Polizia Penitenziaria - Maggio 2012 - n. 195

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anno XIX • n.195 • maggio 2012

18 maggio 2012: No Sappe, NO Festa www.poliziapenitenziaria.it



in copertina: Il Segretaro Generale Capece e il Senatore Pedica dell’Italia dei Valori al sit-in del Sappe

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L’EDITORIALE Piccoli grandi eroi silenziosi di Donato Capece

IL PULPITO 18 maggio 2012: NO Sappe, NO Festa.

ANNO XIX • Numero 195 Maggio 2012

di Giovanni Battista De Blasis

Direttore Responsabile: Donato Capece capece@sappe.it

IL COMMENTO La disarmante ignoranza di chi scrive sul carcere

Direttore Editoriale: Giovanni Battista De Blasis deblasis@sappe.it Capo Redattore: Roberto Martinelli martinelli@sappe.it

di Roberto Martinelli

Redazione Cronaca:Umberto Vitale Redazione Politica: Giovanni Battista Durante

L’OSSERVATORIO La Corte europea sul diritto di voto dei detenuti

Redazione Sportiva: Lady Oscar Progetto Grafico e impaginazione: © Mario Caputi (art director) www.mariocaputi.it

di Giovanni Battista Durante

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IN PRIMO PIANO Giovanni Falcone, un eroe del giorno dopo

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di Aldo Maturo

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CRIMINI & CRIMINALI Le belve di Vercelli

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di Pasquale Salemme

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Donato Capece Direttore Responsabile Segretario Generale del Sappe capece@sappe.it

Piccoli grandi eroi silenziosi che non vogliono essere presi in giro

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enerdì 18 maggio scorso, l’Amministrazione Penitenziaria ha celebrato la sua festa (!?) nella Scuola romana di via di Brava intitolata al magistrato Giovanni Falcone. Una cerimonia, da quel che è stato detto da coloro che c’erano, assai autoreferenziale ancora una volta con poche divise del Corpo in bella mostra e tanti, tanti burocrati con le loro terga ben piazzate sulle poltrone dell’Aula Magna Noi non siamo ipocriti, che predicano bene e razzolano male, non ci piace quando si prendono in giro i poliziotti penitenziari. Non abbiamo partecipato ed abbiamo manifestato la nostra rabbia proprio a pochi metri da via di Brava, con 3 enormi striscioni di 30 metri, tante bandiere, colleghe e colleghi, per richiamare ancora una volta l’attenzione e la sensibilità del Capo dello Stato sull’emergenza carceri. Con la nostra manifestazione abbiamo voluto ribadire, una volta di più, il nostro fermo e convinto NO all’ennesima presa in giro di chi nasconde la testa sotto la sabbia di fronte al dramma dell’emergenza attuale. Sovraffollamento delle carceri alle stelle; 7.000 poliziotti penitenziari in meno rispetto agli organici previsti ed il Governo che pensa addirittura di mandarne a casa 4mila; mezzi che trasportano agenti e detenuti che cadono a pezzi e dirigenti a spasso con berline fuoriserie; risse, aggressioni, tentati suicidi e “tante, tante parole al vento” dai vertici dell’Amministrazione penitenziaria e dal mondo della politica. Cosa c’è dunque festeggiare?

Basta ipocrisia! L’Amministrazione Penitenziaria sembra vivere in una realtà virtuale e non si rende evidentemente conto della drammaticità del momento, che costringe le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria a condizioni di lavoro sempre più difficili: la situazione penitenziaria è sempre più incandescente. Lo confermano drammaticamente i gravi episodi che accadono sistematicamente nelle carceri italiane; lo evidenziano soprattutto i continui tentativi di evasione e le evasioni vere e proprie, le aggressioni e le risse. Le istituzioni e il mondo della politica non possono più restare inermi e devono agire concretamente. C’è bisogno di una nuova politica dell’esecuzione della pena, che ripensi il sistema sanzionatorio. Per questo ci siamo appellati ancora una volta al Capo dello Stato, sempre sensibile alle criticità delle carceri. Nel suo intervento, la Ministro della Giustizia Severino ha sottolineato come le misure del decreto svuota-carceri starebbero dando i loro risultati: «Nel primo trimestre 2012 sono state registrate circa tremila unità in meno di detenuti rispetto allo stesso trimestre 2011». E sempre rimanendo sul fronte dei provvedimenti di immediato contrasto alla tensione detentiva, la Ministro ha menzionato l’innalzamento da 12 a 18 mesi della soglia della reclusione, anche laddove si tratti di residuo di maggior pena, che può essere scontata presso il domicilio, una misura di cui hanno beneficiato in oltre sei mila, con

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un incremento di duemila unità solo negli ultimi mesi. La Guardasigilli ha aggiunto che gli agenti di Polizia Penitenziaria che operano nelle carceri italiane, con una condizione di drammatico sovraffollamento di detenuti, sono « nostri piccoli, grandi eroi silenziosi». Eroi che «non possono e non devono essere lasciati soli». Ha spiegato, ancora, che il ruolo della Polizia Penitenziaria è «essenziale e delicato» in quanto destinato a svolgersi «in un luogo in cui l’individuo è privato della libertà personale e nel quale, dunque, si avverte con maggiore forza l’esigenza di garantire il rispetto della dignità della persona». Il dato oggettivo dei report del DAP dice però un’altra cosa rispetto alle parole della Ministro e cioè che, allo stato, il calo dei detenuti dopo i recenti provvedimenti del Governo è appena percettibile: nelle 205 carceri italiane, il 31 gennaio scorso avevamo 66.973 persone che sono calate, quattro mesi dopo, di poche centinaia, arrivando a 66.310. Il dato reale, dal quale partire per ripensare il sistema, è che oggi ci sono in carcere 21mila persone detenute oltre la capienza regolamentare delle strutture, che più del 40% dei presenti – quasi 27mila! - sono in attesa di un giudizio definitivo e che sono 7mila i poliziotti («piccoli, grandi eroi silenziosi», per dirla con la Ministro della Giustizia) che mancano dagli organici del Corpo. Proprio per questo uno degli striscioni esposti dal SAPPE in via di Brava recitava: «Più 25mila detenuti, meno 7mila poliziotti uguale zero sicurezza!». Per questo siamo scesi in piazza, stufi delle belle parole e delle continue promesse a vuoto. Piccoli, grandi eroi silenziosi sì. Presi in giro, no.

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Giovanni Battista De Blasis Direttore Editoriale Segretario Generale Aggiunto del Sappe deblasis@sappe.it

18 maggio 2012: No Sappe, No Festa.

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n un famosissimo spot televisivo George Clooney recitava: «No Martini, No party». Mutuando lo slogan reso celebre dall’attore statunitense quest’anno potremmo dire: «No Sappe, No Festa», in relazione alla protesta inscenata dalla nostra organizzazione sindacale in occasione dell’Annuale della Polizia Penitenziaria. In effetti, come recitava uno striscione esposto durante la manifestazione: Noi della Polizia Penitenziaria non abbiamo nulla da festeggiare. Si pensi che era dal lontano 1995 (peraltro unica volta) che il Sappe non protestava in concomitanza della Festa del Corpo, nonostante averlo minacciato tante volte. Guarda caso, anche allora la Festa si tenne al chiuso di via di Brava e anche allora la definimmo un pretesto per permettere la passerella di magistrati e dirigenti del Dap, nel salotto buono della Repubblica italiana. Diciamoci la verità: quale altra occasione nella vita potrebbero avere sconosciuti dirigenti penitenziari e anonimi magistrati fuori ruolo di incontrare (e finanche stringere la mano) il Capo dello Stato, i Presidenti di Camera e Senato e tutte le più alte cariche istituzionali ? Sono anni che il Sappe, ed io in particolare da questa rubrica, denuncia la strumentalizzazione della Festa del Corpo per asservirla alle public relation di una nomenclatura dipartimentale che non avrebbe altrimenti alcuna possibilità di frequentare i massimi

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rappresentanti dello Stato e delle Istituzioni. Soprattutto per questa ragione, il Sappe ha quasi sempre contestato l’organizzazione della Festa e disertato la cerimonia. In verità, le poche volte che il Sappe ha partecipato alle celebrazioni è stato quando la Festa ha assunto rilevanza e dignità pari a quella delle altre Forze dell’Ordine. Mi riferisco ai fasti delle Terme di Caracalla o dell’Arco di Costantino. Senza tralasciare le indimenticabili esibizioni notturne della Banda del Corpo nel meraviglioso proscenio dell’Anfiteatro Flavio. Bisogna, però, anche dire e sottolineare che quelle erano le Feste organizzate dal Generale Mauro D’Amico, l’unica persona a mio avviso in grado di interpretare dignitosamente il ruolo di Maestro di Cerimonie (non a caso può vantare lettere di complimenti di Bill Clinton, George Bush e Barak Obama). Personalmente, credo che proprio per questo D’Amico è stato ritenuto troppo ingombrante dall’estabilishment del Dap ed esautorato dal ruolo che gli sarebbe più congeniale. E’ così che, rimossa la persona giusta dal posto giusto, si è consegnata la nostra Festa nelle mani di gente esterna al Corpo la cui unica capacità specifica è quella di essere totalmente asservita alle Alte Gerarchie dipartimentali. Come al solito, la dote più ricercata al Dap è il Civil Servant ... Ed è per questo che il Sappe, anche quest’anno, ha manifestato il suo dissenso all’insegna dello slogan: “Questa non è la nostra Festa!”.

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Nella foto uno degli striscioni esposti durante la manifestazione


Roberto Martinelli Capo Redattore Segretario Generale Aggiunto del Sappe martinelli@sappe.it

La disarmante ignoranza di chi scrive libri sul carcere...

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Nelle foto sopra la copertina del libro e, a destra, Melania Rizzoli

bbiamo spesso detto e scritto che non è semplice coinvolgere sui temi penitenziari la grande opinione pubblica. Non è facile perché la società nel suo complesso è spesso disattenta a questi problemi, quando addirittura non ne prova fastidio o disinteresse, e quindi tende a rimuovere le problematiche e le criticità del carcere. Ciò avviene perchè i temi del sistema penitenziario fanno riflettere su aspetti che la gente comune preferisce non affrontare. Sono oggetto di attenzioni da parte dei giornali, delle televisioni, delle discussioni dell’opinione pubblica solo quando emergono le patologie del sistema: evasioni, aggressioni, eventi tragici, risse, magari suicidi, oppure quando sono ospitati, nei nostri istituti, detenuti eccellenti che fanno notizia in sé e ci si dimentica dei quasi 67.000 altri detenuti normali. Ne ho avuto conferma, l’ennesima, dopo aver visto in libreria, acquistato e letto il libro Detenuti. Incontri e parole dalle carceri italiane, edito da Sperling & Kupfer (274 pagine, 18 euro). Lo ha scritto Melania Rizzoli, medico e parlamentare Pdl, componente della Commissione Sanità e vice presidente nazionale dell’AIL (Associazione Italiana contro le Leucemie), che peraltro nel proprio profilo personale di Twitter (il servizio gratuito di rete sociale e microblogging che fornisce agli utenti una pagina personale aggiornabile tramite messaggi di testo) ci tiene a far sapere che gira per carceri ed ospedali. Lo fa con molta distrazione e disattenzione,

aggiungo io, e spiegherò a breve perché. Rizzoli, dunque, come ci fa sapere la Casa editrice nel lancio promozionale del volume, è entrata in quelle carceri terribilmente affollate (per usare le parole del Capo dello Stato) per raccontare - senza filtri e preconcetti, nella doppia veste di medico e deputato – parte di quell’umanità che vi si trova ospitata. Il suo viaggio è introdotto dalle parole di ex detenuti celebri (da Adriano Sofri a Franco Califano, da Francesca Mambro a Sergio D’Elia) e prosegue con le testimonianze di famosi condannati in via definitiva o in attesa di giudizio nelle varie carceri italiane, da Nord a Sud. Non ha intervistato marocchini, tossicodipendenti, malati di mente o qualche poveraccio a caso, la massa che affolla le carceri italiane. No. L’autrice ha preferito incontrare detenuti famosi, chi è passato «da una vita di agi e privilegi alla privazione totale e immediata della propria indipendenza», come Salvatore Cuffaro, Silvio Scaglia, Ottaviano Del Turco, Lele Mora. Chi, come Provenzano, è sotto il regime del 41 bis, o è stato protagonista di casi di cronaca nera come Michele e Sabrina Misseri, Olindo Romano, Wanna Marchi, Roberto Savi e Salvatore Parolisi. Mi rendo conto che parlare di detenuti eccellenti fa vendere più copie perché appaga la curiosità della gente piuttosto che di un libro che racconti la quotidianità tra le sbarre di decine e decine di migliaia di signor (o signore) nessuno. Ma già questo fa del libro scritto da Rizzoli una palese anomalia rispetto alla complessiva situazione delle oltre 200 carceri del Paese.

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Dopo averlo letto con attenzione, da poliziotto penitenziario e dirigente sindacale del SAPPE, non posso però non rilevare grande amarezza e sconforto per l’abbondante errata terminologia a cui sistematicamente ricorre l’autrice per identificare le donne e gli uomini appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria. Usa ripetutamente guardia carceraria, vigilatrice e agente di custodia, Melania Rizzoli. Il disinformato lettore deve essere bene informato: egli non è tenuto a sapere quello che, invece, uno scrittore ma soprattutto una parlamentare deve conoscere, e cioè che nelle carceri italiane non lavorano guardie carcerarie, vigilatrici o agenti di custodia ma uomini e donne appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria. Trovo davvero grave che a non saperlo sia una parlamentare che pure si vanta di girare per le carceri! Usare i termini guardia carceraria, vigilatrice e agente di custodia è non solo offensivo ma anche ridicolo, perché denota la scarsa conoscenza, la superficialità e l’ignoranza (nell’accezione semantica del termine, ovviamente) di chi pretende di scrivere libri senza sapere le cose. Se poi, come ha scritto l’autrice nella premessa del libro, il suo intento era anche quello di parlare di quanti in carcere lavorano, beh, allora ha perso del tempo e raccontato una visione assai parziale della realtà se poi non scrive della nostra professione. Eppure, il personale di Polizia Penitenziaria è stato ed è spesso lasciato solo a gestire all’interno delle nostre carceri moltissime situazioni di disagio sociale, 24 ore al giorno, 365 giorni all’anno.

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E’ lì, nella prima linea delle sezioni detentive, dove non ci sono educatori, assistenti sociali, medici, infermieri, cappellani o direttori. Se non fosse per la professionalità, l’attenzione, il senso del dovere dei poliziotti penitenziari le morti per suicidio in carcere – quelle che scandalizzano di più l’opinione pubblica e suscitano l’interesse degli organi di informazione - sarebbero molte di più di quelle attuali. Forse alla parlamentare Rizzoli è sfuggito, tra un colloquio e l’altro con i detenuti eccellenti, che i poliziotti e le poliziotte penitenziari italiani dal 2000 ad oggi sono intervenuti tempestivamente in carcere salvando la vita a più di 16mila detenuti 16.000! - che hanno tentato di suicidarsi ed impedendo che gli oltre 104mila atti di autolesionismo posti in essere da altrettanti ristretti potessero degenerare ed ulteriori avere gravi conseguenze. Tutto questo non fa notizia e, ovviamente, nessun cenno vi è nel suo libro. A conferma dell’ennesima dimostrazione di una disinformazione colpevole sui temi del carcere e sul ruolo della Polizia Penitenziaria. Quando un pericoloso latitante, un uomo che rappresenta un pericolo per la società, viene arrestato, questo fa notizia e, giustamente, le Forze dell’Ordine che hanno proceduto all’arresto, vengono valorizzate, vengono encomiate e – ripeto - giustamente sono portate agli onori della cronaca. Noi tutti dobbiamo gratitudine a queste Forze dell’Ordine che contribuiscono alla sicurezza dei cittadini. Ma dopo quell’arresto, per gli anni a seguire, in un lavoro prezioso, ma assolutamente oscuro, sono le donne e gli uomini della Polizia Penitenzia-

ria a dover garantire la prosecuzione di quella sicurezza dovuta ai cittadini. Lavoro indispensabile ma non valorizzato, non tenuto presente dalla società e men che meno nel libro di Melania Rizzoli. Eppure il carcere è un pezzo della società come altri, che richiede delle risposte politiche, tanto più perchè nel carcere (composto per una buona metà da immigrati e da tossicodipendenti, cioè dalle forme nuove del disagio) si vive in maniera esacerbata l’intero disagio sociale, la marginalità sociale. Ma l’onorevole Rizzoli non ha ritenuto opportuno spendere nemmeno una parola per la Polizia Penitenziaria, per le sue condizioni lavorative e per l’immane sacrificio che essa profonde in questa terra di frontiera che sono diventati i penitenziari italiani. Proprio ciò per cui il SAPPE, il primo e più rappresentativo Sindacato dei Baschi Azzurri, e chi si scrive si batte da sempre: il diritto ad una valorizzazione sociale di quello che ogni giorno fanno le donne e gli uomini del Corpo, spesso nell’indifferenza mediatica. Anche della indifferenza di Melania Rizzoli,

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che ci dipinge superficialmente con voca- Nella foto boli vetusti e superati, sintomo evidente di a fianco Alfonso Papa una ignoranza sull’argomento a dir poco disarmante. Due ultimissime considerazioni. La prima: tra le interviste eccellenti di Rizzoli, vi è a pagina 155 anche quella di Alfonso Papa, parlamentare Pdl e magistrato, che ha dovuto – suo malgrado – essere egli stesso detenuto in carcere per rendersi conto della drammaticità e delle criticità del nostro sistema penitenziario. Papa lo ricordo quasi distratto sui temi penitenziari nel corso di un colloquio avuto, insieme ad altri colleghi della Segreteria Generale, quando era vice Capo di Gabinetto al Ministero della Giustizia con il leghista Roberto Castelli Guardasigilli. Colloquio chiesto dal SAPPE per rappresentare le gravi problematiche carcerarie e le conseguenti difficili condizioni di lavoro dei poliziotti penitenziari. E conclusosi con un nulla di fatto... Altra considerazione: neppure nei Ringraziamenti finali del libro (pagg. 273 e 274) Melania Rizzoli si è ricordata delle donne e degli uomini del Corpo di Polizia Penitenziaria. Ha ricordato il vice Capo DAP Simonetta Matone, il responsabile dell’Ufficio stampa del Dipartimento e i direttori penitenziari (nessuno di questi, peraltro, è un poliziotto). Ha ringraziato persino detenuti ed ex-detenuti! Solo per i poliziotti non ha avuto nessuna valutazione. La giusta conclusione di un libro che delude profondamente e non risponde affatto alla necessaria volontà di fornire un resoconto reale sullo stato delle carceri italiane.

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Nelle foto a sinistra Olindo Romano a destra l’inteno di un istituto


Giovanni Battista Durante Redazione Politica Segretario Generale Aggiunto del Sappe durante@sappe.it

La Corte europea dei diritti umani fa retromarcia sul diritto di voto per i detenuti

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Nella foto la sede della Corte europea dei diritti dell’uomo a Strasburgo

senatori Poretti e Perduca, sulla base delle riflessioni dell’associazione radicale Il detenuto ignoto, hanno presentato un disegno di legge, il n.3092, che, sulla base di quanto si legge nella relazione introduttiva, “dà attuazione alla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, sezione II, 18 gennaio 2011, Presidente Tulkens, ricorso n. 126/05, Scoppola contro Italia (n. 3): essa recepisce istanze da tempo enunciate, fondate sul sacrosanto principio secondo cui i diritti civili e politici sono universali; fra i diritti politici, in primo luogo, vi è il diritto all’elettorato attivo”. La relazione prosegue affermando “che l’esclusione di coloro che sono in esecuzione penale, a volte anche dopo molti anni dal fine pena, ossia sino a che non interviene la riabilitazione, configura un’ingiustificata preclusione all’esercizio di uno dei diritti fondamentali dell’individuo. Il presente disegno di legge prevede l’eliminazione della privazione del diritto di elettorato attivo dall’elenco delle pene accessorie. La complessiva serie di effetti che consegue alla condanna continua a rispecchiare un’ottica di esclusione dal contesto sociale e democratico, e comunque non di aiuto al recupero sociale della persona che, pur avendo sbagliato e scontato la sua pena, si trova privata di importanti diritti, quali, ad esempio, il diritto di elettorato attivo. Tale limitazione non può che costituire uno scoglio insormontabile ai fini di un effettivo reinserimento sociale: per tale motivo, è dunque auspicabile un intervento legislativo in un campo che da tempo non ha subito modifiche migliorative e che, invece, avrebbe effetti positivi proprio in vista di quanto previsto dal terzo comma dell’articolo 27 della Costituzione. Eppure, non trovando soddisfazione a li-

vello nazionale, il ricorso fondato su questi elementari princìpi di civiltà ha trovato accoglimento a Strasburgo: nella citata sentenza la Corte - pur muovendo dall’affermazione per cui il diritto di voto è suscettibile di limitazioni ad opera del legislatore nazionale, che gode di un ampio margine di apprezzamento - ha rivendicato il proprio sindacato sulla compatibilità convenzionale delle scelte operate dai parlamenti nazionali; sindacato volto a verificare se la solu-

zione adottata a livello nazionale sia rispettosa del dettato dell’articolo 3 del Protocollo n. 1 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, e in particolare se la limitazione al principio del suffragio universale riposi su giustificazioni legittime e se sia proporzionata. I giudici di Strasburgo hanno ritenuto che la restrizione del diritto elettorale attivo esistente in Italia non rispettasse il requisito della proporzione, riscontrando anche a proposito della normatività italiana quel carattere di automatismo che è dimostrato dal fatto che della condanna all’interdizione perpetua dai pubblici uffici (e, conseguentemente, della privazione del diritto di voto) non venga neppure fatta esplicita menzione nella sentenza di condanna. Si può dedurre anzitutto, dal testo della

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sentenza europea, che le censure della Corte non coinvolgono le restrizioni del diritto di elettorato passivo, che infatti il presente disegno di legge fa salve. I giudici di Strasburgo riconoscono, poi, che la previsione da parte della legge di restrizioni all’esercizio del diritto di voto per coloro che hanno riportato condanne penali non è, di per sé, in contrasto con il dettato convenzionale. La scelta è quindi tra rimuoverle del tutto, ovvero rimuovere soltanto la loro automaticità, senza che vi sia stato un accertamento giurisdizionale - che trovi eco in motivazione - circa la proporzione della misura in rapporto alla condotta dell’autore del reato, alle sue condizioni personali e alle circostanze fattuali del caso di specie. La scelta del presente disegno di legge è la prima, e più semplice delle due alternative: ciò anche alla luce di quanto sia già difficile l’esercizio del diritto di voto attivo per coloro che in carcere (i detenuti in custodia cautelare e quelli condannati per reati “non ostativi”) conservano il diritto di voto. Si tratta di una popolazione stimabile in più di trentamila detenuti, di cui appena il 10 per cento nelle scorse elezioni ha avuto modo di esercitare tale imprescindibile diritto-dovere. L’enorme astensionismo delle persone detenute non è solo dovuto a disinteresse, spesso è anche conseguenza di ritardi nell’informazione e nelle procedure che intercorrono dalla “domandina” del singolo detenuto al rilascio della tessera elettorale da parte dei comuni, all’allestimento dei seggi “volanti” negli istituti di pena. L’associazione “Il detenuto ignoto” ha più volte monitorato come nel periodo pre-elettorale, a soli quindici giorni dall’appuntamento per le elezioni, spesso nelle bacheche di molte carceri non vengono

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affisse le istruzioni di ciò che devono fare i detenuti per essere ammessi al voto in carcere. Questo è sicuramente grave, anche perché il diritto-dovere di voto dovrebbe essere incoraggiato tra i detenuti, in adempimento del fine prioritario di “rieducazione” che la Costituzione affida alla pena in Italia, invece risulta essere spesso, di fatto, ostacolato. Non consentire ai detenuti che mantengono l’elettorato attivo una partecipazione libera al voto significa vanificare e calpestare quanto sancito dall’articolo 27 della Costituzione. Significa dare luogo a un ignobile meccanismo di “cancellazione sociale” dell’individuo recluso e a una, veramente inaccettabile, privazione di diritti. Il presente disegno di legge, che scaturisce dall’impegno e dalla riflessione dell’associazione radicale “Il detenuto ignoto”, mira quindi ad eliminare la privazione del diritto di elettorato attivo dal novero delle pene accessorie, e in particolare dalle limitazioni attualmente

riconducibili all’interdizione dai pubblici uffici, previste all’articolo 28 del codice penale. Di conseguenza, si prevede anche l’eliminazione, dal testo unico sulle liste elettorali (di cui al decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 1967, n. 223) del riferimento ai condannati a pena che importa la interdizione perpetua dai pubblici uffici (lettera d) del comma 1 dell’articolo 2) e di coloro che sono sottoposti all’interdizione temporanea dai pubblici uffici, per tutto il tempo della sua durata (lettera e) del medesimo comma)”. Nei giorni scorsi è intervenuta la Corte europea dei diritti umani che, con sentenza definitiva, ha stabilito che la legge italiana che nega il diritto di voto a chi è stato condannato a una pena di oltre cinque anni non viola la convenzione europea dei diritti dell’uomo. Pertanto, l’Italia può tirare un sospiro di sollievo. La sentenza emessa da Strasburgo va in senso contrario a quella con cui il 18 gen-

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naio del 2011 l’Italia era stata condannata per la violazione della libertà di voto dei detenuti. Secondo i giudici, che hanno accolto le tesi presentate dal Governo italiano nel ricorso contro la prima sentenza, la legge italiana non impone, come invece era stato stabilito nella prima sentenza, una restrizione generalizzata, automatica e indiscriminata del diritto di voto dei detenuti. “La legge italiana – ha stabilito il giudice - nel definire le circostanze in cui un individuo può essere privato del diritto di voto, mostra che l’applicazione di questa misura è legata alle circostanze particolari di ogni caso e che vengono presi in considerazione fattori come la gravità del reato commesso e la condotta del detenuto”. Ma, soprattutto, i giudici europei, nell’assolvere l’Italia, hanno tenuto conto del fatto che, una volta scontata la pena, l’ex detenuto, attraverso la norma che regola la riabilitazione, può riottenere il diritto di voto.

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Tanto tuonò che piovve !

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ono ormai decenni che il Sindacato Autonomo di Poliza Penitenziaria, puntualmente, ogni anno minaccia di manifestare in piazza il giorno della Festa del Corpo in aperto dissenso con l’amministrazione penitenziaria. E sono altrettanti anni che ogni volta, puntualmente, finisce per prevalere il senso di ragionevolezza e, alla fine, pur disertando la cerimonia si è sempre evitato di scendere in piazza. Quest’anno però, anche grazie ad un capo dipartimento evidentemente poco sensibile all’immagine pubblica e un po’ distratto e

disattento alle segnalazioni dei sindacati, il Sappe non è riuscito a contenere le spinte movimentiste e, dopo un lungo periodo di agitazione, è sceso clamorosamente in

Nelle foto alcune fasi dell sit-in di protesta

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piazza a manifestare la protesta della Polizia Penitenziaria contro lo stato di abbandono e di precarietà nel quale si sente relegata. In realtà, hanno contribuito in maniera preponderante alcuni provvedimenti scriteriati adottati proprio dal capo dipartimento, sui quali, nonostante una parziale ammissione di colpa, lo stesso Tamburino non ha voluto fare retromarcia. Pur tuttavia, il Sappe aveva anche cercato di trovare una mediazione incontrando il capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e cercando di convergere su una exit-strategy che permettesse di evitare ancora una volta una manifestazione di piazza in aperto contrasto con la

Nelle foto gli striscioni e i cartelli di protesta

celebrazione dell’Annuale del Corpo. Nonostante ciò, il capo dipartimento non ha voluto assolutamente recedere dalle proprie posizioni, sottovalutando il rischio di una sicura brutta figura dell’amministrazione di fronte all’opinione pubblica. E difatti così è stato. Agenzie di stampa, quotidiani e telegiornali hanno tutti riportato le immagini e le ragioni di una protesta che, essenzialmente, è stata indirizzata proprio contro il capo del dap Tamburino che, a parere del Sappe, non è all’altezza del proprio incarico e che ha già riportato, in pochi mesi, più di un risultato negativo che va ad aggravare una situazione generale di per se critica, ai limiti del drammatico.

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Giovanni Falcone, un eroe del giorno dopo

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Nelle Foto ancora immagini della manifestazione

Non vorremmo che lo stesso capo del dap stia sottovalutando più del dovuto la situazione, magari anche in virtù del fatto che è consapevole di avere un mandato a termine che, nella migliore delle ipotesi, lo vedrà ai vertici dell’amministrazione fino all’inizio dell’estate del 2013. Se così fosse, lo riteniamo un grosso errore di valutazione perché dovrà presto prendere coscienza del fatto che, a tali condizioni, non trascorrerà questi pochi mesi in assoluta tranquillità perché il Sappe non mancherà di attuare tutte le forme di protesta consentite fino a quando non otterrà il riconoscimento delle proprie sacrosante ragioni.

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i può diventare eroi anche così, appena dopo morti o il giorno dopo, quando i telegiornali hanno completato i più raccapriccianti particolari. Falcone lo è diventato alle 19,05 del 23 maggio 1992, quando è spirato in ospedale fra le braccia di Borsellino.

Alle 17, 55 cinque quintali di tritolo avevano fatto saltare in aria, come un lenzuolo al vento, un intero pezzo di autostrada, allo svincolo di Capaci, travolgendo la sua croma blindata e le altre due di scorta. Con lui avevano perso la vita nomi ormai noti, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. L’edizione straordinaria del TG1 paralizzò il Paese e per tanti quel nome, sconosciuto ai più, cominciò ad essere familiare anche se da anni era il simbolo della lotta alla mafia, il primo, con Borsellino, a scrivere la sentenza del maxi processo a 400 mafiosi, il più grande della storia della lotta alla criminalità organizzata. E pensare che poco tempo prima una signora di Palermo, disturbata dal passaggio delle scorte, aveva

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Aldo Maturo Avvocato avv.maturo@gmail.com

scritto al Giornale di Sicilia che: «regolarmente tutti i giorni (non c’è sabato o domenica che tenga) al mattino, nel primissimo pomeriggio e alla sera (senza limiti di orario) vengo letteralmente assillata da continue e assordanti sirene di auto della polizia che scortano i vari giudici. Ora,mi domando, è mai possibile che non si possa,eventualmente,riposare un poco nell’intervallo di lavoro e, quanto meno, seguire un programma televisivo in pace, dato che,pure con le finestre chiuse, il rumore delle sirene è molto forte? Non è che questi egregi signori potrebbero essere piazzati tutti insieme in villette alla periferia della città, in modo tale che sia tutelata la tranquillità di noi cittadini-lavoratori e l’incolumità di noi tutti,che nel caso di un attentato siamo regolarmente coinvolti senza ragione?» (Attilio Bolzoni,Uomini soli, 2012) Era stata quasi preveggente la signora disturbata dai giudici antimafia, se è vero che nell’estate 1988 Falcone, Borsellino e le rispettive famiglie furono catapultati sull’isola dell’Asinara, il dismesso e desolato supercarcere a nord della Sardegna, per scrivere la sentenza del maxiprocesso. Avvisati dal Questore, che temeva li potessero uccidere prima che scrivessero la sentenza, erano stati messi su un aereo lo stesso giorno, direzione Sardegna. Con loro mogli e figli, esiliati su uno scoglio deserto, in una manciata di ore passati dalla loro città alla banchina del porticciolo sardo, lontani da casa, dagli affetti, dagli amici, dal lavoro, dalle cose più care. La cosa straordinaria è che il Ministero della Giustizia, alla fine del soggiorno, gli presentò il conto come se fossero stati in ferie in una foresteria dello Stato. Ma alle delusioni Falcone era abituato. Qualche mese prima il Consiglio Superiore della Magistratura, disattendendo tutte le previsioni e le aspettative, aveva preferito Antonino Meli a Falcone nella nomina a Consigliere Istruttore di Palermo e l’estate successiva era stato accusato addirittura di aver organizzato, a suo danno, un attentato. E’ quello dell’Addaura, la villetta al mare presa in fitto a picco sugli scogli. Fra gli anfratti due agenti della scorta avevano scoperto un borsone pieno di candelotti di

dinamite. Tutti e due gli agenti saranno uccisi, a distanza di un anno l’uno dall’altro, in circostanze avvolte dal mistero. La Cassazione – che nel 2004 ha condannato Totò Riina ed altri a 26 anni di reclusione – ha stigmatizzato l’infame linciaggio subito nella circostanza da Falcone, accusato di essere stato lui stesso a organizzare il tutto per farsi pubblicità. Nel 1991 il suo progetto di una Procura Nazionale Antimafia fu fortemente osteggiato da tutti colleghi – che arrivarono ad uno sciopero contro una tale proposta - perché la consideravano «una grave lesione alle prerogative del Parlamento e all’indipendenza della magistratura». In 60 firmarono una lettera al Ministro in cui dicevano che «...ci accomuna la convinzione che lo strumento proposto sia inadeguato, pericoloso e controproducente... fonte di inevitabili conflitti e incertezze». A Falcone non restava che lasciare Palermo, accettando l’incarico di Direttore Generale degli Affari Penali propostogli dal Ministro della Giustizia Martelli. Anche stavolta nessuno gli fece sconti e si disse «Falcone si è venduto al potere politico», «Falcone è un nemico politico». «Dovremo guardarci da due Cosa Nostra, quella che ha la Cupola a Palermo e quella che sta per insediarsi a Roma» fino ad arrivare a «...Falcone è stato preso da una febbre di presenzialismo. Sembra dominato da quell’impulso irrefrenabile a parlare, quella smania di pronunciarsi, di sciorinare sentenze sulle pagine dei giornali o negli studi televisivi, spingendoli a gareggiare con i comici del sabato sera... Ecco quindi il magistrato Falcone, oggi a uno dei posti di vertice del ministero di Grazia e Giustizia, divenuto uno dei più loquaci e prolifici componenti del carrozzone pubblicistico… non si capisce come mai il dr. Falcone, se pro-

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prio tiene tanto al suo nuovo ruolo, non ne faccia la sua professione definita, abbandonando la magistratura» (Sandro Viola, Repubblica, 9.1.1992) «A Giovanni è stato impedito nella sua città di fare i processi di mafia. E allora lui ha scelto l’unica strada possibile, il Ministero della Giustizia per fare in modo che si realizzasse quel suo progetto: una struttura unitaria contro la mafia. Ed è stata una rivoluzione.» Così aveva gridato il giudice Ilda Boccassini alla notizia della morte di Giovanni. E ai suoi colleghi di Milano aveva aggiunto: «Voi avete fatto morire Giovanni, con la vostra indifferenza e le vostre critiche; voi diffidavate di lui; adesso qualcuno ha pure il coraggio di andare ai suoi funerali». Sempre la stessa Boccassini alla Repubblica aveva dichiarato: «Né il Paese né la magistratura né il potere, quale ne sia il segno politico, hanno saputo accettare le idee di Falcone, in vita, e più che comprenderle, in morte se ne appropriano a piene mani, deformandole secondo la convenienza del momento.[...] Non c’è stato uomo la cui fiducia e amicizia è stata tradita con più determinazione e malignità. Eppure le cattedrali e i convegni, anno dopo anno, sono sempre affollati di amici che magari, con Falcone vivo, sono stati i burattinai o i burattini di qualche indegna campagna di calunnie e insinuazioni che lo ha colpito». Ad un mese dalla morte Falcone venne commemorato al Congresso di Washington che aveva considerato la sua morte un delitto commesso anche contro gli Stati Uniti d’America mentre l’FBI ha voluto onorarlo con un suo busto in bronzo a ricordo di un eroe italiano.

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Nelle foto a sinistra l’ auto su cui viaggiava Giovanni Falcone sotto il monumento dell’ FBI nell’altra pagina una immagine sorridente del Giudice


a cura di Lady Oscar Redazione Sportiva rivista@sappe.it

Aldo Montano: prove tecniche di Olimpiadi nella Coppa del Mondo 2012

Nelle foto la grinta di Aldo Montano sotto mostra la medaglia conquistata a Madrid

N

ella prova di Coppa del Mondo di sciabola maschile di Madrid (11-13 maggio 2012) Aldo Montano si è assicurato il bronzo. Prove tecniche di Olimpiadi si può dire, tanto più importanti quanto più si consideri che Aldo, dopo la medaglia d’oro conquistata al mondiale di Catania 2011, aveva deciso di dar corso all’operazione al tendine peroneo lungo della caviglia sinistra ed era ancora convalescente da quella per confrontarsi con gli appuntamenti internazionali di grande rilievo. Un’operazione ritenuta dall’atleta livornese non più rimandabile dato che i tempi di recupero rischiavano di allungarsi troppo e Londra è troppo vicina anzi, ormai vicinissima. Nelle semifinali di Spagna si è replicata la finale dei mondiali di Catania 2011, che ha assegnato il titolo mondiale ad Aldo, opposto al tedesco Nicolas Limbach. Stavolta, in una gara combattuta fino all’ultima stoccata, il verdetto della sfida ha rovesciato il risultato a favore di Limbach con il punteggio di misura 15-14 che ha beffato il Campione del Mondo 2011 e Olimpico ad Atene 2004. Una sconfitta che, si può essere certi, sarà in grado di caricare molto il livornese atleta delle Fiamme Azzurre in vista dell’appuntamento a cinque cerchi.

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In ogni caso ad Aldo rimane la soddisfazione di aver conquistato il primo podio di stagione, dopo la ripresa e di aver compreso che in fondo è sempre lì tra i migliori. Il terzo posto va a sommarsi a quello conquistato lo scorso anno sempre sulle pedane di Madrid. Prima della semifinale aveva eliminato l’ungherese Balazs Lontay (15-12), il bielorusso Valery Pryiemka (159), il tedesco Benedikt Beisheim (15-8). Poi nei sedicesimi, Montano aveva dovuto vedersela con l’altro tedesco Benedikt Beisheim per 15-8 e, ai quarti, con il padrone di casa spagnolo Jaime Marti, superato con il punteggio di 15-12. Si è invece conclusa ai quarti l’avventura dell’Italia nella prova a squadre di sciabola maschile. La squadra azzurra, composta da Aldo Montano, Gigi Tarantino, Diego Occhiuzzi e Giampiero Pastore, dopo aver sconfitto la rappresentativa di Hong Kong nel turno dei sedicesimi col punteggio di 45-25, si è fermata nel tabellone degli ottavi contro la Romania. Gli azzurri, infatti, sono stati squalificati dopo un cartellino nero subìto da Gigi Tarantino, in seguito ad una reazione da parte dell’atleta italiano, sanzionata dall’arbitro con l’espulsione. La gara è stata vinta dalla Corea che ha sconfitto, in finale, la Russia per 45-42. Al terzo posto la Cina che nella finale per il podio ha superato la Romania col punteggio di 45-43. Le buone notizie della scherma sono arrivate anche da Matteo Betti argento nel Torneo Internazionale paralimpico di

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Sarrebourg, in Francia (11/12 maggio), perdendo in finale solo con Robert Citerne, ma capace di ripetersi a solo una settimana di distanza anche nell’Iwas World Cup di Lonato (18/20 maggio), nella tappa di Coppa del Mondo di scherma paralimpica, che ha visto come protagonisti otto azzurri in gara, molti dei quali saranno i prossimi portacolori italiani alle Paralimpiadi di Londra. Matteo ha trionfato nella prova di fioretto a Lonato, dimostrando una volta di più la sua estrema versatilità. Il commissario nazionale della scherma paralimpica Fabio Giovannini, al termine di quest’ultimo appuntamento, non ha nascosto il suo entusiasmo per quanto fatto dagli azzurri in gara: «Chiudiamo questa prova di Lonato con grande soddisfazione. Basti pensare che i cinque atleti che avevamo convocato, sono giunti tutti e cinque sul podio. Matteo Betti ha vinto la prova di fioretto, prima di pagare poi un pò di stanchezza nella spada. Questi risultati ci danno la consapevolezza di avere un gruppo valido su cui continuare a puntare e col quale poter lavorare non solo per la conquista di risultati importanti in campo internazionale, ma anche - continua ancora Giovannini - per la promozione della pratica della scherma paralimpica in Italia».

Riconoscimento del Comitato Regionale FIJLKAM a Stefano Pressello per i suoi successi nello Judo

L’

assistente Capo di Polizia Penitenziaria e atleta del settore master di Judo Stefano Pressello, ha ricevuto un meritato riconoscimento per i risultati sin qui ottenuti nella stagione in corso. Già il XIII municipio di Roma Capitale lo scorso anno, per i successi ottenuti in campo internazionale, aveva ritenuto giusto omaggiarlo con una targa ricordo e, quest’anno, l’atleta romano, è stato oggetto di un ulteriore riconoscimento sportivo per la sua intensa attività agonistica ed i piazzamenti ottenuti negli ultimi anni, da parte del Comitato Regionale FIJLKAM. Presso il Centro Amministrativo Giuseppe Altavista, in Roma è stata infatti consegnata all’atleta romano una targa ricordo, dal Maestro Benemerito Gennaro Maccaro, vice Presidente Regionale del settore Judo, a premio di quanto conquistato in campo nazionale ed internazionale, e della passione con la quale Stefano ha reso onore alla pratica del meraviglioso sport giapponese di illustri

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tradizioni anche nel nostro Paese. Presente, per onorare tale iniziativa, anche il Direttore del Centro Amministrativo Giuseppe Altavista, Dott. Carlo Berdini. Gli impegni di Stefano sono proseguiti con i campionati Europei di judo svoltisi a Opole (Polonia) dal 10 al 13 maggio scorsi. Il valido collega Stefano si è ben comportato, piazzandosi al settimo posto, in zona punti per incrementare la più generale classifica per nazioni al termine di una gara bene condotta, anche se con un po’ di rammarico per il fatto di essersi visto togliere qualcosa da un arbitraggio abbastanza dubbio ricevuto nel corso del terzo incontro da combattere per i ripescaggi. Se fosse stato vinto quel combattimento avrebbe potuto consentirgli di mettere al collo un meritato bronzo. Il suo avversario è stato il russo Sergeev Wladimir che lo ha superato di misura solo grazie al golden score, per 2 a 1. Nel primo turno aveva eliminato lo sloveno Balvan Branislav e poi la battuta d’arresto contro l’ucraino Andrii Korobkin.

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Nelle foto in alto a sinistra Matteo Betti sotto a sinistra Fabio Giovannini al centro Stefano Pressello


Giovanni Passaro passaro@sappe.it

Inseguimento di detenuti oltre i confini di Stato

G

entile SAPPe, nel complimentarmi per il contributo che la rubrica apporta alla risoluzione dei numerosi dubbi dei poliziotti penitenziari, pongo il seguente quesito: sono in servizio presso il NTP di un istituto penitenziario del nord, mi chiedo nel caso un detenuto durante una traduzione si dia alla fuga e passa il confine italiano se può essere inseguito. Ringrazio anticipatamente.

Caro assistente, la Convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen prevede che le forze di polizia si assistano, nel rispetto delle legislazioni nazionali, ai fini della prevenzione e della repressione dei reati. Infatti, la Convenzione consente agli operatori di polizia di continuare l’inseguimento in un altro Paese Shengen (l’art. 41 prevede l’inseguimento oltre frontiera, ammesso solo tra paesi che hanno una frontiera terrestre in comune), valicando la propria frontiera terrestre, di un soggetto colto in flagranza di commissione di alcuni reati. Tale sconfinamento può essere però operato solo quando le autorità competenti dell’altro Paese non abbiano potuto essere previamente avvertite dell’ingresso nel loro territorio o quando non abbiano potuto recarsi sul posto in tempo per riprendere l’in-

seguimento. Comunque, al più tardi al momento di attraversare la frontiera, gli operatori impegnati nell’inseguimento debbono avvertire le autorità competenti del Paese nel cui territorio avviene. Per quanto riguarda i reati che consentono l’inseguimento, essi sono determinati in base ad accordi bilaterali tra gli stati che hanno la frontiera (interna) terrestre in comune. Ciascuno Stato presenta una dichiarazione per ogni singolo Stato con cui ha una frontiera (interna) comune, in cui determina le modalità di esecuzione dell’inseguimento nel suo territorio. L’inseguimento è consentito in due casi: a) se la persona é stata colta in flagranza di un determinato tipo di reato; b) se é evasa. Gli agenti di uno stato Schengen, che nel proprio paese inseguono una persona colta in flagranza di uno dei reati di cui all’art. 41 paragrafo 4, possono continuare l’inseguimento senza autorizzazione preventiva nel territorio di un’altra parte contraente. Possono anche proseguire l’inseguimento oltre frontiera di una persona evasa da uno stato di arresto provvisorio o da una pena privativa della libertà personale. L’inseguimento è consentito solo attraverso la frontiera terrestre e unicamente nei confronti della persona evasa o sorpresa nella flagranza di uno dei gravi reati previsti dalla Convenzione. Nella dichiarazione tra le parti contraenti devono, di regola, essere indicati gli accordi in ordine ai reati che consentono l’inseguimento e sulla eventuale possibilità di arresto da parte degli agenti inseguitori. La Convenzione all’art. 41 consente alle parti di scegliere tra due diversi criteri per determinare i reati che consentono l’inseguimento sul proprio territorio: a) i seguenti reati: assassinio, omicidio, stupro, incendio doloso, moneta falsa, furto e ricettazione aggravati, estorsione,

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sequestro di persona e presa in ostaggio, tratta di persone, traffico illecito di stupefacenti e sostanze psicotrope, infrazioni alle normative in materia di armi e esplosivi, distribuzione mediante esplosivi, trasporto illecito di rifiuti tossici e nocivi, reato di fuga in seguito ad incidente che abbia causato morte o ferite gravi; oppure b) i reati che possono dar luogo ad estradizione. Tramite il più vicino ufficio di polizia gli agenti devono avvertire le autorità e i servizi centrali dello Stato in cui fanno ingresso, al più tardi al momento di attraversare la frontiera terrestre. Per gli agenti ospiti sono stabilite le seguenti condizioni generali: • non possono entrare nel domicilio e nei luoghi non accessibili al pubblico; • devono attenersi al diritto dello stato in cui operano, e ottemperare alle ingiunzioni delle autorità; • devono essere in grado di provare la loro qualifica; • possono portare la pistola d’ordinanza, il cui uso è ammesso solo per legittima difesa; • devono essere facilmente identificabili per l’uniforme, un bracciale o per gli accessori del veicolo; è vietato l’uso combinato di abiti civili e di veicoli camuffati. Dopo l’operazione gli agenti devono riferire all’autorità dello Stato in cui hanno operato, si devono presentare e fare rapporto, a richiesta restano a disposizione fino a che siano chiarite le circostanze della loro azione. L’art. 41 attribuisce agli Stati la facoltà di scegliere se consentire o meno il reciproco diritto di arresto. Gli agenti che operano oltre frontiera sono equiparati agli agenti dello Stato ospitante, per quanto riguarda le infrazioni da loro subite o commesse.

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a cura di Ciro Borrelli Coordinatore Nazionale Sappe Minori per la Formazione borrelli@sappe.it

Avviati i corsi per la specializzazione nel trattamento dei detenuti minorenni

I

l 14 maggio 2012 presso l’Istituto Centrale di Formazione di Roma è iniziato il primo corso di specializzazione riservato al personale del Corpo di Polizia Penitenziaria del settore minorile. Ad aprire i lavori, il Direttore Generale del Personale e Formazione del Dipartimento Giustizia Minorile dott. Luigi Di Mauro. Il corso (in due settimane 14/26 maggio 2012) - rivolto come si è detto al personale del Corpo - prevede un attività didattica classica in aula dal lunedì al venerdì con una prova di valutazione finale da sostenere a fine modulo il 28 e 29 maggio. Un’ apposita Commissione composta da docenti esterni e staff interno ministeriale, verificherà ad ogni modulo le competenze specifiche apprese durante il corso, ritenute indispensabili per operare nel settore minorile. Ricordiamo ai lettori che lo Specialista nel Trattamento dei Detenuti Minorenni, per la specificità delle funzioni di sicurezza e trattamento, deve possedere: • attitudine e soprattutto una personalità equilibrata e corretta dal punto di vista deontologico in linea con le nuove teorie psico-pedagogiche. La qualità dei rapporti che deve instaurare rappresenta una condizione imprescindibile per la buona riuscita dei progetti educativi elaborati per i minorenni;

• capacità di saper valutare in ogni momento le molteplici situazioni ed avvenimenti che possono incidere positivamente o negativamente sul processo evolutivo del minore detenuto; Tenuto conto che a giugno gli istituti e i servizi della giustizia minorile dovranno organizzare il piano ferie estive, le attività di specializzazione per il Corpo di Polizia Penitenziaria riprenderanno molto probabilmente a settembre 2012. Il Dipartimento Giustizia Minorile auspica comunque che nell’anno 2012 vengano specializzati almeno trecento dei settecento poliziotti della Giustizia Minorile con oltre cinque anni di anzianità di servizio nel settore. Pertanto l’attività di formazione non potrà essere terminata prima del 2014.

COMUNICAZIONE Approfitto dello spazio concesso su questa rivista per invitare tutti i colleghi della Giustizia Minorile a contattarmi via e-mail all’indirizzo borrelli@sappe.it per qualsiasi problema, informazione o iniziativa a favore del settore minorile.

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Chieti e Pescara: Cuneo: servizio di scuola e carcere ordine pubblico per la insieme per Polizia Penitenziaria l’educazione

U

n’alleanza all’insegna dell’educazione. Questo è il senso della serata Liberi di educare, ideata e promossa dall’Istituto Domus Mariae di Pescara, gestito dalla Fondazione Santa Caterina, e dalla Compagnia Teatrale della Polizia Penitenziaria di Chieti, andata in scena il 2 maggio al teatro Flaiano di Pescara. Filumena Marturano, la famosa commedia di Eduardo De Filippo messa in scena dalla

Nelle foto alcune immagini della commedia rappresentata dalla Compagnia della Polizia Penitenziaria di Chieti

Convegno a Ciampino

Polizia Penitenziaria, con integrazione di altre figure professionali della Casa Circondariale di Chieti è stata diretta da Paola Capone ed il ricavato della serata finanzierà le borse di studio dell’Istituto Domus Mariae. «È la passione educativa – dice Paolo Datore, presidente della Fondazione Santa Caterina - che accomuna la nostra scuola con gli operatori della Casa Circondariale di Chieti, a partire dalla direttrice, dott.ssa Giuseppina Ruggero, il comandante della Polizia Penitenziaria, Commissario Valentino Di Bartolomeo, e la dott.ssa Annamaria Raciti, funzionario giuridico-pedagogico, la regista Paola Capone. Il personale dell’Istituto, nel proprio tempo libero, si è coinvolto in questo ambizioso progetto a partire dalla consapevolezza che il carcere può e deve essere un’opportunità per ricominciare, cambiare e reintegrarsi nella società, e che questo passa innanzitutto attraverso la passione educativa di chi tutti i giorni

L

a segreteria Sappe di Cuneo desidera esprimere il proprio apprezzamento per i 10 colleghi che hanno svolto servizio di ordine pubblico allo stadio comunale di Cuneo, grazie alla quale professionalità hanno evitato il degenerare di alcune parapiglia tra le tifoserie del Cuneo e del Savona. Segreteria Sappe Cuneo

lavora con e per i detenuti. Da queste motivazioni è nato l’incontro con la nostra scuola, nella certezza che anche i nostri bambini possano avvantaggiarsi di questo spirito per comprendere che neanche il carcere, secondo i principi della Costituzione, può avere esclusivamente uno scopo di segregazione ed esclusione sociale, dovendosi invece rivelare un luogo di accoglienza».

S

i è svolto, nelle giornate dell’11, 12 e 13 maggio scorso, pressol’Istituto Madonna del Carmine “Il Carmelo” a Ciampino (Roma), il 2° Convegno internazionale di studi residenziale “Droga & Società - criminalità organizzata e intervento sociale”. Il seminario è stato coordinato dal presidente dell’ONAP (Osservatorio Nazionale sugli Abusi Psichici), dott.ssa Patrizia Santovecchi, ed ha avuto come ospiti, tra l’altro, esperti del settore nazionali e internazionali, nonché appartenenti alle Forze dell’Ordine. Al Convegno ha partecipato il SAPPe, unico sindacato di polizia invitato, con il Segretario Nazionale Pasquale Salemme, in sostituzione del Segretario Generale, con un intervento sui “circuiti penitenziari differenziati per i detenuti tossicodipendenti”. L’intervento, molto apprezzato dalla platea, è terminato con un dibattito che ha coinvolto anche i partecipanti che hanno presenziato al seminario.

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La convenzione Sappe/Studio Legale Guerra Per rispondere ad una richiesta sempre più pressante dei propri iscritti, • assistenza legale nel relativo procedimento amministrativo; il Sappe ha stipulato una convenzione con lo Studio Legale Associato •assistenza nella fase giudiziale contro il relativo provvedimento negativo; Guerra, come partner legale in materia previdenziale. • compenso professionale convenzionato. Lo Studio Legale Associato Guerra è specializzato in materia di diritto pen- in materia di PENSIONE PRIVILEGIATA sionistico pubblico, civile e militare. per il personale cessato dal servizio e/o i superstiti L’assistenza interessa: La convenzione tra il Sappe e lo Studio Legale Associato Guerra comprende • il personale collocato in congedo senza diritto a pensione o con pensione • la causa di servizio e benefici connessi; ordinaria che possa ancora chiedere il riconoscimento della dipendenza • le idoneità al servizio e provvedimenti connessi: da causa di servizio di infermità o lesioni riferibili al servizio stesso e la • i benefici alle vittime del dovere; conseguente pensione privilegiata; • la pensione privilegiata (diretta, indiretta e di riversibilità) e gli assegni • il personale collocato in congedo senza diritto a pensione o con pensione accessori su pensioni direttte e di riversibilità. ordinaria, al quale sia stata negata la pensione privilegiata per non dipendenza da causa di servizio di infermità e lesioni o per non ascrivibilità delle La consulenza si avvale di eccellenti medici esperti di settore, collaboratori stesse; dell Studio Guerra, in grado di assistere l’interessato anche nel corso delle • il personale cessato per inidoneità dal ruolo della Polizia Penitenziaria, visite mediche collegiali in sede amministrativa e giudiziaria. già transitato o che debba transitare ai ruoli civili della stessa amministraIn particolare, attraverso lo Studio Legale Associato Guerra , il Sappe ga- zione o di altre amministrazioni, ai fini della concessione della pensione rantisce ai propri iscritti: privilegiata per il servizio prestato nella polizia Penitenziaria; • il personale deceduto in servizio, ai fini della pensione indiretta privilein materia di CAUSA DI SERVIZIO giata ai superstiti e di ogni altro beneficio previsto a favore degli stessi; • valutazione gratuita, legale e medico legale, del fondamento della do- • il personale già titolare di pensione privilegiata deceduto a causa delle manda per il riconoscimento della causa di servizio anche ai fini dell’equo medesime infermità pensionate, ai fini dei conseguimenti spettanti ai suindennizzo; perstiti. • assistenza legale nella fase amministrativa; L’assistenza comprende: • valutazione gratuita, legale e medico legale, del fondamento del ricorso • esame gratuito, legale e medico legale, del fondamento della domanda contro il provvedimento negativo di riconoscimento della causa di servizio per la concessione della pensione privilegiata anche per i transitati al ruolo e del’equo indennizzo; civile; • assistenza legale nella fase giudiziale dinanzi alle competenti Sedi Giu- • valutazione gratuita, legale e medico legale, del fondamento del ricorso risdizionali; contro il provvedimento negativo della pensione privilegiata; • compenso professionale convenzionato. • valutazione gratuita, legale e medico legale, delle pensioni indirette e di riversibilità ai fini del trattamento privilegiato e dell’importo pensionistico in materia di INIDONEITA’ AL SERVIZIO liquidato; • valutazione legale e medico legale delle infermità oggetto di accerta- • assistenza nella relativa fase amministrativa e nella fase giudiziale contro mento della idoneità al servizio, per la scelta strategica delle azioni da pro- il provvedimento pensionistico negativo; muovere secondo gli obiettivi che intende raggiungere l’interessato; • compenso professionale convenzionato. • assistenza legale nel relativo procedimento amministrativo; •assistenza nella fase giudiziale contro il provvedimento amministrativo; PER BENEFICIARE DELLA CONVENZIONE • assistenza amministrativa e giurisdizionale contro il provvedimento di Gli iscritti al Sappe possono: trensito; • rivolgersi alla Segreterie Sappe di appartenenza; • compenso professionale convenzionato. • rivolgersi agli avvocati Guerra presso le sedi degli studi di Roma (via Magnagrecia n.95, tel. 06.88812297), Palermo (via Marchese di Villabianca in materia di VITTIME DEL DOVERE n.82, tel.091.8601104), Tolentino - MC (Galleria Europa n.14, tel. • valutazione gratuita per l’accertamento della sussistenza delle condizioni 0733.968857) e Ancona (Corso Mazzini n.78, tel. 071.54951); di legge richieste per il diritto ai benefici previsti a favore delle vittime del • visitare il sito www.avvocatoguerra.it dovere;


a cura di Giovanni Battista De Blasis

ziona la vita nella città-prigione dove comanda, incontrastato, Javi un ricco trafficante di droga malato di cirrosi epatica e al quale il ragazzino dovrebbe donare il proprio fegato perché è l’unico ad avere il er sfuggire ad alcuni sicari di un gruppo sanguigno compatibile con quello boss della malavita e alla polizia sta- del narcotrafficante. tunitense Driver, un piccolo rapina- Nonostante sia ricercato da nemici interni tore, varca il confine con il Messico finendo, ed esterni che vogliono ucciderlo, Driver però, per essere arrestato dalle forze del- si impegnerà con tutte le sue forze per sotl’ordine locali. trarre il suo nuovo piccolo amico alla catLa polizia messicana dopo aver sequestrato tiva sorte di predestinato donatore la refurtiva, non riuscendo ad identificare d’organi. E proprio la gravissima ingiustil’americano perché sprovvisto di documenti zia che incombe sul piccolo amico, darà a e senza impronte digitali, lo spedisce nel Driver la forza di organizzare un evasione, carcere di Tijuana noto come El Pueblito. riuscendo a fuggire dal carcere insieme al Il penitenziario messicano, unico al mondo, ragazzino che sarà così strappato al suo non è una semplice prigione ma una vera e drammatico destino. propria favelas dove vivono, insieme ai de- Il film è interamente costruito intorno al tenuti, anche le famiglie. protagonista Mel Gibson che, oltre a dare Dentro al Pueblito, Driver stringe amicizia corpo e volto alle sequenze, è la voce fuori con un ragazzino di dieci anni, che fuma campo, lo sceneggiatore e il produttore come un adulto, che gli spiega come fun- della pellicola.

Viaggio in Paradiso

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In alto la locandina sotto alcune scene del film

Non è escluso anche il suo coinvolgimento nella regia, considerato che il regista ufficiale è il suo assistente in Apocalypto e Fuori controllo, Adrian Grunberg. Il film, costato circa 20 milioni di dollari e ben accolto dalla critica, negli Stati Uniti non è uscito nelle sale cinematografiche ma direttamente in tv e in home video.

Regia: Adrian Grunberg Titolo Originale: How I Spent My Summer Vacation Altri titoli: Get the Gringo Sceneggiatura: Adrian Grunberg, Stacy Perskie, Mel Gibson Musiche: Antonio Pinto Fotografia: Benoît Debie Montaggio: Steven Rosenblum Scenografia: Bernardo Trujillo Effetti: Furious FX Costumi: Anna Terrazas Produzione: Bruce Davey, Mel Gibson, Stacy Perskie per Airborne Productions, Icon Productions Distribuzione: Eagle Pictures Personaggi ed Interpreti: Driver: Mel Gibson Javi: Daniel Giménez Cacho Caracas: Jesús Ochoa Carnal: Roberto Sosa

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Madre del bambino: Dolores Heredia Bambino: Kevin Hernandez Direttore del Penitenziario: Fernando Becerril Dottore di El Pueblito: Jose Montini Chirurgo: Patrick Bauchau Infermiera: Mayra Sérbulo Romero: Gerardo Taracena Vazquez: Mario Zaragoza Carlos: Tenoch Huerta Frank: Peter Stormare Avvocato di Frank: Scott Cohen Thomas Kaufmann: Bob Gunton Bill: Dean Norris Size 11: Gustavo Sánchez Parra Genere: Azione, Thriller Durata: 95 minuti Origine: USA, 2012

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Luca Pasqualoni Segretario Nazionale ANFU pasqualoni@sappe.it

Il potere giudiziario Quando è il potere giudiziario a sbagliare in materia penale ci si può accontentare della mera responsabilità disciplinare?

L’

assoluzione in appello di Raniero Busco per l’assassinio di Simonetta Cesaroni, di Amanda Knox e Raffaele Sollecito per l’omicidio di Meredith Kercher e di Alberto Stasi per l’omicidio di Chiara Poggi, ripropongono prepotentemente la annosa e spinosa questione della responsabilità civile e penale dei magistrati, anche alla luce delle indagini sulla morte di Yara Gambirasio che non vedono ancora nessun indagato, nonostante la stessa sia avvenuta nel lontano 26 novembre 2010 e nonostante la Procura della Repubblica di Bergamo abbia deciso di sottoporre al test del DNA un numero ragguardevole di persone residenti nel Comune di Brembate di Sopra con costi economici che possiamo ritenere essere di un certo rilievo.

Nella foto In tutti i processi richiamati, l’impianto acil potere della cusatorio poggiava su perizie opinabili, simagistratura

stematicamente sconfessate in appello; eppure ciò non può sorprendere ove si consideri che, nel nostro Paese, un Procuratore della Repubblica ha avuto l’ardire di proporre in dibattimento reperti conservati in una cesta della biancheria: se ciò fosse accaduto in America il giudice del dibattimento avrebbe verosimilmente sorriso. Apprendo, altresì, dalla stampa, quindi il condizionale è d’obbligo, che la Procura della Repubblica di Pavia avrebbe presentato ricorso in Cassazione contro l’assoluzione di Alberto Stasi con argomenti del tipo

che seguono: «siccome l’assassinio di Chiara Poggi è stato commesso con notevole brutalità, l’autore non poteva essere uno sconosciuto ma doveva per forza essere qualcuno che con la vittima intratteneva un rapporto emotivo forte, dunque il fidanzato». Orbene, prescindendo dalla fragilità della inferenza logica citata, con buona pace per la logica aristotelica, ritengo che motivazioni di tal fatta, se rispondenti al vero, dissimulino una privatizzazione della vicenda, dal momento che il ricorso non sembra teso ad evidenziare violazioni di legge più o meno manifeste, ma appare teso a riscattare l’operato della Procura. Certo è che gli imputati sopra richiamati sono stati raggiunti tutti da misure cautelari personali subendo una privazione della libertà personale sulla base di gravi indizi di colpevolezza che si sono rivelati poi non così tanto gravi, tanto da mettere in seria discussione la funzione di controllo che dovrebbe esercitare il GIP. Allora una riflessione appare obbligata. Supponiamo per un momento che non esista nel nostro ordinamento l’istituto dell’appello, possibilità questa plausibile stante l’assenza di specifico presidio costituzionale in tal senso, gli imputati di cui trattasi, in questo caso, sarebbero stati chiamati a scontare una pena detentiva di oltre venti anni, pur essendo, sotto il profilo probatorio, innocenti, dal momento che la Cassazione è chiamata ad esprimere un sindacato esclusivamente di legittimità anche nel caso in cui all’annullamento consegua il rinvio al giudice a quo. Alla luce della suddetta considerazione sorge la seguente domanda: è davvero giusto che, in casi simili, ai magistrati per così dire non diligenti non debba essere addebitata alcuna responsabilità quanto meno civile? Invero, la possibilità che la responsabilità civile dei magistrati possa essere usata per

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attentare l’autonomia e l’indipendenza del potere giudiziario verso forme più o meno stringenti di condizionamento al potere politico è certamente probabile, come hanno dimostrato le recenti spinte antigiustizialiste; nondimeno tale rischio non può comportare l’accettazione dell’opposto ed uguale rischio che l’amministrazione della giustizia sia affidata a degli irresponsabili, nell’accezione tecnica del termine. Ma la nostra procedura penale non prevede che in dubio pro reo, tanto che il giudicante dovrebbe assolvere l’imputato quando la sua responsabilità non sia stata dimostrata oltre ogni ragionevole dubbio; eppure nei tribunali italiani sembra che viga la regola opposta; nel dubbio, il giudice condanna, se poi finisce in galera un poveraccio reo di essere poco abbiente con la sfortuna di essere incappato nel P.M. sbagliato e in sbavature dei reparti scientifici, sono problemi suoi: e pensare che il caso Tortora doveva fungere da monito per i giudici, alla stregua della famosa spada di Damocle. Parimenti il proverbio popolare non dice che è meglio un colpevole fuori che un innocente in galera, che tradotto in termini giuridici altro non è che la volgarizzazione della presunzione di innocenza di assoluta rilevanza costituzionale. Alla luce di tale principio di civiltà giuridica aspettiamo con ansia gli esiti del processo dell’assassinio di Melania Rea: ovviamente gli esiti della Corte di Appello. Sarà che forse al comune cittadino non è dato conoscere e comprendere il meccanismo complesso ed inesorabile della legge, come nel famoso romanzo del Processo di Kafka in cui il giovane impiegato Joseph K. incarna proprio il comune cittadino che, svegliandosi una mattina, si ritrova, ex abrupto, accusato di un delitto senza saperne il motivo, dal momento che l’avviso di garanzia, in un sistema penale dominato sempre più da una visione panpenalistica compulsiva-impulsiva, sembra aver lasciato il posto ormai alla garanzia dell’avviso. Che in Italia non esiste una effettiva responsabilità civile dei magistrati è confermato dal fatto che nel lasso di tempo, ormai quasi venticinquennale, intercorrente dall’approvazione della Legge n. 117/1998, le azioni di responsabilità dichiarate ammissibili nei confronti dei magistrati sono state

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Aldo Maturo * avv.maturo@gmail.com

appena 34, di queste solo 4 si sono tradotte in condanne: appare evidente che il diritto del cittadino ad una corretta tutela giurisdizionale, come previsto dall’articolo 24, comma 1°, della Costituzione, viene, in questo modo, completamente vanificato. Eppure è noto che “tanto più un soggetto ha potere tanto più quel soggetto deve avere responsabilità” (Comoglio, Direzione del processo e responsabilità del giudice, in Studi in onore di Liebman, Milano 1979, I, pag. 478). Del pari, “in un sistema equilibrato non è ammissibile che all’attribuzione di un potere non segua parallelamente e contestualmente l’attribuzione della responsabilità relativa. Solo nei sistemi autoritari avviene una cosa del genere e così al potere non segue la responsabilità se non di tipo politico” (Scarselli, Ordinamento giudiziario e forense, Milano, 2010, pag. 199). Certo è che una nuova legge sulla responsabilità civile dei magistrati deve prevedere assolutamente “l’eliminazione di quelle misure previste dalla legge vigente, che si traducono in un vero sbilanciamento a favore dell’indipendenza, che da prerogativa costituzionale rischia di diventare una vera e propria immunità”, vale a dire: • il filtro preliminare del Tribunale all’azione risarcitoria, che nella prassi è finito per assurgere ad una sorta di autorizzazione a procedere; • la previsione di ipotesi tipiche e tassative di colpa grave e la esclusione di ipotesi di responsabilità derivanti dall’attività di interpretazione delle norme e di valutazione delle prove (c.d. clausola di salvaguardia), che circoscrive la responsabilità del giudice ai soli casi di errore macroscopico, grossolano, eclatante, tenendo, invece, fuori la negligenza grave. Siamo in presenza di un vero e proprio paradosso giuridico, visto che coloro che sono chiamati, ex lege, ad individuare ed affermare la responsabilità dei cittadini, sono, per contro, essi stessi irresponsabili, dal momento che non può parlarsi di responsabilità se nel rilevante arco temporale di venticinque anni si sono avute, in sede civile, solo 4 condanne a carico di magistrati.

Facebook istruzioni per l’uso

A

i 600 milioni di iscritti a Facebook il sito Sherweb ricorda che questo social network non è pascolo libero dove ognuno pensa di poter postare quello che vuole e ricorda che anche qui devono essere rispettate alcune regole di buon gusto e di buona educazione – la netiquette – come avviene in tutti i rapporti umani. Ha suggerito così alcune regole che naturalmente ognuno è libero di rispettare ma che di certo eleverebbero il livello delle relazioni virtuali. 1) evitare messaggi criptici comprensibili solo al destinatario. Per queste necessità si può ricorrere ai messaggi privati; 2) evitare l’invio di email a decine e decine di destinatari che hanno l’unico risultato di veder riempire la propria casella di posta da email di risposta provenienti da emeriti sconosciuti; 3) sconsigliate le catene di S.Antonio con l’invito perentorio “diffondi subito”, con la minaccia che se non lo fai ti cadrà il mondo in testa entro 24 ore; 4) sconsigliato pubblicare mamme col pancione in bella vista, mamme che allattano o simili. La maternità è una cosa intima e bellissima e non trae alcun giovamento da simile pubblicità; 5) di cattivo gusto investire gli amici di Facebook con le foto delle nostre sbornie o abbuffate, con visi rigonfi e deformati ed occhi stralunati, al solo scopo di dimostrare che abbiamo una vita molto intensa e godereccia da far invidia agli altri; 6) non è un segno di rispetto e di amicizia pubblicare foto di amici ripresi in posizioni horror o sessualmente provocanti, senza il loro consenso. Il concetto di cattivo gusto e di osceno vale anche per la “rete”; 7) poco consigliabile fare apprezzamenti sul proprio ambiente di lavoro, special-

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mente se si ha il dubbio che in rete ci possa essere anche il proprio “capo” o che comunque sia capace di navigare; 8) la bacheca di Facebook non è una chat e quindi non va utilizzata né per chiacchierare né per dare notizie importanti nè tanto meno per flirtare; 9) ognuno è libero di scegliersi gli amici che vuole ma evitare di aggiungere amici sconosciuti solo per far numero e dimostrare così di avere un carnet pieno di “nomi” cui non corrisponde un effettivo rapporto di amicizia, né attuale né ritrovato. Da ultimo, e lo dico per esperienza di lavoro, ricordo che tutti gli Uffici del Personale hanno ormai l’abitudine di andare su FB per verificare i profili di candidati al lavoro, prima o dopo il colloquio selettivo. E per finire, segnalo che tale abitudine di navigare è ormai diffusa anche tra le forze dell’ordine per farsi un’idea di abitudini, orientamenti e personalità di soggetti che possono avere un qualche interesse a fini investigativi o per ritrovarne le foto ove siano conosciuti fra i loro amici solo con i nick name.

* Avvocato, già dirigente della Amministrazione Penitenziaria

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Pasquale Salemme Segretario Nazionale del Sappe salemme@sappe.it

Le belve di Vercelli

H Nelle foto in alto con il titolo una veduta di Vercelli nei riquadri Doretta Graneris e Guido Baldini

al centro una immagine dei funerali delle vittime

o già avuto modo di trattare del fenomeno dei mass murder, peraltro di casa nostra, ma ho deciso di parlarvene ancora attraverso la storia di Doretta perché, con ogni probabilità, va annoverata tra quella sottocategoria, operata dal FBI, che sono i family mass murder (omicidio di massa familiare). In uno studio condotto è risultato che in Italia gli omicidi in famiglia sono molto frequenti, forse in ragione del ruolo forte che questa istituzione svolge ancora all’interno del tessuto sociale, come pilastro portante della società civile. È la famiglia stessa a essere complice della tragedia che la disgregherà, ignorando ciò che accade al suo interno, rimuovendo cause ed effetti del malessere di alcuni suoi membri, negando addirittura l’esistenza di certe patologie in essa latenti. I family mass-murder sono diffusi soprattutto in provincia e si configurano come veri e propri suicidi allargati, nei quali la componente depressiva si unisce a un’aggressione di tipo punitivo verso l’altro, scatenata dall’idea ossessiva di aver subito un torto intollerabile. Probabilmente è ciò che avvenne quella sera nella tranquilla Vercelli.

La notte di San Silvestro del 1972, Doretta Graneris e Guido Baldini, due giovani ragazzi di 15 e 18 anni, si conoscono per la prima volta. Da quel momento il destino dei due si unirà indissolubilmente, intrecciandosi anche a quello di altri protagonisti di questa storia maledetta. Doretta Graneris è nata a Vercelli il 16 febbraio del 1957. Un carattere non facile, ribelle. A scuola non si è mai impegnata più di tanto. La famiglia non è ricca, ma cerca di non farle mancare niente. Guido Baldini è un ragazzo introverso che, nonostante il diploma di ragionerie, non riesce a trovare un lavoro. Guido ama le armi, passione che coltiva andando a sparare al poligono di Novara. Doretta a 18 anni scappa da casa per andare a vivere con Guido a Novara.

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I due vivono in ristrettezze economiche; lui è sempre disoccupato, lei, avendo aspirazioni artistiche, non contribuisce in alcun modo. La cosa finisce per ripercuotersi nei rapporti tra i due e con la famiglia di lei. Nella mente dei due prende forma un’idea: procurarsi il necessario dalla famiglia di Doretta; sanno che ci sono conti bancari, soldi in contanti e diverse proprietà. La famiglia Graneris abita a Vercelli, in via Caduti dei Lager 9, in una villetta. E’ una famiglia come tante. Margherita e Romolo Zambon (nonni di Doretta), dopo aver trascorso parte della vita in Francia alla ricerca di fortuna, ritornano in Italia nel 1943, con loro la figlia Itala, nata cinque anni prima. Romolo aveva messo in piedi un piccolo negozio di gomme e nel 1955, dopo il matrimonio della figlia con Sergio Graneris, è coadiuvato dal genero. Stanno bene insieme e decidono di costruirsi una piccola casa dove vivere accanto, come una bella famiglia. Nel 1957 nasce Doretta e cinque anni dopo Paolo. Sono uniti e anche i figli sembrano felici e sereni. L’impresa commerciale familiare va abbastanza bene tanto da indurre papà Sergio ad ampliare l’attività, anche per garantire un futuro ai suoi figli. Anche se quel giovane a Romolo e a Itala non è mai piaciuto, i due genitori hanno subìto la volontà della ragazza, passivamente, per non inasprire ulteriormente i rapporti, già tesi con lei. La sera del 13 novembre 1975, Doretta Graneris e il fidanzato partono da Novara per arrivare a Vercelli in compagnia di una terza persona, Antonio D’Elia, un balordo che ha precedenti per stupro, e che ha avuto probabilmente rapporti sessuali con la stessa Doretta. Con lui comprano clandestinamente due pistole e si procurano un’auto rubata (una Simca 1300). I tre giungono nella villa dei Graneris, dopo una breve discussione con Italia e Sergio su questioni legate al matrimonio (per la figlia avevano già comprato alcuni mobili), passano ai fatti e presi dalla foga sparano diciotto colpi di pistola.

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Doretta e Badini sorprendono davanti al televisore acceso Sergio Graneris, la moglie Itala, i nonni Romolo e Margherita e Luigi, il fratellino che fu l’ultimo a essere assassinato. Il bambino quando comincia la sparatoria si nasconde sotto il tavolo. Fu la sorella stessa a scovarlo e a dire all’amico: «eccolo qua». E Badini sparò l’ultimo colpo, proprio alla fronte del piccolo Luigi. Uscendo dalla casa i balordi sparano anche al cane. I corpi sono trovati la mattina dopo dalla signora Maria, nonna paterna di Doretta, che preoccupata del fatto che il figlio non avesse aperto l’officina, si è premurata di andarlo a cercare a casa. Una volta entrata in casa verifica che c’è sangue dappertutto e innumerevoli bossoli di pistola. La donna sconvolta inizia a urlare sino a quanto i vicini richiamati dalle urla accorrono e la soccorrono. Le indagini scattano immediatamente, i Carabinieri cercano Doretta, unica sopravissuta per avvertirla dell’immane tragedia. I militari giunti nell’appartamento in cui vivono i fidanzati per comunicare la drammatica notizia, non trovano nessuno. Rintracciata Doretta in un bar, in compagnia di Guido, la informano della strage, ma lei reagisce compostamente. Troppo compostamente, tanto che il loro comportamento insospettisce gli inquirenti i quali decidono di fare un sopraluogo nell’auto del ragazzo (un’Opel Record 1700) e lì scoprono un bossolo. La circostanza fa maturare negli inquirenti la convinzione di estendere la ricerca di prove anche nell’abitazione dei due ragazzi; la perquisizione da esito positivo con il rinvenimento di altri bossoli come quelli sparati da una delle pistole usate per assassinare la famiglia di Doretta. I Carabinieri approfondiscono le indagini e scoprono che oltre ai due amanti, qualcun altro era al corrente del disegno criminoso. I sospetti si concentrano sui due giovani. I due sono arrestati dai Carabinieri. Inizialmente Doretta confessa quasi con il sorriso sulle labbra dicendo: «Sì, li ho uccisi io. Li odiavo. Non li sopportavo più. Mi sento come liberata da un incubo. Con il mio fidanzato abbiamo fatto l’amore tutta la notte. Lui non c’entra niente con questa storia».

In seguito comincia un lungo ed estenuante gioco allo scaricabarile: Doretta accusa gli altri due di averla drogata, Guido tenta la carta dell’uomo plagiato, il terzo assassino, Antonio, arrestato anche lui, rimane impigliato in quella ragnatela di confessioni e ritrattazioni. Badini alla fine confessa di aver compiuto l’azione da solo. Nel 1978 ha inizio formalmente il processo; oltre ai tre, tra gli accusati vi sono anche altre persone, alcuni loro amici, che devono rispondere dell’accusa di concorso in omicidio e dopo innumerevoli colpi di scena, il Tribunale indica il crimine come il risultato di «una smodata sete di supremazia da cui non poteva essere estraneo anche il movente economico». Badini è riconosciuto come «ideatore e organizzatore», Doretta avrebbe partecipato attivamente sparando «tre colpi ma i proiettili sono andati a vuoto». Guido e Doretta sono condannati all’ergastolo. Il D’Elia ottiene la seminfermità mentale e con le attenuanti è condannato a ventidue anni di carcere. In appello i due ergastoli sono confermati, il D’Elia si vede aumentare la pena a ventiquattro anni e negare la semi infermità mentale, per gli altri vi è una riduzione di due anni. In Cassazione il verdetto non subisce variazioni. Nel 1992 Doretta, che in carcere aveva conseguito la laurea in architettura, ottiene la libertà condizionale. Dopo la decisione del Tribunale di Sorveglianza rilascia la seguente dichiarazione: «La mia tragedia, le mie responsabilità sono vive nella mia coscienza e parlare

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di un percorso verso una nuova vita non ha mai voluto dire rimuovere il passato, ma oggi io sono un’altra persona. Voglio solo essere dimenticata. Chiedo il silen-

Nella foto i nonni Romolo e Margherita Zambon

zio attorno alla mia persona, un silenzio che sia sinonimo di rispetto non solo per me, ma per gli altri». Nel 2000, il Tribunale di Sorveglianza le concede la possibilità di usufruire di cinque anni di libertà vigilata, con l’obbligo di restare in casa dalle 22,30 della sera alle 7,30 del mattino. Oggi, dopo aver scontato trenta anni di carcere, Doretta Graneris è una donna libera. Alla prossima...

Nella foto in alto i genitori di Doretta, Sergio e Itala Graneris

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a sinistra Doretta Graneris in una fase del processo


a cura di Giovanni Battista De Blasis deblasis@sappe.it

Q

uasi venti anni di pubblicazioni hanno conferito al mensile Polizia Penitenziaria la dignità di qualificata fonte storica, oltre quella di autorevole voce di opinione. La consapevolezza di aver acquisito questo ruolo ci ha convinto dell’opportunità di introdurre una rubrica - Cosa Scrivevamo - che contenga una copia anastatica di un articolo di particolare interesse storico pubblicato quindici e più anni addietro. A corredo dell’articolo abbiamo ritenuto di riprodurre la copertina, l’indice e la vignetta del numero originale della Rivista nel quale fu pubblicato.

Modello organizzativo delle

Traduzioni e Piantonamenti

D

opo enormi vicissitudini con il superamento di numerossissimi ostacoli ha visto la luce il 9 marzo 1996 il Regolamento per il servizio delleTraduzioni. Il Regolamento diffuso con la Circolare 3413/5863 del 9.3.1996, è preceduto dal "modello organizzativo e funzionale del servizio" che riteniamo interessante pubblicare integralmente.

I

l servizio traduzioni e piantonamenti espletato dal Corpo della Polizia Penitenziaria, ai sensi degli articoli 4 e 5 de lla Legge 15 dicembre 1990, n.395, è articolato in tre livelli funzionali: • Centrale; • Regionale, sub Regionale: Provinciale e/o Interprovinciale; • Locale. 1 - LIVELLO CENTRALE L'espletamento dell'attività di coordinamento, di impulso e di controllo del servizio di traduzione e piantonamento dei detenuti e degli internati è affidato al "Nucleo Centrale di Coordinamento del Servizio Traduzioni e Piantonamenti". Esso è incardinato nella Segreteria Generale, posta alle dirette dipendenze del Direttore Generale ed interagisce con gli Uffici Centrali e con le strutture periferiche dell'Amministrazione. Coordina le tradu zioni ed i piantonamenti aventi particolare rilevanza e quelle che riguardano detenuti ad altissimo indice eli pericolosità. Coordina, altresì, le traduzioni da effettuarsi con l'uso del mezzo aereo. Pianifica e coordina le traduzioni internazionali concertandole con le altre Forze di Polizia. Inoltre: l. espleta attività di analisi e eli programmazione delle esigenze del servizio traduzioni e piantonamenti sulla base della elaborazione dei dati acquisiti dalle strutture periferiche; 2. fornisce pareri ed elabora proposte per l'acquisto e la sperimentazione di nuovi mezzi e materiali; 3. coordina gli interventi in materia di comunicazioni; 4. coordina i servizi di traduzione e piantonamento, in ambito nazionale, anche mediante i necessari contatti con le Amministrazioni centrali e/o periferiche delle altre Forze di Polizia, con riguardo alle traduzioni di detenuti.

2 - LIVELLO REGIONALE Ne ll 'ambito dell e aree traduzioni e piantonamenti previste a livello regionale dall'art.11 del decreto delegato 444/92 il Provveditore si avvale, ai fini del coordinamento operativo, della collaborazione degli appartenenti al ruolo degli ispettori, preferibilmente con qualifica di Ispettore Superiore. L'area traduzioni e piantonamenti in particolare: • Provvede, nella ipotesi eli traduzioni interregionali, ad informare tutti gli Uffici interessati al transito della traduzione nonché le Forze di Polizia territorialmente competenti; • coordina i livelli funzionali locali ubicati nell 'ambito territoriale di competenza; • impartisce ad essi direttive sul servizio, concertandole preventivamente, ove occorra, con la sopra individuata struttura Centrale; • propone interventi in materia di formazione professionale del personale. Presso ogni Provveditorato Regionale può essere formato un Nucleo Operativo costituito da personale appartenente al Corpo di Polizia Penitenziaria posto alle dirette dipendenze del Provveditore.

La copertina del numero di aprile 1996

3 - Il LIVELLO SUB REGIONALE: PROVINCIALE O INTERPROVINCIALE Ove la complessità operativa lo imponga, possono essere costituiti Nuclei Provinciali o interprovinciali posti alle dirette dipendenze del Provveditore Regionale, il quale si avvale, ai fini del coordina-

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2 - AREA PIANTONAMENTO L'area regionale del Servizio traduzioni e piantonamenti provvede, di iniziativa o su sollecitazione della periferia, all'immediata movimentazione di personale e mezzi laddove si verifichino, nell'ambito del territorio di competenza, particolari esigenze, avvalendosi anche del ucleo Operativo Regionale ove presente. Assicura l'assistenza operativa e logistica ai convogli di traduzione in transito nell 'ambito territoriale del Provveditorato, attivando i competenti Nuclei locali e/o provinciali o interprovinciali. Qualora l'organismo Regionale si trovi a dover far fronte ad esigenze particolarmente onerose, rispetto alle risorse disponibili, richiede l'integrazione di personale e di mezzi al Nucleo Centrale di Coordinamento del Servizio Traduzioni e Piantonamenti.

mento operativo, della collaborazione degli appartenenti al ruolo degli Ispettori, preferibilemente con qualifica non inferiore ad Ispettore Capo. Ove occorra, pianifica e coordina il servizio traduzioni e piantonamenti, nell'ambito del proprio territorio. 4 · IL LIVELLO LOCALE L'espletamento delle attività concernenti il servizio di traduzione e piantonamento dei detenuti e degli internati è affidato, a livello locale, ai nuclei traduzioni e piantonamenti d'istituto. Essi sono istituiti presso ciascun istituto penitenziario per le specifiche funzioni inerenti al servizio traduzioni e piantonamenti e sono forniti di personale e mezzi atti a soddisfare, in via generale, tutte le esigenze del servizio. La dotazione organica e logistica è determinata in relazione alla incidenza del servizio calcolata sulla base di rilevamenti tatistici affidabili (media ponderata delle traduzioni). Per straordinarie esigenze, che richiedano integrazioni di personale e/o di automezzi, provvede, su specifica richiesta, il nucleo provinciale o interprovinciale, ove esistente ovvero il coordinamento regionale. La responsabilità ed il coordinamento del nucleo locale traduzioni e piantonamenti è affidata, di regola, ad un coordinatore, scelto tra gli appartenenti al ruolo degli Ispettori. Il responsabile del nucleo locale dipende, gerachicamente ed amministrativamente dalla direzione dell'istituto in cui ha sede il nucleo. In relazione alla funzione cui è preposto possiede una autonomia operativa finalizzata all'espletamento dei compiti e delle responsabilità assegnategli anell'ambito della propria competenza e comunque nei limiti previsti dalle "disposizioni per i servizi di traduzione e piantonamento dei detenuti e degli internati".

3 -NUCLEO PROVINCIALE O INTERPROVINCIALE Ove costituito, il Nucleo provinciale o interprov inciale opera alle dirette dipendenze dell'Area Traduzioni e piantonamenti Regionale e secondo le direttive della medesima. 4 - NUCLEO LOCALE DEL SERVIZIO TRADUZIONI E PIANTONAMENTI II reponsabil del Nucleo traduzioni e piantonamenti pianifica e predispone le traduzioni ed i piantonamenti di competenza sulla base dei diversi elementi ed, in special modo con riferimento: a) alla personalità del soggetto da tradurre, al regime di sorveglianza, alla appartenenza al circuito penitenziario, alla pericolosità; b) al tipo di traduzione da effettuare: traduzione per motivi di giustizia, di sicurezza dell 'istituto, eli incompatibilità, eli incolumità fisica, ecc.; c) alla destinazione finale; d) alla entità della scorta da assegnare e ad altre particolari misure da adottare; e) alle caratteristi che eli sicurezza dell'automezzo da impiegare; f) alla previsione dell 'eventuale scortadi sicurezza; g) alla ottimale utilizzazione dei mezzi disponibili.

LINEA GERARCHICA ED OPERATIVA l - NUCLEO CENTRALE DI COORDINAMENTO DEL SERVIZIO TRADUZIONI E PIANTONAMENTI Il Nucleo Centrale di Coordinamento del Servizio Traduzioni e Piantonamenti, ogni qual volta coordini le traduzioni ed i piantonamenti aventi particolare rilevanza e/o riguardanti detenuti ad altissimo indice eli pericolosità, provvede ad informare tutti gli Uffici regionali interessati al transito della traduzione, nonché le Forze di Polizia territorialmente competenti. Inoltre si attiva, di iniziativa o su sollecitazione della periferia per l'immediata movimentazione eli personale e mezzi laddove si verifichino particolari esigenze.

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a sinistra la vignetta

Le notizie di cui ai punti a, b e c saranno fornite dalla direzione dell’istituto. Il responsabile locale ha, inoltre, il compito di accertare che la richiesta, inoltrata a cura della direzione, sia compilata in tutte le sue voci, con la esatta indicazione di tutti gli elementi di valuta-

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sotto un mezzo per il trasporto di detenuti


zione necessari alla correttta e puntuale organizzazione della traduzione. La pianificazione delle traduzioni, effettuata personalmente e con le modalità di cui sopra dal coordinatore locale, deve essere inoltrata all’Area Traduzioni e Piantonamenti del Provveditorato Regionale, mediante la prevista modulistica per il tramite della Direzione dell’istituto.

sotto il sommario del numero di aprile 1996

COMUNICAZIONI Il livello operativo del servizio traduzioni e piantonamenti da cui ha origine la traduzione dovrà effettuare le previste comunicazioni ai livelli operativi intermedi situati sugli itinerari percorsi dalla traduzione. Nel caso di traduzioni di detenuti ad alto indice di pericolosità verrà informato, per conoscenza, anche l’Area Traduzioni e Piantonamenti competente per territorio, per gli eventuali supporti operativi. In tale ultima ipotesi, dovranno essere informati, oltre ai nuclei provinciali o interprovinciali, ove istituiti, anche le competenti Questure ed i Comandi Provinciali dell’Arma dei Carabinieri dell’accadimento o del possibile verificarsi di fatti, nell’ambito del territorio da percorrere, che possano arrecare pregiudizio alla sicurezza del servizio di traduzione. Dette comunicazioni saranno inoltrate con modalità tali da assicurare la dovuta e necessaria riservatezza.

FIOCCO ROSA ALL’ISSP ontinua il nostro viaggio tra gli istituti del Paese visti con gli occhi dei corsisti del 3° Corso R.D.O. Siamo al giro di boa di questo secondo on the job e la semplice curiosità lascia lo spazio alla consapevolezza. Il ritorno tra i banchi di scuola sarà certamente l’occasione per un importante confronto, oltre che per apprendere nuove nozioni. A voi un’altra carrellata di esperienze tra le varie realtà penitenziarie italiane. Cogliamo anche l’occasione per formulare i nostri più sentiti auguri al collega Gianluca Mazzei per la nascita della piccola Carlotta. Alla famiglia Mazzei l’augurio di un futuro radioso da parte di tutti noi. Mario Salzano, Francesco Campobasso

C

TORINO “LORUSSO E CUTUGNO”: UN REPARTO SPECIALE Non è la primavera che ti aspetti, o tanto meno che vorresti, quella che a Torino accoglie noi tirocinanti: fa freddo e piove… .ma il benvenuto climatico non corrisponde a quello d’istituto, anzi. C’è molta professionalità e rispetto in chi ci riceve al block house e, nell’emozionante incertezza di questo nuovo inizio, la serenità e la competenza professionale del Vertice di Comando del Reparto di Polizia Penitenziaria scioglie ogni indugio, rivolgendoci un sincero sorriso di benvenuto. Fin dall’inizio ci appare chiara la difficile realtà che vive una grande casa circondariale come la Lorusso e Cutugno, ma la sfida la raccogliamo a viso aperto. La giornata dei Vice Commissari in prova comincia molto presto: c’è tanto da imparare dal Comandante, dal Coordinatore del nucleo, dai baschi blu... i giorni, nonostante la pioggia, scorrono velocemente e si passa, con sapiente metodo didattico, dallo studio delle tematiche dell’area amministrativo /contabile a quella della sicurezza, coniugando teoria ed applicazione pratica. Si sa, esistono settori del diritto – e quello penitenziario è uno di questi - nei quali la distanza tra la legge e le concrete esigenze di tutela si mostra in modo particolarmente evidente: è un dazio da pagare ad ogni sistema improntato al principio di legalità, ove alla rigidità della norma si contrappone l’evoluzione della realtà sociale. A Torino si cerca di superare questa dualità, tenendo cucite insieme esigenze di sicurezza e di rieducazione... donare la speranza, dice il nostro motto, e i vice commissari sono discenti interessati; in ogni occasione sfogliano appunti, codici, leggi, cercano i riferimenti normativi, e se sia normata oppure no la formula corretta per donare quella speranza. Proprio tanto c’è da imparare alla C.C. Lorusso e Cutugno di Torino, nel gergo torinese Le Vallette, dal nome del quartiere che cinge l’istituto e che negli anni del boom economico è stato il simbolo del degrado e dell’abbandono delle periferie. E’ strano, ma è come se l’istituto fosse un’appendice di questa vecchia concezione di periferia metropolitana e il Suo comandante ne fosse

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un sindaco, preordinato al governo di tutta l’umanità che lo abita. C’è tanta tristezza tra la popolazione detenuta che si incontra via via nei padiglioni: e i tirocinanti imparano a convivere con questa quotidianità. Un velo di tristezza, in verità, a volte, si coglie anche negli sguardi dei poliziotti: c’è chi vorrebbe dare di più al progetto rieducativo dei detenuti, ma è imbrigliato dalle norme di legge, c’è chi spera in nuovi arruolamenti, chi vorrebbe più lustro e visibilità per il Corpo…e chi pensa agli affetti che sono lontani a volte centinaia di chilometri. Il Vice Commissario in prova trova naturale cercare la soluzione a tutto nel codice, ma soluzione per ovviare a molte situazione non c’è, almeno nel codice…anzi, quel codice ha un peso diverso quando un detenuto qualunque, in un giorno qualunque, al passaggio del Direttore, agita il gagliardetto della squadra del cuore e quel Direttore, con ironia e semplicità, si presta alla battuta strappando un sorriso al Comandante e al Reparto tutto…. E’ così straordinariamente normale. Il codice stretto tra le mani sembra meno ingombrante, le parole sono meno aride e le pagine si colorano ...sorridono anche i tirocinanti pensando che il reparto di polizia penitenziaria di Torino sia un reparto “speciale”, dove tanto conta il valore aggiunto che ognuno può dare al sistema carcere…e non solo sfogliando un libro. Mara Lupi C.C. PRATO Una ristretta striscia di vita nella quale Sicurezza e Trattamento si compensano e si completano, quali momenti inscindibili dell’unico obiettivo istituzionale dell’Amministrazione: la legalità. Questa la realtà in cui siamo state accolte e che sta dando concretezza alla nostra attività formativa on the job, nella quale ogni operatore di Polizia Penitenziaria si muove con spiccato senso di appartenenza al Corpo, nella consapevolezza della propria funzione e del proprio ruolo. Uomini che, con dedizione e competenza, quotidianamente ci aprono le porte di un “mondo parallelo” chiamato carcere, nel quale con passione e abnegazione danno esecuzione alla privazione del bene più grande che un individuo possiede: la libertà personale. Una complessa macchina organizzativa, a capo della quale una Direzione capace di raccordare le varie specificità e competenze, ci orienta verso la consapevolezza della nostra funzione. Alla guida di questo entusiasmante percorso di tirocinio il C.d.R. Comm. Dott. Giuseppe Pilumeli, maestro di diritto e di umanità, il quale coadiuvato dall’operato attento ed appassionato del Vice Commissario Dott.ssa Anna Maria Gasparre ci insegna che il carcere è un luogo di pena ma anche un tragitto di vita e di speranza, dove a dominare deve essere “la forza della persuasione piuttosto che la persuasione della forza”. Iole Falco, Valentina Giordano POTENZA L’esperienza formativa in atto presso la C.C. di Potenza si sta rivelando sempre più coin-

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volgente e illuminante sotto il profilo professionale ed umano. Sicurezza sociale, custodia, risocializzazione ed economicità rappresentano le chiavi di lettura della conduzione di questo istituto di media sicurezza. Una gestione che si pone come obbiettivo primario la valorizzazione della persona nel suo complesso con riferimento sia all’utenza del sistema penitenziario intramurale ed esterno, quale destinataria del servizio penitenziario, sia all’operatore professionale, quale riserva imprescindibile per l’attuazione dei servizi di custodia e trattamento. Ed è proprio in questa cornice organizzativa suggellata nel progetto d’istituto che, nonostante la vetustà e gli spazi limitati della struttura risalente agli anni ’50 ed a fronte di un allarmante carenza di risorse umane ed economiche, quotidianamente vengono studiati, elaborati e realizzati sinergicamente con la collaborazione fattiva tra Area Sicurezza ed Area Trattamentale numerose attività per il recupero e la rieducazione dei condannati. Attività che spaziano dai corsi base di istruzione elementare, secondaria e di lingua ai corsi di formazione professionale e di inserimento lavorativo vissuti come concrete possibilità di sfruttare l’esperienza detentiva in modo funzionale rispetto ad un pieno reinserimento nella società, nella speranza di un rilancio nella società di un uomo migliore. A tal fine è opportuno segnalare i vari corsi di idraulica e di edilizia sapientemente realizzati anche per la ristrutturazione interna ed esterna dei locali del penitenziario ed in particolare per il ripristino della sezione penale attualmente chiusa, nonché il progetto Area Verde finalizzato al recupero degli spazi verdi interni ed alla formazione di vivaisti. In un momento di crisi crescente il Direttore Dott. Michele Ferrandina ha infatti saputo fare di necessità virtù stipulando apposite convenzioni con agenzie di formazione del territorio (Apof-il) finanziate da fondi provinciali garantendo allo stesso tempo una ristrutturazione importante dell’istituto nonché la formazione e la retribuzione dei detenuti senza incidere sulle limitate risorse ministeriali. Anche rispetto alla domanda di lavoro dei detenuti è importante segnalare che a fronte di una riduzione del 69,82% del budget relativo al capitolo mercedi rispetto all’anno 2011 si è provveduto a far ricorso a finanziamenti di natura diversa come quelli della Cassa delle Ammende promuovendo convenzioni con imprese pubbliche e private ai sensi della legge 193/2000(legge Smuraglia) con l’obbligo di assumere manodopera nell’ambito dei ristretti in istituto come ad esempio già avvenuto per il ripristino dell’impianto idrico nel reparto Penale. Grande considerazione viene rivolta nei riguardi degli stessi operatori penitenziari garantendo lo svolgimento dei corsi di formazione sulla base di un piano triennale del DAP. Tra questi si distinguono i corsi finalizzati a migliorare le competenze professionali sul campo e alla comunicazione interpersonale e istituzionale come quelli in materia di primo soccorso, gestione dell’emergenza, aggiornamento dell’attività di P.G. e sul Benessere Organizzativo. Tuttavia seppur in un contesto come questo rimane comunque difficile man-

tenere costante il livello di sicurezza. Quotidianamente, infatti, il personale di Polizia Penitenziaria intraprende immani fatiche affrontando la carenza di risorse umane, economiche e la carenza di impianti tecnologici di osservazione con le sole armi della versatilità e dello spirito di squadra. Ma nonostante tutto rimane un personale fortemente motivato grazie alla sapiente opera del Comandante di Reparto, il Commissario Rocco Grippo. Un veterano del Corpo che non conosce orari e quadranti, sempre in prima linea nella gestione delle criticità, che, con alle spalle un’esperienza sul campo vissuta in un arco di tempo che a settembre inaugurerà le 36 primavere, ha il grande merito di saper coniugare l’autorevolezza del ruolo con l’umanità del padre di famiglia. Rapportarsi da Vicecommissario in prova con la complessa realtà carceraria in una prima esperienza di tirocinio didattico da solo poteva apparire una sfida affascinante, una scelta ricca di aspettative, ma che non poteva non celare i legittimi dubbi del neofita, ma l’accoglienza e la disponibilità del personale di personale di Polizia Penitenziaria, sempre prodigo di preziose informazioni e riflessioni, anche con il coinvolgimento in simpatiche iniziative sportive e ricreative fuori programma, mi hanno fatto sentire parte integrante del sistema, facendomi apprezzare ancor di più il loro encomiabile spirito di squadra, non potendo esimermi dal ringraziarli e dal consigliare vivamente ai miei colleghi corsisti un ‘esperienza formativa presso la CC. Di Potenza. Giuseppe Musella MILANO - SAN VITTORE San Vittore, o meglio San Vitùr, che per i milanesi è sinonimo della parola carcere, è uno dei luoghi simbolici della città, importante manifestazione dell’identità di Milano, sia da un punto di vista architettonico che storico. Attraverso i sei bracci che si diramano dalla rotonda centrale - espressione della c.d. struttura settecentesca a panopticon - è possibile ripercorrere le tappe della storia italiana e di riflesso l’evoluzione del concetto di pena. Il tirocinio in questo istituto, oltre ad essere altamente formativo, rappresenta un indubbio arricchimento personale. L’esperienza, la professionalità e l’umanità degli operatori, ci fanno comprendere come il rispetto della dignità umana e la risocializzazione del detenuto debbano essere sempre e comunque garantiti, anche in un contesto problematico come quello di San Vittore. Il grave sovraffollamento, la marcata carenza di organico e di risorse, rendono infatti parecchio difficile per coloro che vi operano adempiere ai fini istituzionali cui sono chiamati. Un elemento fondamentale per rendere le condizioni di vita dei ristretti tollerabili, è rappresentato dal coinvolgimento della società civile che, grazie alla sensibilità della Direttrice e della Comandante, partecipa attivamente alla vita del carcere, promuovendo svariate iniziative culturali e di svago a sostegno dei detenuti.

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Inoltre, osservando l’attività della Comandante, che quotidianamente coinvolge e motiva il personale, ci siamo rese conto di quanto siano importanti la collaborazione ed il consenso, senza i quali non sarebbe possibile gestire una realtà così complessa. È opinione diffusa che San Vittore rappresenti una buona palestra per imparare a svolgere al meglio la nostra funzione e, dopo questo primo periodo di tirocinio, ci sentiamo di condividere appieno tale affermazione, per le grandi opportunità che questa esperienza ci sta offrendo, sia sul piano professionale che umano. Melania Manini, Isabella Laruccia FOGGIA A poche settimane dalla conclusione del secondo tirocinio didattico nella Casa Circondariale di Foggia, i tempi per un sia pur sommario bilancio sono più che maturi: e il bilancio non può che essere positivo. Accolto, con tutti gli onori del caso, dalla Direttrice dell’Istituto, Dr.ssa Maria C. Affatato, la sensazione più immediata è stata quella di respirare un’aria familiare. E non certo (o non solo) perché tornato nell’amatissima Puglia, quanto per la straordinaria disponibilità di un’Autorità dirigente che ha saputo mettermi a mio agio consentendomi l’accesso, sia pure nella qualità di mero osservatore, in tutti i processi più importanti e delicati allo stato pendenti, senza tacere nessuna criticità né stemperare alcuna bruttura. In un siffatto contesto ho, pertanto, potuto presenziare, senza soggezione alcuna né complesso di inferiorità, alla contrattazione dell’Accordo Quadro decentrato, finalizzata alla definizione del nuovo assetto organizzativo, alla negoziazione della proposta del nuovo regolamento d’Istituto con il Magistrato di Sorveglianza e alla definizione del cd. Protocollo sanitario, solo per citare alcuni dei momenti di alta formazione cui ho assistito. Disponibile e preziosissimo anche il trainer di quest’edificante esperienza: il Commissario Giovanni Serrano, comandante di reparto della limitrofa C.C. di San Severo. Uomo di straordinaria esperienza e preparazione, il Comandante Serrano non ha lesinato insegnamenti e consigli in ordine ad un ruolo che, oltre la mera preparazione accademica, richiede molta dedizione e attitudini particolarissime. Caratteristiche queste che non possono acquisirsi né consolidarsi, se non a seguito di una delicata ed imprescindibile attività di osservazione utile alla conoscenza delle dinamiche carcerarie che non possono comprendersi appieno se non attraverso la frequentazione assidua ed attenta della sezione detentiva. Positivo e proficuo il rapporto con tutti gli altri operatori penitenziari, sanitario, educatore, cappellano e responsabili delle unità operative che con grande professionalità e senso di responsabilità concorrono alla buona gestione di un Istituto che, al pari di molti penitenziari italiani sconta, purtroppo, le notorie criticità in ordine al sovraffollamento ed alla significativa carenza di organico. Giovanni de Candia

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VADEMECUM DEL CARCERE a cura Ufficio Ombudsman delle Marche - pagg. 152

C S. ANASTASIA E. CORLEONE - L. ZEVI

IL CORPO E LO SPAZIO DELLA PENA EDIESSE dizioni pagg. 264 - euro 13,00

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a vertiginosa crescita delle incarcerazioni nell’ultimo ventennio ha fatto esplodere il problema del sovraffollamento penitenziario, e con esso quello della qualità della pena nel rispetto della dignità della persona detenuta. Tra timide riforme e occasionali provvedimenti deflattivi, la costruzione di nuove carceri e la saturazione di quelle esistenti continuano a dominare l’agenda politica. La struttura architettonica, la qualità edilizia e la collocazione urbanistica del penitenziario corrispondono alla sua funzione e al modo di interpretare la pena privativa della libertà. Chi si propone di riformare la pena non può rinunciare, quindi, a ripensare lo spazio penitenziario, almeno fino a quando il carcere resterà dominante nelle nostre culture e nelle nostre pratiche punitive.

urato dall’Ufficio dell’Ombudsman delle Marche, questo Vademecum del carcere multilingue aiuta i detenuti a comprendere le leggi che disciplinano il regime penitenziario. Dopo uno studio sui paesi e le appartenenze linguistiche condotto in collaborazione con il PRAP (Provveditorato regionale amministrazione penitenziaria), il volume, stampato in 1500 copie da distribuire in ogni cella della Regione, è stato tradotto in otto lingue: italiano, inglese, francese, spagnolo, albanese, rumeno, cinese, arabo. In questo Bignami del carcere ogni detenuto può trovare in sintesi le principali informazioni che regolano la vita quotidiana, dagli aspetti sanitari all’alimentazione, al personale dell’istituto, alle telefonate, ai reclami. Nella guida una parte viene riservata alla figura del Garante, con indicazioni concrete sulle sue funzioni, sulla casistica trattata negli scorsi anni e sul come rivolgersi al suo ufficio.

F. FIORENTINI - S. LA ROCCA G. MALAVASI - G.M. PAVARIN

MISURE ALTERNATIVE ALLA DETENZIONE G. GIAPPICCHELLI Edizioni pagg. 674 - euro 72,00

E

cco un libro che non può mancare nella biblioteca di ogni appartenente alla Polizia penitenziaria e, più in generale, di ogni operatore del carcere. Davvero completo e ben fatto, il libro offre una prefazione del Capo Dipartimento, Giovanni Tamburino, con una lunga esperienza di Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Roma. Le misure alternative alla detenzione rappresentano un settore del sistema penale in continua evoluzione, sotto la

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spinta di scelte tecnico-politiche compiute sui temi – solo apparentemente contrastanti – della sicurezza dei cittadini e della umanizzazione dell’esecuzione penale, sullo sfondo di fenomeni di assoluta imponenza e drammatica portata, quali la attuale situazione di sovraffollamento negli istituti di pena. Un numero rilevantissimo di leggi ed atti regolamentari si sono rapidamente susseguiti a modificare radicalmente il quadro normativo preesistente e impongono a quanti si occupano della materia un continuo aggiornamento professionale. Questo fondamentale e prezioso testo, che contiene il commento alle più importanti novità, dalla legge n. 199/2010 sull’esecuzione della pena presso il domicilio (c.d. legge Alfano), alla legge n. 62/2011 sulle detenute madri, al recentissimo d.l. n. 211/2011 (c.d. pacchetto Severino), è arricchito da un’estesa rassegna delle pronunce costituzionali e della più attuale giurisprudenza di legittimità, con l’approfondita illustrazione delle norme nel diritto vivente attraverso le linee-guida della loro corrente interpretazione alla luce dell’applicazione pretoria e dell’elaborazione della migliore dottrina, così da costituire una fonte completa, chiara ed aggiornata della materia.

VITO INGLETTI

DIRITTO DI POLIZIA GIUDIZIARIA LAURUS ROBUFFO Edizioni pagg. 592 - euro 50,00

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dizione numero undici per un libro universalmente riconosciuto come uno dei più completi in materia di diritto penale, procedura penale e diritto di Polizia e che si presenta in questa edizione aggiornata alle più recenti novità le-

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a cura di Erremme

gislative di preminente interesse per la Polizia Giudiziaria. Non a caso, il testo è adottato ufficialmente presso le Scuole di tutti i Corpi di Polizia italiani: Arma dei Carabinieri, Polizia di Stato, Guardia di Finanza, Corpo Forestale dello Stato, Polizia Penitenziaria e plurimi comandi di Polizia Municipale e Provinciale.

J. PATTERSON - M. LEDWIDGE

UNA SOLA NOTTE TRE60 Edizioni pagg. 347 - euro 9,90

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B. BUZZANCA - F. DE SANTIS

ATTI DI POLIZIA GIUDIZIARIA LAURUS ROBUFFO Edizioni pagg. 720 - euro 50,00

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cco un libro in grado di fornire risposta certa ad ogni domanda che l’operatore di polizia giudiziaria si pone nell’espletamento della pertinente attività, soprattutto nell’immediatezza dei fatti, allorché egli, pressato dagli eventi, deve decidere ed intervenire secondo legge, senza nulla tralasciare. Esso comprende 95 prospetti illustrativi e oltre 180 formule di atti di P.G. I prospetti forniscono l’indicazione degli adempimenti che l’operatore deve osservare durante l’esecuzione e immediatamente dopo: competenze, diritti della difesa, adempimenti, termini di trasmissione, organo destinatario, utilizzabilità dell’atto anche in sede di testimonianza, fonti normative di riferimento. Dispone di tabelle sinottiche, del prontuario dell’arresto e del fermo aggiornato e di un CD Rom con i verbali copiabili e stampabili. La nuova edizione è aggiornata con le più recenti disposizioni, in particolare: misure cautelari, libera circolazione dei cittadini comunitari, direttiva CE sul rimpatrio dei cittadini

di Paesi terzi irregolari, precursori di droghe e codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, legge n. 9/2012 svuota carceri, con le innovazioni riguardanti la custodia dell’arrestato in attesa dell’udienza di convalida dell’arresto. E’ stata rivisitata e rinnovata l’intera parte seconda. Il testo si caratterizza per la sua freschezza e attualità, confermandosi sicuro punto di riferimento di tutti gli operatori delle forze di polizia, dei frequentatori dei corsi di formazione e aggiornamento, delle polizie locali, degli investigatori privati, dei magistrati e degli avvocati.

FABRIZIO CIPRIANI

CAUSA DI SERVIZIO E RISCHI LAVORATIVI NELLE FORZE DI POLIZIA LAURUS ROBUFFO Edizioni pagg. 208 - euro 20,00

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nteressante libro che fornisce un’ampia panoramica dei rischi lavorativi per la salute degli operatori di polizia, con particolare attenzione a quelli di natura psico-sociale. Illustra dettagliatamente le procedure per il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di infermità e lesioni, nonché i criteri cardine per la valutazione del nesso di causalità tra l’attività di servizio e le patologie più frequenti. Nell’ultima parte vengono tracciati i possibili interventi migliorativi e proposto un confronto con la normativa I.N.A.I.L., vigente per gli altri settori lavorativi

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auren Stillwell era convinta di saper riconoscere una bugia. Si sbagliava. Lei, una tra le migliori detective di New York, non ha mai sospettato che il suo matrimonio fosse una menzogna, eppure adesso deve affrontare la realtà. Paul, l’uomo che ha sempre amato, la tradisce: mentre lo aspettava fuori dal suo ufficio per fargli una sorpresa, lo ha visto uscire in compagnia di un’altra donna e poi sparire all’interno di un albergo. Sconvolta, umiliata e in preda a un bruciante desiderio di vendetta, Lauren decide allora di ripagare il torto subito con la stessa moneta: approfittando di un viaggio di lavoro del marito, cede alle lusinghe di un affascinante detective della narcotici, abbandonandosi a una notte di sesso sfrenato. Ma quella che doveva essere una semplice avventura si trasforma ben presto in un incubo senza via d’uscita. Poche ore dopo il loro incontro, infatti, il suo amante viene trovato morto e, per un beffardo scherzo del destino, le indagini vengono affidate proprio a lei, che sa molto bene chi sia l’assassino... Trascinata in una spirale diabolica di segreti e ricatti, a causa di una sola notte di follia Lauren rischierà quindi di perdere tutto: il lavoro, la famiglia e, forse, la sua stessa vita.

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inviate le vostre foto a: rivista@sappe.it

1978 - Scuola Agenti di Custodia di Portici (NA) . Distaccamento di Ercolano 106° Corso Allievi AA.CC. (foto inviata da Francesco Bufano)

1978 - Casa di Reclusione di Fermo Festa del Corpo (foto inviata da Vincenzo Catena)

1985 - Casa Circondariale di Pinerolo (TO) Festa del Corpo (foto inviata da Antonio Currao)

1988 - Casa Circondariale di Vasto Festa del Corpo (foto inviata da Ettore Tomassi)

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1985 - Casa Circondariale di Pinerolo (TO) Festa del Corpo (foto inviata da Antonio Currao)

1981 - Scuola Agenti di Custodia di Parma 70° Corso Allievi AA.CC. (foto inviata da Antonio Caiazza )

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1979- Scuola Agenti di Custodia di Portici (NA) Giuramento Allievi 62° Corso Allievi AA.CC. (foto inviata da Carmine Barletta )


inviate le vostre lettere a rivista@sappe.it

la lettera Care Colleghe, Cari colleghi, sono l'Assistente Capo Klaus Rossi, e presto servizio alla c.c. di Forlì. Quello che sto per raccontarvi è accaduto qualche tempo fa al sottoscritto di ritorno da una cena al ristorante con la mia famiglia. Erano da poco passate le 22 quando al parcheggio del ristorante noto un anziano signore sull'ottantina vagare tra le auto con aria smarrita. Mi avvicinai per chiedergli se avesse bisogno di aiuto. Rispose che non si ricordava quale fosse l'auto del figlio in cui aveva dimenticato una cosa. Avendo l'anziano signore la chiave in mano, non fu difficile per me aiutarlo. Mi ringraziò e stavamo per salutarci quando la mia attenzione ricadde sulla spilla che portava sulla giacca. Era la fiamma dell'Arma dei Carabinieri. Allora chiesi se fosse un ex Carabiniere e mi rispose con uno scatto d'orgoglio: «Certo! » Poi disse anche che svolse servizio nella Benemerita dal 50 al 56

al battaglione poi purtroppo, poichè i suoi superiori si ostinavano a non assegnarlo in via definitiva ad una stazione (l'indifferenza e l'ostruzionismo esistevano anche allora!) in quanto suo desiderio era fare il vero Carabiniere decise di congedarsi benchè fosse molto dispiaciuto. Poi dissi che anch'io indossavo una divisa, quella della Polizia Penitenziaria, ex corpo degli Agenti di Custodia ed allora aggiunse: «Bene , allora io e lei ci capiamo, è sempre lo stesso lavoro! ». Poi abbassò lo sguardo e vidi che i suoi bellìssimi occhi azzurri divennero lucidi per la commozione. Allora dissi «La divisa ti entra dentro e rimane per tutta la vita...» e lui aggiunse «verissimo...non ti esce più..» Poi gli strinsi la mano e nemmeno io riuscì a nascondere la commozione per quelle poche parole che ci eravamo scambiati ma così ricche di significato che stanno ad indicare come l'Amor di Patria ed il senso di Giustizia accomunano chiunque indossi una divisa dello Stato. Mi disse che si chiamava Forti e mi ringraziò. Gli risposi che per me fu un piacere enorme averlo conosciuto. Cordiali saluti a tutti!! Assistente Capo Klaus Rossi

l’appuntato Caputo©

il mondo dell’appuntato Caputo© 1992•2012

... BATTI IN RITIR ATA !

di Mario Caputi & Giovanni Battista De Blasis © 1992 - 2012

VENTI ANNI

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