occorre precisare però che tale obbligo si pone in termini di vincolare il legislatore nella scelta degli strumenti di esecuzione della pena ma non lo autorizza a raggiungere l’obiettivo coattivamente, giacché la limitazione della libertà personale deve sempre adeguarsi al rispetto della personalità del condannato. In conclusione, se da un
predisposti per il conseguimento di detto fine. Infatti, come la Corte costituzionale ha ricordato, che “al di là del miglioramento del reo, la pena svolge un’essenziale funzione di tutela dei cittadini e dell’ordine giuridico contro la delinquenza da cui dipende l’esistenza stessa della vita sociale e che la finalità rieducativa, ove correttamente perseguita, può rappresentare essa stessa un contributo ad una efficiente difesa sociale contro il delitto”. E’ in questa prospettiva che nasce l’obbligo per il legislatore di prendere di mira la finalità rieducativa e di disporre di tutti i mezzi idonei per realizzarla; obbligo inteso non come una passiva indulgenza ma come un impegno istituzionale in tal senso. Di conseguenza, è lecito presumere che non è neppure necessario
lato, il dettato costituzionale auspica a una collaborazione spontanea del reo affinché la pena non si limiti ad assolvere il solo compito retributivo, dall’altro non si forniscono nuovi elementi in grado di dare un contenuto concreto alla “rieducazione” che il legislatore deve perseguire mediante l’esecuzione della pena. ART. 35 E 36 COST. che tutelano il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni, quindi anche quello sui detenuti. ART.79 COST. che come modificato dalla Legge costituzionale del 6 marzo 1992 n. 1 disciplina l’amnistia e l’indulto. ART 111 COST. che a seguito della nota modifica con Legge costituzionale del 23 novembre 1999 n. 2 ha introdotto dei successivi principi fondamentali, quali ad esempio il
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Nella foto: l’aula della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo
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DIRITTO E DIRITTI giusto processo regolato dalla legge; principi applicabili davanti qualsiasi giurisdizione, compreso quindi anche quello di sorveglianza. Ha introdotto il principio secondo cui debba essere data la garanzia dello svolgimento di ogni processo nel rispetto del contraddittorio tra le parti, in condizione di parità davanti un giudice terzo e imparziale, assicurando una ragionevole durata del processo. Inoltre, nello specifico il dettato costituzionale sancisce che in ogni processo penale la legge assicuri che la persona accusata di un reato, nel più breve tempo possibile, sia informata riservatamente circa la natura e i motivi dell’addebito penale posto a suo carico; disponga di tempo e condizioni necessarie per preparare la propria difesa; abbia la facoltà, davanti al giudice, di interrogare e far interrogare le persone che abbiano reso dichiarazioni a suo carico o in sua difesa e la facoltà di acquisire ogni altro mezzo di prova a suo favore; sia assistita da un interprete se la persona accusata non conosce la lingua impiegata nel processo. Ma soprattutto l’art. 111 Cost. individua il principio sulla base del quale è regolato il processo penale, rappresentato dal contraddittorio nella formazione della prova e da cui ne discende anche che la colpevolezza dell’imputato non puo’ essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi,
per libera scelta, si sia sempre sottratto volontariamente all’interrogatorio. La legge, inoltre, regola i casi in cui la formazione della prova non a luogo in contraddittorio per consenso dell’imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita; prevede che tutti i provvedimenti giurisdizionali siano motivati, consentendo così alle parti la conoscenza del ragionamento logicogiuridico che ha portato il giudice all’adozione del provvedimento. L’articolo termina riconoscendo il diritto di ricorrere in Cassazione a seguito di una violazione di legge, avverso tutte le sentenze e i provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari e speciali. ART.117 COST. prescrive che la potestà legislativa è esercitata nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Da quest’articolo discende quindi che, il legislatore Italiano, dovrà legiferare rispettando non solo la carta costituzionale, ma anche quanto previsto dall’Unione Europea, dai trattati internazionali e dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, così come interpretata dalla Corte Europea. F
Lutto in Redazione Proprio mentre questo numero della Rivista era in chiusura, è arrivata la triste notizia della scomparsa di Nazzareno de Blasis, papà del nostro Direttore editoriale Giovanni Battista. Tutti i componenti la Redazione ed il Comitato scientifico si stringono con affetto a Gianni ed ai familiari e partecipano al Loro grande dolore.
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a recente riorganizzazione del Ministero della Giustizia, con la istituzione del Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità, strutturato in due Direzioni generali una delle quali dedicata alla esecuzione penale esterna, è ulteriore tangibile segno di radicale cambiamento di prospettiva nelle politiche dell’esecuzione della pena. L’unificazione dei due sistemi, quello Minorile e quello dell’Esecuzione Penale Esterna, entrambi orientati a considerare la centralità della persona nei programmi trattamentali in ambiente libero, così come la riflessione conclusiva degli Stati generali dell’esecuzione penale sulla crisi del tradizione sistema di repressione penale e delle misure alternative per la loro strutturale inadeguatezza, mostrano chiaramente come un sistema di esecuzione della pena, moderno e in linea con il sistema europeo, sia possibile ove si riconosca davvero come extrema ratio l’esecuzione della pena intramuraria, in favore di un sistema di repressione fondato su misure esterne che siano limitative – ma non privative – della libertà personale e che si svolgano sul territorio. In tale ottica si spiegano i recenti importanti interventi di modifica normativa volti a rafforzare il sistema dell’esecuzione esterna, tra cui l’introduzione della messa alla prova per gli adulti, l’ampliamento dei presupposti per l’accesso alle misure alternative al carcere, l’incremento di sanzioni alternative al carcere come quella del lavoro di pubblica utilità in materia di violazione del codice della strada. Già da subito apprezzabili i risultati ottenuti con il suddetto cambio di prospettiva. L’esame dei dati statistici relativi alla popolazione carceraria e ai soggetti ammessi alle misure alternative alla detenzione mostra chiaramente la crescita delle sanzioni di comunità passate da un numero pari a 26.000 nel 2011 ad un numero di circa 41.910 al 15 settembre 2016. Al di là di questi dati, è di tutta evidenza come il nuovo sistema di
GIUSTIZIA MINORILE
Le nuove prospettive dell’Esecuzione Penale Esterna repressione penale “aperto” possa funzionare solo ove dimostri la sua credibilità, ove cioè sia in grado di porsi quale effettivo strumento di controllo sociale dell’esecuzione della pena. La tenuta del sistema dell’Esecuzione Penale Esterna e la sua credibilità passano cioè necessariamente attraverso il superamento della diffusa percezione per cui l’unica pena possibile sia quella della segregazione in carcere. Di qui la necessità, per scongiurare tale insidie, di costruire un sistema di misure alternative progetto che preveda un serio e sicuro impegno del reo, a partire dalle sue condizioni di vita personale e familiare e dalle sue esigenze educative, con il coinvolgimento del contesto territoriale di appartenenza e di tutte le agenzie educative presenti sul territorio. A tale proposito è necessario che i contenuti delle prescrizioni comportamentali si articolino in impegni di studio, di formazione o di lavoro, in percorsi di mediazione penale e nell’adesione a programmi terapeutici presso i Servizi per le Dipendenze, le comunità terapeutiche e il Dipartimento di salute mentale. L’attività di lavoro, in particolare, deve necessariamente essere qualificata e qualificante, deve cioè svilupparsi in un contesto territoriale che “provochi”, che ponga interrogativi, che sia tale da consentire al reo di recuperare il senso di ciò che ha tolto o del dolore/danno che ha arrecato alla vittima. Relativamente ai lavori di pubblica utilità, il D.M. 8 giugno 2015 n.88, che regolamenta la disciplina delle convenzioni per lo svolgimento del
lavoro di pubblica utilità ha consentito di avviare sul territorio una nuova fase di intese e di accordi più specificamente concentrati sulla messa alla prova che si vanno ad aggiungere a quelle già sottoscritte per l’applicazione dell’art.54 del DL 274/2000. Ritengo di fondamentale importanza, anche in quest’ambito, il coinvolgimento del volontariato che, previa adeguata formazione, può costituire significativo supporto alla attività degli operatori dell’Uffici di Esecuzione Penale Esterna. Per queste ragioni, anche in un’ottica di adeguamento alle previsioni di cui alla Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012, è auspicabile che le prescrizioni trattamentali, ove possibile, contemplino interventi di giustizia riparativa e/o di mediazione penale. Di contro, è parimente necessario, per la credibilità del sistema, istituire sistemi di controllo dell’esecuzione di tutte le misure alternative alla detenzione, attraverso l’impiego di
personale di Polizia Penitenziaria. La valorizzazione del sistema dell’esecuzione penale esterna non deve infatti portare a ritenere che l’esecuzione intramuraria sia cosa diversa e nettamente distinta dall’esecuzione penale esterna. I due sistemi (quello del carcere o dell’esecuzione intramuraria e quello dell’esecuzione penale esterna), infatti, costituiscono i due volti della repressione penale sicché non è possibile sviluppare una politica dell’esecuzione penale esterna senza dare vita ad una nuova politica dell’esecuzione intramuraria. Lo sforzo dell’Amministrazione deve essere proprio quello di creare momenti di coordinamento tra Istituti di pena e Uffici di Esecuzione Penale Esterna che siano funzionali alla realizzazione di percorsi di fuoriuscita dal carcere in favore di quei detenuti che, sia pure meritevoli, non possono essere ammessi ad un programma trattamentale in ambiente libero per mancanza di risorse familiari, economiche o limiti personali. F
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Ciro Borrelli Dirigente Sappe Scuole e Formazione Minori borrelli@sappe.it
Nella foto: un Ufficio per l’Esecuzione Penale Esterna
IL COMMENTO
Roberto Martinelli Capo Redattore Segretario Generale Aggiunto del Sappe martinelli@sappe.it
Dal XXX Consiglio Nazionale le nuove sfide del Sappe
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XXX CONSIGLIO NAZIONALE
È
stata la Puglia ad ospitare i lavori del XXX Consiglio Nazionale del SAPPE. Dal 15 al 17 maggio scorsi, con l’impeccabile regia organizzativa del Segretario Nazionale per la Puglia Federico Pilagatti e del suo staff, a Polignano a Mare, città natale dell’indimenticato cantante Domenico Modugno, si sono riuniti i Consiglieri Nazionali del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria. Oltre a dare esecuzione ai pertinenti adempimenti statutari, l’appuntamento del Consiglio Nazionale è l’occasione per una disamina della situazione penitenziaria e delle attività del Sindacato. Come ha infatti rilevato il Segretario Generale Donato Capece nella sua relazione, quella del Consiglio Nazionale “non vuole essere una ripetitiva ricorrenza annuale, ma un momento essenziale per la politica sindacale, in cui passato e futuro si fondono in un serrato confronto, affinché il Consiglio non si risolva in un ultroneo intercalare
in cui riecheggia il solito monologo, da sottoporre a ratifica postuma, peraltro scontata”. Da tempo noi, che rappresentiamo le donne e gli uomini del Corpo di Polizia Penitenziaria impegnati 24 ore al giorno nella prima linea dei padiglioni e delle sezioni detentive delle oltre 200 carceri italiane, per adulti e minori, sollecitiamo le Autorità competenti affinché si avvii davvero nel nostro amato Paese una indispensabile e decisa inversione di tendenza sui modelli che caratterizzano la detenzione,
modificando radicalmente le condizioni di vita dei ristretti e offrendo loro reali opportunità di recupero. Garantendo, nel contempo, ai poliziotti penitenziari più sicure e meno stressanti condizioni di lavoro, tenuto conto che le tensioni connesse alla detenzione determinano quotidianamente moltissimi eventi critici nelle carceri – atti di autolesionismo, tentati suicidi, risse, colluttazioni – che se non fosse per il nostro decisivo e risolutivo intervento avrebbero più gravi conseguenze. Anche nei giorni del XXX Consiglio Nazionale del SAPPE abbiamo evidenziato quanto siamo stati e siamo impegnati nel valorizzare l’importante ruolo sociale della Polizia Penitenziaria e nel far conoscere all’opinione pubblica i tanti sacrifici che quotidianamente affrontano i Baschi Azzurri del Corpo, che pur con tutte le criticità oggettive lavorano ogni giorno con l’entusiasmo dei fedeli servitori del nostro Stato democratico e repubblicano. Abbiamo ampiamente dibattuto questi temi, anche per sollecitare e favorire
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Nelle foto: a sinistra l’Avv.Putignano sotto la tavola della Presidenza e una votazione
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IL COMMENTO
amministrativa, ma anzi implementandoli”. Sono stati ricordati i moltissimi interventi fatti dal SAPPE in ambito istituzionale e politico, tesi sempre a valorizzare e rivendicare il ruolo del Corpo di Polizia Penitenziario nel contesto interforze. Un percorso costellato da innumerevoli incontri, convegni, sollecitazioni, interviste, dibattiti e confronti finalizzati a dare (come si è dato) l’attuale importante ruolo nel contesto delle Forze di Polizia dello Stato al Corpo di Polizia Penitenziaria. Si è parlato delle cose fatte e di quelle da fare. Si è parlato anche del riordino delle carriere, licenziato dal Consiglio dei Ministri il 24 maggio scorso. “Non era questo il riordino immaginato dal SAPPe”, ha detto con forza Capece. “Noi volevamo un riordino che consentisse ai più meritevoli il raggiungimento delle qualifiche Nelle foto: in alto a destra Nicola Tanzi già Segretario Generale del SAP sopra Federico Pilagatti mentre riceve una targa in basso a destra il nuovo Segretario della Sardegna Luca Fais
un nuovo ruolo operativo del Corpo di Polizia Penitenziaria nell’ambito dell’esecuzione penale esterna. Capece ha rivendicato, con forza, le origini del Sindacato: “Il SAPPe ha affermato con forza, fin dalla sua nascita, il principio dell’autonomia. Il nucleo forte del progetto fu concepire e costruire un sindacato che non avesse altra forza se non la forza stessa di essere una libera associazione di interessi collettivi; senza dunque alcun supporto o garanzia che gli venisse dall’esterno di se stesso, come poteva essere un riconoscimento legislativo o da una approvazione partitica. Il suo essere autonomo lo rende in grado di perseguire l’affermazione dei diritti
del lavoro, il cui non essere separabile dalla persona e dalla sua dignità gli dà supremazia rispetto al capitale, attraverso il conflitto, ma disponibile alla cooperazione. Ed è proprio perché forti di tale autonomia che possiamo intervenire incisivamente nei processi di riforma che agitano, mai come in questo momento, il Comparto Sicurezza-Difesa. Come è noto, infatti, la nostra Amministrazione, nell’ambito di un più generale processo di ammodernamento, è interessata da interventi riformistici, con l’ambizioso obiettivo di ridurre la spesa pubblica senza, per contro, ridurre i livelli di efficienza e di efficacia dell’azione
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IL XXX CONSIGLIO NAZIONALE apicali nell’ambito dei singoli ruoli, mediante una progressione verticistica, affinché il personale, specie più anziano, potesse essere adeguatamente gratificato e motivato”. Va preso quel che di buono c’è, come, a regime, con l’aumento dei parametri e i meccanismi di defiscalizzazione, la stabilizzazione dei famosi 80 euro, con benefici sulla pensione e sulla liquidazione, diversamente da ora in cui gli 80 euro non sono utilmente valutati ai fini previdenziali. C’è anche questo, ma non solo, nel provvedimento licenziato. Va detto, per inciso, che il Ministro della Giustizia Andrea Orlando ha salutato l’approvazione del decreto con queste parole: “Con il Consiglio dei Ministri di oggi abbiamo dato conclusione al percorso di riordino e riallineamento della Polizia Penitenziaria con le altre forze armate e di polizia. Era un promessa che avevo fatto alla festa del Corpo nel corso del mio primo anno in via Arenula. Abbiamo raggiunto un traguardo importante. Un provvedimento che innova, crea percorsi di carriera più chiari, premia il merito e riconosce la dignità che merita alla Polizia Penitenziaria, corpo in prima linea nel coniugare difesa dei diritti e garanzia della sicurezza per la nostra società”. Un Corpo di Polizia dello Stato che, lo ha ricordato ancora Capece al XXX Consiglio Nazionale, nulla ha da invidiare alle altre Forze di Polizia. Bisogna avere l’onestà di ammettere quanto è stato decisivo il SAPPE in questo nuovo consolidamento istituzionale del Corpo. Basterebbe avere l’onestà di volgere il capo all’indietro per vedere dov’eravamo e dove siamo. Basterebbe avere l’onestà intellettuale di ricordare chi parlava (era la voce del Sappe ed era il 1990-91!) di specializzazioni, gruppi cinofili, tiratori scelti, ruolo direttivo, Polizia Penitenziaria nella Dia e in ogni altro contesto interforze impegnato nel contrasto della criminalità - solo per citare alcuni storici risultati ottenuti
dai Baschi Azzurri – quando altri parlavano di cacciare i poliziotti penitenziari dagli uffici matricola e dalle segreterie, per dare spazio ai civili. Tanto è stato fatto, molto c’è ancora da fare. E Capece lo ha detto con forza: “Agli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria dovrebbero essere attribuiti nuovi compiti a differenza della situazione attuale che li vede confinati nella sola funzione di custodia dei detenuti. L’obiettivo è quello di creare una forza di polizia presente anche sul territorio, arricchendola di nuove competenze: eseguire gli ordini di arresto per gli imputati con condanne definitive, ricercare latitanti, controllare gli arrestati domiciliari e i soggetti sottoposti alle misure alternative, proteggere i collaboratori di giustizia, i tribunali e i magistrati e, più in generale, gli obiettivi ritenuti sensibili; i nuclei operativi del servizio di protezione dei “pentiti” potrebbero transitare sotto un’unica polizia, quella della Giustizia. In questa prospettiva, anche il carcere dovrebbe essere riservato solo a quei detenuti che hanno commesso reati di particolare allarme sociale e quindi passare da contenitore sociale indifferenziato ad ipotesi residuale mediante l’ampliamento della platea delle misure alternative ad effetto deflattivo la cui esecuzione, vigilanza e controllo sarebbe affidata ad un apposito contingente della Polizia Penitenziaria”. “Non vi è dubbio che una pena, una volta applicata, deve essere effettivamente espiata in sicurezza,
con l’apporto di uno dei maggiori protagonisti dell’esecuzione penale, vale a dire il Corpo di Polizia Penitenziaria”, ha detto ancora. “In questo senso, si tratta di tentare un’operazione di rinnovamento culturale e di graduale
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Nelle foto: l’attenta platea sotto fuochi d’artificio in basso i Consiglieri Martinelli e de Blasis
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IL COMMENTO
Nella foto: la scritta pirotecnica del Sappe
avvicinamento e livellamento del Corpo della Polizia Penitenziaria alle altre Forze di Polizia: l’obiettivo è quello di conferire alla Polizia Penitenziaria nuove, ulteriori e più pregnanti competenze. L’obiettivo è quello di far uscire la Polizia Penitenziaria dagli angusti confini degli Istituti di pena, assegnandole nuovi compiti come, ad esempio, quello del controllo dei detenuti in esecuzione penale esterna e del presidio di strutture giudiziarie. La Polizia Penitenziaria dovrà spostare le sue competenze al di là delle mura del carcere, parallelamente all’affermarsi del suo ruolo quale quello di vera e propria Polizia
dell’Esecuzione Penale”. Questa è una nuova sfida che lancia il SAPPe, una sfida ambiziosa ma entusiasmante, una sfida che ci deve vedere tutti coinvolti e impegnati. Non è semplice sintetizzare le oltre 20
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pagine della relazione, tali e tanti sono stati i concetti espressi e che hanno poi dato vita ad un ampio dibattito con l’intervento ed il contributo dei Consiglieri Nazionali. Ma vi è un altro aspetto della relazione
XXX CONSIGLIO NAZIONALE che merita di essere evidenziato: “Rivendico come opera del SAPPe l’adozione del provvedimento di assunzione di 887 unità, mediante lo scorrimento delle graduatorie degli idonei non vincitori, con decorrenza dai concorsi dell’anno 2012, assolutamente indispensabile a fronte di una carenza notevole di oltre 8.000 unità, tenuto conto degli effetti distorsivi prodotti dal D.L. 95/2012, convertito in Legge 135/2012, in relazione alla riduzione del turn over con conseguente, ulteriore e notevole dislivello organico, tanto da configurarsi una presenza in servizio di personale sempre più
anziano sia sotto un profilo anagrafico che sotto il profilo dell’anzianità di servizio: ormai si delinea un Corpo affetto da geriatria!” Questo andava ricordato, oltre che per
amore della verità, anche per ricordare che mentre noi si cercava ogni percorso utile a garantirci queste importanti assunzioni c’era chi scriveva comunicati dicendo che no, mai si sarebbero potuti assumere queste ragazze e questi ragazzi. E anche questo va ricordato, perché anche questo è un impegno che il SAPPE ha assunto ed onorato. Il nostro impegno è stato e sarà sempre questo: valorizzare il ruolo istituzionale e sociale del Corpo di Polizia Penitenziaria e fornire sempre nuovi stimoli per lavorare alla costruzione di un Corpo di Polizia dello Stato sempre più al servizio del Paese e dei cittadini. F
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Nella foto: la torta del XXX Consiglio Nazionale del Sappe sotto con tutti i partecipanti
LO SPORT
Lady Oscar rivista@sappe.it
Vela: le Fiamme Azzurre con Mattia Camboni sul podio europeo di Marsiglia
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Nelle foto: tre immagini di Mattia Camboni
attia Camboni è il paradigma di come si possa passare dalla tristezza alla gioia in poco tempo, di come soprattutto non occorra arrendersi mai: vittima di infortuni durante le regate, fuori di un nonnulla dalla top ten alla vigilia dell’ultima giornata, il giovane campione delle Fiamme Azzurre ha risalito la china con la tenacia di un veterano, conquistando un terzo posto
eliminazione per stabilire i tre destinati a contendersi l’oro. Camboni è arrivato con determinazione non comune sino all’ultimo atto, conquistando un bronzo alle spalle del francese Louis Giard e del greco Byron Kokkalanis. Dunque, i successi giovanili di Mattia non erano un fuoco di paglia, ma l’inizio di un percorso di trionfi che adesso ha trovato la consacrazione
esperienza francese -, iniziata nel peggiore dei modi con ben due infortuni durante le regate e l’accesso alla finale negato per un solo punto. Poi una chiamata che ha segnato la fine di una pessima settimana e che mi ha aggiornato sul fatto di avere la possibilità di lottare per il podio. Questo mi ha dato la forza per tirare fuori il meglio di me durante l’ultimo
che vale oro agli ultimi Campionati europei della classe olimpica Rs di Marsiglia. Un risultato che rappresenta il suo primo podio importante nel settore assoluto. Mattia, già eletto nel 2016 atleta dell’anno per il settore vela, è stato l’unico olimpico ad arrivare alle finali di Marsiglia, regalando a se stesso e alla Polizia Penitenziaria un successo bellissimo e meritato. Ciuffo indomito, faccia sbarazzina, piglio sicuro e tanta grinta: vedere il talento di Civitavecchia combattere e lottare nelle acque marsigliesi, sfruttando al meglio la nuova formula sperimentata proprio in questa stagione, ha riempito il cuore dei suoi tifosi: tre regate con ripartenza da zero per i migliori dodici; primi sei avanti per una nuova regata e ulteriore
internazionale e che certamente nei prossimi mesi e nei prossimi anni regalerà ancora medaglie ed emozioni. A credere in lui, da sempre, il gruppo sportivo Fiamme Azzurre e la Federazione Italiana Vela. Ma il “segreto” del giovane Camboni, l’arma in più che non tutti hanno la fortuna di avere al proprio fianco, è certamente la sua famiglia, a partire da quella mamma che lo rimproverava affettuosamente perché usciva di casa senza scarpe fino a nonno Giulio, un vero e proprio “idolo” per Mattia: quando aveva sei anni fu lui a metterlo su una tavola con una vela minuscola dove erano disegnati i personaggi della Disney. Un destino già segnato. “Una delle settimane più strane ed emozionanti della mia vita – ha detto Camboni parlando della sua
giorno di finali; grazie a un pizzico di fortuna agli occhi di molti, e anni e anni di sacrifici sono così riuscito a conquistare la mia prima medaglia internazionale tra i grandi”. Schietto, determinato, ma anche modesto. Doti non comuni per un giovane al giorno d’oggi. Ci permettiamo di “correggerlo” solo in un passaggio delle sue dichiarazioni, quando parla di un “pizzico di fortuna”. La sorte, caro Mattia, aiuta solo gli audaci. E quelli bravi. Come te. Ora che ci hai preso gusto e che soprattutto ci hai regalato grandi soddisfazioni, le Fiamme Azzurre e tutti noi aspettiamo da te nuovi trionfi. Che arriveranno. Ne siamo sicuri. F
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DALLE SEGRETERIE
Elio Lucente un collega ed artista eclettico
E
lio Lucente con l'Associazione i Pittori peligni espone varie volte a palazzo Santoro Colella a Pratola Peligna, a Sulmona a palazzo Mazzara, poi ad Assisi sempre con i Pittori peligni realizza un prestigioso catalogo. Ma la svolta avviene quando viene notato dal critico d'arte professor Massimo Pasqualone, che ne intuisce le potenzialità e lo inserisce nella sua Associazione Culturale Destinazione Arte. Da lì in poi espone all'Aurum di Pescara (la Fabbrica delle idee) con catalogo, poi al Museo Michetti a Francavilla al mare con una sua personale, al prestigiosissimo Museo Barbella a Chieti insieme ai grandi pittori del calibro di Giorgio De Chirico e Juan Mirò, poi al famoso Teatro Italia di Tagliacozzo. Il 17 marzo con l'Associazione Ascom Abruzzo, Elio Lucente espone con una mostra personale presso le sale di Viesse 2 a Francavilla al mare, riscuotendo un grande successo di pubblico e di critici d'arte, prof. Massimo Pasqualone e prof. Rolando D'Alonzo. Il 19 marzo 2016 ad Acqui Terme (AL) vince il primo premio assoluto in Italia Premio Memorial Tenco - La verde isola. Ha fatto mostre itineranti in Italia e all'estero, nelle sontuose sale museali e gallerie d'arte di Roma, Urbino, Forte dei Marmi e Zurigo. Il 28 maggio 2016 nella Fortezza Spagnola di Civitella del Tronto, espone con l'Associazione Culturale Irdi - Destinazione Arte dove viene presentato dal prof. Vittorio Sgarbi, critico e storico dell'arte riscuotendo ammirazione di pubblico e critica. Successivamente ha esposto al Museo d'Arte moderna Vittoria Colonna a Pescara, dove qualche anno prima aveva esposto il padre della pop art Andy Warhol. Dal 1° al 10 febbraio
2017 espone con una personale al prestigioso Museo Costantino Barbella di Chieti sempre curata dal prof. Massimo Pasqualone critico d'arte e con l'intervento della Presidente di giuria del Memorial Tenco Maria Basile, riscuotendo successo di pubblico, stampa e tv. A marzo viene invitato alla Biennale Internazionale del Mediterraneo di Palermo fortemente voluto dal critico e storico dell'arte, prof. Paolo Levi, che inserirà Lucente al Museo Levi con i grandissimi artisti del '900 come passato e presente, nello specifico "Picasso, Modigliani, Dali’, Matisse, De Chirico, Munch, Kandinski, Fontana, ecc.”. A Palermo poi, sempre alla Biennale, vincerà il prestigiosissimo Premio della critica, dove viene inserito nella top selection degli artisti contemporanei e gli viene conferito il riconoscimento di ambasciatore italiano dell'arte nel mondo. Elio Lucente, ha realizzato un innovativo progetto artistico, sostituendo la tela con il plexiglass, un utensile rotativo sostituisce i pennelli e i led sostituiscono i colori, poi ha inserito casse acustiche e installato
lettori mp3. Questa opera d'arte ha segnato la sua evoluzione nonché crescita personale. Lucente ha in progetto due mostre personali una con catalogo, a cura del prof. Vittorio Sgarbi e l'altra presentata dal maestro José Van Roy Dalì, figlio del grandissimo maestro del surrealismo Salvador Dalì, con cui ha avuto modo di fare conoscenza essendo ospite a cena nella sua casa-museo. F
Nelle foto: Elio Lucente con Jose Van Roy Dalì e Vittorio Sgarbi e alcune sue opere
Elio Lucente nasce a Pratola Peligna (AQ) il 04 gennaio 1972. Sin da piccolo comincia a coltivare la passione del disegno e della pittura, verso i 20 anni scopre l'aerografia dando vita a tantissime realizzazioni sperimentate su qualsiasi tipo di supporto, dai caschi, alle moto Harley-Davidson, facendosi un "nome" nel campo regionale e nazionale in questo settore. Con l'esperienza acquisita negli anni e sempre preso a intraprendere nuove strade, egli comincia in modo spontaneo a dedicarsi alla pittura su tela sia con l'aerografo, con le spatole e poi con i pennelli. In questo passaggio egli trova massima realizzazione della sua vena artistica cominciando a ricevere consensi tra esperti nel campo, in mostre locali, collettive e a tema e poco dopo arrivano anche premi nel concorso internazionale di pittura e scultura Premio Gabriele D'Annunzio per ben tre anni di seguito. L’Assistente Capo Elio Lucente, entra nel Corpo di Polizia Penitenziaria il 28 febbraio 1991 come Agente Ausiliario presso la Scuola di Formazione di Parma; come prima assegnazione il collega fu inviato presso la C.C. di Modena dove presta servizio fino al Febbraio 1993. Da lì viene trasferito presso il vecchio carcere della Badia di Sulmona, in previsione dell’apertura della nuova Casa di Reclusione di Sulmona, dove presta servizio tutt’ora, sempre impiegato in servizio operativo nelle sezioni detentive facendo onore e dando lustro a tutta la Polizia Penitenziaria. Elio tanti auguri per la tua carriera lavorativa ed artistica. La segreteria Sappe di Sulmona Polizia Penitenziaria n.250 • maggio 2017 • 21
a cura di Giovanni Battista de Blasis
CINEMA DIETRO LE SBARRE
Socialmente pericolosi
Regia: Fabio Venditti Soggetto e Sceneggiatura: Mariateresa Venditti, Valentina Gaddi, Alessandra Di Pietro, Fabio Venditti Fotografia: Bruno Cascio Montaggio: Chiara Venditti Musica: Gian Luca Nigro Scenografia: Paolo Iudice Costumi: Paola Bonucci
F
Nelle foto: la locandina e alcune scene del film
abio Valente è un giornalista televisivo che decide di investigare sul numero elevato di suicidi dietro le sbarre. Durante una visita al carcere di Sulmona si imbatte nel boss della camorra Mario Spadoni che decide di raccontargli la sua vita. Da questo incontro e dalla decisione del boss nasce una strana amicizia tra i due che, però, ricadrà negativamente sulla reputazione del giornalista, fino a preoccupare i suoi parenti. Tuttavia, Fabio non si cura minimamente della situazione, invece, fonda un’associazione culturale, Socialmente pericolosi, che si occuperà del recupero dei ragazzi dei Quartieri spagnoli di Napoli, offrendogli alternative alla criminalità organizzata. Tra i ragazzi coinvolti nel programma dell’associazione c'è anche il figlio del boss che, fino a quel momento, sembrava destinato a seguire le orme del padre. Venditti ha scritto e diretto Socialmente pericolosi basandosi interamente sulla propria
la scheda del film
Produzione: Massimo Spano, Michelangelo Film, Una Vita Tranquilla con RAI Cinema Distribuzione: Running TV International autobiografia e questo è un po’ il limite del film. La storia dell’amicizia col boss è un capitolo a parte rispetto alle attività di recupero dell’Associazione, raccontate nel film dalle riprese che lo stesso regista ha fatto per la Rai intervistando i ragazzi dei Quartieri spagnoli e poi trasformando loro stessi in reporter. Forse per raccontare la vicenda dell'amicizia fra il boss e il giornalista ci sarebbe voluto un regista estraneo all’evento, che probabilmente avrebbe potuto raccontare meglio la storia senza rimanere rigidamente vincolato ai fatti. Venditti, invece, offre una visione unilaterale, senza raccontare il passato del criminale e trasformandolo in un personaggio assennato e carismatico. Forse non sarebbe stato necessario demonizzare il boss, ma trasformarlo in una specie di eroe manca sicuramente di rispetto alle vittime della camorra. Probabilmente la mano di un altro regista avrebbe reso la storia dell'amicizia fra il boss e il giornalista più coinvolgente e più ricca di sfumature. La parte più bella di Socialmente pericolosi resta quella delle riprese documentarie dei quartieri spagnoli, con le testimonianze dei ragazzi che li abitano, l'entusiasmo dei giovani reporter estratti dal loro ambiente e mandati in giro per il Paese a raccontare l'Italia del terremoto e del degrado, per una volta non soltanto napoletano. F
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Personaggi e interpreti: Direttore del Carcere: Sandro Arista Il Primario: Massimiliano Buzzanca Mario Spadoni: Fortunato Cerlino Moglie di Fabio: Michela Cescon Maddalena: Maddalena Gas Il Magistrato: Alberto Gimignani Primario Lorenzin: Emidio La Vella Fabio Valente: Vinicio Marchioni Giornalista: Marcello Masi Sara Valente: Eleonora Pace Giornalista: Donato Placido Giuseppe: Giuseppe Schisano Dottore: Massimo Wertmüller Viola Valente: Blu Yoshimi Genere: Drammatico Durata: 95 minuti, Origine: Italia 2017 Alla sceneggiatura hanno collaborato i detenuti Casa di Reclusione di Roma Rebibbia diretti da Antonio Turco. Realizzato con la collaborazione del Ministero della Giustizia Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, Casa Circondariale N.C. Roma "Rebibbia", Casa di Reclusione di Sulmona, Casa di Reclusione di Roma "Rebibbia"
L’AGENTE SARA RISPONDE...
Distacco per assistenza familiare
S
Buonasera Agente Sara, sono l'Ass.te Gianpaolo, da circa un mese sono peggiorate le condizioni di salute di mio padre, attualmente non ricoverato a tempo pieno bensì con la necessità di assistenza da parte di un familiare presso il proprio domicilio. Io lavoro e vivo in Piemonte mentre mio padre vive con mia madre, anch'essa anziana, in Sardegna. Posso provare a chiedere un distacco temporaneo per assistere mio padre? Quale è l'iter da seguire e quale potrebbe essere un facsimile di domanda da compilare? Grazie mille. Ass.te Capo Gianpaolo.
?
Al Ministero della Giustizia Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Direzione Generale del Personale e delle Risorse Ufficio del personale del Corpo di Polizia Penitenziaria Sezione terza Assegnazioni e mobilità del personale del Corpo di Polizia Penitenziaria ROMA
Oggetto: Richiesta di distacco per gravi motivi familiari senza oneri a carico dell’Amministrazione Penitenziaria ex art. 7 D.P.R. 254/99.-
sede richiesta è appunto fuori Buonasera Ass.te Gianpaolo, in Regione. relazione al tuo problema puoi Ti allego un fac-simile di istanza che presentare l'istanza di assegnazione dovrai completare nelle parti mancanti temporanea ex art. 7 D.P.R. 16 marzo e resto comunque a disposizione per 1999, nr. 254. A tal proposito, infatti, l’Amministrazione, valutate le esigenze ogni eventuale chiarimento. F Agente Sara. di servizio, può concedere al personale che ne abbia fatto domanda, per gravissimi motivi di IRETTORE AL SIGNOR D carattere familiare o SEDE personale adeguatamente documentati, l’assegnazione anche in sovrannumero stacco domanda di di di ta es hi ic R all’organico in altra sede di : Oggetto 254/99.servizio per un periodo non ex art. 7 D.P.R _______ , superiore a sessanta giorni, __________ ___ _ _ _ _ _ tto ri ______ Il sottosc rinnovabile. so ________ in servizio pres Inoltre tale assegnazione non CHIEDE comporta la corresponsione eglio degli emolumenti, indennità e in allegato, m o dell’istanza ltr no l’i V. S. Alla rimborsi comunque previsti per oggetto. specificata in il servizio fuori sede. saluti . rgono cordiali La Direzione del tuo istituto po si e a zi ra Si ring trasmetterà con proprio parere Luogo e data l'istanza al PRAP e quest'ultimo, Firma con l'integrazione delle informazioni di competenza, ______ __________ invierà il tutto al DAP per la __________ decisione finale, considerato che la
Il sottoscritto___________________, nato il _________ a _____________, arruolato nel Corpo di Polizia Penitenziaria il _________________ , n. matricola ministeriale ___________, ed in servizio presso ______________ CHIEDE a codesto Superiore Ufficio di esaminare la possibilità di poter fruire di un distacco per gravi motivi familiari senza oneri a carico dell’Amministrazione Penitenziaria ex art. 7 del D.P.R. 254/99 per la sede di seguito indicata: • (indicare la sede o le sedi max 3) Quanto sopra, si richiede in quanto: • (specificare le motivazioni per le quali si richiede il distacco) Si allega la seguente documentazione: •(documentazione utile a sostenere le motivazioni per le quali si richiede il distacco) Nell’auspicio del buon esito di quanto richiesto si porgono i saluti più cordiali, restando a disposizione per ogni eventuale ulteriore integrazione di informazioni personali che potrebbero essere a Voi necessarie. Luogo e data Firma __________________________
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CRIMINI E CRIMINALI
Pasquale Salemme Segretario Nazionale del Sappe salemme@sappe.it
Le follie sottovalutate di Sergio Cosimini
I
l 26 dicembre del 1989, intorno alle ore 12,00, davanti al cancello d’ingresso di una villa nei dintorni di Fiesole a Firenze, viene rinvenuto il corpo senza vita di un uomo. L’uomo, al momento del ritrovamento, indossava una tuta da jogging e presentava un foro da pistola alla testa. All’arrivo delle forze dell’ordine, accanto al cadavere viene trovato anche un cane, di razza coker, che vegliava su di lui e un foglio di giornale in cui è riportato, in bella evidenza, il numero 666: nell’Apocalisse di S. Giovanni (paragrafo 13, verso 18) si legge: «Chi ha intendimento conti il numero della bestia, poiché è numero d’uomo: e il suo numero è 666».
Nelle foto: sopra Marco Cordone figlio della vittima in alto una formazione della Fortis Juventus dove la vittima Antonio Cordone, giocava da portiere
La bestia sarebbe satana, o l’anticristo e l’oscurità del verso ha reso possibili le interpretazioni più fantasiose. Oltre al numero, il giornale riporta anche una frase, scritta a mano e in stampatello, di colore blu, e di difficile comprensione: “Vorrei Sandro Federico questore da Napoli a Firenze da tanto e per molto tempo. Niente tradimenti, grazie Dio”, il tutto firmato con una sigla che indicava l’anticristo. Sandro Federico è un funzionario di polizia, che per circa 10 anni è stato a capo della squadra mobile di Firenze e che dal 16 novembre è stato trasferito a capo della squadra mobile di Napoli. Grazie alla medaglietta, riportata sul collare del cane, si riesce a identificare la vittima in Antonio Cordone, un pensionato di 65 anni di Firenze. L’uomo, la mattina è uscito, come solitamente faceva, per andare a correre con il suo cane. Antonio Cordone è un noto personaggio dello sport dilettantistico fiorentino del podismo e del calcio: aveva vestito per molti anni la maglia di portiere dell’A.S. Fortis Juventus 1909 di Borgo San Lorenzo. Il messaggio trovato accanto al corpo di Cordone spinge gli inquirenti a cercare il colpevole fra i malati di mente che per qualche motivo avevano conosciuto il vice questore Sandro Federico. L’autopsia, inoltre, accertò che il 24 • Polizia Penitenziaria n.250 • maggio 2017
foro presente nella parte parietale destra del capo era la conseguenza di un colpo di pistola calibro 38. Peraltro, lo stesso giorno in cui il cadavere venne ritrovato, una telefonata, giunta al 113 di Firenze, rivendica l’assassinio facendo riferimento, in modo confusionale, al trasferimento nella città partenopea del funzionario di polizia. Inoltre, l’assassino, nei due giorni successivi, fa ritrovare all’interno di una cassetta postale, in un palazzo di via Gustavo Modena a Firenze, una busta contente un messaggio e un bossolo identico a quello rinvenuto nella testa della vittima(1). Gli inquirenti incentrano così le indagini tra coloro che soffrono di crisi mistiche. Così, per l’assassino, è indiziato un giovane fiorentino, Raimondo Satta, conosciuto negli ambienti cittadini perché affetto da crisi di delirio. Ma il vero colpevole è ancora libero e la paura inizia nuovamente a farsi largo nella città del Giglio, dove la psicosi del “mostro” (Il mostro di Firenze – Polizia Penitenziara n. 212 del dicembre 2013) non si è ancora assopita. Il primo giugno del 1990, vicino a piazza della Lizza a Siena, una gazzella dei Carabinieri insegue e ferma un uomo a bordo di un motorino “SI” della Piaggio, che poco prima aveva imboccato una strada contromano. Sono circa le 13,30, è una giornata caldissima e vi è un grande via vai di gente in giro. L’uomo a bordo del motorino, vistosi oramai bloccato dai Carabinieri, estrae una pistola P38 e spara tre colpi verso i militari: Mario Forziero e Nicola Campanile, sono ancora dentro l'auto. Forziero non ha il tempo di reagire, resta al suo posto piegato sul volante, ferito a morte. Anche Campanile viene colpito ma riesce a scendere, spara due colpi a vuoto e crolla a terra. Da una finestra posta sopra alla volante bloccata con le portiere spalancate, un carabiniere fuori servizio spara tre volte con la pistola d'ordinanza. Ma l’uomo scende dal motorino, schiva i proiettili e scappa. La scena è seguita a distanza anche da due vigili urbani che iniziano a rincorrere il giovane e danno l'allarme via radio. Il fuggitivo corre, cambia strada più volte e i vigili stremati cadono a terra. In fondo a via dei Fruschelli, a cinquecento metri da dove i due Carabinieri sono stati colpiti, il fuggitivo trova un gruppo di turisti che sale su un pullman. Cerca di mescolarsi nel mucchio, ma una pattuglia della polizia lo vede e lo blocca. L’assassino è stanco e soprattutto stravolto e forse non è neanche lucido. I poliziotti infilano di forza l’uomo nella macchina e lo portano in Questura, evitando per poco un tentativo di linciaggio. Poco dopo, l’assassino è identificato in Sergio Cosimini, 27 anni, fiorentino, pregiudicato e tossicodipendente(2).
CRIMINI E CRIMINALI I militari, rimasti feriti nella sparatoria, moriranno poco dopo in ospedale: Mario Forziero aveva 30 anni ed era nato Francolise un piccolo paese della provincia di Caserta. Viveva però da molti anni a Sinalunga, in provincia di Siena, dove si era sposato e aveva avuto due figlie, una di quattro anni e l' altra di appena tre mesi. Nicola Campanile era di Modena ma risiedeva a Roma. Figlio di Matteo, consigliere della sezione lavoro della Corte di Cassazione, avrebbe finito di li a poco il servizio di leva come carabiniere. Il sostituto procuratore di Siena Dario Perrucci capisce da subito che l’assassino presenta evidenti disturbi ed è affetto da una grave sindrome depressiva ansiosa. Poche ore dopo il duplice omicidio, il ragazzo confessa al magistrato di essere l’autore anche dell’assassino di un uomo ucciso a Firenze il 26 dicembre dell’anno prima: “Dottore, a quell'uomo ho sparato io. No, non lo conoscevo, l'ho fatto perché ce l'hanno tutti con me”. La confessione trova riscontro anche in alcuni particolari che solo l’autore del delitto poteva conoscere: il nome dell’intestatario della cassetta delle lettere dove aveva fatto ritrovare la lettera e il bossolo. La pistola “P38”, con cui
Cosimini aveva sparato ai due carabinieri e che, successivamente, si rileverà essere la stessa arma che nel giorno di Santo Stefano a Firenze aveva ucciso Marco Cordone. L’arma era stata sottratta a una guardia giurata a Napoli, mentre i proiettili se li era procurati rapinando un’armeria a San Casciano. L'omicida, figlio unico di una coppia benestante di Firenze, dopo la morte della madre, avvenuta nel 1986 per leucemia, aveva iniziato a soffrire di sindrome ansiosa depressiva. Cosimini, sin da piccolo, aveva uno smodato amore per le armi e per le forze dell’ordine. A 16 anni rubò una pistola in un’armeria e viene arrestato; e sempre per furto di armi, di un fucile, viene arrestato nuovamente nel 1988. Durante il processo per il furto del predetto fucile, il professor Bernardo Sacchettini accertò per Cosimini il «vizio totale di mente in individuo non socialmente pericoloso»(3). Peraltro, anche nel corso del servizio militare, nel 1983, l'ufficiale medico gli riscontrò una personalità schizoide inadatta alle attività collettive e quindi lo riformò spedendolo a casa. L'8 novembre del 1988, a seguito di un controllo di polizia, sempre a bordo di un ciclomotore, fu trovato con un fucile a canne mozze nascosto sotto il giubbotto, con cui di li a
poco avrebbe voluto fare una rapina: almeno questo è quanto disse ai poliziotti per giustificare il possesso dell’arma. Pochi mesi prima della strage, il 20 marzo, molestò una ragazza a Firenze e quando arrivarono gli operatori di polizia, che nel frattempo erano accorsi in aiuto della ragazza, si scagliò su uno di essi picchiandolo. A seguito di tale episodio, viene processato e condannato a quattro mesi. Tuttavia, il Pretore di Firenze che lo giudica presume che Cosimini si asterrà dal compiere ulteriori reati e quindi lo scarcera (4). Purtroppo, la previsione rimarrà disattesa. La motivazione, della barbara esecuzione dei due carabinieri a Siena, venne appunto individuata in una crisi dovuta alle gravi turbe psichiche di cui soffriva il giovane; a questi disturbi andavano aggiunti la personalità violenta, la mitomania, l’insana fissazione per le armi da fuoco, deliri di persecuzione e pure componenti mistiche(5). Le perizie psichiatriche effettuate, nel corso del processo, dai professori Adolfo Pazzagli, primario dell'Unità operativa di psicologia clinica e psicoterapia nell'Università di Firenze, e Giovambattista Traverso, professore ordinario di psicopatologia forense all'Università di Siena; nonché dal professore Bernardo Sacchettini, nominato quale perito di parte, conclusero che Cosimini era totalmente incapace di intendere e di volere e quindi non imputabile(6). Pertanto, prosciolto da ogni accusa, venne rinchiuso nell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino, in provincia di Firenze. L’11 luglio del 1998, fruendo di un permesso, nel mentre si trovava all’interno dei giardini di Boboli a Firenze, accompagnato da due volontari, si diede alla fuga. Venne rintracciato dopo due giorni alle 6,30 di mattina da una pattuglia dei Carabinieri, nel mentre era seduto su un muro, in località Cave di Maiano, nei pressi di Fiesole. Alla vista dei militari esclamò: “sono stanco, riportatemi in carcere”. Nel febbraio del 2016 è stato trasferito dall’Ospedale Giudiziario di Montelupo alla Rems (residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza) di Volterra, in provincia di Pisa. Alla prossima... F (1) La Repubblica.it, 3 giugno 1990; (2) Ansa, 1 giugno 1990; (3) Ansa, 11 giugno 1990; (4) La Repubblica.it, 2 giugno 1990; (5) I serial killer, A. Accorsi e M. Centini, Newton compton editori; (5) Ansa, 2 settembre 1990. Polizia Penitenziaria n.250 • maggio 2017 • 25
Nelle foto: sopra i Carabinieri uccisi Mario Forziero e Nicola Campanile a sinistra la lapide in loro memoria
MONDO PENITENZIARIO
Federico Olivo Coordinatore area informatica del Sappe olivo@sappe.it
Probation per migliorare il sistema penitenziario: quando il miraggio offusca la realtà
L’
affollamento delle carceri continua ad aumentare. Ad aprile 2017 ci sono 4.272 persone in più rispetto a dicembre 2015 con una crescita del +8,18% mentre i posti disponibili nelle carceri hanno avuto un incremento di 452 di spazi detentivi, +0,91%. Nello stesso periodo ci sono 3.561 in più di persone sottoposte a misure di sicurezza non detentive: da 32.113 a 35.674 (+11,09%).
Nella foto: carcere senza sovraffolamento solo un miraggio?
Sono dati allarmanti, frutto della mancanza di politiche strutturali penitenziarie che Governo e Parlamento non hanno adottato per decenni, ma in particolar modo dal 2006, anno dell’ultimo indulto quando a settembre, un paio di mesi dopo l’entrata in vigore della Legge, nelle carceri si arrivò a contenere solo 38.326 persone. Dal 2006 in poi, le carceri iniziarono ad affollarsi senza tregua arrivando a toccare il record di 69.155 presenze nel novembre 2010. Oggi come allora non si ebbe la reale percezione di cosa stava accadendo. Quando la popolazione penitenziaria tornò a salire, non si diede peso ai tassi di crescita, non si fecero previsioni, non si affrontò il problema. C’è voluta la sentenza Torreggiani del gennaio 2013 (65.905 presenze) per risvegliare la politica. Da quel
momento fu un affanno di Leggi e Decreti per far uscire le persone dal carcere e per evitare che vi entrassero. Le presenze in carcere in effetti diminuirono (52.164 a dicembre 2015), ma crebbero le persone sottoposte a misure non detentive (misure alternative, lavoro di pubblica utilità, misure di sicurezza, sanzioni sostitutive e messa alla prova). Da dicembre 2015 però, da quando cioè sono scaduti i termini di applicabilità della liberazione anticipata “speciale”, le presenze in carcere sono iniziate di nuovo a salire così come le persone sottoposte a misure di sicurezza non detentive. Quali sono oggi le possibili soluzioni per affrontare il problema? Di costruire nuove carceri non se ne parla. Ci vorrebbero troppi soldi e troppo tempo. Eppure, è comunque un aspetto che andrebbe seriamente affrontato per molti motivi, seppure gli effetti di una nuova stagione di edilizia penitenziaria si farebbero sentire soltanto troppo tardi. Di nuovi provvedimenti di indulto e/o amnistia nemmeno a parlarne. I politici sanno benissimo che l’opinione pubblica non è pronta ad accettare altri “sconti” evidenti, a persone che hanno infranto la Legge. Allora l’ultima carta che è rimasta è la “probation” termine che descrive, secondo la definizione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, l’esecuzione in area penale esterna di sanzioni e misure definite dalla legge ed imposte ad un autore di reato. Le Raccomandazioni europee più importanti per comprendere la probation sono la CM/Rec(2010)1 e la CM/Rec(92)16 che lascio ad altri per un’approfondita analisi giuridica. E’ evidente però come la politica, l’amministrazione della giustizia e le associazioni che si occupano di questi temi, stiano puntando tutto su una
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visione in cui il carcere, inteso come spazio fisico in cui rinchiudere le persone per un determinato periodo di tempo, deve essere considerato un’eccezione, preferendo ad esso l’adozione di misure alternative in esecuzione penale esterna. Il Ministero della Giustizia ha già mosso i propri passi in questa direzione e con la recente riforma dell’intero dicastero (14 luglio 2015) ha spostato la Direzione generale per l’esecuzione penale esterna dalle competenze del DAP al Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità (DGMC). L’esecuzione penale esterna fu istituita con il D.P.R. n. 55 del 6 marzo 2001, ed inserita come Direzione Generale del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Tra i suoi Direttori ci sono stati personaggi di “spicco” del DAP: Riccardo Turrini Vita (ora direttore generale della formazione), Luigia Mariotti Culla (in pensione) e ultimo, Emilio Di Somma (in pensione pure lui). Ora si chiama “Direzione generale per l’Esecuzione penale esterna e di messa alla prova” e si occupa di: • monitorare le attività degli uffici di esecuzione penale esterna • tenere rapporti con gli enti locali e le organizzazioni di volontariato per l’attività trattamentale e per la stipula di convenzioni per lo svolgimento del lavoro di pubblica utilità ai fini della messa alla prova • attuare ed eseguire i provvedimenti della magistratura di sorveglianza, ordinaria ed onoraria • organizzare i servizi per l’esecuzione delle pene non detentive e delle misure alternative alla detenzione o sanzioni di comunità • organizzare e coordinare le attività degli Uffici dell’esecuzione penale esterna negli istituti penitenziari. Sono compiti (quasi tutti) che la
MONDO PENITENZIARIO Direzione svolgeva già quando era nel DAP. Perché spostarla da un Dipartimento all’altro? La spiegazione è stata: “Si è tenuta presente l’esigenza di attuare una valorizzazione delle esperienze tecnico-professionali già maturate in taluni settori dell’amministrazione, come quello dell’esecuzione penale esterna”, in questo modo si è preferito incardinare l’esecuzione penale esterna in un Dipartimento, quello che si occupava solo di minorenni, giudicato più abituato e pronto ad accettare una concezione meno “carcero-centrica” (come viene spesso definita) rispetto al DAP, ritenuto un Dipartimento abituato ad affrontare le questioni con una mentalità ritenuta più “chiusa”. Dunque, uno spostamento di competenze dal DAP al DGMC che in un’ottica di razionalizzazione delle risorse, sarebbe stato più logico farlo confluire esso stesso nel DAP. Invece, il piccolo DGMC ha assorbito una larga fetta del più grande DAP: pesce piccolo mangia pesce grande. Un mero spostamento di competenze che ad oggi, appare più un tentativo (riuscito) di mantenere in vita un Dipartimento più che un’operazione di razionalizzazione. Basti pensare ai problemi di gestione del personale di Polizia Penitenziaria, diviso tra due Dipartimenti nella gestione, unito nella formazione, diviso nel calcolo degli organici ...etc. Inoltre, le persone che si occupavano di mandare avanti le pratiche presso gli Uffici per l’esecuzione penale esterna (UEPE), quelle erano e quelle sono rimaste. Inizialmente hanno accettato di buon grado lo spostamento amministrativo, pensando in tal modo di liberarsi una volta per tutte della presenza del Corpo di Polizia Penitenziaria nelle proprie pratiche di lavoro. Ipotesi naufragata per altri motivi derivanti da pesi e contrappesi che nel frattempo si sono messi in moto che hanno addirittura fatto aumentare la presenza di Poliziotti penitenziari presso gli UEPE, sia pure di qualche decina di unità complessive, ma con la differenza che tra le poche unità in più, sono arrivati anche i Commissari di Polizia Penitenziaria.
La questione però ora è un’altra: a fronte dell’aumento delle presenze in carcere e di un contestuale aumento delle persone sottoposte a misure in esecuzione penale esterna, quanto può reggere ancora il sistema penitenziario prima del collasso? A giudicare dai segnali derivanti da più parti, poco. L’ultimo in termini di tempi è stata le lettera aperta che il 22 maggio scorso i Sindacati dell’Ufficio Interdistrettuale di Esecuzione Penale Esterna di Milano (UIEPE) hanno inviato al Ministro della Giustizia Andrea Orlando e a Gemma Tuccillo, nuovo Capo Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità. I rappresentanti dei lavoratori denunciano che negli ultimi anni, a fronte di una carenza di organico del 30%, le pratiche da gestire sono raddoppiate. Dietro ogni pratica c’è una persona che, o è uscita dal carcere oppure non vi ha fatto ingresso per poco, quindi ha bisogno di tutte quelle assistenze formative, lavorative, di assistenza sociale, che rientrano proprio nelle competenze degli UEPE. Di quali numeri stiamo parlando? “Presso I'UIEPE di Milano svolgono la propria attività di funzionari della professionalità di servizio sociale 22 assistenti sociali a tempo pieno, 12 assistenti sociali a tempo parziale (dal 50% all'80%) e 10 esperti di servizio sociale ex art. 80 a convenzione (scadenza 30.12.2017) con orario di lavoro a tempo parziale (dal 40 % all'80% ). Il suddetto personale attualmente ha in carico 5.500 casi di cui circa 3.500 misure alternative (1.700 affidamenti in prova al servizio sociale), misure di sicurezza, sanzioni sostitutive (lavori di pubblica utilità); 1.500 messe alla prova ed istanze pendenti di messa alla prova. Inoltre hanno in carico circa 500 attività di consulenza e trattamento svolte su richiesta dei Tribunali di sorveglianza e gli Istituti penitenziari. Nel 2016 sono stati eseguiti circa 12.000 procedimenti ed attualmente ogni funzionario di servizio sociale segue una media di 60 affidati in prova. In Lombardia gli Uepe di Milano, Pavia,
Brescia, Como, Mantova e le sedi distaccate di Varese e Bergamo gestiscono circa 13.500 casi con 94 assistenti sociali (part-time e a tempo pieno). La situazione, rispetto ai carichi di lavoro, per l'UIEPE di Milano sembra che debba subire una ulteriore e del tutto insostenibile aggravio sia per il previsto invio da parte del Tribunale di sorveglianza di Milano di migliaia di richieste di indagini arretrate che per l'ampliamento delle competenze territoriali, così come comunicato in questi giorni dalla Direzione generale di esecuzione esterna e eli messa alla prova. Attualmente i funzionari di servizio sociale che svolgono la loro attività a tempo pieno presso 1’Uepe di Milano, gestiscono una media di 160 casi a testa, superando di gran lunga quei RACCOMANDAZIONI DEL COMITATO DEI MINISTRI AGLI STATI MEMBRI SULLE REGOLE DEL CONSIGLIO D’EUROPA IN MATERIA PENITENZIARIA Le seguenti Regole costituiscono un gruppo di raccomandazioni che vanno lette come un insieme. Raccomandazione n. R(2010)1 sulla Probation. Raccomandazione n. R(92)16 sulle Regole Europee sulle sanzioni e misure applicate in area penale esterna. Inoltre, le presenti regole sono complementari alle collegate disposizioni della Raccomandazione n. R(97)12 sul personale incaricato dell’applicazione di sanzioni e misure, della Raccomandazione n. R(99)19 sulla mediazione in ambito penale, della Raccomandazione n. R(99)22 sul sovraffollamento penitenziario e sull’inflazione della popolazione carceraria, della Raccomandazione n. R(2000)22 sul miglioramento dell’implementazione delle regole europee sulle sanzioni e misure applicate nella comunità, della Raccomandazione n. R(2003) sulla liberazione condizionale (o sulla parola), della Raccomandazione n. R(2003)23 sulla gestione, da parte delle amministrazioni penitenziarie, di detenuti condannati all’ergastolo o ad altre pene lunghe, della Raccomandazione n. R(2006)2 sulle Regole Penitenziarie Europee, della Raccomandazione n° R(2006)8 sull’assistenza alle vittime di reati, della Raccomandazione n. R(2006)13 sull’uso della custodia cautelare in carcere, le condizioni in cui essa ha luogo ed i provvedimenti per la tutela dagli abusi.
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Á
MONDO limiti di rapporto tra utente ed assistente sociale necessari a consentire una qualificata ed efficace presa in carico.” Può darsi che il caso di Milano sia una situazione estrema, mentre in tutte le altre parti d’Italia le percentuali siano del tutto diverse, ma un caso del genere fa nascere spontanee alcune domande: stiamo andando nella direzione giusta? E’ questa la combinazione più efficace per dare piena attuazione all’art. 27 della Costituzione? Per quanto tempo è possibile sostenere una simile sproporzione tra personale impiegato e persone da seguire? Che ruolo avrebbe la Polizia Penitenziaria qualora venisse davvero utilizzata nei controlli sull’esecuzione penale esterna? Con quali mezzi e quali organici verrebbe impiegata? Domande che per avere una risposta seria, devono prima confrontarsi con i numeri e con le proporzioni attualmente in campo, considerando anche i trend di crescita della popolazione detenuta e quella in esecuzione penale esterna. Altrimenti si continua a fare solo chiacchiere da tribuna elettorale. Non è ammissibile continuare a propagandare slogan senza senso, senza contatto con la realtà. Per esempio, continuare ad affermare che la recidiva è molto maggiore nelle persone rinchiuse in carcere rispetto a quelle in misura alternativa, senza però aver effettuato uno studio serio ed approfondito che dimostri con i dati una simile affermazione, non è un comportamento serio. Non dico che non sia vero, ma per essere un’affermazione significativa e soprattutto utile, deve poggiare su dati reali, non sulle “sensazioni”. Altrimenti è un’operazione mediatica che nulla a che fare con l’applicazione dell’art. 27 C. Per ora i numeri e le proiezioni indicano ben altro. Com’è possibile rendere efficiente un servizio di esecuzione penale esterna con questi numeri alla mano? La risposta dovrebbe partire dai due Dipartimenti ed arrivare al Ministro, ma è proprio di queste ore la notizia che ormai sta per iniziare una nuova campagna elettorale... F
L
a figura del medico competente, quale soggetto destinatario degli obblighi di sicurezza, non è nuova nel nostro ordinamento. Seppure denominato in modi spesso diversi, quali “medico di fabbrica”, “medico autorizzato”, “medico del lavoro”, ha sempre avuto, come detto, un ruolo primario quale soggetto destinatario degli obblighi di sicurezza. Nella nostra legislazione, il primo riferimento a questa figura si trova nell’art. 33 del D.P.R. 19 Marzo 1956, n. 303, che prevede, limitatamente alle lavorazioni industriali che espongono i lavoratori all’azione di sostanze tossiche o infettanti o che comunque risultino nocive, la visita di un medico competente. Successivamente, il D.Lgs. 626/94, prescriveva, agli artt. 4, comma 4, lett. c) e 16, l’obbligo della nomina del medico competente nelle aziende esercitanti lavorazioni “a rischio”, tassativamente determinate dalla legge, per le quali fosse disposta la sorveglianza sanitaria obbligatoria. Il D.Lgs. n. 81/2008 pone la nomina del medico competente a carico del datore di lavoro e del dirigente. La scelta è fatta accertandone i titoli ed i requisiti prescritti dalla norma e previa consultazione del Rappresentante dei lavoratori per la Sicurezza. Le funzioni del medico competente previste dal Testo Unico sulla Sicurezza dei lavoratori possono essere raggruppate in tre categorie di compiti: professionali, informativi e collaborativi. I compiti che hanno connotati di natura professionale sono: 1) La sorveglianza sanitaria dei dipendenti, consistente nell’obbligo di effettuare gli accertamenti sanitari preventivi e periodici (art. 41, comma 2, lett. a-b)) ed eventuali visite mediche se richieste dal lavoratore (art. 41, comma 2, lett.c)), qualora tale richiesta sia correlata ai rischi professionali, oppure in occasione di cambi di mansione per verificare l’idoneità del lavoratore alla mansione specifica (art. 41, comma 2. lett. d)) o, infine, nei casi previsti dalla
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normativa vigente, alla cessazione del rapporto di lavoro (art. 41, comma 2, lett. e)) nonché, a seguito dell’intervento, ex D.Lgs. 106/2009, in caso di visita preventiva - preassuntiva e di visita medica precedente alla ripresa del lavoro, a seguito di assenza per motivi di salute di durata superiore ai sessanta giorni continuativi al fine di verificare l’idoneità alla mansione. Nei compiti di natura professionale del medico competente vi è anche quello di esprimere giudizi di idoneità alla mansione specifica del lavoratore (art. 41, comma 6). L’idoneità o capacità di lavoro, cioè l’attitudine a compiere un lavoro, viene distinta in idoneità generica e specifica; la prima è riferita a fattori fisiologici e non necessita di particolare preparazione, mentre la seconda si fonda sull’abilità, capacità ed esperienza del lavoratore. Il giudizio del medico competente non sempre è assoluto (idoneo o non idoneo) ma può essere formulato per gradi intermedi: • idoneità alla mansione assegnata; • idoneità parziale, temporanea o permanente, con prescrizioni o limitazioni; • inidoneità temporanea (in questo caso devo essere precisati i limiti temporali di validità); • inidoneità permanente. I giudizi formulati dal medico competente devono essere rilasciati per iscritto. Una copia viene rilasciata al lavoratore ed una al datore di lavoro. Il lavoratore ha la possibilità di ricorrere all’organo di vigilanza territorialmente competente entro trenta giorni dalla data di comunicazione dei giudizi espressi dal medico competente. L’organo di vigilanza, dopo eventuali ulteriori accertamenti, dovrà confermare, modificare o revocare il giudizio espresso del medico competente. L’art. 42 del D.Lgs. 81/2008 prevede che il datore di lavoro dovrà attuare le misure indicate dal medico competente e, qualora le stesse prevedano un’inidoneità alla mansione specifica, adibirà il lavoratore ove possibile, ad un’altra mansione
SICUREZZA SUL LAVORO
Decreto Legislativo n.81/2008:
Il medico competente equivalente o, in difetto, inferiore compatibile con il suo stato di salute. Il lavoratore interessato conserverà il trattamento economico corrispondente alle mansioni precedentemente svolte. 2) L’istituzione e l’aggiornamento delle cartelle sanitarie di rischio per ogni lavoratore sottoposto a sorveglianza sanitaria, da custodire, con salvaguardia del segreto professionale (art. 25, comma 1, lett. c)), salvo il tempo strettamente necessario per l’esecuzione della sorveglianza sanitaria e la trascrizione dei relativi risultati presso il luogo di custodia concordato con il datore di lavoro al momento della nomina. Rientrano nell’ambito delle funzioni di natura informativa, l’obbligo di: • collaborare all’attività di formazione ed informazione dei lavoratori, per la parte di propria competenza, ed in particolare sul significato degli accertamenti sanitari a cui sono sottoposti e, su richiesta degli stessi, rilasciargli copia della documentazione sanitaria; • fornire informazione ai lavoratori sul significato della sorveglianza sanitaria cui sono sottoposti, e, nel caso di esposizione ad agenti con effetti a lungo termine, fornire indicazioni ai lavoratori sulla necessità di sottoporsi ad accertamenti sanitari anche dopo la cessazione dell’attività che comporta l’esposizione a tali agenti, fornire analoghe informazioni anche (a richiesta) ai rappresentati dei lavoratori per la sicurezza (art. 25, comma 1, lett. g)); • informare inoltre il lavoratore interessato dei risultati della sorveglianza sanitaria; • informare il datore di lavoro dell’esito di accertamenti sanitari che abbiano evidenziato nei lavoratori esposti in modo analogo ad uno stesso
agente cancerogeno o biologico della esistenza di un’anomalia imputabile a tale esposizione; • consegnare al lavoratore, alla cessazione del rapporto di lavoro, copia della cartella sanitaria e di rischio. L’originale della cartella va conservata, nel rispetto della tutela della privacy, dal datore di lavoro, per almeno dieci anni, salvo diverso termine previsto da altre disposizioni del D.Lgs. 81/08 (art. 25, comma 1, lett. e)); • comunicare per iscritto, in occasione delle riunioni periodiche di prevenzione e protezione dei rischi (art. 35), i risultati anonimi e collettivi degli accertamenti effettuati e fornire indicazioni sul significato dei risultati; tale forma di comunicazione (anonima e collettiva) è stata prevista a tutela della privacy del lavoratore, tutela imposta per altro dall’art. 622 c.p. che sanziona il medico competente nell’ipotesi in cui riveli a terzi ciò di cui sia venuto a conoscenza nell’esercizio delle proprie funzioni , nel caso specifico delle notizie contenute nelle cartelle sanitarie dei lavoratori, che a sua cura devono essere custodite ed aggiornate nei locali del datore di lavoro. Infine, il medico competente, sulla base della specifica conoscenza dell’organizzazione dell’azienda, ovvero dell’unità produttiva e delle situazioni di rischio ha il compito di collaborare col datore di lavoro e con il Servizio di Prevenzione e Protezione: alla valutazione dei rischi e predisposizione ed attuazione delle misure per la tutela della salute e dell’integrità psico-fisica dei lavoratori (art. 25, comma 1, lett. a)). A tal fine: • partecipa alla riunione periodica di prevenzione informando il datore di lavoro relativamente alle misure
Luca Ripa Dirigente Sappe Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza rivistai@sappe.it
protettive speciali da attuare per i lavoratori esposti ad agenti cancerogeni ed a rischi biologici; • alla visita degli ambienti di lavoro almeno una volta l’anno, salvo stabilire una cadenza diversa, in base alla valutazione dei rischi; in tal caso dovrà darne comunicazione al datore di lavoro affinché questi provveda ad annotarlo nel documento di valutazione dei rischi;
• partecipando alla programmazione del controllo dell’esposizione dei lavoratori i cui risultati gli sono forniti con tempestività ai fini delle valutazioni e dei pareri di competenza; alla predisposizione del servizio di primo soccorso; • alla attuazione e valorizzazione di programmi volontari di “promozione della salute”, secondo i principi della responsabilità sociale. Da ultimo, è importante evidenziare che le visite mediche non possono essere effettuate per accertare stati di gravidanza, nonché negli altri casi vietati dalla normativa vigente. F
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Nella foto: un medico del lavoro
CULTURA
Accademia di Studi Penitenziari: avviato un corso di criminologia minorile in Calabria
Il corso è stato strutturato in: Lezioni pratiche: con elaborati, allestimento del setting specifico, tecniche di ascolto, colloquio clinico forense e strumenti peritali, decodifica della comunicazione paraverbale. Lezioni teoriche: Bullismo, Cyber Bullismo, Sexting, Baby gang, prostituzione minorile, Sensation Seeker, mediazione penale minorile, nuclei di patologia in età evolutiva, setting con il minore, tecniche di colloquio con il minore, Family murder, Vittimologia minorile, intervento sociale specifico per il minore, minori autori di delitto, analisi di casi, strategie di prevenzione. Elementi di: - CRIMINOLOGIA MINORILE - PEDAGOGIA FORENSE - PSICOLOGIA ETA’ EVOLUTIVA - DIRITTO PENALE - PROCEDURE CON IL MINORE DETENUTO - NEUROPSICHIATRIA INFANTILE del reato, criminologia e criminalistica. Elementi di intelligence ed antiterrorismo. Programma del Corso: I LEZIONE • Abuso sessuale sui Minori. dott.ssa Lorella Galassi Psicologa ASP Cosenza presso Casa Circondariale di Paola, Esperto ex art.80 Ordinamento Penitenziario presso la Casa Circondariale di Vibo Valentia
I
n collaborazione con l’Associazione di criminologia Criminalt Napoli ed il master di criminologia della Calabria è stato organizzato un nuovo corso in modalità full immersion, aperto a Polizia Penitenziaria, Forze dell’Ordine, Assistenti sociali, medici, avvocati, educatori, psicologi, studenti. Il corso si è occupato in modalità teorico pratica del grande ambito dei minori, sia come vittima che come autori di reato, passando per la prevenzione. Il focus sull’età evolutiva deve essere di primaria importanza per tutti gli operatori sociali , che vogliono contribuire a cambiare le cose. Il corso è stato tenuto da docenti di certificata competenza e professionalità. L’obiettivo primario è quello di offrire un perfezionamento su queste tematiche e dare a professionisti, studenti ed interessati , strumenti e metodologia per continuare a formarsi ed infine operare nel’ambito della rete sociale.
II LEZIONE • Rapporto fra minore e criminalità organizzata. dott. Agostino Sestino Delegato Provinciale Sappe Cosenza, già Ispettore di Polizia Penitenziaria III LEZIONE. • La gestione dell’individuo in ambito penitenziario nel rispetto dei vincoli normativi (L.354/75 - DPR 230/2000 – CEDU). dott. Salvatore Panaro Direttore per la Calabria Accademia Europea Studi Penitenziari, Vice Segretario Regionale Sappe Calabria, Presidente ANPPE Sezione di Paola
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CULTURA IV LEZIONE • Giovani fragili assassini dal fallimento educativo al Delitto family Murder and Young Killer… dott. Sergio Caruso Criminologo clinico - profiling vittima ed autore del reato Dottore in Psicologia - Pedagogista collaboratore del Professore Francesco Bruno in attività scientifiche e peritali presso Università della Calabria e Studio Professionale AIASU Roma - Docente e coordinatore scientifico di criminologia clinica Master 2° livello Criminologia Calabria - Docente Criminologia clinica e criminal Profiler Centro studi Criminologia Criminalt - Napoli CTU/CTP Procura della Repubblica di Paola in casi di violenza di genere, stalking, abuso e maltrattamenti. in ambito clinico forense, educativo e sociale, violenza su minori, pas, family murder V LEZIONE • Elementi di Neuropsichiatria infantile tra cura e prevenzione Prof. dott. Giacomo Pantusa Psichiatra Forense, Psicoterapeuta - Docente Master della Calabria VI LEZIONE • Bullismo e Cyber bullismo quando il gioco diventa violenza. Avvocato Claudia Ambrosio - Foro di Catanzaro VII LEZIONE • L’accertamento della violenza minorile. Avvocato Sabrina Rondinelli - Foro Catanzaro VIII LEZIONE • Braccialetto elettronico nelle misure di detenzione domiciliari, quale alternativa alla custodia in carcere. dott. Salvatore Panaro - Direttore Accademia Europea Studi Penitenziari IX LEZIONE • Analisi di casi pratici tra prevenzione e rieducazione e confronto finale dott. Sergio Caruso Docente Criminologia clinica Centro studi Criminologia Criminalt - Napoli Il corso Minori autori e vittime di reato si è tenuto nei giorni 28 e 29 aprile 2017 presso l’IPM Silvio Paternostro di Catanzaro, con accredito di 6 CFU.
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Nelle foto: alcune fasi del Corso di criminologia tenuto dall’Accademia di Studi Penitenziari a Catanzaro nei giorni 28 e 29 aprile 2017
LE RECENSIONI Giuseppe Serra Angelo Abis
NEOFASCISTI. Le origini del Movimento Sociale Italiano in Sardegna PIETRO MACCHIONE Ed. pagg. 195 - euro 20,00
N
oi non siamo gli ultimi di ieri ma i primi del domani. Questo vecchio slogan missino esemplifica forse più di tante parole questo agile ed interessante libro di Serra ed Abis sulla nascita del Movimento Sociale Italiano in terra di Sardegna nel Dopoguerra. Questo libro racconta proprio la storia ed il consolidamento dei primi nuclei missini nell’Isola, ma sbaglia chi immagina di leggere nelle quasi 200 pagine un resoconto di fatti di cronaca. Si racconta, al contrario, una realtà umana, una comunità (quella missina, appunto) e le eterogenee figure che l’hanno fatta nascere e crescere: ex combattenti, soprattutto, che senza rinnegare le proprie scelte e le proprie idee non hanno inteso restaurare alcunché ma hanno invece voluto inserire a pieno titolo il partito della Fiamma tricolore nel nuovo contesto democratico e autonomista nato con la fine della guerra. Interessanti anche i capitoli dedicati l’uno alle figure politiche della
Destra sarda e l’altro alla stampa periodica di Area.
G. Barbuto, S. Luerti, V. Pilla, R. Spina
COMPENDIO DI DIRITTO PROCESSUALE PENALE MAGGIOLI Edizioni pagg. 483 - euro 24,00
C
om’è noto, il diritto processuale penale è una branca del diritto penale che disciplina l'aspetto processuale. Essa indica quel complesso di norme giuridiche create dal legislatore al fine di regolare e disciplinare le varie fasi del procedimento penale che vede coinvolto un determinato soggetto in ordine a un reato a questi ascritto e con l'osservanza di determinate modalità e garanzie di legge. L’opera, giunta alla VI edizione e aggiornata al 2016, assolve compiutamente alla necessità di conoscere ogni aspetto procedurale ed ogni altra ulteriore informazione supplementare, anche attraverso accorgimenti grafici che aiutano ad evidenziare le parti salienti e fondamentali.
Antonio Di Tullio D’Elisiis
APPLICAZIONE DELLA NON PUNIBILITA’ PER TENUITA’ DEL FATTO MAGGIOLI Edizioni pagg. 336 - euro 34,00
I
l Decreto Legislativo 16.3.2015, n. 28, recante “Disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera m), della legge 28 aprile 2014, n. 67”, in vigore dal 2.4.2015, ha introdotto nel codice penale e di procedura penale norme volte ad introdurre nell’ordinamento penale la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto. Principio ispiratore della nuova causa di non punibilità è che
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“quando l’offesa sia tenue e segua ad un comportamento non abituale (...) lo Stato rinuncerà ad applicare una pena per attuare una tutela risarcitoria e/o restitutoria tipicamente civile”. La nuova causa di non punibilità è ancorata a precisi e rigorosi presupposti ed è applicata all’esito di un procedimento interamente giurisdizionalizzato in cui è assicurato il contraddittorio con l’indagato/imputato e la persona offesa. I presupposti applicativi per l’operatività dell’istituto sono enunciati dall’articolo stesso e sono tre: il primo si riferisce alla pena edittale (reati puniti con pena detentiva non superiore a cinque anni e/o con la pena pecuniaria), il secondo all’offesa (di particolare tenuità per l’esiguità del danno e del pericolo), il terzo alle modalità della condotta (comportamenti non abituali). L’ottimo volume chiarisce ogni aspetto di questo nuovo strumento giuridico, ne affronta i profili procedurali ed i requisiti applicativi, fornendo anche un utilissimo formulario (su CD).
Angelo Della Bella
IL “CARCERE DURO” TRA ESIGENZE DI PREVENZIONE E TUTELA DEI DIRITTI FONDAMENTALI GIUFFRE’ Edizioni pagg. 465 - euro 48,00
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ome è noto, il regime detentivo speciale previsto dall'art. 41bis dell'ordinamento penitenziario è stato istituito nel 1992, a cavallo delle stragi mafiose di quell'anno, come strumento per il contrasto alla criminalità organizzata. La detenzione speciale consiste in un catalogo di limitazioni finalizzate a impedire la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata o eversiva e a evitare che dal carcere si continuino a gestire le attività illecite. Per effetto dell'aumento della popolazione carceraria di provenienza mafiosa, infatti, avvenne, in particolare nel corso degli anni '70 e '80, che in
molti istituti penitenziari si creassero cellule organizzate che riproducevano quelle esterne, con le gerarchie, le aggregazioni, i rapporti esistenti all'esterno dell'ambiente carcerario e che quelle cellule servissero per reclutare anche i detenuti comuni. Spesso se ne parla, senza avere, però, la conoscenza tecnica di questo importante e fondamentale istituto giuridico, senza la quale non si possono avere le basi di competenza tali da valutare scientificamente la reale efficacia in materia di contrasto alla criminalità organizzata e, quindi, valutare elementi utili ad una (eventuale) revisione. L’Opera di Angela Della Bella (ricercatrice confermata di diritto penale nel Dipartimento Cesare Beccaria, sezione di scienze penalistiche, dell'Università degli Studi di Milano, titolare della cattedra di diritto penale nel corso di laurea in Scienze dei servizi giuridici e contitolare della cattedra di diritto penale nel corso di laurea magistrale) assolve compiutamente a questa necessità. Il regime detentivo speciale previsto dall'art. 41-bis è esaminato, nelle oltre 440 pagine, in maniera organica: il contesto storico che portò alla sua istituzione, la specificità giuridica e le particolari prescrizioni, le pronunce della Corte costituzionale in materia di 41-bis e tutela dei diritti fondamentali. L’ultima, in ordine di tempo, la pronuncia dell’8 febbraio scorso, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 41-bis, comma 2-quater, lett. a) e lett. c), della legge 26 luglio 1975, n. 354, nella parte in cui consente all’Amministrazione penitenziaria, in base a circolari ministeriali del DAP, di adottare, tra le misure di elevata sicurezza interna ed esterna volte a prevenire contatti del detenuto con l’organizzazione criminale di appartenenza, il divieto di ricevere dall’esterno e di spedire all’esterno libri e riviste a stampa. L’Autrice offre interessanti spunti di approfondimento per una rifondazione del regime detentivo speciale. E’ dunque fondamentale la lettura e lo studio dell’Opera di Della Bella non solo a chi
si occupa abitualmente di penitenziario ed esecuzione penale ma anche a tutti coloro che intendono avere la più appropriata conoscenza di questo istituto giuridico, fondamentale per il contrasto alla criminalità organizzata.
L. Degl’Innocenti, F. Faldi
IL IL RIMEDIO RISARCITORIO EX ART.35 O.P. E LA TUTELA DEI DIRITTI DEL DETENUTO GIUFFRE’ Edizioni pagg. 216 - euro 22,00
C
ome è noto, l'8 gennaio del 2013 venne pronunciata la ormai nota sentenza Torreggiani, con cui la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo condannò l’Italia per la violazione dell'articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), a seguito del ricorso del detenuto Torreggiani e di altri 7 ristretti i quali lamentavano, tra le altre cose, uno spazio vitale all'interno delle loro celle troppo esiguo. La Corte condannò il nostro Paese, attraverso una “sentenza pilota”, con la quale riconobbe il carattere strutturale del sovraffollamento nei nostri penitenziari, intimando all'Italia di adottare provvedimenti utili a risolvere il problema. Il nostro Paese ha avuto un anno di tempo, prorogato di un altro anno in virtù dei progressi compiuti, e nel marzo 2016 il Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa ha chiuso definitivamente il capitolo della sentenza Torreggiani, dichiarandosi soddisfatto del percorso di riforme attuato. L’Opera esamina la disciplina del rimedio risarcitorio, quale strumento nel caso in cui un detenuto abbia subìto un danno derivante da condizioni detentive inumane e degradanti, che può essere corrisposto in forma monetaria o attraverso uno sconto di pena. Un nuovo strumento giuridico, insomma, che deve essere conosciuto bene ed approfonditamente, soprattutto dagli “addetti ai lavori”.
M. Ancillotti, E. Barusso, R.Bertuzzi, A. Del Ferraro, E. Fiore, A. Manzione
L’AGENTE DI POLIZIA MUNICIPALE E PROVINCIALE MAGGIOLI Edizioni pagg. 1.224 - euro 39,00
È
il Manuale ad hoc per la preparazione ai concorsi pubblici e per l’aggiornamento professionale degli Operatori di Polizia Locale. Giunto alla XII edizione, fornisce una preparazione a 360° per coloro che devono affrontare i concorsi per le varie qualifiche dei Corpi di Polizia locale (municipale e provinciale). Ottimo per la consultazione e l’aggiornamento di chi già opera sulla strada, Il piano editoriale è davvero molto ampio: Lineamenti di diritto costituzionale, di diritto regionale, di diritto amministrativo, di diritto degli enti locali, redazione degli atti degli enti locali, la responsabilità, la legge quadro sull’ordinamento della Polizia Municipale e Provinciale e la Legge 689/1981 - Modifiche al sistema penale. La seconda parte del Manuale è dedicata elementi di diritto penale, di procedura penale e attività di Polizia Giudiziaria. Si occupa della disciplina del commercio e delle leggi di pubblica sicurezza, del nuovo codice della strada e dell’infortunistica stradale per poi esaminare compiti e funzionari della polizia edilizia, di quella sanitaria e ambientale e di protezione civile. F
Polizia Penitenziaria n.250 • maggio 2017 • 33
a cura di Erremme rivista@sappe.it
di Mario Caputi e Giovanni Battista de Blasis © 1992-2017 caputi@sappe.it
L’ULTIMA PAGINA Il mondo dell’appuntato Caputo
IL DOTT. PIETRO BLUFF Croupier del Gran Casino(’) DAP
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CONCORSI POLIZIA PENITENZIARIA, POLIZIA DI STATO e FORZE ARMATE
Concorso Polizia Penitenziaria 540 Allievi Agenti
Concorso Polizia di Stato 1.148 Allievi Agenti
Concorso Polizia di Stato
Teoria e Test Prova scritta d’esame (III edizione)
Allievi Agenti Teoria e Test Prova scritta d’esame (III edizione)
pagg. 752 28,00 euro EdiSES
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Concorso VFP1 Volontari Ferma Prefissata 1 anno
Test psico-attitudinale e colloquio psicologico
Esercito - Marina Aeronautica Volume completo per il reclutamento dei VFP1 pagg. 321 20,00 euro EdiSES
Teoria e Test Preparazione completa a tutte le fasi di preparazione (II edizione)
pagg. 684 24,00 euro EdiSES
per la preparazione ai concorsi nelle Forze di Pozia e nelle Forze Armate pagg. 411 22,00 euro EdiSES
E’ sempre molto alto il numero dei giovani che scelgono di indossare la divisa e di fare carriera nelle Forze di Polizia e nelle Forze Armate. Fino ad oggi, per accedere al concorso pubblico da Agente della Polizia Penitenziaria, della Polizia di Stato o da Carabinieri, bisognava aver fatto prima il volontario in ferma prefissata, di 1 anno o 4 nelle Forze Armate; nel triennio 2016-2018, invece, sono stati e saranno banditi concorsi pubblici per i giovani provenienti dalla “vita civile” a cui saranno destinati, per il 2016 e 2017, il 50 % dei posti disponibili, ogni anno, mentre per l’anno 2018 la percentuale salirà al 75%, secondo l’articolo 10 del D.Lgs n.8/2014. La Casa Editrice EdiSES, specializzata nella preparazione ai concorsi nelle Forze di Polizia e nelle Forze Armate, ha editato diversi libri, utilissimi proprio per affrontare questi concorsi. Da segnalare, in particolare, due testi. Uno è quello specifico per il concorso pubblico, bandito lo scorso 7 aprile dal Ministero della Giustizia, per il reclutamento di complessivi 540 allievi agenti del Corpo di Polizia Penitenziaria del ruolo maschile e femminile, riservato ai volontari in ferma prefissata di un anno o quadriennale ovvero in rafferma annuale, in servizio o in congedo. L’altro, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 26 maggio 2017, è dedicato al concorso per 1.148 Allievi Agenti della Polizia di Stato che prevede, oltre ai posti riservati a VFP1 e VFP4, ben 893 posti aperto a tutti i cittadini italiani. Molto utili anche il libro che prepara ed aiuta ad affrontare gli accertamenti psico-fisici e attitudinali per il reclutamento dei VFP1 di Esercito, Marina, Aeronautica e quello che fornisce gli elementi essenziali per affrontare i test psicoattitudinali ed il colloquio psicologico per la preparazione ai concorsi nelle Forze di Polizia e nelle Forze Armate.