Polizia Penitenziaria - Luglio / Agosto 2014 - n. 219

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anno XXI • n. 219 • luglio/agosto 2014

Ne è rimasto soltanto uno!

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sommario

anno XXI • numero 219 luglio/agosto 2014

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Nel fotomontaggio di copertina: Luigi Pagano nei panni di Connor McLeod l’ultimo highlander

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l’editoriale

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Giustizia e carceri: la mannaia di Orlando e Renzi Organo Ufficiale Nazionale del S.A.P.Pe. Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria

di Donato Capece

il pulpito Direttore responsabile: Donato Capece capece@sappe.it

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Ne è rimasto soltanto uno...

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di Giovanni Battista de Blasis

Direttore editoriale: Giovanni Battista de Blasis deblasis@sappe.it

il commento

Capo redattore: Roberto Martinelli martinelli@sappe.it

I fischi all’Inno Nazionale e il dovere della Memoria

Redazione cronaca: Umberto Vitale, Pasquale Salemme Redazione politica: Giovanni Battista Durante

di Roberto Martinelli

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l’osservatorio

Progetto grafico e impaginazione: © Mario Caputi (art director) “l’appuntato Caputo” e “il mondo dell’appuntato Caputo” © 1992-2014 by Caputi & de Blasis (diritti di autore riservati)

di Giovanni Battista Durante

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e-mail: rivista@sappe.it web: www.poliziapenitenziaria.it

lo sport

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Una “bicicletta” e un “triciclo” negano a Johnny Pellielo l’ennesima medaglia di Lady Oscar

Le Segreterie Regionali del Sappe, sono sede delle Redazioni Regionali di: Polizia Penitenziaria-Società Giustizia & Sicurezza Registrazione: Tribunale di Roma n. 330 del 18 luglio 1994

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Varata la riforma della Pubblica Amministrazione

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Direzione e Redazione centrale Via Trionfale, 79/A - 00136 Roma tel. 06.3975901 r.a. • fax 06.39733669

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crimini e criminali

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Johnny lo Zingaro: una fuga senza fine

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di Pasquale Salemme

Stampa: Romana Editrice s.r.l. Via dell’Enopolio, 37 00030 S. Cesareo (Roma)

come scrivevamo

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Anno nuovo: solito tran tran, le stesse illusioni

Finito di stampare: giugno 2014

di Umberto Vitale Questo periodico è associato alla Unione Stampa Periodica Italiana Il S.A.P.Pe. è il sindacato più rappresentativo del Corpo di Polizia Penitenziaria

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Donato Capece Direttore Responsabile Segretario Generale del Sappe capece@sappe.it

l’editoriale

Giustizia e carceri, la mannaia di Orlando e Renzi l Gabinetto del Ministro, che malgrado il nome è l’importante Ufficio di diretta collaborazione con il Guardasigilli, ha trasmesso nei giorni scorsi alla Funzione Pubblica lo schema di decreto sul “Regolamento di organizzazione del Ministero della Giustizia e riduzione degli Uffici dirigenziali e delle dotazioni organiche del Ministero della Giustizia”. Il documento, integralmente disponibile on line sul nostro sito www.sappe.it, prevede una serie di significativi interventi, alcuni dei quali anticipati – seppur sommariamente – proprio dal Ministro della Giustizia nel corso dell’incontro che si è tenuto con le OO.SS lo scorso giovedì 10 luglio. In estrema sintesi, lo schema di decreto prevede per il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria la soppressione dei Provveditorati Regionali di Calabria e Basilicata (che vengono accorpati a quello della Puglia), Marche (accorpato ad Abruzzo e Molise), Umbria (accorpato al Lazio), Liguria (accorpato al Piemonte). Ancora, la soppressione della Direzione Generale del Bilancio e della Contabilità del DAP (le funzioni vengono assorbite dalla Direzione Generale del Bilancio, Contabilità, delle Risorse Materiale, dei Beni e dei Servizi) e dell’Istituto Superiore Studi Penitenziari (le cui funzioni vengono assorbite dalla Direzione Generale del Personale e della Formazione). Per quanto concerne, invece, il Dipartimento per la Giustizia Minorile lo schema di decreto prevede la soppressione di due Direzioni Generali e il trasferimento alla Direzione Generale degli Affari Giuridici e Legali del Dipartimento per gli Affari di Giustizia (DAG) delle funzioni di gestione del contenzioso

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nelle materie di competenza del Dipartimento per la Giustizia Minorile. Il DGM, dunque, avrà una sola Direzione Generale: quella del Personale, dei Beni e Servizi e per l’Attuazione dei Provvedimenti Giudiziari. Queste sono, dunque, le parti che più direttamente ci interessano contenute nello schema di decreto del Presidente del Consiglio di Ministri sul Regolamento di organizzazione del Ministero della Giustizia e riduzione degli Uffici dirigenziali e delle dotazioni organiche del Ministero della Giustizia. Lo schema di decreto è stato trasmesso alla Funzione Pubblica ma allo stato non è stato approvato e dunque non è entrato in vigore e non è operativo. Come primo e più rappresentativo Sindacato del Corpo di Polizia Penitenziaria, riteniamo che non sia pensabile chiudere strutture importanti di raccordo tra carcere, istituzioni e territorio come i Provveditorati Regionali dell’Amministrazione Penitenziaria (a meno che non si voglia paralizzare il sistema per lasciare al carcere l’esclusiva concezione custodiale che lo ha caratterizzato fino ad oggi. Serve capire se è necessario ottimizzare le risorse sul territorio? Confrontiamoci e vediamo se vi sono situazioni tali da essere eventualmente migliorate, ma non si possano cancellare i presidi di sicurezza penitenziaria in questi cinque importanti regioni. Se questo schema di decreto – che è stato trasmesso dal Gabinetto del Ministro della Giustizia e alla Funzione Pubblica per i successivi iter amministrativi – dovesse essere approvato con la prevista

soppressione dei citati Provveditorati, tutte le più qualificanti attività svolte a livello territoriale - destinate al soddisfacimento di primari interessi pubblici - verrebbero sensibilmente ridotte se non del tutto compromesse. Gli accorpamenti determinerebbero un’estensione territoriale abnorme, con enormi distanze tra sedi a volte con modesta percorribilità anche in ragione di una accentuata viabilità orograflca. Contenimento della spesa e spending review? Si pensi ai numerosi e non di rado quotidiani viaggi di servizio del personale dai Provveditorati alle sedi penitenziarie e viceversa per lo svolgimento di attività di controllo, sopralluogo, coordinamento di cantieri; per la partecipazione alle numerose commissioni già attive da anni nel territorio; alle convocazioni, alle riunioni di organi collegiali (CRD, commissioni arbitrali, commissioni paritetiche, ecc.). Altro che contenimento della spesa o spending review: con gli accorpamenti ne deriverebbe complessivamente una costante levitazione dei costi e dei tempi di impegno fuori sede, da mettere persino in forse l’economicità dell’intera operazione e un progressivo scollamento con il territorio con compromissione del principio di sussidiarietà. Si aggiunga infine che tutti i Provveditorati hanno da anni rapporti di proficua collaborazione con gli Enti territoriali che sono stati formalizzati con la sottoscrizione di Protocolli ed Accordi Quadro. Tale attività necessita di monitoraggio costante, condivisione e confronto senza soluzione di continuità. Non è dunque pensabile chiudere strutture importanti di raccordo tra carcere, istituzioni e territorio come i Provveditorati Regionali dell’Amministrazione Penitenziaria. O il Ministro della Giustizia Orlando ed il Governo Renzi vogliono essere ricordati per questo inspiegabile attacco ai presidi di sicurezza del Paese? H


il pulpito

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Ne è rimasto soltanto uno... ighlander è un film della metà degli anni ottanta che racconta la storia di uomini immortali che, per raggiungere il potere assoluto, sono costretti ad uccidersi tra loro fino a quando non ne rimane uno solo. Alla fine di ogni scontro, l’immortale sopravvissuto recitava una formula dal significato emblematico: “Ne rimarrà soltanto uno ...” Qualche anno dopo, al Dap si sono dipanate vicende che sembrano uscite dalla sceneggiatura di quel film, quasi un reboot della storia di Connor McLeod. Tutto è cominciato agli inizi degli anni novanta, all’indomani della riforma del Corpo di Polizia Penitenziaria. E tutto si è evoluto di pari passo con la carriera di un famoso dirigente dell’amministrazione penitenziaria: il dott. Emilio Di Somma. Di Somma partì alla “conquista” dell’amministrazione penitenziaria dalla posizione di Vice Direttore dell’Ufficio del Personale, nel 1992. Da quel momento, il dott. Di Somma cominciò a salire e scendere le scale del Dipartimento. E’ salito, nel 1993, per andare a fare il Capo della Segreteria (e contemporaneamente assumere la direzione della scuola di Roma via di Brava) . E’ sceso, dopo qualche tempo, per andare a fare il Direttore del Personale. E’ risalito, ancora, alla fine degli anni novanta quando ha fatto il salto nella dirigenza generale per andare, subito dopo, ad assumere l’incarico di Vice Capo Dap (al quale più tardi si sono aggiunte le funzioni vicarie). Poi una lunga, lunghissima battaglia per salire sulla poltrona più alta del Dipartimento che si è infranta, però, sulle barricate erette dai suoi

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Giovanni Battista de Blasis DirettoreEditoriale Segretario Generale Aggiunto del Sappe deblasis@sappe.it

avversari, fino alla sconfitta finale subita ad opera dei limiti di età e dell’inevitabile collocamento in pensione. Poi è arrivato Luigi Pagano, il nostro Connor McLeod. Luigi Pagano, sette anni più giovane di Di Somma, è venuto da molto lontano: le highlands del Provveditorato di Milano. E non ha mai abitato le stanze dipartimentali. Pagano è sembrato il contrappasso di Di Somma: un dirigente che ha trascorso tutta la carriera in carcere ed in periferia. Assunto nel 1979, ha passato i primi tre anni a fare il Vice Direttore in Sardegna, a Nuoro e all’Asinara. Nel 1983 ha assunto la direzione del carcere di Piacenza per poi passare a dirigere quello di Brescia, in Lombardia, regione nella quale finirà per trascorrere praticamente l’intera carriera penitenziaria. Nel 1989 è diventato il Direttore di Milano San Vittore, incarico che manterrà (poi insieme a quello di Direttore di Bollate) fino al 2004, allorquando è stato promosso Dirigente Generale per assumere l’incarico di Provveditore Regionale della Lombardia, sempre a Milano. E proprio da Milano è arrivato, nel 2012, quando ha messo piede al Dap per la prima volta, a cinquantotto anni, andando ad assumere l’incarico di Vice Capo Dipartimento (proprio al posto di Di Somma). A fianco del Magistrato Simonetta Matone e sotto la direzione di Giovanni Tamburino. Nel 2013, Pagano ha eguagliato la carriera di Di Somma ricevendo le funzioni vicarie. A maggio 2014, infine, Luigi Pagano – prima volta per un dirigente dell’amministrazione penitenziaria – si è accomodato sulla poltrona più

alta del Dipartimento assumendo le funzioni di Capo del Dap, su espresso mandato del Ministro Andrea Orlando.

In buona sostanza, Pagano, pur partendo da molto lontano, è riuscito ad arrivare laddove Di Somma non è riuscito mai e ha issato la bandiera dei dirigenti penitenziari sul pennone del palazzo di largo Daga. E’ così che alla fine, dalle highlands della Brianza, ne è rimasto soltanto uno... H

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Roberto Martinelli Capo Redattore Segretario Generale Aggiunto del Sappe martinelli@sappe.it

Nella foto sopra Alpino in trincea a destra Alpini durante l’Adunata annuale

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il commento

I fischi all’Inno Nazionale e il dovere della Memoria gni giorno di più mi convinco che sia stato un errore abolire il servizio di leva obbligatorio. Intendiamoci: tutti o quasi abbiamo avuto la consapevolezza che fosse un anno perso ma va detto che la naja (144 anni di servizio militare che misero le stellette a 24 milioni di italiani, fino a gennaio 2005) fu scuola di vita, fu palestra per uscire di casa per la prima volta comprendendo la parola dovere prima

visu una parola una non solo con coetanei e pari età ma talvolta neppure con i genitori! Ipertatuati, traforati da orecchini e piercing, dalla bocca di taluni di loro esce il peggio della trivialità. Sconoscono le regole elementari dell’educazione e del senso civico, e non perdono occasione per dimostrarlo: ad esempio, non lasciando il posto a sedere sui bus alle persone anziane o alle donne in gravidanza, gettando

il degrado morale che caratterizza il nostro Paese e la nostra società e quello materiale che avvilisce tante città italiane per capire quante “bestie” (gli animali mi perdonino…) ci circondano... Certo, esiste una parte sana del Paese. Esistono ancora tanti Italiani per i quali parole come disciplina, rispetto, onore, volontariato, etica privata e pubblica hanno un significato importante e profondo.

di diritto, fece conoscere e convivere schiere di giovani provenienti dalle zone più disparate d’Italia e dalle condizioni sociali più varie, aiutò generazioni di italiani a sentirsi popolo, garantisce ancora oggi che vi siano centinaia di migliaia di italiani perbene, di volontari nella Protezione Civile, nella conservazione della memoria, nei tanti servizi per il bene delle nostre comunità. Mi convinco sia stato un errore abolirlo quando vedo la maleducazione, la superficialità, la sguaiatezza di tanti ragazzi di oggi, che vivono nella dimensione virtuale di social network, internet e facebook ma spesso neppure scambiano de

carte e rompendo bottiglie di vetro per strada, imbrattando monumenti e aule scolastiche o taluni di quei pochi spazi pubblici che ancora vi sono nelle nostre città . Ma mi sono convinto ancor di più, che ci vorrebbe di nuovo il servizio militare, quando sento, come accaduto a Roma in occasione della tragica finale di Coppa Italia di calcio tra Napoli e Fiorentina, le migliaia di fischi all’Inno nazionale prima del calcio di inizio. Un gesto violento, sfrontato, incivile. Un gesto inaccettabile perché l’Inno di Mameli è prima di tutto testimonianza di una unità che si incarna nella nostra libertà e nella democrazia per le quali si sono sacrificate moltissime vite umane. Un gesto da vili, codardi e autentici ignoranti, dai quali siamo evidentemente contornati più di quel che pensiamo. Ma basterebbe vedere

Altro che i vergognosi fischi all’Inno nazionale: c’è ancora chi (e siamo tanti) tiene viva la memoria dei Caduti, di tutti i Caduti della storia del nostro turbolento Paese, come dovere morale e monito per le nuove generazioni e per l’affermazione degli ideali di pace. Seguendo questi principi, sono stato il promotore di quello che è, a tutt’oggi, l’unico esempio di una stele commemorativa dedicata ai Caduti del Corpo di Polizia Penitenziaria, in memoria dell’estremo sacrificio al servizio del Paese e per la difesa delle istituzioni (inaugurata al cimitero monumentale Staglieno di Genova il 5 aprile 2005). Non solo: a vent’anni dal tragico rogo nel carcere torinese “Lo Russo Cutugno” (ex Le Vallette) del 3 giugno 1989, in cui persero la vita le eroiche Vigilatrici penitenziarie Mariagrazia Casazza e Rosa Sisca, il Comune di Genova ha reso onore ad

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il commento

una delle due colleghe – la genovese Mariagrazia, Medaglia d’Oro al Valor Civile alla Memoria – accogliendo la mia proposta al Sindaco della città e intitolando alla Sua memoria i giardini di nuova realizzazione tra corso De Stefanis, via del Faggio e via del Mirto, adiacenti il carcere di Marassi. Prima di arruolarmi nel Corpo di Polizia Penitenziaria, ho fatto il militare nel Corpo degli Alpini. Ero Sergente e ho mantenuto salda

l’esperienza militare aderendo da subito all’Associazione Nazionale Alpini. Noi Alpini siamo gente strana. Con infiniti torti come ebbe a scrivere il grande Indro Montanelli: “Gli alpini hanno infiniti torti: parlano poco in un paese di parolai; ostentano ideali laddove ci si esalta a non averne; adorano il proprio Paese, pur vivendo fra gente che lo venderebbe per un pezzetto di paradiso altrui; non rinunciano alle tradizioni, pur sapendo che da noi il conservare è blasfemo; sono organizzati e compatti, ma provocatoriamente non si servono di questa forza; diffidano dei politici e si rifiutano di asservire ad essi la loro potente organizzazione.” E i nostri Raduni, i nostri incontri, le nostre Adunate sono autentiche feste di popolo in cui esaltare l’orgoglio nazionale, lo spirito di servizio, la solidarietà concreta, i valori umani e sociali, nel rispetto e nel ricordo della nostra storia e delle nostre tradizioni.

Pensiamo alla Grande Guerra. L’estate del 1914, cent’anni fa, segnò l’inizio della Prima guerra mondiale, il più grande conflitto mai visto, una carneficina che coinvolse quasi tutti i continenti, gran parte delle Nazioni e dei loro abitanti, cambiandone per sempre il destino. Tante e tali sono state le novità, le implicazioni, le conseguenze di quel conflitto conclusosi nell’autunno 1918 che solo ad un secolo di distanza il mondo sembra uscire dai solchi che produsse. Quando furono firmati gli armistizi tra i belligeranti, le vittime si contavano a decine di milioni (decine di milioni!), mentre i sopravvissuti dovettero adattarsi ad un mondo nuovo e fortemente instabile. Crimini e orrori in vasta scala, armi nuove e micidiali, indifferenza per le spaventose perdite militari e civili hanno accomunato quasi tutti i numerosi fronti aperti. L’Italia entrò in guerra nel 1915, il 24 maggio. Paese povero e impreparato, si trovò presto in trincea per difendere il proprio territorio. La disfatta di Caporetto nell’ottobre 1917 fu il momento più difficile, ma la resistenza sulla linea del Piave consentì la riscossa fino alla resa degli austriaci a Vittorio Veneto il 4 novembre. L’entusiasmo per la vittoria durò poco, tanti e tali erano stati i sacrifici imposti al Paese. E’ importante conoscere il passato, tanto più se è stato negato, distorto, sepolto. Perché è quando non si conosce la storia che questa rischia di ripetersi. Proprio per ricordare e non dimenticare, in occasione dell’87esima Adunata degli Alpini che si è svolta lo scorso maggio a Pordenone, l’Associazione L’Uomo Libero onlus ha presentato “Ta pum”, un progetto culturale, sociale e sportivo interessante. Importante.

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Un Cammino della memoria in occasione del centenario della Prima Guerra Mondiale da seguire e sostenere. “Ta pum” sarà infatti la prima spedizione alpinistica, sportiva e culturale che ripercorrerà, tappa dopo tappa, i luoghi che furono scenario della Grande Guerra. 1.700 km e quasi 90 tappe compiute in continuativa da due team, composti da civili e militari. Un’impresaprimato dal punto di vista alpinistico, sportivo e culturale. Il primo percorso seguirà la linea dei cinque fronti di guerra “dallo Stelvio al Mare”, come recitano gli atti militari ufficiali: Stelvio-Adamello-Giudicarie, linea degli Altipiani, Cadore, Carnia, Fronte Giulia. Un tragitto alpinistico di 1.084 km, suddiviso in 53 tappe, che

Ancora una immagine di Aplini al fronte

impegnerà un team sportivo a partire dal 24 agosto 2014, per un periodo di circa due mesi. In contemporanea, un altro gruppo partirà il 12 settembre e percorrerà con un trekking altri 676 km, suddiviso in 35 tappe, che considerano l’arretramento del fronte dopo Caporetto – da Asiago a Bassano, da Vittorio Veneto a Redipuglia – e toccano così i luoghi più significativi della memoria del conflitto. I due team si incontreranno simbolicamente a Redipuglia il 13 ottobre, per percorrere uniti la parte finale fino ad arrivare a Trieste il 17 ottobre. Un Cammino della memoria che dovrebbero percorrere in tanti. A cominciare dagli stolti che hanno fischiato l’Inno nazionale a Roma nella finale della Coppa Italia di calcio, un atto sciocco e sconsiderato che offende la memoria dei tanti che hanno immolato la vita per rendere l’Italia, la nostra Italia, un Paese libero. H

Nelle foto sopra la stele commemorativa ai Caduti presso il cimitero monumentale Staglieno di Genova a sinistra la lapide nei giardini dedicati a Mariagrazia Casazza

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Giovanni Battista Durante Redazione Politica Segretario Generale Aggiunto del Sappe durante@sappe.it

l’osservatorio

Varata la riforma della pubblica amministrazione l Governo, forte del successo del suo leader, Matteo Renzi, sta procedendo spedito verso le riforme annunciate, a cominciare da quella riguardante la pubblica amministrazione, varata con il decreto legge n. 90/2014, del 24 giugno scorso.

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Una riforma volta a favorire, in base a quanto si legge nei motivi che hanno determinano la necessità e urgenza di varare un decreto legge, una più razionale utilizzazione dei dipendenti pubblici, nonché interventi di semplificazione dell’organizzazione amministrativa dello Stato e degli Enti pubblici e ad introdurre ulteriori misure di semplificazione per l’accesso dei cittadini e delle imprese ai servizi della pubblica amministrazione. Negli ultimi quindici anni non c’è stato Governo che non abbia fatto una riforma della pubblica amministrazione, a partire dalle ormai famose “Riforme Bassanini.” Negli ultimi anni è stato un vero e proprio tiro al bersaglio sulla pubblica amministrazione, accusata di inefficienza da parte di tutti. Che nella pubblica amministrazione ci siano state e ci siano sacche di inefficienza

e di privilegi nessuno lo può negare, ma sicuramente in misura minore rispetto a quello che c’è stato nella politica italiana. Quindi, non ci può essere riforma adeguata e credibile, se prima non si fa una riforma seria e adeguata della politica, cominciando proprio dalla drastica riduzione dei parlamentari. La riforma non dovrebbe riguardare solo il Senato, ma anche la Camera dei Deputati, dove 630 deputati sono davvero troppi. Fa bene Renzi ad insistere sulla riforma del Senato, ma dovrebbe anche prevedere la riduzione dei deputati. Sarebbe stato opportuno fare una riforma più adeguata anche del finanziamento pubblico dei partiti. Non è posibile che se un privato finanzia un partito ottiene un rimborso, da parte dello Stato, del 55% della somma erogata, mentre se finanzia un’Ente o un’Associazione per la ricerca sul cancro o per la cura dei malati terminali ottiene un rimborso del 19% della somma versata. La politica dei tagli e della riduzione dei privilegi e dei benefici è sicuramente irrinunciabile, ma è assolutamente irrinunciabile far ripartire l’economia. Se non si creeranno posti di lavoro bisognerà continuare sempre a tagliare non solo i privilegi, ma anche i servizi dei cittadini, spesso frutto di anni di lotte e di conquiste sociali ormai irrinunciabili. C’è sicuramente un limite oltre il quale non si potrà andare, quindi, per evitare tutto questo, è necessario che l’economia riprenda a crescere. I dati di questi ultimi giorni ci dicono che la ripresa italiana è lenta, il PIL salirà solo dello 0,3 %, anche se alcune stime dicono che nel 2015 tornerà all’1,2 %. Certo, che il PIL salga,

anche se di poco, è comunque un segnale positivo, ma lo 0,3% è davvero poca cosa. La stime precedenti davano per il 2014 + 0,7%, adesso siamo al di sotto della metà. Le cause, secondo gli analisti, non sarebbero solo interne, poiché un ruolo importante lo hanno avuto sia la forza dell’euro, sia uno sviluppo del commercio internazionale inferiore alle aspettative. Anche l’andamento dello spread, rispetto a tre/quattro anni fa, è migliorato molto, essendo abbondantemente sceso al di sotto dei 200 punti. Nella prima decade di luglio era addirittura a 169 punti. Questo, però, non è assolutamente sufficiente. Lo stesso Renzi ha dichiarato la sua preoccupazione per l’economia che non decolla. La stagnazione dell’economia potrebbe diventare il suo vero tallone d’achille, il maggiore fallimento del suo Governo. In questo campo, purtroppo, le ricette sembrano essere sempre le stesse da tanti anni: soldi alle banche e alle grandi imprese e compressione dei salari e degli stipendi. La banche, però, pur ricevendo i soldi a tassi bassissimi il più delle volte pretendono tassi molto alti per concedere prestiti alle piccole e medie imprese, nonché ai singoli cittadini. Le grandi imprese ricevono spesso ingenti somme dallo Stato, per poi andare ad investire all’estero, licenziando molte volte i dipendenti italiani. La compressione dei salari e degli stipendi non aiuta certo l’economia, poiché meno risorse si hanno a disposizione e meno si spende. La politica del rigore sui salari e sugli stipendi non ha visto, almeno all’inizio, un adeguato taglio degli stipendi dei manager e dell’alta dirigenza, laddove è stato fatto, per esempio per i magistrati, è stato bocciato dalla Corte Costituzionale che ha dichiarato incostituzionale la norma. La stessa Corte, però, ha rigettato il ricorso presentato dalle Forze di Polizia. H


giustizia minorile

Finalmente anche negli Istituti Minorili arrivano i Funzionari della Polizia Penitenziaria a notizia che i Commissari del Corpo di Polizia Penitenziaria presto prenderanno servizio nelle sedi della Giustizia Minorile è ufficiale. La lettera n. 23762 del Dipartimento Giustizia Minorile emanata il 2 luglio a cura dell’Ufficio I – Amministrazione del personale di Polizia Penitenziaria – chiarisce definitivamente ogni dubbio. Nel documento è scritto che il Dipartimento Giustizia Minorile ha già chiesto da tempo al Dipartimento Amministrazione Penitenziaria che venga apportata una modifica alla Tabella A del D.M. 22 marzo 2013 sulle dotazioni organiche del Corpo di Polizia Penitenziaria con l’aggiunta di 32 unità del ruolo direttivo del Corpo di Polizia Penitenziaria alle 1.000 già previste per il Contingente Minorile. All’esito del perfezionamento dell’iter amministrativo della modifica richiesta, le predette 32 unità del ruolo direttivo, saranno impiegate poi dal Dipartimento Giustizia Minorile in qualità di Comandanti di Reparto nelle varie sedi minorili. Facendo due calcoli con i dati ricavati dal sito ufficiale giutiziaminorile.it la somma tra Istituti Penali Minorili e Centri Giustizia Minorile è pari a 31, ma da questo totale bisogna escludere temporaneamente L’Aquila e Lecce perché attualmente i due Istituti non ospitano detenuti. Quindi è probabile che i restanti 3 Funzionari del Corpo verranno impiegati presso le sedi centrali del Dipartimento Giustizia Minorile in Via Damiano Chiesa e dell’Istituto Centrale di Formazione del Personale della Giustizia Minorile in via Barellai. L’inserimento dei Commissari del Corpo di Polizia Penitenziaria nel Contingente Minorile è il naturale

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Ciro Borrelli Referente Sappe per la Formazione e Scuole Giustizia Minorile borrelli@sappe.it

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completamento dei ruoli del Corpo che fino ad oggi vede all’apice ancora quello degli Ispettori. Ad eccezione di pochi Ispettori Superiori, attualmente le funzioni di Comandante di Reparto nelle strutture minorili sono svolte per lo più da Ispettori vincitori di concorso o ancora da Ispettori provenienti dal ruolo dei Sovrintendenti che nell’ultimo riordino delle carriere si sono ritrovati a transitare nel ruolo degli Ispettori seguendo un breve corso interno organizzato presso le Scuole del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria. Ricordiamo che il ruolo direttivo ordinario del Corpo di Polizia Penitenziaria è stato istituito con decreto Legislativo 21 maggio 2000 n. 146 con carriera analoga a quella del personale di pari qualifica del corrispondente ruolo della Polizia di Stato. Contestualmente all’epoca nasceva il Dipartimento Giustizia Minorile con una pianta organica priva dei Commissari perché effettivamente non esisteva il ruolo direttivo del

Corpo di Polizia Penitenziaria. Alla luce degli ultimi documenti, possiamo affermare che probabilmente entro l’anno 2014 e dopo 14 anni dalla loro istituzione, i Commissari prenderanno finalmente posto come Comandanti di Reparto nelle strutture della Giustizia Minorile. H

Nella foto parata di Commissari e insegne di qualifica

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Lady Oscar rivista@sappe.it

sport

Una “bicicletta” e un “triciclo” negano a Johnny Pellielo l’ennesima medaglia Pechino, la gara di Trap Maschile dell’ultima Prova di Coppa del Mondo svoltasi il 34 luglio, si è chiusa con un bronzo per l’Italia: il terzo gradino del podio è stato conquistato da Daniele Resca, ventisettenne carabiniere di Pieve di Cento (BO). In realtà avremmo voluto raccontare dell’ennesima vittoria del nostro “Johnny” (Giovanni) Pellielo, ma, anche se è rimasto fuori dal podio, gli si può rimproverare bene poco: il quattro volte Campione del Mondo, bronzo a Sydney 2000 e argento ad Atene 2004 e Pechino 2008 ha condotto una gara eccezionale fino alla semifinale, facendo registrare un quasi perfetto 124/125 in qualificazione. Come lui solo il russo Alexey Alipov. Purtroppo per il campionissimo delle Fiamme Azzurre, una “bicicletta” (in gergo così si definiscono due zeri consecutivi) in apertura dei 15 piattelli decisivi, seguita poi da un “triciclo” (tre zeri consecutivi) in chiusura, hanno pregiudicato qualunque sua ambizione di medaglia: è finito al quinto posto con 10/15. Jiri Liptak ed Alexey Alipov sono arrivati primo e secondo con 15/15 e 14/15, Resca, a seguire, bronzo con 13/15. Il quinto posto non ha consentito al capitano delle Fiamme Azzurre di accedere alla finale del circuito iridato, ma, avendo partecipato a sole due prove di Coppa dall’inizio della stagione e avendone messi in cascina ben sette di vittorie nelle finali del trofeo iridato, si ha modo di credere che il nostro “Johnny” potrà avere rimpianti assai limitati anche se da fuoriclasse qual è non è abituato a perdere. Il commento più azzeccato sulla gara

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Nelle foto a destra Marco Panizza sotto Giulia Pintor

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di Pechino, nel luogo che è stato teatro delle penultime olimpiadi, lo ha espresso il Direttore Tecnico della specialità Albano Pera: «E’ stata una bella gara e tutta la squadra l’ha affrontata bene – ha chiosato - Un bronzo, due tiratori in semifinale ed uno rimasto fuori di un pelo. Quando c’è da mettere l’arte, ovvero nelle qualificazioni in cui si spara al Trap, ce la mettiamo. Poi quando la disciplina cambia, cioè nella semifinale e nei medal matches, tutto è appeso ad un filo e la fortuna la fa da padrona». «Sono molto contento per Daniele (Resca, ndr) - prosegue Pera - Si è comportato benissimo e, in particolare nel medal match con Kostelecky, ha dimostrato carattere. Su queste pedane il ceco ha vinto l’oro nel 2008. Sono passati sei anni, ma a giocarsi le medaglie ci sono stati i tre che qui hanno fatto il podio olimpico: lui, il russo Alipov e “Johnny”. Non è andata al meglio di come poteva andare, ma non possiamo assolutamente lamentarci. Il livello generale è cresciuto tantissimo, i punteggi lo dimostrano, ma noi siamo sempre lì. La squadra c’è e questo è quello che conta».

Per le Fiamme Azzurre, sempre dal tiro a volo, sono arrivate altre tre medaglie presso il Tav Cieli Aperti di Cologno al Serio il 6 e 7 luglio scorso, nella sfida tricolore che ha chiuso l’attività nazionale assegnando gli scudetti individuali. Marco Panizza ha vinto l’oro grazie ad un ottimo 198/200, un piattello davanti a Giovanni Natalini.

Sul podio - terzo posto- anche Gianluca Viganò che al termine dello shoot-off ha prevalso per il bronzo con 195/200. Giulia Pintor è giunta invece seconda nella classifica femminile, ad un solo punto dalla neo-campionessa Roberta Pelosi (191 contro 190). Terza la lombarda Bianca Revello, bronzo con 187. PECHINO (3/4 luglio) 6^ prova di Coppa del Mondo – fossa olimpica: (1) Jiri Liptak CZE, (2) Aleksey Alipov RUS, (3) Daniele Resca ITA, (4) David Kostelecky CZE, (5) GIOVANNI PELLIELO, (6) Kynan Chenai IND COLOGNO AL SERIO (6/7 luglio) Campionato Italiano “fossa universale” (calibro 12) – eccellenza M: (1) MARCO PANIZZA 198/200; (2) Giovanni Natalucci 197; (3) GIANLUCA VIGANO’ 195+5; (4) Gianluca Muoio 195+4, (5) Vittorio Taiola 195+3, (6) Renzo Baldinotti 195+1, (13) ADRIANO LAMERA 191, (17) SERGIO FATTORELLO 189, (18) ALBERTO BARTOLI 189; ladies: (1) Roberta Pelosi 191/200, (2) GIULIA PINTOR 190; (3) Bianca Revello 187. H


sport

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Otto consigli semiseri per tenersi in forma durante l’estate

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ari colleghi, se la sfida con la prova costume non pensate neppure di iniziarla perché consapevoli dei vostri mezzi, se però siete ormai in ferie o comunque in procinto di andarci e volete dedicare un po’ più di tempo a voi stessi e alla vostra forma fisica (al netto di quello che dovete alle richieste di vostra moglie o marito, delle esigenze della casa, della prole, dei doveri nei confronti dei suoceri o di vostra madre) allora eccovi otto consigli semi-seri per non perdere neppure un istante in cui mettervi in movimento sotto il sole, a casa o nei luoghi di villeggiatura, senza dover nell’immediato frequentare una palestra. 1) Camminate per almeno 30 minuti al giorno. Se siete ad attività fisica pari o uguale a zero, cominciate con 10 minuti al giorno e poi, man mano, aumentate la durata delle passeggiate. Se villeggiate al mare approfittate dell’acqua fino al polpaccio nella zona del bagnasciuga perché oltre a bruciare di più in quella parte di spiaggia, tra bagnini e bagnanti che prendono il sole, potete almeno rifarvi un po’gli occhi. 2) Fare le scale è una regola generale anche se siete in vacanza pertanto evitate l’ascensore dell’hotel. Salire e scendere tutte le volte che è necessario (pressappoco ogni qualvolta qualcuno della vostra famiglia si dimentica qualcosa e come sempre dovete tornare indietro voi) vi farà bruciare un discreto quantitativo di calorie.

non sapevate neppure di avere e poi la musica è un ottimo esercizio sia per il corpo che per la mente, perchè mette di buonumore e carica di energia. 6) Nuoto al mare, pedalò o 3) Giocate coi bambini: se avete bicicletta almeno per una dei bambini siete fortunati perchè mezz’oretta. A quel punto un giocare con loro è un vero e proprio gelato piccolo dopo aver finito esercizio; dalla palla al castello di potete pure concedervelo, ma sabbia, dalla bicicletta in montagna scordatevi la panna. alle corse tra gli ombrelloni al mare 7) Vacanza in campeggio: per riprenderli quando si allontanano se dovete scegliere la vostra senza dirvi nulla e vi siete già sgolati tipologia di vacanza in base abbastanza nel tentativo di richiamarli ai chili da perdere senza alla base. Tutto in fondo è utile per troppo sforzo, allora il ritrovare la forma migliore, cosa campeggio è quello che fa importa se si perde la pazienza!... per voi. Sapete quanta fatica si fa a montare la tenda controvento, a caricare il possibile per sopravvivere e a dormire per giorni senza comodità? 8) Azioni quotidiane: bisogna ricordarsi che, anche 4) Esercizi a terra: quando vi è se troppo spesso possibile, dedicate una mezz’ora ad sottovalutate, la maggior allungare i muscoli della schiena, delle parte di quelle che compiamo gambe, del collo e delle braccia. Però mantengono il fisico in forma il gelato che subito dopo vi vorreste senza accorgersene. La cassa concedere perché vi siete stancati d’acqua o le buste della troppo non ha motivo di esistere: con spesa sono carichi paragonabili a l’allungamento si migliora la quelli che si trovano nelle palestre funzionalità dei muscoli, non si sotto forma di manubri e pesi di vario bruciano certo calorie. genere. Ma anche recarsi all’ufficio 5) Ballate di sera e, se siete in uno postale a pagare le bollette, poi in di quei villaggi dove ogni mattina edicola, poi al supermarket, poi a fare l’animazione vi propone degli esercizi due passi al parco con il cane, e via in acqua con una simpatica ragazza dicendo è il minimo che si possa fare armata di fischietto che già dalle 8 per mantenere in forma il proprio vorrebbe buttarvi giù dal lettino corpo. Sempre che per tutti questi mentre voi avete ancora gli occhi spostamenti preferiate ovviamente chiusi dopo il terzo caffè, non fate i camminare al posto di usare la pigri, alzatevi e non adducete come macchina o i mezzi. scusa che avete fatto tardi in discoteca Il segreto di ogni attività fisica di la sera precedente: muoversi in acqua successo - al di là di quella praticata evita di è la costanza: basterebbero 30 minuti sovraccaricare al giorno per trarne benefici. le articolazioni, Basta solo superare lo scoglio permette di dell’inizio, ma per favore, prima di impegnare dei essere sufficientemente allenati, non distretti provateci a farlo in tuffo... H muscolari che Lady Oscar

Polizia Penitenziaria n.219 luglio/agosto 2014


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dalle segreterie Milano

rivista@sappe.it

Polizia Penitenziaria in protesta durante l’eurovertice dei Ministri dell’Interno e della Giustizia erano anche gli appartenenti alla Polizia Penitenziaria della Segreteria Regionale SAPPE della Lombardia, insieme a diverse centinaia di poliziotti, unità del Corpo Forestale dello Stato e dei Vigili del Fuoco, alla manifestazione di protesta che si è tenuta a Milano lo scorso 8 luglio.

C’

Polizia Penitenziaria n.219 luglio/agosto 2014

«La Consulta Sicurezza, la principale organizzazione di rappresentanza del Comparto Sicurezza per numero di iscritti, formata dai sindacati SAP (Sindacato Autonomo Polizia di Stato), SAPPE (Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria), SAPAF (Sindacato Autonomo Polizia Ambientale e Forestale) e CONAPO (Sindacato Autonomo Vigili del Fuoco), è oggi a fianco dei colleghi della Polizia di Stato nella protesta unitaria a Milano in occasione dell’eurovertice dei ministri dell’interno e della giustizia. Condividiamo le motivazioni dei sindacati della Polizia di Stato, molte delle quali sono comuni anche alla Polizia Penitenziaria, al Corpo Forestale ed ai Vigili del Fuoco, e per questo ci uniamo al malessere dei poliziotti», ha dichiarato Donato Capece, presidente della Consulta Sicurezza e Segretario Generale del Sappe, il più rappresentativo sindacato della Polizia Penitenziaria. «Basta tagli alla sicurezza che ormai è

al collasso - ha affermato ancora Capece – chiediamo al Governo di tagliare gli sprechi e non la sicurezza, occorrono vere riforme per evitare sperperi e duplicazioni e subito destinare risorse per lo sblocco del turn over e per riprendere le assunzioni perché l’età media degli operatori della sicurezza è ormai troppo elevata per i compiti da svolgere, e questo ha gravi ripercussioni sull’efficienza dei servizi di sicurezza e di soccorso pubblico». «A tutto questo si aggiungono – ha spiegato - i devastanti effetti sul personale dovuti al blocco del tetto retributivo, al mancato rinnovo dei contratti di lavoro e alle cosiddette promozioni bianche (quel meccanismo per effetto del quale il nostro personale, a seguito di promozioni, viene obbligato a responsabilità

Roma Laurea per Angelica Pennisi

I

l giorno 8 luglio 2014 presso l'Università degli Studi di Roma Tre, Angelica Pennisi, figlia del nostro Segretario Nazionale Francesco Pennisi, ha concluso il Corso di Laurea in Scienze dell'Educazione discutendo la Tesi : "Madre e bambino nel contesto carcerario : vivere tra emozioni e costrizioni" (Rel. Prof.ssa Barbara De Angelis). La brillante esposizione e la particolarità degli argomenti trattati hanno trovato notevole apprezzamento da parte della severa Commissione esaminatrice presieduta dal Prof. Francesco Mattei, che le ha conferito la votazione di 102/110.

maggiori senza però percepire la prevista maggiore retribuzione) oltre ad una specificità lavorativa riconosciuta solo sulla a parole dal governo, ovvero solo per i doveri». «I Poliziotti, i Penitenziari, i Forestali ed i Vigili del Fuoco da noi rappresentati sono stanchi e la misura è ormai colma. Ci auguriamo che il Governo presti la dovuta attenzione al nostro personale evitando di dover giungere, come già accaduto anche in altri Stati Europei, allo sciopero delle divise, affinché qualcuno prenda atto che questo grido di dolore che stiamo lanciando è l’ultimo appello per la sicurezza del Paese prima che si giunga al punto di non ritorno. L’8 luglio a Milano è stato l’inizio di un percorso di mobilitazione» ha concluso. H erremme Alla neo Dottoressa Angelica Pennisi, le congratulazioni della Segreteria Generale del Sappe e i migliori auguri per il proseguimento degli studi di pedagogia, che sicuramente la porteranno a raggiungere importanti traguardi. H


dalle segreterie

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Roma XV Consiglio Regionale Sappe del Lazio il 15 luglio 2014 quando il “XV Consiglio Regionale SAPPE del Lazio” non tarda ad arrivare. Una ricorrenza tanto attesa che decide di approdare presso la novella sede ANPPE, sita in Via Trionfale 139 a Roma. Calorosa la partecipazione. Nella Sala presenti i componenti della Segreteria Generale, i Segretari Provinciali ed i Segretari Locali della Regione Lazio. Gradita inoltre, la presenza di una Rappresentanza in uniforme dell’ANPPE e di altri ospiti invitati per l’evento in menzione. Ore 10.00 tutto ha inizio con il sottofondo musicale dell’Inno d’Italia, al termine del quale il Segretario Nazionale nonché Segretario Regionale Maurizio Somma, ringrazia con entusiasmo i presenti, proseguendo poi nell’esposizione di un personale intervento: dapprima di taglio specificamente tecnico inerente le percentuali degli iscritti SAPPE nelle diverse carceri laziali, per poi richiamare le problematiche affrontate in Regione. Il tutto supportato da materiale cartaceo e multimediale, con il quale si sono fotografate le diverse manifestazioni del SAPPE nella Regione Lazio che dal 1999 ad oggi, rappresentano veri e propri pezzi di storia di quanto affrontato. In questa ricorrenza non poteva certo mancare il Portavoce Ufficiale degli iscritti SAPPE, il Dott. Donato Capece! Ogni volta carico di mille attenzioni per gli Uomini e Donne in divisa, a tutela dei lori diritti, perché per nessun motivo tollera il mancato rispetto del Corpo della Polizia Penitenziaria! Come sempre prezioso quanto detto, anticipando ai presenti ciò che bolle in pentola e ne sono un esempio: una nuova riformulazione in tema di sanzioni disciplinari del Corpo della Polizia Penitenziaria per

rivista@sappe.it

È

cercare di frenare il continuo ricorso a rapporti per futili motivi; segue il costante impegno nel garantire quanto prima lo sblocco del pagamento degli assegni di funzione, degli avanzamenti di qualifica; ribadita inoltre la necessità di procedere in un’attenta valutazione del FESI affinché possa essere sempre più uno strumento di soddisfazione per chi lavora con costante impegno; prossimo poi il rinnovo del contratto di lavoro fermo ormai da diversi anni; confermata anche la volontà del SAPPE nel sostenere l’assunzione degli idonei non vincitori. Attraverso le parole pronunciate, ben si comprende come il SAPPE non è un estraneo a chi indossa una divisa. Anzi tutt’altro! E’ infatti per quel collega che si ritrova a lavorare nella sezione detentiva, in una corsia di un ospedale, in servizio di scorta per una visita ambulatoriale programmata od immediata di un detenuto, in sorveglianza a vista davanti ad una cella, ovvero intento nel cercare di placare un detenuto in piena escandescenza perché psicolabile, in udienza presso i Tribunali, nel servizio di traduzione dei detenuti quasi sempre con personale sotto scorta e con mezzi dell’Amministrazione Penitenziaria non pienamente efficienti eppoi è anche per quel collega che non riesce a spiegarsi il perché un giorno un proprio compagno di ronda decide di togliersi la vita e si potrebbe continuare ad oltranza, in una lista a dir poco interminabile. Le difficoltà esistono, ma il SAPPE, ogni giorno sceglie di impegnarsi per

risolvere quanto accade con perseveranza. Ed a tal proposito il Dott. Donato Capece, riporta una locuzione latina che recita gutta cavat lapidem, la quale tradotta, significa

letteralmente: la goccia perfora la pietra. Ove, ben si comprende come, con una ferrea volontà ed un lavoro continuo, tutto si può raggiungere, riuscendo a conseguire così, obiettivi altrimenti irrealizzabili. H Rita Argento

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dalle segreterie

di cercare di vincerlo prima possibile. Pressello per riuscirci non si è fatto pregare troppo: intorno al secondo minuto, con uno Yuko Tome Nage, ha ottenuto un ippon che non ha lasciato scampo alle speranze del beniamino locale. Seconda sfida, altrettanto impegnativa, contro il campione del mondo tedesco Marcus Uztat. Sebbene Pressello abbia condotto bene l'incontro, per

aver toccato i pantaloni del tedesco ha subito una severissima squalifica da parte di arbitri inflessibili sull'episodio. Nei ripescaggi per il bronzo, complice forse anche la rabbia per la squalifica, infilava con due ippon prima il francese Marghem David, poi lo spagnolo Perez Ruiz Miguel Cesar. Nella finalissima per il bronzo, contro l'ostico judoka d'oltralpe Veraud Anthony, al termine del Golden Score (tempi supplementari), si è aggiudicato la meritatissima medaglia di bronzo, l'ennesima di una carriera da veterano fin qui scintillante. Preso in prestito dalla squadra tedesca per la competizione a squadre, Pressello ha dato un grande apporto al terzo posto finale conquistato. Con 3 a 2 contro la Francia, 5 a 0 contro la Svizzera e 3 a 2 contro l'Azerbaijan, per il veterano della Polizia Penitenziaria è arrivata anche la seconda medaglia di bronzo. H Lady Oscar

campionato invernale al Sighello) con il punteggio di 8-6, con i tris da una parte e dall'altra di Carta per i vincitori e del Comandante Andrea Santini per la Guardia Costiera. Contribuiscono al successo anche Bozzini, Corsi e Amatiello. Per la Guardia Costiera in gol anche Paolino Criscuolo, Bianco e Scaffidi. Terzo posto per la squadra mista Finanza/Polizia di Stato che ha avuto

la meglio sui Vigili del Fuoco per 7-6. La Polisportiva Elba 97, organizzatrice del Torneo, congratulandosi con la Polizia Penitenziaria, vincitrice del 4° Torneo Interforze, ringrazia tutte le Forze dell'Ordine per la splendida riuscita del Torneo e per il comportamento e la sportività dimostrati nell'arco dell’intero Torneo e da’ appuntamento all'anno prossimo per la 5ª edizione. H

Roma Pressello di bronzo agli Europei Judo di Praga rivista@sappe.it

ncora un successo internazionale per l'Assistente Capo Stefano Pressello, ai campionati europei veterani di Judo. A Praga il 30 giugno, oltre all'Italia da lui rappresentata c'erano ben 35 nazioni. Tra gli incontri per l'individuale nei 90kg e la gara a squadre, Stefano ha dovuto affrontare ben otto avversari. Il primo, il cecoslovacco Bolf Bretislav, non è stato affatto semplice da superare. Un po' perché atleta di casa, un po' perché l'arbitro dopo soli 30" ha assegnato a suo favore una penalità alquanto dubbia, ha fatto comprendere subito che la priorità, per continuare nel torneo, era quella

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Isola d’Elba Calcio a 5: la Polizia Penitenziaria vince il torneo Interforze i è concluso il 3 luglio al “Monica Cecchini” il 4° Torneo lnterforze Elbano 2014 intitolato a "Marcello Rossi”.

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Lo vince la squadra della Polizia

Polizia Penitenziaria Penitenziaria che batte la Guardia n.219 Costiera, superata di nuovo luglio/agosto in finale (come avvenuto nel 2014


dalle segreterie

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Padova III torneo di calciotto er il terzo anno consecutivo, il Personale di Polizia Penitenziaria della Casa di Reclusione di Padova, riesce a ripetere il successo di un evento sportivo che per la sua organizzazione, coinvolgimento e partecipazione si è in pratica trasformato in una vera e propria festa dell’amicizia, che ha visto la partecipazione anche del Personale della vicina Casa Circondariale. Il 6 giugno, presso la Casa di Reclusione di Padova, si è tenuta la finale di “calciotto”. Un evento sportivo, questo, che per il terzo anno consecutivo riesce a ripetere un successo tale da essere, dai più, considerata la vera Festa del

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Lutto l 18 luglio dopo un’agonia di alcuni giorni è morta presso il policlinico di Bari la collega Valeria Lepore di ventisette anni. Valeria prestava servizio presso l’Istituto di Milano San Vittore da circa quattro anni ed era giunta in

I

Corpo di Polizia Penitenziaria di Padova. Infatti, il 6 giugno, non solo si è festeggiata le squadra di calciotto vincitrice del torneo, ma nella cerimonia di premiazione delle squadre che sono salite sul podio, non è mancato l’aspetto memoriale a preservazione di valori e tradizioni fondamentali per un “Gruppo di Colleghi” che lavorano in un contesto di notevole disagio psicofisico.

Si sono voluti ricordare tutti i Colleghi prematuramente deceduti, quale concezione di ideali e valori eterni nella memoria dei vivi. H

Puglia per le vacanze estive. Durante questo periodo si è sentita male, sembrerebbe a causa di un calcolo renale ed è stata ricoverata presso l’ospedale di Taranto. Lì le condizioni della collega si sono aggravate tanto da essere trasportata presso il Policlinico di Bari. In questo periodo la collega è sempre stata in coma e poi è

deceduta. La morte lascia in tutti noi sempre un profondo vuoto e sconforto, soprattutto quando si tratta di giovani pieni di vita, progetti, sogni. Alla famiglia il nostro più profondo e sincero cordoglio per un dolore così immane e tragico. H Federico Pilagatti

Fermo La Polizia Penitenziaria in visita presso il reparto di Pediatria dell’Ospedale Civile marchigiano

iceviamo e volentieri pubblichiamo queste foto scattate in occasione della Festa di San Basilide, Patrono del Corpo, che ritraggono i nostri colleghi nel reparto di Pediatria dell’Ospedale di Fermo, dove hanno consegnato dei doni ai piccoli ricoverati. H

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cinema dietro le sbarre

Regia: Jason Reitman

Un giorno come tanti a cura di Giovanni Battista de Blasis deblasis@sappe.it

Nelle foto la locandina e alcune scene del film

n giorno come tanti (il titolo originale è Labor Day come il romanzo di Joyce Maynard da cui è tratto) è un film che non è stato mai distribuito nelle sale italiane e arriva da noi solo adesso attraverso la tv e l’home video. Un giorno come tanti è narrato dal protagonista Henry (adulto) che ricorda la sua infanzia e in particolare alcuni giorni del 1987. Henry era un solitario ragazzino di tredici anni che viveva in una cittadina del New Hampshire con la madre Adele, divorziata, depressa e impaurita da tutto. Una madre che non usciva mai di casa se non un giorno a settimana per andare a fare la spesa con suo figlio. Ed è proprio al supermercato, il giorno del Labor Day, che Henry si imbatte in un sconosciuto tutto sporco di sangue che gli chiede aiuto. Il ragazzino lo porta immediatamente dalla madre che accetta senza fare domande la sua richiesta di portarlo a casa con loro.

la scheda del film Titolo originale: Labor Day Soggetto: Joyce Maynard Sceneggiatura: Jason Reitman Fotografia: Eric Steelberg Montaggio: Dana E. Glauberman Costumi: Danny Glicker Musiche: Rolfe Kent Scenografia: Steve Saklad

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Produzione: Jason Reitman, Helen Estabrook, Lianne Halfon, Indian Paintbrush, Mr. Mudd, Russell Smith per Right of Way Films Distribuzione: Universal Pictures International Italy

le maniere dell’evaso e il fatto che lui si offra per i lavori domestici. La donna sembra rinascere e lo stesso Henry si affeziona all’uomo che gli insegna a fare il suo primo vero lancio di baseball come se fosse il vero padre. Così, in breve tempo, i due da ostaggi diventano complici. Il film di Reitman non è un vero e proprio prison movie, perché non è affatto ambientato in carcere ma lo

Personaggi ed Interpreti: Adele: Kate Winslet Frank: Josh Brolin Henry Wheeler: Tobey Maguire Henry (16 anni): Dylan Minnette Mandy: Maika Monroe Evelyn: Brooke Smith Henry Wheeler: Gattlin Griffith Rachel McCann: Elena Kampouris Frank (giovane): Tom Lipinski Marjorie: Alexie Gilmore Manager della banca: Matthew Rauch Eleanor: Brighid Fleming Richard: Lucas Hedges Prisoner: Alex Ziwak Paramedico: James Chen Genere: Drammatico Durata: 111 minuti Origine: USA, 2013

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Appena a casa l’uomo rivela di essere un evaso, fuggito dalla prigione nella quale stava scontando una condanna. Nonostante questo e nonostante nei dintorni si scateni una gigantesca caccia all’uomo, Adele lo accoglie in casa sua dimostrando di apprezzare

evoca soltanto attraverso i racconti dell’evaso. Un giorno come tanti è una storia di formazione, visto che il protagonista narrante è il ragazzino che subisce positivamente gli effetti del rapporto con l’evaso, fino a quando rivelerà

come sono andate veramente le cose. Dopo un inizio carico di tensione, accompagnato da un’angosciante colonna sonora, il film evolve mano a mano che il rapporto tra i protagonisti cambia. Sebbene in un’atmosfera soffocante ed in una situazione forzata e pericolosa, con la tragedia sempre incombente, nel film si respira aria di nuove speranze, di possibilità di cambiare vita per tutti e tre i protagonisti: l’evaso e la donna da una parte, il figlio dall’altra, quando scoprirà un padre nuovo e migliore di quello vero. H


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Marianna Argenio Commissario Polizia Penitenziaria rivista@sappe.it

mondo penitenziario

Trasferimento di sede per mandato politico: l’incerta funzione del principio del bilanciamento di interessi ome avvertiva Edoardo De Filippo, nella vita “gli esami non finiscono mai”, così ho avuto modo di constatare imbattendomi nella difesa di un collega della C.C. di Ferrara al quale la Direzione Generale del Personale e della Formazione ha manifestato il proprio parere negativo in ordine alla richiesta di trasferimento sede per l’espletamento del mandato amministrativo ex art. 78, comma 6, del D. Lgs. 18 agosto n. 267.

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Il fatto e il diritto. Il richiedente è Agente di Polizia Penitenziaria, ha chiesto di essere distaccato al fine di poter espletare il mandato amministrativo presso il Comune del luogo in cui è stato eletto consigliere comunale. La Direzione Generale del Personale e della Formazione gli ha comunicato i motivi ostativi all’accoglimento della domanda, ai sensi dell’art. 10 bis della L. n. 241 del 1990. Le argomentazioni dell’Amministrazione negatrice riguardano l’interpretazione dell’art. 78, comma 6, del D.Lgs. n. 267 del 2000 nella parte in cui afferma: “Gli amministratori lavoratori dipendenti, pubblici e privati, non possono essere soggetti, se non per consenso espresso, a trasferimenti durante l’esercizio del mandato. La richiesta dei predetti lavoratori di avvicinamento al luogo in cui viene svolto il mandato amministrativo deve essere esaminata dal datore di lavoro con criteri di priorità”. L’Amministrazione ritiene che il dipendente non avrebbe un diritto soggettivo al trasferimento, che le esigenze di servizio sarebbero comunque prevalenti e, soprattutto, che l’obbligo di esaminare la domanda di avvicinamento “con

criteri di priorità” varrebbe solo ed esclusivamente nell’ambito delle ordinarie procedure di trasferimento del personale. In particolare, afferma l’Amministrazione che il datore di lavoro “deve prendere in esame l’istanza solo se ed in quanto, nell’esercizio dei suoi poteri di determinazione organizzativa, abbia deciso di aprire una procedura per trasferimento interno e che, solo in tal caso, nel momento in cui più persone, aspirino ad una medesima sede di lavoro, nell’individuare il lavoratore da trasferire debba essere accordata preferenza al dipendente che nel richiedere il trasferimento ad altra sede di lavoro abbia motivato la propria richiesta con il fatto di volersi avvicinare al luogo ove esercita il suo munus pubblico”. Sennonché, una tale interpretazione è stata disattesa dal Consiglio di Stato, IV Sezione, che - con la sentenza n. 705 del 14 febbraio 2012 - ha invece osservato, abbracciando l’opposto e diffuso indirizzo giurisprudenziale: “la norma di cui all’art. 78, comma 6, va intesa nel senso che questo tipo di trasferimento (temporaneo, in quanto legato al mandato amministrativo) va mantenuto al di fuori della normale programmazione attinente alla movimentazione ordinaria, anche per non penalizzare le aspettative di chi è inserito magari da lungo tempo nelle relative graduatorie, e deve essere istruito a parte, come del resto tutte le domande di trasferimento presentate per avvalersi di specifici benefici previsti dalla legge”. I giudici di Palazzo Spada, dunque, non condividono l’orientamento giurisprudenziale richiamato dall’Amministrazione penitenziaria, e posto a fondamento del diniego, in base al quale: la “priorità” di cui all’art. 78, comma 6, del D.P.R. n.

267 del 2000, consisterebbe unicamente nell’obbligo di assicurare al dipendente in questione una sorta di “corsia preferenziale” in occasione delle ordinarie procedure di trasferimento e mobilità, esaminandone la posizione prima di quelle di altri dipendenti pure collocati anteriormente in graduatoria, ma tutto ciò a condizione che procedure di trasferimento siano effettivamente indette (in difetto di ciò, non potendo comunque trovare applicazione la disposizione in commento). Risulta, di conseguenza, evidente la violazione e falsa applicazione dell’art. 78, comma 6, del D.Lgs. n. 267 del 2000, in cui incorre l’Amministrazione nel respingere l’istanza del richiedente, proprio in forza della avversata interpretazione. Ancora più di recente la giurisprudenza di merito richiamando la precedente pronuncia del Consiglio di Stato afferma: La norma di cui all’art. 78 comma sesto del T.U.E.L. è da porre in relazione con i principi di cui all’art. 51 Cost.; Essa, laddove impone all’Amministrazione di valutare “con priorità” l’istanza di avvicinamento temporaneo proposta dal dipendente pubblico - il quale faccia valere il proprio interesse ad un più agevole esercizio del mandato elettivo - va intesa nel senso che questo tipo di trasferimento (temporaneo, in quanto legato all’incarico politicoamministrativo) debba essere mantenuto al di fuori della normale programmazione attinente alla movimentazione ordinaria - anche per non penalizzare le aspettative di chi sia inserito da lungo tempo nelle relative graduatorie - e debba essere istruito a parte, come del resto tutte le domande di trasferimento presentate


mondo penitenziario per avvalersi di specifici benefici previsti dalla legge. (T.A.R. Molise Campobasso Sez. I, Sent., 02-012014, n. 16; T.A.R. Molise Campobasso Sez. I, Sent., 28-062013, n. 453). Senza arrivare necessariamente ad affermare che quanto disposto in seno al comma 6 dell’articolo 78 debba significare unicamente che, in occasione dell’apertura di una procedura ordinaria di trasferimento, l’amministrazione, nell’esaminare le relative domande, deve accordare preferenza, coeteris paribus, al dipendente che abbia motivato la propria richiesta di trasferimento con la volontà di avvicinamento al luogo dove esercita il proprio mandato consentendo, pertanto, al lavoratore investito del mandato amministrativo di poter godere di un titolo preferenziale (potendosi eventualmente ritenere che in tal caso la tutela di cui godrebbe il dipendente e la sua attività lavorativa per l’esercizio del mandato politico risulterebbero, di fatto, derogate in palese contraddittorietà con lo spirito della norma che si ispira direttamente all’articolo 51, comma 3, della Costituzione) - comunque è necessario che sia effettuato il contemperamento tra gli interessi contrapposti coinvolti nella vicenda. (T.A.R. Lazio n. 07727 del 2010). Dunque, la norma di cui all’art. 78 comma sesto del T.U.E.L. è da porre in relazione con il disposto dell’art. 51 Cost. La disposizione costituzionale assicura al cittadino chiamato a svolgere funzioni pubbliche elettive il diritto di disporre del tempo necessario al loro adempimento e di conservare il suo posto di lavoro; in tal modo, la Costituzione dà risposta all’esigenza di garantire ai lavoratori il diritto di elettorato passivo (cioè la capacità di essere eletto) in modo da consentire loro un’effettiva partecipazione alla vita politica. Il combinato disposto delle due norme (ordinaria e costituzionale) fa sorgere un interesse tutelato a ottenere un esame approfondito e sereno dell’istanza, che tenga conto delle

esigenze organizzative dell’Amministrazione e della compatibilità dell’istanza con esse. L’ Amministrazione pertanto potrà denegare il beneficio richiesto solo sulla scorta di una congrua e ben evidenziata ragione di interesse pubblico motivatamente prevalente su quello, altrettanto pubblico, al trasferimento del dipendente per l’espletamento del mandato amministrativo/politico. Ebbene, nell’enucleazione delle ragioni ostative l’Amministrazione non può limitarsi, come invece spesso accade, a ritenere in re ipsa la prevalenza delle esigenze economiche ed organizzative del datore di lavoro per quanto attiene ai rapporti del pubblico impiego!!! Oppure ad affermare che il diritto dell’eletto può essere soddisfatto anche con le modalità alternative di espletamento del mandato politico, assolutamente estranee al bilanciamento degli interessi pubblici in gioco e che, comunque, la legge avrebbe rimesso in via esclusiva alla scelta effettuata dal soggetto titolare del mandato (Cfr., in tal senso, Consiglio di Stato, sez. IV, 02/07/2012, n. 3865). Altrimenti, oltre a porre in essere un comportamento in palese violazione con l’art. 51 della Costituzione, l’Amministrazione incorrerebbe nella inosservanza dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990, limitandosi, con motivazione tautologica e gravemente carente, ad allegare la prevalenza di esigenze organizzative, presso la sede di servizio, che non sono in alcun modo comprovate. Il diniego, infatti, spesso non appare assistito da alcuno specifico e puntuale richiamo ad esigenze logistiche e organizzative dell’Amministrazione (posti vacanti o coperti nella sede di servizio, eventuali scoperture nelle sedi vicine al Comune di auspicata destinazione etc.). Orbene, l’analisi condotta ha voluto offrire uno spunto di riflessione e di interrogazione sui presupposti necessari al riconoscimento del trasferimento di sede per mandato politico e l’individuazione dei limiti oggettivi che l’Amministrazione

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incontra nel procedere al bilanciamento e alla ponderazione dei contrapposti interessi. Alcuni punti fermi, però, ci pare possano considerarsi raggiunti: la norma di cui all’art. 78, comma 6, va intesa nel senso che il trasferimento legato al mandato amministrativo va mantenuto al di fuori della normale programmazione attinente la movimentazione ordinaria, anche per non penalizzare le aspettative di chi è inserito magari da lungo tempo nelle relative graduatorie, e deve essere istruito a parte, come del resto tutte le domande di trasferimento presentate per avvalersi di specifici benefici previsti dalla legge

l’ Amministrazione può denegare il beneficio richiesto solo sulla scorta di una congrua e ben evidenziata ragione di interesse pubblico motivatamente prevalente su quello, altrettanto pubblico, al trasferimento del dipendente per l’espletamento del mandato amministrativo/politico. Più in generale non può disconoscersi l’esigenza di mantenere un costante collegamento col territorio per chiunque, come i consiglieri comunali, sia investito di un mandato elettivo. Il diniego necessita di una congrua ed adeguata motivazione. Credere senza aver visto è tanto nobile quanto romantico. Ma non vale per le cose di questo mondo e non può valere, aggiungiamo noi, per il riconoscimento di un diritto costituzionalmente garantito. H

Nella foto urna elettorale

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Pasquale Salemme Segretario Nazionale del Sappe salemme@sappe.it

crimini e criminali

a personalità del giovane che intraprende una carriera criminale non può essere spiegata come una realtà statica quanto, piuttosto, come una struttura che si trasforma continuamente, sotto la duplice spinta dello sviluppo individuale e delle influenze ambientali. Gli aspetti dinamici ed evolutivi della personalità del giovane delinquente possono essere descritti attraverso il concetto di “identità personale”, mettendo in evidenza come l’adolescenza, sia il periodo in cui le crisi e i dubbi relativi all’identità sono maggiormente accentuati.

L

orientano quale strada intraprendere. L’individuo media e dà vita all’intero processo del divenire devianti, anche e soprattutto quando si trova a confrontarsi con i pregiudizi, gli stereotipi e le diverse forme di attribuzione di identità o di categorizzazione. Come ben espresso da David Matza, (Come si diventa devianti) “il processo del divenire devianti ha poco senso, umanamente, se non si comprende l’attività filosofica interiore del soggetto man mano che questi attribuisce significato agli eventi e alle cose che lo circondano”.

a Roma vivendo in una roulotte e collaborando nella gestione delle giostre. Inizia da subito a frequentare la criminalità giovanile del quartiere Tiburtino, tanto da essere soprannominato, per via delle sue origini, Johnny lo Zingaro. Il 13 gennaio del 1973, in viale Palmiro Togliatti a Roma, ruba un’autovettura e pochi giorni dopo viene arrestato. La notte del 30 dicembre del 1975, in via del Portonaccio, insieme al coetaneo Mauro Giorgio, cerca di rapinare un tranviere dell’ATAC di 39 anni, Vittorio Bigi, che nel tentativo di sottrarsi alla rapina fugge, ma è raggiunto alle spalle da due colpi di pistola sparati da Johnny. Bottino della rapina: diecimila lire e un orologio. I due occultano il cadavere che verrà rinvenuto una settimana più tardi in un prato in zona Tiburtina.

Emerge dunque come l’acquisizione da parte dell’adolescente di un’identità personale dipenda fortemente dalla struttura sociale e dall’ambiente nel quale egli vive (Bandini-Gatti, Delinquenza giovanile. Analisi di un processo di stigmatizzazione e di esclusione, Milano, 1987,Giuffrè, 1987). L’appartenenza ad una certa classe sociale e ad un certo gruppo, la posizione occupata all’interno di un sistema di opportunità sociali, l’origine etnica, etc.; condizionano in modo pregnante la formazione e l’acquisizione dell’identità da parte del giovane. Inoltre, il confronto con i pregiudizi e gli stigmi, caratterizzano attivamente le proprie azioni e

Ci sono persone il cui percorso di vita entra in un certo momento, in un labirinto pauroso dal quale non si esce più. Questa è la storia di un ragazzo che in una notte del marzo del 1987 tenne per 24 ore in scacco le forze dell’ordine e la città eterna in una fuga disseminata di rapine, sequestri e omicidi. Giuseppe Mastini, nasce nel 1960 a Ponte San Pietro, in provincia di Bergamo, da una famiglia di giostrai lombardi di etnia Sinti (una delle etnie della popolazione romaní, altrimenti chiamati zingari, termine che oggi ha assunto una sfumatura dispregiativa). All’età di 10 anni il giovane si trasferisce, con la famiglia,

Il 15 gennaio 1976 vengono emessi due ordini di cattura a carico di Johnny e del suo complice. Le accuse, sono di omicidio volontario, rapina aggravata e porto abusivo di pistola: Johnny ha solo 15 anni. Arrestato il giorno dopo, viene rinchiuso nell’Istituto minorile di Casal del Marmo e dopo due settimane, il 2 febbraio 1976, con quattro ragazzini detenuti, evade. Il giorno dopo, però, si costituisce. Gli educatori dell’Istituto dell’epoca lo ricordano come un soggetto socialmente difficile da gestire, totalmente privo di interessi, aggressivo ed estremamente avvezzo al dialogo con coetanei ed adulti. Problemi adolescenziali trasgressivi

Johnny lo Zingaro: una fuga senza fine

Nella foto a sinistra Giuseppe Masini detto Johnny lo Zingaro al centro la sua compagna Zaira Pochetti a destra Silvia Leonardi

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crimini e criminali che si presentano frequentemente correlati ad un comportamento antisociale associato a disturbi della condotta. La caratteristica principale di tale disturbo, secondo la catalogazione che ne fa il manuale diagnostico e statistico di classificazione dei disturbi mentali (Dsm - IV), è la presenza di un comportamento ripetitivo e persistente, associato ad una costante violazione dei diritti degli altri o delle norme sociali appropriate per l’età adulta. Tali comportamenti si manifestano in molteplici e differenti contesti (a casa, a scuola, in comunità) dove le regole vengono puntualmente infrante. I comportamenti specifici possono essere rappresentati da una condotta aggressiva che provoca minaccia e danni fisici ad altre persone o ad animali; una condotta non aggressiva che determina perdita o danneggiamento della proprietà, frode, furto e gravi violazioni di regole. Gli individui con disturbo della condotta possono presentare scarsa empatia e attenzione per i sentimenti, i desideri e i bisogni altrui; spesso travisano le intenzioni degli altri, interpretandole come più ostili di quanto effettivamente non siano, reagendo, di conseguenza, con un’aggressività ritenuta ragionevole e giustificata. Bassa tolleranza alle frustrazioni, irritabilità, esplosioni di rabbia sono caratteristiche che si presentano con un’alta frequenza all’interno di tale disturbo. Esso è spesso associato ad un inizio precoce dell’attività sessuale, del bere, del fumare, dell’uso di sostanze illecite e a comportamenti rischiosi; può essere associato, inoltre, a scarsa intelligenza (con un livello sotto la media) e ad apprendimento scolastico inferiore rispetto al livello previsto in base all’età e all’intelligenza. I comportamenti meno gravi si manifestano precocemente, ad esempio attraverso piccoli furti, menzogne, etc., mentre quelli più fortemente delinquenziali tendono a comparire in seguito. (Maggiolini A. Adolescenti delinquenti. L’intervento

psicologico nei servizi della giustizia minorile 2002). Qualche giorno dopo il ragazzo viene trasferito nel carcere minorile de L’Aquila, ma il 24 settembre 1977 evade di nuovo, seppur la sua latitanza duri pochi giorni. Per l’omicidio dell’autista dell’Atac di Roma, lo Zingaro, viene condannato a 11 anni di carcere. Divenuto oramai maggiorenne, Johnny, viene trasferito nel carcere di Badu ‘e Carros in Sardegna. Nel 1981, fugge per l’ennesima volta ma, questa volta, senza fare ritorno. Viene riacciuffato a Roma dopo una spettacolare fuga in macchina sull’autostrada e rinchiuso nel carcere di Rebibbia, dove tenta ancora una volta di fuggire. Dopo un trasferimento a Volterra, l’atteggiamento del giovane malvivente cambia radicalmente, tanto che nel maggio 1986 torna a

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all’interno della villa dell’architetto Paolo Duranti, il quale si trova a letto con la moglie. Spara ad entrambi, forse perché non riusciva a trovare i preziosi o quant’altro potesse essere di valore. L’uomo muore, mentre la donna, seppur in gravi condizioni, sopravvive e sarà decisiva per l’individuazione e la cattura dell’assassino. Nel frattempo Mastini conosce Zaira Pochetti, 20 anni, di umilissima famiglia, figlia di un pescatore di Passo Oscuro, studentessa presso la facoltà di scienze politiche dell’Università La Sapienza. Il 25 marzo del 1987, in Piazzale Winckelman, verso l’1,10 circa, una coppia di fidanzati è all’interno di una Lancia Gamma, Lo zingaro punta la pistola contro l’uomo al lato guida intimandogli di scendere e consegnargli la macchina, mentre la donna, Silvia Leonardi, non riuscendo Nella foto Johnny durante un sopralluogo sulla scena del crimine

Rebibbia accompagnato da un rapporto redatto sulla sua condotta carceraria dalle diverse figure professionali che lo avevano seguito nel suo percorso trattamentale, che parlarono di «revisione critica», di «avvicinamento a tematiche religiose» e caldeggiano la concessione di una «prova di fiducia». Prova che il giudice di sorveglianza concederà con una licenza premio di 8 giorni per buona condotta. Il Mastini non farà più ritorno in carcere e si darà alla latitanza mettendo a segno una molteplice serie di rapine. L’8 marzo del 1987, intorno alle 23,00, in località Sacrofano in via di Montecaminetto, si introduce

a scendere dall’auto per lo spavento, viene sequestrata. Subito scatta l’allarme e poco dopo, intorno alle 2.00, l’autovettura è intercettata in via M. Valerio Corvo, da parte di una pattuglia del Commissariato Tuscolana. I due agenti a bordo di un’autovettura civetta si avvicinano all’auto rubata ferma e si posizionano dietro di essa; Johnny scende dall’auto, si avvicina all’autovettura degli agenti e a bruciapelo inizia a sparare. L’agente, Michele Giraldi, raggiunto in volto dai proiettili dalla 357 Magnum di Johnny muore, l’altro poliziotto è ferito. Alle 5,00 del mattino sulla Salaria la ragazza viene lasciata andare: «vattene. Nasconditi tutto il giorno nel bosco. Se esci

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cordoglio

22 prima, noi torniamo e ti ammazziamo. Ricordati tu hai passato la notte con il numero uno». Accerchiato in un casolare nelle campagne di Montorotondo, dopo giorni di inseguimenti e sparatorie, circondato da 400 agenti, cani, elicotteri, e persino da carabinieri a cavallo, lo Zingaro si arrende: aveva sempre detto che sarebbe morto piuttosto che finire nuovamente in prigione. Al processo, innanzi alla Corte d’Assise di Roma, gli sono contestati ben 54 capi d’accusa, con una condanna all’ergastolo. La sua compagna Zaira Pochetti, dopo l’arresto è travolta dai rimorsi ed in carcere si lascia morire il 17 dicembre del 1988 di anoressia. Johnny, dal 1987 è in carcere, in regime di media sicurezza e non ha più beneficiato di permessi o licenze. Le sue reazioni violente che hanno contraddistinto la sua vita sono continuate anche in carcere tanto da portarlo ad essere condannato, nell’ottobre del 1988, a 4 mesi per oltraggio e danneggiamento, per aver distrutto un tavolo di ping pong ed insultato un agente di custodia. Mastini è divenuto un personaggio per i fruitori della cultura di massa tanto da guadagnarsi la dedica del film Johnny lo Zingaro, tutta la verità (diretto da Emanuele Del Greco), e di un brano musicale dei Gang dal titolo Johnny lo Zingaro, incluso nell’album «Le radici e le ali» e ripreso successivamente anche da Massimo Bubola. Nella foto una recente immagine di Giuseppe Masini

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Nel 2012, dopo 37 anni di galera, Giuseppe Mastini ha riacquistato la libertà. Alla prossima... H

I colleghi ricordano Francesco Corigliano l 19 maggio scorso ci ha lasciati tragicamente, Francesco Corigliano, Assistente Capo di 46 anni in servizio presso il N.C.P. di Vibo Valentia. Francesco era entrato nell’Amministrazione il 9 giugno 1987, la sua carriera lo aveva portato inizialmente a Gorgona e, successivamente, a Prato. Dal 1997 prestava servizio a Vibo Valentia e da molti anni era addetto all’ufficio matricola. Lo vogliamo ricordare pubblicando le parole dei colleghi che sono state pronunciate durante la cerimonia funebre e che, forse, possono dare l’idea di chi era Francesco Corgliano:

I

sorridevi senza aggiungere altro, senza bisogno di altre inutili parole. E in quel sorriso c’era tutto il tuo mondo, un mondo senza odio né

Caro Ciccio Mai come oggi sentiamo l’inutilità delle parole... Onestà, coraggio, lealtà, bontà, oggi sono parole vuote .. che non bastano a descriverti. Tu, poi, le parole non le amavi tanto: per te contavano i gesti, le azioni, le cose vere. Tu amavi l’essenza delle cose e delle persone. Tu davi l’esempio. Il nostro matricolista dal cuore grande, il nostro collega, l’amico prezioso che manteneva la calma anche nelle situazioni più difficili ... tu per noi sei tutto questo, ma sei soprattutto un esempio di bontà, quella bontà che in carcere cercavi di nascondere, ma che è visibile in quello che hai lasciato. La tua bontà la vediamo oggi negli occhi dei tuoi figli, nella dolcezza di tua moglie e nelle lacrime di tutti i tuoi colleghi e delle persone che ti amano. Tu amavi la pace e la vita e sembrava che il tuo silenzio ci volesse dire ogni giorno “non accontentatevi delle parole ...date l’esempio voi stessi” Ciccio cos’hai? “staju macinjandu” e

rancore, un mondo senza rabbia, un mondo semplice e pulito come te. Ancora non riusciamo a svegliarci da questo dolore ...la tua scrivania è esattamente come l’hai lasciata ...non sappiamo come superare il vuoto che ci circonda ...e ci tormentiamo per non aver capito quanta sofferenza c’era nel tuo cuore, ma sappiamo che hai voluto lasciarci un messaggio di pace ...sacrificando la tua vita ci hai fatto capire l’inutilità dell’odio e del rancore ...e hai vinto, perché dall’istante in cui ci hai lasciato, ci hai obbligato a guardarci dentro.. e ci hai costretto a farci i conti con noi stessi, e con il banale attaccamento alle cose inutili. Noi non potremo più vederti con il tuo registro sotto il braccio o vicino ai tuoi amici inseparabili dell’Ufficio Matricola, non sarai più il primo a scappare senza paura in aiuto dei tuoi colleghi e il tuo sorriso non potrà più scaldarci il cuore, ma sappiamo che dentro di noi ci sarai sempre: tu ed il tuo amore infinito per la tua famiglia e per la tua divisa, soprattutto perché hai voluto dire ad ognuno di noi che l’amore e l’onestà sono l’essenza della vita. Grazie Ciccio H


donne in uniforme

N

on si nasce donne: si diventa. (Simone de Beauvoir)

Salve a tutti. Per parlare delle donne di oggi della Polizia Penitenziaria ritengo doveroso accennare alle donne di ieri ed al loro percorso di crescita personale e professionale. Guardiane, vigilatrici ed infine Poliziotte Penitenziarie. In principio l’attività custodiale delle detenute era svolta dalle religiose: per la presenza di quel sentimento di dovere e spirito di abnegazione caritatevole ritenuto necessario nel contatto con quelle donne che, commettendo un delitto, avevano peccato e dovevano essere rieducate. A loro quindi la sorveglianza, il mantenimento e l’istruzione morale: una redenzione consistente nell’addestramento ed insegnamento di quelle attività femminili: il cucito, la gestione della casa, la preghiera; tutto ciò quindi che rientrava nel compito di una donna onesta. Perché appunto le suore? Il tutto deve essere necessariamente ricondotto a cosa si intendeva per devianza e delinquenza femminile e che tipo di reati venivano commessi dalle donne. La delinquenza femminile era considerata un evento eccezionale e collegato ad atti contrari alla moralità, un tradimento del ruolo sociale di appartenenza, vedi ad esempio la prostituzione. La donna non delinqueva in generale perché non era in condizione di farlo dovendo ottemperare al proprio ruolo di madre e moglie, non vivendo quindi situazioni che l’avrebbero portata a compiere delitti pari a quelli maschili. Le donne colpevoli di delitti gravi erano una parte minoritaria, residuale. L’utilizzo del personale religioso trovava inoltre motivazioni economiche in quanto la qualifica di personale aggregato determinava di fatto un costo contenuto a carico dello Stato. Nel corso del tempo il generale e sostanziale calo delle vocazioni,

Da Guardiane a Poliziotte Penitenziarie

insieme all’aumento delle incombenze e carichi di lavoro, ha permesso l’ingresso nelle strutture carcerarie femminili di personale laico, assunto dall’amministrazione penitenziaria, con la qualifica generica di guardiane. E’ chiaro già dal nome che tale personale avesse esclusivamente un ruolo di vigilanza. Le suore mantenevano l’attività di coordinamento e si occupavano della rieducazione della detenuta. Del 1971 la revisione di alcuni ruoli organici del personale penitenziario. Le guardiane diventano vigilatrici penitenziarie senza però che vengano poste modifiche alle attribuzioni professionali. Con il D.L. 111/1978 (convertito in legge 271/1978) si opera un altro piccolo passo. L’art.19 chiarisce che il servizio all’interno degli istituti femminili debba essere svolto dalle vigilatrici penitenziarie, organizzandole su tre livelli di competenza (vigilatrice, vigilatrice superiore e vigilatrice capo) e l’art.26 che dove l’incarico sia ancora affidato alle suore, non vi siano assegnate vigilatrici superiori e vigilatrici capo). In questo passaggio le vigilatrici si trovano da una parte l’eredità

religiosa operativa e ideologica e dall’altra la necessità di porsi in relazione con gli Agenti di Custodia e, quindi, con la dipendenza gerarchica maschile, le delimitazioni di competenze nel proprio ambito operativo. Il tutto avviene nel periodo storico sociale degli anni ’70 e inizio anni ’80 – gli anni di piombo – dove vi è un cambiamento anche della popolazione detenuta e si entra in un periodo di emergenza dove la sicurezza e la custodia acquistano un ruolo maggiore rispetto a quell’attività di risocializzazione e trattamento che la riforma dell’ordinamento penitenziaria del 1975 avrebbe voluto vedere applicata. Fra la popolazione detenuta ci saranno molte donne legate a reati politici. La donna non viene più considerata come un soggetto debole da redimere, ma un pericolo per la società. Bisognerà aspettare pertanto il 1980 perché si cominci a parlare di formazione per le vigilatrici ed il 1985 perché vengano effettuati i primi corsi di aggiornamento.

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a cura di Laura Pierini Vice Segretario Porvinciale Sappe Firenze rivista@sappe.it

Nella foto una poliziotta penitenziaria

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donne Ma chi erano le donne guardiane e vigilatrici? Abbiamo già detto che il nostro lavoro non possiede quel quid romantico che altre tipologie posseggono. Riterrei corretto affermare che è un percorso lavorativo che non si sceglie per vocazione.

Il Concorso di colpa tra il Dirigente e il rappresentante sindacale

G

Nella foto Vigilatrici e Agenti di Custodia

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In passato soprattutto il personale maschile e femminile proveniva quasi esclusivamente dall’aree più povere dell’Italia del sud. Una forma di emigrazione silente, alternativa al lavoro nelle fabbriche del Nord e all’estero dotata di una forte attrattiva per la componente di sicurezza e affidabilità che deriva dal lavorare per lo Stato. Mentre però è sempre stato culturalmente e socialmente accettato l’uomo che si allontanasse per cercare lavoro e garantire così il sostentamento della famiglia senza perdere i contatti e gli affetti, la stessa cosa non si può dire delle donne. La donna è maggiormente radicata nel territorio di origine e legata in modo più forte al nucleo familiare. Lasciarlo significa accettare il rischio di veder tagliare o scemare quei legami. La scelta di partire per quelle donne di allora, non è stata facile. Alcune di loro sono scappate da situazioni personali difficili. La lontananza per talune di loro ha significato non creare una famiglia propria, anche per problemi di integrazione nel nuovo ambiente. Vogliamo quindi chiamarle e riconoscerle Grandi Donne dotate di coraggio, resistenza, forza interiore? A presto. H

entile redazione, sono profondamente deluso dall’atteggiamento di alcune organizzazioni sindacali che durante le contrattazioni sindacali non tutelano gli interessi collettivi dei lavoratori, ma pensano a sottoscrivere accordi difformi che non rispecchiano la volontà del personale. Mi chiedo perché i sindacati, considerato il potere influente, non debbano rispondere di eventuale risarcimento per i danni provocati al personale. Non sono un esperto in materie giuridiche, però penso che ci deve essere una tutela per chi non si sente rappresentato. Che ne pensa? Ringrazio per l’eventuale risposta. aro lettore, il problema della responsabilità civile del rappresentante sindacale è un problema ormai datato nel tempo, risale agli anni sessanta, è rimasto e continua a rimanere in un stato embrionale nella interpretazione giurisprudenziale, essendo scarsissima e rarefatta la casistica in materia. La disciplina del rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato riconosce alle associazioni sindacali rappresentative una posizione di rilievo nella organizzazione degli uffici ed anche nella gestione dei rapporti di lavoro. Infatti, l’art. 9, Decreto Legislativo n. 165 del 2001 prevede in maniera esplicita che i contratti nazionali di lavoro disciplinino i rapporti sindacali e gli istituti della così detta partecipazione anche con riferimento agli atti interni di organizzazione aventi riflessi sul rapporto di lavoro. Una tale ingerenza sindacale si configura impropria ed inopportuna,

C

in quanto finisce per ledere il libero esercizio del potere di organizzazione proprio dei dirigenti. Al momento, la presenza dei sindacati nella sfera della macro-organizzazione e anche della micro-organizzazione finisce per condizionare talvolta in maniera pesante l’efficienza della P.A.. Proprio sulla base del citato art. 9, Decreto Legislativo n. 165 del 2001, i singoli contratti nazionali di lavoro contemplano diverse modalità di raccordo dei sindacati con l’esercizio dei poteri del dirigente, variamente denominati: informazione, consultazione, concertazione e contrattazione. Così, la comunicazione–consultazione con le organizzazioni sindacali consiste nell’informarle delle decisioni assunte in via unilaterale dall’amministrazione e coesiste con la negoziazioneaccordo con le citate organizzazioni avente come oggetto le decisioni bilateralmente assunte, anche se solo formalmente, poiché compete al dirigente adottare gli atti, sostanzialmente condivisi in quanto non possono discostarsi dall’accordo in precedenza raggiunto in sede sindacale. Di conseguenza, quando le decisioni dirigenziali siano imputabili ad atti che discendano dall’unione della volontà del dirigente operante per conto dell’amministrazione– datore di lavoro con quella dei sindacati, potrà nascere una responsabilità per danno erariale a carico dei rappresentanti sindacali che frequentemente risultano essere anche dipendenti della stessa struttura amministrativa. Del resto, la stessa giurisprudenza dei giudici amministrativi – contabili e della Corte Suprema di Cassazione ha sviluppato una nuova concezione della responsabilità amministrativa


diritto e diritti che si è discosta progressivamente da quella tradizionale, connessa alla preventiva verifica dell’esistenza di un rapporto di servizio in prevalenza concepito come un rapporto di lavoro di pubblico impiego. Più in dettaglio, la responsabilità è stata inizialmente riconosciuta verso i funzionari onorari, poi successivamente estesa agli organi politici, collocati sullo stesso piano dei funzionari onorari e, infine, estesa anche ai soggetti privati, in quanto formalmente inseriti, o anche solo abusivamente inseriti, all’interno dei procedimenti che siano esplicazione di funzioni pubbliche o di pubblici servizi. Nella sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione 1 marzo 2006, n. 4511, si è finalmente sanzionata l’avvenuta trasformazione del modo di essere della responsabilità amministrativa, il cui asse portante sembra essersi spostato dalla natura pubblica del soggetto e dal rapporto di servizio strictu sensu alla natura pubblica del denaro o delle finalità perseguite attraverso un procedimento amministrativo a cui partecipi un soggetto privato, persona fisica o giuridica. Infatti, se è vero che quest’ultimo rappresenta il soggetto passivo di un certo provvedimento amministrativo adottato nella fase di decisone dell’iter procedimentale (ad es. l’atto di concessione di finanziamenti pubblici), è parimenti vero che, al contempo, risulta essere anche il soggetto attivo di un determinato progetto pubblico (ad es. l’utilizzazione dei predetti fondi) che trova il proprio alveo naturale dentro una globale dinamica amministrativa la quale mira a realizzare l’esercizio di funzioni o di servizi pubblici, perseguendo obiettivi di benessere collettivo. Alla luce delle precedenti argomentazioni non appare del tutto campata in aria la tesi per cui un soggetto privato, come il rappresentante di associazioni sindacali nella propria veste istituzionale, partecipando alla decisione dirigenziale inerente all’organizzazione o alla gestione del personale, possa incorrere nella

responsabilità amministrativa, in proprio o eventualmente in concorso con il dirigente, qualora siano stati conclusi accordi o atti contra legem, dai quali discendano direttamente danni erariali. Un’ipotesi di questo genere ricorre quando si verifichi una distribuzione a pioggia di incentivi per la così detta produttività individuale o collettiva dei dipendenti pubblici, concordata preventivamente con le associazioni sindacali. La stessa giurisprudenza, non escludendo la responsabilità per danno erariale del dirigente, ha contestualmente riconosciuto la potenziale responsabilità dei sindacalisti che abbiano esercitato “forti pressioni” per il mantenimento di privilegi ingiustificati all’interno dell’amministrazione; comunque, al momento non è dato rivenire, sia pure dopo un’attenta ricerca, una esaustiva ricostruzione giurisprudenziale e dottrinale sulla responsabilità erariale per indebita ingerenza sindacale sui pubblici poteri. Del resto, il pubblico impiego privatizzato, ma meglio sarebbe dire contrattualizzato, offre uno spazio particolarmente esteso all’operato dei sindacati proprio nell’ambito delle opzioni organizzative di macroorganizzazione e di microorganizzazione, per non parlare poi della contrattazione collettiva di lavoro, nazionale a livello di comparto ed integrativa a livello di singola amministrazione, per cui sarebbe veramente arduo non ravvisare alcun profilo di responsabilità nei confronti dei soggetti firmatari dei contratti collettivi, che in violazione di norme di legge determinino danni al pubblico erario. Le relazioni sindacali non possono essere assimilate ad una sorta di zona franca, dove tutto può avvenire, senza il rispetto delle regole giuridiche e, peggio ancora, senza regole giuridiche. La partecipazione di una pluralità di soggetti portatori di interessi interni alla contrattazione collettiva o a diversi momenti delle relazioni intercorrenti tra Pubblica Amministrazione e sindacati, risultano

qualificati, sebbene certe volte contrapposti, necessitando di una forte responsabilizzazione rispetto ai comportamenti tenuti e alle decisioni prese. Infatti, si agisce dentro strutture pubbliche con il coinvolgimento di interessi pubblici o di situazioni che in qualche modo incidono sugli interessi della collettività. Di conseguenza, i due attori che recitano su questo particolare palcoscenico, l’amministrazione nella persona dei dirigenti e le associazioni sindacali nella persona dei propri rappresentanti, si devono assumere le responsabilità di ciò che fanno, quindi devono poter essere chiamati a rispondere davanti alla Corte dei Conti, se del caso, anche di eventuali danni erariali consequenziali alle misure adottate di volta in volta in attuazione di ciò che è stato concordato preventivamente nelle sedi ove si è sviluppata la trattativa sindacale. In conclusione, i dirigenti pubblici e i rappresentanti dei sindacati di categoria possono essere perseguiti dai giudici amministrativi–contabili qualora assumano condotte, commissive o omissive, estranee ai comportamenti istituzionali, caratterizzate dalla violazione di norme di legge ed antitetiche alle regole della libertà sindacale, finendo per assumere la consistenza di un favoritismo per gli iscritti ad una determinata associazione sindacale in danno degli altri lavoratori pubblici in servizio presso un determinato ufficio, contribuendo a creare una confusione sistematica nell’organizzazione della struttura amministrativa e notevoli disservizi agli utenti. L’attività sindacale all’interno della Pubblica Amministrazione deve ritenersi vincolata ai principi di legalità, imparzialità e buon andamento non meno che gli stessi burocrati. L’azione delle organizzazioni sindacali non può costituire una variabile indipendente dall’osservanza di quei principi di legittimità dell’operato amministrativo che connotano il nostro ordinamento giuridico. H

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Giovanni Passaro Segretario Provinciale Sappe passaro@sappe.it

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26 a cura di Giovanni Battista de Blasis deblasis@sappe.it

Sopra la copertina del numero di gennaio 2000

Polizia Penitenziaria n.219 luglio/agosto 2014

come scrivevamo iù di venti anni di pubblicazioni hanno conferito al mensile Polizia Penitenziaria - Società Giustizia & Sicurezza la dignità di qualificata fonte storica, oltre quella di autorevole voce di opinione. La consapevolezza di aver acquisito questo ruolo ci ha convinto dell’opportunità di introdurre una rubrica - Come Scrivevamo - che contenga una copia anastatica di un articolo di particolare interesse storico pubblicato tanti anni addietro. A corredo dell’articolo abbiamo ritenuto di riprodurre la copertina, l’indice e la vignetta del numero originale della Rivista nel quale fu pubblicato.

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Anno nuovo: solito tran tran, le stesse illusioni Il Sindacato manifesta in piazza, al DAP nessuno ascolta... di Umberto Vitale

A

lla fine dell’anno é tempo di bilanci e, guardando al passato, anche per la Polizia Penitenziaria é l’ora di tirare le somme. Il 1999 é stato un anno diverso dagli anni passati, forse il migliore dal 1990, anno della Riforma. Un anno che, grazie all’arrivo in via Arenula di un Ministro politico, che ha capito da subito le necessità ed esigenze del Corpo, ha restituito ai suoi appartenenti la voglia di esserci e di fare, di partecipare attivamente a migliorare le condizioni di una forza di polizia da sempre penalizzata, come una cenerentola. Non tutto, però, é andato per il verso giusto, tanto che dall’altra parte l‘Amministrazione - non é giunto alcun segnale che facesse presupporre di voler migliorare i rapporti con il personale, con la Polizia Penitenziaria in particolare, nemmeno con l’arrivo al DAP di Gian Carlo Caselli. L’ha già scritto Donato Capece nel suo editoriale: promesse, le solite promesse, ma di nuovo non c’é niente sotto il sole. Lo stesso Caselli non pare essere un buon esempio di coerenza , quando scrive in prima pagina su “la Repubblica” del 4 gennaio 2000 - a proposito dell’anno nero per le toghe - che non é giusto che la magistratura subisca attacchi ed aggressioni politiche per il suo operato aggiungendo, poche righe dopo, che tali aggressioni fanno “da apripista a chi vorrebbe restaurare, nel nostro Paese , una giustizia con due pesi e due misure: impunità per i reati dei colletti bianchi e tolleranza zero per tutti gli altri... carcere per i poveracci e prescrizione per chi viola la legge in guanti gialli. Con buona pace per l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge” .

Trasferendo il suo concetto nell’ambito dei lavoratori del DAP non c’é coerenza quando , da un lato, il Direttore Generale, giustamente (quanto opportunamente, considerato che non é più in ruolo nella magistratura e visto il delicato incarico amministrativo che ricopre, lo decida il lettore), difende i magistrati e invoca uguaglianza per tutti, mentre dall’altro consente che nella sua Amministrazione vi siano disparità talmente evidenti da sembrare assurde: la Polizia Penitenziaria che langue e chiede giustizia, sperando che lo Stato paghi quanto deve ai suoi uomini e donne (straordinario arretrato, missioni ecc.), mentre ai “guanti gialli” del sistema - direttori e funzionari - tutto é permesso, tutto é pagato, anche in anticipo, loro non sbagliano mai! Non sono forse tutti “lavoratori” e, quindi , tutti uguali per lo Stato, come detta la Costituzione? Due pesi e due misure, nel trattamento di due categorie di lavoratori della stessa Amministrazione, ma in questo caso nessuno fiata, va tutto bene, nessuno ha il coraggio di denunciare i favoritismi di cui sono beneficiari i “guanti gialli” del DAP, né gli enormi sprechi di risorse che qualcuno accanto a Caselli ha voluto ed avallato, facendosi beffe dei bisogni e necessità della Polizia Penitenziaria, “paria” dell’Amministrazione! Si, ricordiamolo ancora, il convegno di Capri, e non solo quello, in tema di sprechi. Solo il SAPPE - che conserva autonomia di pensiero e giudizio - ha protestato, naturalmente senza ottenere alcun riscontro o soddisfazione: ha vinto l’indifferenza, l’inganno, la ragione del più forte. Hanno vinto i “guanti gialli” .


come scrivevamo Al DAP “hanno fatto finta di nulla, voltandosi da un’altra parte”. Il santuario di largo Daga non si tocca, non é in discussione e i suoi sacerdoti non hanno peccati: Gian Carlo Caselli tace, anzi scrive a “Panorama” che il SAPPE ha torto, che per Capri si sono spesi soltanto 300 milioni (sic!), e intanto la Polizia Penitenziaria protesta. E la protesta é scesa in piazza, dopo quanto é successo a fine dicembre, nel corso delle trattative per il rinnovo del contratto di lavoro: 18.000 lire lorde mensili di aumento, ecco cosa ha previsto lo Stato per le forze dell’ordine, dopo tanti sacrifici e privazioni! Non andrà meglio con il TFR: il SAPPE consiglierà ai suoi iscritti di non aderire alla proposta del Governo che vorrebbe impegnata la liquidazione del singolo in fondi integrativi che dovrebbero adeguare il trattamento pensionistico. Ecco il perché della protesta del 16 dicembre scorso che ha visto la partecipazione di quasi duemila appartenenti alle varie forze di polizia, invitati a manifestare il crescente malessere e dissenso con una grande fiaccolata per le vie del centro di Roma. Bella giornata il sedici dicembre millenovecentonovantanove , facciamone la cronaca . L’incontro per tutti era a piazza Esedra, alle 17.00, per poi sfilare con le fiaccole lungo il percorso cittadino, fino a piazza Santi Apostoli, luogo dei comizi dei Segretari Generali dei tre Sindacati autonomi della Consulta, SAPPE, SAP e SAPAF. Già alle 16.00 il vasto piazzale era pieno di donne e uomini dei tre Corpi di Polizia, cui si sono aggiunti numerosi appartenenti all’Arma ed alla Guardia di Finanza. Aria di festa, aria di incontri tra vecchi amici che non si vedevano

da tempo, con lo spirito di chi intende sì protestare, ma sempre con ordine, senza esagerare . Ed é ordinatamente che all’ora stabilita s’é mosso il corteo: fischietti, trombette, megafoni, striscioni, cartelli e slogan, con duemila fiaccole accese che hanno illuminato la sera calante lungo via Cavour, ai Fori Imperiali, in piazza Venezia, a piazza Santi Apostoli. Traffico completamente paralizzato lungo una direttiva vitale per la Capitale, due ore di corteo che hanno sconvolto il centro di Roma e via via il caos s’é ripercosso fino alla periferia, fino alle strade consolari, fino al GRA. Roma é fatta così: blocchi una zona importante per la viabilità e va tutto in tilt. Se poi a protestare sono le forze del’ordine... non giunge alcuna lamentela di rimando da parte dei cittadini, che guardano curiosi e si domandano il perché della manifestazione. «Siamo alla fame», urla qualcuno. «Lo Stato ci prende in giro, e intanto moriamo sulle strade », gli fa eco un megafono. Un turista giapponese con l’immancabile macchina fotografica clicca decine di volte, immortalando il nostro Francesco Farina mentre maltratta una tromba, facendone

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uscire suoni acuti e lamentosi. Probabilmente quel turista s’é chiesto come mai la polizia è in sciopero, in Giappone non succede. Nel Paese del Sol Levante la polizia é pagata bene e rispettata, mica come qui da noi, verrebbe voglia di dirgli.

Dagli altoparlanti del camioncino che apre il corteo esce una musica allegra, rock ‘n roll e canzonette: pare una festa, non una protesta. Ed é davvero una festa per chi é venuto dalla Toscana , dal’Abruzzo, dalla Campania, dalla Calabria , dalla Liguria, dall’Umbria e Marche a dar man forte ai colleghi del Lazio, anche se poi dovranno sobbarcarsi un faticoso ritorno a casa, con la

Nelle foto immagini della manifestazione

‡ Polizia Penitenziaria n.219 luglio/agosto 2014


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Nelle foto ancora fasi della protesta

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come scrivevamo

speranza di avere ottenuto qualcosa. Sono presenti e solidarizzano con noi anche alcuni parlamentari, tutti dell’opposizione al Governo (naturalmente! che fine ha fatto l’intenzione della sinistra di

recuperare le forze di polizia?). Ci sono Gasparri e Ascierto e poi s’aggiunge Pappalardo, del Cocer dell’Arma, che porta una buona notizia dal Palazzo: a Montecitorio, in concomitanza con la nostra manifestazione, l’Assemblea ha votato un ordine del giorno che impegna il Governo a provvedere al riconoscimento speciale del Comparto Autonomo delle Forze di Polizia rispetto al personale dell’Amministrazione statale. In pratica, s’é ottenuto lo scorporo del Comparto Sicurezza dal resto del Pubblico Impiego, da realizzare con forme e modalità attraverso un successivo provvedimento di legge. Quell’ordine del giorno, che vincola l’impegno politico dell’intero Parlamento, probabilmente non verrà mai rispettato (come tanti altri... ), ma intanto ci consoliamo prevedendo almeno la definizione di uno stanziamento predeterminato al di fuori dai parametri, vincoli e capitoli previsti per i comparti del pubblico

impiego e, magari , il riconoscimento di uno speciale trattamento giuridico ed economico a favore di chi rischia la vita per le istituzioni e la sicurezza della nazione e dei cittadini. E’ comunque un inizio, un risultato che premia l’impegno e la forza di rappresentanza della Consulta dei Sindacati Autonomi, che anche la grande e riuscita fiaccolata ha contribuito a dimostrare. Verso le 19 c‘é aria di contentezza a piazza SS. Apostoli, tra un discorso e l’altro dei Segretari anche se nessuno crede alle promesse. Nei giorni successivi alla ricomposizione del Governo, con la nomina di D’Alema infatti, il SAPPE si aspettava concrete iniziative ma siamo già a gennaio e ancora non s’é mossa una foglia. Come al solito il DAP tace (Caselli però scrive... ) e in via Arenula Diliberto é alle prese con il giudice unico e il giusto processo. E alla Polizia Penitenziaria chi ci pensa? Ogni anno la solita solfa, le solite disillusioni. H


funzionari funzionali

L’esperienza del Commissario sull’isola di Gorgona: a metà tra responsabile dell’Area sicurezza e Robinson Crusoe irca un anno fa ero con la mia famiglia a Livorno e mi trovavo a passare sulla bellissima Terrazza Mascagni, uno stupendo loggiato sul lungomare della città con vista sull’arcipelago Toscano. Scorgendo in lontananza i contorni dell’isola più piccola dell’arcipelago, Gorgona, sede penitenziaria (ero a Roma a frequentare il corso da Commissario e di lì a poco avrei ricevuto la destinazione), presi per mano mio figlio e per scherzare gli dissi: “quella sarà la prossima sede di servizio del babbo”. Probabilmente, in quel preciso momento, qualcuno ha ascoltato le mie parole e, pensando stessi esprimendo un desiderio, le ha tenute bene a mente, tanto che, al termine del corso, lo scorso 8 gennaio, mi sono ritrovato imbarcato su una motovedetta della Polizia Penitenziaria in partenza da Livorno, per raggiungere la mia nuova sede di servizio: un’ora e un quarto circa di navigazione con un cielo ed un mare che, in inverno, non promettono mai nulla di buono. Cosa c’è tra la terraferma e queste diciotto miglia marine, in mezzo al mare aperto, solo l’esperienza sul posto lo può testimoniare. Una sola cosa è certa: siamo lontani, molto lontani, dalle ordinarie dinamiche di un istituto penitenziario, sia per le modalità con cui il tempo trascorre che per il tipo di lavoro svolto sull’isola; ma anche e soprattutto per le problematiche che la Polizia Penitenziaria, in primis, e gli operatori penitenziari, in generale, devono affrontare quotidianamente. I detenuti - sottoposti ad una vigilanza che definire dinamica potrebbe risultare riduttivo - svolgono le attività lavorative più svariate, dalla pesca, all’allevamento, alla

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manutenzione degli alloggi e delle strutture. Non per questo l’attenzione della Polizia Penitenziaria è affievolita ma, al contrario, molto più attenta alle dinamiche relazionali dalle quali anche uno sguardo deve essere immediatamente decifrato ed attenzionato. Qualcuno ha parlato loro della sentenza Torregiani ma, trovandosi lontani anni luce dalla realtà penitenziaria cui la stessa è destinata, ne hanno anche velocemente (probabilmente) dimenticato l’esistenza. La loro giornata è scandita da precisi orari e programmi da portare a termine su questo scoglio di circa due chilometri quadrati a sud del mar Ligure. Essere il Comandante dell’isola è un po’ come essere il sindaco di un piccolo paese. Le competenze che bisogna sviluppare, al di là di quelle specifiche penitenziarie sono, giocoforza, legate alla specificità di un territorio non circoscritto all’ambito del muro di cinta ma ad una superficie, l’intera isola, con le sue caratteristiche peculiari e le sue problematiche continue che quotidianamente vanno affrontate e risolte. E così, anche non volendolo, si sviluppano competenze che mai prima di questo momento avresti immaginato di dover apprendere. Sì, perché qui anche la gestione degli eventi critici è parecchio sui generis poiché ci si ritrova, prima o poi, a fare i conti con un guasto del generatore che ti porta a restare al buio anche per più di trenta ore; può verificarsi la rottura del dissalatore che fa temere per le scorte d’acqua; può scarseggiare il fieno (che a causa del mare grosso non è potuto arrivare) e rende gli animali nervosi ed ingestibili. Sono tutte situazioni impensabili per chi vive sulla terraferma, ma soprattutto per chi,

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Mario Salzano Commissario di Polizia Penitenziaria rivista@sappe.it

come me fino a qualche mese fa si trovava a vivere situazioni lavorative, sebbene critiche, comunque ordinarie, che trovano nell’esigenza di dover provvedere al ripristino di condizioni di normale vivibilità o all’accaparramento di generi di prima necessità (l’acqua, la luce, le scorte di cibo), il collante indispensabile per una collaborazione necessaria e necessitata tra tutto il personale penitenziario ma anche tra quest’ultimo e la popolazione detenuta la cui opera risulta spesso preziosa e risolutiva.

Uno scoglio in mezzo al mare sul quale anche l’esigenza più elementare, quale potrebbe essere quella di recarsi al bancomat per un prelievo (era solo un esempio, visto che sull’isola c’è un piccolo spaccio, tra l’altro non fornitissimo!) è vincolata all’arrivo della motovedetta, sempre che le condizioni del mare lo consentano. Un’isola nella quale si vivono apparenti contraddizioni per chi guarda dalla terraferma: prima di concludere questo articolo, dalla matricola mi comunicano che un detenuto ha appena rinunciato alla semilibertà per restare a Gorgona. Tra qualche ora dovrei riprendere la motovedetta per far rientro, dopo una settimana, dalla mia famiglia, ma sempre che le condizioni del mare lo permettano. H

Nella foto personale in servizio presso la Casa di Reclusione di Gorgona

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inviate le vostre foto a rivista@sappe.it

A fianco: 1979 Casa Reclusione di Porto Azzurro (LI) Befana AA.CC. (foto inviata da Pasquale Amato) sotto a sinistra: 1978 Casa Circondariale “Le Nuove” di Torino (foto inviata da Giovanni Falzarano) a destra: 1982 Scuola AA.CC. di Cassino (FR) 22° Corso Ausiliari (foto inviata da Giovanni Dottarelli)

eravamo così


eravamo così

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Sopra: 1962 Casa di Reclusione Pianosa (LI) ingresso sezione “Sanatorio” (foto inviata da Filippo Federico) a fianco: 1984 Scuola AA.CC. di Cassino (FR) 27° Corso Ausiliari Al poligono di tiro (foto inviata da Antonio Sorrentino)

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le recensioni Carlo Verdelli

I SOGNI BELLI NON SI RICORDANO GARZANTI Edizioni pagg. 238 - euro 14,90 a nascita, ancor più della morte, è l’unica cosa che abbiamo davvero tutti in comune, da sempre e per sempre. Non solo è l’attimo irripetibile in cui veniamo al mondo. È anche il primo giorno di una stagione della vita bellissima e altrettanto irripetibile: l’infanzia. Essere stati bambini, per quanto una volta diventati adulti si tenda a negarlo, a ridurlo ad aneddoto o semplicemente a dimenticarlo, è un’altra cosa che tutti ci accomuna. Proprio l’infanzia è il filo rosso che lega tra loro una serie di istantanee di un mondo perduto, evocato dai mille umori dell’essere bambini: dal capriccio all’entusiasmo, dai pianti alle risate, dagli imbarazzi ai primi amori. Un viaggio indietro nel tempo che ci restituisce in dono i nostri primi anni di vita. Che ci proietta in un mondo popolato da bambini che, lungo le strade di una città ancora a misura d’uomo, emulano i loro idoli sportivi, leggono fumetti, imparano a vivere e fingono di morire. Di bambini e bambine che dietro i banchi di scuola affrontano ingiustizie che forse lasceranno un segno nella loro vita

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adulta. Di bambini che vedono la loro vita decisa a tavolino da adulti i quali pensano di aver sempre ragione, anche a scapito del loro bene. E di adulti che bambini non riescono a smettere di essere, fino al punto di ritrovarsi soli, incapaci di immaginare un futuro per la propria vita. I sogni belli non si ricordano è un libro sui bambini. Sulle contraddizioni, a volte tragiche, più spesso di sapore dolceamaro, di un mondo che cambia senza sosta, trascinando con sé chiunque ne faccia parte. Esordiente d’eccezione, Carlo Verdelli raccoglie in queste pagine il lento e inesorabile trasformarsi delle emozioni dei bambini, gli errori e le esperienze degli adulti che di quei bambini sono diventati genitori. Ma che di quei bambini conservano lo sguardo sognante. Perché i bei sogni non si ricordano. Ma i bei ricordi non si dimenticano.

Marco Preve

IL PARTITO DELLA POLIZIA CHIARELETTERE Edizioni pagg. 288 - euro 13,90 n libro “tosto” di denuncia questo di Marco Preve, giornalista della redazione genovese del quotidiano La Repubblica. Il titolo orienta senza indugi su cosa focalizza il suo interesse. Nessun abuso può essere commesso contro cittadini inermi. Se non è così, i responsabili devono saltare. In Italia ciò non è avvenuto. E continua a non avvenire, dai tempi delle torture alle Br fino alle morti di Cucchi, Aldrovandi, Uva e molti altri: la polizia non garantisce la sicurezza, la politica non sorveglia, la stampa non sempre denuncia, la magistratura non sempre indaga. Perché questa anomalia? Come rivela Filippo Bertolami, poliziotto e sindacalista, “negli ultimi anni si è assistito al paradosso di un sistema capace da un lato di coprire e premiare i colpevoli di violenze e insabbiamenti, dall’altro di punire chi ha ‘osato’ mettersi di

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traverso”. Vince la paura. Il partito della polizia è troppo forte. troppe protezioni politiche a destra e a sinistra. Da Berlusconi a Prodi, Violante, Renzi. De Gennaro, ora presidente di Finmeccanica, e i suoi collaboratori non si toccano. Troppe onorificenze. Troppe amicizie. Anche tra i media. Intanto le auto rimangono senza benzina e gli agenti continuano ad avere stipendi da fame mentre vengono assegnati appalti miliardari. Il partito della polizia è anche il partito degli affari. “Se non c’è una cultura del diritto in chi orienta il pensiero collettivo – sostiene il criminologo Francesco Carrer – mi chiedo come possa nascere in un Corpo di Polizia i cui vertici sono più attenti ai desiderata dei politici che alle esigenze di chi è in prima linea.”

Henry Abbott

NEL VENTRE DELLA BESTIA DERIVEAPPRODI Edizioni pagg. 192 - euro 15,00

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el ventre della bestia è uno dei libri più sconvolgenti mai scritti sulle prigioni americane. Un libro di culto per la crudezza del racconto e l’abilità letteraria del suo autore. E’ un libro che nasce tra Abbott e il romanziere Norman Mailer, alla fine degli anni Settanta, quando il primo si trova in prigione nello Utah per rapina a mano armata e durante la detenzione uccide un altro carcerato. Dalla fitta corrispondenza nasce questo libro, che diventa un best seller, in cui descrive le brutalità del sistema carcerario americano, dei pestaggi subiti, del sesso coercitivo, della fame, delle umiliazioni.Un racconto impietoso in cui Mailer e altri intellettuali lessero una sorta di redenzione da parte di Abbott, che a malapena era riuscito a ottenere la licenza elementare, mentre in prigione aveva passato cinque anni e mezzo in massima sicurezza a leggere testi di filosofia e letteratura (in particolare Marx, ma anche Niels


le recensioni Bohr, Hegel, Russell, Whitehead, Carnap e Quine), costruendosi un vasto sapere da autodidatta. Successo e clamore consentono ad Abbott di ottenere la libertà condizionata. Rimesso in libertà nell’81, si stabilisce a Greenwich, il quartiere radical di New York, e diventa il beniamino della high society. Ma a placarlo non bastano né la fama né i soldi. Sei settimane dopo il suo rilascio, in un alterco davanti a un ristorante, pugnala a morte un cameriere di 22 anni. Arrestato di nuovo, Abbott viene condannato ad altri 15 anni di prigione e a pagare oltre 7 milioni e mezzo di dollari ai familiari della vittima. Nel febbraio del 2002, a 58 anni, si suicida impiccandosi alle sbarre della sua cella.

Giuliano Ferrara, Alessandro Gnocchi, Mario Palmaro

QUESTO PAPA PIACE TROPPO PIEMME Edizioni pagg. 220 - euro 15,90 uesto è un libro coraggioso. Perché pone sotto una luce critica uno dei personaggi più noti e amati in questo tempo: Papa Francesco. Ed è un libro scottante perché due degli autori, Gnocchi e Palmaro, sono stati “cacciati” da Radio Maria - con la quale collaboravano da più di dieci anni - proprio come conseguenza delle critiche rivolte al Santo Padre. Mario Palmaro, poi, è morto lo scorso marzo dopo una lunga malattia: aveva 46 anni ed è stato uno dei migliori studiosi e difensori della fede cattolica nei tempi travagliati in cui viviamo. Il libro è davvero una appassionata lettura criticita del Magistero del Papa venuto “dalla fine del mondo”. I gesti e le parole di papa Francesco sono campionario di relativismo morale e religioso. Le esibizioni di ostentata umiltà ben poco francescane. La sua proclamazione dell’autonomia della

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coscienza e della visione personale del Bene e del Male, in palese contraddizione con il catechismo e il magistero dei pontefici precedenti. In un panorama in cui, dall’ultimo dei parroci al più agguerrito degli atei militanti, tutti si profondono a cantare le lodi del primo gesuita asceso al soglio di Pietro, la lettura controcorrente di due puntute firme del mondo cattolico tradizionale è apparsa come una vera e propria pietra dello scandalo. Mentre opinionisti da sempre anticattolici, su giornali da sempre anticlericali, riprendono le frasi “rivoluzionarie” di Bergoglio trasformandole in roboanti titoli da prima pagina, questa arguta riflessione si pone come primo contraltare all’unanime (e spesso per nulla disinteressato) consenso tributato al “vescovo venuto dalla fine del mondo”. E offre nuove indicazioni per amarlo, nonostante tutto. Un pamphlet appassionato, ragionato e argomentato, prezioso perché insaporisce con il sale del dibattito e del confronto la brodaglia del conformismo mediatico.

Mark Mazzetti

KILLING MACHINE FELTRINELLI Edizioni pagg. 352 - euro 19,00 uesta è la storia mai raccontata di una metamorfosi silenziosa. Una metamorfosi che ha cambiato il modo in cui gli Stati Uniti d’America fanno la guerra, uccidono i loro nemici ai quattro angoli del mondo, influenzano gli equilibri dello scacchiere mondiale lavorando sulle aree grigie e sulle regioni più lontane e instabili del pianeta. Le guerre americane non si svolgono più allo scoperto, nei teatri di guerra più visibili, con l’intervento degli eserciti tradizionali. Le guerre americane sono diventate guerre ombra. A combatterle sono droni pilotati a distanza, spie inviate a creare guerre e sommosse locali, agenti assoldati sul posto per uccidere nemici politici e infiltrare le élite locali. Le guerre americane non sono più

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guerre di soldati ma guerre di intelligence. Tra l’occupazione e lo spionaggio, tra la guerriglia e l’operazione di polizia, tra l’intervento militare e l’intervento politico, i confini si fanno sempre più sottili. E sempre più ambigui. Mark Mazzetti ci racconta “da dentro” questa nuova guerra invisibile. Incontra i suoi oscuri protagonisti. Descrive i loro volti, ricostruisce le loro storie. Li segue in Pakistan, Somalia, Yemen, Lahore. Setaccia documenti e informazioni riservate. Studia gli scenari degli analisti più accreditati. E dalla periferia del mondo ci riporta all’altro grande scontro da cui dipendono, oggi, la guerra e la pace americana. Uno scontro tutto interno agli USA.

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rendete la vostra fotocamera digitale e iniziate subito a scattare foto straordinarie! State considerando l’acquisto della vostra prima fotocamera digitale? Siete indecisi se passare da una compatta a una dSRL? Avete domande sulle funzionalità della vostra macchina fotografica? Ecco la guida che fa per voi! Vi spiegherà infatti cose che non troverete nel manuale d’uso della fotocamera, come le tecniche fotografiche tradizionali, i suggerimenti per ottenere certi tipi di immagini, le varie opzioni di stampa e molto altro ancora. H

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l’ultima pagina Paolo Lingua

BREVE STORIA DEI GENOVESI LATERZA Edizioni pagg. 276 - euro 10,50

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genovesi sono diversi, come dice Dante, ingovernabili, come sostiene Machiavelli, insopportabili, come afferma Montesquieu, crudeli, come asserisce Braudel? A loro si attribuiscono le sole qualità di far di conto e di navigare per mare e un interesse esclusivo per il puro utilitarismo degli affari. Certo, furono i genovesi a fondare la

inviate le vostre lettere a rivista@sappe.it

società finanziariapiù forte del Mediterraneo con il controllo dei più importanti flussi merceologici dal Nuovo Mondo, a inventare il primo capitalismo industriale dell’Italia unita, la prima banca d’Italia, la prima Borsa. Eppure, un ritratto unilaterale farebbe loro torto: quella stessa spregiudicatezza che ha consentito loro di essere guerrieri di ventura, mercanti e finanzieri, i genovesi l’hanno applicata anche nella politica, nella musica e nella poesia. Appartiene infatti a Genova la storia

di Cristoforo Colombo, Andrea Doria e Raffaele Rubbettino, ma anche quella di Giuseppe Mazzini, Niccolò Paganini, Eugenio Montale. E’ da Genova che è partita la spedizione dei Mille, un azzardo che nessun italiano potrà mai dimenticare; appartiene a Genova lo sperimentalismo che ha caratterizzato l’originalità stilistica della lirica montaliana; tutta genovese è l’inquietudine che ha segnato la genialità violinistica di Paganini. H

il mondo dell’appuntato Caputo Tra Capo e ...collo di Mario Caputi e Giovanni Battista de Blasis © 1992-2014

HO VISTO.. HO VISTO... DOTTORE.. DOTTORE, HA VISTO PAGANO? E’ DIVENTATO CAPO DEL DIPARTIMENTO...

Polizia Penitenziaria n.219 luglio/agosto 2014




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