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anno XXII • n. 230 • luglio/agosto 2015
ISSN 2421-2121
www.poliziapenitenziaria.it
La nuova geografia dell’Amministrazione penitenziaria
sommario
anno XXII numero 230 luglio/agosto 2015
Per ulteriori approfondimenti
www.poliziapenitenziaria.it
l’editoriale
sport e salute
La riorganizzazione del DAP
il pulpito Lo spirito di Corpo che non c’è più
di Emanuele Graziani
Organo Ufficiale Nazionale del S.A.P.Pe. Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria
di Giovanni Battista De Blasis
l’osservatorio
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La crisi greca non è solo un caso interno di Giovanni Battista Durante
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il commento
Il Sappe ha scritto la storia del Corpo di Roberto Martinelli
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criminologia
Teoria e prevenzione della devianza di Roberto Thomas
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il ricordo
Dieci anni fa ci lasciava Franz Sperandio di GBDB
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lo sport
Sciabola: oro a squadre per Aldo Montano di Lady Oscar
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arte e cultura
Direttore responsabile: Donato Capece capece@sappe.it Direttore editoriale: Giovanni Battista de Blasis deblasis@sappe.it Capo redattore: Roberto Martinelli martinelli@sappe.it Redazione cronaca: Umberto Vitale, Pasquale Salemme Redazione politica: Giovanni Battista Durante Comitato Scientifico: Prof. Vincenzo Mastronardi (Responsabile), Cons. Prof. Roberto Thomas, On. Avv. Antonio Di Pietro Donato Capece, Giovanni B. de Blasis, Giovanni B. Durante, Roberto Martinelli, Giovanni Passaro, Pasquale Salemme Progetto grafico e impaginazione: © Mario Caputi (art director) www.mariocaputi.it “l’appuntato Caputo” e “il mondo dell’appuntato Caputo” © 1992-2015 by Caputi & de Blasis (diritti di autore riservati)
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Le opere del Prof. Vincenzo Mastronardi
Cod. ISSN: 2421-1273 web ISSN: 2421-2121
di Massimo Montaldi
Stampa: Romana Editrice s.r.l. Via dell’Enopolio, 37 - 00030 S. Cesareo (Roma)
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diritto e diritti Il diritto alla salute dei detenuti di Giovanni Passaro
Il S.A.P.Pe. è il sindacato più rappresentativo del Corpo di Polizia Penitenziaria
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Correre ...per seminare il diabete
di Donato Capece
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Fotografa questo codice e leggi la rivista sul tuo cellulare
In copertina: La nuova geografia dell’Amministrazione Penitenziaria
visita il sito
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Finito di stampare: luglio 2015 Questo periodico è associato alla Unione Stampa Periodica Italiana
dalle segreterie
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Galatone, Cuneo, Carinola, Alessandria Roma, Isola d’Elba
cinema
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Sissignore a cura di Giovanni Battista De Blasis
crimini e criminali 26 La strage di Erba di Pasquale Salemme
sicurezza e lavoro 28 I rappresentanti dei lavoratori (RLS) di Valter Pierozzi
sport e cultura
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Sport... educazione, cultura e società di Emanuele Ripa
come scrivevamo 26 L’astrea è la nostra squadra di Marcello Tolu
le recensioni
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Editori: Derive Approdi, Tea, Imprimatur, Ediesse e Bonanno
ultima pagina
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il mondo dell’appuntato Caputo di De Blasis & Caputi
Chi vuole ricevere la Rivista direttamente al proprio domicilio, può farlo versando un contributo di spedizione pari a 25,00 euro, se iscritto SAPPE, oppure di 35,00 euro se non iscritto al Sindacato, tramite il c/c postale n.54789003 intestato a: POLIZIA PENITENZIARIA - Società Giustizia & Sicurezza Via Trionfale, 79/A - 00136 Roma specificando l’indirizzo, completo, dove va spedita la rivista.
Polizia Penitenziaria n.230 luglio/agosto 2015
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Donato Capece Direttore Responsabile Segretario Generale del Sappe capece@sappe.it
l’editoriale
La riorganizzazione del DAP stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 29 giugno n.148, il DPCM 15 giugno 2015 n.84 “Regolamento di riorganizzazione del Ministero della Giustizia e riduzione degli uffici dirigenziali e delle dotazioni organiche”. Questo è stato l’ultimo atto della riorganizzazione del Ministero della Giustizia, relativa ovviamente anche al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria.
È
Interregionali dell’Organizzazione Giudiziaria. Nella parte speciale il Regolamento reca le norme relative alla organizzazione ed ai compiti dell’amministrazione centrale, costituita in quattro dipartimenti, andando anche a definire i compiti del capo dipartimento e dei suoi uffici di staff. All’articolo 6 vengono delineati i compiti del Dipartimento
dell’Amministrazione Penitenziaria che perde la Direzione Generale dell’Esecuzione Penale Esterna a favore del Dipartimento della Giustizia Minorile. Per le restanti competenze il Dap non subisce modificazioni in quanto restano allo stesso attribuite le funzioni gestionali del personale e delle risorse finanziarie e strumentali da esercitarsi mediante tre direzioni generali: la direzione generale del personale e delle risorse, la direzione generale dei detenuti e del trattamento e la direzione generale della formazione. Costituiscono, infine, strutture di decentramento regionale i Provveditorati di cui alla legge 15 dicembre 1990, n. 395 e successive modificazioni, che sono stati ridotti a undici (vedi box). H
DATI NAZIONALI 47 Case Reclusione - 144 Case Circondariali - 7 Case di Lavoro e OPG totale 198 istituti RIPARTIZIONE DEI NUOVI PROVVEDITORATI REGIONALI PIEMONTE, LIGURIA, VALLE D’AOSTA sede:Torino Piemonte 13: 8 CC, 5 CR - Liguria 7: 6 CC, 1 CR - Valle d’Aosta 1: 1 CC VENETO, FRIULI V.G., TRENTINO A.A. sede: Padova Veneto 10: 8 CC, 1 CR, 1 CRF - Friuli V. G. 5: 5 CC - Trentino Alto Adige 2: 2 CC LOMBARDIA sede: Milano - Lombardia 19: 14 CC, 4 CR, 1 OPG
Nella foto: il Ministero della Giustizia nel box i dati relativi alla ripartizione dei nuovi Provveditorati Regionali
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Si tratta di un percorso partito nel lontano 2006, con la legge finanziaria di quell’anno che ha previsto la riorganizzazione e la razionalizzazione di tutte le amministrazioni pubbliche. Il provvedimento ha disegnato una nuova configurazione del Ministero della Giustizia per renderlo compatibile con le trasformazioni intervenute con il decentramento della struttura. Nella parte generale del regolamento viene illustrato come il dicastero sia incentrato su strutture amministrative centrali ed altre regionali, come i Provveditorati Regionali dell’Amministrazione Penitenziaria e le neonate Direzioni Regionali e
EMILIA ROMAGNA, MARCHE sede: Bologna Emilia Romagna 11: 8 CC, 2 CR, 1 OPG - Marche 7: 4 CC, 3 CR TOSCANA, UMBRIA sede: Firenze Toscana 18: 12 CC, 5 CR, 1 OPG - Umbria 4: 2 CC, 2 CR LAZIO, ABRUZZO, MOLISE sede: Roma Lazio 14: 10 CC, 1 CCF, 3 CR, - Abruzzo 8: 6 CC, 1 CR, 1 CL - Molise 3: 3 CC CAMPANIA sede: Napoli - Campania 17: 11 CC, 1 CCF, 3 CR, 2 OPG PUGLIA, BASILICATA sede: Bari Puglia 11: 8 CC, 2 CR, 1 CRF - Basilicata 3: 3 CC CALABRIA sede: Catanzaro - Calabria 12: 10 CC, 2 CR SICILIA sede: Palermo - Sicilia 23: 17 CC, 5 CR, 1 OPG SARDEGNA sede: Cagliari - Sardegna 10: 4 CC, 6 CR
il pulpito genzia Ansa del 12 luglio 2015: “Tragedia a Trentola Ducenta nel Casertano: in seguito ad una lite tra vicini per futili motivi sono stati uccisi padre, madre e figlio. E c’è anche una quarta persona morta, secondo quanto riferiscono fonti investigative. L’autore della strage è un agente di polizia penitenziaria.” La notizia è di quelle che ti lasciano senza fiato. Di quelle che fanno discutere su cosa può succedere nella mente umana quando il livello dello stress supera quello dell’intelligenza. E un brivido su per la schiena, per il fatto che l’autore della strage è un collega. Non che cambi molto nella dinamica di una vicenda che può essere ascritta soltanto a pura e semplice follia... ma un ulteriore riflessione sull’ambito lavorativo nasce spontanea. E’ fuori discussione il fatto che, sia in tragedie come queste che quando si parla di suicidio, qualcosa nella mente dell’autore è andata in corto circuito. Psicologia e psichiatria spiegano che l’omicidio è la conseguenza di uno scompenso delle proprietà chimicofisiche dell’organismo di un individuo, sottoposto a stress interno o esterno. La mente umana, infatti, ha la capacità di controllare impulsi, desideri inopportuni e spinte negative che provengono dall’inconscio. Ma, purtroppo, a volte l’individuo non è capace di esercitare, o non vuole esercitare, questo controllo e può compiere atti violenti, come omicidio o suicidio. Il suicidio è in genere il risultato di motivazioni multiple e complesse. I principali fattori causali sono rappresentati da disturbi mentali (depressione in primo luogo), fattori sociali (delusioni e perdite), anomalie di personalità (impulsività e aggressività) o disturbi fisici. Talvolta capita che a monte di omicidi e/o suicidi ci siano disturbi posttraumatici da stress. Ma tutti questi ragionamenti finiscono per portarci, inevitabilmente, al nostro lavoro e alle condizioni nelle quali esso viene svolto.
A
Lo spirito di Corpo che non c’è più Sarebbe utile discutere delle helping professions e del burn out che ne consegue e del fatto che le statistiche pongano queste categorie ai vertici delle percentuali di suicidi. Per pura coincidenza sono andato a rileggere un mio editoriale di tanti anni fa, intitolato “Vogliamo parlarne?” Scrivevo allora: «Qualche tempo fa mi sono trovato a discutere delle “solite cose” con un caro amico e collega in servizio al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Tralasciando le chiacchiere, trite e ritrite, sul “quando c’era Lui caro Lei” è emerso un ragionamento molto interessante. Si commentava come un neo agente veniva catapultato all’interno di un istituto penitenziario al termine del corso di formazione frequentato presso una delle Scuole del Corpo. Il mio amico sosteneva che “Negli istituti ci si accorge dell’arrivo di un nuovo agente solo dal modello 14. E soltanto quando questi manda un certificato medico!“. Se tale considerazione portasse al vero, potrebbe verificarsi il paradosso per cui un agente ausiliario, che non si ammalasse mai durante il periodo di leva, rimanga sconosciuto - per sempre - al direttore e al comandante dell’istituto. Ciò stante, non ci si può meravigliare quando accadono gravi fatti di collusione o corruzione che, quasi sempre, riguardano giovani agenti sprovveduti ed abbandonati a se stessi. L’erba del vicino è sempre più verde titolava un famoso film con Cary Grant, ma in questo caso possiamo parlarne fuor di metafora per andare a guardare nei giardini dei Carabinieri, della Polizia di Stato o della Guardia di Finanza. Che succede a un neo carabiniere, a un neo poliziotto o a un neo finanziere il primo giorno di servizio?
Ovunque vengano assegnati esiste un protocollo, che si perpetua negli anni, secondo il quale sono ricevuti dal comandante della struttura che gli partecipa il benvenuto a nome di tutti i colleghi lì presenti e gli espone e illustra i diritti e i doveri connessi alle funzioni che dovrà andare a svolgere. Soltanto dal secondo giorno, poi, il neofita andrà a svolgere il proprio compito istituzionale. Che succede, invece, a un neo poliziotto penitenziario il primo giorno di servizio? Ovunque, o quasi, sia stato assegnato non esiste alcun protocollo relativo al suo arrivo in istituto e il direttore e il comandante sono, spesso e volentieri, troppo impegnati per potergli rivolgere anche solo una parola. L’accoglienza, in senso stretto, del nuovo agente è devoluta al buon cuore del collega meglio disposto che, tutt’al più, si limita a illustrare struttura e organizzazione della caserma, a comunicare orari dello spaccio e della mensa dell’istituto e, al limite, a dare qualche notizia sul paese o sulla città. Per il resto, il neo assunto potrà contare soltanto sulle tabelle di consegna, sulle scarne istruzioni del capo posto e sugli improbabili suggerimenti di un collega più anziano, che non gli sarà mai affiancato. Se il destino del giovane dovesse essere il muro di cinta tutto questo forse, tralasciando l’aspetto umano, potrebbe anche bastare. Ma se il nuovo agente dovrà entrare all’interno di una sezione detentiva, nella maggior parte dei casi, dovrà improvvisare attingendo alla memoria breve del recente corso di formazione, in attesa che la propria professionalità cresca con l’esperienza personale. Per fortuna la Polizia Penitenziaria detiene la medaglia d’oro, tra tutte le forze dell’ordine, nella disciplina
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Giovanni Battista de Blasis Direttore Editoriale Segretario Generale Aggiunto del Sappe deblasis@sappe.it
‡ Polizia Penitenziaria n.230 luglio/agosto 2015
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Polizia Penitenziaria n.230 luglio/agosto 2015
il pulpito dell’arte d’arrangiarsi e dopo pochi mesi anche tutti i nuovi agenti acquistano questa taumaturgica virtù. Ciò non toglie, però, quel velo d’amarezza che mi ha assalito quando il mio amico Mauro mi ha costretto a ragionare su uno Spirito di Corpo che non c’è più... E allora mi permetto di fare un appello a tutti i miei colleghi che hanno l’onere e l’onore dell’incarico di comandante di reparto della Polizia Penitenziaria: introduciamo nella prassi del servizio una regola di accoglienza formale per i nuovi colleghi, seguiamoli di più e meglio nei loro primi giorni di lavoro, per farli sentire a casa fin dal primo momento. Trasmettiamogli - da subito - un grande e forte Spirito di Corpo, perché questo non potrà che aiutarli ed aiutarci a fare sempre meglio il delicato compito che lo Stato e la società ci hanno demandato. A tutti gli altri vorrei dire soltanto: Vogliamo parlarne?» Non voglio fare, per l’amor di Dio, alcun collegamento tra questo articolo e la strage di Trentola Ducenta, né tantomeno collegarlo ad alcun suicidio, ma spero di sollecitare una riflessione sul pericoloso scollamento, umano e gerarchico, che esiste nei nostri istituti, uffici, servizi e reparti dove nessuno sa niente di nessuno e malesseri, turbamenti, demoralizzazioni e prostrazioni finiscono spesso per essere ignorati, mentre coloro che ne soffrono rimangono soli a combattere con la propria disperazione. Non sono mai stato un laudator temporis acti ma, pur tuttavia, rimpiango quei tempi in cui, con la divisa grigioverde, sembravamo una grande famiglia e ogni comandante conosceva vita, morte e miracoli di ogni suo uomo. E il Capo del Personale di allora conosceva vita, morte e miracoli di ogni suo comandante e, addirittura, di ogni suo sottufficiale. Non esagero... io c’ero. Tredici anni fa scrissi Vogliamo parlarne? Oggi vorrei rilanciare l’invito aggiungendo Vogliamo rifletterci? H
l’osservatorio
La crisi economica greca non è soltanto un affare interno a situazione della Grecia preoccupa tutta l’Europa e non solo. Infatti, l’eventuale uscita della Grecia dalla moneta unica avrebbe effetti negativi ben oltre il Paese stesso. In Grecia gli effetti della crisi e dell’instabilità politica sono devastanti, non solo scontri tra manifestanti e forze dell’ordine, ma anche radicali cambiamenti nello stile di vita delle persone. Il Foglio ha pubblicato un articolo sulla situazione di Atene, nel quale si fa riferimento ad post con scritto “Un appartamento o uno studio di due stanze a meno di diecimila euro”. Si tratta di alloggi nel centro di Atene, a Salonicco, a Patrasso, a Corfù o nell’isola di Creta. Non ruderi da ristrutturare, ma case pronte per essere abitate. E’ un clima da svendita del mercato immobiliare della Grecia in crisi. La città in cui i prezzi sono letteralmente crollati rispetto a cinque anni fa è Atene, soprattutto nel centro della città, abbandonato da decenni al degrado. Quartieri centrali come Kypseli, Patisia, persino il famigerato Agios Panteleimon, roccaforte dei nazisti di Alba dorata, sono stati gradualmente abbandonati dai residenti greci, sostituiti da immigrati. Ora anche gli immigrati se ne vanno. Specialmente gli albanesi, al primo posto tra le comunità straniere in Grecia, da tempo hanno iniziato a tornare in patria. Gli appartamenti in cui vivevano, spesso in affitto, qualche volta di proprietà, sono rimasti vuoti. E sui proprietari pesano le tasse e i costi di mantenimento. Fin dallo scoppio della crisi, la proprietà immobiliare è stata la più sicura fonte di entrate per le casse dello stato. Non c’è solo l’analoga dell’Imu, che in Grecia è chiamata tassa straordinaria di solidarietà, che sarà protratta fino al 2016. C’è anche la rivalutazione del valore catastale, decretato nel 2011 ma
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calcolato sui valori di mercato del 2005, di regola tre o quattro volte più alti degli attuali. La crisi greca si trascina ormai da un po’ di anni e gli aiuti dell’UE sono iniziati già nel 2010. Agli aiuti, però, non è seguito un serio programma di riforme, a cominciare dalla pubblica amministrazione e dal sistema pensionistico. Se ciò fosse stato fatto, sicuramente la situazione debitoria della Grecia non sarebbe quella attuale e l’UE non sarebbe stata costretta ad imporre misure drastiche, come quelle annunciate in questi giorni, in cambio del terzo piano di salvataggio dal 2010 ad oggi, piano che va dagli 82 agli 86 miliardi circa. Le riforme riguardano l’IVA e le tasse in primo luogo. La razionalizzazione dell’IVA comprenderà un unico sistema di tre aliquote al 23, al 13 e al 6% e dovrà essere valido per tutto il Paese. Dovranno essere eliminate le agevolazioni per alcune categorie, come gli agricoltori. Altra riforma importante riguarda il sistema pensionistico. Atene dovrà implementare le riforme del 2010 e 2012: età pensionabile alzata entro il 2022 a 67 anni, o 62 con 40 anni di contributi, penalizzazione dei pensionati anticipati ed eliminazione progressiva, entro il 2019, dell’Elkass, il sussidio destinato alle pensioni più basse. L’Europa chiede ad Atene provvedimenti più incisivi entro ottobre, a cominciare dall’azzeramento degli effetti delle decisioni sulle pensioni della Corte Costituzionale che annullarono i tagli del 2012. Inoltre, i creditori chiedono ad Atene la riforma del codice di procedura civile, per lo snellimento dei processi. La richiesta è stata fatta per colmare i ritardi nei tempi della giustizia civile, tagliare le lungaggini burocratiche e garantire rispetto dei contratti e certezza dei pagamenti.
7 La direttiva europea riguarda anche la gestione delle crisi bancarie che non dovranno più gravare su stati e contribuenti, ma sui privati, quindi i correntisti con depositi superiori ai 100 mila euro. Altro aspetto importante per i creditori è quello relativo alle liberalizzazioni che riguardano il mercato dei prodotti, con aperture domenicali, sconti, proprietà delle farmacie, e quello del lavoro, con l’accesso a professioni e settori chiusi, compreso il trasporto via mare che, invece, Atene aveva escluso. Per quanto riguarda il mercato del lavoro ad Atene è stata chiesta la revisione della contrattazione collettiva, comprese le norme sui licenziamenti. L’Europa chiede anche l’istituzione di un fondo indipendente in cui far confluire gli asset da privatizzare. Il fondo, con sede ad Atene, sarà gestito dalle autorità greche, con la supervisione di quelle europee. Un’altra condizione imposta ad Atene è il ritorno della troika, BCE, FMI e UE, nel Paese. Il governo dovrà lavorare con le tre istituzioni sulla legislazione in aree ritenute importanti. Questa è una delle condizioni più dure da accettare per la Grecia e per Tsipras. Tali misure hanno messo in crisi il governo greco e portato alle dimissioni del ministro dell’economia Varoufakis. Se si legge il programma elettorale di Tsipras, si capisce subito il motivo delle forti resistenze ad attuare il programma imposto dall’UE. Il programma di Tsipras prevedeva: • Aumento degli investimenti pubblici di almeno € 4 miliardi; • Ripristino di stipendi e pensioni in modo da aumentare i consumi e la domanda. • Incentivi a piccole e medie imprese; • Investimenti in ricerca e nuove tecnologie, al fine di far rientrare i tanti cervelli greci emigrati all’estero. • Ricostruzione dello stato sociale; Inoltre Tsipras affermava nel suo programma: “Noi ci assumiamo la responsabilità di varare un piano di rinascita nazionale che sostituirà il memorandum della Troika appena saremo al governo, prima e indipendentemente dal risultato dei negoziati con la Ue. Obiettivo:
invertire il trend di disintegrazione sociale e ricostruire l’economia e uscire dalla crisi.” Affermava ancora che avrebbero dato: • Elettricità gratis per 300.000 famiglie sotto la soglia di povertà fino a 300 kWh al mese per famiglia; cioè, 3.600 kWh all’anno. Costo totale: € 59,4 milioni • Buoni pasto per 300.000 famiglie senza reddito. L’attuazione avverrà tramite un ente pubblico di coordinamento, in collaborazione con le autorità locali, la Chiesa e le organizzazioni di solidarietà. Costo totale: € 756 milioni. • 30.000 appartamenti (30, 50, e 70 mq), sovvenzionando affitto a € 3 per mq. Costo totale: € 54 milioni, a coloro che erano senza casa; • Restituzione del bonus di Natale, come la tredicesima della pensione, a 1.262.920 pensionati con una pensione fino a 700 €. Costo totale: € 543,06 milioni. • Assistenza medica e farmaceutica gratuita per i disoccupati non assicurati. Costo totale: € 350 milioni. • Carta speciale di trasporto pubblico per il disoccupati di lunga durata e di coloro che sono sotto la soglia di povertà. Costo totale: € 120 milioni. • Abrogazione del livellamento della imposta di consumo speciale sul riscaldamento e gasolio per autotrazione. Portare il prezzo di partenza di combustibile per riscaldamento per le famiglie a € 0,90 al lt, invece degli attuali € 1,20 a lt. È previsto Benefit. • Riscadenzamento dei debiti con Stato ed enti previdenziali in 84 rate • Stop ad azione penale e sequestro prima casa a chi avvia conciliazione su arretrati fiscali • Stop per un anno a qualsiasi forma di rivalsa su debitori a reddito zero • Abolizione del versamento obbligatorio del 50% di acconto del debito in essere per chi è oggetto di contestazioni fiscali. La caparra sarà decisa da un giudice. Sarà circa il 10% -20%, a seconda delle circostanze finanziarie del debitore. • Abolizione della tassa unica sulla casa. Introduzione di una tassa sulla proprietà di grandi dimensioni.
Immediata correzione al ribasso dei tassi di zona di proprietà per mq. Costo stimato: € 2 miliardi. Tale tassa sarà progressiva, con una soglia esentasse alta. Con l’eccezione di case di lusso, non si applicherà sulla prima casa. Non riguarderà piccola e media proprietà. • Soglia esentasse del reddito alzata a 12mila euro. Aumento degli scaglioni di imposta per garantire una tassazione progressiva. Costo stimato: € 1,5 miliardi. • Riduzione del debito personale attraverso la ristrutturazione dei crediti in sofferenza di individui e imprese. • Istituzione di una banca di sviluppo pubblica e delle banche per usi speciali. • Ripristino del salario minimo a 751 €. • Ripristino dei diritti del lavoro cancellati dai memorandum della Troika. • Ripristino dei contratti collettivi del lavoro. • Abolizione di tutte le norme che consentono di licenziamenti di massa e ingiustificabili, nonché per l’affitto dipendenti.
L’accettazione del piano dell’UE e, quindi, la sua votazione in Parlamento, avvenuta nei giorni scorsi, ha portato ad una grave spaccatura all’interno del partito di maggioranza, tant’è che Tsipras è riuscito a farlo approvare con i voti dell’opposizione. Ciò, molto probabilmente, porterà alla crisi del governo ed a nuove elezioni, ma la cosa più importante, in questo momento, è sicuramente il destino del Paese, più che quello politico di una persona o di un partito. H
Giovanni Battista Durante Redazione Politica Segretario Generale Aggiunto del Sappe durante@sappe.it
Polizia Penitenziaria n.230 luglio/agosto 2015
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il commento
Il Sappe ha scritto la Storia del Corpo di Polizia Penitenziaria! Roberto Martinelli Capo Redattore Segretario Generale Aggiunto del Sappe martinelli@sappe.it
Nella foto: manifestazione per la Riforma della Polizia
Polizia Penitenziaria n.230 luglio/agosto 2015
er un giovane che oggi entra a far parte del Corpo di Polizia Penitenziaria (a proposito: un caloroso benvenuto ai neo Agenti del 169° corso, che da pochi giorni hanno raggiunto le sedi di servizio dopo il corso di formazione!), l’ambìto e agognato traguardo professionale è indubbiamente quello di essere parte integrante di un Corpo di Polizia dello Stato che ha pari dignità con le altre istituzioni delle Forze dell’Ordine che compongono il Comparto Sicurezza e Difesa.
P
degli Agenti di Custodia e soppresse il ruolo delle Vigilatrici penitenziarie. Uno dei punti di forza della riforma fu la “libera sindacalizzazione”, che permise l’iscrizione dei poliziotti ai Sindacati (allora imperavano quelli confederali, che per altro qualche anno prima scesero unitariamente in piazza per chiedere e sollecitare il disarmo della polizia.). Questo permise che un gruppo di Baschi Azzurri, guidati dall’allora Maresciallo Maggiore Scelto Donato Capece, desse vita al primo Sindacato
Il Corpo di Polizia Penitenziaria, infatti, nelle sue variegate articolazioni operative, è oggi una realtà concreta di istituzione dello Stato seconda a nessuno, con le sue specializzazioni, le sue peculiarità, le sue prerogative di polizia giudiziaria e pubblica sicurezza. E giustamente, come ebbe a dire un Guardasigilli nel corso del suo intervento alla celebrazione dell’Annuale del Corpo a Roma qualche anno fa, i Baschi Azzurri sono «i nostri piccoli, grandi eroi silenziosi». Eroi che «non possono e non devono essere lasciati soli». E’ sempre bene ricordarlo, questo, se solo si pensa quale situazione si determinò nel gennaio 1991 a seguito dell’entrata in vigore della Legge di riforma 395/1990 che sciolse il Corpo
autonomo, apolitico e apartitico, dei poliziotti penitenziari: il SAPPE. Furono tempi esaltanti sebbene non fosse facile improvvisarsi sindacalisti: ai tempi ci confrontavamo, nelle prime riunioni con la parte pubblica (in ambito dipartimentale e periferico), con sindacalisti confederali che provenivano dai tribunali, dalle poste, dalle dogane (taluno anche con qualche trascorso giudiziario turbolento...), dotati sicuramente di una dialettica forbita e di una lunga esperienza di pratica sindacale di cui noi eravamo digiuni ma che, pur tuttavia, parlavano una lingua che non era la nostra. Fa sorridere a dirlo oggi, ma ricordo che nel corso delle contrattazioni per la stesura del primo Accordo Quadro
Nazionale per il Corpo di Polizia Penitenziaria scongiurammo, con la nostra fermezza e la nostra determinazione, la scellerata ipotesi di togliere i poliziotti penitenziari dagli Uffici matricola e dalle Segreteria del Personale per lasciare il posto a impiegati civili! E ricordo bene anche le prime riunioni sindacali che andavamo a fare nelle carceri, spesso ostacolati dalla protervia di chi vedeva nel Sindacato non già una risorsa di tutela e valorizzazione professionale dei poliziotti iscritti ma un ostacolo al mantenimento di “sacche di privilegio” e alla reiterazione degli abusi che fino ad allora subivano tanti di coloro che indossavano la gloriosa divisa degli Agenti di Custodia. Ebbene, in quelle riunioni, sempre molto partecipate, il SAPPE attraverso il suo leader indiscusso Donato Capece (che girò tutte le carceri del Paese!) parlava di un futuro operativo della Polizia Penitenziaria che prevedesse il ruolo dei Funzionari e dei Commissari del Corpo (perché non poteva e non doveva esistere un Corpo acefalo che avesse come massimo rappresentate l’ispettore superiore) e dei ruoli tecnici. Parlava, tra l’altro, delle specializzazioni, dei tiratori scelti, degli istruttori di tiro, dei servizi di Polizia stradale, degli elicotteristi, del Servizio navale, di una Sezione di Polizia Penitenziaria addetta stabilmente alle attività di Polizia giudiziaria ed alla collaborazione con la Magistratura, della scorta dei Ministri della Giustizia e delle Autorità a rischio. Parlava della necessità che si costituissero aliquote di Polizia Penitenziaria presso le Sezioni di Pg delle Procure e in ogni contesto interforze impegnato contro la criminalità, come la Direzione Investigativa Antimafia (la Dia). Lo diceva con convinzione, anche se
il commento qualcuno mal celava qualche sorrisetto ironico, pensando che fossero tutte cose impossibili “per la guardia carcere” e che nessuno altro, ripeto nessuno ad eccezione del SAPPE, andava a sostenere. Ci siamo dotati di una Rivista, quella che avete la cortesia di sfogliare in questo momento e che esce ogni mese da oltre vent’anni, per rivendicare il nostro senso di appartenenza ed il nostro orgoglio di poliziotti penitenziari. Volgete per un istante il capo all’indietro e guardate dov’eravamo e dove siamo oggi. Tutto, ripeto tutto quello che disse il SAPPE in quegli anni si è realizzato: il ruolo direttivo del Corpo, le specializzazioni, migliori condizioni di lavoro, una proiezione professionale stabilmente fuori dalla cinta carceraria...
Una delle ultime chicche, sono l’approvazione della legge che ha istituito la banca dati del DNA e il laboratorio centrale per la banca dati nazionale del DNA, con la finalità di rendere più agevole l’identificazione degli autori di delitti, affidati ai ruoli tecnici della Polizia Penitenziaria. Con l’approvazione della legge 85/2009 l’Italia infatti aderì al Trattato di Prum, firmato da Belgio, Germania, Spagna, Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi e Austria il 27 maggio 2005, e volto a rafforzare la cooperazione di polizia in materia di lotta al terrorismo, alla criminalità transfrontaliera ed all’immigrazione clandestina. Il Capitolo 2 del Trattato, in particolare, disciplina l’impegno fra le Parti contraenti a creare schedari
nazionali di analisi del DNA e a scambiare le informazioni contenute in tali schedari e sui dati dattiloscopici (le impronte digitali), consentendo l’accesso ai dati inseriti negli archivi informatizzati dei registri di immatricolazione dei veicoli. Compito questi affidato, e lo possiamo dire e rivendicare con orgoglio, alle donne e agli uomini specializzati del Corpo di Polizia Penitenziaria. Ma non è questo l’unica ragione di orgoglio per tutti i Baschi Azzurri. Dal 1 luglio scorso, infatti, sei unità di Polizia Penitenziaria hanno preso servizio presso la Direzione Investigativa Antimafia. Il provvedimento del Capo del Dipartimento Santi Consolo dà attuazione a quanto già previsto dall’art. 8 del Decreto Legislativo 15 novembre 2012, n. 218 che prevede che il personale del Corpo operi nell’ambito delle articolazioni centrali per le esigenze di collegamento con le strutture di appartenenza, per le attività di analisi sullo scambio delle informazioni di interesse all’interno degli istituti penitenziari. Non è mai bello citarsi, ma ricordo quel che scrissi sul numero 2 (novembre 1994) di questa Rivista “Polizia Penitenziaria - Società, Giustizia & Sicurezza” proprio esaminando la specificità della Dia e l’ambito operativo che al suo interno avrebbe potuto e dovuto trovare la Polizia Penitenziaria. “… l’inserimento della Polizia Penitenziaria all’interno della struttura della Divisione Investigativa Antimafia – esclusa da essa probabilmente per incomprensibili ragioni politiche della Prima Repubblica... - è una delle rivendicazioni più ricorrenti e più datate del SAPPE. La specificità delle attribuzioni proprie e, soprattutto, l’attività di controllo posta in essere all’interno degli istituti penitenziari, consentono al Personale di Polizia Penitenziaria, in particolar modo quando in servizio di Sezioni di massima sicurezza, di rilevare e, quindi segnalare, il comportamento e la tipologia di appartenenti alla criminalità organizzata di stampo
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mafioso sia in rapporto alla possibile ascendenza sulla rimanente popolazione detenuta che all’adattamento alle regole e agli obblighi propri dell’Ordinamento penitenziario. Pensiamo all’acquisizione di elementi investigativi o di notizie di reato nel circuito (da noi rilevati e poi “passati” alla Dia), il più delle volte fondamentali per accertare le articolazioni, le connotazioni strutturali, i collegamenti interni ed internazionali delle organizzazione criminali...”. E così concludevo il mio articolo: “L’adoperarsi, quindi, in ogni sede legislativa affinchè anche la Polizia Penitenziaria entri, a pieno titolo ed a parità di diritti, nella struttura della Divisione Investigativa Antimafia – sì da evidenziarne
ulteriormente la professionale e il quotidiano impegno contro la cancrena mafiosa – è il doveroso riconoscimento per legittimare la fondamentale collaborazione fino ad oggi prestata. Ed uno dei principali impegni del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, oggi come nell’immediato futuro, è proprio questo”. Gutta cavat lapidem, la goccia perfora la roccia.. Questo scrivevamo noi del SAPPE 21 (!) – dicasi ventuno! - anni fa, quando altri, esterni alla Polizia Penitenziaria, dopo aver manifestato e chiesto il disarmo della Polizia, con una sorprendente faccia di tolla venivano a chiedere le tessere alle colleghe ed ai colleghi in carcere... H
Nelle foto: a sinistra il logo della DIA sopra l’immagine del DNA
Polizia Penitenziaria n.230 luglio/agosto 2015
10 Roberto Thomas già Magistrato minorile, docente di criminologia presso l’Università di Roma la Sapienza rivista@sappe.it
criminologia
Teoria psico-pedagogica della comprensione affettiva e prevenzione della devianza minorile
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alla esperienza relativa a circa trentacinquemila casi di adolescenti devianti, trattati in quasi quaranta anni di pubblico ministero minorile, è sorta una mia teoria generale psico-pedagogica che ho denominato della comprensione affettiva, basata sui cinque pilastri educativi dell'ascolto accogliente, dell'affetto comprensivo , della memoria storica, della fiducia accordata e della responsabilità richiesta.
Nella foto: colloquio tra genitore e figlio
Polizia Penitenziaria n.230 luglio/agosto 2015
Per quanto concerne il primo principio dell'ascolto accogliente del minore “capace di discernimento”a fini educativi, esso costituisce, ai sensi del nuovo art. 315 bis, terzo comma, del codice civile, un suo diritto specifico, sanzionabile, qualora il genitore vi si opponga ripetutamente e senza motivo “con grave pregiudizio del figlio”, con la decadenza della responsabilità genitoriale ex art. 330 cod. civ. . Le modalità concrete di ascoltare il proprio figlio sono assai complesse e diversificate a secondo dei singoli casi. Il primo problema pratico da affrontare per il genitore consiste nel trovare gli “spazi” giusti di tempo e di luogo per tentare di stabilire la
comunicazione con il proprio figlio, qualora non sia lui stesso a richiederla (situazione piuttosto rara statisticamente, visto che i giovanissimi attualmente si ritirano sempre più spesso nel loro mondo virtuale dei social network, chattando su facebook o twitter, con una comunicazione globale e partecipata che li isola dagli altri membri della famiglia) . Così sarà opportuno “attrarre” preventivamente il minore con la scusa di realizzare un'attività ludica comune (uscire per passeggiare all'aria aperta in una domenica di sole, o per fare acquisti ovvero andare al cinema o alla partita di calcio, ad esempio). Durante tali momenti trascorsi insieme, si dovrà assolutamente evitare di iniziare un interrogatorio diretto a inquisire “i perché” il minore si comporti “stranamente” e in maniera “distaccata” nella famiglia, utilizzandola quasi solamente come un albergo, senza alcuna partecipazione o interesse apparentemente affettivo da condividere al suo interno, rinchiuso quasi sempre nella sua stanza attaccato al proprio computer. E' bene, invece, affrontare il discorso “alla larga”, prendendo occasione da eventi casuali esterni (quale , ad esempio, i risultati sportivi o un commento al film appena visto insieme). Tutto ciò per mettere “a suo agio” il minore, creando un ambiente discorsivo disteso, oserei dire neutrale, e sicuramente privo di tensioni preliminari e di diversificazioni di ruoli troppo accentuate e pertanto inaccettabili dal minore (quale, ad esempio, “ti domando questo perché sono il tuo
genitore e tu devi rispondere perché sei mio figlio”), che , per reazione, si chiuderebbe subito in un ostinato mutismo. E' importante percepire anche la comunicazione non verbale dei propri figli che talora precede quella contenuta nelle parole. Invero, da questo punto di vista, è assai importante notare la loro mimica facciale, connotata da un arrossire o da un impallidire, che denotano forti emozioni alla ricezione della domanda genitoriale, così come la gestualità nel muoversi e nel sedersi, la sudorazione del viso e delle mani: una intersezione psicologica variegata di vergogna, sbigottimento, ansia, paura, nervosismo, irritazione, perplessità che devono essere tempestivamente interpretate dal loro interlocutore, per calibrare in maniera migliore le sue domande, onde evitare un blocco totale del figliolo alla reciproca comunicazione, che costituirebbe il fallimento di ogni procedura d'ascolto. E' ovvio, poi, che l'osservazione del comportamento non verbale dei propri figli dovrà continuare anche durante tutto il tempo del loro ascolto, provvedendosi a modulare di frequente la tipologia delle domande sulle base dei segnali lanciati spesso involontariamente e senza parole dagli adolescenti. Attuato questo preliminare “diplomatico” (comprensivo dei già accennati comportamenti non verbali), il genitore dovrà iniziare, gradualmente e con affettiva pazienza, a far percepire al proprio figlio la sua volontà di poter condividere , almeno parzialmente, i suoi problemi esistenziali, comunicandogli di aver avuto anche egli, nella sua passata adolescenza, analoghe situazioni di “sofferenza” ( ad esempio a causa di
criminologia amori finiti, di tradimenti dell'amicizia, di conflitti con i propri genitori e così via), pur nella diversità ambientale e storica. La percepita parità di esperienze del genitore da parte del minore ( in quanto è stato già “sofferente” al pari di lui per analoghi “problemi”) mette, in un certo senso, a suo agio il minore ed è la principale chiave di volta che permetterà di poter iniziare una comunicazione reciproca sincera, da un lato mettendosi in ascolto delle ansie, delle paure, dei sensi di colpa e delle aspettative del proprio figlio, dall'altro vi sarà la tendenza per il figlio, piano piano, di aprirsi sempre di più, “svuotando il sacco” delle problematiche relative alla quotidianità della sua vita. Detto ascolto paritario (quasi come quello tra coetanei confidenti) non dovrà consistere in una reprimenda morale (“ hai fatto molto male a comportarti così, dovresti vergognarti” ), che porterebbe inevitabilmente ad una interruzione del dialogo da parte del minore che ha necessità di recepire un ascolto genitoriale in maniera “accogliente”, nel senso di comprendere che per l'interlocutore adulto il suo comportamento oggettivamente censurabile è valutato come un passato su cui mettere una pietra sopra e che non deve ripetersi mai più (“va bene, è successo perché evidentemente doveva succedere, adesso non ci pensiamo più, l'importante è che non si ripeta per il futuro” ). Quindi una modalità di ricezione da parte del genitore improntata all'affetto (“lo sai che in ogni caso io ti vorrò bene perchè sei mio figlio”) e alla massima comprensione dei fatti e delle azioni del minore, soprattutto quando si viene a rendere conto che il minore, già di per sé, ha acquisito un forte senso di colpa per l'accaduto e si sente in uno stato “confusionale” di perdita della propria autostima e di paura di essere privato di quella genitoriale. Allora dovrà subentrare una fase del dialogo improntato, da parte del genitore, a tentare di ricostituire, con le sue parole comprensive, quella
stima interiore “traballante” nell'animo del proprio figlio, comunicandogli che egli di sicuro, nonostante tutto, ha sempre avuto e sempre avrà stima per lui, soprattutto se non ripeterà le azioni sbagliate del passato. Invero si deve sottolineare la massima importanza della molla della fiducia intesa , da una parte, come messaggio rasserenante che il genitore dovrà inviare al figlio, al fine di rinforzarlo nella sua autostima, di comprendere le motivazioni dei suoi errori comportamentali (“io ti capisco e ti sono vicino”, termini sicuramente di maggior presa della tradizionale frase paternalistica “io ti perdono”), dall'altra, esprimere soprattutto fiducia nelle sue azioni future, correttive dei precedenti sbagli (“io ho fiducia in te” ),in un contemporaneo circolo relazionale virtuoso di avere fiducia e di dare fiducia . In questo procedimento di iniezione di fiducia, per il genitore occorrerà dimostrare l'assoluta parità di posizione dialogante con il figlio, rivelandogli, come già accennato, le proprie esperienze conflittuali avvenute durante la sua lontana adolescenza, che riproducono in buona parte quelle vissute attualmente dal figlio, attivando pertanto una memoria storica significativa del processo che ha condotto il genitore da una situazione adolescenziale di fluidità a quella di una piena coscienza di individuo responsabile. Comunicherà, pertanto, al minore, di ricordarsi che anche lui, nella sua lontana adolescenza, aveva commesso analoghe azioni “disdicevoli” (ad esempio provando a fumare uno spinello o litigando violentemente nella sua famiglia di origine), ma che successivamente non le aveva più ripetute, avendone compreso la dannosità per se stesso e il dolore che provocavano ingiustamente nei suoi familiari. Con tale ricordo dovrà scattare una nuova fase della comunicazione con il figlio, in cui il genitore, abbandonando il ruolo paritario fin lì tenuto con lui, dovrà assumerne uno diverso, certamente non autoritario o di vuoto
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paternalismo, bensì quello della autorevolezza. Si tratta di uno sviluppo progressivo del dialogo che, dopo il ruolo di amico del figlio assunto dal genitore nella precitata prima fase (mediante, l'ascolto- accogliente, l'affetto-comprensivo, la memoria storica e la fiducia accordata), si differenzia nell'assunzione della funzione di colui che, dopo aver acquisito agli occhi del minore una maggiore autorevolezza, può iniziare ad indicargli dei precisi “paletti” comportamentali, iniziando dall'invito al figlio di voler prendere in considerazione la possibilità di un nuovo percorso virtuoso, sollecitando pertanto la sua responsabilità in maniera graduale - pur essendo conscio della possibilità di ricadute negli errori già commessi dal minore – che deve trovare riscontro nei doveri di solidarietà sociale, previsti nell'art. 2 della Costituzione ( “La
Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociale ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”), al fine di poter diventare un individuo conscio del proprio destino in maniera matura. Quindi una sollecitazione autorevole al minore di un percorso educativo privato- familiare sulla falsariga del principio programmatico dei doveri di solidarietà sociale, richiesti decisamente dal contenuto del precitato art. 2 della Costituzione in tema di educazione civica pubblica. Il genitore concluderà, così, di essere
Nella foto: ricerca di dialogo
‡ Polizia Penitenziaria n.230 luglio/agosto 2015
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criminologia certo che gli adempimenti richiestigli “autorevolmente” (ad esempio un maggior impegno scolastico, una maggiore partecipazione alla vita familiare collettiva e così via ) saranno progressivamente attuati, ritenendo che il figlio non rifarà azioni negative, frutto di uno sbaglio giustificabile che può capitare a tutti e che non deve incidere in nessuna maniera sul suo futuro di giovane responsabile (“stai tranquillo ho compreso il tuo disagio, so che non ripeterai più queste azioni perché ti considero un ragazzo responsabile e ti voglio bene. Ora non ti abbattere per il passato , pensa al futuro e ai doveri comportamentali che ti richiedo nel tuo interesse; accettandoli e mettendoli in atto, vedrai, ti sentirai più sereno con te stesso ; se tu vorrai ti sarò sempre vicino per consigliarti... ricordati non sei solo.”).
Nella foto: “non sei solo”
Polizia Penitenziaria n.230 luglio/agosto 2015
Nella predetta sintesi descrittiva ho cercato di condensare ed esemplificare, il più chiaramente possibile, i cinque pilastri della mia costruzione teorica educativa che ho denominato teoria psico-pedagogica della comprensione affettiva basata giova ripeterlo - nell'ascoltoaccogliente, nell'affetto-comprensivo, nella memoria storica, nella fiducia accordata e nella responsabilità richiesta. Ovviamente quello che ho riferito come comunicazione intrafamiliare in cinque fasi, effettuata in un unico contesto temporale, potrà essere sviluppata, a secondo dei casi concreti, in più momenti distinti
cronologicamente e non necessariamente integralmente di seguito, potendosi “mischiare” la sequenzialità, iniziando ad esempio dalla responsabilità per poi passare alle altre quattro linee direttive d'intervento. Invero la fluidità psicologica del minore deve determinare, come risposta educativa, un modello pedagogico non rigido, ma flessibile (con mutamento del ruolo genitoriale da “paritario” ad autorevole , come si è visto, a seconda delle fasi considerate nel modello educativo), che deve seguire con attenzione il fluire delle sue situazioni di fragilità, instabilità ed imprevedibilità , attualizzando in concreto – e pertanto con specifiche modalità concrete, di cui sono state segnalate soltanto le linee guida generali – i cinque principi fondamentali sopracitati che ho riunito nella mia teoria generale psico-pedagogica della comprensione affettiva per i minori e che deve essere realizzata, in prima battuta, nell'ambito della famiglia, teoria che prende come spunto pratico la recente riforma del diritto di famiglia - avvenuta con la legge sulla filiazione (Decreto Leg.vo 28 dicembre 2013 n. 154 ) . Siffatta legge - oltre ad aver trasformato la potestà genitoriale in responsabilità genitoriale sui figli (nel novellato art. 316. cod. civ.) - ha statuito, nel combinato disposto del novellato art. 147 e del nuovo art.315 bis, primo comma, del codice civile, quale obbligo per i genitori, oltre a quello tradizionale di mantenere, educare ed istruire, anche quello di “assistere moralmente” i propri figli, codificando in tal maniera un nuovo e importante patto generazionale che prevede un'innovativa comunicazione fra genitori e figli basata proprio sul precitato ascolto accogliente, affettuoso, comprensivo, che dà fiducia e tende a responsabilizzare i minori. Invero siffatta assistenza - che non deve essere intesa solo in senso stretto, quale indicazione di principi etici di condotta, bensì in quello più ampio di assistenza affettiva - si basa,
pertanto, proprio in un dialogo interpersonale che consiste nel lasciar sfogare liberamente, anche con rabbia, il minore, assicurandogli una comprensiva partecipazione emotiva ai suoi problemi esistenziali : il tutto condito da una vera accoglienza al dialogo schietto che viene a dimostrare il sincero affetto e la fiducia del genitore. La teoria psico-pedagogica della comprensione affettiva, sinteticamente sovraesposta - adattata nelle sue cinque linee direttive alla singole situazioni ambientali concrete- potrà essere attuata anche dagli insegnanti, dagli assistenti sociali e dagli psicologi nei campi di loro pertinenza, costituendo un utile aiuto atto a prevenire i fenomeni di devianza e di criminalità minorile. In particolare per quanto concerne l'analisi della personalità dei minori da parte degli psicologi, occorre domandarsi se il predetto approccio psicologico dia certezze o quanto meno utili indizi per poter poi impostare una “terapia” di recupero del minore fluido dalle sue fragilità, instabilità e imprevedibilità . Nella mia lunga esperienza di magistrato minorile, per i migliaia di casi che ho seguito in prima persona , a stretto contatto con numerosissimi psicologi della famiglia, devo confessare il mio pessimismo, nel 90% dei predetti casi, sull’utilità dell’impostazione dell’intervento psicologico sui minori, soprattutto se lasciato come semplice diagnosi non seguita ed integrata da corretti interventi “operativi” concreti. Sovente siffatta analisi, a prescindere dalla buona fede dello psicologo che lo ha attuato, che mi pare indiscutibile, ha causato una “confusione” nel minore soprattutto quando si sono susseguiti diversi psicologi- che ha “aggravato” le incertezze della sua personalità, “squilibrandolo” ulteriormente . Invero il problema che sorge nello studio psicologico minorile è che , soprattutto da parte degli psicologi più giovani, si fa un’applicazione rigida dei principi teorici appresi nelle aule universitarie, quasi che tutti gli adolescenti fossero “uguali”, come capita per le singole tipologie delle malattie più gravi che vengono curate – questa volta giustamente, essendo
il ricordo ciascuna con un contenuto omogeneo - con un unico protocollo di trattamento medico- farmaceutico. In realtà ogni minore ha un suo proprio vissuto e, conseguentemente, una particolare personalità che deve essere “trattata” con particolare cautela, senza “trionfalismi” di avvenuto recupero, perché la “ricaduta” può essere sempre in agguato, anche quando ogni sua problematica sembra favorevolmente risolta . Penso che , in molti casi, più che l’analisi psicologica tradizionale - che, sovente, il minore interpreta come fosse un’indagine per accertare la sua “pazzia” e, pertanto recisamente rifiuta (“che vuole costui da me? Mica sono un pazzo! Non ho alcun bisogno del medico dei pazzi !” ) – sia necessaria un approccio affettuoso dei suoi genitori (o almeno del genitore collocatario, in caso di separazione ) che, con calma, cerchi di far “aprire” il figlio a esprimere i suoi problemi, dimostrandogli comprensione e vicinanza affettiva, applicando i cinque principi della già citata mia teoria psico-pedagogica della comprensione affettiva . Mi sembra , invece, più opportuno che gli psicologi debbano supportare seriamente i genitori per affrontare uno schietto dialogo coi loro figli, dando loro indicazioni concrete sul come rapportarsi correttamente coi minori, anche prima che intervengano gli elementi perturbatori adolescenziali. Insomma occorrerebbe una vera e propria “scuola di genitorialità”, riconoscendosi che il “mestiere” del padre e della madre sono quelli in assoluto più difficili e a cui tutti i genitori, anche i più culturalmente evoluti, assai spesso non sono sufficientemente preparati. Una corretta e seria applicazione educativa della teoria della comprensione affettiva porterebbe sicuramente a prevenire, in molti casi, la devianza minorile e, cambiando i tempi di realizzazione, potrebbe costituire anche un valido aiuto per il recupero dei minori deviati o che abbiano commesso attività di carattere più propriamente criminale. H
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Dieci anni fa ci lasciava Franz Sperandio Capo Redattore, amico e “collega onorario” l 31 luglio di dieci anni fa, nel 2005, ci lasciava, dopo una lunga malattia, Franz Sperandio, giornalista, Capo Redattore di questa Rivista e Addetto Stampa del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria. Nonostante il passare di tutti questi anni, ancora echeggiano in Segreteria Generale le parole del buon Franz, sempre pronto a dare un consiglio, un suggerimento o a lanciare un’idea. Ci ha insegnato tanto Franz Sperandio, ci ha insegnato tanto... Nato nel 1948 a Bolzano, ma udinese di adozione, Sperandio iniziò l’attività
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molto più di tanti colleghi che “non sentono” la divisa che portano. Era insuperabile nella correzione delle bozze della Rivista. Talmente attento e meticoloso da individuare anche il più piccolo refuso. Quando c’era lui difficilmente andava in stampa un numero con errori, anche veniali. Una cosa in particolare ci ha insegnato: ogni foto, ogni immagine pubblicata deve avere la sua didascalia! Diceva il buon Franz di non dare mai per scontato che tutti, ma proprio tutti, conoscessero il soggetto della
giornalistica nelle radio private degli anni settanta, per proseguirla poi sulla carta stampata. A cavallo tra la fine degli anni ottanta e l’inizio dei novanta, Franz si concesse un’escursione in politica fino a diventare il Capo della Segreteria del Sottosegretario di Stato alla Giustizia Franco Castiglione. Nella seconda metà degli anni novanta entrò a far parte della grande famiglia del Sappe, nella quale si inserì talmente bene da arrivare a sentirsi uno di noi, fino al punto di dimenticarsi di non essere un poliziotto penitenziario. Lui “si sentiva” un poliziotto penitenziario... ed in realtà lo è stato
foto; anche fosse stato il Papa, ci doveva essere una didascalia con scritto “questo è il Papa”. Io, noi tutti, non dimenticheremo mai l’amico e “collega” Franz Sperandio. Oggi, come allora, ciao Franz... H GBDB
Nelle foto: Franz Sperandio
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lo sport
Campionati mondiali di scherma: oro a squadre per Aldo Montano Lady Oscar rivista@sappe.it
agno di gloria e d’oro per i colori azzurri a Mosca: ai campionati mondiali di scherma (13/19 luglio), ha brillato la stella delle Fiamme Azzurre Aldo Montano, bravo a condurre sul gradino più alto del podio il team della sciabola italiana. La squadra ha dominato la finale e annichilito i padroni di casa della Russia, favoritissima alla vigilia. La medaglia d’oro, conquistata da Aldo anche e soprattutto grazie al suo apporto di tecnica ed esperienza, é arrivata a consolarlo dopo una prova individuale poco fortunata che lo ha visto uscire ai sedicesimi per mano del tedesco Hartung. I due più che
Tornando ai mondiali di Mosca si può dire che l’approccio degli sciabolisti nella finale per l’oro è stato degno del miglior regista di un gioco di strategia: in avvio Curatoli e Montano sono partiti a valanga riportando un clamoroso parziale di 10-2; poi il vicecampione olimpico Occhiuzzi ha subito la rimonta del campione del mondo Yakimenko, il quale ha ricondotto la formazione russa sul 915. A quel punto però, tornato in pedana il più giovane del quartetto, Curatoli, a dispetto dei suoi 20 anni si è mostrato all’altezza dei più grandi della disciplina, conservando il vantaggio di 20-13. Diego Occhiuzzi si è difeso dagli attacchi dell’ex iridato di
1980 conquistò l’argento nella gara a squadre.
trentenni Aldo Montano (37) e Diego Occhiuzzi, affiancati ai due ventenni Luca Curatoli ed Enrico Berrè hanno saputo imporsi sugli avversari riportando all’Italia un titolo che le mancava da vent’anni esatti, dalla rassegna mondiale dell’Aja del 1995. L’oro maschile della sciabola e quello femminile del fioretto, due dei quattro conquistati a Mosca, fanno sentire ancor più il rammarico in chiave olimpica: per la decisione del CIO di “ruotare” le armi. L’Italia dunque lascerà a casa i due dream team, dovendo affidare le sue speranze di medaglia solo alle prove individuali e alle altre competizioni a squadre ammesse.
Kazan riportando il punteggio su 2518. Dopo un 3-0 iniziale subito dal neo-campione mondiale, Aldo Montano si battuto da veterano e con un’impresa ha alzato a 30-23 il parziale in favore della nostra squadra. Poi l’argento olimpico Occhiuzzi si è sbarazzato del russo Ibragimov e Curatoli ha tenuto a bada il neo-iridato. Ad Aldo Montano è stato affidato il compito di chiudere l’incontro e lo ha fatto di mestiere con il punteggio di 45-36 in favore dell’Italia. Per Montano (14esima medaglia tra Mondiali e Olimpiadi) si tratta del primo oro iridato, che gli permette di superare papà Mario Aldo: ai Campionati del Mondo di Mosca del
Sciabola a squadre Maschile: (1) ITALIA/ ALDO MONTANO-Luca Curatoli-Diego Occhiuzzi-Enrico Berrè (32: V/Repubblica Ceca 45-10, 16: V/Messico 45-32, QF: V/Romania 4532, SF: V/Francia 45-39, F: V/Russia 45-36), (2) Russia, (3) Germania.H
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Nelle foto: la squadra italiana di sciabola esultante per la medaglia d’oro conquistata a Mosca
Nella foto: Aldo Montano in uniforme della Polizia Penitenziaria durante un’intervista
Polizia Penitenziaria n.230 luglio/agosto 2015
MOSCA (13/19 luglio) Campionati Mondiali di scherma - Sciabola M: (1) Alkesey Yakimenko RUS, (2) Daryl Homer USA, (3) Tiberiu Dolniceanu ROU e Max Hartung GER, (10) ALDO MONTANO (64: V/Sun Wei CHN 15-9, 32: V/Fernando Casares ESP 15-8, 16: S/Max Hartung GER 11-15);
lo sport della Polizia Penitenziaria ha contribuito alla sconfitta dello squadrone russo e alla conquista del bronzo (3 incontri vinti a 2 ).
Dai Giochi europei di Baku altre due medaglie alle Fiamme Azzurre ra coloro che nelle discipline di appartenenza hanno scritto le pagine iniziali in fatto di medaglie vinte ai primi giochi europei della storia, dopo il mitico “Johnny” Pellielo, il solo della cui impresa abbiamo dato conto nel precedente numero data la concomitanza di alcune gare del torneo con i tempi di stampa, le Fiamme Azzurre possono annoverare anche l’argento individuale nel pugilato, conquistato da Vincenzo Mangiacapre ed il bronzo a squadre vinto da Giulia Cantoni nel Judo, arrivati entrambi proprio in chiusura della rassegna continentale dei giochi. Nella gara di pugilato (21/26 giugno) Vincenzo Mangiacapre nel torneo dei Superleggeri ha ceduto di strettissima misura (29-28) solo nella finale che lo ha visto opposto al campione di casa Collazo Sotomayor, cubano naturalizzato azero. Prima di guadagnarsi la finalissima contro l’ex cubano, Mangiacapre aveva affrontato, negli ottavi di finale, il turco Adem Avcı vincendo tutte e tre le riprese (30-27, 30-27, 30-27). Poi nei quarti era risultato vincente per split decision nel match che lo ha visto opposto al suo coetaneo francese Hassan Amzile, al termine di un combattimento molto equilibrato (29-28, 29-28, 28-29). Il medagliato olimpico ha ceduto al suo avversario la prima ripresa, ma è poi riuscito a vincere in rimonta, garantendosi così un podio certo anche in questa importante competizione. In semifinale, opposto al tedesco Kastriot Sopa, si era imposto all’unanimità in tutte le riprese (30-27 per tutti i giudici il verdetto finale).
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Sempre dal pugilato buone notizie arrivano anche dal fuoriclasse Clemente Russo: dopo Giovanni Pellielo – pluridecorato campione del tiro a volo che parteciperà alla sua settima olimpiade – anche il campione di Marcianise, dopo la vittoria sul kazako Anton Pinchuk sul ring di Milano, l’11 luglio, nel padiglione
Tecnogym dell’Expo 2015, ha ottenuto la sua quarta qualificazione consecutiva (primo pugile dilettante a riuscirci) e disputerà il torneo dei pesi massimi a Rio de Janeiro 2016. Nella gara a squadre di Judo degli European Games di Baku (25/28 giugno), che per la spettacolare arte marziale giapponese valeva anche come Campionato Europeo, la rappresentante azzurra della Polizia Penitenziaria Giulia Cantoni ha colto un ottimo bronzo. La medaglia riscatta la delusione delle prove individuali in cui i judoka delle Fiamme Azzurre Marco Maddaloni, Domenico di Guida e la stessa Giulia Cantoni non sono riusciti a salire sul podio. In team con con Valentina Moscatt, Giulia Quintavalle, Edwige Gwend, Assunta Galeone, Odette Giuffrida ed Elisa Marchiò, l’atleta
15 Nella foto sinistra in alto: Vincenzo Mangiacapre
BAKU (21/26 giugno) European Games di pugilato – 64kg: (1) Collazo Sotomayor AZE, (2) VINCENZO MANGIACAPRE (32: bye, 16: V/Adem Avci TUR 3-0/30-27, 30-27, 30-27; QF: V/Hassan Amzile FRA 2-1/29-28, 29-28, 28-29; SF: V/Kastriot Sopa GER 3-0/30-27, 30-27, 30-27; F: S/Collazo Sotomayor AZE 03/28-29, 28-29, 28-29), (3) Viktor Petrov UKR e Kastriot Sopa GER MILANO (11 luglio) circuito Open APB (semifinale/carta olimpica) – pesi massimi (91kg) CLEMENTE RUSSO – Anton Pinchuk KAZ 3 –0 (77-75, 78-74
BAKU (25/28 giugno) European Games e Campionati Europei di judo – 73kg M: (1) Sagi Muki ISR, (2) Nagzari Tatalashvili GEO, (3) Rok Draksic SLO e Dirk Van Tichelt BEL, (33) MARCO MADDALONI (64: S/Georgios Azoidis GRE); 100kg M: (1) Henk Grol NED, (2) Lukas Krpalek CZE, (3) Toma Nikiforov BEL e Cyrille Maret FRA, (9) DOMENICO DI GUIDA (32: V/Stefan Jurisic SRB, 16: S/Toma Nikiforov BEL); 70kg F: (1) Kim Polling NED, (2) Laura Vargas-Koch GER, (3) Bernadette Graf AUT e Szaundra Diedrich GER, (17) GIULIA CANTONI (32: S/Esther Stam GEO); squadre F: (1) Francia, (2) Germania, (3) Slovenia e Italia (QF: S/Slovenia 23, Giulia Cantoni V/Tina Trstnjak; 1Rep: bye, F3/5: V/Russia 3-2, Giulia Cantoni S/Irina Gazieva) H
sopra: Giulia Cantoni a sinistra: Clemente Russo
Polizia Penitenziaria n.230 luglio/agosto 2015
16 Massimo Montaldi Antropologo etnopsichiatra rivista@sappe.it
arte e cultura
Dilemmi e misteri delle Opere del Prof. Vincenzo Mastronardi
P
er chi si occupa di arte l’impegno principale consiste nel dover risolvere diversi dilemmi che riguardano il linguaggio visivo. Spesso sono costituiti dalla costruzione di una estetica incomprensibile al gusto comune, ma tale criterio riguarda ormai solo una determinata categoria di opere.
Nella foto: il Professor Vincenzo Mastronardi
Polizia Penitenziaria n.230 luglio/agosto 2015
Fin dal primo scorcio del novecento l’avvento dell’arte contemporanea ha sovvertito in qualche modo l’imperativo del gusto comune così come lo si era inteso fino ad allora, in quanto nell’opera il riferimento indiretto mediato dall’uso dell’icona privilegia l’estetica dell’interpretazione. Questo cambiamento, avvenuto a Vienna sul finire dell’800, ha portato sempre più al centro dell’attenzione lo sguardo mentale dell’artista, piuttosto che la sua abilità di riprodurre esattamente l’immagine così come veniva percepita dall’occhio umano. I lavori di Klimt sono ad esempio la rappresentazione di ovulazioni ed estasi orgasmiche femminili, figure di donna abbandonate in un turbinio spermatico che le avvolge; Atto liberatorio del costume femminile, mai esplicitato prima; Egon Schiele, allievo di Klimt, fugge dai canoni di
bellezza classici che avevano amministrato l’arte per secoli, e dipinge personaggi onanistici, deformati dalla rivelazione del vizio e del disturbo mentale; Oskar Kokoschka si spinge oltre, concentrando la sua attenzione sulle inquietudini della depressione e della follia. In questo modo l’immagine reale subisce una distruzione ed una conseguente riparazione nelle forme che la fantasia, il vissuto, il desiderio, la prospettiva originale dell’artista ipotizzano. Si trattava di una delle possibili speculazioni alle quali un oggetto, ora soprattutto una emozione, sottraggono al linguaggio visivo dell’immagine, riproponendo sulla superficie di una tela, in una scultura, il tormento e le trame di spazi interiori. L’artista assume dunque uno sguardo particolare e trasforma un certo avvenimento mentale in una prospettiva scenografica, come un imago Freudiano deprivato del verbo della coscienza, trae forza e immanenza espressiva da tale privazione. L’artista dipinge, scolpisce e manipola la materia, allo scopo di rappresentare un avvenimento mentale, nelle categorie comunicative proprie del linguaggio dell’immagine. L’imago con il quale sostituisce la realtà visiva comune, diviene imperativo della sua esperienza storica e individuale, in connessione con l’esperienza storico culturale alla quale egli è appartenuto. Lo fa utilizzando l’alfabeto dell’immagine, che è costituito essenzialmente da una serie di elementi visivi: lo spazio, il punto, il segno grafico, la linea, il colore, il volume, la superficie, la luce, e così via. Egli narra sostanzialmente il suo punto di vista dell’immagine che “vede”; questo punto di vista è unico, ha una originalità individuale
paragonabile alla originalità della grafia. L’artista, anche il più realista, è interessato alla filogenesi e ontogenesi dell’oggetto, e finisce in ogni caso per significarlo come elemento testimoniale di una esperienza. Cosa accade nell’opera qualora un artista dipinge un sentimento puro, una prospettiva mentale, sostanzialmente un anima, un temperamento ed un carattere,e oltre, una devianza del pensiero? Data questa ipotesi, l’artista assume le vesti di argonauta, viaggiatore dei confini di una delle innumerevoli percezioni e delle tante realtà-luogo; viaggia in uno spazio visivo e acustico che investiga quelle“verità spazio” irriducibili alle semplici categorie dell’estetica del linguaggio visivo. Le opere del Prof. Vincenzo Mastronardi trattano dilemmi e misteri che stimolano il bisogno di senso, in un certo qual modo nuovi all’arte estetica; e la congiunzione consiste in una più complessa relazione di attachment tra l’opera e la ricerca scientifica, qualora essa è tesa a finalizzare e ad aggiungersi ai linguaggi clinici convenzionali. Lo stimolo visivo dell’opera e della prospezione dell’altro, ha portanza figurativa, e illumina l’aspetto archeologico del trauma; l’opera diviene scavo analitico di un effige latente, sulla cui forma sono ancorati nuclei generativi di esistenze problematiche. Vincenzo Mastronardi è psichiatra e criminologo forense di fama internazionale, titolare della cattedra di psicopatologia forense presso l’università La Sapienza di Roma. Ha prodotto numerosi libri accademici e pubblicazioni scientifiche, sui quali si sono formati generazioni di psichiatri forensi, è ipnotista e si è occupato di musicoterapia, scrivendo diversi lavori sull’argomento. Insomma, un autore ed uno studioso ricercatore di primo livello, uno dei massimi esperti della psicopatologia forense, perito forense in numerosi casi che hanno interessato la cronaca giornalistica e televisiva; Una lunghissima esperienza a contatto diretto con la patologia mentale. Lo sguardo dell’uomo e dello
arte e cultura psichiatra si è mutuato con quello di un artista speciale, che si è concentrato su immagini e configurazioni mentali, forme, dimensioni, colore, non sempre evidenti tra le pagine dei numerosi “profili del crimine”. Mastronardi artista, quell’artista argonauta di cui ho accennato, diviene il modello immaginario del viaggiatore, tra le infinite possibilità delle forme mentali della sofferenza, percorsi cromatici e traiettorie grafiche, emblematiche dei suoi lavori pittorici. La prima lezione che si trae dalle sue opere è legata ad una speculazione prettamente filosofica, ma anche inaspettatamente in linea con l’interpretazione positiva: vedere non significa capire, il semplice ascoltare non si traduce in comprendere. Vi è sempre l’impegno di lavorare su una dimensione altra, nella quale le tante verità possono trovare una loro coerenza anche attraverso una sorta di “grafica del pensiero”; perché il caleidoscopio ideativo della psiche si occulta sovente dietro processi simbolico astrattivi di difficile interpretazione nei canoni del linguaggio verbale. Le opere di Mastronardi assolvono questo compito di traslazione decorativa, in cui il vettore astratto della patologia mentale nel suo manifestarsi grafico, cromatico, non impone un imago esclusivamente narrativo, dal quale trarre materia ed energia esplicativa. La grafica e la policromia della follia, può essere fissata sul piano pittorico, e compresa al di la della narrazione storica dell’individuo. Le opere di Mastronardi sono un assemblaggio di tecniche della dimensione un metro per un metro, da leggere in chiave neo surrealistico-cibernetico; lavorate con tecnica mista polimaterica costituita dall’insieme di pittura, fotografia, oleografia. Per quanto concerne la tecnica ci conducono a Blake, Brauner, Schwitters, ma soprattutto a Joseph Cornell, data l’enfasi assemblatrice di oggetti apparentemente non collegati tra loro, ma che trovano senso nell’insieme metaforico abitato da circostanze oggettuali e cromatiche, un insieme di
significati che sorprende perché che muta il piano convenzionale in una raccolta ornamentale di sogni e suggestioni. L’invito esplorativo è chiaro: trasmette la frammentazione delle parti del Sé, metafora degli oggetti persi nel tempo e nello spazio. Si nota l’interesse particolare dell’artista per l’irrazionale, e parallelamente il tentativo di restaurazione surreale di un ordine perduto, o mancato, che sembra aver obbedito ad un destino. Nell’opera “Paranoia” è evidente la ricerca di quelle entità mentali invisibili che sono sfuggite alla costruzione del Sé, per poi ricorrere al mascheramento e occultamento di un vissuto che, ormai irriconoscibile, continua ad agire. Nell’opera campeggia una scatola in plexiglass che restituisce un senso di chiusura. Il sigillo emotivo esibito nella scintillante e luminosa scritta rosso vermiglio (paranoia) pura forma esplicita del messaggio in un punto luce di estrema suggestione. L’allestimento prosegue su un secondo punto, centrale, ove una veduta dall’alto di New York è semicoperta da una macchia rossa e minacciosa. La città appare in una prospettiva bizzarra di esplosione fallica diffusa; la macchia rossa ha un forte richiamo simbolico all’identità problematica. Quest’opera si riferisce al caso di un paziente con tendenze omicide nei confronti del sesso femminile, trattato nel corso del setting psicoterapico, e descrive la scena mentale di uno specifico sogno del soggetto. In “Ipotrofia dell’Io”, il caso di una donna vittima di violenza domestica e familiare, la metafora marina come divisione che separa le diverse istanze psichiche, rivela una profondità in cui presenze antropomorfe di maschere umane, scrigni colmi di gioielli, si sedimentano nel fondo che trattiene, a scapito di un Io inadeguato costituito da dita incapaci di afferrare, segno grafico di una negazione mortificante alla base dell’ipotrofia dell’Io. I diversi piani del profondo sono ben ottenuti con l’uso tecnico e sapiente della sfumatura del colore, che gioca sulle illusioni ottiche delle trasparenze. L’opulenza dell’oro nello scrigno
sembra assumere un ruolo germinativo di una ambivalenza ipertrofica dell’Io violento quale risposta reattiva e compensativa all’ipotrofia. Nell’opera “Isterismo - il bambino d’oro”, il caso di paralisi isterica di una donna, successiva ad una condotta ninfomane, viene rappresentato da una immagine mentale che si configura durante l’esposizione di un sogno, questa volta proposto dal terapeuta alla paziente, e sostanzialmente dominato dalla presenza di un bambino rivestito d’oro e posto al centro di una volta celeste di colore scuro. All’invito di descrivere le immagini e le azioni evocate, la paziente mostrava disinteresse a rimuovere la patina d’oro che rivestiva il bambino, rinunciando quindi ad una reale e concreta relazione, lasciando mantenere una copertura d’oro sul corpo del bambino. Indifferenza e anaffettività, rivelate dalla implicita difficoltà di umanizzazione del bambino, costituiscono la metafora di un blocco problematico della sessualità, la cui resistenza interiore trova orizzonte nel sintomo isterico. L’opera è una composizione assemblata di materiali
17 Nelle foto: le opere “Paranoia”, “Ipotrofia dell’Io” e “Piromania”
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Nelle foto: in alto la copertina del “Manuale per operatori criminologici” e, sotto, l’opera “Sessuofobia”
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arte e cultura vari. In basso diviene una costante la enunciazione patologica, posta sul piccolo blocco di travertino. In alto una donna bionda atteggiata nella postura fisica del darsi è racchiusa in una cartolina dallo sfondo rosso del piano sottostante, nel quale non partecipa. Proietta solo un ombra dei margini entro i quali è confinata. Il bambino d’oro, richiamo alla pop art dei primi anni 70 del 900, soggiace in uno spazio stellato. Egli è posto al limite inferiore dello scibile stellato, quasi a voler esprimere il suo desiderio di essere notato ed al contempo restituisce l’effetto di una incomunicabilità. Le braccia sono allargate leggermente sui fianchi e tra i due soggetti vi è una separazione carica di drammaticità che sottolinea una mancanza. Sessuofobia è l’opera che più di altri esplicita e cerca di dare forma grafica alla violenza sui bambini da parte di un genitore. Si tratta di un caso trattato dal Prof. Mastronardi in collaborazione con l’allora Ministro di Grazia e Giustizia On. Prof. Giuliano Vassalli, e pubblicato in una monografia dal titolo “Manuale per operatori criminologici”, Giuffrè Editore, Milano. In questo caso una donna di 32 anni in trattamento per manifestazioni comportamentali violente in danno dei figli di 8 e 4 anni di età, sottoposta a ipnosi rivela episodi significativi della sua infanzia circa le violenze notturne nei confronti della madre e perpetrate dal padre, mentre faceva finta di dormire insieme alle sue sorelle e fratelli in uno spazio
ristretto e misero costituito dal loro alloggio. Durante il karma ipnotico la paziente esplode in atteggiamenti collerici riferendo frasi che invocano un qualche aiuto per la madre, vittima del padre, implorando clemenza e di non infierire sulla di lei madre. E’ un caso di maltrattamento subito ed ergo esercitato che si manifesta specificamente all’indomani della cerimonia di nozze con suo marito, e quindi in seguito allo spostamento dei ruoli sociali psicologicamente percepiti. Solo allora la sua posizione individuale muta assumendo il fantasmatico del vissuto precedente. L’opera attraversa simbologie storiche individuali immerse in un rosso bruciante, e la sospensione minacciosa costituita dal dilemma vulcanico rende drammatico il vaso rovesciato che assume il significato di una sessualità rifiutata. E’ presente l’eloquente ambivalenza dell’immagine separata dal contesto centrale, espediente tecnico pittorico tipico nei lavori di Mastronardi, che antepone la presenza di un altro contenitore, un bicchiere trasparente nel quale è immerso lo stelo di un fiore giallo. Poco vicino al vaso rovesciato un serpente emerge dalle sfumature rossastre dello sfondo, come volendo cercare il libero accesso all’inconscio-vagina. In basso sottolinea la natura sessuofobica del Se, e del viaggio ipnotico di ricerca verso i confini della psiche, confermando l’intuizione circa “l’artista argonauta” Mastronardi che rintraccia l’emozione-spazio del soggetto durante lo spostamento ipnotico. L’opera è in tecnica mista e presenta diversi punti focali che partecipano al discorso cromatico, luminoso e carnale. Il concetto di spazio esistenziale entro il quale è la trama, definisce il centro dell’interesse inconografico di Vincenzo Mastronardi. L’essenzialità del simbolo dona esplicita chiarezza ai passaggi regressivi della patologia, rifiuto del sintonico e opposizione tra archeologia e superficie, passato e presente. Un trionfo delle cornici e delle separazioni prende corpo, è
l’area in cui è posta l’idealizzazione di una realtà invisibile dell’agito. Di fronte a queste opere si ha la percezione di come la dimensione artistica si relazioni con quella psichica, purché si è consapevoli che la sostanza dei confini e degli steccati costituisca il vulnus autentico che da forma al contenuto psichico, nell’atto grafico rivelatorio. I pittori viennesi dell’ultimo scorcio dell’800 entrarono in connessione con la nascente psicoanalisi, occupandosi di una soggettività che rivendicava e rivelava l’inquietudine nelle prerogative dell’iconografia. Le forme ed i segni contemporanei di Vincenzo Mastronardi indagano e rivendicano anch’esse tale possibilità insita nella superficie pittorica viaggiando ai confini di quelle cornici e margini, alla ricerca di una ontologia del caotico. Dare loro colore, spessore e materia, significa anche dinamizzare e rimettere in gioco emozioni di un vissuto psichico bloccato. La tavolozza è una sintesi tra bellezza della espressività in opposizione alle statiche tensioni del perpetrarsi traumatico. L’idea della tela convenzionale della composizione artistica, affida ai materiali il compito di riordinare le forme espressive dello strappo nella tela ben più intima dell’esistenza. Come il medico Alberto Burri fece delle bende insanguinate che maneggiava durante il secondo conflitto mondiale il suo discorso iconografico della distruzione, ed un piano sul quale fondare l’esplicito rifiuto della dimensione convenzionale della comunicazione, le bende insanguinate dello psichiatra forense si materializzano attraverso la metafora della trasformazione in immagine pittorica dello psichico, tradotto tra le cornici ed i giochi di ombre e policromie. Antichi abbandoni, linee e segni di ostacoli interiorizzati prendono forma e luce in un duplice campo di interesse, di cui quello pittorico delinea il volto desolato di una sofferenza originaria. Questa posizione “non oggettiva” è fervida di analogie tra aspetto formale e narrativo. H
diritto e diritti
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a Costituzione Italiana definisce la salute come “fondamentale diritto dell’individuo” e come “interesse della collettività”, rilevando due aspetti, quello del diritto e quello dell’interesse, distinti ma coordinati. Il diritto alla salute, inteso quale valore costituzionale supremo, non è stata la sua valenza originaria, come a noi oggi appare del tutto scontata, ma è frutto di un’evoluzione giurisprudenziale. Fin dai primi anni dalla sua entrata in vigore, vi era la tendenza a qualificare il diritto alla salute più come un principio programmatico che come un diritto soggettivo del cittadino. Fu solo grazie all’intervento da parte della giurisprudenza della Cassazione Civile a Sezioni Unite e della Corte costituzionale, che si iniziò a valutare una diversa natura giuridica del diritto in esame. Si cominciò, in particolare, con il riconoscimento di una precettività immediata di quell’espressione del diritto alla salute consistente nella tutela dell’integrità psico-fisica da attentati provenienti da pubblici poteri o da privati, ritenendo così del tutto assimilabile la struttura del diritto alla salute, a quella di qualunque altro diritto di libertà (1). Ma la valorizzazione in termini positivi del diritto alla salute, cioè, non impostata unicamente sulla tutela in ordine alla conservazione del diritto, ma riconoscendo anche un altro aspetto del diritto medesimo, quale la pretesa a fruire di trattamenti sanitari, avvenne più tardi. Così, nelle sentenze nn. 103 del 1977 e 175 del 1982, la Corte costituzionale ha riconosciuto “che ogni persona che si trovi nelle condizioni obiettive stabilite dalla legislazione sull’erogazione dei servizi sanitari ha pieno e incondizionato diritto a fruire delle prestazioni sanitarie erogate, a norma di legge, come servizio pubblico a favore dei cittadini”, e precisa inoltre che, tale aspetto del diritto alla salute è soggetto “alla determinazione degli strumenti, dei tempi e dei modi di attuazione” della relativa tutela ad opera del legislatore ordinario. Il che significa che sebbene il diritto
Il diritto alla salute dei detenuti alla salute è riconosciuto quale valore costituzionale fondamentale, la relativa tutela, costituzionalmente obbligatoria, debba comunque avvenire gradualmente, dovendola ragionevolmente bilanciare con altri interessi o beni, che godono parimenti di tutela costituzionale e dovendo, inoltre, valutare le concrete possibilità di risorse per la medesima attuazione. Ai fini della nostra trattazione, è opportuno esaminare, se, e in che modo, tali situazioni giuridiche soggettive trovano tutela all’interno dell’ordinamento penitenziario. Sotto il profilo della tutela dell’integrità psico-fisica della persona dinanzi alle aggressioni o condotte, comunque lesive, da parte di terzi, “il diritto alla salute è un diritto erga omnes, immediatamente garantito dalla Costituzione e, come tale, direttamente tutelabile e azionabile dai soggetti legittimati nei confronti degli autori dei comportamenti illeciti” (2). Tale diritto quindi, è suscettibile di immediata attuazione dinanzi la magistratura ordinaria, sulla base della sola garanzia costituzionale ed indipendentemente da un intervento di attuazione da parte del legislatore o della pubblica amministrazione, e può essere azionato, inoltre, sia nei rapporti tra privati, sia quando il comportamento lesivo sia stato posto in essere dalla pubblica amministrazione. Data la peculiarità della materia, molteplici sono le previsioni legislative nell’ordinamento penitenziario, volte a delimitare la legittimità dell’intervento “fisico” degli operatori penitenziari. A titolo d’esempio, gli operatori penitenziari possono utilizzare la forza fisica nei confronti di detenuti e internati solo quando sia “indispensabile per prevenire o impedire atti di violenza, per impedire tentativi di evasione o per
vincere la resistenza, anche passiva, all’esecuzione degli ordini impartiti”, e ancora, si specifica che “non può essere usato alcun mezzo di coercizione fisica che non sia espressamente previsto dal regolamento e, comunque, non vi si può far ricorso ai fini disciplinari ma solo al fine di evitare danni a persone o cose o di garantire l’incolumità dello stesso soggetto; l’uso deve essere limitato al tempo strettamente necessario e deve essere costantemente controllato dal sanitario”(Art. 41 comma 1 e 3 Ord. Pen.).
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Giovanni Passaro Segretario Provinciale Sappe passaro@sappe.it
Nei confronti del direttore dell’istituto si configura un obbligo alla stregua dell’art. 331 comma 1 c.p. Infatti, è proprio in ossequio a questo dovere che il secondo comma del citato art. 41 Ord. Pen. prescrive “al personale che, per qualsiasi motivo, abbia fatto uso della forza fisica nei confronti dei detenuti o degli internati, deve immediatamente riferirne al direttore dell’istituto il quale dispone, senza indugio, accertamenti sanitari e procede alle altre indagini del caso”. H Note (1) In tal senso, A. PENNISI, Diritti del detenuto e tutela giurisdizionale, cit. pag. 84. (2) Corte costituzionale, sentenza del 1990, n. 455.
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20 Emanuele Graziani Medico chirurgo Specialista in Medicina dello Sport rivista@sappe.it
sport e salute
Correre per ...seminare il diabete uante volte, andando dal medico, che sia stato il proprio medico di famiglia, l’endocrinologo, il diabetologo, il cardiologo o il dietologo, ci si è sentiti dire: “deve cambiare abitudini di vita: dieta e attività sportiva!”.
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Ma tutte le volte, tutti i migliori propositi da cui siamo animati sono svaniti in un lampo, pensando: “e ora che devo fare?”, o “ma sarà poi vero?”, “e la mia pancia, che fine farà? ...di qui, l’inesorabile sconfitta: “per non sbagliare, non faccio proprio nulla ...che non sia prendere le mie medicine!”. Errore!!! ed ecco perché: proprio l’esercizio fisico, ed in particolare l’attività aerobica (cioè quell’attività fisica prolungata in cui la frequenza cardiaca non sale molto), è il primo presidio terapeutico che si deve adottare nel caso si sia affetti da Diabete Mellito di Tipo 2. Di letteratura scientifica, in questo ambito, ce n’è in abbondanza a partire
dal 1926, anno in cui Lawrence, medico inglese e diabetico, pubblicò sul British Medical Journal un articolo in cui dimostrava su se stesso che una iniezione di 10 unità di insulina rapida produceva un abbassamento glicemico molto maggiore e più rapido se era seguita
da un esercizio fisico piuttosto che se si restava a riposo. Da allora gli studi si sono moltiplicati e tutti concordano con l’osservazione del sinergismo d’azione del lavoro muscolare e dell’insulina. L’attività fisica raccomandata ai pazienti diabetici è sempre di tipo aerobico. In assenza di complicanze, è utile e raccomandabile l’affiancamento di un programma di allenamento contro resistenza (utilizzando per esempio pesi con carichi leggeri). L’Allenamento L’organizzazione di una seduta di allenamento tipo prevede in generale: 1. una fase di riscaldamento: 5-10 minuti di attività aerobica a bassa
intensità. Serve a preparare il cuore, l’apparato muscolo scheletrico ed i polmoni ad un progressivo incremento dell’esercizio. A seguire, andranno effettuati altri 5-10 minuti di stretching muscolare dolce. 2. una fase centrale caratterizzata dall’attività fisica programmata: circa 40 minuti di camminata veloce/corsetta leggera ad una frequenza cardiaca che segua questa semplice espressione matematica: [(220 - gli anni d’età) : 100] x 70. 3. defaticamento al termine della seduta: 5-10 minuti di camminata sempre più lenta fino a fermarsi per riportare gradualmente la frequenza cardiaca a livelli basali e fare stretching degli arti inferiori (allungamento muscolare). Le Precauzioni Prima di iniziare un’attività fisica in maniera continuativa è opportuno valutare alcuni parametri e prendere alcune precauzioni: • innanzitutto, capire se cuore, reni, fegato ed i capillari venosi del microcircolo funzionino bene. Ciò avvalendosi delle competenze del proprio medico di famiglia o di un diabetologo che prescriverà le opportune analisi del sangue e del cardiologo o medico dello sport attraverso un test da sforzo massimale al cicloergometro; • poi valutare se la terapia orale e/o insulinica sia adeguata all’attività sportiva che si andrà ad effettuare: sarà sempre il medico di famiglia o il diabetologo a valutare se il dosaggio dei farmaci che si assumono vanno aggiustati in base all’attività fisica che si svolgerà, il motto è: “mai di testa propria!” Inoltre, è necessario aver presente come l’esercizio fisico aumenti l’azione dell’insulina per diverse ore dopo l’esercizio, con conseguente rischio prolungato di ipoglicemia, e come l’assorbimento sottocutaneo di insulina possa essere aumentato dall’esercizio se l’iniezione avviene in una zona coinvolta dall’attività muscolare. Infine, il rischio di ipoglicemia è più alto quando l’esercizio è praticato nel periodo dopo i pasti. Pertanto:
dalle segreterie • monitorare sempre, prima e dopo l’allenamento, la glicemia attraverso gli stick rapidi; • è buona norma effettuare le sedute di allenamento lontano dai pasti quando i livelli di insulina sono bassi; • se possibile programmare l’attività fisica lontano dalle iniezioni di insulina; • evitare l’esercizio fisico durante il picco di azione dell’insulina; • ridurre la dose di insulina quando l’esercizio fisico è programmato, e sotto controllo medico; • somministrare insulina in aeree non coinvolte dall’attività muscolare; • può essere utile disporre di cibi contenenti carboidrati a basso, medio ed alto indice glicemico (barrette energetiche) durante e dopo l’esercizio; Si deve inoltre tener presente come il diabete produca un cattivo funzionamento del microcircolo soprattutto a livello degli arti inferiori, quindi: • utilizzare scarpe da ginnastica e calze sportive in cotone per tenere il piede asciutto e minimizzare i traumi; • idratarsi bene prima dell’esercizio, durante e dopo; • portare con se durante gli allenamenti documenti ed elenco delle patologie di cui si è affetti. I Vantaggi Tenute presenti le avvertenze e le precauzioni di cui sopra, un esercizio di intensità medio bassa per 3-4 volte alla settimana per almeno 30-60 minuti, porta al miglioramento generale dei parametri di controllo metabolico, ovvero: • aumento della sensibilità all’insulina; • prevenzione delle malattie cardiovascolari; • riduce i livelli di VLDL; • aumenta il colesterolo HDL; • riduce il colesterolo LDL; • riduce i livelli di pressione arteriosa in modo rilevante nei pazienti con iperinsulinemia; • favorisce la perdita di peso; In conclusione, prima di cominciare la vostra nuova vita sportiva, parlate con il vostro medico, e ...correte per seminare il diabete!!! H
Galatone Grande successo per il Dojo Bushi al IX Open di Sicilia di Karate
punti! I secondi successivi sono al cardiopalma con Giulia che invece di difendere cerca, rischiando anche un po’, di tenere sempre l’iniziativa. La vittoria la proietta in finale dove cede di misura (1 a 0) contro una ragazza con la quale ingaggia un duello bello e leale. É argento, sofferto e meritato. H
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rivista@sappe.it
Nelle foto: il podio e i componenti della squadra del Dojo Bushi di Galatone
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ei giorni 27 e 28 giugno si é svolto nella città di Siracusa il 9° Open di Sicilia, una tra le più difficili e importanti gare di karate, inserita nel circuito nazionale e valida per la formazione del ranking nazionale. Il Dojo Bushi, la scuola di Arti Marziali di Galatone (Le), porta a casa la prestigiosa medaglia d’argento di Giulia Musardo (figlia del nostro vice segretario provinciale di Lecce) nella categoria Esordienti B 47 kg, che, dopo una stupenda fase eliminatoria approda in semifinale dove incontra una avversaria forte e determinata, finalista nei precedenti Campionati Italiani. Giulia non le dà tregua, subisce due penalità per mancato controllo e a quaranta secondi dalla fine piazza un calcio al viso veloce e preciso... é ippon, tre
Lettera aperta a tutti colleghi della C.C. di Cuneo arissimi Colleghi, vi ringrazio per i sacrifici che giorno e notte fate per rendere orgoglio all'Istituzione del Corpo di Polizia Penitenziaria. Un grazie di vero cuore va a tutte le vostre famiglie che con voi condividono tantissimi sacrifici. Il mondo dove noi lavoriamo non è facile e per questo che dobbiamo sostenerci, affinchè ogni difficoltà possa trovare soluzione. E’ vero è un periodo difficile, sembra che le istituzioni ci abbiano abbandonato: contratto scaduto, tagli sugli straordinari, arretrati spettanti da gennaio che ancora non si vedono, vestiario con il contagocce se sei fortunato con le misure... Certo, vi chiederete, ma i sindacati che stanno a fare? Credetemi è una lotta continua, anche se la bacchetta magica non ce l’ha nessuno, vi posso solo dire che noi del
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Sappe non siamo mai stati alla finestra ad aspettare, siamo sempre stati in prima linea, sempre vicino ai colleghi. Magari a volte abbiamo sottovalutato qualche problema (nessuno è perfetto) però, abbiamo sempre cercato di migliorare il nostro lavoro e soprattutto abbiamo sempre lottato per il bene e nel rispetto delle donne e degli uomini che rappresentano il glorioso Corpo della Polizia Penitenziaria. Noi del Sappe abbiamo sempre lottato e continueremo a farlo per il bene comune, senza nasconderci dietro a nessuno, a differenza di qualche altro sindacato. La nostra forza siete voi, continuate a darci forza e sostegno per far arrivare nelle stanze di potere, la nostra voce, in un unico coro. Più dignità alla POLIZIA PENITENZIARIA.. Fraternamente il vostro collega Carmelo Patanè.
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dalle segreterie Carinola
rivista@sappe.it
Messa in onore del Patrono San Basilide
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l 30 giugno nella locale Casa di Reclusione, alla presenza di tutto il personale, è stata celebrata una Santa Messa in onore di San Basilide, Protettore della Polizia Penitenziaria. H
Alessandria La Polizia Penitenziaria sfila al motoraduno
presso la Chiesa "Madonnina dei centauri" sita a Castellazzo Bormida (AL). La manifestazione ha avuto un notevole successo con oltre mille moto presenti all’evento. H
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omenica 12 luglio la Polizia Penitenziaria di Alessandria ha partecipato con due moto in forza al NTP (per la prima volta nella storia della sfilata) alla 70esima edizione del più grande motoraduno internazionale del nord ovest svoltosi
Roma Si riuniscono i quadri del Sappe Lazio l 26 maggio, presso un caratteristico ristorante del centro di Roma, è stata organizzata una cena, alla presenza del Segretario Generale Dott. Donato Capece, dei Segretari Generali aggiunti Giovanni Battista De Blasis, Giovanni Battista Durante e Roberto Martinelli, del Segretario Regionale Maurizio Somma unitamente ai rappresentanti della Segreteria regionale. Il Segretario Generale ha lungamente esposto, nel corso della cena, le varie argomentazioni che il Sappe sta portando avanti nel duro e faticoso confronto sia con l’Amministrazione Penitenziaria che con il mondo politico. Questo secondo incontro tenutosi nella Regione Lazio, ardentemente reclamato dal Segretario Generale Donato Capece è stato la prova della grande unità e del costante
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e vivo rapporto che lega la Segreteria Generale ai Quadri sindacali del Lazio e a tutto il personale della Regione. Durante il convivio hanno fatto da padrone gli argomenti relativi al Corpo di Polizia Penitenziaria, ampiamente discussi da parte di tutti; sono stati raccolti numerosi suggerimenti provenienti dalla periferia sicuramente utili per i prossimi incontri sindacali. Come nel precedente incontro il Segretario Generale Donato Capece ha ribadito che il Sappe non abbandonerà mai nessuno ma, anzi, continuerà
sempre più forte la lotta affinchè nessuno possa mai restare indietro. H Maurizio Somma
dalle segreterie Roma Servizio di sorveglianza della Polizia Penitenziaria alle prove scritte per il concorso da Magistrato
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al 4 al 10 luglio 2015, il personale del Corpo di Polizia Penitenziaria, congiuntamente ad un piccolo contingente di Carabinieri, è stato impegnato per la vigilanza delle prove scritte del concorso a 340 posti per Magistrato ordinario, indetto con D.M. 5 novembre 2014, presso la Fiera di Roma. Il servizio è stato prestato con impegno e professionalità dal personale della task force e da un
gruppo di allievi agenti. Sono stati rinvenuti numerosi oggetti non consentiti in particolare, ben occultati, un telefono cellulare ed un apparecchio elettronico per arginare l’inibitore di cellulari. Parole di elogio sono pervenute per l’operato del personale dal Presidente della Commissione. H
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rivista@sappe.it
Giuseppe Nubile, per tutti gli amici Peppino, ci ha lasciato n pensione dal 1993, cioè al compimento del 60° anno di età, ha svolto la carriera in gran parte degli Uffici ministeriali, anche se sovente dava la propria disponibilità per andare a ricoprire incarichi in istituti in sofferenza. Lo ricordiamo sempre con il sorriso, con una giovialità innata e una serenità d’animo davvero convincenti,
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Isola d’Elba Torneo di calcio a 5: vince ancora la Polizia Penitenziaria onclusa ufficialmente la 5ª edizione del Torneo Calcio a cinque 2015 Interforze, con la finale disputata il 2 luglio 2015 dedicata al fondatore Damiano Damiani, con il trionfo per il secondo anno consecutivo della Polizia Penitenziaria. Così il Podio: • 1° Classificata: Polizia Penitenziaria (sconfiggendo in finale la squadra della Guardia Costiera 10-9 (padrona di casa); • 2° Classificata: Guardia Costiera; • 3° Classificata: Polizia Municipale. Questa la formazione vincente: Calabrese, Ferraiuolo, Costanzo, Cennamo, Cecere, Amatiello, Amato, Bozzini, Pellegrino. All. Amatrudo.
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in grado di distrarti e di farti dimenticare ogni preoccupazione. Il Suo attaccamento al dovere e al Corpo lo hanno contraddistinto sempre per impegno e professionalità. Tutti gli amici, e sono davvero tanti, non lo dimenticheranno, perchè ha saputo offrirci in ogni circostanza un animo sincero. H
Resp. Vice Comm. Perrini Nel "Galà della premiazione” svoltosi presso il Comando della Guardia Costiera di Portoferraio, coppe e medaglie e applausi per tutti con il ringraziamento da parte del Comandante Zatelli dei Carabinieri e del Comandante della Polizia Penitenziaria Vice Commissario Perrini... insomma una bella serata . H Pasquale Amato Nelle foto: la coppa e la formazione vincente della Polizia Penitenziaria
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cinema dietro le sbarre
Sissignore a cura di Giovanni Battista de Blasis deblasis@sappe.it
Nelle foto: la locandina e alcune scene del film
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scar Pettini, interpretato da Ugo Tognazzi, è l’autista tuttofare di un noto industriale soprannominato l’Avvocato (Gastone Moschin). A causa della guida sfrenata e spericolata della propria fuoriserie, l’Avvocato provoca un gravissimo incidente stradale nel quale rimangono uccise quindici persone. Per evitare condanna e carcere, l’Avvocato convince Oscar ad assumersi la responsabilità della tragedia in cambio di una cospicua somma di danaro. Un po’ per i soldi, un po’ per non perdere il lavoro, e anche un po’ per compiacere il padrone, Oscar si dichiara colpevole e viene condannato per omicidio colposo. Iniziano, così, mesi di detenzione dorata, nel lusso più sfrenato e con un trattamento da albergo a cinque stelle. Trascorsi questi tre anni più che agiati, grazie alle premure dell’Avvocato, Oscar esce di prigione e si trova subito a dover fare un altro “sacrificio” per il proprio datore di
la scheda del film Regia: Ugo Tognazzi Basato sul testo di Luigi Malerba Soggetto: Luigi Malerba, Tonino Guerra, Franco Indovina Sceneggiatura: Tonino Guerra, Luigi Malerba, Ugo Tognazzi Fotografia: Giuseppe Ruzzolini Montaggio: Marcello Malvestito Scenografia: Luciano Ricceri Musica: Berto Pisano (la canzone “Attimo per attimo” è cantata da Mina) Costumi: Ezio Altier
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Produzione: Mario Cecchi Gori per Fair Film Distribuzione: Euro International Film - General Video lavoro: deve sposare l’amante di lui per offrirgli un’adeguata copertura. Dopo il matrimonio, Oscar si trova a dover sostituire formalmente il suo padrone sia per gli affari privati che per quelli pubblici, senza però poter godere dei benefici della sua posizione. Oscar si ritrova, infatti, a vivere una vita lussuosa senza avere una lira e con una moglie bellissima che può frequentare solo pubblicamente. Nel frattempo l’Avvocato, tra le tante azzardate speculazioni, finanzia la
Personaggi ed Interpreti: Oscar Pettini: Ugo Tognazzi Maria Tommaso: Maria G. Buccella L’Avvocato: Gastone Moschin Maggiordomo: Franco Fabrizi Calandra: Ferruccio De Ceresa Facchetti: Franco Giacobini Ragazza Americana: Sirena Giuseppe Terranova, Giovanni Ivan Scratuglia, Donatella Della Nora Genere: Commedia Durata: 105 minuti, Italia, 1968 costruzione di una nave ultramoderna, che affonda appena varata, ma per la quale aveva stipulato una lucrosa polizza assicurativa. A questo punto Oscar, dopo aver tentato invano il suicidio, è costretto a tornare in carcere al posto dell’Avvocato, che continuerà, però, a rendergli più agevole possibile la detenzione. All’interno della sua cella di lusso, scoprirà infine di diventare “padre” e, sopraffatto dalla commozione, si congratulerà con la “moglie”, nell’auspicio di poter anche lui un giorno permettersi un autista fidato. H
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Pasquale Salemme Segretario Nazionale del Sappe salemme@sappe.it
Nelle foto: sopra Olindo Romano a destra Rosa Bazzi
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crimini e criminali
La strage di Erba e liti di condominio, o se vogliamo di vicinato, sono all’ordine del giorno e, a volte, capita che i toni si scaldino e le condotte delle persone si animino più del dovuto tanto da sfociare in uno o più reati. La situazione non cambia se si vive nella grande città o nel piccolo paese di provincia. Io stesso sono cresciuto in un contesto abitativo in cui i miei genitori, e di conseguenza anche noi figli, non rivolgevano il saluto ai dirimpettai per liti di vicinato delle quali, peraltro, nessuno aveva più memoria da quale episodio traessero origine.
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A volte ci si limita ad uno scambio di battute, altre volte si propone querela nei confronti del proprio vicino per violenza privata (art. 610 c.p.), per minaccia (art.612 c.p.) o per atti persecutori (612-bis c.p.), per molestie (art. 660 c.p.). Gli episodi che danno origine alle liti sono innumerevoli: il vicino scrolla le briciole della tovaglia nel terrazzino sottostante; il vicino tiene il volume della televisione troppo alto; il cane del vicino abbaia in continuazione; il vicino accende la lavatrice alle 6,00 del mattino. La casistica è infinita ma lo spirito di sopportazione, ovvero il limite di tolleranza per utilizzare un termine riportato nel Codice Civile, a causa di svariati fattori soprattutto psichici, si è assottigliato sempre di più. Addirittura a volte assistiamo a
condotte persecutorie di condomini tanto che la Suprema Corte di Cassazione ha coniato, in una recentissima sentenza (Cass. Pen. N. 39933/2013), il termine di “stalking condominiale”. Non voglio dilungarmi ulteriormente sull’argomento delle liti di vicinato ma, quando i rancori tra vicini sono il movente per cagionare la morte di quattro persone, vuol dire che questa società è seriamente malata. E’ l’11 dicembre del 2006, ad Erba, una piccola cittadina in provincia di Como, nel condominio del Ghiaccio, al civico 25 di via A. Diaz, Valeria Cherubini si accinge ad uscire di casa per portare fuori il cane; il marito, Mario Frigerio, sentendo delle urla provenienti dal piano sottostante, invita la moglie ad aspettare prima di scendere le scale. Non era la prima volta che nell’appartamento sottostante, abitato dalla famiglia Marzouk, si sentisse litigare. Tornato il silenzio la donna si era decisa ad uscire, aveva fatto un giro col cane e verso le 20.15 stava risalendo le scale per rientrare, quando vide del fumo uscire dalla casa dei Marzouk, ebbe appena il tempo di gridare: «Mario scendi, brucia la casa». Mario Frigerio, che abita al piano superiore, si precipita di sotto e, mentre cerca di entrare, viene dapprima sollevato da dietro e poi scaraventato a terra, per poi essere preso per la testa e per la gola con un coltello. Attirati dal fumo, alcuni vicini di casa accorrono nella palazzina salendo le scale frettolosamente per dirigersi al primo piano dove è localizzato l’appartamento in fiamme. A ridosso del pianerottolo trovano un uomo ferito, appunto Mario Frigerio, sdraiato con la testa dentro l’appartamento ed il corpo fuori. La porta dell’abitazione è socchiusa, per cui i soccorritori entrano scoprendo subito un corpo senza vita e in fiamme di una donna. Trasportano il corpo della donna sul pianerottolo, spegnendo le fiamme che lo avvolgono. Purtroppo il fumo si fa sempre più denso e questi devono abbandonare in fretta l’appartamento. Con l’arrivo dei Vigili del Fuoco di
Erba, che riescono a domare l’incendio in una mezz’ora, le fiamme vengono spente e dietro la cortina di fumo vengono ritrovati quattro vittime dell’incendio, almeno è quello che sembra in un primo tempo. In realtà non si tratta di un semplice incendio, le vittime sono stata dapprima uccise e poi, probabilmente, l’incendio è stato appiccato per mascherare la strage. Le quattro vittime sono: Raffaella Castagna (31 anni), figlia di una delle più note e ricche famiglia di Erba, la quale è stata aggredita e colpita ripetutamente con una spranga e con 12 coltellate per poi essere sgozzata; Paola Galli (60 anni), madre di Raffaella, colpita da diverse coltellate e sprangate; Yousself Marzouk, di soli due anni, figlio di Raffaella Castagna e Azouz Marzouk, a cui è stato recisa l’arteria carotidea e morto per dissanguamento; Valeria Cherubini aggredita con diverse sprangate e con 34 coltellate. Mario Frigerio, l’unico sopravvissuto di questa mattanza, è stato percosso e accoltellato alla gola, ma è sopravvissuto grazie ad una malformazione congenita della carotide, che peraltro disconosceva di avere, e che gli ha impedito di dissanguarsi completamente. Ricoverato al nosocomio cittadino, si risveglierà dall’anestesia dopo due giorni. Nelle primissime ore investigatori e media indicano una sola pista, lo straniero extracomunitario, Azouz Marzouk, nato il 28 aprile 1980 a Zaghouan (Tunisia), marito di Raffaella Castagna e padre di Youssef Marzouk, che aveva precedenti penali per spaccio di droga ed era uscito dal carcere grazie ad un indulto. Sebbene Azouz Marzouk abbia un alibi di ferro, perché la sera della strage si trovava in Tunisia a casa della madre, gli inquirenti ipotizzano un regolamento di conti compiuto contro di lui a causa delle sue vicissitudini per lo spaccio di droga. Tuttavia, da subito, i Carabinieri notano un comportamento anomalo da parte di due vicini di casa delle vittime, Olindo Romano e Rosa Bazzi, contro cui Raffaella Castagna aveva in passato proposto ben cinque denunce-querele, di cui quattro definite con la remissione. Per una denuncia in
crimini e criminali particolare, per i reati di minaccia, diffamazione, percosse e ingiuria commessi il 31.12.2005, doveva celebrarsi il processo qualche giorno dopo la strage, il 13.12.2006. La coppia, nonostante la gravità dei fatti accaduti, si era disinteressata alla vicenda. Tali sospetti avevano portato gli inquirenti a sequestrare alcuni indumenti dei coniugi e a metterne sotto controllo l’abitazione e l’automobile. Ma altri episodi, nei giorni successivi al massacro, destarono l’attenzione degli inquirenti: il fatto che entrambi presentassero delle ferite (il marito una ecchimosi alla mano e una all’avambraccio, la moglie una ferita sanguinante ad un dito). Le intercettazioni ambientali in auto dove i due si sentivano più al sicuro, aumentarono ulteriormente i sospetti. Inoltre, la testimonianza di Mario Frigerio, sentito in ospedale due settimane dopo la tragedia, portò
gli inquirenti a disporre degli accertamenti tecnici sull’automobile e a scoprire tracce di sangue nell’auto, poi attribuite a Valeria Cherubini. Il 9 gennaio del 2007, dopo un lungo interrogatorio, i coniugi Olindo Romano e la moglie Rosa Bazzi vengono arrestati. Ma chi erano i due presunti assassini? Romano Olindo e Rosa Bazzi si sposano nel 1987, nella chiesa di San Maurizio di Mevate ad Erba. Olindo, nel 1989 viene assunto alla Econord, una ditta che si occupa dello smaltimento dei rifiuti. La casa, adiacente a quella dei Castagna, l’acquistano nel 2000: piano terra, col garage nel centro di Erba. La casa sarà il loro nido d’amore che va difeso ad ogni costo e il loro un rapporto morboso che non accetta intrusioni esterne. L’11 gennaio 2007, i coniugi
Romano, davanti al Pubblico Ministero, ammettono di essere gli esecutori della strage, descrivendo con minuzia i singoli omicidi. Il successivo 10 ottobre, invece, al cospetto del Gup, Olindo dichiara di essere innocente e ritratta la sua confessione. Anche la moglie Rosa ritira la sua confessione. Il 12 ottobre Olindo Romano e Rosa Bazzi sono rinviati a giudizio. Il 29 gennaio del 2008, innanzi alla Corte di Assise di Como si apre il processo a loro carico. Il 26 novembre 2008, la Corte dichiara colpevoli i due coniugi di tutti i reati ascritti nei sette capi di imputazione e li condanna alla pena dell’ergastolo, con isolamento diurno per anni tre. «Un progetto atroce vissuto come necessario e giusto per eliminare tutto ciò che agli occhi degli imputati poteva costituire una minaccia di quel loro equilibrio affettivo blindato e autosufficiente» si legge nelle motivazioni. I giudici descrivono l’equilibrio affettivo della coppia «costruito su una relazione esclusiva a due che negli anni non ha mai accettato intrusioni, e che è divenuto l’unico punto di forza, l’unica ragione di vita per entrambi, arrivando ad annientarli come singoli e costringendoli a riconoscersi solo in una dinamica di coppia: tant’è che non dimostrano alcuna sincera resipiscenza per quello che hanno fatto, sono totalmente privi di stimoli affettivi rispetto a tutto ciò che li circonda e sono capaci di reazioni emotive solo quando sono messi di fronte alla prospettiva per loro insopportabile, di dover fare a meno l’uno dell’altro». Due individui che si uniscono per perpetrare un crimine non danno né socialmente, né psicologicamente, un risultato equivalente alla semplice somma di entrambi. Per quanto concerne gli aspetti psicopatologici, l’affezione che colpisce contemporaneamente due o più persone che vivono a stretto contatto tra di loro è definita Disturbo Psicotico Condiviso, forse meglio conosciuta come Folie a deux. Il Disturbo psicotico condiviso del DSMIV-TR3 è caratterizzato dalla comparsa
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di un delirio sviluppatosi in un soggetto in stretta relazione con un’altra persona già delirante, definita ‘induttore’ o ‘caso primario’. Le convinzioni deliranti dell’induttore vengono condivise dal secondo nella relazione, in toto o in parte. Il disturbo del secondo nella relazione non è meglio giustificato da un altro disturbo psicotico o da un disturbo dell’umore con manifestazioni psicotiche e non è dovuto agli effetti fisiologici diretti di una sostanza o a una condizione medica generale. Le diagnosi più comuni del ‘caso primario’ sono la schizofrenia, un disturbo delirante o un disturbo dell’umore con manifestazioni psicotiche. Il contenuto dei deliri condivisi può dipendere dalla diagnosi del caso primario e può comprendere deliri relativamente bizzarri, deliri congruenti con l’umore oppure deliri non bizzarri che sono caratteristici del
Disturbo Delirante. I soggetti che arrivano a condividere convinzioni deliranti sono per lo più uniti da vincoli di consanguineità o di matrimonio, hanno a lungo vissuto insieme, spesso in condizioni di relativo isolamento sociale (L’aggressività della coppia criminale: la strage di Erba analizzata nell’ottica della coscienza intersoggettiva di D. Stern). Il 20 aprile del 2010, la Corte d’Assise d’Appello di Milano ha confermato l’ergastolo ai coniugi Rosa Bazzi e Olindo Romano. Secondo i giudici d’Appello, l’odio di Olindo e Rosa nei confronti della famiglia Castagna era “sorto da anni e a mano a mano cresciuto ed accumulatosi fino a rendere invivibile l’esistenza dei due coniugi”.
Nelle foto: sopra Mario Frigerio al centro Azouz Marzouk a sinistra la casa della tragedia
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sicurezza sul lavoro
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L’odio, secondo i magistrati, è alla base del movente “forte, insistito tanto da Rosa che da Olindo (e da questi così ripetuto ai suoi interlocutori, negli appunti della Bibbia, nella lettera a padre Bassani, tanto da costituire una specie di ossessione)”. I due coniugi con l’omicidio, si legge nelle motivazioni, volevano “realizzare il desiderio di voler dimostrare a se stessi che loro, due, deboli, ad un certo momento potevano umiliare i potenti Castagna”. Nella parte delle motivazioni in cui i giudici spiegano che Olindo e Rosa erano capaci di intendere e di volere, e chiariscono i motivi del rigetto della perizia psichiatrica richiesta nel corso del secondo grado dalla difesa, i magistrati fanno anche un discorso più generale sul cruento fatto di sangue. “Nel comune sentire - si legge nelle motivazioni - vi è senz’altro la tendenza a riconoscere che un fatto efferato come quello di Erba è possibile metterlo in atto solo se vi è una forma di anomalia psichica rilevante, ma ciò è frutto della tendenza a difendere la propria ‘normalità’ con l’attribuire solo a soggetti infermi di mente la capacità di commettere gesti di tale ferocia”. La Corte spiega, ancora, che nella vita di Olindo e Rosa, prima del quadruplice omicidio, “non si ravvisano elementi che indichino un disequilibrio, un’alterazione patologica dei rapporti tra di loro e con l’esterno”. La prima sezione penale della Cassazione, il 3 maggio del 2011, dopo quattro ore di camera di consiglio, ha confermato l’ergastolo per Olindo Romano e Rosa Bazzi. Sono ormai passati più di otto anni dalla strage di Erba, e nonostante la confessione dei due colpevoli c’è ancora chi crede nella loro innocenza tanto da fondare un comitato a loro sostegno “Comitato Rosa - Olindo: giustizia giusta”, che si pone proprio l’obiettivo di promuovere una serie di iniziative e attività volte a dimostrare l’ingiusta condanna della coppia. Attualmente Olindo Romano è rinchiuso nel carcere di Milano Opera e Rosa Bazzi in quello di Milano Bollate. Alla prossima... H
I rappresentanti dei lavoratori (RLS) (art.47 del D.lgs 81/2008 n questo articolo parleremo dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza nei luoghi di lavoro. Oltre ad essere firmatari del documento della valutazione dei rischi art.28 del D.lgs 81/08, sono di prima istanza per i lavoratori sulle problematiche inerenti alla loro attività lavorativa. Gli stessi sono eletti tramite le organizzazioni sindacali maggioritarie in campo nazionale, con liste dei canditati, presentate dal rappresentante di lista. I criteri e le modalità delle elezioni sono previste dall’accordo quadro nazionale collettivo, con riunione preventiva con il datore di lavoro e i rappresentanti di lista delle OOSS. Nella riunione si elegge un presidente di seggio di comune accordo delle parti si individua uno per ogni sigla sindacale, deputato allo scrutinio dello spoglio degli aventi diritto al voto. Il direttore comunica, tramite bacheca del personale i giorni e gli orari, per le votazioni dei canditati. Il quorum per la validità delle lezioni e pari al 50% più uno. Dopo lo scrutinio, il presidente e gli addetti al seggio, redigono un verbale con i risultati delle votazioni portandolo al direttore, che a sua volta comunica l’esito delle votazioni al personale tramite bacheca della direzione. Il direttore invia al PRAP i nominativi dei canditati eletti, per l’eventuale formazione da farsi prossimamente. I rappresentanti durano in carica tre anni, qualora il canditato eletto rifiuti la designazione, è inserito il primo canditato non eletto. I rappresentanti dei lavoratori debbono avere una formazione particolare di 60 ore di cui 36 tramite
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aziende accreditate e di 24 all’interno del proprio istituto, tramite il servizio di prevenzione e protezione. I rappresentanti debbono avere una stanza a loro adibita con pc, stampante e telefono, per comunicare e relazionare le visite nei luoghi di lavoro attribuiti dal loro mandato. I rappresentanti dispongono per la loro attività di 60 ore annue, comunicando preventivamente al datore di lavoro il giorno della visita in istituto. Le attribuzioni ai rappresentanti sono stabilite dall’art.50 del D.lgs 81/08, essi non possono subire pregiudizio alcuno a causa del loro mandato e si applica la tutela prevista dalla legge per la rappresentanza sindacale. Un monito alle OOSS: la legge deve essere applicata anche e soprattutto nell’accordo quadro (copia e incolla) per non omettere alcuni commi importanti per i rappresentanti. Qualora nonostante l’invito dell’amministrazione a presentare le liste dei candidati, da parte delle OOSS non vi sia riscontro, l’amministrazione può avvalersi dei rappresentanti territoriali art.48 del D.lgs 81/08, ovvero il datore di lavoro chiede alle OOSS di inviare un loro rappresentante, che abbia le conoscenze e l’attestazione di rappresentante territoriale sindacale. Si invitano i colleghi tutti, su dubbi o su problematiche in seno al posto di lavoro ad inviare un email a valter60@live.it (tutto in minuscolo) o per cose urgenti al n. 340.3863237. Ringraziando i lettori per l’attenzione, si rimandano altre notizie al prossimo numero. H Valter Pierozzi, Dirigente Sappe Esperto di Sicurezza sul lavoro
cultura e società bi societas ibi ius. Questa è la locuzione su cui si fonda, perlomeno secondo i sostenitori delle teorie istituzionalistiche come Santi Romano, la nostra civiltà, il nostro vivere comune, il nostro diritto. Ovunque ci sia una formazione sociale ci sono regole da rispettare, proprio come nello sport. Infatti, cos’è lo sport se non una formazione sociale, una istituzione, alla cui base vi sono la condivisione di regole, l’accettazione e, soprattutto, il rispetto delle regole che si sono condivise. Attraverso l’apprendimento delle regole nello sport, colui che lo pratica interiorizza e comprende l’importanza e la necessità di avere delle regole in ogni attività sociale, e, cosa fondamentale, impara a rispettarle. Non è un caso che tra gli elementi del trattamento previsti dalla Legge 26 luglio 1975 n. 354 (Ordinamento Penitenziario), la cui finalità è la rieducazione del condannato, vi siano proprio le attività ricreative e sportive. Questo perché l’attività sportiva si inserisce, per sua natura, in un sistema di valori che è particolarmente affine, se non addirittura complementare, al sistema di valori alla base dell’educazione. È perfino l’Europa a ribadire e a sancire, con la Dichiarazione di Nizza del 2000, l’importanza della funzione sociale, educativa e culturale dello sport. Nell’allegato IV della Dichiarazione, al punto numero “3”, è stabilito che “lo sport è un’attività umana che si fonda su valori sociali, educativi e culturali essenziali. È un fattore di inserimento, di partecipazione alla vita sociale, di tolleranza, di accettazione delle differenze e di rispetto delle regole”. Inoltre con la decisione n. 291 del 6 febbraio 2003, il Parlamento e il Consiglio Europeo hanno proclamato l’anno 2004 “Anno Europeo dell’educazione attraverso lo sport”. Con lo slogan “move your body, stretch your mind” sono stati messi ulteriormente in risalto i valori educativi dello sport sottolineando la forte correlazione tra attività sportiva e attività educativa. L’allora commissario europeo allo
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Sport... educazione, cultura e società sport e alla cultura, Viviane Reding, in una conferenza stampa tenutasi a Bruxelles, dichiarava che “il ruolo integrativo che lo sport rappresenta nell’educazione e nella vita di ogni singola persona deve essere ulteriormente rafforzato, poiché le attività sportive possono contribuire positivamente allo sviluppo generale delle persone e delle loro capacità sociali, come pure alla consapevolezza del sé e all’alterità”. A questo si deve aggiungere il “Libro bianco sullo sport”, dell’11 luglio 2007, presentato dalla Commissione europea al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato delle regioni e al Comitato economico e sociale europeo [COM(2007) 391] nel quale viene data una definizione precisa del termine intendendo per sport “qualsiasi forma di attività fisica che, attraverso una partecipazione organizzata o non, abbia per obiettivo l’espressione o il miglioramento della condizione fisica e psichica, lo sviluppo delle relazioni sociali o l’ottenimento di risultati in competizioni di tutti i livelli”. Anche il C.O.N.I. (Comitato Olimpico Nazionale Italiano), il 10 luglio 2012 ha presentato, presso il suo Salone d’Onore, il “Libro bianco dello sport italiano” con l’obiettivo di “aumentare la cultura sportiva nel paese, attraverso analisi oggettive e indicazioni concrete sui percorsi da seguire, gli obiettivi da raggiungere, i meccanismi di finanziamento e la tempistica di realizzazione”. Per il prof. Matteo Venza “lo sport è considerato come strumento per certe “funzioni”, quali essere un bravo cittadino, avere uno stile di vita sano e un comportamento corretto. Ma ha anche scopi molto più qualificanti per la persona, in quanto stimola e forma ai valori della pace, dell’integrazione
culturale, etnica e sociale, della salvaguardia dell’ambiente. Lo sport è, pertanto, funzionale a finalità educative e formative che ne definiscono il valore nella costituzione della personalità”. Lo sport, quindi, ha la pretesa di essere un formidabile, quasi indispensabile, strumento per veicolare nella società i valori che sono essenziali per il nostro vivere comune. Esso insegna che nessun successo o obiettivo si può ottenere senza sacrifici, sudore, abnegazione. Nulla è concesso, ma tutto è sognato, agognato, voluto, conquistato. Insegna a soffrire, a resistere, a sopportare la fatica. Ti fa conoscere il sapore amaro della sconfitta, ma ti insegna a trovare la forza di reagire per ripartire più determinato di prima. Insegna a controllare le proprie emozioni e a frenare i propri istinti. Insegna ad accettare sempre e comunque la decisione di un giudice o arbitro di gara. Educa al rispetto delle regole e dell’avversario, e ai valori della lealtà , della solidarietà e della collaborazione. Lo sport concede a tutti coloro che lo praticano le stesse possibilità, al di là della razza, della lingua, della religione, delle condizioni sociali e personali (così come sancito all’art. 3 della nostra Costituzione) ed ecco perché esso è considerato un potente mezzo di inclusione sociale, con risultati sensazionali anche per coloro i quali sono affetti da disabilità. Consente, inoltre, di migliorare la propria condizione fisica e, di conseguenza, il proprio stato generale di salute, anche mentale (mens sana in corpore sano). Investire nello sport ad ogni livello, dunque, significa investire nella educazione, nella salute e nella cultura. Significa investire nel nostro futuro e in quello della nostra civiltà.H
29 Emanuele Ripa rivista@sappe.it
Nella foto: la copertina del libro bianco dello Sport italiano 2012
Polizia Penitenziaria n.230 luglio/agosto 2015
30 a cura di Giovanni Battista de Blasis deblasis@sappe.it
Sopra la copertina del numero di novembre 1994
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come scrivevamo
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iù di venti anni di pubblicazioni hanno conferito al mensile Polizia Penitenziaria - Società Giustizia & Sicurezza la dignità di qualificata fonte storica, oltre quella di autorevole voce di opinione. La consapevolezza di aver acquisito questo ruolo ci ha convinto dell’opportunità di introdurre una rubrica - Come Scrivevamo - che contenga una copia anastatica di un articolo di particolare interesse storico pubblicato tanti anni addietro. A corredo dell’articolo abbiamo ritenuto di riprodurre la copertina, l’indice e la vignetta del numero originale della Rivista nel quale fu pubblicato.
L’Astrea è la nostra squadra di Marcello Tolu un peccato che il grande pubblico, il pubblico delle grandi squadre, non conosca la passione che accompagna le piccole, che le sostiene quando sono in difficoltà, e le saluta quando si ottiene qualcosa di più della solita striminzita salvezza. Si tratta di un sentimento bello, sincero, intenso che ho provato costantemente da quando ho iniziato a seguire l’Astrea. Si perchè l’Astrea, oltre ad essere ovviamente una squadra senza sinergie alle spalle come i grandi club, è anche la squadra formata esclusivamente da miei colleghi, da persone che vestono la mia stessa divisa e che fanno il mio stesso lavoro. Quest’anno abbiamo visto l’Astrea ripresentarsi, dopo ben quattro anni di permanenza, sul palcoscenico della serie C2 con lo stesso entusiasmo della debuttante, con la stessa voglia di ben figurare nel mondo dello strapagato calcio professionistico. Anzi l’intento era quello di fare qualcosa di più, di cercare di giungere almeno nelle prime cinque classificate e disputare così i play off necessari per approdare in serie C1. Nella consapevolezza mia personale, ma anche credo di tutto l’ambiente, di avere una squadra formata da elementi molto validi, esperti, dotati agonisticamente e tecnicamente non era assolutamente utopistico pensare di poter ottenere un simile risultato. Ora ci ritroviamo dopo otto giornate nelle ultime posizioni con un clima intorno alla squadra di caccia alle streghe, di mestizia, di abbattimento. L’Astrea ha iniziato bene con l’incontro di Coppa Italia contro la Torres, ma non era una partita di campionato e il pubblico l’ha vissuta come il preludio, il rodaggio, il collaudo degli scontri dell’imminente campionato senza capire, a mio avviso, che quella era la vera dimensione della squadra. Già in quella giornata gioiosa ho percepito le prime critiche. Un vaticinio. Era fatale che andasse male,
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e contro il fato lotti ma perdi. Ma non è di questo che voglio parlare. Voglio fare un’analisi di quel che significa risalire la china, di quel che significa ritrovare le chiavi di lettura giusta di una situazione che non può essere assolutamente quella definitiva. Probabilmente la voglia di far bene, la voglia di ottenere un risultato diverso da quello degli altri anni, ha creato una tensione tale tra i giocatori al punto di paralizzarli sia mentalmente che fisicamente, come è avvenuto purtroppo a partire dalla seconda giornata con la maledetta partita di Vasto. Ora visto il comportamento della squadra nelle ultime tre partite credo si stia trovando la strada giusta, e soprattutto ci si sia definitivamente liberati da quella tremenda spada di Damocle che è rappresentata dal dovere vincere a tutti i costi. Noi dobbiamo risalire la classifica con grande umiltà punto dopo punto, prestazione dopo prestazione, con sempre maggiore convinzione in quello che siamo e rappresentiamo. Siamo infatti una realtà unica nel calcio nazionale, certamente non vista molto bene dalla Federazione - vedi arbitraggi spesso pessimi -, che deve lottare ovunque forte della propria condizione. Ragazzi, dobbiamo sentire ogni dribbling e ogni contrasto come il segno del riscatto di tutto il Corpo di Polizia Penitenziaria, di tutti i vostri colleghi che quotidianamente profondono sacrifici indescrivibili per uno Stato che sovente si dimentica di loro. Si perchè, cari ragazzi, io so quanto siete attaccati alla maglia dell’Astrea e so quanto siete consapevoli dell’importanza che avete nel portare in tutta Italia l’immagine del Corpo. Una sola cosa è certa, è che avete bisogno dell’aiuto di tutti noi. Avete bisogno dell’aiuto del pubblico e principalmente della considerazione e dell’attenzione costante di chi al
come scrivevamo Dipartimento decide le sorti della squadra. Solo così potrete condurre fino in fondo lo vostra battaglia domenicale nel calcio professionistico e solo così potranno arrivare i risultati senza alcun limite di sorta. E a proposito della considerazione per quello che rappresenta l’Astrea, non riesco assolutamente a capire come mai nel discorso pronunciato dal Direttore Generale in occasione della celebrazione della festa del Corpo, siano state citate e poi anche premiate, peraltro giustamente, le Fiamme Azzurre e non già l’Astrea che esiste e porta lustro al Corpo dal 1948 e che da cinque anni consecutivi milita in un campionato professionistico. Sarebbe stato per i nostri ragazzi oltre che un giusto riconoscimento in una occasione così importante, anche uno stimolo nel sostenere ancora meglio i grandi sacrifici che sopportano quotidianamente nell’imporsi metodo, disciplina, allenamento, dieta, per dimostrare a tutti noi quello che valgono e che finchè ci saranno loro, con il loro carattere e la loro grinta, l’Astrea continuerà o darci grandi soddisfazioni.
Astrea, la storia continua Dal 1952 al 1972, l’Astrea ha sempre militato nella categoria “promozione laziale” con una sola parentesi negativa nell’anno 1962, quando la squadra retrocedette. Ma fu comunque un incidente di percorso, un episodio isolato circoscritto solo a questo sfortunato frangente. L’anno successivo, infatti la nostra compagine vinse il campionato conquistandosi a pieno titolo il diritto a disputare nuovamente il campionato di promozione. In questo ventennio, benchè non abbia mai vinto il campionato di promozione, I’Astrea non ha disputato campionati anonimi, anzi ha sempre lasciato la propria importante traccia. A testimonianza di ciò ci sono i costanti piazzamenti nelle prime posizioni, unitamente a prestazione di grande rilievo su ogni campo. I giocatori che si alternarono nell’organico della squadre in questi anni furono sempre di ottimo livello sia
31 Nella foto: una formazione dell’Astrea degli anni ’50
sotto il profilo tecnico che agonistico, al punto da far suscitare un interesse continuo da parte delle due maggiori squadre romane per alcuni di essi. A questo proposito vorrei ricordare le lettere inviate dalla A.S. Roma e dalla S.S. Lazio rispettivamente nel luglio 1951 e giugno 1952, con le quali si richiedeva alla nostra società il cartellino del giocatore Spinelli Giuseppe. Nella stagione agonistica 1972-73, l’Astrea vinse il campionato classificandosi prima nel girone di appartenenza. E’ questa la prima vera svolta epocale della sua storia, poichè riuscì ad approdare in quarta Serie Girone D, la nostra attuale C2. L’impresa assunse ancor più rilevanza soprattutto in considerazione del fatto che nel campionato vinto militavano squadre molto titolate come il Rieti, allenato dal Sig. Menichelli -ex giocatore della Juventus -, e che vantava inoltre tra le proprie file la presenza di Leonardi che per molti anni era stato l’ala tornante titolare della stessa Juventus e della Nazionale Italiana. Su uguale livello e con le medesime ambizioni di vittoria del Rieti, si presentavano ai nastri di partenza del campionato anche il Maccarese e il Ladispoli. L’Astrea non partiva con grandi ambizioni di classifica e si presentò all’inizio del campionato 1972-73 con una formazione giovane ma con elementi dotati e da sicuro rendimento. Ricordiamo il centravanti Sarmiento, il mediano Villanova, e soprattutto il centrocampista Gianfranco Ricci autentico talento dell’allora calcio dilettantistico. L’Astrea sorprendendo tutti gli addetti
ai lavori condusse un campionato eccellente che ebbe il suo entusiasmante epilogo solo all’ultima giornata con la vittoria per 4 a 1 sulla squadra della Pineta Sacchetti, che gli consentì di mantenere inalterato il vantaggio di un punto sulle dirette inseguitrici e di vincere così il campionato.
Nei box: la vignetta e il sommario del numero di novembre 1994
La gioia per la promozione fù enorme, al punto da spingere il Direttore Generale dell’epoca Pietro Manca a portare la squadra per 10 giorni in Spagna per partecipare ad un torneo al quale aderirono le omologhe rappresentative spagnole e tedesche. H
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le recensioni Salvatore Ricciardi
COS’È IL CARCERE. Vademecum di resistenza DERIVE APPRODI Edizioni pagg. 128 - euro 12,00
hi ha scritto questo “vademecum di resistenza” penitenziaria non è un personaggio qualsiasi. Ricciardi, dopo gli studi tecnici e il lavoro, in un cantiere edile prima e in qualità di tecnico delle ferrovie dello Stato poi, ha militato nell’area dell’autonomia operaia e nel 1977 è entrato a far parte delle Brigate Rosse, nella colonna romana. Viene arrestato nel 1980 e fu tra gli organizzatori della rivolta nel carcere speciale di Trani. Condannato all’ergastolo, alla fine degli anni ’90 usufruisce della semilibertà e, dopo trent’anni di detenzione, ha riacquistato la libertà. Il carcere, secondo lui, altro non è che l’istituzione totalizzante per eccellenza, “da odiare”, articolazione di uno Stato che lui e i suoi indegni sodali hanno tentato di abbattere con le armi in pugno, uccidendo e macchiando con il sangue di innocenti le strade di troppe città del Paese nel periodo della follia terroristica. «Abbiamo fatto cose non previste dalle leggi, vietate, illegali, per la ripetizione di significati stabiliti, per dare una spinta alla modificazione delle regole in senso più includente ed aperto. Perchè ogni pensiero critico, ma anche ogni pensiero in sé, si
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sviluppa fuori della legge, altrimenti è qualcosa di stagnante, non è un pensiero». O, ancora: «In carcere non c’è tempo perché non c’è attività. L’attività si conquista quando si opera contro il carcere, nei preparativi per una evasione o una rivolta. Nel segare le sbarre, scavare un buco, imboscare un arnese, costruire un coltellaccio, intrecciare una corda eccetera ci si rimpossessa del tempo e dello spazio, e il carcerato in quelle ore torna a essere un soggetto sociale», scrive tra l’altro Ricciardi. Pentimenti? Autocritiche? Macchè. Ricciardi rilancia: «la battaglia contro il carcere va intensificata con la convinzione che stavolta non siano i detenuti a soccombere ma il carcere. Che finisca. Che venga abolito». Ritroviamo nel suo “vademecum” tutto l’armamentario sociologico e ideologico che vorrebbe spiegare come il mondo non va come pensi tu, l’idea leninista dell’avanguardia cosciente e del popolo corrotto e recalcitrante da salvare suo malgrado. Ma la lettura di questo pamphlet è comunque necessaria e importante: perché ci aiuta a capire come non si debba mai abbassare la guardia. Men che meno verso le ricostruzioni e le valutazioni ideologiche di chi pensa di aver fatto e di aver agito bene imbracciando il mitra contro lo Stato italiano.
Uno spietato serial killer, che ama firmarsi lasciando sulle sue vittime un’enigmatica filastrocca in spagnolo, minaccia di sterminare una nota famiglia della Napoli bene. Il potere occulto di una potentissima setta, l’Ordine dei Cavalieri Neri, sta tramando piani di morte e distruzione, mettendo in pericolo persino l’ordine costituito... Tre fronti aperti per il commissario Renzi, milanese di nascita e napoletano di cuore, e la sua improbabile squadra: il barbiere Ettore, il gobbo Tatillo, detto Gùgol, e tutta internos, la straordinaria rete dei vicoli di Napoli. Tre casi da risolvere, uno più complicato e misterioso dell’altro. Tre indagini solo all’apparenza lontane tra loro, ma che nascondono più di un elemento in comune. E la soluzione i nostri amici la troveranno, come sempre un po’ per caso, proprio nell’immenso labirinto di gallerie che si apre nel ventre di Napoli, dove misteri millenari si nascondono... Dopo “Gli amanti di vico San Severino”, Manzò si conferma scrittore appassionato e coinvolgente, che inchioda alla lettura ed accompagna il lettore nelle strade di Napoli, popolate dai suoi personaggi originali: il barbiere Ettore, il gobbo Tatillo, detto Gùgol, e tutta internos, la straordinaria rete dei vicoli di Napoli.
Nicola Manzò
Maurizio Lorenzi
SETTE CAVALIERI D’ORO. I delitti del barbiere
EROI SENZA NOME. Quando il senso del dovere diventa esemplare coraggio
TEA Edizioni pagg. 383 - euro 14,00
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n ricco collezionista senza scrupoli muove pedine nell’ombra per rimettere insieme un tesoro dimenticato: sette cavalieri d’oro scolpiti dal grande Bernardo Corradini per ordine di Lorenzo de’ Medici nel 1478, ai quali è legata una maledizione foriera di morte e di sventura.
IMPRIMATUR Edizioni pagg. 220 - euro 15,50 uanti sono gli uomini a servizio della giustizia che si prestano per salvare la vita agli altri rischiando – a volte perdendo – la propria? Poliziotti, agenti di scorta, carabinieri, vigili del fuoco, militari. Uomini che, senza cercare alcun protagonismo,
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le recensioni rischiano quotidianamente la propria pelle. Sono loro, è vero, a scegliere di svolgere quel mestiere, talvolta per necessità. Ma questo non toglie il fatto che siano eroi. Vestono divise diverse ma hanno uno scopo comune: preservare la vita altrui, anche a costo di sacrificare la propria. Questo libro racconta la storia di alcuni di loro, della loro identità reale di protagonisti della cruda cronaca che li costringe a scontrarsi contro le ingiustizie, i disperati, i malviventi.
Susanna Ronconi Grazia Zuffa
RECLUSE. Lo sguardo della differenza femminile sul carcere EDIESSE Edizioni pagg. 317 - euro 16,00
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e donne sono una percentuale minoritaria dell’intera popolazione detenuta italiana, appena il 4%. Questa loro scarsa presenza, invece di rappresentare la garanzia di maggiori opportunità e miglior gestione degli istituti che le ospitano, si traduce troppo spesso in invisibilità e irrilevanza, e porta con sé una omologazione all’immagine della detenzione maschile che cancella ogni differenza di genere e ogni analisi che la includa e la comprenda. Questo libro si basa su interviste a donne detenute nelle sezioni femminili delle carceri di Sollicciano, Empoli e Pisa, e nasce dal desiderio di indagare la soggettività delle donne detenute e dare ad esse voce, senza assecondare visioni «patologizzanti» del reato al femminile né facili stereotipi sulla «debolezza» delle donne detenute. Al contrario, lo sforzo è di rintracciare nelle loro biografie, nelle loro autoriflessioni e valutazioni due diverse «mappe»: quella delle sofferenze, dei fattori di stress e dei momenti critici indotti dalla carcerazione, da un lato; e dall’altro, quella delle risorse, delle strategie personali, in una parola della forza e
dei fattori di tenuta, resistenza e resilienza, che consente loro non solo di «tenere» durante la detenzione, ma anche, nonostante tutto, di apprendere e immaginare un futuro. Interessante la parte nella quale si approfondiscono le relazioni con le figure professionali che lavorano in carcere: “la figura percepita di maggiore vicinanza è quella dell’Assistente di Polizia penitenziaria. Vengono poi le educatrici e, ancor più distanti, le psicologhe”. E, sottolineano le autrici, “la vicinanza come ‘costanza di presenza’ si trasforma di frequente in vicinanza di sostegno affettivo: questa funzione di vicinanza/capacità di ascolto è ben presente alle donne agenti e considerata elemento chiave della loro professionalità”. Le autrici compiono un’analisi critica dell’istituzione carcere che guarda a possibili trasformazioni: pur consapevoli dell’irrisolvibile, ontologica sofferenza inflitta dalla detenzione, le ricercatrici si muovono nel solco di un «riformismo disincantato», volto a contrastare la quota di «sofferenza aggiuntiva», inutile e ingiusta, basata su un insufficiente riconoscimento di diritti umani e civili inalienabili. Con l’obiettivo di promuovere una cultura e una prassi che supportino – invece che limitare o osteggiare – le strategie di «tenuta» che la differenza femminile mette in campo.
M. Albanese, G.Bulli, P. Castelli, Gattinara, C. Froio
FASCISTI DI UN ALTRO MILLENNIO? Crisi e partecipazione in CasaPound Italia BONANNO Edizioni pagg. 152 - euro 15,00 ase occupate, sale concerti, “spazi non conformi”: luoghi dove far politica, volontariato e praticare il “fascismo sociale”
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all’insegna di un’ibridazione simbolica che vede coesistere Mussolini e Che Guevara, Ezra Pound e Rino Gaetano, Julius Evola e Corto Maltese. Luoghi anche di auto-riconoscimento subculturale fatto di pub, letture selezionate, rock identitario, ma soprattutto opposizione a un’estrema destra partitica descritta come autoreferenziale e stantia. È così che si presenta CasaPound Italia all’interno e all’esterno del proprio universo sociale e valoriale. Attraverso un’inedita retorica del “Fascismo del Terzo Millennio”, CasaPound legge l’attuale crisi economica, politica e di partecipazione attraverso forme di attivismo deliberatamente alternative rispetto alla mobilitazione politica tradizionale della propria area. Categorie ideologiche ispirate al fascismo storico e rivitalizzate attraverso un connubio di idea-azione a cui non è estraneo l’uso della violenza hanno permesso al gruppo di far breccia tra le generazioni dei più giovani e le categorie sociali più colpite dalla crisi economica. Questo volume analizza i percorsi di militanza, l’attivismo politico e le forme di mobilitazione di CasaPound Italia, ricostruendone le radici ideologiche e gli orizzonti valoriali, approfondendo il progetto identitario subculturale e discutendone le strategie politiche a livello nazionale ed europeo. Un lavoro attento nato da interviste, conversazioni, partecipazione a riti collettivi, manifestazioni politiche del gruppo, che costituisce un contributo alla comprensione della natura politica dei nuovi fenomeni di coinvolgimento al tempo della crisi. H
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l’ultima pagina Minori e giovani adulti stranieri: L’attuale normativa, garanzia di tutela e sicurezza Seminario tematico rivolto a Comandanti di Reparti degli I.P.M. ed ai Coordinatori dell’Ufficio Matricola
Ciro Borrelli Referente Sappe per la Formazione e Scuole G. Minorile borrelli@sappe.it
ll’Istituto Centrale di Formazione, nel mese di luglio si è tenuto un seminario di approfondimento sui temi che riguardano la gestione dei detenuti stranieri minorenni e adulti appartenenti alle varie etnie, anche alla luce delle nuove normative intervenute che hanno determinato l’aumento dei giovani adulti negli Istituti penali per i Minorenni. I temi al centro del confronto con esperti della Polizia di Stato hanno toccato principalmente aspetti relativi all’assistenza ed alla
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tutela dei minorenni comunitari ed extracomunitari, le modalità di identificazione degli stranieri e le varie forme di espulsione secondo le regolamentazioni vigenti. Con questa iniziativa si vuole anche mettere un tassello alla necessità di costruire una collaborazione sempre più efficacie con le Forze di Polizia che operano sul territorio. Tale progetto prevede ulteriori giornate di approfondimento sullo stesso tema, rivolte ad altre figure appartenenti ai Servizi della Giustizia Minorile. Al Seminario del 14 luglio 2015 sono intervenuti quali Rappresentanti delle Istituzioni, il Direttore Generale Dott. Luigi Di Mauro del Dipartimento per la Giustizia Minorile ed il Dirigente Dott. Fabrizio Mancini della Polizia di Stato. H
il mondo dell’appuntato Caputo Corso di aggiornamento di Mario Caputi e Giovanni Battista de Blasis © 1992-2015
ALLORA CAPUTO... UN DETENUTO NATO AD ACQUAVIVA DELLE FONTI E RESIDENTE A RAPALLO, CHE HA COMMESSO UN REATO A MADONNA DI CAMPIGLIO, A QUALE PROVVEDITORATO APPARTIENE?
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www.mariocaputi.it
Per ora é uscito il libro! Raccolta antologica delle vignette dell’Appuntato Caputo pubblicate dal 1994 al 2014 sulla Rivista mensile Polizia Penitenziaria - Società Giustizia & Sicurezza Da che parte é l’uscita? si puo’ acquistare in tutte le librerie laFeltrinelli oppure sui siti www.lafeltrinelli.it e www.ilmiolibro.it
Formato 15 x 23 cm Copertina morbida 240 pagine a colori ISBN: 9788891092052