anno XX • n. 203 • febbraio 2013
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Elezioni politiche 2013 Nessun vincitore e un solo perdente: gli italiani
sommario
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anno XX • numero 203 febbraio 2013 Per ulteriori approfondimenti visita il sito
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In copertina: Alcuni simboli dei partiti politici italiani alle recenti elezioni politiche
l’editoriale
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Dallo tsunami delle urne a quello del DAP Organo Ufficiale Nazionale del S.A.P.Pe. Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria
di Donato Capece
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Direttore responsabile: Donato Capece capece@sappe.it
il pulpito Elezioni 2013, nessun vincitore e un solo perdente: gli italiani di Giovanni Battista de Blasis
Direttore editoriale: Giovanni Battista de Blasis deblasis@sappe.it
il commento
Capo redattore: Roberto Martinelli martinelli@sappe.it Redazione cronaca: Umberto Vitale Redazione politica: Giovanni Battista Durante
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di Roberto Martinelli
osservatorio politico
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Nuova condanna della Corte Europea per le carceri italiane
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di Giovanni Battista Durante
storia del corpo
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Agenti di Custodia nobili antenati della Polizia Penitenziaria - 3ª parte
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di Giuseppe Romano
Le Segreterie Regionali del Sappe, sono sede delle Redazioni Regionali di: Polizia Penitenziaria-Società Giustizia & Sicurezza
lo sport
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Lo sportivo leale è una persona leale
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di Lady Oscar
Stampa: Romana Editrice s.r.l. Via dell’Enopolio, 37 - 00030 S. Cesareo (Roma)
crimini e criminali
Finito di stampare: febbraio 2013
Il S.A.P.Pe. è il sindacato più rappresentativo del Corpo di Polizia Penitenziaria
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Nuovo Parlamento, nuovo Governo, vecchi problemi
Redazione sportiva: Lady Oscar
Questo periodico è associato alla Unione Stampa Periodica Italiana
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Il mostro di Marsala di Pasquale Salemme
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Polizia Penitenziaria n.203 febbraio 2013
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Donato Capece Direttore Responsabile Segretario Generale del Sappe capece@sappe.it
l’editoriale
Dallo tsunami delle urne a quello del DAP e urne ci hanno consegnato oscuri scenari elettorali per il futuro del Paese. Chi ha favorito ed alimentato lo tsunami elettorale ha certamente un nome ed un cognome, Beppe Grillo ed il Movimento 5 Stelle, che ha raccolto un eccellente risultato considerati i diffusi sentimenti di antipolitica (ma è più corretto chiamarli di cattiva politica) stratificati nell’opinione pubblica; questo però non basta a spiegare il successo della cavalcata del comico genovese così non bastano gli indubbi meriti di molti esponenti del suo movimento. Come hanno infatti rilevato più o meno buona parte degli articoli sul post voto di molti analisti politici, due fattori sono stati determinanti: da un lato hanno inciso i limiti dell’azione del governo Monti, incapace di rispondere alla crisi che sta schiantando il Paese sul piano della affidabilità internazionale e della credibilità sui mercati. Ma Grillo ed il Movimento 5 Stelle devono dire grazie per il loro successo elettorale proprio ai partiti tradizionali, scossi dalle inchieste giudiziarie che li hanno inseguiti fin sulla soglia dei seggi elettorali, privi di una proposta riformista di ampio respiro e di nuovi leader, tanto miopi da non riuscire a mettersi d’accordo neanche su una nuova legge elettorale e da mandare gli italiani a votare con uno strumento che non permette loro di scegliere i propri rappresentanti e che, al tempo stesso, non garantisce una stabile maggioranza di governo. Lo dimostra anche la clamorosa esclusione di molti big della politica italiana, che – bocciati nelle urne - non entreranno in Parlamento. Non so cosa accadrà ora, se cioè si troverà una intesa politica per dare un Governo stabile al Paese e per evitare quello che tanti pensano, e cioè nuovi elezioni (che
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peraltro costerebbero tanti milioni di euro agli Italiani, alla faccia della crisi…). Quel che mi auguro, ovviamente, è la stabilità perché di essa ha bisogno l’Italia: di stabilità e di una buona politica parlamentare (a cui tutti i partiti e movimenti devono contribuire, nessuno escluso) che trovi soluzioni alle molte crisi del Paese e di un nuovo volano per favorire l’occupazione, la giustizia, la sicurezza, una buona sanità. Una politica di servizio, come dovrebbe essere. Guardando “in casa nostra”, ai temi penitenziari, è ovvio che dovremmo vedere quale sarà il prossimo Ministro della Giustizia, visto che sembrano minime le probabilità di un reincarico all’attuale Guardasigilli Paola Severino. Se cambierà il Ministro, è probabile che cambieranno anche i vertici del DAP: e questa non può che essere una buona notizia, visto che riteniamo assolutamente fallimentare la gestione del DAP a guida Tamburino & Pagano. La carenza di personale di Polizia Penitenziaria, il costante sovraffollamento delle carceri con le conseguenti ripercussioni negative sulla dignità stessa di chi deve scontare una pena in celle affollate oltre ogni limite e soprattutto di coloro che in quelle sezioni deve lavorare rappresentando lo Stato come i nostri Agenti, sono temi che si dibattono da tempo, senza soluzione, e sono concause di questi tragici episodi. Spesso, il personale di Polizia Penitenziaria è stato ed è lasciato da solo a gestire all’interno delle nostre carceri moltissime situazioni di disagio sociale e di tensione, 24 ore su 24, 365 giorni all’anno. Rispetto a tutto questo, il DAP a guida Tamburino & Pagano pensa alle favole, alla vigilanza dinamica ed all’autogestione dei detenuti: ma le
tensioni in carcere crescono in maniera rapida e preoccupante. Quel che non serve per risolvere questa umiliante situazione di sovraffollamento e tensioni è la delegittimazione del ruolo di sicurezza affidato alla Polizia Penitenziaria, come invece previsto proprio dal Capo Dap Giovanni Tamburino con una scelta (che il Vice Capo Luigi Pagano continua a tentar di presentare in giro come una positiva ‘rivoluzione normale’ delle carceri...) che favoleggia di un regime penitenziario aperto, di sezioni detentive sostanzialmente autogestite da detenuti previa sottoscrizione di un patto di responsabilità favorendo un depotenziamento del ruolo di vigilanza della Polizia Penitenziaria mantenendo in capo ai Baschi Azzurri il reato penale della ‘colpa del custode’ (articolo 387 del Codice penale). Di fatto, da quando è operativa questa disposizione del DAP, abbiamo constatato un aumento di aggressioni, di suicidi, dei tentati suicidi sventati per fortuna sventati dai poliziotti penitenziari, delle evasioni e di quelle tentate, delle risse e degli atti di autolesionismo. Se gli agenti non possono controllare stabilmente le celle le responsabilità non possono essere le loro ma di chi quella nota circolare ha firmato, il Capo dell’Amministrazione Penitenziaria Giovanni Tamburino, e di chi la spaccia per ‘rivoluzione normale’ delle carceri, il Vice Capo Luigi Pagano. Per questo ci auguriamo che l’onda lunga dello tsunami elettorale del 24 e 25 febbraio porterà alla guida dell’Amministrazione Penitenziaria un nuovo Capo Dipartimento ed un nuovo Vice nell’ottica di una profonda ed organica ristrutturazione di tutta l’Istituzione. H
il pulpito
Elezioni 2013, nessun vincitore e un solo perdente: gli italiani
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crivo questo editoriale ad urne chiuse e spoglio appena ultimato. I risultati elettorali ci hanno consegnato un’Italia pressoché ingovernabile. Il solito centrosinistra, ancora troppo condizionato dai retaggi del passato, anche questa volta non è stato capace di cogliere il malessere degli elettori e, con l’ennesimo peccato di presunzione, ha (ri)perso l’attimo. Con il senno del poi, più di qualcuno sta recriminando sulla candidatura di Bersani a sfavore di quella di Renzi, rimpiangendo il maggior appeal dell’enfant prodige fiorentino. Il PD sembra proprio il protagonista perfetto della famosa Legge di Gisberg, quella che recita: “Non puoi vincere. Non puoi pareggiare. Non puoi nemmeno abbandonare…” Dall’altra parte dell’emiciclo, il solito Berlusconi, interpretando la campagna elettorale come fosse la fiction di Retequattro Tempesta d’amore, recupera gran parte dei consensi perduti nella sciagurata esperienza col Governo Monti e porta il PDL ad un sostanziale pareggio. Dal canto suo, Monti “buca” le rosee previsioni dei sondaggi preelettorali e riesce a malapena a superare quel dieci per cento di discrimine tra il dentro e il fuori al Parlamento. A nulla vale lo straordinario exploit di Grillo e del suo Movimento 5 stelle che, pur riportando un indiscutibile successo elettorale con più di dodici milioni di voti, finisce per contribuire soltanto all’ingovernabilità del Paese. Da registrare, infine, il fallimento del legal dream di Antonio Ingroia e del suo Partito dei PM e l’esclusione dal Parlamento di Fini e Di Pietro e di Rifondazione Comunista, Comunisti Italiani, Verdi e Radicali. In buona sostanza, le urne non hanno
individuato alcun vincitore. Per altro verso, invece, è evidente chi sia stato sconfitto: gli italiani. Da stamattina, infatti, già siamo nuovamente alle prese con lo spread in rialzo e con le borse in ribasso il che, addizionato alla recessione, alla disoccupazione e al debito pubblico potrebbe finire per portarci a far compagnia alla Grecia, come bidonville dell’Unione Europea. Churchill, svariato tempo fa, sosteneva che la democrazia è un sistema dove il voto di due imbecilli vale di più di quello di un persona intelligente e, pur tuttavia, lo stesso Churchill ha potuto governare democraticamente il Regno Unito anche grazie al voto degli imbecilli. Cosa succederà adesso? Certamente, gli scenari prossimi venturi non sono poi tantissimi. Indubbiamente, dovrebbe essere proprio il centrosinistra di Bersani, in virtù della maggioranza relativa, a proporre ipotesi di governo. La prima, quella a mio avviso più probabile, è un governo di programma da proporre alle altre forze politiche. L’altra ipotesi è quella di un governo a tempo con l’unico obiettivo di approvare una riforma elettorale per andare nuovamente alle urne. L’ultima ipotesi, quella che sembrava impossibile, è un governo di centrosinistra, con o senza l’apporto di Monti, e l’appoggio esterno del Movimento 5 stelle. Purtroppo, sempre a mio avviso, tutte le ipotesi formulate portano inevitabilmente ad elezioni anticipate con una durata dell’Esecutivo direttamente proporzionale alla realizzazione degli obiettivi preposti alle alleanze di governo. Tutto sommato, però, l’eventualità di tornare subito alle urne non è poi così
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Giovanni Battista de Blasis DirettoreEditoriale Segretario Generale Aggiunto del Sappe deblasis@sappe.it
sciagurata perché una tale circostanza potrebbe anche consegnarci uno scenario tanto fantascientifico quanto auspicabile: il Movimento 5 stelle maggioranza assoluta alla Camera e al Senato ed in grado di formare un Governo monocolore di democristiana memoria.
Di contro, una valutazione del genere non può non essere contemplata anche dai partiti tradizionali che, proprio per questo, hanno tutto l’interesse a (e faranno del tutto per) rinviare sine die una nuova tornata elettorale. In altre parole ci siamo incartati in una situazione alla comma 22, quello che diceva che: “Chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalle missioni di volo, ma chi chiede di essere esentato dalle missioni di volo non può essere pazzo.” P.S. L’unica nota positiva di questo turno elettorale (ovviamente dal nostro punto di vista) è la mancata elezione di certi personaggi candidati da Rivoluzione Civile; personaggi che, a causa di sventurate vicende personali, avevano una visione distorta del carcere e, di conseguenza, si prefiggevano obiettivi piuttosto inadeguati e, perlopiù, lesivi della dignità della Polizia Penitenziaria. H
Nella foto l’ardua scelta!
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Roberto Martinelli Capo Redattore Segretario Generale Aggiunto del Sappe martinelli@sappe.it
Nelle foto il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano durante la sua visita nel carcere di San Vittore a Milano
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il commento
Nuovo Parlamento, nuovo Governo, vecchi problemi uando leggerete questo numero della Rivista, le urne elettorali avranno definito il futuro del Paese, delineando maggioranza ed opposizione politica, un nuovo Parlamento e soprattutto un nuovo Governo. Accantonato, ci si augura, il tempo delle polemiche e delle propaganda, la “nuova” (?!) classe politica italiana deve darsi concretamente da fare per risolvere le molte criticità del lavoro, dell’economia, della società ed anche della giustizia e del carcere.
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parte vorrà negare la gravità e l’urgenza dell’attuale realtà carceraria». Ha denunciato «la mancata attuazione delle regole penitenziarie europee» ed affermato che avrebbe «firmato non una ma dieci volte un provvedimento di amnistia». Ha quindi auspicato che le iniziative assunte dal ministro della Giustizia Paola Severino «in sede di governo e portate avanti con il conforto del parlamento», siano «valutate nel merito, con serenità, senza
violenza e autolesionismo, le condotte di inquieta insofferenza e di triste indifferenza sempre più diffuse tra i reclusi, la mancata attuazione dunque delle regole penitenziarie europee, confermano la perdurante incapacità del nostro Stato a realizzare un sistema rispettoso del dettato dell’articolo 27 della Costituzione», ha quindi detto il Capo dello Stato riferendosi alla condanna ricevuta dalla Corte di Strasburgo. Sull’amnistia Napolitano, conversando con un gruppo di esponenti del
Lo ha ricordato, ancora una volta, il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, con un duro monito sull’emergenza carceri in Italia in occasione della visita nel carcere di San Vittore, la prima di un Capo dello Stato nel penitenziario milanese, il 6 febbraio scorso. Il Capo dello Stato è tornato a denunciare “l’insostenibilità” delle condizioni delle carceri, “l’intollerabile divario” tra la capienza degli istituti e il numero dei detenuti, e si è rammaricato perchè i suoi precedenti appelli siano caduti nel vuoto. «Sono in gioco il prestigio e l’onore dell’Italia», ha ammonito, e «nessuna
pregiudiziali liquidatorie» da qualsiasi parte politica. «Nessuna parte vorrà, anche in questo momento, negare la gravità e l’urgenza dell’attuale realtà carceraria nel nostro Paese», è stato l’appello di Napolitano che, alla fine del suo mandato, si è rivolto alle forze politiche, affinchè prendano un impegno in tal senso, precisando però che la sua non è voluta essere «un’interferenza nel dibattito in corso, destinato poi a riaprirsi nelle nuove assemblee parlamentari». «Il sovraffollamento degli istituti, le condizioni di vita degradanti che ne conseguono, i numerosi episodi di
partito Radicale che esponeva davanti al penitenziario di San Vittore uno striscione con la scritta ‘Amnistia per la Repubblica’, è stato estremamente chiaro: «Se mi fosse toccato veramente mettere una firma su un provvedimento l’avrei messa non una ma ben dieci volte», aggiungendo: «La cosa però a cui non mi posso arrendere è che o si fa l’amnistia o non si fa nulla: bisogna fare tutto quello che è possibile tenendo fermo questo obiettivo, cercando di avere consensi in Parlamento». Per il Capo dello Stato sul provvedimento di amnistia ci sono stati problemi «per una mancanza di
il commento
consensi in Parlamento. Qui occorre modificare la legislazione penale e la politica penitenziaria - ha sottolineato - e quando tornerò in Parlamento, nel limite delle mie modeste forze e fino a quando avrò un po’ di energia, potete stare tranquilli che mi batterò per questo. Posso fare ancora molte cose». Il Capo dello Stato ha quindi incontrato nella visita milanese alcuni poliziotti del carcere di San Vittore ed alcuni detenuti che gli hanno regalato due sciarpe, un set da scrivania in pelle e un quadretto, e hanno letto due brevi messaggi. Un plauso alle parole di Napolitano è
arrivato dal ministro della Giustizia Paola Severino: «Con saggezza e fermezza il Capo dello Stato ci ha richiamato l’insegnamento di Pietro Calamandrei: il grado di civiltà di una Nazione si giudica dal suo sistema penitenziario. Condivido in pieno le parole del presidente Napolitano e ritengo di assoluta necessità che la questione carceraria sia posta in cima alle priorità della prossima attività parlamentare». «Il primo provvedimento varato da questo governo in materia di giustizia ha riguardato proprio le carceri - ha ricordato la Guardasigilli - ma purtroppo il cammino si è interrotto a metà strada: da un lato, infatti, la conversione in legge del decreto ‘salva carceri’ ha consentito di incidere sul fenomeno delle cosiddette
che lo ha accompagnato nella sua visita – «una testimonianza preziosa, ha riacceso i riflettori sui problemi che affliggono le carceri italiane». Napolitano «ha detto parole sacrosante sulla mancata volontà politica di risolvere concretamente questa emergenza» ha commentato infine il segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (SAPPE) Donato Capece, sottolineando come «ciò ricada sulle gravi criticità operative con le quali quotidianamente si confrontano le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria». Il SAPPE ha dunque auspicato «una scossa salutare alla classe politica del Paese» perchè «il sovraffollamento degli istituti di pena umilia l’Italia rispetto al resto dell’Europa e
‘porte girevoli’ e sull’allungamento da 12 a 18 mesi della durata della detenzione domiciliare; dall’altro, invece, il disegno di legge sulle misure alternative al carcere non è arrivato al termine del suo iter parlamentare prima della fine della legislatura». Quel provvedimento, ha sottolineato la ministri Severino, «avrebbe tracciato un importante solco nella direzione delle misure strutturali che ci ha recentemente suggerito la Corte europea dei diritti dell’uomo». La visita del Presidente della Repubblica a San Vittore è stata - per il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia
costringe i poliziotti penitenziari a gravose condizioni di lavoro». L’auspicio, ancora una volta, è che l’autorevole richiamo del Capo dello Stato sulle criticità del carcere possano essere raccolte dal nuovo Parlamento e dal nuovo Governo per la definizione di concrete ed urgenti strategie di intervento che rendano le condizioni detentive certamente più dignitose ma anche le condizioni operative e lavorative delle donne e degli uomini del Corpo di Polizia Penitenziaria più sicure e meno stressanti. Saranno in grado i nuovi legislatori di assumersi questi impegni? H
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Nelle foto ancora il Presidente Napolitano nelle sezioni dell’istituto milanese
Polizia Penitenziaria n.203 febbraio 2013
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Giovanni Battista Durante Redazione Politica Segretario Generale Aggiunto del Sappe durante@sappe.it
osservatorio politico
Nuova condanna della Corte Europea dei diritti dell’uomo per le carceri italiane
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a recente sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha riportato prepotentemente alla ribalta la questione “carceri”, di cui, finora, purtroppo, nessuno si è occupato in maniera decisa, determinata ed efficace, in modo particolare i governi e le assemblee legislative che si sono succedute negli ultimi anni.
Nella foto La Corte Europea dei diritti dell’uomo
Polizia Penitenziaria n.203 febbraio 2013
La Corte, nella sentenza, ha condannato l’Italia per trattamento inumano e degradante di sette detenuti, ristretti nelle carceri di Piacenza e Busto Arsizio, riconoscendogli un danno morale di 100.000 euro che il Governo italiano si sta già accingendo a pagare. Inoltre, al più presto, l’Italia dovrà porre rimedio al grave sovraffollamento, anche attraverso la previsione di misure alternative al carcere, e alla condizione di degrado strutturale esistente negli istituti penitenziari. Infine, il nostro Paese dovrà dotarsi di un sistema di ricorso interno, in modo che i detenuti possano rivolgersi ai tribunali italiani, per ottenere il risarcimento dovuto, a causa della violazione dei loro diritti. E’ la seconda volta che l’Italia viene condannata per aver tenuto i detenuti in celle troppo piccole. Sono già oltre 500 i ricorsi presentati da altri detenuti ed è presumibile, dopo la recente sentenza, che altri se
ne aggiungeranno, per cui l’Italia potrebbe essere costretta a versare somme cospicue. E' la seconda volta che l'Italia viene condannata, mentre l'Amministrazione penitenziaria, di recente, è stata già condannata tre volte, in sede civile, a seguito della morte di altrettanti detenuti, avvenuta all'interno di tre diversi istituti penitenziari. D’altra parte, come il SAPPE denuncia da anni, la situazione, nelle carceri italiane, è drammatica, sia per quanto riguarda i detenuti, per il sovraffollamento e le condizioni strutturali, sia per quanto riguarda il personale di polizia penitenziaria, carente di oltre 7.000 unità, numeri, questi, destinati a peggiorare, a causa dei tagli alla spesa pubblica che prevedono il dimezzamento delle assunzioni per il prossimo biennio. A ciò si aggiungono le condizioni operative in cui è costretto a lavorare il personale di polizia penitenziaria, spesso senza mezzi o con mezzi obsoleti, molti dei quali hanno percorso oltre 400.000 km e non garantiscono più la necessaria sicurezza. Ma non c'è solo questo! C'è il rischio di contrarre patologie infettive, perché il personale di polizia penitenziaria lavora a stretto contatto con i detenuti, senza alcuna protezione. Proprio nei giorni scorsi abbiamo denunciato alcuni casi di agenti che sono risultati positivi al test Mantoux 5 UT, in Campania ed a Bologna. Nel solo carcere di Bologna, nel 2011, su un totale di 1.326 nuovi ospiti, 1.224 hanno accettato di sottoporsi allo screening ematico, 52 di essi sono risultati positivi al test per HCV, 2 al test per HBV, 17 al test HIV, 26 per la Mantoux. L’emergenza carceri e le tensioni che essa inevitabilmente determina è
sotto gli occhi di tutti e servono strategie di intervento concrete, rispetto alle quali il primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il SAPPE, intende fornire il proprio costruttivo contributo, come ha sempre fatto. I numeri, anzitutto. Il 31 maggio 2012, nelle 206 carceri italiane edificate per 45.558 posti regolamentari, erano detenute 66.487 persone (+ 177 rispetto alle presenze del mese precedente, quando erano in carcere 66.310 persone). Al 31 dicembre 2012 i detenuti erano 66.701, con un picco massimo, nel corso dell'anno, di 66.973, registrato il 31 gennaio 2012 e minimo di 66.009 al 31 luglio 2012. Di queste, 26.553 (il 40%) sono in attesa di un giudizio definitivo mentre gli stranieri detenuti in Italia sono 24.016 (il 36,12%). I detenuti tossicodipendenti sono circa il 25% (16.634) dei presenti e quelli impegnati in attività lavorative il 20% circa (13.961), senza tenere però conto che, di questi, molti lavorano per poche ore al giorno ed a rotazione; quindi, la percentuale di coloro che lavorano a tempo pieno è ampiamente inferiore. Fanno altresì parte dell’area penale esterna (perché fruiscono di misure alternative, di sicurezza, sanzioni sostitutive ed altre misure) altre 22.977 persone. Le persone in detenzione domiciliare (ex legge 199/2010) sono circa 7.500, dei quali, in parte, ammessi direttamente dalla libertà. L’organico previsto del Corpo di Polizia Penitenziaria è fissato in 41.390 unità nei vari ruoli, quello in forza conta, invece, 33.793 Baschi Azzurri, per cui le carenze organiche della Polizia Penitenziaria ammontano a 7.597 unità. H
società e cultura uante volte capita che ci venga richiesto il pagamento di somme che abbiamo già versato ma non possiamo dimostrarlo perché non troviamo più la ricevuta. Svuotiamo i cassetti, mettiamo tutto sottosopra, sopportiamo la moglie che parte con l’immancabile “sei il solito disordinato!”.
Documenti: conservare per non ripagare
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Niente, se non la troviamo ci tocca ripagarla quella maledetta multa o quella odiosa tassa. Meglio allora acquistare qualche raccoglitore e
Aldo Maturo Avvocato già dirigente dell’Amministrazione penitenziaria avv.maturo@gmail.com
conservare le ricevute, o gli scontrinigaranzia dei nostri acquisti, suddivisi per materia e per il tempo indicato nel seguente prospetto riassuntivo:
TIPO DI DOCUMENTO
CONSERVIAMOLO PER...
• Abbonamento TV (ricevute di pagamento)
10 anni
• Affitto (ricevute di pagamento)
5 anni
• Atti di compravendita casa atti di proprietà della casa
Sempre
• Atti notarili in genere
Sempre
• Atti di matrimonio atti di separazione ecc...
Sempre
• Assicurazioni (ricevute pagamento premi)
1 anno dalla scadenza - Nel caso in cui le quietanze (es. polizze vita) siano state utilizzate a fini fiscali, si devono conservare per 5 anni
• Bollette/fatture energia elettrica - gas - rifiuti
5 anni è la prescrizione prevista per legge,meglio però tenerle per 10 anni. Nel caso di domiciliazione bancaria è opportuno conservare gli estratti conto da cui risulta l’avvenuto pagamento
• Bollette telefono fisso • Bollettini-ricevute pagamento ICI • Bollo auto (ricevute di pagamento)
5 anni è la prescrizione prevista per legge ma è opportuno conservarle per 10 anni
Nella tabella un riassunto sinottico sui tempi di conservazione dei documenti
5 anni dall’anno successivo a quello di pagamento 3 anni oltre l’anno cui si riferisce il pagamento. Meglio conservare le ricevute per almeno 5 anni
• Contributi previdenziali INPS
Sempre
• Contratti di affitto • Documentazione relativa a dichiarazioni dei redditi
Sempre Fino alla scadenza del 5° anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione
• Fatture di alberghi e ristoranti
6 mesi
• Fatture di artigiani
10 anni
• Estratto conto bancario
Si ha tempo 60 giorni dal ricevimento per contestare le risultanze dell’estratto conto
• Multe stradali
• Mutui (ricevute di pagamento delle rate)
Il verbale di contravvenzione va sempre notificato entro 90 giorni dall’infrazione. Secondo il costante indirizzo della Corte Costituzionale (sentenze numero 69/94 – 477/02 – 28/04 – 97/04), il termine di scadenza dei 90 gg. coincide con il giorno in cui l’organo di polizia ha consegnato il verbale all’ufficio postale per effettuare la spedizione. Per sempre - ai fini fiscali il termine è fino alla fine del quinto anno successivo a quello dell’ultima detrazione
• Pagamenti rateali
5 anni
• Parcelle/fatture di liberi professionisti (avvocati-notai...)
3 anni dalla conclusione della prestazione
• Scontrini di acquisto merce
Sono coperti i vizi manifestatisi entro due anni dall’acquisto (consegna del prodotto). Si hanno due mesi di tempo dalla scoperta per contestarli al venditore, quindi in realtà la prescrizione finale è di 26 mesi
• Spese condominiali
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5 anni
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storia del corpo
Agenti di Custodia nobili antenati della Polizia Penitenziaria Giuseppe Romano Comandante della C.C. di Trapani rivista@sappe.it
Terza e ultima parte - Gli Agenti “mormoratori” Se non conosciamo le nostre origini e la nostra storia non avremo mai consapevolezza di chi siamo veramente. Giuseppe Romano, Comandante della Casa Circondariale di Trapani e grande appassionato di storia penitenziaria ha scritto per noi una breve ricostruzione storica delle origini del Corpo degli Agenti di Custodia che pubblichiamo a puntate.
Questi non potevano certo lamentarsi pubblicamente, senza rischiare pesantissime ritorsioni e persecuzioni disciplinari, e per questo facevano largo uso di lettere anonime al fine di denunciare “presunti misfatti”, con la segreta speranza di far emergere il marcio e di ottenere in qualche modo giustizia, rispetto a determinate situazioni per le quali non avrebbero mai potuto protestare ufficialmente. I più arditi, si imbarcavano su un
urante i primi anni del Novecento, moltissimi agenti di Custodia vennero classificati come Agenti “mormoratori”. Ma chi erano questi Agenti? Bastava lamentarsi in servizio con i propri colleghi, o protestare anche debolmente con i propri superiori per questioni di servizio, o con il Direttore per le durissime condizioni di lavoro, per essere classificati a fine anno come “mormoratori”. Fare l’agente di custodia in quegli anni non doveva essere una passeggiata; possiamo certamente affermare che quegli agenti, definiti dai direttori: mormoratori, sobillatori, maldicenti erano coloro che portavano dentro di se i primi semi del sindacalismo che sarebbero però fioriti quasi un secolo dopo.
treno alla volta di Roma per andare a protestare di persona presso gli Uffici del Ministero. Ecco allora il perché di tanti giudizi negativi riscontrati sui registri matricola degli agenti, ad opera degli onnipotenti direttori dell’epoca. Se, infatti, è possibile che, data la bassa estrazione sociale, la scarsa cultura scolastica, le misere condizioni di vita, molti agenti fossero “cattivi”, dediti al vino, o alla “crapula”, pluri rapportati disciplinarmente, è pur vero che molti furono giudicati aspramente per aver cercato di ribellarsi a condizioni di lavoro intollerabili, e ad una disciplina soffocante: Sassu Giovannino – non si può dire un cattivo agente; anzi deve qualificarsi discreto. E’ intelligente e
A fianco Agenti alla mensa foto Olivieri
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onesto (…) fu punito per aver reclamato al Signor Prefetto senza alcun fondamento; è propenso a discutere gli ordini che riceve, è pertinace nel sostenere di avere ragione quando ha torto; è bene fargli provare altra residenza (…) dedito alla censura dei superiori e alle denunzie anonime a carico degli stessi (…) organizzatore di complotti; dedito alla denunzia anonima, costituisce una seria preoccupazione per l’ordine e la disciplina del Corpo. E’ qui, infatti (Nisida n.dr.), che con le sue insinuazioni e con le sue istigazioni verso i compagni, riuscì, coadiuvato da altri pochi, a far rifiutare la mensa a circa 40 guardie accampando pretesti sulla bontà e sul caro prezzo della stessa. Con questi eccellenti requisiti occorre sia ben guardato e proposto, alla prima occasione, per l’espulsione dal Corpo cui non arreca che danno sotto tutti i rapporti. E’ bene che sia sorvegliato per impedire che insinui nei compagni, sentimenti di discordia. Volpe Giovanni nato a Conversano (BA) il 3.9.1884: sospetto di corrispondenza al giornale settimanale di Livorno “La verità”, contro i suoi superiori. E’ stato accusato come tale da un compagno ma l’accusa non si è potuta provare, tuttavia per confidenze avute per altra via, si è saputo che il Volpe ha in pubblici spacci censurato l’operato dei suoi superiori e si è anche vantato di avere alte clientele, mediante le quali avrebbe fatto trasferire il Comandante delle guardie (…) è intelligente ma presuntuoso, si è provocato il di lui trasferimento perché sospetto di appartenere ad un partito di guardie che congiurano contro i superiori servendosi di anonimi. Cerruto Vincenzo nato a Modica il
19/11/1874: 42 rapporti disciplinari, tra i quali “insinuare il malcontento fra i compagni, - mormorare – in servizio; per avere inoltrato direttamente un telegramma al Ministero; tenta di sobillare i compagni ed imporsi con minacce a ricorsi ai superiori. Bisogna che sia fermato per non prendere il sopravvento sui colleghi. Giurgola Adolfo nato a Lecce 11/3/1886: nei primi tempi dimostra di essere un buon agente ma in seguito, forse per insinuazione di cattivo compagno, si è reso – mormoratore -. Ferreri Sebastiano nato a Caltagirone il 30/5/1880: Diffidare sempre: ha il miele in bocca e il veleno nel cuore. Agente infido e mormoratore. Pisa Gaetano nato a Niscemi il 16/11/1889: fu allontanato da questa casa (Mamone n.d.r.) per la sua scandalosa condotta e in particolare in riguardo al Direttore dell’Istituto all’indirizzo del quale osò pronunciare frasi minacciose e criminali. Paglieri Leonardo Carlo nato a Caramagna Ligure il 17/4/1883: rosicatore, maldicente, facile alla censura e a spargere il malcontento fra i compagni. Infante Alfonso nato ad Aversa (CE) il 26/11/1884: malcontento sempre; fu uno dei promotori dell’agitazione nel Corpo degli AA.CC. ed era meno soddisfatto dai miglioramenti che il disegno di legge presentato al Senato concede alle guardie; davasi da fare per promuovere una novella agitazione (1908). Curulli Vincenzo nato a Gerace Superiore il 10/2/1888: ipocrita, sleale e censuratore, suscitatore di malcontento.
UNA FERREA DISCIPLINA Gli agenti di custodia, erano sottoposti ad un regime disciplinare durissimo. L’art.183 dell’Ordinamento del personale di Custodia del 6.7.1890, per le infrazioni commesse dagli Agenti di Custodia prevedeva: L’ammonizione; (consistente in un avvertimento severo fatto negli uffici della Direzione, a chi sia venuto meno ai propri doveri); Gli arresti semplici da 1 a 15 giorni; (consistenti nella privazione dell’uscita dal carcere, prestandovi però sempre servizio e nella perdita di un quarto della paga per i giorni di punizione). Gli arresti in sala di disciplina, da 5 a 15 giorni; (consistenti nell’essere chiuso in una apposita sala col divieto di fumare, di scrivere, di ricevere visite, di aver colloquio con chicchessia, nel ricevere il vitto della mensa meno il vino, nella sostituzione del pancaccio al letto ordinario e nella perdita di metà della paga). Gli arresti di rigore da 10 a 30 giorni; (consistenti nell’essere chiuso in sala di disciplina, ricevendo per vitto una doppia razione di pane al giorno ed una minestra ogni due giorni, nonché nella perdita dei due terzi della paga). La sospensione dalla classe e dal grado , da 1 a 3 mesi; Consistente nel togliere al graduato o alla Guardia di 1^ classe le funzioni loro spettanti, e nell’obbligarli a disimpegnare le funzioni inerenti al grado o alla classe immediatamente inferiori, con la perdita di metà della paga). La retrocessione di classe; La retrocessione di classe e la perdita del grado, non potevano avere durata minore di un anno. L’agente retrocesso di grado perdeva i distintivi di merito indicati nell’art.125 e il soprassoldo relativo. Quando questa punizione era applicata a un Comandante, Capoguardia o Caposorvegliante, esso veniva contemporaneamente trasferito). La perdita del grado; La dispensa dal servizio; (consistente nella cancellazione dal ruolo e il divieto assoluto di rientrare nel Corpo). La destituzione con l’espulsione dal
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Corpo; (a differenza della dispensa dal servizio dove l’agente perdeva la metà del “fondo di massa”, con la destituzione esso perdeva tutto il fondo di massa e del vestiario uniforme. Il fondi massa era un fondo, stabilito per gli agenti in lire 250, e veniva formato da l premio di arruolamento di Lire 100, dalle ritenute mensili ordinarie e straordinarie sulle paghe, non minori di Lire 5, dai versamenti volontari dall’importo degli oggetti di vestiario e di piccolo corredo ritirati a prezzo di stima, purchè si trovavano in istato servibile, e doveva essere tenuto mediante libretto della cassa postale di risparmio; questo fondo serviva al pagamento di eventuali oggetti di vestiario deteriorati, alla sostituzione di eventuali armi smarrite o alla loro riparazione, ad eventuali prelievi e all’assestamento dei conti nel caso di cessazione dal servizio per qualsiasi causa). Una serie di divieti imposti dal Regolamento rendevano veramente difficile la vita degli Agenti di Custodia; lo si riscontra da un nutrito campionario di rapporti disciplinari, per i più svariati motivi, a carico degli agenti: Assopimento in servizio; Addormentarsi in servizio; Addormentamento con attenuanti; Abbandono di posto di servizio; Assenza non autorizzata; Accettare doni dalle famiglie di detenuti; Assenza arbitraria dallo stabilimento per più di 5 gg.; Alterco con i compagni; Alterco con i compagni in presenza di detenuti; Alterco con i compagni proseguito da vie di fatto; Avere acquistato da un detenuto oggetti rubati ad altro detenuto, cagionando scandalo e turbamento della disciplina; Accettava metà razione di pane da un ricoverato dandogli del tabacco; Allontanarsi dal servizio, annunziandosi ammalato, senza essere riconosciuto tale; Allontanarsi continuamente dalla residenza senza permesso e
A sinistra il Brigadiere degli Agenti di Custodia Tommaso Rossi Roma, 1940
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Nella foto Agenti di Custodia alla Colombaia di Trapani negli anni ’60
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persistere, nonostante diffida, in aperta relazione con donna infamata; Accettare dai detenuti regali di pane; Aprire un cancello con chiave propria; Bestemmiare in servizio; Contegno confidenziale con i detenuti; Contrarre debiti; Contegno sconveniente verso i detenuti; Contegno riprorevole nella vita privata; Datosi ammalato senza essere riconosciuto; Dare lavoro a detenuti senza permesso, con materiale dell’Amministrazione, per proprio uso; Distruzione effetti di vestiario; Disobbedienza agli ordini impartiti; Infrazione alle leggi del decoro e dell’onore; Ingiurie ai detenuti; Imporre al portinaio di non perquisire un detenuto liberando; Ingerenze negli affari relativi a processi di detenuti; Indebite osservazioni in servizio; Fumare durante il servizio di sentinella; Fare eseguire lavori a detenuti senza essere autorizzato; Frequentare persone sconvenienti e contegno riprorevole nella vita privata; Leggere in servizio; Mettersi d’accordo con un detenuto, contro un agente; Manifestare propositi sconvenienti e insinuare il malcontento fra i compagni; Mancanza di rispetto al Sottocapo / ai superiori/ al direttore;
Mormorazioni; Maniere inurbane ed espressioni offensive ai detenuti; Negligenza nel sorvegliare i detenuti; Negligenza nel perquisire i detenuti; Negligenza nello smarrimento della chiave del cancello dei dormitori; Pigrizia in servizio; Permetteva l’uscita dal cancello di una guardia in servizio di sezione; Provocare i compagni; Presentava istanza collettiva e risposte con arroganza al contabile; Per non aver indossato la divisa e per essere andato alla lavorazione del carcere da borghese senza autorizzazione; Reclamo calunnioso contro i superiori; Ritardo a rientrare dalla licenza; Ritardo nella “visita”; Ritardo ad assumere servizio; Risposte arroganti al Capoguardia; Ricevere dai detenuti commissioni ed eseguirle ed accuse menzognere contro un compagno; Ritardata consegna per oltre 1 mese di un pacco diretto a un detenuto; Riferiva cose non vere a danno di un compagno; Rissa con compagni con lesioni e ingiurie reciproche; Scarsa diligenza nel servizio di sentinella; Servirsi di oggetti dell’Amministrazione; Servirsi di un detenuto per scrivere una domandina di trasferimento al Ministero; Trascuranza in servizio; Traffico con operai addetti ai lavori delle carceri; Trascuratezza abituale nell’uniforme; Tolleranza di traffici nello stabilimento; Ubriacarsi in servizio; Ubriachezza scandalosa; Vendita di oggetti della divisa; Questo in pratica, è un sunto delle più comuni infrazioni commesse dagli AA.CC. dell’epoca; un sunto poiché ogni agente, portava con se un fardello di rapporti disciplinari non indifferente, quasi nessuno ne era immune. Una fotografia dell’epoca che ci rimanda l’immagine di una vita di stenti, di fame, di ingerenza nella vita privata dell’agente che spesso
pagava con il trasferimento alcune scelte di vita, di un ambiente litigioso tra colleghi ma anche con i superiori, con i contabili ed anche con il direttore. Molti sono i rapportati per avere rivolto delle ingiurie ai contabili e ciò fa dubitare della correttezza di certi impiegati che magari approfittavano del posto occupato per imbrogliare i poveri Agenti di Custodia. Ma, probabilmente, questa disciplina così ferrea, talvolta forse insensata, era finalizzata a creare il distacco necessario tra agente e detenuto, vista la facilità con la quale gli agenti, o meglio alcuni agenti, entravano in confidenza con i detenuti, con tutto ciò di negativo che ne poteva scaturire per l’ordine e la sicurezza dello Stabilimento Penale. H
Bibliografia: “La grande riforma. Breve storia dell’insoluta questione carceraria”. di Assunta Borzacchiello (Rassegna Penitenziaria e Criminologica n.2 -3/2005 Roma);
“L’utopia penitenziale borbonica” di Giovanni Tessitore Ed. Franco Angeli; www.ildialogo.org - Pianeta Carcere “L’eremita racconta”; “Scuola in carcere” di Piero Malvezzi Ed. Feltrinelli Milano Febbraio 1974; “Il Carcere in Italia” di Aldo Ricci e Giulio Salierno, Einaudi Torino 1971; Archivio Casa Circondariale di Trapani
N.B. La ricerca completa sugli Agenti di Custodia che prestarono servizio a Trapani dal 1913 al 1945 è pubblicata sul sito www.trapaninostra.it sezione libri: da Santa Caterina alla Colombaia, breve storia delle carceri della provincia di Trapani, del Commissario Giuseppe Romano.
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14 di Erremme rivista@sappe.it
attualità
Sovraffollamento, problema non solo italiano
Nasce il primo Osservatorio Europeo sulle condizioni di detenzione
I Nella foto la Bosnia H prison
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l sovraffollamento penitenziario non è solo una caratteristica italiana ma una piaga europea. E’ quel che è emerso giovedì 7 febbraio a Roma, dove l’Osservatorio Europeo indipendente sulle condizioni di detenzione ha presentato i primi dati sulle singole realtà penitenziari europee. Ad oggi sono 8 i paesi (Francia, Regno Unito, Grecia, Italia, Lettonia, Polonia, Portogallo, Spagna) nei quali l’Osservatorio effettua il proprio lavoro di monitoraggio delle condizioni di detenzione e di promozione dei diritti fondamentali delle persone detenute con l’obiettivo di arrivare ad una omogeneizzazione delle condizioni di detenzione che risponda a quanto previsto dagli standard europei. Ogni paese è ancora un universo a sé nel panorama carcerario europeo e lo scambio di buone prassi che il network costruito dall’Osservatorio permette è una risorsa fondamentale per la soluzione degli specifici problemi di ciascun sistema penitenziario nazionale. L’Osservatorio, che mira ad ampliare ulteriormente la propria rete, ha l’ambizione di fungere da organismo di monitoraggio delle condizioni di detenzione di circa 600.000 persone. Tanti sono infatti i detenuti attualmente presenti nelle carceri dell’Unione Europea e l’Italia pur avendo “un’amministrazione penitenziaria nella media, una normativa ‘teorica’ migliore degli altri paesi”, si trova in una “condizione materiale e di sovraffollamento peggiore degli altri paesi”. A disegnare il ‘pianeta carceri’ del Vecchio Continente è stato Mauro Palma, ex presidente del Comitato per la Prevenzione della Tortura del Consiglio d’Europa. Il vero problema, ha spiegato Palma, è il “tasso di sovraffollamento esistente negli
istituti di pena italiani, superato solo da Cipro e dalla Serbia”, un problema determinato da provvedimenti legislativi “come l’ex Cirielli, la legge sulle droghe e quella sull’immigrazione”. Nel corso degli anni, ha aggiunto, “non si è lavorato per una vera presa di coscienza del problema” e per questo “bisogna considerare la questione carceraria non come una cosa a cui ciclicamente interessarsi ma come un problema su cui si misura il modello di civiltà e di economia del Paese”. E se ogni Paese membro ha una propria legge penitenziaria, quel che accomuna tutti i 27 paesi dell’Unione è la carenza di risorse finanziarie. “I tagli alle spese – ha infatti spiegato Palma - hanno determinato ulteriori problemi agli istituti di pena”. In Europa, dunque, vi è una popolazione di circa 600.000 detenuti nelle carceri dell’Unione Europea ed i Paesi ad avere i tassi di detenzione più alti sono Lettonia, Polonia e Spagna per quanto riguarda i paesi dell’Europa meridionale. Diversa è la percentuale di detenuti in custodia cautelare: in generale attorno al 25%, con l’eccezione italiana dove la percentuale è stata a lungo sopra il 50%, ed è attualmente
attorno al 40%. “Una totale anomalia”, secondo l’Osservatorio. Il dato che però resta allarmante è il sovraffollamento, con un tasso pari al 146%. In Francia aumentano i detenuti, che sono il 36% in più del 2001. I progetti di edilizia carceraria non hanno risolto il problema del sovraffollamento e il tasso dei suicidi continua a essere molto elevato mentre le politiche securitarie impongono misure di sicurezza estremamente anche ai detenuti considerati a bassa pericolosità sociale. Sovraffollate anche le carceri della Grecia dove le condizioni di vita sono ritenute, dall’analisi dell’Osservatorio, estremamente degradate. A questo si aggiunge la carenza del personale e l’abuso della custodia cautelare. Ad avere il tasso più alto di carcerazione tra i paesi dell’Osservatorio è la Lettonia: 300 detenuti ogni 100.000 abitanti. Sovraffollamento e condizioni degradate di detenzione anche nelle carceri polacche dove “oltre venti anni dopo la trasformazione politica, il sistema penitenziario sta ancora affrontando seri problemi”. Non solo, in Polonia mancano sia il lavoro per i detenuti che le cure mediche adeguate. In Portogallo, pur essendoci un tasso di criminalità
attualità molto basso se comparato a quello degli altri stati europei, il numero dei detenuti sta crescendo mentre i vari episodi di morte in carcere che si sono verificati non hanno trovato una spiegazione ufficiale. E’ sovraffollamento anche per la Spagna dove è “gravissima anche la situazione relativa all’assistenza
Bretagna, i 149 della Francia, i 99 della Francia. Mettendo a confronto la situazione italiana con quella del resto degli stati dell’Unione Europea emergono invece due differenze sostanziali: l’elevata percentuale di detenuti in custodia cautelare e lo scarso ricorso alle misure alternative, dieci volte in meno che in Spagna o
sanitaria” mentre “a seguito della crisi economica sono state ridotte anche le prestazioni mediche”, questo a fronte di un “aumento dei servizi privati all’interno delle carceri”. Aumentano i detenuti anche nel Regno Unito dove, però, “è avvenuta un’esplosione nell’uso di misure non detentive e di altre forme di pena”. Altro problema è la detenzione minorile, più elevata in Grecia e nel Regno Unito dove però è scesa nel recente passato. La percentuale delle donne detenute in Europa è compresa tra il 3% della Polonia ed il quasi 8% della Spagna. E’ in crescita in Lettonia e in Polonia. La detenzione degli stranieri differisce maggiormente per paese: molto alta nell’Europa meridionale in crescita in Grecia, Italia e Spagna dove però è in calo negli ultimi anni. Inesistente invece in Lettonia e in Polonia. Come risolvere il gravoso problema dell’affollamento? Secondo il consiglio d’Europa con le misure alternative, “da preferirsi alla costruzione di nuove carceri”. Con 146 detenuti ogni 100 posti letto, l’Italia è il paese dove il tasso di sovraffollamento è il più alto d’Europa; di contro il tasso di detenzione è in linea con gli altri paesi: con 107 detenuti ogni 100 mila cittadini, contro i 135 della Gran
in Francia. Infatti, il ricorso alla cosiddetta probation riguarda, rapportato alla popolazione, 33 persone su 100 mila abitanti, mentre in Francia sono 265, nel Regno Unito quasi altrettanti, in Spagna 306,7. Come il resto dei paesi del Mediterraneo è estremamente alta, la percentuale di detenuti stranieri: in Italia il 35,8%, in Spagna il 33,3% in Grecia addirittura il 63%. Merita dunque di essere seguito con attenzione il prezioso lavoro dell’Osservatorio Europeo indipendente sulle condizioni di detenzione, con l’auspicio che monitori nel futuro anche le condizioni di operatività e la specificità professionale delle donne e degli uomini dei Corpi di Polizia Penitenziaria europei. H
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Nei riquadri i dati statistici Nelle foto sopra la Wandsworth prison di Londra a fianco la Sofia City prison
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lo sport
l 15 gennaio 2013, nell'Aula Fleming della facoltà di medicina dell'Università degli Studi di Tor Vergata di Roma, c'è stata la presentazione del calendario dei campioni dello sport ed è stata lanciata la Campagna di prevenzione 2013 dell'Osservatorio Nazionale Bullismo e Doping. Molti i protagonisti dei recenti giochi olimpici che hanno prestato il loro volto e la loro saggezza alle pagine del calendario. Per la realizzazione di questo questo progetto editoriale è stata determinante la collaborazione con i gruppi sportivi della Polizia di Stato,
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Anche il mondo del calcio ha voluto dare un contributo con la partecipazione di Roberto Samaden dell'Inter e Bruno Conti della Roma, entrambi responsabili dei settori giovanili delle loro squadre, ma anche con il dirigente sportivo Luigi Agnolin ed il Presidente della Lega Pro Mario Macalli. Tra gli altri enti patrocinatori ci sono anche il CONI Nazionale, il CONI Regionale Lazio, Roma Capitale e 6Più.
presenza e ricevuto l'applauso del parterre de rois composto da autorità ed ospiti di rilievo. Tra gli altri campioni che hanno partecipato all’iniziativa svoltasi a Tor Vergata, anche il campione del mondo di scherma Stefano Pantano, il pilota di moto Gp Michele Pirro e l’ex campione di scherma Gabriele Magni. Testimonial d'eccezione è stata l'attrice Claudia Gerini, che tra l'altro si è prestata a recitare la “Lettera di Abramo Lincoln all'insegnante di suo figlio” (nel riquadro a fianco) divenuta la mission dell'Osservatorio per il contenuto intimamente connesso con gli obiettivi educativi che l'organizzazione si propone di raggiungere. Il progetto andrà avanti per tutto il 2013 con iniziative, convegni, mostre itineranti e appuntamenti in tutta Italia anche grazie alla collaborazione col sindacato di polizia Sap, partner dell'Osservatorio che con le sue segreterie provinciali ha già predisposto un calendario di incontri
dell’Arma dei Carabinieri, della Polizia Penitenziaria, della Guardia di Finanza, del Corpo Forestale dello Stato e dell'Aeronautica che hanno patrocinato le iniziative della Onlus nata per combattere le piaghe sociali del bullismo e del doping, sempre di evidente attualità. Ben 21 federazioni nazionali hanno aderito e sostengono la campagna sul territorio con i loro affiliati. In ogni pagina hanno trovato spazio le foto delle premiazioni olimpiche e gli slogan degli atleti per sostenere legalità, il rispetto delle regole di convivenza civile e dello sport.
A Tor Vergata “big” come Roberto Cammarelle, Carlo Molfetta, Alessio Sartori e Romano Battisti, oltre agli atleti delle Fiamme Azzurre Clemente Russo, argento olimpico nel pugilato, Vincenzo Mangiacapre, bronzo, sempre nel pugilato, Ilaria Bianchi, finalista olimpica di nuoto nella farfalla, Elisabetta Mijno, argento nell'arco paralimpico, Matteo Betti, bronzo nella prova paralimpica di spada in carrozzina, e la neo reclutata Annalisa Minetti, madrina dell'evento nonché bronzo paralimpico nei 1500m di atletica a Londra, hanno impreziosito l'evento con la loro
in almeno ventuno scuole italiane da Aosta alla Sicilia. Durante la presentazione è stato dato un anticipo del format studiato per i ragazzi delle scuole medie e superiori, composto da filmati di grande impatto e dall'intervento di psicologi, sociologi e altri specialisti qualificati che quotidianamente operano accanto due fenomeni. L'evento di apertura della Campagna 2013 con il primo incontro nelle scuole c'è stato in Toscana, a Chiusi, nella mattinata di sabato 16 febbraio presso i locali del vetusto e splendido Chiostro di San Francesco.
Lo sportivo leale è una persona leale Lady Oscar Redazione Sportiva rivista@sappe.it
Nelle foto alcune fasi del Convegno di Chiusi nel Chiostro di San Francesco in ato il Calendario 2013 dell’Osservatorio Nazionale Bullismo e Doping
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Lettera di Abramo Lincoln all’insegnante di suo figlio ovrà imparare, lo so, che non tutti gli uomini sono giusti, che non tutti gli uomini sono sinceri. Però gli insegni anche che per ogni delinquente, c’è un eroe; che per ogni politico egoista c’è un leader scrupoloso... Gli insegni che per ogni nemico c’è un amico, cerchi di tenerlo lontano dall’invidia, se ci riesce, e gli insegni il segreto di una risata discreta. Gli faccia imparare subito che i bulli sono i primi ad essere sconfitti... Se può, gli trasmetta la meraviglia dei libri... Ma gli lasci anche il tempo tranquillo per ponderare l’eterno mistero degli uccelli nel cielo, delle api nel sole e dei fiori su una verde collina. Gli insegni che a scuola è molto più onorevole sbagliare piuttosto che imbrogliare... Gli insegni ad avere fiducia nelle proprie idee, anche se tutti gli dicono che sta sbagliando... Gli insegni ad essere gentile con le persone gentili e rude con i rudi. Cerchi di dare a mio figlio la forza per non seguire la massa, anche se tutti saltano sul carro del vincitore... Gli insegni a dare ascolto a tutti gli uomini, ma gli insegni anche a filtrare ciò che ascolta col setaccio della verità, trattenendo solo il buono che vi passa attraverso. Gli insegni, se può, come ridere quando è triste. Gli insegni che non c’è vergogna nelle lacrime. Gli insegni a schernire i cinici ed a guardarsi dall’eccessiva dolcezza. Gli insegni a vendere la sua merce al miglior offerente, ma a non dare mai un prezzo al proprio cuore e alla propria anima. Gli insegni a non dare ascolto alla gentaglia urlante e ad alzarsi e combattere, se è nel giusto. Lo tratti con gentilezza, ma non lo coccoli, perché solo attraverso la prova del fuoco si fa un buon acciaio. Lasci che abbia il coraggio di essere impaziente. Lasci che abbia la pazienza per essere coraggioso. Gli insegni sempre ad avere una sublime fiducia in sé stesso, perché solo allora avrà una sublime fiducia nel genere umano. So che la richiesta è grande, ma veda cosa può fare... E’ un così caro ragazzo, mio figlio!
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lo sport Ad aprire l'incontro c'è stato il saluto del vice presidente dell'Osservatorio Nazionale Bullismo e Doping e Portavoce Nazionale Sap Massimo Montebove, del segretario generale ed ex campione olimpico di taekwondo Luca Massaccesi, del sindaco di Chiusi Stefano Scaramelli e dell'assessore Chiara Lanari. Ospite gradito della giornata è stato Pierfrancesco Battistini, ex allenatore del Perugia calcio e delegato dell'Assoallenatori della FIGC. Per le Fiamme Azzurre presente anche Lara Liotta ex atleta di karate. Quasi 200 studenti provenienti dalle locali scuole medie e superiori hanno partecipato con interesse ed entusiasmo. Hanno portato il loro prezioso contributo vari esperti tra i quali la dott.ssa Anna Favi, la dott.ssa Caterina Leone, la dott.ssa Alessandra Venturini e il dott. Vincenzo Naselli. Tutto è stato ripreso dal telegiornale dei ragazzi dell’istituto Einaudi Marconi. H
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Nelle foto a sinistra il Segretario Generale dell’Osservatorio Luca Massaccesi nell’elisse Abramo Lincoln nel riquadro e a lato gli operatori video del TG dei ragazzi con Lara Liotta delle Fiamme Azzurre
Nelle foto sopra lo staff dell’Osservatorio a sinistra il Sindaco di Chiusi Stefano Scaramelli a fianco gli studenti mostrano i calendari dei Campioni dello sport
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diritto e diritti
L’indennità per i servizi esterni Giovanni Passaro passaro@sappe.it
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entilissimo Dott. Passaro, sono il Segretario Locale Sappe Franco Denisi in servizio presso la C.C. di Reggio Calabria e ultimamente ho avuto modo di leggere sul nostro sito una sentenza del TAR del Lazio sezione prima quater dove ci viene riconosciuta la doppia presenza in caso di servizio superiore alle 12 ore. Chi scrive, con una propria nota (che allego), ha richiesto alla direzione di conoscere se il riconoscimento avuto dalla sentenza viene applicato al personale in servizio. Alla luce di questa mia richiesta il direttore amministrativo dell’istituto ha ritenuto opportuno investire i Superiori Uffici per i dovuti chiarimenti. Considerato che il lasso di tempo con il quale il nostro Ministero risponde ai quesiti è abbastanza lungo, con la presente si chiede un Suo autorevole parere in merito. Si allegano la nota Sappe, nonché la sentenza. L’occasione è gradita per porgere atti di viva considerazione. Franco Denisi
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Caro collega, la lettera circolare della Direzione Generale del Personale e della Formazione, prot. n. GDAP-03886882007 del 13/12/2007, ripercorre l’evoluzione delle disposizioni relative all’attribuzione dell’indennità per servizi esterni: individua una casistica, generale, che delimita tre fattispecie nell’ambito delle quali corrispondere l’identità “...attribuzione al personale del Corpo di polizia penitenziaria impiegato in servizi organizzati in turni 1, sulla base di ordini formali di servizio presso le sezioni o i reparti 2 e, comunque, in altri ambienti in cui siano presenti detenuti o internati...”. Il primo settore individuato è quello riferibile ai posti di servizio situati
all’interno di ogni Istituto, definendo come tale l’area all’interno del muro di cinta3. Il secondo è individuato dai posti di servizio di quegli Istituti che sono
giornata lavorativa in due servizi esterni diversi ad esso dovrà essere attribuita una indennità per ciascuno dei servizi svolti. Nella fattispecie, trattandosi di credito
privi del muro di cinta: in questo caso, il limite è costituito dalla portineria e i luoghi per il quale compete l’emolumento sono quelli al di là di questa. Le due aree sono state individuate per la scontata presenza di detenuti, requisito essenziale, sulla loro superficie. Un terzo settore è individuato in tutti gli ambienti che, pur non essendo istituzionalmente destinati alla detenzione, possono occasionalmente o provvisoriamente 4 ospitare detenuti facendo riferimento esplicito ai mezzi di trasporto, alle aule di giustizia, agli ospedali, agli ambienti lavorativi dei detenuti per effetto dell’applicazione del regime di semilibertà o del lavoro all’esterno ai sensi dell’art. 21 O.P. L’art. 8, comma 2, del D.P.R. 170/2007 prevede, con decorrenza 1° novembre 2007, che al personale che, per esigenze dell’Amministrazione, effettua un orario settimanale articolato a giorni alterni, l’emolumento in questione compete in misura doppia 5. Nell’ipotesi in cui il personale sia comandato nell’arco della stessa
che trova la sua causa petendi nel rapporto di lavoro, il termine prescrizionale è quinquennale, ai sensi dell’art. 2948 c.c. n. 4 c.c.6 e deve tenere conto del fatto che l’interruzione della prescrizione si verifica solo con la notifica della richiesta dell’indennità in questione all’Amministrazione. Inoltre, per aver diritto all’attribuzione dell’indennità per servizi esterni il personale deve essere impiegato per un periodo non inferiore alle tre ore continuative, a prescindere dall’espletamento del servizio in regime di lavoro straordinario ovvero a completamento del turno ordinario di servizio giornaliero. Cordiali saluti. Rif. Lettera circolare DAP prot. GDAP0388688-2007 del 13/12/2007 Giurisprudenza: Sentenza TAR Lazio 201300329 del 15/01/2013; Sentenza TAR Lazio 201300328 del 15/01/2013; ; Sentenze CdS n. 2969/11, n.
giustizia minorile 2971/11, n. 2977/11, n. 2979/11 e n. 1227/2009. NOTE L’indennità deve essere corrisposta anche quando l’attività svolta non sia organizzata in turni continuativi (H24). Rif. Sentenza CdS n°2244 del 22.02.2005 “l’organizzazione in turni ricomprende tutti i servizi caratterizzati dalla normalità della turnazione ed aventi carattere di stabilità e periodicità, ancorché i turni non coprano le 24 ore”. 1
Corso per il Contingente Minorile degli Agenti di Polizia Penitenziaria del 164° e 165° Corso
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a cura di Ciro Borrelli Coordinatore Nazionale Sappe Minori per la Formazione borrelli@sappe.it
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Inoltre, beneficia dell’indennità il personale adibito all’attività di polizia giudiziaria. 3
[Tutti i servizi espletati all’interno della cinta muraria, che delimita istituzionalmente lo spazio destinato alla custodia dei detenuti, non potendosi operare, al fine dell’applicazione della disposizione, la distinzione tra i singoli spazi rientranti all’interno del perimetro e ciò anche in ragione della genericità della locuzione “ambienti in cui siano presenti detenuti o internati” la quale non richiede che, ai fini del riconoscimento del beneficio economico, la presenza dei detenuti nei locali sia stabile e permanente]. 4
“L’indennità giornaliera per servizi esterni di cui trattasi, va dunque rapportata non al giorno solare ma all’ordinaria durata della giornata lavorativa, onde assicurare che i lavoratori che abbiano effettuato lo stesso numero di ore di lavoro, considerate utili ai fini del percepimento dell’indennità medesima conseguano un pari trattamento” (Cons. Stato sez. IV n. 2977/11; nel medesimo senso TAR Lazio – Roma n. 3099/12)”. 5
Non possono essere liquidate più di 30 indennità nell’arco di un mese.
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Cons. Stato sez. VI n. 4514/12; Cons. Stato sez. IV n. 4045/12; Cons. Stato sez. VI n. 4494/11. H
D
al 21 al 25 gennaio 2013 si è tenuto presso l’Istituto Centrale di Formazione di Roma un breve corso destinato ai 43 neo-Agenti di Polizia Penitenziaria in servizio presso le strutture del settore Minorile. Obiettivo del Corso è stato quello di fornire ai giovani Agenti di Polizia Penitenziaria elementi di conoscenza sul contesto giustizia minorile al fine di migliorare le loro competenze professionali nella relazione con gli adolescenti detenuti. Le cinque giornate del corso sono state ricche di contenuti grazie alla partecipazione dei Direttori Generali della Giustizia Minorile, di una docente di criminologia, del Dott. Claudio De Angelis, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale dei Minori di Roma e del Commissario di Polizia Penitenziaria, Luigi Ardini. Quest’ultimo ha trattato gli aspetti etici e deontologici nelle dimensioni operative. Infine alcuni funzionaridirettori - di concerto con il personale di Polizia Penitenziaria specializzato hanno sviluppato una tavola rotonda in ordine alla tematica degli strumenti organizzativi e delle metodologie operative nel settore minorile. Il corso proseguirà con una fase formativa on the job presso le sedi
degli Istituti Penali Minorili con il supporto di tutor individuati tra il personale di Polizia Penitenziaria più esperto e momenti di confronto tra lo staff formativo ed i Comandanti di Reparto locali. L’ultima fase del corso si svolgerà nel mese di maggio 2013 presso la sede dell’Istituto Centrale di Formazione di Castiglione delle Stiviere (MN) con l’obiettivo di rileggere l’esperienza realizzata negli Istituti Minorili, in relazione agli aspetti che qualificano la specificità delle competenze della Polizia Penitenziaria e che caratterizzano l’ambiente penale minorile.
Come sempre l’accoglienza dei corsisti è stata curata con professionalità dal personale di Polizia Penitenziaria dell’Istituto Centrale di Formazione sempre disponibile e presente h24. H
Nelle foto sopra i partecipanti al corso di formazione sotto la targa del Dipartimento della Giustizia Minorile
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dalle segreterie Trieste Carnevale dei bambini 2013
rivista@sappe.it
S Nelle foto alcune fasi della Festa per il Carnevale 2013
i è svolta ieri pomeriggio presso la sede del S.A.F.O.C. (Sindacato Autonomo Forze dell’Ordine in Congedo) di Trieste la festa di carnevale per i bambini dei poliziotti organizzata dal SAP (Sindacato Autonomo Polizia). Quest’anno hanno partecipato anche i bambini del SAPPE (Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria) e quelli del CONAPO (Sindacato Autonomo Vigili del Fuoco). SAP, SAPPE e CONAPO,
Roma Judo Trophy 2013 Pressello sul podio
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ella prima delle sei tappe del Campionato Italiano Master di Judo tenutasi a Conegliano, l'Assistente Capo Stefano Pressello, cintura nera IV Dan ha sbaragliato la concorrenza e portato a casa l'ennesimo titolo nazionale nella Nelle foto Stefano Pressello
Polizia Penitenziaria n.203 febbraio 2013
rappresentando assieme il “Comparto Sicurezza”, hanno voluto condividere questo momento di divertimento e felicità con chi non ha avuto le stesse fortune ed opportunità dei nostri bimbi, invitando i “bambini vittime della guerra” della Fondazione Luchetta Ota D’Angelo Hrovatin. Un momento di aggregazione tra i bambini e le loro famiglie che ha maggiormente solidificato valori quali “legalità, solidarietà ed unità” che appartengono a chi ogni giorno
categoria maschile fino a 100kg . La gara, prevista per sabato 16 e domeica 17 febbraio, è stata ospitata presso la Zoppas Arena per il 25° Judo Trophy Vittorio Veneto ed organizzata dal Judo Vittorio Veneto di Gianpietro Vascellari con un numero di atleti provenienti da 15 nazioni vicino alle mille unità. Tra mezzo internet e presenza effettiva sulle tribune la rassegna è stata complessivamente seguita da 10.000 spettatori. Il campione Master della Polizia Penitenziaria ha così potuto inaugurare positivamente il cammino di avvicinamento al Campionato Europeo Master che si terrà a Parigi il prossimo 16 giugno 2013, in cui gareggerà come rappresentante della Nazionale Italiana Fijlkam. Nel primo incontro Pressello ha vinto agevolmente contro Marcello Di Franco (Società Rappresentativa Livorno) rifilandogli prima un wazari con una tecnica di Ochi gari e chiudendo poi la pratica per ippon (corrispondente al ko tecnico del pugilato) con yoko tomoe nage. Il secondo combattimento contro Stefano Temporal (a.s.d. Judokay
garantisce la Sicurezza ed il Soccorso Pubblico ai cittadini, valori che crediamo debbano essere trasmessi ai nostri fanciulli. Presenti alla festa il Segretario della Fondazione Giovanni Scarpa, il Presidente del SAFOC Alfredo Cannataro, il Segretario Provinciale del SAP di Trieste Lorenzo Tamaro, il Segretario del SAPPE Giovanni Altomare ed il Segretario del CONAPO Diego Fozzer. Il Questore di Trieste Giuseppe Padulano, con la sua presenza, ha voluto testimoniare l’alto valore simbolico dello “tare insieme delle famiglie delle Forze di Polizia, esprimendo compiacimento ed apprezzamento per l’ottima riuscita della manifestazione. H
Gemona) è terminato in parità alla fine del tempo regolamentare. Al golder score (prolungamento del tempo), dopo un minuto di ostilità il nostro atleta è riuscito a piazzare un ottimo ippon di seoi nage. La finale contro Giulio Bonelli (Rappresenatativa regione Toscana) si è conclusa dopo due minuti e mezzo, perchè anche qui Pressello è risucito ad infilare un seoi nage che gli è valso il meritatissimo oro e la conferma di non avere praticamente rivali in categoria. H Lady O LA CLASSIFICA 1° Stefano Pressello rappresentativa Master Lazio 2° Giulio Bonelli rappresentativa Master Toscana 3° Alex Bengala rappresentativa Master LOMBARDIA 3° Stefano Temporal A.S.D. Judokay Gemona 5° Vittorio Di Bartolomeo A.S.D. Budokan Institute Bologna 5° Dario Principe rappresentativa Master Lombardia 7° Marcello Di Franco rappresentativa Master Liguria 7° Mauro Sequenza A.S.D. Judokay Gemona
dalle segreterie
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rivista@sappe.it
Voghera Consiglio Regionale Lombardia
I
l 30 gennaio 2013, alla presenza del Segreterio Generale dott. Donato Capece, si è svolto a Voghera il 17° Consiglio Regionale del Sappe. Numerosi i temi
trattati durante il raduno, quali il protocollo d’intesa con la Regione Lombardia, la carenza degli organici, l’apertura di nuovi reparti detentivi e il sofraffolamento degli istituti, oltre alla sorveglianza dinamica e le misure alternative al carcere. Presenti i Rappresentanti Regionali Francesco Di Dio, Paolino Salamone, Nicolino La Bella, Alfonso Greco, Nico Tozzi e Matteo Savino unitamente ai Segretari provinciali e ai delegati della Regione al Consiglio. H
Trapani In ricordo dell’Ass. Capo Francesco Paolo Brancaleone
L’
assistente capo Francesco Paolo Brancaleone, 42 anni, in servizio al N.T.P. della Casa Circondariale di Trapani ci ha prematuramente lasciati sabato 23 febbraio scorso. Un maledetto Aneurisma Cerebrale non gli ha lasciato scampo; una morte improvvisa lo ha rapito ai familiari e ai numerosissimi amici e colleghi. Il 25 febbraio si sono celebrati i funerali presso la Chiesa Madonna di Fatima di Trapani, troppo piccola per contenere la folla di amici, colleghi e parenti che hanno voluto tributargli l’ultimo saluto. Ed eravamo lì in tanti, per rendergli l’ultimo omaggio, distrutti dallo sguardo innocente dei suoi due figli minori, e della giovane
Vibo Valentia Lutto in istituto l 26 dicembre 2012 ci ha lasciati l'Assistente Capo Fortunata Ciccone. La sua vita, dedicata al lavoro, è per noi esempio di come anche la vita "tra le sbarre" può e deve essere fonte di positività e serenità. Fortunata ha sempre espresso il desiderio di non
I
moglie, smarriti in mezzo a tanto dolore. Ciccio Brancaleone, “Chicco” per i tantissimi amici, era una persona dotata solo di grandi pregi, o almeno non ci siamo mai accorti dei suoi difetti, se ne aveva. E non sono solo parole di circostanza, quelle da me pronunciate, alla fine della cerimonia funebre, al fine di compiacere amici e familiari, perché di solito nei funerali si tende ad esaltare le virtù del defunto; Chicco Brancaleone era davvero un uomo buono, un generoso, una persona la cui compagnia sia in abbandonare il nostro Istituto ed ogni anno allietava il 6 gennaio, i figli dei suoi colleghi indossando le vesti di una befana gioiosa che dispensava sorrisi e regali. Ma l'esempio più bello che Fortunata ci lascia è un desiderio: quello di indossare, nel salutare il mondo, la divisa della Polizia Penitenziaria, la stessa divisa che ha sempre indossato con orgoglio. Ciao Fortunata. H
I Colleghi del N.C.P. di Vibo Valentia.
servizio che fuori era davvero piacevole. Un collega professionale, sempre pronto al sorriso , alla battuta fatta con quella sottile ironia che sommata a quella sua bella faccia paffuta, lo rendeva simpatico a tutti a prima vista. Amante della famiglia, alla quale non faceva mai mancare il sole delle Isole Egadi e di San Vito Lo Capo era un campione di pesca subacquea. Una grave perdita che ci ha lasciati stupefatti. Non sono bastate le veglie di preghiera, nelle quali, numerosi, abbiamo pregato affinchè il Signore lo lasciasse vivere. Il Signore lo ha voluto a se per un disegno misterioso che a noi sfugge. Oggi non abbiamo potuto fare altro che testimoniare, con la nostra presenza, con la presenza di numerosissimi pensionati della P.P., con la presenza anche di una rappresentanza dell’ANPPE giusta appositamente da Palermo, quanto gli abbiamo voluto bene e quanta stima avevamo tutti nei suoi confronti. Riposa in pace caro amico. H Giuseppe Romano
Nelle foto alcune fasi del 17° Consiglio Regionale Sappe della Lombardia
Nella foto al centro Francesco Paolo Brancaleone
Nella foto a fianco Fortunata Ciccone
Polizia Penitenziaria n.203 febbraio 2013
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cinema dietro le sbarre
Il cecchino a cura di Giovanni Battista de Blasis deblasis@sappe.it
la scheda del film Regia: Michele Placido Titolo originale: Le guetteur Altri titoli: Lo spione, The Lookout Sceneggiatura: Cédric Melon, Denis Brusseaux Fotografia: Arnaldo Catinari Musiche: Montaggio: Consuelo Catucci, Sébastien Prangère Scenografia: Jean-Jacques Gernolle Costumi: Virginie Montel, Isabelle Pannetier Effetti: Georges Demétrau Produzione: Climax Films, Babe Films, Ran Entertainment Distribuzione: 01 Distribution
a fama guadagnata da Michele Placido con Romanzo Criminale gli è valsa una chiamata oltralpe per girare un noir scritto a quattro mani da Cédric Melon e Denis Brusseaux. Lo stesso Placido ha avuto modo di dichiarare di aver girato, appunto, un suo Romanzo Criminale francese. In realtà, Il cecchino ha poco a che fare col film di Placido tratto dal libro di De Cataldo e ispirato dalle
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Personaggi ed Interpreti: Comm. Mattei: Daniel Auteuil Vincent : Mathieu Kassovitz Franck: Olivier Gourmet Louise: Violante Placido Falsario: Michele Placido Moglie del falsario: Fanny Ardant Bandito: Luca Argentero Sebastien Soudais Nicolas Briançon Alex Martin Francis Renaud Arly Jover Genere: Azione, Poliziesco Durata: 110 minuti Origine: Francia, 2012 Note: Fuori concorso alla VII Edizione del Festival Internazionale del Film di Roma 2012.
Nelle foto la locandina e alcune scene del film
Polizia Penitenziaria n.203 febbraio 2013
vicende della banda della magliana. Il cecchino è un thriller che strizza gli occhi al genere classico statunitense. La storia si incentra sull’antagonismo tra il capitano della polizia parigina, Mattei e il villain Kamiski che si contrappone a lui nell’eterna lotta tra il bene e il male. Infatti, proprio quando il capitano Mattei è a un passo dall’incastrare una pericolosa banda di rapinatori, un abile cecchino appostato sul tetto di un edificio, e assoldato per permettere la fuga dei rapinatori, riesce ad impedirglielo colpendo numerosi poliziotti. La soffiata di un informatore a Mattei rivela, però, il luogo dove è appostato
il cecchino e permette al capitano di arrestarlo. Rinchiuso in un carcere di massima sicurezza, il cecchino nonostante i serrati interrogatori riesce a tenere nascosta la propria identità. Solo in seguito all’intervento dei servizi segreti francesi, il capitano Mattei riesce a sapere l’identità del cecchino: Vincent Kamiski, tiratore scelto ufficialmente deceduto in Afghanistan. Nonostante le imponenti misure di sicurezza, Kamiski riesce a fuggire dal carcere spinto dall’irrefrenabile impulso di cercare la talpa che lo ha denunciato e che ha ucciso il suo avvocato, una giovane donna con la quale aveva
avuto una storia anni prima. Mattei e Kaminski, ai lati opposti della legge, metteranno in atto una caccia all’uomo che li porterà a scoprire segreti che nemmeno immaginavano. Placido decide fin dall’inizio di assumere il punto di vista del cecchino, optando per una posizione dominante e lasciando tutti gli altri personaggi all’oscuro. E da qui si dipana una trama a volte troppo ingarbugliata, ma tesa e serrata, piena di tradimenti, ambiguità, febbrili passioni, persino un cenno di denuncia sociale nell’analizzare i fantasmi personali dei reduci dalle guerre di Afghanistan e Iraq. H
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crimini e criminali
Il mostro di Marsala Pasquale Salemme Segretario Nazionale del Sappe salemme@sappe.it
Nella foto Michele Vinci in manette
Polizia Penitenziaria n.203 febbraio 2013
ono giunto al mio ventesimo articolo e mi sembra doveroso ringraziare, perché sino ad ora non l’ho fatto, l’amico nonché Direttore editoriale della rivista, Gianni De Blasis, che mi ha dato la possibilità di dar vita a questa rubrica e con cui condivido la passione per la criminologia. A volte arrivano indicazioni da parte dei lettori che mi invitano ad approfondire storie di crimini che, come ho ribadito più volte, disconosco o che non hanno avuto una grande risonanza dei media nazionali. La storia che riporto questo mese ne è un esempio.
S
Quando mi sono confrontato con Gianni anche lui, come me, non conosceva questa vicenda atroce perpetrata ai danni di tre innocenti bambine barbaramente uccise nella Sicilia degli anni 70. Questa brutta vicenda che vi racconto ha inizio nella mattinata del 21 ottobre del 1971, quando nella cittadina di Marsala spariscono tre bambine: Ninfa Marchese di sette anni, la sorella Virginia di cinque e la cugina Antonella Valenti di nove anni. Le tre bambine escono di casa per accompagnare a scuola, Liliana, sorella di Antonella, che deve svolgere il turno pomeridiano, una volta lasciata la piccola all’edificio scolastico, scompaiono e non faranno mai più ritorno nella propria
abitazione. Il nonno materno di Antonella, non vedendola tornare dalla scuola con le sue amiche, decide di avvertire i carabinieri. Le indagini prendono il via la mattina successiva coordinate dal giudice Cesare Terranova, già procuratore d’accusa al processo contro la mafia corleonese tenutosi nel 1969 a Bari, e giudice della sentenza che condannerà, qualche anno dopo, all’ergastolo Luciano Liggio. Comincia così a Marsala una grande ricerca delle tre scomparse che vede coinvolta anche la popolazione locale: si cerca nelle campagne, nei casolari abbandonati e in ogni luogo intorno alla cittadina, ma le ricerche non danno alcun esito. Dalle prime testimonianze raccolte dai Carabinieri, sembra che le bambine siano state viste insieme a un uomo di giovane età nei pressi della scuola e che l’uomo si sia poi allontanato con loro a bordo di una Fiat 500 blu. Dopo cinque giorni, il 26 ottobre, in aperta campagna, a sei chilometri da Marsala, all’interno di una scuola abbandonata, un muratore trova il corpicino senza vita di Antonella, con le mani legate e il viso completamente avvolto da un nastro adesivo. Il ritrovamento in quel luogo è alquanto strano perché quell’edificio era stato controllato diverse volte nei giorni immediatamente successivi alla scomparsa. La bambina - afferma in un primo momento un medico - è stata violentata e dopo lo strazio il suo carnefice l’ha strangolata e ha cercato di bruciarne il cadavere. In realtà violenza sessuale e strangolamento saranno smentiti da successive perizie, le quali affermeranno che Antonella è morta soffocata da un nastro adesivo che le era stato avvolto attorno a tutto il corpo e sulla faccia. La bambina non è morta subito ed è rimasta in vita qualche giorno, nutrita a pane, salame e cibo in scatola. Avvisati
dello scempio della povera Antonella i suoi genitori, Leonardo e Maria Valenti, immigrati in Germania, tornano a Marsala dove la bambina era stata affidata alla cura dei nonni materni. Dopo il ritrovamento del cadavere, il procuratore della Repubblica di Marsala, Cesare Terranova, tornò a casa con la foto delle altre due bimbe che non erano state ancora ritrovate, abbracciò la moglie Giovanna e disse: «Se non trovo l’assassino finisco in una clinica. Questo delitto non mi dà pace» (Corsera del 19 ottobre 1992). Il Procuratore così concentra le sue indagini, lente ma inesorabili, da un lato verso i crimini a sfondo sessuale per identificare un eventuale pedofilo, ordinando un censimento di tutti coloro che avevano precedenti specifici e, dall’altro lato, non disdegna la pista familiare, seguita dopo le testimonianze raccolte e le dicerie che circolavano in paese. Riguardo quest’ultima pista, molti indizi si appuntavano sullo zio di Antonella, Michele Vinci, 30 anni, fattorino della cartotecnica «San Giovanni» di Marsala, di proprietà della famiglia Nania, sposato con Anna Impicciché, sorella di Maria Valenti e mamma di Antonella. L’uomo lasciato in libertà in attesa che la sicurezza di una prova o di una confessione lo inchiodasse alle sue tremende responsabilità il 9 novembre viene convocato in procura per essere sottoposto ad interrogatorio. La sera stessa, dopo essere stato incalzato per una giornata intera, il Vinci confessa e indica anche il luogo in cui aveva abbandonato i cadaveri delle ultime due bambine. Il nastro adesivo e la testimonianza di un benzinaio tedesco, che subito dopo la scomparsa delle bambini dichiarò di aver visto una 500 blu con a bordo le tre ragazzine, saranno i punti cardini per la risoluzione definitiva delle indagini. La stessa sera i carabinieri di Marsala, 19 giorni dopo la loro scomparsa, si recano in contrada Amabilina e trovano anche i corpicini senza vita di Virginia e Ninfa Marchese: sono sul fondo di un pozzo
crimini e criminali
di tufo profondo 25 metri, in aperta campagna. Le due bambine non sono morte subito e sul fondo di quello oscuro cunicolo sono arrivate ancora vive. Sono state lasciate morire di terrore e di inedia. La confessione fa scattare subito l’arresto di Michele Vinci, creando stupore in tutta la comunità che lo aveva visto
partecipare attivamente alle ricerche delle bambine e ai funerali della nipote, durante i quali appariva particolarmente colpito per il tragico evento.
Viene così trasferito nelle carceri di Ragusa con un ingente spiegamento di carabinieri per sottrarlo al linciaggio popolare. E’ lui il mostro? Perché zio Michele ha ucciso la piccola Antonella? Come ha potuto l’affetto di uno zio trasformarsi nella furia morbosa di un assassino? E’ solo un uomo malato? Il Vinci viene così sottoposto ad una serie di accertamenti medicopsichiatrici per accertare se era capace di intendere e di volere, sia al momento del fatto sia al momento delle proprie dichiarazioni rese nel corso delle indagini. La prima perizia, condotta nel settembre del 1972, dai professori Rubino, Pinelli e Ferracuti, non raggiunge un verdetto unanime: mentre Rubino sostiene che Vinci fosse nel pieno delle sue facoltà, gli altri psichiatri lo giudicano seminfermo di mente e pericoloso per sé e gli altri. La contraddizione del verdetto costringe il giudice Libertino Russo, cui era stata affidata l’istruttoria per il triplice omicidio, disporre una nuova perizia nel mese successivo. Il nuovo esame viene affidato ai professori Longo, Favilla e Catapano, tre famosi psichiatri campani. Nella nuova perizia i professori raggiungono un verdetto unanime descrivendo Vinci come un freddo mistificatore che continua a mentire con estrema abilità. Nel novembre 1973 inizia il processo a Michele Vinci che in aula appare lucido, determinato e ritratta tutte le sue ammissioni e lancia un’accusa tremenda: dice di aver rapito le bambine perché costretto a farlo da Franco Nania, fratello del padrone della fabbrica in cui lavorava, il quale sarebbe stato innamorato della mamma di Antonella, lei l’avrebbe sempre respinto e così avrebbe chiesto al dipendente di attuare la spaventosa vendetta. Nania viene arrestato, il processo viene sospeso, le indagini ripartono da zero. Nel marzo del 1974 Nania è prosciolto, le accuse del reo confesso non hanno retto. Il processo si definisce il 10 luglio 1975 con
sentenza di condanna della Corte di Assise di Trapani che, nonostante i numerosi dubbi sollevati nel corso dell’indagine sulla possibilità che Vinci possa essere stato da solo l’artefice dei delitti, lo condanna all’ergastolo come unico responsabile del sequestro e omicidio delle bambine, il cui movente è individuato nella morbosa passione di Vinci per Antonella. Quando, nel dicembre del 1976, si apre il processo d’Appello è, nel frattempo, spuntato anche un diario che Vinci ha scritto in carcere e che gli è stato sequestrato. Contiene una nuova versione: Antonella è stata rapita ed uccisa perché suo padre, Leonardo Valenti, ha fatto una offesa a Cosa nostra, rifiutandosi di partecipare al commando che avrebbe dovuto sequestrare il deputato democristiano Salvatore
Grillo, fedele al gruppo di potere che faceva capo ai cugini Nino e Ignazio Salvo, gli esattori di Salemi. Delitto sessuale, delitto di punizione o delitto di mafia? Il 18 gennaio 1977, a quasi sei anni dal triplice delitto, Michele Vinci è riconosciuto nuovamente colpevole. La pena, però, passa dall’ergastolo a 30 anni di detenzione. Sentenza confermata l’anno dopo in Cassazione con la riduzione della pena a 29 anni. Secondo molti chi nascose le bambine nella cava e perché furono rapite restano i grandi interrogativi insoluti di questa brutta vicenda. Dal 2002 Michele Vinci vive libero in provincia di Viterbo. Alla prossima... H
25 Nella foto a sinistra il giudice Cesare Terranova sotto la lapide posta a Marsala in occasione dei 40 anni dalla tragica scomparsa delle bambine vittime del “mostro “
sopra i funerali della piccola Antonella Valenti. Nel cerchietto Michele Vinci segue la bara a sinistra la signora Maurina madre delle sorelle Ninfa e Virginia Marchese
Polizia Penitenziaria n.203 febbraio 2013
26 a cura di Giovanni Battista de Blasis deblasis@sappe.it
Nella foto la copertina e la vignetta del numero di settembre 1997
Polizia Penitenziaria n.203 febbraio 2013
come scrivevamo
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enti anni di pubblicazioni hanno conferito al mensile Polizia Penitenziaria - Società Giustizia & Sicurezza la dignità di qualificata fonte storica, oltre quella di autorevole voce di opinione. La consapevolezza di aver acquisito questo ruolo ci ha convinto dell’opportunità di introdurre una rubrica - Cosa Scrivevamo - che contenga una copia anastatica di un articolo di particolare interesse storico pubblicato tanti anni addietro. A corredo dell’articolo abbiamo ritenuto di riprodurre la copertina, l’indice e la vignetta del numero originale della Rivista nel quale fu pubblicato.
Sindacalismo e Agenti di Custodia Un’occasione per conoscere la nostra storia di Roberto Martinelli
elle scorse settimane, presso la facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli studi di Genova, si è parlato di Polizia Penitenziaria quale argomento oggetto di una tesi di laurea. Lo ha fatto il neo dottore Paolo Benasso, seguito nelle ricerche dal Professor Franco Della Casa, relatore della tesi e da anni docente di Diritto Penitenziario presso l’Ateneo genovese di Legge. L'elaborato, di oltre 170 pagine, esamina l'evoluzione della normativa sugli Agenti di Custodia dall'Italia post unitaria ai giorni nostri, con una compiuta analisi della Legge n. 395/90 e da esso traspare netta ed inequivocabile la necessità di valorizzare la componente custodiale del sistema carcerario del Paese per una efficiente funzionalità del sistema stesso. Di particolare interesse sono le note storiche che riportano l'attività "sindacale" delle origini posta in essere per rivendicare il rispetto dei diritti fondamentali, allora vera utopia. Benasso parte da una amara considerazione: se è vero che le varie problematiche del diritto penale sostanziale e procedurale sono sempre state discusse dalla dottrina e affrontate dal legislatore con la dovuta dose di attenzione e competenza, altrettanto vero è che la questione dell'esecuzione della pena
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non ha mai ricevuto la stessa considerazione, determinando con ciò che l'istituzione carceraria ed il personale ivi operante sono stati retti da norme assolutamente vessatorie e mortificanti, malgrado ciò volutamente conservate col passare degli anni da tutti i Governi, da quelli post unitari fino a tempi recenti. Risale al 1873 la storia degli Agenti di Custodia (in quell'anno, con la Legge n.1404 del 23 giugno, si regolamenta l'ordinamento del personale addetto alla custodia degli stabilimenti carcerari). Una storia difficile, di uomini semplici costretti a svolgere un lavoro spesso umiliante e degradante, odiati dai detenuti e usati dal potere politico come semplici apritori di cancelli o "battitori di sbarre" ed isolati dal resto della società civile. Un lavoro scelto non certo per vocazione, ma per costrizione, in quanto ha per lungo tempo rappresentato l'unica opportunità di guadagno onesto, l'unica alternativa al crimine per tutta quella fascia di popolazione emarginata proveniente dalle zone più depresse del Paese. Un lavoro, oltre tutto, regolamentato da norme assurde e vessatorie, che offendevano la dignità umana e professionale degli agenti. Si pensi, ad esempio, al Regolamento Carcerario del 1891 che permetteva ad un agente di contrarre matrimonio a certe condizioni (solamente decorsi otto anni dal servizio a condizione che possedesse un capitale di almeno tremia lire e previa autorizzazione del Ministero dell'Interno), concedeva solo due ore di libera uscita giornaliera al personale accasermato, prevedeva una gamma praticamente illimitata di infrazioni disciplinari.
come scrivevamo In questa situazione di profondo disagio non potevano mancare le prime voci di protesta del personale. Nel 1906 e nel 1908 a Milano e a Roma gli agenti lamentano "gli abusi di potere. i soprusi, le rappresaglie esercitate in ogni tempo e luogo dai superiori di ogni genere" e formulano alcune minime rivendicazioni (tra cui la riduzione dell'orario di lavoro da dodici a otto ore giornaliere ed una giornata di libertà ogni quindici giorni) che, se soddisfatte, mitigherebbero un poco le loro bestiali condizioni di lavoro. A queste prime rivendicazioni non segue alcun provvedimento governativo teso a migliorare le condizioni degli Agenti di Custodia che continuano così le loro agitazioni che, nel 1913 e 1914, raggiungono il culmine con proteste segnalate nelle carceri di Noto, Roma, Padova, Catania e Fossano, mentre nasce un comitato segreto degli Agenti di Custodia di Piemonte e Lombardia che invia un memoriale all'allora Ministro dell'lnterno Salandra, affidandosi al suo "generoso cuore" e alla sua "innata giustizia" affinchè si faccia carico dei loro problemi... Memoriale al quale il Ministro rispose chiedendo ai Prefetti notizie riservate sull'iniziativa. Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale interrompe questa prima fase di rivendicazioni che però, a partire dal 1919, riprenderanno caratterizzate, fra l'altro, da un forte accento politico sindacale. Malgrado ciò, tali fatti sono ignorati dalle pubblicazioni ufficiali e poco considerati anche dalla stampa di sinistra. E' di questo periodo la nascita di una federazione degli Agenti di Custodia, ma la risposta dell'Autorità Centrale è sempre la stessa: nascondere la realtà, e reprimere le proteste, chiedendo a tal fine aiuto anche alla Direzione Generale della Pubblica Sicurezza. Tale irrazionale comportamento determina ed alimenta la rabbia degli agenti che continuano le loro lotte tanto che, per garantire la sicurezza esterna degli stabilimenti penitenziari, viene chiesto l'intervento del Ministro della Guerra e l'autorità di Pubblica
Sicurezza predispone addirittura un'operazione di spionaggio all'interno degli istituti inviando "agenti investigativi i quali, in divisa e con attribuzioni di agenti di custodia, possano mescolarsi al personale e, da un lato, accennare quali sono effettivamente gli elementi più pericolosi e, dall'altro, segnalarne in tempo i propositi". Anche l'introduzione del Regolamerlto del Corpo nel 1937 non soddisfa le rivendicazioni degli agenti. Traspare, infatti, netto l'intento della Direzione Generale, cui non servono uomini che pensino, ma divise che eseguano gli ordini senza discutere, che vivano praticamente la stessa vita del recluso, essendo così portati ad avere fortissimi contrasti con quest'ultimo. Ordini che fomentano quello stato di tensione e di odio fra carcerati e carcerieri necessario per poter permettere alla pena di svolgere al meglio la sua funzione repressiva. Un aspetto particolarmente crudele del mestiere di Agente di Custodia era, ad esempio, il divieto, sancito dall'articolo 183 del Regolamento, di prestare servizio negli stabilimenti esistenti nella provincia di origine propria o della moglie, cautela usata solo per Agenti di Custodia mentre per il personale civile o per i direttori, ugualmente esposti al pericolo di illecite ingerenze esterne, nulla di simile viene stabilito. La fine del secondo conflitto mondiale ed il conseguente crollo del fascismo determinano, nella maggior parte delle strutture amministrative dello Stato, l'avvio di alcune riforme che eliminarono gli aspetti più anacronistici e brutali dell'ordinamento autoritario, ma ciò non avvenne nel settore penitenziario. Servizi al limite del disumano, salari da fame, rigida disciplina, basso prestigio sociale continuano ad essere le caratteristiche dell'Agente di Custodia della neonata Repubblica Italiana. Anche negli anni '60 gli agenti pongono in essere forme di protesta, anche collettive, che. pur se basate ancora su obiettivi minimali, danno una forte scossa al solito immobilismo dell'amministrazione
carceraria che dimostra di temere questa decisa presa di posizione degli agenti, reprimendo duramente ogni loro iniziativa. A partire dal 1976 gli agenti torneranno a far sentire la loro voce: saranno quelli in servizio nel carcere milanese di San Vittore a dar vita a questo ciclo di proteste, incontrando il Procuratore Generale di Milano, al quale fanno presente la drammaticità della loro situazione, mettendo l'accento prevalentemente sulle carenze di organico, sulla pericolosità e l’eccessiva durezza dei servizi. A distanza di pochi giorni segue la protesta dei colleghi di Augusta e Siracusa che si autoconsegnano in carcere.
Proteste, anche estreme, in un periodo particolarmente drammatico per le carceri del Paese in conseguenza delle rivolte dei detenuti pressochè quotidiane, che determinano l'attenzione della stampa e delle forze politiche e che consentiranno, dopo una lunga gestazione, l'approvazione della riforma del Corpo del 1990, ancora insoddisfacente per una reale trasformazione della componente custodiale. Ricorda Benasso anche le proteste corporative dei Direttori che si opponevano alla Legge n. 395/90.
27 Nella foto Agente di Custodia in uniforme pre unitaria
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mondo penitenziario
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Polizia Penitenziaria n.203 febbraio 2013
Quando, nel corso del seminario interprofessionale di Barga di Lucca del 1989, si delinea l'indirizzo politico di riformare l'Amministrazione Penitenziaria ponendo come prioritaria la riforma del Corpo degli Agenti di Custodia,affiorarono, da parte di quei dirigenti più intransigenti ed oltranzisti, forti riserve sul fatto che questa riforma partisse “dal basso” anzichè "dall'alto", come loro avrebbero voluto, quasi a voler sottolineare che ingiustificati privilegi dei quali godevano finanche nei confronti degli altri dirigenti, non sarebbero mai stati scalfiti neanche da una legge dello Stato. Ma sono le conclusioni cui giunge Benasso che evidenziano i malumori della Polizia Penitenziaria. Scrive, infatti, che, in questi anni, i cambiamenti dei rapporti fra la classe dirigente e quella esecutiva della Polizia Penitenziaria, se mai ci sono stati, sono stati puramente formali: questa situazione è causata, in parte, da una legge che ha creato un Corpo di Polizia acefalo, poichè privo di una figura direttiva nell'ambito dello stesso Corpo, dotato di una certa autonomia ed in grado di gestire un reale coordinamento sul territorio e capace di dare impulso ad un adeguato sfruttamento delle risorse umane disponibili. La carriera del Corpo di Polizia Penitenziaria termina, infatti, con la qualifica di Ispettore Superiore il quale è, a norma della legge n.395/90, un mero collaboratore del direttore dell'istituto. Questo fa amaramente pensare che chi dovrebbe gestire il Corpo e promuovere lo sviluppo deve obbligatoriamente uscirne e spogliarsi dell'uniforme: quasi che il legislatore abbia voluto dire che non può una divisa come quella del poliziotto penitenziario assurgere a livelli dirigenziali, come se non ne avesse la dignità, malgrado (o a causa) dell'ingrato compito che deve svolgere. Una affermazione, questa di Benasso, che non si può non condividere. H
Anticipo e rimborso delle spese di patrocinio legale
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lla stregua della normativa di riferimento il dipendente che sia sottoposto a giudizio di responsabilità civile, penale, amministrativa o erariale, in conseguenza di fatti e/o atti connessi all’espletamento del servizio o all’assolvimento di obblighi istituzionali, ha diritto ad ottenere il rimborso delle spese di difesa sostenute, qualora, all’esito del giudizio la responsabilità del medesimo sia esclusa con sentenza di assoluzione con formula piena. La giurisprudenza amministrativa ha chiarito che sussiste la necessaria connessione con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali, allorché gli effetti dell’attività del dipendente siano imputabili direttamente all’Amministrazione di appartenenza o quando tale attività sia comunque svolta in diretta relazione con i fini dell’Amministrazione stessa. La ratio sottesa è, infatti, quella di tenere indenni i soggetti che abbiano agito, oltre che nell’interesse, anche in nome e per conto dell’Amministrazione, in modo da sollevarli da qualsiasi timore di eventuali conseguenze giudiziarie connesse con tale loro agire. Così circoscritto, il diritto al rimborso è stato còlto e sviluppato nella maggiore ampiezza possibile, individuato quale espressione di un principio generale di difesa volto, da un lato, a proteggere l’interesse personale del soggetto coinvolto nel giudizio e l’immagine della p.a. per la quale quel soggetto agisce, dall’altro, a confermare il principio cardine dell’ordinamento che vuole riferire alla sfera giuridica del titolare dell’interesse sostanziale le conseguenze derivanti dall’operato di
chi agisce per suo conto. Non a caso la legittimazione dogmatica del principio attinge dalla teoria del mandato (cui comoda et eius incommoda) e trova ancoraggio positivo nella norma dell’articolo 1720, comma 2, del codice civile, che stabilisce con chiarezza la misura dei diritti patrimoniali vantati dal mandatario nei riguardi del mandante, individuando, nei rapporti interni, e quindi al di fuori del rapporto di immedesimazione organica avente rilevanza esclusivamente verso l’esterno, il punto di equilibrio tra le contrapposte pretese e la ripartizione dei rischi economici derivanti dall’attuazione del rapporto. Il nostro ordinamento, tuttavia, àncora il rimborso dell’Amministrazione in favore di chi abbia operato per suo conto alla ricorrenza di determinate condizioni: assenza di dolo e di colpa grave del dipendente, connessione con il procedimento giurisdizionale e con l’espletamento del servizio, assenza di un conflitto di interesse con l’Ente di appartenenza, sentenza di assoluzione pienamente favorevole al dipendente, la cui ricorrenza dà luogo all’insorgenza di un vero e proprio diritto soggettivo al rimborso sia pure temperato dal giudizio di congruità demandato all’Avvocatura Generale dello Stato. Il rimborso, pertanto, non è dovuto in caso di sentenza di proscioglimento a carattere processuale, come nel caso di intervenuta prescrizione o per assenza di una condizione di procedibilità, dal momento che in tali casi l’esito del giudizio non esclude la responsabilità del dipendente. All’uopo si rammenta, più in dettaglio, che la normativa di riferimento sono la Legge n. 152/75, articolo 32, la
mondo penitenziario Legge n. 135/97, articolo 18, il D.P.R. n. 164/02, articolo 40 e il D.L. n. 543/1996 convertito nella Legge n. 639/1996, articolo 3, comma 2bis con il quale si è provveduto ad estendere il diritto al rimborso anche qualora il dipendente sia sottoposto a responsabilità erariale da parte della Magistratura contabile. Dei suddetti referenti normativi meritano di essere evidenziati, in particolare, l’articolo 18 della Legge n. 135/97 e l’articolo 40 del D.P.R. n. 164/02, in quanto hanno introdotto la possibilità per l’Amministrazione di concedere, per una sola volta, a prescindere quindi dagli eventuali gradi di giudizio, un’anticipazione sul rimborso definitivo, al fine di assicurare al dipendente che venga coinvolto in un procedimento, per fatti conseguenti all’espletamento di compiti istituzionali, un sostegno economico atto a consentire fin dalla fase del procedimento gli oneri derivanti dalle esigenze di difesa, sempre che vi sia una prognosi favorevole sull’esito del procedimento: trattasi, invero, di una somma pari a 2.500 euro la cui esiguità/incongruità è di tutta
evidenza alla luce dei compensi richiesti attualmente dagli avvocati, soprattutto penalisti. In caso contrario, è fatta salva, comunque, la ripetizione da parte dell’Amministrazione delle somme erogate al dipendente, qualora venga accertata, a conclusione del procedimento, la responsabilità del medesimo. Orbene se, da un lato, i presupposti di legge testé richiamati e specificati sono coerenti con l’impostazione dogmatica relativa alla disciplina del mandato, dall’altro, mal si conciliano, e in questo senso sono fortemente limitativi, con le particolari funzioni e mansioni demandate al Corpo di Polizia Penitenziaria che, per certi versi, danno luogo ad una sovraesposizione alla dimensione penale aggravata talvolta dalla risonanza mediatica e sociale della vicenda giudiziaria, i cui oneri economici, nella stragrande maggioranza dei casi, non sono sostenibili da parte del dipendente, perlomeno nella misura ritenuta necessaria a vedersi assicurata una adeguata ed elevata difesa, soprattutto in ambito penale ove
viene in rilievo il bene fondamentale della libertà personale. In ragione di ciò, oggi più che mai si avverte l’esigenza di una rivisitazione della materia, garantendo all’appartenente al Corpo, che sia sottoposto a giudizio di responsabilità civile, penale, amministrativa o erariale, in conseguenza di fatti e/o atti connessi all’espletamento del
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Luca Pasqualoni Segretario Nazionale Anfu pasqualoni@sappe.it
servizio o all’assolvimento di obblighi istituzionali, di beneficiare del rimborso o di una maggiore anticipazione delle spese legali anche al di là dei rigidi presupposti di legge oggi previsti, con l’unico limite della condotta dolosa. H
Polizia Penitenziaria n.202 gennaio 2013
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penitenziari storici
La Rocca di Spoleto Aldo Di Giacomo Consigliere Nazionale del Sappe digiacomo@sappe.it
Nella foto la Rocca Albornoziana a Spoleto
Polizia Penitenziaria n.203 febbraio 2013
a Rocca di Spoleto è una fortezza situata sulla sommità del colle Sant’Elia che sovrasta la città. Si tratta del principale baluardo del sistema di fortificazioni fatto edificare da Papa Innocenzo VI, per rafforzare militarmente e rendere più evidente l’autorità della Chiesa nei territori dell’Italia centrale, in vista dell’ormai imminente ritorno della sede pontificia a Roma dopo i settanta anni circa di permanenza ad Avignone.
L
I lavori di costruzione ebbero inizio nel 1359, furono presieduti dal cardinale spagnolo Egidio Albornoz, e si protrassero fino al 1370 sotto la direzione dell’architetto Matteo Gattaponi. Lo stesso progettò sapientemente un edificio che potesse essere nel contempo solida e imponente fortezza, ma anche elegante e confortevole residenza, che fu a tale scopo utilizzata da molti ospiti illustri. La struttura del perimetro rettangolare, infatti, con quattro torri angolari, si articola in due spazi separati da un corpo mediano collegato ad altre due torri: il Cortile delle armi, che occupa l’area destinata alle truppe, e il Cortile d’Onore circondato da edifici destinati ai governatori della città, ma in cui soggiornarono anche molti pontefici, tra i quali Bonifacio IX nel 1392 e Niccolò V nel 1449 durante la peste di
Roma, nonché in diverse occasioni anche Lucrezia Borgia. Quest’area, che accoglieva anche gli uffici amministrativi, è circondata da un doppio loggiato costruito, secondo il Vasari, su progetto di Bernardo Rossellino, chiamato a Spoleto da papa Niccolò V. Al centro del cortile è situato un pozzo esagonale che sormonta una grande cisterna utilizzata per la raccolta dell’acqua piovana. I due cortili sono collegati tra loro mediante un fornice affrescato tra il 1572 e il 1575 sulla cui volta è dipinto lo stemma di papa Gregorio XIII; ai lati sono poste le raffigurazioni di sei città dello Stato pontificio: Porto d’Anzio, Perugia, Orvieto, Ripatransone, Spoleto e un’ultima città non identificata. Mediante lo scalone d’onore si sale al piano nobile; da qui una porta in pietra cinquecentesca dà accesso all’ambiente più vasto della Rocca: il Salone d’Onore. Questo ambiente, che ospitava banchetti e grandi cerimonie, non fu mai portato a termine nella copertura a volte e nella decorazione pittorica. Dal salone si accede alla camera pinta, la stanza situata all’interno della torre maestra, dove alloggiava il castellano. Lungo le pareti si trovano due cicli pittorici datati tra l’ultimo decennio del Trecento e i primi decenni del secolo successivo. Nel 1587 però Sisto V soppresse il Castellanato di Spoleto e la Rocca cadde in abbandono. Solo nel 1817 fu nuovamente ripristinata per essere adibita a stabilimento penale per condannati e giudicabili. Fin dall’inizio fu chiara l’importanza che il Governo pontificio attribuì al penitenziario, disponendo l’invio di ben settecento detenuti condannati per omicidio, resistenza alla forza pubblica, fabbricazione di armi vietate, ingiurie, sevizie ai genitori o al coniuge, incendio. Nel 1860 il Papa, per contrastare le truppe italiane in avanzata, ordinò di
sgomberare la Rocca per fare spazio alle proprie truppe. All’epoca la Rocca ospitava 705 detenuti il cui sgombero iniziò l’8 luglio 1860, destinazione Roma e Civitavecchia. Le notizie riguardanti il funzionamento dell’Istituto penale all’epoca del governo pontificio sono piuttosto frammentarie a causa della distruzione di gran parte dell’archivio; tuttavia, dai documenti rimasti, è stato possibile avere informazioni sulla vita nel penitenziario, notizie che mostrano una grande promiscuità tra detenuti in attesa di giudizio e condannati, la diffusione di epidemie, l’eccessivo sovraffollamento e le numerose rivolte che ne sconvolgevano la vita. Nel 1859 il Papa Pio IX ordinò di costruire un nuovo stabilimento carcerario provinciale, anch’esso situato nella parte alta della città. Anche se le vicende che seguirono non consentirono la realizzazione del progetto, in quella data fu posta in qualche modo la prima pietra alla sua edificazione. Dopo l’annessione della provincia umbra al Regno d’Italia, nel 1861, la Rocca fu nuovamente adibita a stabilimento penale. Solo nell’ultimo decennio del secolo scorso si pensò di liberare la Rocca dal carcere. Giuseppe Sordini, regio ispettore dei monumenti, archeologo e studioso di storia locale, sollevò per primo la questione di destinare la Rocca a bene di pubblica utilità. Il progetto si materializzò nel 1982 con il trasferimento del carcere nel nuovo Istituto in località Maiano E’ stato il primo carcere speciale quando ancora i carceri speciali “veri” non c’ erano. Ha ospitato dal primo all’ ultimo dei brigatisti storici e molti nappisti tra i quali Lo Muscio e Sofia, De Santis, pluriomicida, c’è stato in isolamento per mesi, mentre Graziano Mesina tentò una clamorosa evasione, non riuscita. C’erano riusciti invece, venticinque anni prima, 20 partigiani e per questo il direttore di allora stava per essere fucilato dai nazisti. Casa di pena dal 1861 al 1982 l’ultimo detenuto fu trasferito nel nuovo supercarcere nel giugno di quell’anno. H
eravamo cosĂŹ
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A sinistra: 1968 Scuola Allievi AA.CC. di Cairo Montenotte foto inviata da Francesco Cuccaro
Sopra: 1986 Scuola Allievi AA.CC. di Parma foto inviata da Gaetano Cirrone
Sotto:1978 Scuola Allievi AA.CC. di Cairo Montenotte foto inviata da Ruggiero Verde
Sopra: 1988 Scuola Allievi AA.CC. di Cairo Montenotte foto inviata da Antonio Mangiameli
Sotto:1978, Casa Circondariale di Cuneo foto inviata da Giulio Antonelli A sinistra:1973-74 Squadra di calcio AA.CC. foto inviata da Francesco Cristofaro
Polizia Penitenziaria n.203 febbraio 2013
32 a cura di Erremme rivista@sappe.it
le recensioni Giuseppe M. Napoli
IL REGIME PENITENZIARIO Giuffrè Edizioni pagg. 528 - euro 51,00
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Polizia Penitenziaria n.203 febbraio 2013
l volume offre un’ampia trattazione delle problematiche inerenti agli istituti che definiscono il Regime penitenziario. L’autore,funzionario dell’Amministrazione penitenziaria, esamina le norme che regolano gli strumenti ordinari e straordinari - di gestione della vita quotidiana all’interno del carcere, verificando con attenzione l’ambito di operatività delle misure amministrative capaci di intaccare “il bagaglio degli inviolabili diritti dell’uomo, che anche il detenuto porta con sé”. Approfondisce, poi, l’analisi delle norme relative al Regime disciplinare privilegiando una lettura restrittiva delle disposizioni legislative e regolamentari dettate in materia di infrazione, sanzione e procedimento disciplinare. Affronta, infine, il tema della tutela giurisdizionale dei diritti dei detenuti lesi da determinazioni assunte dall’Amministrazione penitenziaria. Emerge in tutto il lavoro la convinzione che lo studio delle disposizioni concernenti il Regime penitenziario sarebbe privo di pratica utilità, se non si individuassero adeguati mezzi di tutela dei diritti
soggettivi riconosciuti alla persona “in vinculis”.
Donatella Alfonso
ANIMALI DI PERIFERIA Le origini del terrorismo tra golpe e resistenza tradita. La storia inedita della banda XXII ottobre CASTELVECCHI Edizioni pagg. 192 - euro 17,50
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enova, 1970. La bomba di piazza Fontana, il timore di un colpo di Stato e dell’instaurazione di un regime neofascista spinge un piccolo gruppo di giovani sottoproletari, cresciuti in un quartiere della periferia operaia, e qualche ex partigiano che si riconosce nelle delusioni di una Resistenza tradita all’azione concreta. Trasmissioni radio, interferenze sul primo canale della Rai per spingere alla mobilitazione, incendi e sabotaggi ad aziende messe nel mirino, attività illegali per finanziarsi (dalle rapine al rapimento del figlio di una tra le famiglie più in vista della città) sono le strategie cui ricorrono. Alcuni di loro sono iscritti al Pci, altri lo sono stati, altri sentono solo di non essere rappresentati. Non hanno nome, ma si rifanno ai Gap, i Gruppi di azione partigiana, e alla strategia della guerriglia sudamericana. Pensano a una nuova Resistenza e a una rivoluzione di stampo cubano. Entrano in contatto con progetti e percorsi non del tutto chiari, incrociano altre vite, come quella di Giangiacomo Feltrinelli. Sono solo gli esordi di quella che passerà alla storia come banda XXII Ottobre. Un nome creato dalla stampa, che si riferisce alla data di un biglietto ferroviario trovato nelle tasche di Mario Rossi, il capo della banda. Rossi è l’uomo immortalato in una fotografia con la pistola in mano, puntata verso un inerme fattorino – Alessandro Floris – a seguito di una rapina finita nel sangue: una delle immagini – icona del «male» insito nella violenza politica degli anni Settanta. A turno questi uomini sono
stati indicati come terroristi, criminali comuni, tupamaros di quartiere. Loro preferiscono definirsi solo «animali di periferia, meno addomesticabili e più selvatici». Ma la vicenda di queste persone s’intreccia a quella di chi, vent’anni dopo la Liberazione, pensava che la Resistenza dovesse avere una nuova fiammata: quella della svolta definitiva del Paese in senso rivoluzionario. La stessa su cui si addensano ancora le nuvole oscure della Strategia della Tensione. Il libro di Donatella Alfonso, giornalista de «la Repubblica» è la storia inedita e definitiva della XXII Ottobre, alle origini del terrorismo italiano. Parole dense di lotta e politica, con interviste esclusive ai protagonisti stessi della banda e un raro inserto fotografico che ne ripercorre le tappe più significative. Pagine che dopo l’attentato del 7 maggio 2012 all’amministratore delegato di Ansaldo Nucleare, Roberto Adinolfi – in quella stessa Val Bisagno dove era nato il gruppo di Rossi – sembrano, pur senza parallelismi, più che mai attuali.
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Massimo Coco
RICORDARE STANCA L’assasinio di mio padre e le altre ferite mai chiuse SPERLING & KUPFER Ed. pagg. 256 - euro 16,00
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assimo Coco è una delle vittime degli Anni di Piombo. Suo padre Francesco Coco, magistrato, fu ucciso nel 1976, nel primo attacco terroristico alle Istituzioni dello Stato. La sua storia, in fondo, non è diversa dalle tante già scritte e la sua sofferenza è quella di tutti i famigliari che hanno subìto, dopo la perdita improvvisa e violenta di un padre, un marito o un figlio, anche l’umiliazione di non veder riconosciuti i propri diritti, l’ostilità della burocrazia, l’indifferenza delle Istituzioni. Se ha deciso di parlare di sé e del padre non
le recensioni è dunque per aggiungere un tassello a un quadro noto, ma per porre una domanda alla quale, nelle testimonianze delle altre vittime, non ha trovato risposta: “Ma voi, la rabbia, dove l’avete messa?”. Nessuno sembra indignarsi nel vedere gli assassini di ieri pontificare dalle cattedre, intervenire sui giornali, ottenere pubblicamente un perdono che non hanno neppure cercato. Nessuno denuncia l’ipocrisia di cerimonie commemorative trasformate in riti rassicuranti che assolvono le coscienze, o la banalità di spettacoli che mettono in scena commoventi riconciliazioni sapientemente alleggerite del peso del passato. In questo libro appassionato, che è anche un appello critico e intenzionalmente provocatorio, Massimo Coco chiede che l’esercizio della memoria rispetti il patto che lega i sopravvissuti alle persone che si sono sacrificate per non venire meno ai loro principi. Un patto che ci chiede non solo di preservare il ricordo, ma di distinguere fra eversori e difensori della legge, di assicurare la giustizia, di superare il lutto per poter guardare a quei fatti sanguinosi non con serenità o distacco, come sembra raccomandare una saggezza irriflessiva, ma con senso di responsabilità.
Maria Falcone
CARCERI, LO SPAZIO E’ FINITO INFINITO Edizioni pagg. 82 - euro 11,00 uesto libro è la sintesi della tesi di laurea dell'autrice sul tema del sovraffollamento penitenziario e contiene considerazioni interessanti, certamente tutte meritevoli di ulteriore approfondimento. Dalla "questione prepotentemente urgente" sollevata dal Capo dello Stato alle sollecitazioni ad un maggior ricorso alle misure del Presidente del Senato, dalla lettera rivolta al Presidente della Repubblica contenente l'appello
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lanciato dal professore Andrea Pugiotto e sottoscritto da 130 costituzionalisti, giuristi e garanti dei detenuti con cui si chiede all'inquilino del Colle di farsi forte dello strumento del messaggio alle Camere per favorire un processo deliberativo in favore dell'amnistia alle tragedie umane del carcere e dei suoi morti. Agile ed essenziale, si rivela un testo da leggere con interesse.
Elena Galliena Fabrizia Brocchieri
CARCERE E TRATTAMENTO IN ALTA SICUREZZA Protagonisti a confronto FRANCO ANGELI Edizioni pagg. 160 - euro 21,00 uesto interessante libro è il risultato di un lavoro durato quattro anni (dal 2008 al 2011) nella Sezione di alta sicurezza della Casa di reclusione di Milano Opera. Si tratta di una ricercaintervento sulle modalità di comunicazione interpersonale e sulle strategie di problem solving utilizzate all’interno di una Sezione di Alta Sicurezza per far fronte alle criticità quotidiane che si instaurano nel rapporto tra i vari protagonisti della realtà carceraria: compagni di Sezione, polizia penitenziaria, educatori, Direzione. Ed è certamente un valido strumento scientifico, che va certamente letto ed approfondito, in grado di supportare una convinzione ed una considerazione entrambe assai semplici ma talvolta quasi impossibili: dimostrare che con il coinvolgimento responsabile e collaborativo di tutti è possibile perseguire quegli obiettivi di sensibilizzazione e apprendimento fondamentali al cambiamento individuale e collettivo.
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ANTIGONE. Senza Dignità. IX Rapporto sulle condizioni di detenzione in Italia GRUPPO ABELE Edizioni pagg. 275 - euro 15,00
Italia è maglia nera in Europa per la condizione degli istituti. Il tasso di sovraffollamento delle carceri italiane, confermato in questo ultimo IX rapporto di Antigone, l'associazione che si batte per i diritti nelle carceri, è del 142,5%, dunque ci sono oltre 140 detenuti ogni 100 posti letto, mentre la media europea è del 99,6%. Rispetto a questi numeri record ci sono regioni che statisticamente stanno anche peggio: la Liguria è al 176,8%, la Puglia al 176,5%, il Veneto a 164,1. E ci sono casi limite, in cui il numero dei detenuti è più che doppio rispetto ai posti regolamentari, come nel carcere messinese di Mistretta (269%), a Brescia (255%) e Busto Arsizio (251%). In questi due istituti, come in altre del Nord la presenza di stranieri è superiore a quella degli italiani. A San Vittore (Milano) su 100 detenuti 62 sono stranieri, a Vicenza 65. Le percentuali più alte di stranieri tra i detenuti si registrano in Trentino Alto Adige (69,9%), Valle d'Aosta (68,9%) e Veneto (59,1%). Le più basse in Basilicata (12,3%), Campania (12,1%) e Molise (11,8%). Nelle quasi 300 pagine del IX Rapporto, la questione del sovraffollamento e dei problemi penitenziari viene sviscerata in molti aspetti, tutti interessanti: tra essi, ad esempio, dalle riforme di governo ai regimi detentivi aperti, dal fallimento del piano carceri a quello del lavoro in carcere. Senza dimenticare un approfondimento ai temi internazionali. H
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Polizia Penitenziaria n.203 febbraio 2013
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l’ultima pagina il mondo dell’appuntato Caputo il “patto” di Tamburino
di Mario Caputi e Giovanni Battista de Blasis © 1992-2013
...E UN GIORNO TUTTO QUESTO SARA’ VOSTRO.
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