Poste Italiane S.p.A. Sped. in A.P. DL n.353/03 conv. in Legge n.46/04 - art 1 comma 1 - Roma aut. n. 30051250-002
anno XXII • n. 225 • febbraio 2015
Tanto pesava poco... www.poliziapenitenziaria.it
sommario
anno XXII • numero 225 febbraio 2015
3
Fotografa questo codice e leggi la rivista sul tuo cellulare
In copertina: L’Appuntato Caputo schiacciato dal masso di facebook con il peso aggiunto dei vertici del DAP
Per ulteriori approfondimenti visita il sito
www.poliziapenitenziaria.it
l’editoriale
5
4
Quanto è veloce l’Amministrazione quando si tratta di punire il personale Organo Ufficiale Nazionale del S.A.P.Pe. Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria
di Donato Capece
il pulpito Commenti facebook: se anche il Ministro si schiera contro...
Direttore responsabile: Donato Capece capece@sappe.it
di Giovanni Battista de Blasis
Direttore editoriale: Giovanni Battista de Blasis deblasis@sappe.it
il commento
Capo redattore: Roberto Martinelli martinelli@sappe.it Redazione cronaca: Umberto Vitale, Pasquale Salemme
di Roberto Martinelli
8
lo sport
Progetto grafico e impaginazione: © Mario Caputi (art director) “l’appuntato Caputo” e “il mondo dell’appuntato Caputo” © 1992-2015 by Caputi & de Blasis (diritti di autore riservati)
di Lady Oscar
l’osservatorio
20
10
Scrivere su internet non è come parlare al bar...
e-mail: rivista@sappe.it web: www.poliziapenitenziaria.it
di Giovanni Battista Durante
Le Segreterie Regionali del Sappe, sono sede delle Redazioni Regionali di: Polizia Penitenziaria-Società Giustizia & Sicurezza
Stampa: Romana Editrice s.r.l. Via dell’Enopolio, 37 00030 S. Cesareo (Roma)
8
Nuovi arrivi in casa Fiamme Azzurre
www.mariocaputi.it
Registrazione: Tribunale di Roma n. 330 del 18 luglio 1994
6
Polizia Penitenziaria cresce la fiducia degli italiani
6
Redazione politica: Giovanni Battista Durante
Direzione e Redazione centrale Via Trionfale, 79/A - 00136 Roma tel. 06.3975901 r.a. • fax 06.39733669
5
mondo penitenziario
20
L’istituto penitenziario come sistema “burnout” di Mario Salzano
22
crimini e criminali
22
Andrej Romanovic Cikatilo Parte I
Finito di stampare: febbraio 2015
di Pasquale Salemme Questo periodico è associato alla Unione Stampa Periodica Italiana Il S.A.P.Pe. è il sindacato più rappresentativo del Corpo di Polizia Penitenziaria
Chi vuole ricevere la Rivista direttamente al proprio domicilio, può farlo versando un contributo di spedizione pari a 25,00 euro, se iscritto SAPPE, oppure di 35,00 euro se non iscritto al Sindacato, tramite il c/c postale n. 54789003 intestato a:
POLIZIA PENITENZIARIA - Società Giustizia & Sicurezza
Via Trionfale, 79/A - 00136 Roma specificando l’indirizzo, completo, dove va spedita la rivista.
Polizia Penitenziaria n.225 febbraio 2015
4
Donato Capece Direttore Responsabile Segretario Generale del Sappe capece@sappe.it
Polizia Penitenziaria n.225 febbraio 2015
l’editoriale
Quanto è veloce la nostra Amministrazione quando si tratta di punire il personale apete tutti quel che è accaduto nei giorni scorsi ad alcuni colleghi della Polizia Penitenziaria. Alcuni di loro, sedici, sono stati sospesi dopo essere stati identificati quali autori di commenti sul suicidio di una persona ristretta a Milano Opera, postati su facebook. Non abbiamo avuto alcuna esitazione ad affermare che esultare per la morte di un detenuto è cosa ignobile e vergognosa. Ma altrettanto abnorme e sproporzionata è stata la risposta dell’Amministrazione Penitenziaria, su sollecitazione del Ministro della Giustizia: sospendere dal servizio sedici appartenenti alla Polizia Penitenziaria è un provvedimento sbagliato ancorché formalmente irregolare. Quelle frasi sono da censurare senza se e senza ma, ma un percorso disciplinare ha regole e forme da osservare che, in questo caso specifico, non sono state rispettate. Il Dap con questi provvedimenti ha dimostrato ancora una volta di essere incapace di gestire situazioni critiche, tant’è che, invece di cercare di capire le cause di certi fenomeni (ancorché gravi) pensa solo a reagire in maniera eclatante e sproporzionata, al solo scopo di evitare ogni assunzione di responsabilità. Sospendere dal servizio un poliziotto, senza un percorso disciplinare che preveda contestazione e difesa, è fuori dalle norme previste ed è un’anomalia illegittima che, infatti, l’Amministrazione Penitenziaria non ha mai adottato. Lo abbiamo detto e lo ripetiamo. Il suicidio di un detenuto è sempre oltre che una tragedia personale una sconfitta per lo Stato e dunque ci vuole il massimo rispetto umano e cristiano ancor prima di quello
S
istituzionale. Chi ha scritto messaggi stupidi, gravi e insensibili se ne assumerà le responsabilità. Ma sospenderli dal servizio d’ufficio mi sembra davvero abnorme e sproporzionato. Facile, troppo facile adesso per i vertici del DAP diramare roboanti comunicati stampa sulle indagini e sugli esemplari provvedimenti disciplinari intrapresi. Con pari solerzia, il Ministro della Giustizia, il Governo e il Parlamento, ora dovrebbero a loro volta indagare e mettere in campo tutti i provvedimenti normativi e disciplinari nei confronti dei vertici del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (presenti e soprattutto passati) che sono i principali, e più colpevoli, responsabili dello sfascio del sistema penitenziario padre, a mio avviso, di quelle gravi esternazioni che hanno gettato discredito su tutto il Corpo di Polizia Penitenziaria. Ciò nondimeno la responsabilità, penale e disciplinare, è personale e come tale dovrà essere valutata, procedendo con le adeguate singole sanzioni; ma se un gruppo di persone appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria si lascia andare a commenti del genere (e non è certo la prima volta che fatti simili avvengono e non sono sempre e solo questi i colleghi che si sono lasciati andare ad analoghe dichiarazioni), non siamo solo davanti ad un manipolo di superficiali o di persone incapaci di valutare le possibili ricadute delle proprie parole, sia sul piano personale che su quello collettivo, ma siamo di fronte ad un problema culturale che deriva da pesanti responsabilità per la carenza di formazione del personale, prima, e che, poi, vanno alla deriva in dissennate carenze di controllo e di
indirizzo su certe dinamiche che i vertici del DAP non possono non aver osservato in precedenza. E se non sono stati capaci di osservarle, allora sono ancora più colpevoli. Ultima importante considerazione. I commenti su facebook che sono poi valsi i provvedimenti di sospensione erano stati postati sul profilo di una organizzazione sindacale assolutamente minoritaria ma affiliata all’Osapp. Il segretario generale di quest’ultimo sindacato ha diramato, in tutta Italia, una comunicazione nella quale tra l’altro dice di essere stato l’unico a difendere i colleghi (cosa per altro non vera!) e di averlo fatto per “dovere e obbligo deontologico”. Ci chiediamo dove fosse costui quando la sua compagna di partito Ilaria Cucchi discreditava colleghi del Servizio scorte di Roma, accusandoli di aver picchiato un uomo ammanettato per la strada. Il SAPPE, con il sottoscritto, era tra loro, a tutela loro e dell’onorabilità del Corpo anche attraverso la predisposizione di una querela alla signora. Come abbiamo fatto per i colleghi coinvolti, loro malgrado, nella triste vicenda di Stefano Cucchi. Di quel segretario generale sindacale ricordiamo solo quando dichiarò, era il 2 febbraio 2013: “Gli inqualificabili e continui riferimenti, quali veri e propri spot elettorali di Carlo Giovanardi ad Ilaria Cucchi e alla drammatica vicenda del fratello Stefano, sono la conferma di un metodo, introdotto in politica nell`ultimo ventennio soprattutto dalla compagine di cui l`ex ministro è parte, in cui lo scontro personale e le accuse hanno preso il posto della dialettica e dei contenuti”. Era tempo di campagna elettorale...H
il pulpito
Commenti facebook: se anche il Ministro si schiera contro di noi... e pure il Ministro della Giustizia cede al “furor di popolo” e si schiera contro di noi, allora il Corpo di Polizia Penitenziaria può anche essere disciolto e i colleghi nelle carceri evacuati come si fa con i dipendenti delle ambasciate quando ci sono gravi disordini che mettono a repentaglio la vita del personale. Indubbiamente, i provvedimenti di sospensione dal servizio adottati dal Dap su input del Ministro, per i sedici colleghi che hanno scritto commenti disdicevoli su facebook, sembrano un eccesso di potere del Dipartimento, perdipiù irragionevole, illogico e sproporzionato rispetto ai fatti contestati. A vedere e rivedere, a valutare e rivalutare, a leggere e rileggere quei commenti (effettivamente indegni) non riusciamo, però, ad individuare infrazioni disciplinari addebitabili ai poliziotti penitenziari che prevedano una sanzione superiore alla deplorazione. In Italia, grazie a Dio, siamo in uno Stato di Diritto dove vige il principio di stretta legalità fondato sul brocardo nullum crimen nulla poena sine lege e, quindi, nessuna pena può essere inflitta se non sia espressamente sancita dalla legge come conseguenza di un comportamento previsto come reato. Pertanto, anche se i commenti postati dai colleghi sono deprecabili, ancorché ignobili, una condanna morale non può trasformarsi sic et simpliciter in una condanna disciplinare. E se non possiamo giustificare poliziotti penitenziari che hanno espresso certi commenti, così cinici e crudeli, non possiamo, però, negare loro il sacrosanto diritto ad un procedimento/processo che consenta di difendersi e che possa,
S
eventualmente, accertare altre/alte responsabilità. Va anche detto che, sotto il profilo morale, appare deprecabile l’operazione mediatica di Repubblica che, ignorando consapevolmente l’episodio in per se stesso (il suicidio di un detenuto), ha montato un caso sui commenti dei colleghi perché fa più notizia l’uomo che morde il cane piuttosto che il cane che morde l’uomo. (...interessante e condivisibile - in tal senso - l’articolo pubblicato dal Garantista il 21 febbraio scorso) Come già detto, regolamento di disciplina del Corpo di Polizia Penitenziaria alla mano, non si riesce a riscontrare alcuna fattispecie punibile con la sospensione dal servizio e/o con il licenziamento, che possa essere addebitata ai colleghi che hanno postato i commenti su facebook. Lo scandalo mediatico è tutto sommato comprensibile, e per certi versi anche legittimo, ma il Ministro della Giustizia e il Capo del Dap non possono assumere provvedimenti solo sulla scorta dell’emotività, magari spinti dal desiderio di far uscire al più presto Ministero e Dipartimento dalle polemiche, piuttosto che ricercare i motivi che sottendono a certe parole ed a certi atteggiamenti. La superficiale incoscienza con la quale i nostri colleghi hanno scritto quei commenti (che peraltro sono cosa abbastanza frequente sui social) è sintomo di un malessere profondo che pervade il carcere e chi ci lavora del quale andrebbero assolutamente ricercate le cause. Quelle cause che, evidentemente, non possono essere cancellate con una sanzione disciplinare. Purtroppo, i dieci minuti di riunione dedicati dal Ministro Orlando a questa triste vicenda sembrano andare nella direzione diametralmente opposta,
ovverosia quella del “chissenefrega dei motivi e delle cause, l’importante è che Ministero e Dap prendano le distanze ...” Insomma, non si tratta affatto di schierarsi tra “colpevolisti ed innocentisti” ma di ricercare cause e motivazioni a monte di certe reazioni, si tratta di “guardarsi dentro” ...
5
Giovanni Battista de Blasis DirettoreEditoriale Segretario Generale Aggiunto del Sappe deblasis@sappe.it
Nella foto: l’icona di facebook
Se, invece, alla fine questa storia dovesse essere chiusa con la punizione “esemplare” di sedici sciagurati, vorrà dire che il problema rimarrà irrisolto ed, anzi, finirà paradossalmente per essere ancor più alimentato. Il rischio ulteriore è quello dell’isolamento della Polizia Penitenziaria dalla società civile e, soprattutto, da chi la dirige, coi singoli poliziotti sempre più soli ed abbandonati dalle istituzioni. In buona sostanza, alla fine, c’è stata una esasperazione oltre misura della sciocchezza (se pur gravissima) di pochi sventurati, con l’estremizzazione delle conseguenze come fossero l’origine di tutti i mali. E tutto questo, temiamo, soltanto per allontanare ogni sospetto dal vero nocciolo del problema: la discutibile gestione delle carceri da parte del Dap e dei suoi dirigenti. E le sedici sospensioni dal servizio sono un ulteriore salto di qualità nella direzione dello scaricabarile sulla Polizia Penitenziaria... H
Polizia Penitenziaria n.225 febbraio 2015
6
il commento
Polizia Penitenziaria, cresce la fiducia degli italiani Roberto Martinelli Capo Redattore Segretario Generale Aggiunto del Sappe martinelli@sappe.it
Nelle foto: sotto il volume del Rapporto Italia 2015 al centro palinsesti televisivi
Polizia Penitenziaria n.225 febbraio 2015
l Grande Fardello, ovvero la Burocrazia e Fisco, sono il vero gancio che trattiene l’Italia. Un freno alla fuoriuscita del Paese dalla crisi che lo attanaglia e alla ripresa di un’economia che potrebbe contare sull’enorme potenzialità della quale dispone ancora l’Italia. Una potenza inespressa, imbrigliata e condizionata da un sistema di regole e vincoli soffocanti. E l’avvio del percorso di riforme che il governo sta tentando di imboccare è l’unica via di uscita possibile, sempre che si riescano a superare le resistenze interne al nostro sistema che lottano per il mantenimento dello statu quo, fatto di privilegi, corporativismi, spartizioni e interessi consolidati.
I
Sono queste alcune delle indicazioni che emergono dal Rapporto Italia 2015 dell’Eurispes, Istituto di Studi Politici, Economici e Sociali che dal 1982 racconta l’Italia attraverso ricerche, indagini, analisi e Rapporti.
Nel clima di generale sfiducia, evidenzia ancora il Rapporto, le Forze dell’Ordine e quelle Armate continuano ad essere un punto fermo per gli italiani. I risultati dell’indagine, infatti, non solo confermano che il consenso espresso dagli italiani nei confronti delle Forze di Polizia e Armate è ampio e sempre al di sopra del 50%, ma anche che continua a crescere. E non mancano le (per noi piacevoli) sorprese. Va intanto registrato, da parte dell’Istituto, come la diminuzione dei tassi di fiducia nelle Istituzioni di sicurezza, controllo e prevenzione registrati nel corso del 2014 abbiano rappresentato un fenomeno marginale. Tornano infatti in crescita i Carabinieri con il 73,4% dei consensi (+3,5%), recuperando in parte i 6,4 punti percentuali persi lo scorso anno. Anche Guardia di Finanza e Polizia di Stato tornano a segnare un andamento positivo, ma la prima supera la seconda con il 66,8% del gradimento contro il 63%. Si tratta di un sorpasso che si verifica per la prima volta all’interno della serie storica 20082015. In aumento anche il dato riferito al Corpo Forestale dello Stato (dal 62,6% del 2014 al 64,6% del 2015), confermando uno stretto rapporto di stima presso gli italiani. La Polizia penitenziaria – ed ecco la piacevole sorpresa che più direttamente ci riguarda ed interessa balza in avanti di ben 12,2 punti (57,8%) rispetto allo scorso anno. Un risultato eccellente, tanto più se si considera che arriva dopo uno stillicidio costante di denigrazioni ingiuste e ingiustificate per episodi di morte in carcere. Basta pensare ad esempio al caso Cucchi e il continuo battage mediatico negativo che ha colpito il Corpo di
Polizia Penitenziaria e i suoi appartenenti ‘a prescindere’, da chi era convinto di avere la “verità in tasca” senza una staccio di prova. Eppure, chi ha seguito il doloroso caso di Stefano Cucchi sapeva bene che per quanto riguarda i poliziotti penitenziari non poteva che esserci che l’assoluzione, non essendoci stato il pestaggio. La fiducia degli italiani verso la Polizia Penitenziaria è dunque motivo di orgoglio e soddisfazione, per tutto il Corpo di Polizia Penitenziaria e per noi del SAPPE che, da sempre, siamo impegnati per valorizzare il ruolo sociale e istituzionale dei Baschi Azzurri. Mettendoci la faccia: partecipando alle trasmissioni nelle varie emittenti Tv nazionali Rai-
Mediaset-Sky-La7 e locali, nelle radio; intervenendo con interviste, dichiarazioni e contributi sui quotidiani, sui periodici, sulle agenzie di stampa. Con l’impegno ultraventennale di questa Rivista – ideata, fatta e scritta da poliziotti penitenziari! - che esce ogni mese ininterrottamente ed ha – con orgoglio! – l’indicazione “Polizia Penitenziaria” nella testata e che veicola verso la società esterna, i cittadini, e le istituzioni i nostri commenti, le nostre opinioni, le nostre storie: con il blog e il sito internet del SAPPE.
il commento Abbiamo occupato lo spazio immenso che l’Amministrazione Penitenziaria ha, colpevolmente, trascurato in tema di comunicazione. Basti pensare, giusto per fare un paio di esempi, che lo stesso dato fornito dall’Eurispes non è stato commentato da alcuna Autorità ministeriale e dipartimentale, come invece avrebbe meritato. O vogliamo parlare della Rivista istituzionale Le Due Città, che ha “chiuso bottega” in fretta e furia e che non aveva alcun poliziotto penitenziario nel Comitato di Redazione, composto anche da persone che neppure erano giornaliste? Nell’editoria delle Forze di Polizia abbiamo Il Carabiniere, Polizia Moderna, Il Finanziere, Il Forestale: perché noi dovevamo avere Le Due Città? Forse per tenere nascosto quel termine, Polizia, che evidentemente creava prurito a talune anime candide del Dap? O per meglio diffondere articoli autoreferenziali sulla rieducazione e sul trattamento o su iniziative senza alcun interesse
mediatico (se non quello di chi le diffonde), come il mercatino natalizio dei detenuti e similiaria? Ed è secondo voi normale che nel momento in cui scrivo questo articolo, 19 febbraio 2015, il sito internet istituzionale della Polizia Penitenziaria proponga, tra le pubblicazioni, ancora il calendario del 2014 anziché quello del 2015 o, ancora, citi come Provveditore della Liguria un dirigente andato in pensione il 1 ottobre 2013? Va detto anche sembra davvero essersi instaurato uno strano cortocircuito nel flusso comunicativo delle informazioni sul sistema penitenziario.
Da un lato ci sono i detenuti, molto motivati e sempre più preparati ad affrontare un discorso sul carcere, anche grazie alle innumerevoli associazioni che si occupano di problemi sociali in generale e di quelli penitenziari in particolare, dall’altra parte c’è un’opinione pubblica spesso morbosa che si appassiona a fatti estremi, una volta è la rappresentazione teatrale in carcere dei “poveri detenuti”, un’altra volta è lo sdegno per l’amnistia ad un ergastolano che abbia scontato “solo” 35 anni di carcere o per uno che è evaso come nei film. In mezzo, l’Amministrazione Penitenziaria, che sta imparando a sfruttare l’interesse dell’opinione pubblica sulla prima parte, cioè cavalcando l’onda del buonismo e presentando i numerosi progetti di recupero e di reinserimento dei detenuti nella società. Poco importa se le statistiche, queste sì che ci sono (da qualche parte ci sono), dimostrano non solo che quelli realmente recuperati e reinseriti sono solo una minima parte e che gli sforzi per ottenere questi irrisori risultati costano alla società un notevolissimo sforzo economico, ma dimostrano anche che tutti gli altri, la stragrande maggioranza dei detenuti, vive all’interno degli Istituti in condizioni non certo degne di una delle sette/otto Nazioni più industrializzate. Pochissimo, quasi nulla, viene detto sulla Polizia Penitenziaria e i problemi che deve affrontare, e quasi sempre risolve, all’interno degli Istituti penitenziari. Il fenomeno che si sta cristallizzando sempre più è una situazione in cui le attenzioni mediatiche si dedicano ad attività teatrali, progetti di recupero, campagne di pulizia delle spiagge, tutte iniziative lodevoli e importanti se possono essere utili a sensibilizzare l’opinione pubblica sul carcere, ma quanti detenuti coinvolgono, quanti di loro effettivamente ottengono una possibilità di recupero e reinserimento nella società
7
partecipando a queste iniziative? Il confortante dato diffuso dal Rapporto 2015 dell’Eurispes deve – dovrebbe – essere invece da stimolo per mettere davvero le basi per nuove e incise forme di comunicazione istituzionale, che il SAPPE auspica e sollecita da anni, sulla professione e sulla funzione sociale della Polizia Penitenziaria. E’ importante per il Paese conoscere il lavoro svolto dai nostri colleghi, è importante che la Società riconosca e sostenga l’attività risocializzante della Polizia Penitenziaria e ne comprenda i sacrifici sostenuti per svolgere tale attività; un difficile compito portato avanti garantendo al contempo la sicurezza all’interno e all’esterno degli Istituti. Altro che i deliri cinici e ignobili di chi si compiace per il suicidio di un detenuto. Il nostro Corpo è costituito da persone che credono nel proprio lavoro, che hanno valori radicati e un forte senso d’identità e d’orgoglio. Per questo pretendiamo un serio
Nelle foto: sopra il logo dell’Eurispes a fianco francobollo commemorativo
impegno dell’Amministrazione Penitenziaria finalizzato a tutelare e promuovere adeguatamente l’immagine della Polizia Penitenziaria presso l’opinione pubblica. H
Polizia Penitenziaria n.225 febbraio 2015
8
Lady Oscar rivista@sappe.it
Nelle foto: sopra Elena Bellò al centro Chiara Sabattini a destra Susanna Zorzi
lo sport
Nuovi arrivi in casa Fiamme Azzurre inizio del 2015 ha visto ventuno nuovi atleti entrare a far parte del gruppo sportivo Fiamme Azzurre: 19 sono andati a rinverdire le sezioni delle discipline olimpiche, altri due sono stati inseriti invece nella sezione riservata alle specialità paralimpiche.
L’
caratteristiche, è giunta quarta agli 800 metri ai Giochi Olimpici Giovanili di Nanchino nell’agosto 2014, a pochissimo dal cogliere la medaglia di bronzo, comunque brava e lucida da migliorare il suo personale in una occasione così importante e ad alto tasso emotivo.
I neo-assunti, che per valore e prospettive di crescita meritano una presentazione dettagliata, sono: Elena Bellò e Lorenzo Veroli (atletica leggera), Chiara Sabattini e Norma Murabito (canoa), Francesco Ceci, Simona Frapporti, Rossella Ratto e Susanna Zorzi (ciclismo), Antonio Esposito (judo), Tommaso Rossano (pugilato), Alessandro Baciocchi e Niagol Stoyanov (tennis tavolo), Massimiliano Mandia e Claudia Mandia (tiro con l’arco), Delian Stateff ed Elena Petrini (triathlon), Mattia Camboni, Vittorio Bissaro e Silvia Sicouri (vela), Eleonora Sarti (paraarchery) e Giancarlo Masini (para-ciclismo).
E’ stata semifinalista ai Mondiali U18 di Donetsk e argento alle Gymnasiadi di Brasilia nel 2013 e vanta 55.30 sui 400m e 2:06.31 sugli 800m (nella finale olimpica), MPN allieve sui 600m (1:30.36). Lorenzo VEROLI (Recanati/Macerata – 5 settembre1992) specialista dei 400m ostacoli con un personale di 50.95 (47.92 sui 400m piani). E’ giunto quinto nella finale dei Mondiali allievi di Bressanone 2009. Semifinalista sia agli Europei juniores di Tallinn 2011, sia agli Europei U23 di Tampere 2013, è uno degli atleti più promettenti nella sua specialità.
Atletica leggera
Polizia Penitenziaria n.225 febbraio 2015
Elena BELLO’ (Schio/Vicenza – 18 gennaio 1997), a 17 anni entra a far parte della squadra della Polizia Penitenziaria dopo un biennio di risultati importanti che la vedono in continua ascesa nel panorama dell’atletica italiana. Mezzofondista per talento e
Canoa Chiara SABATTINI (Genova – 21 dicembre 1993) inaugura nelle Fiamme Azzurre il settore della canoa slalom, che andrà ad affiancarsi a quello della velocità nella pagaia, già ricco di soddisfazioni e risultati importanti. Chiara unisce agli undici allenamenti settimanali (tra palestra e canoa) la passione per la musica (è al nono anno di conservatorio nel
pianoforte). E’ stata argento a squadre negli Europei U23 2013 in Francia e 13ª individuale lo scorso anno in Macedonia. Il settore velocità della canoa si è invece incrementato con l’avvento di Norma MURABITO (Taormina/Messina – 12 ottobre 1987). Olimpica ai Giochi di Londra 2012, aveva conquistato il pass nel K1 200 nello spareggio di qualificazione olimpica svoltosi a Poznan. La campionessa siciliana era arrivata seconda dietro l’ucraina Klinova, centrando uno dei due posti che garantivano l’accesso alla XXX edizione dei Giochi Olimpici Estivi.
Ciclismo Quattro arrivi nelle due ruote, tra pista e strada: la new-entry più titolata è Rossella RATTO (Moncalieri/Torino – 20 ottobre 1993), bronzo nella prova in linea élite ai Mondiali 2013 in Toscana e argento nella rassegna iridata juniores 2010. Sempre nella stagione 2010/2011 aveva conquistato il bronzo agli europei su strada di Ankara 2010 più due ori all’europeo strada e crono di Offida 2011. Specialista della strada è anche Susanna ZORZI (Thiene/Vicenza – 13 marzo 1992), bronzo nella crono a squadre negli ultimi Mondiali di Ponferrada e campionessa europea U23 nel 2013 in Repubblica Ceca. Terza al Mondiale Cronosquadre 2014 (Astana - BePink) e ugualmente bronzo al Mondiale Juniores 2009. Quanto al settore della pista, sia nel settore maschile sia in quello femminile, arrivano due colonne della nazionale azzurra della specialità: Francesco CECI (Ascoli Piceno – 18 dicembre 1989) e Simona FRAPPORTI (Gavardo/Brescia – 14 luglio 1988).
lo sport Ceci è attualmente il miglior esponente italiano della velocità su pista. Simona, più volte campionessa nazionale nella velocità olimpica ed in quella individuale, condivide la passione delle due ruote con una famiglia di ciclisti: anche i fratelli Mattia e Marco corrono in bicicletta.
Judo Approda in Fiamme Azzurre una delle promesse azzurre più accreditata per farsi strada nella categoria olimpica al limite dei 73kg: Antonio ESPOSITO (Melito/Napoli – 18 novembre 1994), in questa categoria ha già messo in
cascina il titolo mondiale juniores 2013 a Lubiana e l’oro europeo U23 a Wroclaw. Cresciuto sportivamente nella palestra di Star Judo Club di Scampia del Maestro Giovanni Maddaloni, da un paio di anni per allenarsi frequenta la Nippon Judo Club di Ponticelli, non potendo contare, nella sua Melito, di strutture adeguate a sostenerne la crescita sportiva.
Pugilato Anch’egli figlio della florida tradizione pugilistica di Marcianise che tanti talenti ha regalato all’Italia (su tutti il cugino Clemente Russo), la new-entry della Polizia Penitenziaria nel pugilato è Tommaso ROSSANO (Piedimonte Matese/Caserta – 29 giugno 1993), nella categoria supermassimi - +91kg.
Vincitore del “Guanto d’Oro” 2013, Tommaso è anche uno studente ed un ragazzo modello: dopo un diploma scientifico conseguito con il massimo dei voti è iscritto al corso di laurea in Ingegneria Chimica alla Federico II di Napoli. Frequenta l’azione cattolica, si reca ogni domenica a messa, impegni sportivi permettendo ed è membro della corale. È alto 190 cm, ha disputato 34 incontri dei quali ne ha vinti 26; è stato vincitore del Campionato Youth nel 2011, campione italiano universitario e Guanto d’oro 2013.
Tennis da tavolo Due atleti della nazionale maschile inaugurano una nuova sezione mai praticata prima nelle Fiamme Azzurre: Alessandro BACIOCCHI (Perugia – 21 maggio 1995) ha partecipato più volte agli Europei e ai Mondiali giovanili vincendo il titolo continentale a squadre juniores a Ostrava nel 2013, dopo il bronzo dell’anno precedente, mentre il naturalizzato Niagol STOYANOV (Sofia/Bulgaria – 31 maggio 1987) è da diverse stagioni una delle colonne della squadra olimpica italiana, argento a squadre agli ultimi Giochi del Mediterraneo di Mersin 2013.
Tiro con l’arco A far crescere e rinverdire la squadra di tiro con l’arco sono arrivati due fratelli originari di Salerno: Massimiliano e Claudia MANDIA (entrambi nati a Battipaglia/Salerno, rispettivamente il 24 gennaio 1990 e il 21 ottobre 1992), già molto affermati a livello internazionale in varie specialità, dall’arco olimpico al tiro di campagna, dalle indoor al 3-D.
Triathlon Delian STATEFF (Roma – 26 marzo 1994) ed Elena PETRINI (Spoleto/PG – 11 febbraio 1992), vanno ad incrementare l’ottimo settore del triathlon delle Fiamme Azzurre, reso grande da atleti del calibro di Nadia Cortassa e attualmente da Alex Buttazzoni e Davide Uccellari.
9
Stateff, più volte campione italiano di categoria, nel 2013, tra gli altri risultati, ha conseguito il bronzo nel campionato europeo juniores. Elena Petrini invece già dal 2010, a soli 18 anni ha iniziato ad affacciarsi ai grandi risultati internazionali vincendo i mondiali di aquathlon (junior), i campionati nazionali di triathlon e di aquathlon nonché la Coppa nazionale Junior.
Vela La Polizia Penitenziaria, già avviata nella minialtura con uno dei migliori equipaggi italiani del J24 e con una
bella realtà di scuola giovanile dl settore, ha avviato il suo impegno anche in due classi olimpiche: difenderanno i colori delle Fiamme Azzurre il campione mondiale juniores 2013 (e bicampione iridato U17 nel 2011 e 2012) di “Windsurf” Mattia CAMBONI (Civitavecchia/Roma – 26 aprile 1996) e i migliori esponenti azzurri della classe dei catamarani “Nacra-17”, Vittorio BISSARO (Verona – 1° giugno 1987) e Silvia SICOURI (Genova – 27 settembre 1987), più volte sul podio in prove di Coppa del Mondo.
Nelle foto: sopra Mattia Camboni a sinistra Antonio Esposito in basso Tommaso Rossano
Sport paralimpici I nuovi arrivi sono quelli di Giancarlo MASINI (Pontevico/Brescia – 10 gennaio 1970) nel para-ciclismo (categoria C1), argento della cronometro iridata 2014 e la campionessa di para-archery Eleonora SARTI (proveniente dall’Arcieri Castenaso - 10 marzo 1986), che va ad aggiungersi agli altri grandi interpreti dell’arco paralimpico, Alberto Simonelli ed Elisabetta Mijno. H
Polizia Penitenziaria n.225 febbraio 2015
10
Giovanni Battista Durante Redazione Politica Segretario Generale Aggiunto del Sappe durante@sappe.it
l’osservatorio
Scrivere su internet non è come parlare al bar... a vicenda che ha visto coinvolti sedici appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria, i quali hanno fatto dei commenti inopportuni su facebook, relativamente al suicidio di un detenuto romeno, merita un approfondimento che tenterò di fare attraverso la mia rubrica. Sono ormai ventisei anni che sono nel Corpo e da ventitré faccio attività sindacale. Nel Corpo ho ricoperto tutti i ruoli e nel sindacato ho iniziato da segretario locale di Bologna. Dico questo per evidenziare che conosco un po’ la nostra realtà, il “nostro mondo”; lo conosco al punto da poter dire che la Polizia Penitenziaria non è quella che può emergere da semplici commenti da bar, perché come tali vanno inquadrati. Quei colleghi hanno commesso una sciocchezza, nel fare quei deprecabili commenti, ma di ciò si tratta, niente di più, perché sono più che sicuro che
L
Nella foto: un agente in sezione
Polizia Penitenziaria n.225 febbraio 2015
sarebbero i primi ad intervenire se vedessero che un detenuto si sta togliendo la vita, così come fanno in tanti; infatti, sono più di mille i detenuti che ogni anno vengono salvati dalla Polizia Penitenziaria. Certo non si possono giustificare, ma neanche trattare come se fossero dei criminali, cosa che attraverso
l’eccessivo clamore mediatico è stato fatto in questi giorni. Mi è capitato di parlare con alcuni giornalisti autorevoli ed anche loro hanno convenuto sul fatto che il clamore è stato davvero eccessivo, per fatti che vanno stigmatizzati, ma non criminalizzati. Anche il Senatore Manconi, che non si è mai distinto per essere vicino alle Forze di polizia, pare abbia detto che ciò che è accaduto va inquadrato nel clima di esasperazione che si vive nelle carceri. Una situazione fatta di continue aggressioni al personale di Polizia Penitenziaria, di cui nessuno parlerebbe mai, se non lo facesse il sindacato: chi ha mai parlato di quei colleghi che hanno ricevuto sputi in faccia, sangue infetto ed escrementi addosso? E’ vero, tutto questo non giustifica il comportamento dei colleghi, ma l’iniziativa del Dipartimento è evidentemente abnorme rispetto ai fatti. Non c’era, a nostro avviso, nessuna necessità di procedere alla sospensione, considerato che, per cose molto più gravi, l’amministrazione non lo ha fatto. Crediamo che tutto sia stato condizionato dal clamore mediatico, ma un’amministrazione dello Stato non può farsi condizionare dal clamore dei media, ha l’obbligo di valutare e giudicare con freddezza e distacco, anche perché si tratta di provvedimenti che incidono in maniera significativa sulla vita delle persone: si provi ad immaginare come possa vivere una famiglia monoreddito, in una grande città, con metà stipendio; già fanno molta fatica con lo stipendio intero. Ma, al di là di tali considerazioni, che pure sono rilevanti, non c’era, a
nostro avviso, la necessità di procedere alla sospensione. Proprio in ragione di tale considerazione, l’amministrazione avrebbe dovuto valutare anche gli effetti a cui facevamo riferimento prima, cioè il danno e le conseguenze sulla vita di questi colleghi e delle loro famiglie. Ci auguriamo che, passato il clamore mediatico, quando si tratterà di valutare la sanzione disciplinare, coloro che saranno chiamati a giudicare, lo faranno con una maggiore attenzione. E’ vero, come scrive il Capo Dipartimento nella premessa del provvedimento di sospensione, che Il personale di polizia penitenziaria deve mantenere standard elevati di onestà e di integrità personali. Rispettare e tutelare il diritto alla vita di ogni persona. Gli istituti penitenziari devono essere gestiti in un contesto etico che sottolinea l’obbligo di trattare tutti i detenuti con umanità e di rispettare la dignità inerente ad ogni essere umano... ma riteniamo che quei colleghi non siano venuti meno a questi principi, non avendo posto in essere alcun atto concreto in tale direzione, anzi, siamo sempre più convinti, come già scritto all’inizio di questo articolo, che quei colleghi sarebbero i primi ad intervenire per salvare la vita di qualsiasi detenuto che dovesse tentare il suicidio. Questo per rafforzare il nostro pensiero, rispetto al fatto che il provvedimento sia abnorme, fermo restando che le frasi scritte sono deprecabili e meritano un’attenzione disciplinare adeguata. Quindi, bene avrebbe fatto l’amministrazione ad avviare l’azione disciplinare, senza procedere alla sospensione cautelare dal servizio. E’ opportuno, comunque, che questa vicenda, con le sue abnormità, sia mediatiche, sia per le iniziative assunte dall’amministrazione, sia da monito a tutti i colleghi, affinchè capiscano che scrivere su un social network non è come parlare al bar con quattro amici, fermo restando che certe frasi non sono condivisibili neanche al bar. H
mondo penitenziario
Salute e privazione della libertà: il caso toscano
I
l 7 Gennaio 2015, presso l’Aula Magna della Facoltà di Medicina e Chirurgia di Firenze, si è svolto il convegno “L’infermiere e il detenuto – Riflessione sull’Assistenza Infermieristica Penitenziaria” a cui hanno partecipato molti studenti con l’intenzione di conoscere alcuni dei tanti aspetti che fanno parte dell’organizzazione sanitaria all’interno degli istituti penitenziari. L’iniziativa prende le mosse da una collaborazione che ho avuto l’onore ed il piacere di avere con la Prof. Donatella Lippi, Docente di Storia della Medicina nella stessa Facoltà, in occasione di una mostra organizzata nel 2012, anno del bicentenario della nascita di Filippo Pacini, insigne medico pistoiese e che si è protratta nel tempo quando, nel gennaio 2014, è stato pubblicato il libro “Storia della Scuola Medica Pistoiese”, la cui autorevole premessa porta appunto la firma di Donatella Lippi.
Per l’Amministrazione penitenziaria era presente il Commissario Giuseppe Pilumeli che ha parlato in maniera puntuale e circostanziata dell’attuale situazione della sanità penitenziaria, alla luce delle “rivoluzioni” legislative avvenute negli ultimi anni che non hanno tuttavia risolto le molteplici criticità correlate ad una gestione che
in molti casi si presenta difficile e complessa. Il mio intervento si è focalizzato essenzialmente sugli aspetti storici, ovvero su come il legislatore nei secoli ha inteso sì punire chi si fosse macchiato di un delitto ma anche considerare il recluso bisognoso di cure al pari degli altri cittadini, naturalmente con le differenze che ha comportato nei secoli l’evoluzione del concetto di pena. Vi chiederete perché parlare di storia della cura o della sanità penitenziaria quando sarebbe opportuno e necessario parlare delle numerose criticità attuali? Citerò un’affermazione che il famoso storico March Bloch scrisse nel 1949 nel suo libro più famoso “Apologia della storia: L’incomprensione del presente cresce fatalmente nell’ignoranza del passato”. Soffermandoci al solo caso toscano, non si potrà che parlare del grande Pietro Leopoldo D’Asburgo Lorena, massimo esempio di sovrano illuminato, famoso per il grande equilibrio con cui governava il suo popolo, egli ha lasciato un’impronta indelebile nella storia del diritto. Nell’antico Carcere delle Stinche, da una descrizione del 1781, possiamo apprendere che “le donne disponevano di un piccolo ospedale attiguo alle stanze ed una nuova infermeria molto grande era destinata agli uomini vicino alla cappella”. Ma la realtà delle carceri toscane , come negli altri stati, non era certo “gradevole”. Le condizioni concrete che
11 Rosa Cirone Casa Circondariale di Prato rivista@sappe.it
erano al limite della sopravvivenza, le troviamo anche nel secolo successivo; i reclusi venivano stipati in condizioni disumane, l’igiene era del tutto inesistente. Soltanto a quelli affetti da malattie venivano somministrate quattro once di carne. Per quelli “sani”, trenta once di pane e quattro once di minestra cotta. Anche il personale di custodia viveva in condizioni non diverse da quelle dei prigionieri; essi patirono la fame per lunghi periodi per la mancata riscossione del già misero salario. Le continue suppliche non limitarono le gravi conseguenze; tuttavia, alcuni tra i provvedimenti furono risolutivi, quali l’obbligo di imbiancare a calce tutte le carceri; gli stessi carcerieri erano responsabili della pulizia degli immobili, i medici della loro disinfestazione con acido muriatico. Il conte Petitti di Roreto, considerato il “Bentham della riforma carceraria italiana”, affermò che alle Murate Nelle foto: a sinistra Filippo Pacini a fianco Pietro Leopoldo I D’Asburgo Lorena
‡ Polizia Penitenziaria n.225 febbraio 2015
12
Nelle foto: sopra l’ingresso dell’ex carcere di San Gimignano a destra Leopoldo II l’ultimo Granduca di Toscana
Polizia Penitenziaria n.225 febbraio 2015
mondo penitenziario “aveva veduto le più belle celle ancora trovate fra le tante carceri percorse”. Nel 1840 iniziarono i lavori di ristrutturazione del penitenziario di San Gimignano, già nel 1833 ergastolo per le donne a regime comune. Si separarono i locali in cui venivano svolte le attività lavorative da quelli adibiti a dormitorio in modo da ristabilire un minimo di regole igieniche. La salvaguardia delle norme igieniche fu probabilmente una delle cause che determinarono nel 1841 la dotazione delle recluse di “un vestiario uniforme”. Una circostanza abbastanza singolare
loro destino ...trovansi inabili del tutto ad eseguire la gita a piedi, fanno istanza, o di rimanere o per una Cavalcatura...”. Il regolamento del 1845, sempre a tutela dell’igiene e della salubrità, stabilì la soppressione dei “luoghi comodi” e fu garantito il costante approvvigionamento d’acqua. Il Dott. Carlo Morelli, visitando nel 1854 il carcere di Volterra, colpito da gravi epidemie, constatò che su 385 detenuti, 35 godenti salute perfetta e florida, 128 sani abbastanza, 52 sani, ma alquanto infiacchiti ed emaciati, 71 con qualche inizio della malattia dominante (tubercolosi), 68 più o meno malati lievi o comuni, i più però per la malattia dominante, e
fu quella di adibire un solo custode alla sorveglianza dell’intero penitenziario e di sopperire alla mancanza di esso investendo dell’incarico la moglie dell’unico custode. Presso l’Archivio di Stato di Pistoia, a testimonianza della grande modernità della legislazione toscana, ho ritrovato un interessante documento datato 1840 che raccomanda i “Ministri di Polizia che si trovano di fronte a individui affetti da malattie cutanee, e delle donne gravide, di esaminare se possa procedersi alla sostituzione d’una diversa misura”. Ma già nel 1815, “...nelle verificazioni dello stato di salute di quei Detenuti, che dovendo essere trasportati ad altre Carceri, o al
finalmente 31 allettati e in più o meno pericolo della vita, affetti da malattia dominante. Sono molte le curiosità da cui un lettore attento può trarre riflessioni e forse anche stimoli per trovare soluzioni alle mille difficoltà che tutti gli operatori incontrano oggi nella quotidianità. Concludendo, non si può fare altro che affermare: dall’abolizione della tortura e della pena di morte, fino ad arrivare all’ultimo codice di Leopoldo II, la Toscana è stata per molti anni una delle protagoniste dello scenario della legislazione europea; anche se non realizzò appieno gli obiettivi che si era prefissata, forse più di ogni stato italiano, ebbe la consapevolezza di riconoscere in molte occasione i limiti della giustizia. H
ome è noto, il personale di Polizia Penitenziaria, oltre a garantire tutte le attività descritte nei precedenti numeri della presente rivista (Dipartimento, Centri Giustizia Minorile, Istituti Penali), opera anche nei Centri di prima accoglienza (più conosciuti con l’acronimo CPA). Il CPA è una struttura autonoma, distante e diversa dall’Istituto Penale Minorile, che dipende comunque dal Centro Giustizia Minorile regionale competente per territorio. Invero, in alcune realtà d’Italia i CPA sono adiacenti agli Istituti Penali, con ingressi separati o addirittura sono ricavati in locali separati, ma inglobati negli IPM. Detti centri sono strutture adibite ad ospitare - con carattere di continuità sulle 24 ore- minorenni in stato di arresto, fermo o accompagnamento e ciò fino all’udienza di convalida che deve concretizzarsi entro 96 ore dal fermo. In virtù del disposto dell’art.9 del DPR del 22 settembre 1988, detti centri devono garantire la tutela dei minorenni senza configurarsi come strutture penitenziarie. I Corpi di polizia che operano sul territorio, su disposizione della Procura della Repubblica Minorile, accompagnano i minori presunti autori di reato al più vicino CPA consegnandoli al personale del Corpo di Polizia Penitenziaria che li tutela fino all’udienza davanti al Giudice per le Indagini Preliminari. Scopi principali dei Centri di Prima Accoglienza sono: • fornire i primi elementi di conoscenza dei minori all’autorità giudiziaria procedente; • svolgere attività di sostegno e chiarificazione nel confronto dei minori; • collaborare con gli altri servizi minorili; • instaurare contatti immediati con le famiglie. Scopi principali dei Centri di Prima Accoglienza nei confronti dei minori sono: • indurre il minore alla riflessione sul reato commesso; • spingere il minore a relazionarsi in maniera adeguata con gli altri;
C
giustizia minorile
13
I Centri di Prima Accoglienza per minori nella Giustizia Minorile • sollecitare il minore ad assumersi le proprie responsabilità rispetto alle proprie azioni; • assistenza in sede di convalida e giudizio. Il lavoro dei CPA mira ad una mediazione giudiziaria con le varie autorità al fine di fornire i primi elementi di conoscenza del minore relativamente al proprio contesto familiare personale e sociale. Nel caso in cui ci si trovi davanti a casi in cui siano coinvolti minori stranieri, dei quali spesso è difficile l’identificazione, in base all’art. 349 del Cpp, gli organi di Polizia provvedono all’identificazione attraverso rilievi antropometrici (ad esempio una radiografia del polso per accertare l’età) e rilievi segnaletici di carattere descrittivo, fotografico e dattiloscopico. Tutti questi dati contribuiscono all’elaborazione di un modulo denominato “cartellino segnaletico”, unico documento relativo alla personalità del minore straniero. Il CPA nell’iter processuale del minore Il minore macchiatosi di reato ha il suo primo contatto nell’ambito del sistema giudiziario coi servizi di Polizia preposti al controllo del territorio. Il primo impatto del minore con la giustizia è stato oggetto di attenzione già nel 1975 da parte dell’ ONU prevedendo all’art.10 comma 3 che i contatti tra le Forze dell’Ordine e il minore colpevole di reato devono avvenire nel rispetto del suo stato giuridico, evitando di nuocergli e tenendo sempre conto delle circostanze del caso. Infatti il contatto iniziale è fondamentale perché potrebbe influenzare l’atteggiamento del minore verso la società e lo Stato. Il successo di ogni intervento dipende molto da questi primi approcci, per cui si raccomanda benevolenza e
fermezza. Oggi l’art.20 D.Lgs. 272/1989 prevede che l’operatore di xpolizia deve: • evitare l’uso di strumenti di coercizione fisica salvo in caso di necessità per ragioni di sicurezza; • trattenere i minorenni in locali separati da quelli che ospitano i maggiorenni già arrestati o fermati; • adottare cautele al fine di proteggere il minore dalla curiosità del pubblico limitandone disagi, sofferenze materiali e psicologiche. Tratto dalla circolare D.G.M. del 28 dicembre 2006 La presenza della Polizia Penitenziaria nel CPA assume una particolare specificità: si tratta di valorizzare la portata del dettato normativo, attualizzandolo alla peculiarità del servizio e favorendo l’impegno della Polizia Penitenziaria non solo nell’espletamento delle attività di vigilanza, ma anche nello sviluppo di una più attenta competenza nell’ambito dell’osservazione e trattamento dei minori, così da fornire all’equipe quel contributo di conoscenza insostituibile che deriva dal quotidiano contatto professionale con l’utenza Il personale del Corpo assicura che i minori: • non si allontanino dal CPA , commettendo il reato di evasione; • non mettano in atto gesti auto ed etero-lesivi, • non commettano ulteriori reati, • rispettino le regole di vita comune. Devono garantire, inoltre, l’accesso alla struttura ai soli soggetti aventi diritto e a tutti coloro che vengono autorizzati, di volta in volta, dagli organi giudiziari competenti. La presenza della Polizia Penitenziaria all’interno dei Centri di Prima Accoglienza è prevista istituzionalmente: infatti l’esecuzione dei provvedimenti restrittivi della
libertà personale è di competenza del Corpo di Polizia Penitenziaria ai sensi dell’articolo 5 comma 2 della legge 395/90. Dalla stessa norma derivano l’esclusività di alcune competenze, in particolare di tutte le attività che non possono essere svolte da altri operatori, quali le perquisizioni, le traduzioni, gli atti di PG, i collegamenti con le altre Forze di Polizia e così via.
Gli operatori di Polizia Penitenziaria concorrono al raggiungimento degli obiettivi del servizio, integrandosi con le altre figure professionali nell’accoglienza e nella attività di chiarificazione e di sostegno dei minori. Essi registrano il comportamento dei minori e ne condividono le osservazioni con il personale dell’area tecnica, partecipando all’equipe. In questo ambito si inserisce in piena integrazione il contributo della Polizia Penitenziaria, in una chiave di specializzazione nel settore minorile, di interazione con le altre figure istituzionali, di compartecipazione alla realizzazione degli obiettivi del servizio. H
Ciro Borrelli Referente Sappe per la Formazione e Scuole G. Minorile borrelli@sappe.it
Nella foto: il CPA di Napoli
Polizia Penitenziaria n.225 febbraio 2015
14
diritto e diritti
Diritto al congedo ordinario durante l’aspettativa speciale Giovanni Passaro Segretario Provinciale Sappe passaro@sappe.it
aro Giovanni, in qualità di rappresentante sindacale del SAPPe e diretto interessato della seguente questione (che per dovere di cronaca riporto), vorrei un tuo parere: lo scrivente, già appartenente al Corpo di Polizia Penitenziaria è stato convocato, presso la Scuola di Formazione e di aggiornamento, per la frequentazione del corso di formazione per la nomina ad allievo Vice Ispettore, e posto in stato di “aspettativa speciale” ex art. 26, comma 2, D.lgs. 443/92, senza sospensione del trattamento economico in godimento, né dell’anzianità di servizio. Al termine del predetto corso di formazione con provvedimento prot. GDAP-0027297-2015 del 26.01.2015 del Direttore Generale del Personale e della Formazione è stato negato il diritto al congedo ordinario maturato durante il corso di formazione (11/11/2013 – 17/11/2014). A tal proposito, ritengo indebita l’azione amministrativa con la quale il Direttore Generale del Personale e della Formazione ha negato il diritto al congedo ordinario maturato. Vorrei il tuo parere. Grazie
C
entile collega, a parere dello scrivente il provvedimento amministrativo de qua assunto dalla Direzione Generale del Personale e della formazione appare palesemente illegittimo in diritto per: VIOLAZIONE DI LEGGE: per la falsa applicazione dell’art. 34, del D.Lgs. 443/1992 e per violazione dell’art. 14, del Decreto del Presidente della Repubblica 31 luglio 1995, n.395 (Nuova disciplina in tema di festività, congedi, aspettativa e permessi);
G Polizia Penitenziaria n.225 febbraio 2015
ECCESSO DI POTERE: difetto di motivazione, carenza di presupposti, carenza di istruttoria, erroneità e travisamento dei fatti, nonché per illogicità e irrazionalità manifesta. La Pubblica Amministrazione, nel valutare le istanze dei dipendenti, è tenuta ad attuare le disposizioni in materia in modo da non vanificare la tutela offerta dal legislatore e quindi, anche ai fini di non prestarsi ad eventuali abusi, a effettuare una rigorosa, oggettiva, chiara e concreta istruttoria predisponendo tutti gli accertamenti necessari. Violazione e falsa applicazione dell’art. 34 del Dlgs 443/92; nonché per eccesso di potere per sviamento, errore sui presupposti, travisamento della realtà, mancanza assoluta o, quanto meno, insufficienza di motivazione, ingiustizia manifesta. La prima censura sul modus agendi della P.A. è che il provvedimento in questione non ha tenuto conto della pregressa appartenenza al Corpo di Polizia Penitenziaria e si basa solo su riferimenti normativi “…il diritto al congedo ordinario matura dalla data di nomina in prova”, ovvero riporta una legge superata dall’art. 14, del Decreto del Presidente della Repubblica 31 luglio 1995, n.395, infatti, il comma 2, art. 34, del D.Lgs 443/92 riporta “Fino a quando non sara’ determinata la disciplina sui congedi mediante gli accordi di cui al comma 14 dell’articolo 19 della legge 15 dicembre 1990, n. 395”. Inoltre, la circolare DAP n° 3426/5876 del 27/04/1996, esplicativa del DPR 395/1995, al punto 3 del congedo ordinario recita “…oltre ai casi espressamente previsti dalla legge, il congedo ordinario viene maturato solo in relazione alla effettiva prestazione dell’attività lavorativa”.
Al riguardo l’orientamento giurisprudenziale ha evidenziato che il diritto del lavoratore alle ferie annuali, tutelato dall’art. 36 della Costituzione, è ricollegabile non solo ad una funzione di corrispettivo dell’attività lavorativa, ma altresì - come riconosciuto dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 616 del 1987 e n. 158 del 2001- al soddisfacimento di esigenze psicologiche fondamentali del lavoratore, il quale - a prescindere dalla effettività della prestazione mediante le ferie può partecipare più incisivamente alla vita familiare e sociale e può vedersi tutelato il proprio diritto alla salute nell’interesse dello stesso datore di lavoro; da ciò consegue che la maturazione di tale diritto non può essere impedita dalla sospensione del rapporto per la frequentazione del corso di formazione del lavoratore. Poiché il nostro ordinamento tutela il diritto alle ferie in tutti i casi in cui la mancata prestazione lavorativa non sia imputabile alla volontà dell’interessato, bensì dipenda dalla legge o da uno stato di necessità, va ritenuta la maturazione del diritto alle ferie anche per i periodi di frequenza del sopra citato corso di formazione. Lo status di allievo vice ispettore non è regolamentato dalla normativa di settore, né da atti interni della P.A. da cui possano regolamentarsi le varie situazioni giuridiche. Il provvedimento posto in essere appare arbitrario, privo di alcuna motivazione e lede i diritti soggettivi degli interessati. Inoltre, durante lo svolgimento del corso di formazione risulta che gli allievi sono stati impiegati in attività di servizio, con relativo armamento, durante la festa del Corpo di Polizia Penitenziaria del 15 maggio 2014, il cambio della guardia al Quirinale dello stesso 15 maggio 2014, la parata delle forze
diritto e diritti dell’ordine del 2 giugno 2014, nonché, impiegato in turni di servizio, seppur non operativo, durante il periodo di on the job. Infine, la disposizione impartita nel provvedimento esame del quesito ha determinato una disparità di trattamento tra i neo vice ispettori ed il restante personale appartenente al Corpo durante il periodo di malattia, in quanto quest’ultimi hanno regolarmente maturato il diritto alle ferie; mentre i destinatari del provvedimento sopra citato hanno dovuto rinunciare al diritto alle ferie costituzionalmente garantito. Infatti, l’art. 7, par. 1, della direttiva 03/88/CE, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, deve essere interpretato nel senso che osta a norme o a prassi nazionali che prevedono che il diritto alle ferie annuali retribuite sia subordinato a un periodo di lavoro effettivo minimo durante il periodo di
riferimento. Le ferie maturano durante il periodo di aspettativa per infermità e di malattia, atteso che il diritto del lavoratore alle ferie annuali tutelato dall’art. 36 Cost., è ricollegabile non solo a una funzione di corrispettivo dell’attività lavorativa, ma anche al soddisfacimento di esigenze psicologiche fondamentali del lavoratore; in particolare il diritto alla maturazione (e alla fruizione) delle ferie – a prescindere dall’effettività della prestazione lavorativa – consente al prestatore di partecipare più incisivamente alla vita familiare e sociale, vedendosi in tal modo tutelato il proprio diritto alla salute anche nell’interesse dello stesso datore di lavoro. In tal caso, la Pubblica Amministrazione ha disciplinato, in maniera differente, casi del tutto identici dal punto di vista della realtà fattuale che li costituisce (ossia dal punto di vista oggettivo) ovvero dal
15
punto di vista dei soggetti che partecipano alla vicenda (dal punto di vista soggettivo). Infine, altra caratteristica del diritto alle ferie è, inoltre, la sua completa autonomia rispetto alle vicende del rapporto di lavoro. Invero, la stessa Corte Costituzionale con la decisione n. 66 del 1963 ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 2109 c.c. laddove subordinava il diritto alle ferie ad un anno di attività lavorativa. Da ciò consegue che la maturazione di tale diritto non può essere impedita dalla sospensione del rapporto per la frequentazione del corso di formazione del lavoratore e che la stessa autonomia privata, nella determinazione della durata delle ferie ex art. 2109 c.c., trova un limite insuperabile nella necessità di parificare ai periodi di servizio quelli di aspettativa speciale del lavoratore per la frequentazione del corso da allievo vice ispettore. H
Richiedi il tuo indirizzo e-mail di PoliziaPenitenziaria.it:
tuonome@poliziapenitenziaria.it La posta elettronica offerta a tutti gli appartenenti al Corpo, in servizio e in congedo.
S I T A R G B 100 M
Visita il sito www.poliziapenitenziaria.it per scoprire modalità e procedure per attivare il servizio. Polizia Penitenziaria n.225 febbraio 2015
16
dalle segreterie Trieste
rivista@sappe.it
Sap, Sappe e Conapo uniti per il “Carnevale dei bambini 2015” e solidarietà per i bimbi vittime di guerra nche quest’anno, nel pomeriggio di venerdì 13 febbraio 2015, presso la sede del S.A.F.O.C. (Sindacato Autonomo Forze dell'Ordine in Congedo) di Trieste si è tenuta la festa di Carnevale per i bambini. Grande successo e apprezzamento da parte dei numerosi bambini e familiari intervenuti, al “Carnevale dei bambini 2015” organizzato dal SAP (Sindacato Autonomo Polizia) SAPPe (Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria)e CONAPO (Sindacato Autonomo Vigili del Fuoco), che hanno voluto condividere questo momento di divertimento e felicità con chi non ha avuto le stesse fortune
A
Nisida Festa per il Carnevale 2015 per i figli del personale dell’istituto
I Polizia Penitenziaria n.225 febbraio 2015
l 17 febbraio è stata organizzata dalla Segreteria Locale Sappe una festa in favore dei figli dei dipendenti in servizio all’Istituto Penale Minorile di Nisida. Il personale di Polizia Penitenziaria in servizio presso l’Isituto Minorile ringrazia la Direzione per aver concesso la sala che solitamente è utilizzata per eventi istituzionali. H
e opportunità dei nostri bimbi invitando i “Bambini vittime della guerra” della Fondazione Luchetta Ota D’Angelo Hrovatin. Un bel pomeriggio di felicità e allegria, condiviso dalle famiglie di chi ogni giorno garantisce la Sicurezza e il
Soccorso Pubblico ai cittadini con quei bambini che nella vita non sono stati così fortunati. Nel corso del pomeriggio, in una forma del tutto spontanea, sono stati raccolti dei fondi per la Fondazione. H Il Segretario Locale Sappe Corrado Venturati
dalle segreterie
17
Cairo Montenotte Giuseppe Forte lascia la direzione della Scuola per andare in pensione
rivista@sappe.it
G
iuseppe Forte lascia il testimone della Direzione della Scuola di Cairo Montenotte: si inizia una nuova era con la Direzione ai Generali AA.CC.? Il Generale Vicenzi alla guida della Scuola di Verbania ed al Generale Giuseppe Zito alla direzione della Scuola di Cairo Montenotte. Per Giuseppe Forte la città di Cairo Montenotte non è una nuova conoscenza, perchè proprio in questa città ha avuto inizio la sua carriera nell’Amministrazione Penitenziaria; infatti nel 1977 vi frequentò il corso
Roma In ricordo dell’Assistente capo Giovanni Azzuè Ciao zio chi ti scrive queste due righe è uno dei tuoi nipoti, sperando che arrivino fino al Paradiso, in modo tale che tu possa leggerle. A te ero molto affezionato, ricordo le tue scherzose affermazioni nei miei confronti, prendendomi un po’ in giro. Per motivi lavorativi la lontananza ci ha portato ad essere distanti centinaia di chilometri, ma nonostante tutto riuscivamo a vederci più volte. Ai miei nonni, cioè i tuoi genitori, domandavo sempre: «Quando viene zio Giovanni?». Lo domandavo perché era bello stare con te e la tua famiglia. Si pranzava e si cenava insieme, si
per Agente di Custodia ausiliario. Dismessa la divisa da poliziotto penitenziario, la sua carriera direttiva, inizia il 1° agosto 1991, lo ha visto ricoprire direzioni come Alessandria, Alba, Fossano, Aosta, Saluzzo, Ivrea. La maggiore permanenza è stata a Cuneo dove per 18 anni ha diretto la Casa Circondariale con una sezione 41bis, destinata a detenuti ad alto indice di pericolosità.
Dal 13 gennaio 2010 e sino al 25 settembre 2011 è stato capo ufficio del reparto traduzioni e scorte della Polizia Penitenziaria del Piemonte. Per un anno è stato direttore della Scuola Polizia Penitenziaria di Verbania. Dal 26 settembre 2011 è stato direttore della Scuola di Cairo Montenotte sino al 31 dicembre 2014 data del suo collocamento in quiescenza. H M.L.
aspettavano con gioia le festività natalizie e il mese di agosto perché ti trattenevi in paese qualche giorno o settimana in più. Insomma ci manchi e mi manchi sempre di più. Il destino con te è stato molto crudele, te ne sei andato troppo presto senza dire nulla del tuo male a chi ti voleva bene, avevi ancora tanto da dare, soprattutto a a tua moglie e ai tuoi figli. La tua correttezza, la tua disponibilità verso tutti e la tua bontà hanno fatto di te un angelo, il più bello del Paradiso. Eri una persona umile, tranquilla e rispettosa verso tutti. Andando in Paradiso hai trovato la tua dimensione, la tranquillità e quella pace che tanto adoravi. Ti immagino lassù seduto accanto a Gesù che gli parli della tua famiglia chiedendogli di proteggerla. In qualunque posto ti trovi sono sicuro che sei felice, passano i giorni, i mesi passeranno gli anni, ma zio per me non passerai mai, non ti dimenticherò mai.
Un giorno ci rincontreremo, proteggici da lassù, perché ne abbiamo bisogno. Riposa in pace, non ti dimenticherò mai. Ti voglio bene zio. tuo nipote Armando
Polizia Penitenziaria n.225 febbraio 2015
18
dalle segreterie Roma Ancora medaglie per Stefano Pressello
rivista@sappe.it
llo European Open Jiu-Jitsu Championship di Lisbona 2015 , svoltosi al 21 al 25 gennaio 2015, l'Assistente Capo Stefano Pressello non ha deluso le attese andando a prendersi per ben due volte la medaglia più pregiata della rassegna continentale: oro di categoria e oro nell'Open. Presenti oltre 3500 atleti per un evento di fama mondiale, uno dei più importanti del circuito internazionale dell' IBJJF (International Brazilian Jiu Jitsu Federation). Questo doppio risultato europeo è arrivato dopo gli ori conquistati nelle gare di Brazilian jiu jitsu di Londra e Monaco e dopo la preparazione di fine 2014 in Brasile, presso il Maestro "guru" Barbosa, a San Paulo. Nella categoria dei 94.4 kg Stefano ha vinto 4 lotte, di cui 3 prima del tempo per finalizzazione e una ai punti. L'oro di categoria gli ha consentito di potersi cimentare nella categoria Open, aperta al podio di tutte quelle previste in gara. Con tre lotte vinte, tutte per punti conquistati, è arrivato anche il secondo oro per Pressello, lavorativamente in forza al Centro Amministrativo Altavista ed in gara
A
Risultati finali 7° Edizione dell’Eurometropole Masters
Polizia Penitenziaria n.225 febbraio 2015
1. PRESSELLO Stefano (Italia) 2. VERDAUD Antony (JC La Motte Servolex) 3. SCHULEIT Boris (Danimarca) 3. MERCIER Frank (US Orléans Loiret Judo) 5. ALIANO Antonello (Italia) 5. CUBERTAFON Laurent (AJ Dordogne Périgord) 7. SPICHT Stèphane (JC Wallers Arenberg) 7. VANDEVOORT Dirk (Belgio)
come portacolori del Team gruppo Barbosa Italy di Fiumicino, dove insegna il Brazilian jiu jitsu con un nutrito neo gruppo di giovani atleti. A distanza di una sola settimana dagli ori dell'Europeo di BJJ a Lisbona, alla 7° Edizione dell’Eurometropole Masters presso Lille France, l'appuntamento più importante del circuito francese al quale hanno partecipato per il settore judo oltre 650 atleti provenienti da 14
Nazioni, nella categoria dei 90 kg, con cinque incontri vinti l'atleta lidense ha bissato nuovamente la vittoria di categoria. Tutti i confronti lo hanno visto opposto ad atleti francesi, beniamini di casa e protagonisti assoluti in nelle altre categorie dove evidentemente è mancato un personaggio come il nostro Assistente Capo in grado di opporsi allo schiacciante predominio d'oltralpe con intelligenza e tattica superiori. H
cinema dietro le sbarre
la scheda del film
Henry’s crime
Regia: Malcolm Venville Soggetto: Stephen Hamel Sceneggiatura: Sacha Gervasi, David N. White Fotografia: Paul Cameron Montaggio: Curtiss Clayton Scenografia: Chris Jones Musica: Blake Leyh Costumi: Melissa Toth Produzione: Company Films, Mimran Schur Pictures Distribuzione: Moving Pictures Film and Television, Maitland Primrose Group Personaggi ed Interpreti: Henry Torne: Keanu Reeves Debbie Torne: Judy Greer Eddie Vibes: Fisher Stevens Joe:Danny Hoch Frank: Bill Duke Detective: Drew McVety Giudice: Tim Snay Max Saltzman: James Caan Hector: Carlos Pizarro Guardia: Chris Cardona Fink: Mark Anthony Detenuto: Brian Rogalski Detenuto2: Steve Beauchamp Julie Ivanova: Vera Farmiga Pierre: Allel Aimiche Darek Millodragovic: Peter Stormare Simon: Currie Graham Arnold: David Costabile Trofimov: Jordan Gelber Dunyasha: Audrey Lynn Weston Gayev: Ken Marks Yasha: Gideon Banner Anya: Julie Ordon Genere: Commedia Durata: 108 minuti Origine: USA, 2010
19
a cura di Giovanni Battista de Blasis deblasis@sappe.it
enry Torne (interpretato da un enigmatico Keanu Reeves) è l’esattore di un casello autostradale a Buffalo nello Stato di New York, lavora solo nel turno di notte e sembra apparentemente un uomo senza ambizioni, senza sogni e senza scopi esistenziali. Improvvisamente, però, la sua vita così monotona ha una svolta inattesa quando due suoi amici, mentre sono in automobile con lui, compiono una rapina ad un bancomat, per la quale Henry viene incolpato ed arrestato. Pur di non rivelare i nomi degli amici, Henry si assume la responsabilità della rapina e viene condannato a tre anni di carcere. In galera conosce Max, un truffatore di professione frequentatore abituale delle prigioni.
Per accedere al tunnel, Henry e Max diventano attori in una produzione teatrale che rappresenta “The Cherry Orchard” di Cechov, dove conoscono Julie. Grazie all’aiuto di altri amici, cominciano così a liberare il tunnel dal fango che si era accumulato nel tempo e grazie alla soffiata di un vigilante riescono a sapere quando saranno piene le casse della banca.
Sarà proprio costui a cambiare la vita di Henry regalandogli quelle motivazioni che fino ad ora gli erano mancate. Uscito dal carcere Henry avrà uno scopo: diventare un criminale. Scoperta l’esistenza di un vecchio tunnel abbandonato dai contrabbandieri, coinvolge lo stesso Max in un piano per rapinare una banca.
Disgraziatamente la rapina non va nel verso giusto a causa del tentativo di uno dei complici di tenersi tutto il bottino. Il traditore, però, viene sopraffatto ed abbandonato all’interno della banca, mentre Henry decide di rinunciare a tutto per vivere la propria storia d’amore con Julie della quale nel frattempo si è innamorato. H
H
Nelle foto: la locandina e alcune scene del film
Polizia Penitenziaria n.225 febbraio 2015
20
Mario Salzano Commissario di Polizia Penitenziaria rivista@sappe.it
funzionari funzionali
L’istituto penitenziario come sistema “burnout” espressione di origine americana, “burnout” nella lingua italiana assume il significato di bruciato, esaurito, logorato. La sindrome di burnout o, più semplicemente burnout, ormai in uso anche nella nostra lingua, convenzionalmente qualifica l’esito patologico di un processo stressogeno che colpisce coloro i quali esercitano professioni di aiuto, qualora questi non riescano più a rispondere in maniera adeguata ai carichi di stress che il loro lavoro li porta ad assumere.
L’
Nella foto: una sezione detentiva
Polizia Penitenziaria n.225 febbraio 2015
Il burnout è un fenomeno complesso che deve essere considerato come risultante di una azione sinergica di fattori individuali, di fattori collegati alla condizione lavorativa (organizzazione) e di fattori determinati dalla situazione storicopolitico-sociale. Gli effetti che il burnout produce sono il deterioramento della propria identità professionale con conseguente perdita del senso delle proprie capacità, riduzione del livello di autostima, sentimento di impotenza e un passivo comportamento di rinuncia e di routine. Tale atteggiamento di apatia risulta estremamente pericoloso perché può indurre l’operatore penitenziario ad uno stato di sconforto, con conseguenze anche
nefaste sulla propria esistenza. Tra le cause che generano il burnout vi è, in primis, una “impotenza appresa” (learned helplessness), uno stato emotivo che comporta un deficit motivazionale in cui è compromessa la possibilità di controllare la situazione tramite delle azioni appropriate atte a modificarla; un deficit cognitivo, che impedisce al soggetto influenzato da diverse aspettative di prendere coscienza del ruolo delle sue azioni nella situazione; un deficit emozionale, che si manifesta con effetti di forme diverse, dalla paura alla depressione, dall’agitazione ansiosa fino alla rabbia. L’esperienza di un soggetto che si trova ad assistere alla morte di un’altra persona, come ad esempio nel caso del suicidio di un detenuto, porta ad azionare un meccanismo di difesa che si concretizza attraverso il rifiuto di vivere quella esperienza percepita come dolorosa e intollerabile. Il ‘burnout’ interessa categorie lavorative in cui il rapporto con gli utenti risulta centrale o comunque determinante. E’ perfettamente comprensibile, come è stato più volte sottolineato, che chi lavora all’interno di un ambiente particolare come il carcere, possa andare incontro a questa sindrome, diminuendo, se non addirittura azzerando l’autostima e la consapevolezza di possedere risorse e capacità professionali spendibili. Fondamentale a tal fine è il dato, comune a tutti gli operatori penitenziari, della cosiddetta “invisibilità” quale tratto caratteristico del lavoro in una istituzione come quella carceraria. Il vissuto di solitudine, derivante anche dall’assenza di riferimenti ad un comune modus operandi, incide sul senso di controllo percepito, e quindi sulla capacità di auto-riconoscersi
competenze di gestione delle situazioni e degli eventi, che in carcere presentano un alto tasso di imprevedibilità e un potenziale di criticità ineliminabile, in quanto connaturato alle dinamiche proprie di questa istituzione totale. Sebbene negli ultimi venti anni grande interesse sia stato tributato allo studio del fenomeno del burnout sulle categorie rientranti nelle helping professions, sono relativamente poche, invece, le ricerche scientifiche che si occupano di investigare la presenza di tale fenomeno in professioni che, anche non rientrando nelle helping professions, possono considerarsi professioni “di confine” che hanno come obiettivo principale quello di istaurare una relazione di aiuto che Perlman (1979) definisce con delle caratteristiche ad essa necessarie: calore, accettazione, empatia, interessamento, autenticità. Tali sono le categorie professionali di avvocati, dipendenti di pubblica amministrazione, vigili del fuoco, poliziotti, che non si basano sulla cosiddetta “relazione di aiuto” ma in cui il rapporto (diretto o indiretto) con lo specifico utente è possibile fonte di stress per la sua continuità e particolarità. Ancora pochissimi sono, tuttavia, gli studi che si occupano nello specifico del personale di polizia che lavora negli istituti penitenziari. Tutte le strategie e gli interventi sono validi anche in possibili casi di burnout nel personale di Polizia Penitenziaria, ma è possibile ed utile fare delle considerazioni di specificità in un contesto particolare come è l’istituzione totale degli istituti di pena dove il Corpo della Polizia Penitenziaria opera. All’interno di un sistema penitenziario in cui esiste una grande varietà di problematiche provenienti da soggetti
il libro molteplici e tra loro scoordinate, gli operatori penitenziari si trovano ad essere i principali recettori di tali situazioni, anche nel caso in cui (come spesso avviene) non siano in grado – per livello di competenza e funzioni – di trovare o di fornire una risoluzione immediata al problema. Troppo spesso l’agente di Polizia Penitenziaria diventa il recettore di una indiscriminata lista di problematiche, non foss’altro perché rappresenta l’unico soggetto che, nel corso della giornata, trova ad interfacciarsi col detenuto. Tutto ciò porta il poliziotto penitenziario a sentirsi isolato e sottoposto ad un livello di stress notevole collegato ad uno stato di esaurimento emotivo. Questa considerazione ci permette di ritenere che, essendo l’istituto penitenziario un “sistema burnout”, è solo un intervento mirato a livello organizzativo a potere modificare le attese del soggetto, creando maggiori
stimolazioni e motivazioni e abbassando il livello di disagio e malessere che si presenta negli operatori penitenziari. Una strategia di intervento di prevenzione del burnout, che si valuta di grande efficacia e utilità nello specifico ambito del Corpo di Polizia Penitenziaria, è un percorso formativo centrato sulla conoscenza del fenomeno del burnout e sulle conseguenze che comporta; programmi formativi di aggiornamento centrati su acquisizioni cognitive e psicologiche dei problemi legati all’Aids, alla tossicodipendenza, e alle conseguenze psicologiche che la restrizione di libertà comporta negli individui; la possibilità di formare nei poliziotti un saper essere adeguato
nella relazione con i detenuti favorendo, per l’espletamento delle funzioni istituzionali (sorvegliare, risocializzare e rieducare), quell’interessamento distaccato (detached concern) che permetta un equilibrio, difficile da raggiungere e mantenere, tra empatia ed obiettività . Allo stato attuale tutte le attività di prevenzione, limitate alle visite di controllo all’atto della selezione psicoattitudinale, hanno dato risultati assolutamente insoddisfacenti. Per la prevenzione efficace nelle forze di polizia il primo passo da effettuare è organizzare una conoscenza del fenomeno in atto (come l’osservatorio epidemiologico) ed assicurare un miglioramento dell’habitat psicologico attraverso una maggiore attenzione alla qualità delle relazioni e dei rapporti interpersonali. La selezione psicologica di tipo attitudinale rimane un punto valido per valutare lo stato di integrità psicologica al momento dell’incorporamento, purtroppo non si può avere alcuna predittività tramite test psicologici sul rischio del suicidio, soprattutto se questo è dovuto a situazioni che hanno avuto luogo dopo l’incorporamento. E’ importante il monitoraggio delle tensioni emotive e dello stress del servizio in quanto gli eventi connessi al servizio possono modificare, alterare, squilibrare lo stato psicologico iniziale. E’ importante che ogni “comandante” possa saper vedere ed ascoltare ciò che accade ai suoi sottoposti, che abbia degli adeguati “sensori della camerata”, tuttavia non è sufficiente per capire quando una persona si trova in crisi ed è quindi necessaria la presenza di una assistenza qualificata che non abbia la veste giuridica di togliere l’idoneità al servizio. L’assenza di un supporto psicologico ha determinato nel personale la necessità di tenersi il malessere ed il disagio dentro di sé, finché questo sia possibile. L’alternativa alla autorepressione finora è stata la presenza dell’amico che ti aiuta e ti capisce, ma di fronte ad una profonda crisi personale ed esistenziale l’amico non basta . H
21
UNA VOCE DAL SILENZIO Autore: Nello Cesari Editore: Europa Edizioni autore, dopo un quarantennio di esperienza diretta, racconta, nel dovuto riserbo, la vita nei penitenziari. Nella premessa del libro si tracciano le direttici dell’opera: il carcere, grande inconscio collettivo, è diventato il luogo della rimozione delle problematiche sociali; dalla contestazione degli anni settanta, allo scontro terroristico, per finire con i diffusi fenomeni della tossicodipendenza e immigrazione clandestina, il penitenziario ha finito per assolvere un ruolo di supplenza delle altre istituzioni. In esso le contraddizioni sociali diventano più stridenti, le vite spesso spezzate In 48 capitoli si riportano, attraverso i colloqui con gli stessi protagonisti, casi di mala giustizia, episodi, spesso drammatici, rivolte, prese di ostaggio, suicidi dei detenuti, di agenti, di graduati, perfino dei dirigenti, ma anche gesta eroiche di agenti e reclusi, accumunati da un eroismo invisibile. Ma in questo luogo di dolore, di sofferenza, gli uomini riescono ad interagire, a comprendersi, spesso a recuperarsi: nel libro si raccontato numerosi episodi, dalla dissociazione dei primi terroristi, a numerosi altri casi di incalliti criminali e comuni delinquenti, ai quali proprio il carcere è riuscito a ridare una vita, una speranza. P.S. Per eventuale acquisto del libro, cliccare su GOOGLE: Una voce dal silenzio - Nello Cesari. Oltre alla casa editrice Europa Edizioni, viene commercializzato da altre agenzie, librerie on line, tramite e book, o con ordinazioni. H G.B.D.
L’
Nelle foto: sopra la copertina del libro di Nello Cesari
Polizia Penitenziaria n.225 febbraio 2015
22
Pasquale Salemme Segretario Nazionale del Sappe salemme@sappe.it
Nella foto: Andrej Cikatilo
Polizia Penitenziaria n.225 febbraio 2015
crimini e criminali
Andrej Romanovicˇ Cˇikatilo - Parte I o cercato, sino a che mi è stato possibile, di riportare in questa rubrica prevalentemente crimini e criminali italiani, non fosse altro per riproporre vicende più o meno note di “casa nostra”, conosciute ai lettori attraverso i giornali o la televisione o, in alcuni casi, storie delinquenziali delle quali gli autori erano o sono ancora presenti nei penitenziari della penisola e quindi noti, per il lavoro che svolgiamo, a molti di noi. Per nostra fortuna, con un pizzico di soddisfazione personale, la nostra
H
eccellenza, insieme a Jeffrey Dahmer e Albert Fish, avendo ucciso almeno 53 persone, tra donne e bambini, dal dicembre del 1978 al novembre del 1990, mangiando parti dei loro corpi. Alcuni sostengono che Andrej Romanovi Čikatilo, noto anche come “il macellaio di Rostov”, sia rimasto grandemente condizionato dalla notizia che suo fratello maggiore Stepan, del quale non ne conosceva l’esistenza, era stato rapito e cannibalizzato dai vicini affamati durante una grave carestia nel 1930 e questo probabilmente fu all’origine
rivista, grazie soprattutto alla sua diffusione in rete, travalica oramai i confini nazionali e permette anche ai tanti connazionali che si trovano all’estero di leggerla. E’ quanto avvenuto per un “collega” italiano che, per ragioni di lavoro, si reca spesso in Russia. Lo stesso mi ha invitato ad approfondire anche il panorama criminale mondiale, iniziando dal serial killer russo per antonomasia: Андрей Романович Чикатил , in italiano Andrej Romanovič Čikatilo. Ho già avuto modo, in questa rubrica, nel lontano giugno del 2011, di fare accenno a Čikatilo in merito ai serial killer cannibali e al quale vi rimando per un approfondimento del fenomeno sul cannibalismo. Čikatilo, dalla criminologia moderna, è considerato il serial killer cannibale per
dei suoi omicidi e soprattutto del suo morboso cannibalismo: seppure tale notizia non è mai stata suffragata da alcun documento che provasse l’esistenza di tale fratello. Čikatilo nasce il 16 ottobre del 1936 a Novočerkassk, in un piccolo villaggio dell’Ucraina. La giovinezza di Andrej è colma di miseria e d’impotenza fisica così evidente da essere motivo di scherno agli occhi dei compagni di scuola. Il padre, partito per la guerra, era stato da subito catturato dai nazisti e rinchiuso in un campo di concentramento, mentre la madre aveva un carattere rigido e autoritario. Sin da piccolo, il futuro serial killer, dà segni di squilibrio interiore, ad esempio considerava tutti i bambini sgradevoli perché convinto che volessero carpire i suoi due segreti:
faceva la pipì a letto (soffrì di enuresi sino all’età di 12 anni) ed era miope (non riusciva a leggere le parole alla lavagna). L’umiliazione e lo scherno, da parte dei suoi coetanei, era quotidiano, tanto che aveva imparato a sopportare silenziosamente. Non c’è da stupirsi, quindi, che nel tempo la sua mente potesse essere riempita esclusivamente di ricordi devastanti e terribili. In età adolescenziale, inoltre, scopre di aver un forte complesso: non riesce ad avere rapporti sessuali con le ragazze ed ha una disfunzione sessuale che lo segnerà a vita. All’età di 19 anni un altro incubo: è chiamato a prestare il servizio militare e lì viene subito etichettato come omosessuale finché egli denuncia di essere stato violentato e nel 1960 lascia la divisa. L’appuntamento con una ragazza e il tentativo fallito a causa di una eiaculazione precoce dopo pochi secondi di contatto con la donna, lo segneranno per sempre. La ragazza appena ricomposta lo mette alla berlina di fronte agli amici, gettando altra benzina sul fuoco dell’odio verso le donne. Nel 1963 gli presentano un’amica della sorella, Fayina, con la quale si sposerà e nonostante i loro rapporti a letto siano, sin dall’inizio, brevi e scarsi, la giovane moglie non si arrende e due anni più tardi, nonostante i problemi sessuali continuino, riesce a restare incinta. Dall’amplesso nascerà il loro primo figlio Lyudmil (1965) e due anni dopo il secondogenito Yuri (1967). Nel 1971 si laurea in lingua e letteratura russa all’Università di Rostov ed inizia ad insegnare nella scuola di Novošachtinsk. Purtroppo anche il nuovo ruolo non gli permette di evitare le prese in giro dei colleghi e degli stessi studenti che lo chiamano “oca”, per via della sua camminata, o “finocchio”, per le voci che circolano sul suo conto. Inoltre, sempre più insistenti erano le voci di molestie perpetrate ai danni di allievi: trattiene con una scusa oltre l’orario scolastico una studentessa di 14 anni e inizia a picchiarla con un righello finché non raggiunge il piacere. La denuncia della ragazzina e le voci
crimini e criminali sempre più insistenti di altre molestie lo costrinsero a rassegnare le dimissioni dalla scuola. Tuttavia troverà lavoro in un’altra scuola, ma la sua fama da allora in poi sarà quanto meno “impopolare”, soprattutto dopo il tentativo di avere un rapporto orale con un quindicenne nel sonno. Čikatilo sviluppò le sue deviazioni in ritardo rispetto agli standard degli assassini seriali. La maggior parte dei serial killer, invero, cominciano a mietere vittime verso i venti anni, ma Čikatilo uccise per la prima volta quando aveva già compiuto quarantadue anni. La sua prima vittima risale al 22 ottobre 1978, quando uccide una bambina di nove anni, Lenochka Zakotnova. Trova la bimba per strada e la invita a seguirlo in una capanna. Una volta dentro la spoglia con
Le autorità di polizia, nel frattempo, avevano investito del caso uno noto psicologo russo, Aleksandr Bukhanovsky, affinché ne tracciasse il profilo criminale. Lo studioso definì l’assassino come il “cittadino X”, evidenziando le difficoltà di tracciarne le caratteristiche peculiari e soffermandosi su tratti generici di un uomo normale: età media, forse sposato con figli, che ha subito un trauma nella sfera sessuale. Dopo essere stato ancora allontanato dall’ennesima scuola, grazie all’iscrizione al Partito Comunista riesce a trovare un lavoro come operaio in una fabbrica nei pressi di Shakhty. Viaggiando in treno per recarsi sul luogo di lavoro avrà l’occasione di conoscere molte delle sue vittime. Trascorsero tre anni prima che Čikatilo colpisse ancora. Il 3 settembre del 1981, uccise la sua
volte, con mutilazione degli occhi. Il corpo verrà ritrovato 15 giorni dopo in una foresta. Il 25 luglio 1982 è la volta di Ljubov’ Volobueva di 14 anni. Il 13 agosto 1982, uccide il piccolo Oleg Požidaev di 9 anni, in un frutteto presso l’aeroporto di Krasnodar. Il piccolo Oleg fu la prima vittima maschile.Čikatilo gli recise i genitali e li portò con sé. Col passare del tempo e soprattutto dei morti, affina la sua tecnica per mantenere in vita più a lungo possibile le prede e per soddisfare così i propri desideri. Con il coltello procura ferite lievi per vedere le vittime dimenarsi e piangere sempre di più, poi mangia gli organi genitali. Preferisce farlo mentre loro sono ancora vive, mentre gli strappa a morsi i capezzoli, il naso e la punta della lingua prima di recidere gli occhi: questo sarebbe diventato un luogo comune nei suoi omicidi, la
violenza e incide, con la lama di un coltello, il braccio della fanciulla per far scorrere il sangue, ciò lo portò, da quel momento, ad aver un legame indissolubile con il sangue e il sesso; poi ancora con la lama infierì nello stomaco dell’adolescente avvertendo un senso di piacere sino a raggiungere una eiaculazione: stava così tentando di appagare i suoi bisogni sessuali. Adesso sa come raggiungere l’orgasmo: la dominazione, la mutilazione, l’agonia delle sue vittime e il terrore della lama del suo coltello impresso nello sguardo. Il corpo della piccola sarà ritrovato senza vita, qualche tempo dopo, in un fiume vicino a Shakhty. Per l’omicidio della bambina fu condannato a morte e fucilato, ingiustamente, un pedofilo locale: Alexander Kravchenko.
seconda vittima, Larisa Tkachenko, di 17 anni. La giovane adolescente quella mattina aveva deciso di non andare a scuola e vagava per strada senza metà quando incontra Čikatilo che la convince a fare una passeggiata con lui nei boschi. Arrivati nella boscaglia, la spinge a terra ed inizia a spogliarla sino al punto di cercare di avere un rapporto sessuale; non riuscendoci, la ragazza inizia a ridere della sua impotenza, così il maniaco la strangola, mordendole, dopo la morte, la gola, le braccia e i seni, e ingoiando uno dei suoi capezzoli, dopodiché le spinge un bastone nella vagina. Non ci fu, anche per questo caso, alcun sospetto nei suoi confronti. Il terzo assassinio fu compiuto, il 27 giugno del 1982, ai danni di Ljubov’ Birjuk, che venne rapita dal villaggio Donskoj (Oblast’ di Tula) e accoltellata 35
firma di Čikatilo. Dopo soli 3 giorni, il 16 agosto 1982, uccide Olga Kuprina, di 16 anni, il cui cadavere viene ritrovato presso il villaggio Kazachi Lagerja. Dopo meno di un mese, l’8 settembre del 1982, muore per mano del mostro, Irina Karabelnikova, di 19 anni, ed una settimana più tardi, il 15 settembre, Sergej Kuzmin, di 15 anni, che era scappato da un collegio scolastico. L’ultimo omicidio dell’82, il settimo soltanto in quest’anno, Čikatilo uccide Olga Stalmacenok di 10 anni, adescata su un autobus mentre tornava a casa ed uccisa in un campo. Čikatilo estrasse il suo cuore e lo portò con sé. Nel giugno del 1983 uccide Laura Sarkisjan di 15 anni anche se fu assolto dall’accusa di questo omicidio - il suo cadavere non verrà mai ritrovato. Nel luglio 1983, uccide dapprima, Irina Dunenkova, di
23
Nelle foto: sopra la ricostruzione di uno degli omicidi a sinistra una delle vittime
‡ Polizia Penitenziaria n.225 febbraio 2015
sicurezza e salute sul lavoro
24 13 anni e dopo qualche giorno Ljuba Kucjuba di 24 anni. L’8 agosto 1983, la vittima è un maschietto, Igor Gudkov di soli 7 anni. Nell’estate di quest’anno uccide anche una donna di apparente età tra i 17 ed i 25 anni, il cui cadavere verrà ritrovato presso Novosachtinsk, ma non verrà mai identificata. Il 27 novembre del 1983 uccide Valentina Čučulina, di anni 22. La tecnica del serial killer si affina sempre di più: dai corpi delle femmine asporta il seno a colpi di coltello, distrugge l’utero e l’addome, ai maschi mutila il pene, lo scroto e l’ano. Tuttavia le autorità sovietiche si rendono finalmente conto che tutte queste morti hanno in comune qualcosa: l’assassino.
Nella foto: una inquietante immagine di Cikatilo
Polizia Penitenziaria n.225 febbraio 2015
Così in quell’estate del 1983 viene mandato da Mosca un gruppo di investigatori della polizia, capeggiati da Vladimir Kazakov, per indagare sul caso. Da subito si convinsero di avere a che fare con uno psicopatico affetto da problemi mentali gravi, e per questo cominciarono a fare indagini nell’ambiente degli ospedali psichiatrici ed interrogare tutti coloro che potevano corrispondere al profilo che avevano stilato. Vengono così individuati ed arrestati due psicolabili, che sotto pressione degli stessi investigatori, ammettono, durante gli interrogatori, di essere gli autori di diversi delitti. Questo accadeva tra settembre ed ottobre del 1983, ma il 27 di ottobre Čikatilo torna ad uccidere ancora facendo così scarcerare i due innocenti. H Segue...
La sicurezza sul lavoro? Ora te la raccontiamo noi! i chiamo Valter Pierozzi e con il mio collega Cesare Maltinti, lavoriamo per conto del Ministero della Giustizia in qualità di Assistenti Capo di Polizia Penitenziaria e il nostro apporto nel Sappe sono le tematiche sulla sicurezza sul lavoro. Cosa ci ha spinto ad occuparci di questa materia? La volontà d’infondere nelle persone poco informate, quelle nozioni sulla sicurezza sul lavoro che aiutino il lavoratore a riconoscere quei diritti fondamentali per la loro tutela. Il nostro interesse nasce con l’avvento del Dlgs 626 del 1994. In quegli anni, seppur ancora inesperti, nacque l’idea di sostenere i diritti dei lavoratori, sanciti dalla Legislazione Italiana dal D.P.R. 547/55 e del D.P.R. 303/56, poi abrogati con l’entrata in vigore del Dlgs 81/08. Incominciammo con il far parte dei rappresentati dei lavoratori nel 1994, anno del Dlgs 626/94 che racchiudeva in se otto direttive europee, dando agli Stati membri quei diritti uguali per tutti i lavoratori italiani ed europei. Dopo tre anni di mandato nel 1999 passai all’ufficio tecnico di Rebibbia N.C. in qualità di addetto al servizio di prevenzione e protezione. Mentre il collega Maltinti diventò responsabile delle squadre A.S.A. (addetti al servizio antincendio). Nello stesso anno ci iscrivemmo come volontari nelle Misericordie d’Italia, conseguendo gli attestati di primo e secondo livello sanitario ed esecutore BLSD, (per l’ uso del defibrillatore). Negli anni a seguire oltre al brevetto di istruttore BLSD, raggiungemmo altri traguardi, come formatore per corsi antincendio a rischio medio, cooperando con un’ azienda nazionale, istruttori per corsi di formazione dei lavoratori interni, istruttori per gli autorespiratori SPASCIANI, fino a giungere alla mia
M
nomina di responsabile della sicurezza sul lavoro nel 2012. Inoltre nel 2011 abbiamo svolto un corso di formazione N.B.C.R. ( nucleare, batteriologico, chimico, radiologico), importante per conoscere i rischi riguardanti l’inquinamento ambientale e gli effetti delle radiazioni ionizzanti e non ionizzanti sull’uomo e le loro conseguenze.
Nel 20012 entra a far parte della nostra squadra anche l’Ispettore superiore sost. Comm. Roberto Stagnitto che porta le sue conoscenze nell’ambito de rischio chimico. All’inizio del terzo millennio i danni dell’uomo sull’ambiente sono a dir poco devastanti. Basti pensare all’inquinamento industriale, giunto ormai ad un punto di non ritorno se non avremo il coraggio di fare un passo indietro. I terremoti, le alluvioni, le esondazioni che causano morti e disperazione si verificano sempre più spesso, congiunti all’inquinamento delle acque,dell’ aria e del terreno. Anche qui c’è la mano dell’uomo. Il mezzo per contrastare questo suicidio ambientale resta quello dell’ informazione tramite i mass-media. Ritornando al tema della sicurezza è importante che il lavoratore tenga a
mondo penitenziario mente lo schema eco piramidale dei componenti statutari della sicurezza sul lavoro. Il primo elemento della piramide è il datore di lavoro, ovvero il direttore scolastico, il direttore dell’istituto, l’imprenditore di un’azienda. È colui che ha capacità direttive ed economiche e l’obbligo di redigere la valutazione dei rischi art. 28 Legge 81/08, nominare un responsabile della sicurezza in possesso dei requisiti di legge, nominare un medico del lavoro competente, con il quale viene stipulato un contratto a parcella. Altri componenti per la stesura del DVR, (documento della valutazione dei rischi), sono i rappresentanti dei lavoratori (Rls). Questi sono eletti dai lavoratori tramite le organizzazioni sindacali, in numero proporzionato a quanti lavoratori operano nell’azienda. Premesso che il DVR dovrebbe essere già stato redatto con l’avvento dell’ex 626/94, nella stesura il documento deve riportare la data certa, tramite protocollo postale o interno, con le firme dei soggetti indicati in precedenza. Una figura non prevista nella stesura, ma sanzionabile dal legislatore è quella del Preposto, ovvero colui delegato dal datore di lavoro di far osservare le direttive impartite da quest’ultimo. Tutti questi elementi devono effettuare obbligatoriamente dei corsi di formazione previsti dal Dlgs attualmente in vigore. Per quanto riguarda la figura del Responsabile della Sicurezza, esso non è sanzionabile a livello civile, ma condannabile penalmente se ha omesso di segnalare un pericolo (sentenze di Cassazione per quanto riguarda le camere iperbariche di Torino). Dopo aver valutato tutti i rischi sui posti di lavoro, viene estrapolato il rischio incendio, classificato come alto, medio o basso. Tramite questa scala di valutazione si costituirà una squadra d’emergenza. Sperando che il tutto vi sia stato utile, vi rimando al prossimo numero con la definizione di lavoratore, obblighi e diritti. H Valter Pierozzi - Dirigente Sappe Esperto salute e sicurezza sul lavoro
Le ragioni di una Riforma penitenziaria: i nuovi compiti a Commissione Gratteri ha pensato nuovi compiti e nuove funzioni per la Polizia Penitenziaria. Occorre naturalmente ricordare che si tratta di uno studio, la cui fattibilità è rimessa alla volontà politica. Senza svelare alcun segreto, ma come già è stato anticipato nei mesi scorsi tra le proposte vi sono alcune nuove
L
Ma la vera e più grande novità sarebbe rappresentata dalla elaborazione e gestione da parte del Corpo delle politiche sulla sicurezza penitenziaria, direttamente alle dipendenze del Ministro della Giustizia. Un compito che oggi è rimesso al dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, struttura amministrativa complessa con funzione di vertice-
competenze funzionali che proietterebbero le attività del nuovo Corpo fuori dalle cinte murarie. Ed in particolare: • la sorveglianza sui soggetti in detenzione domiciliare o in misure alternative; • la sicurezza e scorta dei magistrati e dei palazzi di giustizia; la esecuzione dei provvedimenti restrittivi della libertà, ove disposto dai magistrati, in conseguenza dei provvedimenti giudiziari definitivi, ivi compresa la ricerca e la cattura dei latitanti; • la sicurezza dei collaboratori di Giustizia, con l’assorbimento da parte del nuovo Corpo di Giustizia del Servizio Centrale di Protezione. Si tratterebbe di nuovi e prestigiosi ruoli, che avvicinerebbero il Corpo alla polizia di Giustizia ed ai Marshall, reparti di punta della polizia americana.
snodo tra ministro e polizia. Aspettiamo gli esiti e incordiamo le dita. H *Procuratore Aggiunto di Messina già Direttore Generale Ufficio Detenuti DAP
25
Sebastiano Ardita Magistrato*
Nelle foto: sopra un istituto penitenziario
a fianco il distindivo degli U.S. Marshall
Polizia Penitenziaria n.225 febbraio 2015
26 a cura di Giovanni Battista de Blasis deblasis@sappe.it
Sopra la copertina del numero di ottobre 2000
Polizia Penitenziaria n.225 febbraio 2015
come scrivevamo
P
iù di venti anni di pubblicazioni hanno conferito al mensile Polizia Penitenziaria - Società Giustizia & Sicurezza la dignità di qualificata fonte storica, oltre quella di autorevole voce di opinione. La consapevolezza di aver acquisito questo ruolo ci ha convinto dell’opportunità di introdurre una rubrica - Come Scrivevamo - che contenga una copia anastatica di un articolo di particolare interesse storico pubblicato tanti anni addietro. A corredo dell’articolo abbiamo ritenuto di riprodurre la copertina, l’indice e la vignetta del numero originale della Rivista nel quale fu pubblicato.
Itinerario ragionato tra pena, trattamento e processo di Bianca Racca (C.C. Santa Maria Maggiore - Venezia)
N
ell’iniziare l’itinerario preciseremo subito che l’educazione e la rieducazione attengono al comportamento, mentre pena e sanzione sono concetti giuridici. Elementi per una definizione della pena si possono ricavare dall’articolo 27 della Costituzione. “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso d’umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Anche gli articoli 2 e 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali ci forniscono altre utili indicazioni. “Il diritto d’ogni persona alla vita è protetto dalla legge”. Non può essere volontariamente inflitta la morte ad alcuno, eccetto che in esecuzione di una sentenza capitale, pronunciata da un tribunale nel caso in cui un delitto è punito dalla legge con questa pena ... (art. l). Nessuno può essere sottoposto a torture o pene inumane o degradanti (art.3) . Dunque le fonti non forniscono una nozione in positivo della pena. Si preferisce stabilirne il limite negativo, ma si capisce bene che la definizione giuridica non differisce dal significato della parola che troviamo sul vocabolario. Dunque “punizione stabilita dalla Autorità Giudiziaria competente in osservanza di precise disposizioni, comminata a chi si sia reso colpevole di una violazione di legge”. Al lemma “punizione” si legge: “Atto che provoca sofferenza intesa a correggere una persona o ad espiare
il male commesso”. Dunque la pena è in ogni caso un trattamento afflittivo, che provoca sofferenza. Proseguendo nell’analisi noteremo che sia nell’art.27 della Costituzione che nella risposta semantica al lemma “punizione” si fa riferimento ad un altro termine, la “rieducazione”, la “correzione” cui la pena comunque si rapporta. Nel primo caso si afferma che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato, nel secondo che la finalità può essere di correzione o d’espiazione del male commesso. Alla fine emerge con chiarezza anche il significato di “rieducazione”, che il dizionario descrive come “intervento educativo nei confronti di individui, specialmente minorenni che presentano devianza sociale o non hanno ricevuto un’adeguata formazione nell’ambiente familiare di appartenenza”, dove il prefisso RI evidenzia lacune, devianze, errori che si devono correggere. Ben altra cosa, dunque dall’educazione che è un processo di trasmissione di sapere e d’esperienze da una generazione all’altra, mediante il quale, nell’ambito di concrete condizioni storiche, ambientali e familiari si struttura la personalità . L’educazione dunque riguarda lo sviluppo della personalità, la rieducazione il comportamento deviante da correggere, carenze formative o impostazioni educative socialmente inaccettabili da colmare o modificare. La funzione della pena E’ inutile ricordare che su questo tema si sono affaticati numerosissimi giuristi e filosofi.
come scrivevamo
Qui basta ricordare che la giustificazione della pena è stata di volta in volta focalizzata nella finalità retributiva, preventiva, nell’emenda, nella rieducazione e trattamento del reo. (Nessun uomo prudente punisce solo perché ci fu una violazione ma perché non se ne commettono più; infatti, quel che è avvenuto non può essere posto nel nulla, solo le azioni future possono essere proibite). Oggi la funzione che prevalentemente si riconosce alla pena è quella di prevenire ulteriori violazioni della legge, ma ciò non comporta il completo abbandono dell’approccio retributivo, che è ancora valorizzato in chiave garantista, perché ancorando la risposta penale alla retribuzione del fatto lesivo, e cioè del reato, s’indica il limite oggettivo della pena. Torniamo alla prevenzione; si parla di prevenzione generale con riferimento all’efficacia della pena nei confronti della generalità dei consociati. Si afferma che la sola minaccia della pena e l’efficienza della giustizia nell’assolvere gli innocenti e nel condannare i colpevoli, rafforzi il cittadino obbediente alle leggi e dissuada e scoraggi le intenzioni maliziose dei disonesti. La prevenzione speciale riguarda invece il singolo che è stato giudicato e condannato e la pena contribuisce alla correzione degli errori commessi che pertanto rieduca il condannato consentendogli di reinserirsi nuovamente nella società.
Dunque l’approccio utilitaristico fa emergere un aspetto positivo della pena anche se resta l’antinomia insuperabile della sua natura d’afflizione; la risposta penale è eticamente necessaria perché ristabilisce l’ordine violato. Ogni ordinamento sociale è in qualche modo mantenuto dalla reazione specifica della comunità alla condotta di chi si conforma o devia dalle regole poste dall’ordinamento stesso. Solo l’ordinamento giuridico dispone di sanzioni coattive in grado d’imporre determinate regole ai soggetti ad esso sottoposti, per cui la pena in quanto sanzione è essenziale alla natura giuridica di una norma. Il comportamento e la condotta Se consideriamo il “comportamento” della persona complessivamente inteso, il risultato che si propone è il suo benessere, il suo equilibrio fisico e mentale. Se però misuriamo solo sul piano sociale il vantaggio derivante da un comportamento adeguato, parleremo preferibilmente di “condotta” la cui validità si rapporta ai valori etici sociali, giuridici, politici, riconosciuti in un certo momento storico da una comunità civile. Naturalmente l’integrità, il pieno sviluppo della personalità costituisce anche il valore centrale delle moderne costituzioni, e rileva, lo abbiamo visto, anche a proposito dei
limiti della pena. Ma si tratta di piani che anche quando s’intersecano, restano distinti. Comportamento e condotta anche se usate come sinonimi nel linguaggio comune hanno diverse estensioni di significato radicate nella psicologia e nel diritto. Per “comportamento” s’intende l’insieme delle azioni e di atteggiamenti con cui l’individuo esprime la personalità rapportandosi agli altri ed all’ambiente. La “condotta” invece ha un’accezione più ridotta, è un comportamento che ha rilievo sociale solo nella sua dimensione esteriore; nel diritto penale non si punisce il pensiero, e non sono rilevanti né gli stati emotivi o passionali, né è possibile la valutazione tecnica del carattere e della personalità dell’imputato (art. 90 c.p. - 220 c.p.p.). Cosa contraria nel diritto privato (mala fede art.428 cod. civ.). Più in generale la c.d. “buona condotta” indica significativamente la conformità estrinseca del comportamento di un soggetto alle regole sociali, prescindendo da considerazioni che attengono al suo equilibrio e benessere personale. Il trattamento rieducativo Tornando alla pena ed ai suoi limiti, notiamo che il divieto di “trattamenti contrari al senso d’umanità” contenuto nella Costituzione ribadisce il primato della persona sul diritto, che è solo una tecnica sociale al servizio dell’uomo. Ma la finalità della pena dove la collochiamo? Certamente psicologi, educatori, psichiatri, Polizia Penitenziania agiscono nel sistema penitenziario ma è evidente che è il contesto istituzionale ed operativo quello che connota il loro intervento diretto, lo si diceva prima, a rieducare, correggere soggetti che non avevano ricevuto un’adeguata formazione nell’ambiente familiare di appartenenza, e che proprio per
27 Nella foto: la Casa Circondariale Santa Maria Maggiore di Venezia
‡ Polizia Penitenziaria n.225 febbraio 2015
28
Nei box: la vignetta e il sommario del numero di ottobre 2000
Polizia Penitenziaria n.225 febbraio 2015
come scrivevamo questo si erano indotti a violare le regole socialie le norme penali. (l’intervento rieducativo, è occasionato dal delitto, e dunque da una condotta che viola la legge penale).Il soggetto cui è imputata tale colpa è condannato dal giudice ad una pena “giusta” ed “utile”. GIUSTA O UTILE? L’interrogativo esprime la contraddittorietà insuperabile delle due concezioni. La pena giusta proporzionata al reato non intende modificare la personalità del reo. La pena utile invece vuole rieducare il condannato. Essa perciò consisterà in un trattamento che secondo l’accezione penitenziario criminologica si definisce come “l’insieme di tecniche modificative della personalità del condannato poste in essere al fine di favorne la rieducazione ed il reinserimento nella società”. Dunque il soggetto interessato è condannato, costretto ad accettare l’intervento rieducativo, che è predisposto in ragione della sua condanna. Non è da escludere che egli possa approfittare dell ‘esperienza penitenziaria, ivi compreso il trattamento, per trarne un giovamento personale ed acquisire strumenti che gli consentono di riprendere una vita normale mantenendo una condotta adeguata alle regole sociali. Giusta o utile, ci si chiedeva. Dalle rifflessioni fatte discende che la pena giusta non potrà mai coincidere necessariamente con quella utile. Non c’è alcun nesso logico tra la misura della giusta retribuzione e l’utilità dell’effetto rieducativo. Si tratta di categorie diverse, di modo che la misura della pena potrà essere giusta ma non sufficiente per ottenere un risultato rieducativo, e viceversa potrà essere adeguata per il risultato utile ma non giusto rispetto al fatto commesso. (Per quanto benevolo possa essere lo scopo della rieducazione, per quanto possiamo aspettarci che il soggetto migliori, non possiamo ignorare che ciò che facciamo al reo al fine di rieducarlo è una coercizione per il nostro utile, non per il suo). H
SanRaffaeleTermini - Poliambulatorio Specialistico
20%
di sconto su agli iscritti iSprezzi di listino app e loro familei /Anppe ari t ariffe su ww
w.sappe.it
Le prenotazioni possono essere effettuate telefonicamente dal lunedì al venerdì dalle ore 9:00 alle ore 15:00 telefonando al n. 06.5225.3535, oppure recandosi personalmente presso una qualsiasi delle sedi interessate oppure tramite il nostro sito www.sanraffaele.it La San Raffaele Spa opera ormai da anni nel settore sanitario ponendosi all’avanguardia sia a livello regionale che nazionale; gestisce IRCCS, Case di Cura accreditate che rappresentano un autentico punto di riferimento nel campo della Riabilitazione, oltre a Presidi Ospedalieri e Poliambulatori . Le attività sanitarie ambulatoriali sono erogate presso i nostri Poliambulatori “San Raffaele Termini” sito all’interno della Stazione Termini, altezza di Via Giolitti, 16 – 00185 Roma e presso l’ IRCCS Istituto di Ricerca a Cura a Carattere Scientifico “San Raffaele Pisana” sito in via della Pisana, 235 - Roma. I Poliambulatori sono in grado di offrire un servizio altamente specializzato sia in termini di strumentazione che in termini di equipe di specialisti di cui si avvalgono. In particolare, il San Raffaele Termini è disposto su due piani per complessivi 1.200 mq, dove sono attive le seguenti specialità diagnostiche: Allergologia, Angiologia, Cardiologia, Chirurgia Generale, Chirurgia Vascolare, Dermatologia, Epiluminescenza, Ecografia Cardiovascolare, Ecografia Generale, Ecografia ginecologica / Ostetricia, Ecografia Urologica, Endocrinologia, Fisiatria, Gastroenterologia, Ginecologia, Laboratorio analisi, Medicina del Lavoro, Neurologia, Oculistica, Ortopedia/Traumatologia, Otorinolaringoiatria, Radiologia, Senologia, Urologia.
Orario prelievi: dal lunedì al sabato dalle ore 7:00 alle ore 10:30 (esclusi festivi)
NB: il laboratorio analisi è attivo tutte le mattine (festivi esclusi) ed è erogabile in convenzione con il Servizio Sanitario Regionale in entrambe le Sedi (Termini e Pisana).
30
inviate le vostre foto a rivista@sappe.it
A fianco: 1973 40° Corso AA.CC. Scuola di Cairo Montenotte (SV) Giochi provinciali a Carcare (SV) (foto inviata da Vincenzo Angelelli) a sinistra: 1978 Casa Reclusione di Gorgona (LI) servizio al porto (foto inviata da Luciano Carta) a destra: 1978 Scuola AA.CC. di Cassino (FR) (foto inviata da Sivestro Simeone)
a fianco: 1976 Scuola di Cairo Montenotte (SV) Torneo estivo (foto inviata da Matteo Ruggiu)
Polizia Penitenziaria n.225 febbraio 2015
eravamo cosĂŹ
eravamo così
31
In alto, a sinistra:1985 Isola di Gorgona (foto inviata da Francesco Rinnovato) In alto, a destra:1982 Scuola AA.CC. di Cassino (FR) (foto inviata da Giovanni Dottarelli) Sopra: 1982, 73° Corso AA.CC. (foto inviata da Ciro Ambrogio De Battista) a sinistra: 1993, Portineria centrale Casa Circondariale de L’Aquila (foto inviata da Marcos Cipolato)
Polizia Penitenziaria n.225 febbraio 2015
32 a cura di Erremme rivista@sappe.it
le recensioni Francesco De Palo
GRECO EROE D’EUROPA ALBEGGI Edizioni pagg. 230 - euro 12,00
D
Polizia Penitenziaria n.225 febbraio 2015
uro e incisivo l’ultimo libro del giornalista e direttore del magazine “Mondo Greco”, Francesco De Palo, in cui racconta la crisi economica e politica dilagante in Europa attraverso il caso greco. L’ultimo triennio si è dimostrato per i cittadini greci critico e a tratti devastante. Sono stati posti di fronte ai tagli degli stipendi, delle pensioni, dei posti di lavoro e delle cure mediche; si sono trovati a dover restare a galla facendo i conti con la fame, gli scandali, il degrado sociale, il preventivato default e l’inquietante ascesa di Alba dorata. Nella prima parte l’autore ci fornisce dati, episodi, scene di vita, dettagli che offrono con estrema nitidezza che cosa abbia affrontato e continui ad affrontare questa nazione. Ma “Greco. Eroe d’Europa” edito con Albeggi, non fa solo il punto della situazione allo stato attuale delle cose, propone anche una chiave di lettura positiva e propositiva: ripartire dalle storie d’onore e di coraggio di ieri e di oggi, per ricordarci che “è stato proprio nei momenti di maggiore crisi, quando tutto lasciava presagire il baratro che avrebbe avviluppato l’Ellade, che
i greci hanno tirato fuori il coniglio dal cappello”. Dopo una seconda parte, dedicata alle interviste del giornalista greco Kostas Vaxevanis, arrestato e processato per aver pubblicato i nomi dei grandi evasori fiscali greci e dello scrittore Petros Markaris, De Palo dedica l’ultima parte del libro a singoli episodi di solidarietà e creatività. Più che avere fiducia nei propri governanti, nei quadri istituzionali o nei circoli di potere nazionali ed europei, molti greci hanno preferito fare affidamento su se stessi, riaffermando al tempo stesso una forte identità nazionale e la consapevolezza di essere parte di un popolo con una grande storia alle spalle. E’ dalla Grecia che “ha dato i natali alla filosofia, alla democrazia, alle arti e alla medicina” che è necessario ripartire, dal coraggio di un popolo che dai tempi delle Termopoli ad oggi, ha sempre tirato fuori le unghie e la dignità.
Pilade Cantini
PIAZZA ROSSA. La provincia toscana ai tempi dell’URSS ECLETTICA Edizioni pagg. 146 - euro 12,00 uesto è un libro spassosissimo, a dispetto della seriosa copertina nella quale il ritratto di Stalin convive con la bandiera rossa falce&martello. Attenua la “solennità” dei simboli del comunismo per eccellenza, quello russo, la fotografia di un tavolo, con i commensali di una Casa del Popolo intenti nel gioco delle carte. Il libro racconta, attraverso l’Autore, storia e passione dell’impegno politico nella provincia toscana (“Ponte a Egola, un paese a metà strada tra Firenze e Livorno, dove i comunisti prendevano – alla fine degli anni Settanta – la maggioranza assoluta dei voti”). Ci offre uno spaccato reale di quel che era ed è stata la realtà sociale di molti
Q
paesi italiani, nei quali l’ideologia politica (prevalentemente di stampo comunista) era non solo l’estemporanea risultanza di un consenso elettorale ma “il motore” che alimentava passioni e identità attraverso impegni sociali vissuti ogni giorno, l’humus sociale che caratterizzava i racconti di Giovannino Guareschi su Don Camillo ed il sindaco ‘rosso’ di Brescello, Peppone, insomma un tutt’uno tra vita pubblica e personale. I ricordi e i racconti di Cantini, che per altro conosce bene l’ambiente penitenziario avendo lavorato per un paio d’anni in un Ospedale Psichiatrico Giudiziario, si snodano tra le gite di Partito e le presenze degli attivisti locali agli scioperi e alle manifestazioni nazionali del Pci, ma soprattutto attraverso tante storie quotidiane e molti aneddoti dei e sui frequentatori della locale Casa del Popolo o della piazza Rossa (chiamata così in onore del sindacalista Guido, iscritto al Pci e ucciso a Genova dagli assassini sanguinari delle Brigate Rosse - ma i comunisti del posto preferivano chiamarla senza la G puntata, come l’omonima piazza di Mosca...). Racconta anche cosa volle dire, per molti compagni, la fine traumatica dell’ideologia di riferimento, appunto quella comunista, dei Paesi del socialismo reale con il crollo del Muro di Berlino, del Pci.
DETENUTI STRANIERI IN ITALIA. NORME NUMERI E DIRITTI SCIENTIFICA Edizioni pagg. 102 - euro 12,00
I
l Volume, realizzato per la collana “Diritto penitenziario e Costituzione” che nasce dall’omonimo Master attivato presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università Roma Tre, si concentra sulla consistente percentuale di detenuti stranieri che caratterizza la popolazione penitenziaria in Italia. Esamina, in profondità, la legislazione
le recensioni a loro dedicata e le criticità e le problematiche che essi incontrano nel percorso detentivo. E’ sintomatico che negli ultimi dieci anni ci sia stata un’impennata dei detenuti stranieri nelle carceri italiane, che da una percentuale media del 15% negli anni ‘90 sono passati ad essere, oggi, quasi 20mila, il 35% dei ristretti. E se da più parti sono costanti le sollecitazioni al Governo per favorire quanto più possibile la possibilità di far scontare agli immigrati, condannati da un tribunale italiano con una sentenza irrevocabile, la pena nelle carceri dei Paesi d’origine, il dato oggettivo è un altro. Le espulsioni di detenuti stranieri dall’Italia sono state fino ad oggi assai contenute: 896 nel 2011, 920 nel 2012 e 955 nel 2013, soprattutto in Albania, Marocco, Tunisia e Nigeria. A fine gennaio scorso avevamo detenute in Italia circa 54mila persone: oltre 17mila (quasi il 35 per cento del totale) sono stranieri, con una palese accentuazione delle criticità con cui quotidianamente devono confrontarsi le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria. Si pensi, ad esempio, agli atti di autolesionismo in carcere, che hanno spesso la forma di gesti plateali, distinguibili dai tentativi di suicidio in quanto le modalità di esecuzione permettono ragionevolmente di escludere la reale determinazione di porre fine alla propria vita. E allora questo libro si rende ancor più utile a comprendere una importante componente della popolazione detenuta in Italia.
Antonio Falda
PER LA LIBERTA’. Il rugby oltre le sbarre ABSOLUTELY FREE Edizioni pagg. 254 - euro 14,00
S
ulla definizione di rugby, circola un aforisma (erroneamente attribuito a Oscar Wilde) di Henry Blaha, giocatore e giornalista americano: “Il rugby è un gioco bestiale giocato da
gentiluomini, il calcio è uno sport da gentiluomini giocato da bestie, il football americano è uno sport bestiale giocato da bestie”. Quel che è certo è che il rugby, pur essendo uno sport di contatto e di situazione, viene praticato da atleti che conoscono il rispetto delle regole e dell’avversario, e disapprova il comportamento antisportivo, poiché anche una lieve infrazione delle regole potrebbe provocare seri infortuni. Antonio Falda, giornalista e scrittore, ci racconta, nelle oltre 240 pagine di questo bel libro, che il rugby può essere occasione di riscatto sociale, capace di forgiare un vero equilibrio individuale anche durante la detenzione; più di tutto, che può essere l’occasione concreta per cambiare vita. Lo fa raccontando un viaggio in otto carceri italiane, tra il settembre 2013 e il marzo 2014, alla scoperta di chi ha portato la palla ovale all’intero degli istituti penitenziari per adulti e minori, attraverso l’esperienza del “Progetto Carceri”, sviluppato e sostenuto dalla Federazione italiana rugby. Falda ci racconta dell’asprezza del carcere ma anche della sua umanità attraverso il quotidiano impegno di volontari ed educatori ma anche, e non era assolutamente scontato che lo evidenziasse (e questa è una nota di merito all’Autore), dei poliziotti penitenziari.
A cura di Sonia Moretti e Cira Stefanelli
FARE SICUREZZA E TRATTAMENTO NEGLI ISTITUTI PENALI E NEI SERVIZI MINORILI ALPES ITALIA Edizioni pagg. 132 - s. p.
È
utile tornare su questa serie di spunti tratti dal Corso di formazione per l’accesso alla specializzazione nel trattamento dei detenuti minorenni, di cui pure abbiamo già parlato. E’ utile, perché il Volume fornisce la
possibilità di essere introdotti in un settore della devianza, quella minorile, di cui si sa poco o nulla. Eppure, la cronaca italiana riporta notizie sempre più allarmanti sugli adolescenti. Casi di omicidio, sovente di stampo razzista, violenze negli stadi, nelle famiglia, nella scuola, aumento di attrazione dei giovanissimi verso la criminalità organizzata, uso sempre più diffuso di sostanze stupefacenti e di alcolici, fenomeni di micro-criminalità dei minori nomadi ed extracomunitari sono solo alcune delle molteplici forme in cui si manifesta la devianza giovanile. Non a caso l’opinione pubblica tradisce un largo senso di insicurezza a causa di una “criminalità diffusa’’, alimentata da violenze, furti, vandalismi, scippi che hanno sovente i minori come protagonisti. Criminalità e devianza giovanile sono dunque fenomeni ben noti, che possono nascere all’interno dei contesti familiari o scolastici ma che non sono limitate a questi ultimi; basti pensare alle cosiddette “gang minorili” o ai casi di violenza familiare, che negli ultimi tempi nel nostro Paese hanno subìto un sensibile aumento. Queste manifestazioni di aggressività spesso diventano particolarmente dannose per le vittime, ma altrettanto per chi le agisce, a causa del rilievo giudiziario che ne può conseguire. E allora questi spunti formativi sono utilissimi a comprendere la complessità del fenomeno, attraverso una serie di approfondimenti che focalizzano i molteplici aspetti operativi nei quali è quotidianamente chiamato ad operare il personale di Polizia Penitenziaria in forza al settore minorile. H
33
Polizia Penitenziaria n.225 febbnaio 2015
34
l’ultima pagina
inviate le vostre lettere a rivista@sappe.it
il mondo dell’appuntato Caputo #iosonolapagliuzza di Mario Caputi e Giovanni Battista de Blasis Š 1992-2015
Polizia Penitenziaria n.225 febbraio 2015
www.poliziapenitenziaria.it duecentomila pagine visitate al mese!
Notizie, agenzie, informazione, editoriali, opinioni, foto storiche, forum, annunci...
Tutto quello che devi sapere sul tuo lavoro e sulla tua professione.