anno XXII • n. 233 • novembre 2015
IISSN 2421-2121
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Natale non è solo aprire i nostri regali, Natale è anche aprire i nostri cuori...
sommario
anno XXII numero 233 novembre 2015
Per ulteriori approfondimenti
www.poliziapenitenziaria.it
l’editoriale
il libro del mese
Radicalismo e fondamentalismo islamico
il pulpito Il messaggio dell’Imperatore
Organo Ufficiale Nazionale del S.A.P.Pe. Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria
di Giovanni Battista De Blasis
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il commento
Onori al merito: ricompense e riconoscimenti
Direttore editoriale: Giovanni Battista de Blasis deblasis@sappe.it Capo redattore: Roberto Martinelli martinelli@sappe.it
diritto e diritti Il diritto del detenuto all’ambiente
Redazione cronaca: Umberto Vitale, Pasquale Salemme Redazione politica: Giovanni Battista Durante
di Giovanni Passaro
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Comitato Scientifico: Prof. Vincenzo Mastronardi (Responsabile), Cons. Prof. Roberto Thomas, On. Avv. Antonio Di Pietro Donato Capece, Giovanni B. de Blasis, Giovanni B. Durante, Roberto Martinelli, Giovanni Passaro, Pasquale Salemme
l’osservatorio
La vita delle persone non è dei governanti di Giovanni Battista Durante
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criminologia
Criminogesi e accoglienza dei minori di Roberto Thomas
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giustizia minorile
Il trattamento dei detenuti minorenni di Ciro Borrelli
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lo sport
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“l’appuntato Caputo” e “il mondo dell’appuntato Caputo” © 1992-2015 by Caputi & de Blasis (diritti di autore riservati)
Direzione e Redazione centrale Via Trionfale, 79/A - 00136 Roma tel. 06.3975901 r.a. • fax 06.39733669 e-mail: rivista@sappe.it web: www.poliziapenitenziaria.it Registrazione: Tribunale di Roma n. 330 del 18 luglio 1994
Oro, argento e ISU per Cappellini-Lanotte
Cod. ISSN: 2421-1273 web ISSN: 2421-2121
di Lady Oscar
Stampa: Romana Editrice s.r.l. Via dell’Enopolio, 37 - 00030 S. Cesareo (Roma)
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mondo
L’istituto a custodia attenuata di Orvieto
Il S.A.P.Pe. è il sindacato più rappresentativo del Corpo di Polizia Penitenziaria
cinema
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Attica a cura di Giovanni Battista De Blasis
Direttore responsabile: Donato Capece capece@sappe.it
di Roberto Martinelli
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Il colore del cielo il libro del collega Alessandro Pugi
di Donato Capece
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In copertina: Il Buon Natale di Polizia Penitenziaria Società Giustizia & Sicurezza
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Finito di stampare: novembre 2015 Questo periodico è associato alla Unione Stampa Periodica Italiana
crimini e criminali 24 La vedova nera: Milena Quaglini di Pasquale Salemme
dalle segreterie
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Cuneo
donne in uniforme 27 Pioggia di sangue di Laura Pierini
come scrivevamo 28 Carcere e condizione umana
sicurezza sul lavoro 30 Il datore di lavoro - formazione e spesa di Valter Pierozzi
le recensioni
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Editori: Franco Angeli, Maggioli, Gruppo Abele
ultima pagina
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Vignetta:il mondo dell’Appuntato Caputo di De Blasis & Caputi
Chi vuole ricevere la Rivista direttamente al proprio domicilio, può farlo versando un contributo di spedizione pari a 25,00 euro, se iscritto SAPPE, oppure di 35,00 euro se non iscritto al Sindacato, tramite il c/c postale n.54789003 intestato a: POLIZIA PENITENZIARIA - Società Giustizia & Sicurezza Via Trionfale, 79/A - 00136 Roma specificando l’indirizzo, completo, dove va spedita la rivista.
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Donato Capece Direttore Responsabile Segretario Generale del Sappe capece@sappe.it
Nella foto: detenuti islamici in preghiera
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l’editoriale
Radicalismo e fondamentalismo islamico in carcere: massima attenzione Torreggiani, MENO forestali contro le agromafie e le ecomafie per la tutela dell’ambiente, MENO vigili del fuoco a difenderci da disastri e calamità, a garantire sicurezza e soccorso pubblico. Con una serie di dichiarazioni rilasciate ai principali organi di informazione – giornali, radio, tv –, ho espresso chiaramente la posizione del primo Sindacato del Corpo, il SAPPE, su questa immane tragedia, ed ho puntato il dito anche sui rischi della radicalizzazione violenta e del proselitismo all’interno degli istituti penitenziari del fondamentalismo islamico. Anche il carcere è luogo sensibile, da monitorare costantemente, per scongiurare pericolosi fenomeni di proselitismo del fondamentalismo islamico tra i detenuti presenti in Italia. La Polizia Penitenziaria, attraverso gruppi selezionati e all’uopo preparati, monitora costantemente la Alzare i livelli di sicurezza in Italia dopo i gravissimi attentati in Francia è situazione, ma non dimentichiamo che oggi è ancora significativamente alta la dunque assolutamente doveroso e fondamentale. Ma altrettanto doveroso presenza di detenuti stranieri in Italia. Rispetto agli oltre 52.400 presenti alla e fondamentale è denunciare le precarie condizioni operative che sono data del 31 ottobre scorso, ben costretti ad affrontare ogni giorno, nel 17.342 erano stranieri (più di 13.500 gli extracomunitari) e di questi circa nostro Paese, gli operatori della 8mila di Paesi del Maghreb e Sicurezza per i continui tagli di dell’Africa. bilancio al settore che i vari Esecutivi Al Ministro della Giustizia Andrea che si sono alternati in Italia negli Orlando e al Capo DAP Santi Consolo ultimi anni hanno fatto ai danni del abbiamo chiesto provvedimenti Comparto Sicurezza. urgenti: come impedire il proselitismo La sicurezza dei cittadini non può essere oggetto di tagli indiscriminati e e la diffusione del radicalismo islamico nelle carceri sospendendo il ingiustificati. E la realtà è che con sei provvedimento in atto della vigilanza miliardi di tagli che i vari Governi Prodi, Berlusconi, Monti, Letta e Renzi dinamica. Il carcere è un terreno fertile nel hanno operato dal 2008 a oggi, i quale fanatici estremisti, in particolare cittadini sono MENO sicuri perché ci ex combattenti, possono far leva sugli sono MENO poliziotti a controllare le loro case e i quartieri, MENO poliziotti elementi più deboli e in crisi con la penitenziari nelle carceri a fronte di un società per selezionare volontari numero di detenuti che sta tornado ad mujaheddin da inviare nelle aree di conflitto, grazie ad un meticoloso aumentare esauriti gli effetti “taumaturgici” della sentenza CEDU – indottrinamento ideologico. Non è uel che è accaduto il 13 novembre a Parigi in Francia, con una serie di attacchi omicidi senza precedenti di un gruppo di folli criminali jihadisti che al grido di “Allah akbar” (ovvero, Allah è il più grande) hanno ucciso oltre 130 persone e ne hanno ferito quasi 400, ha riportato drammaticamente all’attenzione di tutti i rischi e le degenerazioni del radicalismo e del fondamentalismo.
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infatti un caso la radicalizzazione di molti criminali comuni, specialmente di origine nordafricana, che pure non avevano manifestato nessuna particolare inclinazione religiosa al momento dell’entrata in carcere, che si sono trasformati gradualmente in estremisti sotto l’influenza di altri detenuti già radicalizzati. Per impedire tutto ciò è necessario sospendere il sistema della vigilanza dinamica, introdotto nelle carceri dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, che consente ai detenuti di stare molte ore al giorno fuori dalle celle, mischiati tra loro, senza fare nulla e con controlli sporadici ed occasionali della Polizia Penitenziaria. Il problema principale della radicalizzazione in carcere è che un determinato individuo entra in carcere per reati comuni e ne esce radicale, senza che il sistema di sicurezza esterno si renda conto di cosa è accaduto in carcere, quali rapporti ha costruito, su quali si è basato e, soprattutto, dove è finito dopo il fine pena. E la vigilanza dinamica e il regime penitenziario aperto nelle carceri, che consentono la promiscuità tra i detenuti senza controlli della Polizia Penitenziaria, sono provvedimenti che dovrebbero essere sospesi in via precauzionale proprio per i rischi congeniti che essi comportano. Per questo abbiamo chiesto al ministro Guardasigilli e al Capo del DAP di sospendere vigilanza dinamica e regime penitenziario aperto, oltre a invitarli a convocare le OO.SS del Corpo di Polizia Penitenziaria per esaminare la questione. Per mantenere alta l’attenzione e fornire agli appartenenti al Corpo strumenti di formazione e aggiornamento professionale tali da intercettare ogni anomalia che si dovesse registrare nelle celle delle carceri italiane. H
il pulpito
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Il messaggio dell’Imperatore ono quasi venticinque anni che scrivo di, per e sull’amministrazione penitenziaria. Ricordo perfettamente il mio primo articolo, nel 1992, che disputava con il Capo Dap di quel tempo Nicolò Amato. Il leitmotiv dei miei editoriali è sempre stato la polemica nei riguardi di chi “governava” il Dap. Ho cercato come meglio ho potuto di mettere all’indice la burocrazia dipartimentale, quella burocrazia che, da sempre, rende la vita difficile a tutti i poliziotti penitenziari. Kafkiana, questa è stata la descrizione che ho usato più frequentemente per definire il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Il termine “kafkiano”, in genere, indica una situazione paradossale, di solito angosciante, che viene accettata come status quo, perché è impossibile qualunque reazione tanto sul piano pratico quanto su quello psicologico. Il vocabolo deriva da Franz Kafka, scrittore cecoslovacco, che in romanzi come Il processo o Il castello, descrive egregiamente circostanze del genere. Questo, ad esempio, il famosissimo incipit de Il processo. «Qualcuno doveva aver calunniato Josef K., perché senza che avesse fatto niente di male, una mattina fu arrestato.» Altrettanto famosa la descrizione del Castello. «Il Castello ha molti ingressi. Ora è in voga l’uno, e tutti passano di lì, ora l’altro, e il primo è disertato. Secondo quali regole avvengano questi cambiamenti non s’è ancora potuto scoprire.» Abbastanza spesso, dunque, mi sono ritrovato a scrivere ispirato dai personaggi e dalle situazioni dei romanzi di Kafka. Articoli come Davanti alla legge o L’usciere di Kafka.
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Eppure credo che, più che Il processo o Il castello, niente renda meglio l’idea dell’angosciante frustrazione kafkiana come il piccolo racconto Il messaggio dell’Imperatore. Questo breve apologo narra la storia di un misterioso imperatore, di cui non si conosce il nome, che in punto di morte affida ad un inviato un messaggio per un suddito sconosciuto. Il messaggero, però, nonostante impieghi tutte le sue forze e tutta la sua determinazione, non arriverà mai a destinazione, perdendosi nei meandri dell’immenso palazzo imperiale. Gli argomenti trattati in questo racconto sono emblematici del pensiero kafkiano: il potere, l’attesa, l’inutilità dello sforzo, l’alienazione. Al centro del racconto proprio il tema dell’attesa: in un luogo qualsiasi del mondo, un personaggio sconosciuto attende alla finestra l’arrivo di un messaggio, il cui contenuto non sarà mai rivelato al lettore. Il messaggio è stato scritto dall’imperatore in punto di morte e affidato a un messaggero che non riuscirà mai a recapitarlo perché non troverà mai l’uscita del palazzo. In questo modo si crea immediatamente un rapporto imperatore-suddito (il messaggero) con il primo simbolo di un potere irraggiungibile, misterioso, quasi divino, e il secondo che è un semplice inserviente. Quest’ultimo non riuscirà mai a uscire dal palazzo e molto probabilmente vi morirà dentro tra cortili, scalinate, corridoi e stanze che separano il suddito dal mondo esterno che sono il simbolo dell’incomunicabilità umana, esempio di barriere che l’uomo non potrà mai superare. Il suo sforzo sarà sempre inutile, come quello di Sisifo nel riportare il masso in cima alla montagna dalla
quale precipiterà di nuovo. Kafka esprime con grande efficacia il senso di soffocamento e alienazione del protagonista, con un crescendo di ansia e inquietudine che viene spezzato soltanto da un finale onirico, quasi fiabesco. Ne Il messaggio dell’Imperatore, insomma, sono racchiuse tutte le molteplici declinazioni del potere, ben oltre le tre teorizzate da Max Weber, che immaginava quello tradizionale, quello carismatico e quello legaleburocratico. L’Imperatore affida un messaggio ignoto quanto inutile ad un improbabile messaggero che sa già che non riuscirà mai nel suo compito, indirizzato a un suddito sconosciuto anche a se stesso, così che, perfino in punto di morte, si perpetui il suo potere assoluto. Un po’ come un anonimo dirigente del Dap che tenta di perpetuare il proprio misero potere burocratico respingendo una qualunque istanza. Una istanza che, spesso, viene ritenuta temeraria per il solo fatto di essere stata presentata. Istanza che, invece, assume dignità di legittima richiesta se soltanto viene sostenuta da un sindacato, da un dirigente superiore o da un politico. Paul-Michel Focault, sociologo francese del secolo scorso, ha introdotto il concetto di “governamentalità”. La governamentalità, secondo Focault, è l’arte di governare attraverso “istituzioni, procedure, analisi, riflessioni, calcoli e tattiche”. La governamentalità viene esercitata dal “Governo dei viventi”. Quel Governo dei Viventi di cui scrivo, appunto, da quasi venticinque anni. Quel Governo dei Viventi che continuerò a mettere all’indice fino a quando ci sarà inchiostro nella mia penna. H
Giovanni Battista de Blasis Direttore Editoriale Segretario Generale Aggiunto del Sappe deblasis@sappe.it
Nel disegno: Franz Kafka sopra, accanto al titolo un messaggio...
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il commento
Onori al merito A proposito di ricompense e riconoscimenti per servizio Roberto Martinelli Capo Redattore Segretario Generale Aggiunto del Sappe martinelli@sappe.it
Nella foto: le medaglie (oro, argento e bronzo) e relatini nastrini per merito di servizio
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è un argomento, tra i tanti, che solletica l’interesse degli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria ma rispetto al quale vi è una scarsa conoscenza da parte delle colleghe e dei colleghi. Mi riferisco ai riconoscimenti che l’Amministrazione Penitenziaria decreta per il lodevole comportamento, per anzianità e merito di servizio, per meriti straordinari e speciali.
C’
Approfondiamo, dunque, seppur sommariamente, questa materia, che trova il suo fondamento naturale nel Regolamento del servizio del Corpo di Polizia Penitenziaria, recepito con il decreto del Presidente della Repubblica n. 82 del 15 febbraio 1999 e successivamente pubblicato nel Supplemento Ordinario della Gazzetta Ufficiale n. 76 del 1 aprile dello stesso anno. La materia che qui trattiamo occupa l’intero Titolo V del Regolamento (“Ricompense”), precisamente gli articoli dal 75 all’82 compreso. Proprio l’articolo 75 indica le ricompense ed i riconoscimenti che possono essere concessi al personale del Corpo di Polizia Penitenziaria: questi sono le onorificenze, le ricompense al valore militare, al valore civile e al merito civile (trattati
nel successivo articolo 76), le ricompense per meriti straordinari e speciali (articolo 77), quelle per lodevole comportamento (articolo 78), i riconoscimenti per anzianità e al merito di servizio (articolo 79) e il premio in denaro (articolo 80). Non ci occupiamo, qui, delle onorificenze e delle ricompense al valore militare, al valore civile e al merito civile: esse saranno eventualmente trattate in un successivo articolo. Una prima distinzione va però fatta per quanto concerne la competenza a deliberare i vari riconoscimenti. La promozione alla qualifica superiore per merito straordinario è di competenza di una serie di Commissioni istituite al DAP, per ogni ruolo di appartenenza del Corpo: di esse non fanno parte componenti di parte sindacale ma solamente di parte pubblica e si tratta di Commissioni diverse da quella prevista dall’articolo 82 del Regolamento di servizio. Quest’ultima, che prevede componenti sia di parte pubblica che sindacale, è presieduta dal Capo del Dipartimento (o, su sua delega, dal Vice Capo DAP, com’è oggi) e delibera sulle proposte per il conferimento di encomio solenne, encomio, lode e premio in denaro (quantificato in € 250,00) che arrivano dai vari Istituti e servizi penitenziaria. Va detto anche che la Commissione Ricompense non ha alcuna competenza in relazione alla concessione e all’attribuzione dei riconoscimenti per anzianità e al merito di servizio. Chiariti questi primi importanti aspetti sulle competenze della Commissione ex articolo 82, vediamo velocemente qual è l’istruttoria delle proposte per le ricompense dell’encomio solenne, encomio, lode e premio in denaro. La proposta, indirizzata alla Commissione Ricompense insediata presso il DAP, è avanzata dal direttore
dell’istituto o servizio penitenziario, scuola o capo ufficio presso cui l’appartenente al Corpo presta servizio. Dev’essere corredata da una relazione contenente la descrizione dell’avvenimento, ovviamente in osservanza dei requisiti previsti dagli articoli 77 e 78, e da ogni altro documento utile a una compiuta valutazione da parte della Commissione, tanto che una nota dipartimentale della Direzione Generale del Personale datata 16 luglio 2004 ha inteso richiamare l’attenzione e lo scrupolo delle Direzioni degli istituti e servizi sulla necessità di condurre una “oculata attività istruttoria, eventualmente delegabile dal direttore ad altro funzionario, sull’episodio oggetto della proposta di conferimento di ricompensa”. Questo per consentire ai componenti la Commissione Ricompense di valutare ogni elementi utile a corredo della proposta stessa. Esaminati gli atti, la Commissione Ricompense delibera o meno il riconoscimento di una ricompensa all’appartenente al Corpo segnalato: l’esito, anche se negativo, sarà successivamente notificato all’interessato. Il riconoscimento – encomio solenne, encomio, lode, premio in denaro - è conferito dal Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. E’ prassi e consuetudine che gli elenchi nominativi con gli esiti delle pratiche esaminate dalla Commissione Ricompense vengono resi immediatamente disponibili anche nell’area riservata del sito internet del nostro Sindacato, all’indirizzo web www.sappe.it . Per quanto concerne invece i riconoscimenti per anzianità di servizio e al merito di servizio, previsti dall’articolo 79 del Regolamento di servizio, questi sono stati successivamente disciplinati dal
il commento Provvedimento del Capo del Dipartimento 14 dicembre 2012 (che ha sostituito il P.C.D. 15 settembre 2009). Abbiamo la croce per anzianità di servizio (di bronzo per i 20 anni, d’argento per i 30 anni, d’oro per i 35 anni), la medaglia al merito di servizio (di bronzo per i 10 anni, d’argento per i 15 anni, d’oro per i 20 anni), la medaglia al merito di lunga navigazione (di bronzo per coloro che abbiano compiuto globalmente sui natanti dell’Amministrazione 10 anni di navigazione, d’argento per i 15 anni di navigazione, d’oro per i 20 anni di navigazione), la medaglia di commiato in argento e il foglio di congedo per il personale del Corpo che cessi dal servizio per limiti d’età, per infermità
concessione della medaglia al merito di servizio di bronzo vi sono il non aver riportato sanzioni disciplinari nell’ultimo quinquennio e, sempre nello stesso periodo, aver riportato il giudizio complessivo con punteggio non inferiore a 65 per gli appartenenti ai ruoli direttivi del Corpo ovvero con punteggio non inferiore a 26 per gli appartenenti agli altri ruoli. Requisiti, questi, che si devono possedere anche per la richiesta della successive medaglie in argento ed oro congiuntamente, nel primo caso, al possesso da almeno 5 anni della medaglia di bronzo e, nel caso della richiesta per la medaglia d’oro, del possesso da almeno 5 anni di quella in argento.
contratta in servizio o deceduto in servizio. Il procedimento per la concessione della croce per anzianità di servizio, della medaglia al merito di servizio e della medaglia al merito di lunga navigazione si avvia a richiesta dell’interessato: il requisito per il conferimento è avere prestato lodevole servizio nel Corpo. Non potrà essere presentata se il poliziotto penitenziario nell’ultimo quinquennio ha riportato un giudizio inferiore a “distinto”, è sottoposto a procedimento disciplinare o penale o siano stati rilevati “demeriti di altra natura” nel servizio prestato. L’improcedibilità della domanda sarà notificato all’interessato (e al DAP) a cura dell’Autorità Dirigente. Tra i requisiti che costituiscono titolo per essere esaminati per la
Coloro che ne hanno i requisiti, dunque, potranno presentare istanza secondo i modelli a tal fine predisposti dal DAP, allegati alla lettera circolare della Direzione Generale del Personale e della Formazione GDAP-0054576-2013 datata12 febbraio 2013 e disponibili anche presso gli Uffici Segreteria degli istituti e servizi (e presso le sedi del SAPPE). Importante evidenziare che l’istanza può essere presentata dal dipendente per la prima volta solo per la concessione della distinzione in bronzo e per i seguenti solo dopo aver ricevuto il riconoscimento di grado inferiore da non meno di 2 anni per la croce di anzianità di servizio e da almeno 5 per le medaglie al merito. Nel computo degli anni di effettivo servizio dovranno essere sottratti tutti i
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periodi che hanno determinato una diminuzione dell’anzianità di servizio conseguenti a condanne penali, a sospensioni dal servizio per motivi disciplinari o alla fruizione di periodi di aspettativa per motivi privati. Anche il personale cessato dal servizio potrà presentare istanza di concessione dei riconoscimenti: entro i sei mesi successivi alla data di collocamento in congedo, però.
L’ordine di precedenza dei citati riconoscimenti è il seguente: medaglia al merito di servizio, medaglia al merito di lunga navigazione, croce per anzianità di servizio. Il procedimento per il conferimento della medaglia di commiato in argento, infine, è avviato d’ufficio. Contestualmente alla medaglia di commiato è consegnato il foglio di congedo, foglio che sarà consegnato al personale del Corpo che cessi dal servizio a qualsiasi altro titolo. Vi sono due ulteriori importanti novità introdotte in sede di Commissione per le Ricompense per valorizzare il lodevole rendimento in servizio degli
Nelle foto: fac simile di diploma di medaglia di commiato in argento e le medaglie e nastrini per anzianità di servizio (20, 30 e 35 anni)
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il commento
le principali ricompense
Estratto dal d.P.R. 15.02.1999, n. 82 Regolamento di servizio del Corpo di Polizia Penitenziaria
Nel box: gli estratti degli articoli che trattano le ricompense agli appartenenti al Corpo
Polizia Penitenziaria n.233 novembre 2015
Articolo 77. Ricompense per meriti straordinari e speciali … 3. L’encomio solenne all’appartenente al Corpo di Polizia Penitenziaria che, in operazione di particolare importanza o rischio, abbia dimostrato di possedere, in relazione alla qualifica ricoperta, spiccate qualità professionali e non comune determinazione operativa, viene conferito dal Direttore Generale (ora Capo, n.d.r.) dell’Amministrazione penitenziaria.
3. La lode viene conferita dal Direttore Generale (ora Capo, n.d.r.) dell’Amministrazione penitenziaria, come riconoscimento di applicazione e di impegno professionali che vanno oltre il doveroso espletamento dei compiti istituzionali, all’appartenente al Corpo di Polizia Penitenziaria, che, per il suo attaccamento al servizio, per spirito di iniziativa e per capacità professionali, abbia conseguito apprezzabili risultati nei compiti di istituto.
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Articolo 80. Premi in denaro
1. Le ricompense per lodevole comportamento sono l’encomio e la lode. 2. L’encomio viene conferito dal Direttore Generale (ora Capo, n.d.r.) dell’Amministrazione penitenziaria all’appartenente al Corpo di Polizia Penitenziaria che, impegnatosi notevolmente in importante servizio istituzionale, abbia messo in luce spiccate qualità professionali, conseguendo rilevanti risultati nei compiti di istituto.
1. Al personale del Corpo di Polizia Penitenziaria distintosi per servizi di particolare rilievo, che comunque non rientrano tra quelli che danno luogo alla attribuzione delle ricompense previste dagli articoli 76, 77 e 78, può essere concesso un premio in denaro. 2. Il premio in denaro è concesso dal Direttore Generale (ora Capo, n.d.r.) dell’Amministrazione penitenziaria. 3. Il premio in denaro è cumulabile con i riconoscimenti per anzianità di servizio o al merito di servizio di cui all’articolo 79 e non è invece cumulabile con quelli previsti dall’articolo 70 del decreto del Presidente della Repubblica 28 ottobre 1985, n. 782, dall’articolo 41, comma 2, lettera e), della legge 15 dicembre 1990, n. 395 .
appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria, comunicato alle Direzioni degli Istituti e servizi per il tramite della Direzione Generale del Personale e della Formazione. E’ stato previsto, e in tal senso la Commissione Ricompense già da tempo delibera, che coloro i quali hanno assolto 38 anni di effettivo servizio nel Corpo di Polizia Penitenziaria hanno diritto a ricevere, d’ufficio, un “encomio” per lodevole servizio, conferito dal Capo del Dipartimento. Ritenendo parimenti opportuno riconoscere una ricompensa a tutti coloro che nell’arco della carriera hanno svolto la propria attività di
servizio con professionalità e dedizione, nella seduta del 17 novembre scorso la Commissione Ricompense ha dato incarico alla Direzione Generale del Personale di emanare, nei tempi più brevi, un decreto che preveda d’ufficio, come nel citato caso dell’encomio riconosciuto al compimento del 38° anno di servizio effettivo, una sorta di automatismo per il riconoscimento dell’onorevole servizio del personale attraverso il conferimento di una ricompensa – “lode” - anche per periodi di tempo inferiori, ad esempio al raggiungimento del 15° o del 20° anno di servizio. H
Articolo 78. Ricompense per lodevole comportamento
seguito di un orientamento maturato in dottrina secondo il quale la salute del singolo non può essere scissa dall’ambiente in cui vive e nel quale espleta la sua personalità (1), la stessa giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto in merito che la tutela della salute deve essere estesa alla preservazione delle necessarie condizioni di salubrità ambientale (2).
Il diritto a un ambiente salubre è riconosciuto a coloro che subiscono interventi altrui suscettibili di alterare l’equilibrio ecologico del territorio nel quale si trovano, indipendentemente dalla natura giuridica del rapporto che essi hanno con quel territorio (3). Anche il detenuto, perciò, dovrà considerarsi titolare di tale diritto in relazione al luogo in cui deve eseguire la pena. Da ciò discende che anche l’Ordinamento Penitenziario debba garantire tale diritto, e sembrano così orientate quelle disposizioni generali che, all’art.5 e 6 Ordinamento Pentenziario, descrivono le caratteristiche degli edifici penitenziari e dei locali nei quali si svolge la vita dei detenuti e degli internati, che “devono essere di ampiezza sufficiente, illuminati con luce naturale e artificiale in modo da permettere il lavoro e la lettura; aerati, riscaldati ove le condizioni climatiche lo esigano, e dotati di servizi igienici riservati, decenti e di tipo razionale” e che consentano “ai soggetti che non svolgono lavoro
diritto e diritti
Il diritto del detenuto ad un ambiente salubre all’aperto di […] permanere almeno per due ore al giorno all’aria aperta” (art.10 comma 1 Ordinamento Penitenziario). La domanda sorge spontanea: ma se l’amministrazione penitenziaria violasse queste norme, quale sarebbe il rimedio azionabile dal detenuto? L’introduzione nell’Ordinamento Penitenziario, da parte del d.l. 92/2014, conv. con modif. in legge 117/2014, dei nuovi “rimedi risarcitori” in favore dei detenuti e degli internati che hanno subito un trattamento in violazione dell’art. 3 della CEDU costituisce l’adempimento agli obblighi derivanti dalla condanna pronunciata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo con la sentenza Torreggiani. Oltre alla necessità di predisporre misure strutturali tali da incidere sulle cause del sovraffollamento carcerario, la Corte Europea ha sottolineato l’esigenza (e ci ha conseguentemente imposto l’obbligo) di introdurre “un ricorso o una combinazione di ricorsi” che consentano di “riparare le violazioni in atto”: degli strumenti cioè attraverso i quali i giudici siano in grado, in primo luogo, di sottrarre con rapidità il detenuto da una situazione che genera la violazione del suo fondamentale diritto a non subire trattamenti inumani (quelli che la Corte denomina rimedi preventivi) e, in secondo luogo, di attribuire un ristoro a chi abbia subito tale violazione (rimedi compensativi). Sotto il profilo dei rimedi preventivi, lo Stato ha risposto alle richieste della sentenza Torreggiani introducendo un’ipotesi di reclamo giurisdizionale al magistrato di sorveglianza per i casi di “attuale e grave pregiudizio” ai diritti dei detenuti, derivante da condotte dell’Amministrazione penitenziaria non conformi alla legge
dell’Ordinamento Penitenziario o al suo regolamento attuativo (artt. 69 co. 6 lett. b) e 35 bis Ordinamento Penitenziario). Per mezzo di tale reclamo, il magistrato di sorveglianza - accertato che le condizioni detentive in cui si trova il detenuto sono tali da determinare un pregiudizio attuale e grave ai suoi diritti - può ordinare all’Amministrazione penitenziaria di “porre rimedio” alla situazione. Fino all’introduzione dell’art. 35 ter Ordinamento Penitenziario, il nostro ordinamento era invece totalmente sprovvisto di rimedi compensativi specifici per risarcire i pregiudizi subiti dai detenuti a causa delle condizioni detentive inumane e degradanti in cui si erano trovati. Come si ricorderà la Corte di Cassazione, con la sentenza 4772/2013 aveva definitivamente negato la sussistenza, in capo al Magistrato di Sorveglianza, di un potere di condanna al risarcimento dei danni subiti dai detenuti in conseguenza del sovraffollamento (potere che era stato in precedenza
riconosciuto da qualche isolata pronuncia della magistratura di sorveglianza) ed aveva conseguentemente affermato che, in assenza di specifiche disposizioni legislative, la materia risarcitoria doveva considerarsi riservata alla competenza del giudice civile. Una soluzione che non si palesava come particolarmente soddisfacente, considerati i tempi lunghissimi dell’azione risarcitoria nella giustizia civile. H Note (1) In tal senso v. A. PENNISI, Diritti del detenuto e tutela giurisdizionale, cit. pag. 105. (2) Sentenza della Corte di Cassazione civile, Sez. Un., n.5172, 6 ottobre 1972. (3) Per questa definizione di “ambiente”, v. B. CARAVITA, Diritto all’ambiente e diritto allo sviluppo: profili costituzionali, in v. B. CARAVITA, Tra crisi e riforme. Riflessioni sul sistema costituzionale, Torino, 1993, pag.196.
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Giovanni Passaro Segretario Provinciale Sappe passaro@sappe.it
Nella foto: detenute madri in un area dedicata
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Giovanni Battista Durante Redazione Politica Segretario Generale Aggiunto del Sappe durante@sappe.it
l’osservatorio
La vita delle persone non appartiene ai governanti oloro che in questi giorni, dopo la strage di Parigi, hanno avuto occasione di girare per le strade di qualche grande città e di frequentarne i locali, a me è capitato a Roma, come ogni settimana, hanno potuto notare come molte cose siano cambiate immediatamente.
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nostra Presidente della Camera, che i terroristi non arrivano attraverso i barconi. Per noi, rispetto alla Francia, è sicuramente più facile fare tutto questo, perché le persone da controllare sono di meno, non dimentichiamo che la Francia ha circa
Un po’ come dopo l’11 settembre. In tutte le stazioni della metropolitana di Roma ci sono i militari, la stazione Termini, già da alcuni mesi, è maggiormente presidiata e non si può più accedere ai binari se non si è muniti del biglietto di viaggio. Gli obiettivi ritenuti sensibili sono presidiati dai militari e per strada ci sono più carabinieri e poliziotti, rispetto a prima, nonostante le carenze che affliggono il settore. Tutto questo è importante che avvenga, ma non ci pone al riparo da possibili attentati. Ciò che è più importante da questo punto di vista è sicuramente il lavoro di intelligence, il monitoraggio della rete e il controllo delle persone ritenute sospette; è necessario effettuare controlli più stringenti su coloro che entrano nel nostro Paese, perché non è vero, come dice la
sei milioni di abitanti di fede islamica, molti dei quali di nazionalità francese, con regolare passaporto, i quali si muovono liberamente tra la Francia e il resto del mondo, come è accaduto con alcuni dei terroristi. A proposito della Francia, finora ci è sempre stata presentata, da molti intellettuali nostrani, come il modello di integrazione per eccellenza, da seguire anche in Italia. All’improvviso si scopre, invece, che tutta questa integrazione non c’è e che invece c’è tanto disagio che sfocerebbe nel terrorismo. Olivier Roy, grande orientalista francese, docente all’istituto europeo di Fiesole, attraverso un’intervista al Corriere della Sera, traccia un’analisi originale del fenomeno jihaidista in Europa. Ritiene infatti che sia il frutto di due fattori: il nichilismo di alcuni giovani
Nella foto: soldati presidiano l’area del Colosseo a Roma
Polizia Penitenziaria n.233 novembre 2015
e il conflitto generazionale tra genitori e figli. Secondo Roy non si tratterebbe di radicalizzazione dell’islam, ma di islamizzazione del radicalismo. Il che vuol dire che questi giovani che decidono dall’Europa di andare a combattere per l’ISIS o che comunque vengono utilizzati per attentati in Europa, siano musulmani di origine o europei convertiti, troverebbero nell’Islam radicale e nella “guerra santa” l’unica causa radicale sul mercato. “I giovani non si rivoltano contro la società francese a causa dell’ISIS”, sostiene Roy. “Sono vent’anni che i giovani francesi (di origine musulmana) e più in generale europei si rivolgono al terrorismo islamista, e l’ISIS esiste solo da due anni. Prima i giovani si radicalizzavano per il GIA algerino, poi per Al Qaeda, poi per la guerra in Bosnia.” Secondo Roy, in questi giovani si manifesterebbe una forte contrapposizione con i padri. “I futuri terroristi a un certo punto lasciano l’Islam dei padri e vivono all’occidentale, si dedicano al rap, bevono alcol, fumano spinelli, e poi all’improvviso cambiano, si lasciano crescere la barba, diventano islamismi, integralisti. Sempre in contrapposizione ai padri.” Secondo Roy il movente sarebbe da ricercare nel nichilismo di questi giovani, nella repulsione per la società, che si ritroverebbero anche nelle stragi di massa degli Stati Uniti, della Norvegia, i 77 morti di Oslo e Utoya. Come tutte le teorie sociologiche anche quella del prof. Roy può avere un fondamento di verità, ma il fenomeno è molto più ampio ed ha radici che vanno al di là dei confini europei, ma, soprattutto, in questi comportamenti c’è il collante della religione, c’è l’adesione a principi e valori, seppur sbagliati, che provengono da un certo modo di pensare e di intendere la vita, la società. Non ci sono altri fenomeni simili e sembra davvero improprio paragonare questi giovani a coloro
l’osservatorio che hanno compiuto le stragi di massa in America o in Norvegia. Nell’epoca moderna non ci sono al mondo altri fenomeni di estremismo in cui si uccide in nome di dio e in nome di dio chi uccide si fa saltare in aria. Quanto avviene in Francia ci deve comunque far riflettere ulteriormente
nostra società, come il Natale, la Pasqua e addirittura la visita in qualche museo dove sono esposti quadri raffiguranti la croce. Non è vero che coloro che negano tali tradizioni e impediscono nelle scuole la celebrazione delle festività religiose lo fanno per rispettare coloro che professano altre fedi, lo fanno
del cristianesimo sono parte integrante della nostra società, sono diventati tradizioni, usi e costumi che, almeno nella società di oggi, non è possibile negare ed eliminare. I terroristi hanno comunque raggiunto un obiettivo: quello di diffondere il terrore e condizionare la nostra vita. Dicevo all’inizio di questo scritto che
su come va gestito il problema dell’immigrazione e dell’integrazione degli immigrati provenienti da certe aree geografiche, a cominciare dalla cittadinanza. Bene hanno fatto finora coloro che si sono opposti allo ius soli e alla concessione facile della cittadinanza agli immigrati. Tale risultato deve essere il coronamento di un lungo percorso di adattamento alle nostre regole, alle nostre leggi e soprattutto di rispetto della nostra cultura e delle nostre tradizioni, che non vuol dire condividerle, ma conoscerle e rispettarle. Ma purtroppo assistiamo spesso al mancato rispetto delle nostre tradizioni, anche da parte di molti italiani che per proprie inclinazioni ideologiche utilizzano il presunto rispetto del multiculturalismo, per disconoscere valori e tradizioni fondanti della
esclusivamente per soddisfare il loro esasperato desiderio di laicità. Ma vedere un quadro di un grande autore, raffigurante una croce, non è un arricchimento culturale anche per chi è di fede diversa da quella cattolica? Potrebbe essere interessante anche per dei giovani studenti italiani di fede cattolica o di altra fede religiosa andare a visitare una moschea e capire fino in fondo che cos’è l’islam. Qui ci imbattiamo, purtroppo, in un altro tema di non poco conto; la mancanza di valori fondamentali condivisi da tutti nella nostra società, come invece avviene in altri paesi. Il che non vuol dire aderire necessariamente a quei valori, ma riconoscerli come fondanti la società nella quale si vive. In altri termini, non vuol dire aderire necessariamente al cristianesimo, se prendiamo in esame la religione, ma riconoscere che molti principi e valori
Roma è più blindata del solito, come molte altre città, ma soprattutto c’è meno gente in giro, ci sono meno turisti del solito. Le prenotazioni negli alberghi sono calate. Mi raccontava pochi giorni fa il direttore di un albergo che per il Giubileo non ha ancora ricevuto nessuna richiesta di prenotazione. Tutto questo incide negativamente sulla vita di tutti i giorni, ma anche sull’economia dei paesi, delle città. La gente ha paura. Gli annunci dei politici a non farci intimidire, a non rinunciare al nostro modello di vita, possono anche essere giusti e opportuni, ma poi ognuno fa i conti con la propria paura o con il proprio coraggio. La vita delle persone non appartiene ai governanti, anche se a volte si ha questa sensazione. H
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Nel box: schema politico dell’islam
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12 Roberto Thomas già Magistrato minorile, docente di criminologia presso l’Università di Roma la Sapienza rivista@sappe.it
criminologia
Criminogesi e accoglienza dei minori migranti I
l recente massiccio fenomeno dell'emigrazione via mare in Europa di tantissimi minori stranieri non accompagnati dai genitori o da parenti stretti coinvolge certamente il grave problema sociale di una loro adeguata accoglienza- in quanto sovente vittime dei delitti di riduzione in schiavitù (art.600 cod. pen.) e di tratta di persone (art. 601 cod. pen.) da parte di trafficanti e scafisti senza scrupoli - ma anche delicate tematiche connesse alla loro potenziale deriva criminale.
Nella foto: accoglienza di minori non accompagnati
Polizia Penitenziaria n.233 novembre 2015
Si deve premettere che l'emigrazione di massa, spesso di intere popolazioni, costituisce un'assoluta costante nella storia dell'umanità. Sovente si trattava di migrazioni “di conquista”, finalizzate all'occupazione di nuovi territori per motivi egemonici ed economici. Si pensi, per esempio, per quanto riguarda l'Italia, a quella cartaginese che produsse epiche battaglie tra Annibale e Roma, o successivamente a quella araba che occupò la Sicilia . Le attuali migrazioni non rivestono certamente il predetto carattere di “conquista”, ma sono costituite da grandi gruppi di disperati che
approdano sul nostro territorio per la drammatica ricerca di salvare la loro vita sia dalle stragi derivanti dalle guerre intestine (e in questo caso dovrebbero essere denominati più correttamente rifugiati ), fomentate dai vari movimenti fondamentalisti, a seguito del fallimento della cosiddetta “primavera” araba , che insanguina vari Paesi che si affacciano sul mediterraneo (Libia, Siria) e altri contigui come l'Irak, la Somalia, l'Etiopia, l'Afghanistan ecc. , ovvero per sfuggire alla “desertificazione” causata dai cambiamenti climatici che li priva della minima sussistenza alimentare. Invero nei primi dieci mesi del 2015, secondo i dati Frontex, “un milione e duecentomila persone sono entrate illegalmente in Europa, tendenzialmente per mare” come ha dichiarato il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk nel vertice tenutosi a Malta l'undici novembre del 2015 fra i ventotto Paesi dell'Unione Europea e trenta Paesi Africani per tentare di risolvere i gravissimi problemi di una siffatta massiccia emergenza migratoria, che è già stata pari al quadruplo dell'intero 2014, e che ha interessato, prevalentemente, le coste dell'Italia e delle isole greche, tanto che nel vertice U.E. del giugno 2015 è stato concordato una distribuzione numerica per ogni singola nazione dell'Unione Europea, con un limite massimo su base annua. Di tale gigantesco totale di migranti disperati si deve segnalare, purtroppo, che circa il 10% è costituito da minori non accompagnati da adulti familiari o che comunque li possano seguire nel loro processo di formazione e crescita, percentuale che sale a circa il 15%
considerando anche i più piccoli al seguito dei loro genitori. E' stato approvato un piano comunitario al fine di bloccare tali ingestibili flussi, sull'onda della sconvolgente emozione generale dei sempre più numerosi morti in mare (quale ad esempio l'affogamento di circa novecento persone in un peschereccio affondato nel canale di Sicilia il 19 aprile 2015, la più grande tragedia del mare dalla fine della seconda guerra mondiale), basato sia su operazioni di polizia militare concertate in sede comunitaria, col pattugliamento navale delle coste antistanti i Paesi da cui partono i numerosi gruppi di tanti poveri disperati, che con accordi , ove possibile, con i governi degli Stati di partenza (tematica affrontata proprio nel già richiamato vertice di Malta), al fine di bloccare sul loro territorio l'imbarco dei migranti. Non si esclude nemmeno una procedura di difficile attuazione, che di recente ha avuto il benestare dell'O.N.U., atta ad identificare, catturare e distruggere le imbarcazioni che vengono usate dai trafficantiscafisti (che sarebbe meglio definire schiavisti in quanto colpevoli, sostanzialmente, di una riduzione in schiavitù dei tanti disgraziati che trasportano per mare) . A tal proposito occorre sottolineare che talora tra gli scafisti trafficanti di esseri umani, purtroppo, vi sono anche dei minori come, ad esempio, Mohamed Bugura, diciassette anni, nativo di Casablanca in Marocco, che comandava spietatamente (usando il coltello contro i disperati che tentavano di uscire dalla stiva dove erano rinchiusi dalla partenza dalla Libia) un barcone di migranti affondato il 26 agosto 2015 al largo
criminologia delle coste siciliane, che ha provocato cinquantadue morti e cioè quasi tutti quei disgraziati che si trovavano a bordo stipati nella stiva. L'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) ha reso noto che nel 2014 i migranti morti nel tentativo di raggiungere l'Europa sono stati 3279, mentre dall'inizio del 2015 all'agosto 2015 sono già 2373 quelli annegati in mare ( fonte FrontexIOM), anche se tali dati devono essere stimati per difetto, sia per la difficoltà esatta del macabro conteggio che per le tante tragedie del mare che non vengono accertate e si consumano nel silenzio degli abissi. A queste agghiaccianti stragi del mare cui si cerca di reagire rinforzando , da parte europea, l' operazione di soccorso in mare Triton - Frontex (che sostituisce la precedente denominata “mare nostrum”, che era a carico economico esclusivo dell'Italia) a cui aderiscono , oltre al nostro Paese, altri diciannove Stati dell'Unione Europea (tra i quali Spagna , Portogallo, Islanda, Finlandia, Malta , Lettonia, Francia, Germania e Inghilterra) che partecipano concretamente al pattugliamento e al salvataggio in mare di tante famiglie disgraziate, come fa quotidianamente e senza soste il nostro Paese, mediante la Marina Militare Italiana, con un'azione umanitaria di cui dobbiamo sicuramente essere fieri. L'interrogativo inquietante rimane comunque sempre lo stesso : basterà il potenziamento del programma di soccorso in mare e di aiuti umanitari europei, e l'attuazione dell'operazione di polizia militare di preventiva distruzione degli scafi dei trafficanti ad evitare la perdita di innocenti vite che cercano scampo dalla morte nei loro Paesi di provenienza ? Certamente i minori sono il punto più debole della vicenda immigratoria, costituendo, come abbiamo visto, circa il 15% dell'intera massa di questi poveri disperati. Invero essi devono superare, dapprima, la tremenda prova dell'attraversamento marino su vecchi barconi inaffidabili, le cosiddette “carrette del mare”, stracolmi
all'inverosimile di persone che durante la traversata in mare perdono il loro connotato di umanità, diventando degli schiavi e rischiando seriamente la vita. Hanno pagato in media circa mille dollari per assicurarsi un posto indegno di un essere umano, per la traversata fino alle coste italiane , dopo precedenti marce estenuanti, spesso a piedi, in zone desertiche, con il rischio di incappare in predoni senza scrupoli che le infestano e con il pagamento di ulteriori somme di denaro (circa cinquemila euro) ai trafficanti via terra collegati con gli scafisti. Si deve sottolineare che per coloro che organizzano e concretamente trasportano i migranti sulle nostre coste su vecchie imbarcazioni e pericolosi gommoni che partono sovente dalle “navi madre”, è previsto la violazione del reato di “tratta di persone” contenuto nell'art. 601 del codice penale che, novellato dal Decreto Legislativo 4 marzo 2014 n.24 sulla falsariga del Protocollo Addizionale delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale, recita : “E' punito con la reclusione da otto a venti anni chiunque recluta, introduce nel territorio dello Stato, trasferisce anche al di fuori di esso, trasporta, cede l'autorità sulla persona, ospita una o più persone che si trovano nella condizione di cui all'art. 600 (riduzione in schiavitù ),ovvero realizza le stesse condotte su una o più persone , mediante inganno, violenza, minaccia, abuso di autorità o approfittamento di una situazione di vulnerabilità, di inferiorità fisica, psichica o di necessità, o mediante promessa o dazione di denaro o altri vantaggi alla persona che su di essa ha autorità, al fine di indurle o costringerle a prestazioni lavorative, sessuali ovvero all'accattonaggio o comunque al compimento di attività illecite che ne comportano lo sfruttamento o a sottoporsi al prelievo di organi. Alla stessa pena soggiace chiunque, anche al di fuori delle modalità di cui al primo comma, realizza le condotte ivi
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previste nei confronti di persona minore di età.”. Ma la precitata gravità delle sanzioni non sembra aver bloccato il flusso dei trasporti per mare che anzi , per l'attesa di un lautissimo guadagno (circa mille dollari a persona , come si è detto) si è , purtroppo, costantemente incrementato . L'arrivo sul suolo italiano viene considerato da tanti poveri disgraziati un miracolo e l'inizio di una nuova vita più sicura . Ma , spesso, non è proprio così. Infatti i migranti vengono accolti nei centri predisposti in Italia, dove c'è tanta buona volontà e solidarietà (come ho potuto constatare di persona durante una mia visita, in veste di magistrato minorile a Lampedusa), ma anche una grossa disorganizzazione dovuta sia allo straboccante numero di arrivi rispetto alla ricettività delle strutture, sia alla lunghezza della permanenza nelle
stesse ai fini dell'identificazione ed all'eventuale riconoscimento dello stato di rifugiato, permanenza per molti aspetti simile ad una vera e propria detenzione carceraria, che può determinare, come ha di fatto determinato, gravi situazioni di tensione sia all'interno della struttura di accoglienza che all'esterno con gli abitanti del luogo . Per i soggetti minorenni , invero, non occorre l'accertamento dello stato di rifugiato (la cui esclusione, per quelli adulti, li trasformerebbe immediatamente in clandestini da rimpatriare) in quanto i predetti sono tutelati da una norma generale contenuta nell'art. 403 del codice
Nella foto: carretta del mare alla deriva
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criminologia civile, secondo cui si prevede l'inserimento obbligatorio del minore abbandonato ( cioè a dire non accompagnato da genitori o da altri stretti parenti adulti ), da parte della “pubblica autorità” in una casa famiglia di accoglienza (“in luogo sicuro”). Pertanto, una volta accertata la loro minore età - che, in mancanza di validi documenti identificativi, si realizza mediante una procedura d'identificazione che verte sui rilievi segnaletici foto-dattiloscopici e su di
Nella foto: rilevazione di impronte digitali
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un esame medico antropometrico essi sono direttamente ricoverati in uno dei centri di accoglienza per minori dislocati sul territorio nazionale dal Dipartimento immigrazione del Ministero dell'Interno e gestiti dai singoli comuni di pertinenza. La collocazione di questi centri spesso collegati a quelli per adulti immigrati richiedenti asilo o che hanno lo status di rifugiati politici in quartieri periferici dei grandi centri urbani, ha generato in qualche caso la mobilitazione di parte dei residenti contro la presenza di immigrati potenzialmente produttiva di un ulteriore incremento di insicurezza sociale, a causa della moltiplicazione del tasso medio di criminalità . Così, in particolare nella Capitale, nel quartiere di Tor Sapienza, nel novembre 2014, si sono svolti per oltre una settimana continui scontri fra popolazione e forze di Polizia, in parte strumentalizzati dalla presenza di movimenti estremisti anti
immigrati, che hanno portato sia alla chiusura del locale centro d'accoglienza che, fra gli altri, conteneva anche ben quaranta minorenni, e alla diramazione di una circolare del Viminale indirizzata ai prefetti, con cui si chiede ai predetti una maggiore concertazione con i comuni al fine di individuare le zone urbane dove collocare i centri di accoglienza per immigrati minori non accompagnati e adulti richiedenti asilo ovvero che abbiano già conseguito lo status di rifugiati, previa eventuale audizione di rappresentanze di residenti . Chiaramente le problematiche sopra descritte, riguardanti il paventato tasso di aumento della criminalità dovuto alla presenza di migranti sul territorio dei vari comuni, deve essere oggetto, soprattutto per quanto concerne i minori, di un attento studio statistico-criminologico per poter indirizzare una razionale politica d'intervento di prevenzione e contrasto di tale deriva criminale. Invero come sottolineava già Robert Park (anticipatore della cosiddetta “Scuola di Chicago”, denominata anche di “ecologia umana”) nel suo scritto “Human migration and the marginal man” in American Journal of Sociology, 6, 1928, il migrante costituisce “un uomo marginale” che vive sulla linea di confine fra due culture : quella di origine da cui non si distacca mai completamente e la cultura del paese in cui giunge con la sua migrazione che sovente non l'accetta mai completamente. Questa situazione di uomo marginale, che dà luogo ad un conflitto fra due diverse culture, può cagionare , soprattutto per i soggetti minorenni, comportamenti devianti o criminali. Tale teoria viene successivamente ripresa dal sociologo Thorsten Sellin nella sua opera “Culture, Conflict and Crime”, New York, Social Science Researc Counsil, Bulletin, 1938, che ribadisce che in molti minori migranti si produce una forma grave di sradicamento della cultura del proprio Paese di origine in seguito alla collocazione , spesso traumatica, in un nuovo ambiente : il che crea dei forti conflitti culturali
che possono dar luogo alla devianzacriminalità minorile. Per tale motivo appare indispensabile l'attuazione di una seria e ragionata accoglienza che deve far perno soprattutto sulla presenza di specializzati mediatori culturali, categoria che deve essere sicuramente potenziata nel numero e nella qualità della preparazione professionale, con l'istituzione di previ corsi organizzati con la supervisione del ministero dell'istruzione e inserimento in uno specifico albo distinto per gruppi di nazionalità. Collegato al fenomeno dei migranti è quello del traffico illegale di organi che sovente vede vittime proprio i giovanissimi migranti, spesso minorenni, che vengono “offerti” dagli scafisti e dai trafficanti via terra , intascando il dieci per cento della somma (che può arrivare anche a duecentomila dollari ) che, in media, viene pagata dai richiedenti (soprattutto facoltosi malati di rene) a tutta la filiera messa in moto rapidamente per soddisfarlo (medici, tecnici di laboratorio e intermediari vari ) . L'Organizzazione Mondiale della Sanità (O.M.S.) ha stimato che nel mondo, ogni anno, vi è una media di seicento cinquantamila trapianti di organi di cui sessantatremila illegali di provenienza dai Paesi del terzo mondo, in particolare dislocati in Africa. Tale fenomeno ha indotto il nostro Governo ad affrontare principalmente un problema tanto rilevante quanto attuale quale quello della tratta di persone (tra cui i minori ) per finalità di espianto di organi attraverso l'applicazione del precitato art. 601 cod. pen. (che, come detto, prevede la pena da otto a venti anni per i trafficanti), miratamente soprattutto per i minorenni, i quali per il loro “status” di soggetti più indifesi, e pertanto assai vulnerabili e manipolabili, sono esposti con estrema facilità a ridursi come oggetto di sfruttamento da parte di organizzazioni criminose fortemente specializzate nel traffico di esseri umani. Inoltre si deve rilevare che il numero dei trapianti illegali di organi viene accresciuto dall'esistenza di un numero oscuro di trapianti effettuati attraverso il
giustizia minorile prelievo dal corpo di giovanissimi, spesso minorenni, che vengono barbaramente uccisi proprio a tale scopo: si tratta spesso di minori sbandati e affamati che spariscono senza lasciare tracce e senza che nessuno chieda di loro notizie alle autorità competenti. Il predetto inquietante fenomeno omicidiario rientra in quello più generale delle persone scomparse e di cui non si hanno più notizie che, secondo la relazione del 2015 del Commissario Straordinario del Governo per le persone scomparse in Italia, a partire dal dal 1974, ed ancora da ricercare alla data del 30 giugno 2015, sono 31372 ( con un incremento nei primi sei mesi del 2015 di 7993 unità). Di queste circa 8500 sono di nazionalità italiana, mentre quasi 23000 sono stranieri. Sul totale complessivo delle 31372 persone oltre 18000 sono minorenni ( 1812 italiani, 16475 stranieri ). A questo ultimo numero deve aggiungersi quello difficilmente quantificabile- e che costituisce criminologicamente un “numero oscuro”- dei cosiddetti “minori invisibili” e cioè di coloro che non sono stati denunciati alla nascita (prassi abbastanza comune nella numerosa comunità cinese per motivi legati all'ottenimento del permesso di soggiorno in Italia). Con la legge 14 novembre 2012 n. 203, contenente nuove disposizioni per la ricerca delle persone scomparse, si è allargato il campo della facoltà di denuncia di privati per siffatte scomparse che prima era limitata dall'art. 333 del codice di procedura penale ai soli casi in cui il privato avesse “notizia di un reato perseguibile d'ufficio”. Attualmente la precitata legge prevede che : “chiunque viene a conoscenza dell'allontanamento di una persona dalla propria abitazione....e ritiene che possa derivare un pericolo per la vita o l'incolumità personale della stessa, può denunciare il fatto alle forze di polizia.”, a prescindere pertanto che sussista la notizia dell'esistenza di una fattispecie di reato perseguibile d'ufficio come, ad esempio, il sequestro di persona. H
La Polizia Penitenziaria specialista nel trattamento dei detenuti minorenni l 23 Novembre 2015 si è tenuto presso l’ICF di Roma la sedicesima edizione del corso di specialista nel trattamento dei detenuti minorenni. Le ultime notizie avute dall’Istituto Centrale di Formazione della Giustizia Minorile ci dicono che il Corso di specializzazione continuerà presumibilmente fino a marzo 2016. Difatti da un conteggio fatto di recente, risulta che sono stati formati 565 poliziotti penitenziari con un’anzianità di servizio di oltre cinque anni nel settore minorile. Con i moduli di febbraio e marzo 2016 si concluderanno probabilmente i lavori della prima fase del progetto. Il restante personale di Polizia Penitenziaria, appartenente al Corpo da meno di 5 anni, qualora intendesse conseguire la specializzazione nel trattamento dei detenuti minorenni, potrà partecipare (previa ammissione mediante selezione per titoli) ad un corso articolato in moduli didattici di carattere teorico e pratico riguardanti gli aspetti normativi, deontologici e educativi. Detto corso avrà la durata di tre mesi. Nel suo aspetto pratico, è previsto un tirocinio di durata non inferiore ad un terzo del percorso formativo (un mese circa) sul posto di servizio, in affiancamento nei servizi minorili. Al termine del corso è inoltre prevista una prova di verifica in forma scritta e orale tendente ad accertare l’apprendimento delle competenze specifiche per il settore minorile. Si evidenzia che lo “Specialista nel trattamento dei detenuti minorenni”, per la specificità delle funzioni di sicurezza e trattamento, deve possedere:
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Ciro Borrelli Dirigente Sappe Scuole e Formazione Minorile borrelli@sappe.it
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• attitudine e soprattutto una personalità equilibrata e corretta dal punto di vista deontologico in linea con le nuove teorie psicopedagogiche. • la qualità dei rapporti che deve instaurare rappresenta una condizione imprescindibile per la buona riuscita dei progetti educativi elaborati per i minorenni; • capacità di saper valutare in ogni momento le molteplici situazioni ed avvenimenti che possono incidere positivamente o negativamente sul processo evolutivo del minore detenuto; Per concludere, ricordiamo che i lavori svolti nei primi moduli all’Istituto Centrale di Formazione, hanno portato alla realizzazione di una pubblicazione intitolata “Fare Sicurezza e Trattamento”, una serie di spunti tratti dal Corso di Formazione e di Specializzazione nel trattamento dei detenuti minorenni. Il testo, molto chiaro e ben organizzato, chiarisce ancora una volta che la Polizia Penitenziaria costituisce una risorsa preziosa ed imprescindibile per il sistema penale. H
Nella foto: la sede di Roma dell’Istituto Centrale per la Formazione
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lo sport
Oro, argento e finale ISU per Cappellini-Lanotte on poteva avere avvio migliore la stagione 2015-2016 per gli azzurri della danza su ghiaccio Anna Cappellini e Luca Lanotte. Dopo il titolo europeo e mondiale ed una serie infinita di argenti (ben sei) nelle tappe del circuito ISU Grand Prix (l’ISU Grand Prix equivale alla Coppa del Mondo del pattinaggio di figura), nella terza prova del prestigioso circuito, edizione 2015, sono riusciti finalmente a conquistare il meritatissimo oro.
N
anche i forti statunitensi Madison Chock / Evan Bates, vincitori di Skate America. Il loro libero da 106.91 punti è stato addirittura il migliore della loro carriera, superiore altresì a quello che valse loro il titolo mondiale e che attualmente li pone al settimo posto nella classifica delle migliori coppie di free dance da quando le gare si svolgono con i punteggi attuali (stagione 2010/2011). Sul ghiaccio del Capital Gymnasium
dicembre), nella quinta tappa di Mosca, la “Rostelecom Cup” di Mosca (20/22 novembre), serviva un altro risultato di spessore, che puntualmente è arrivato. I due portacolori della Polizia Penitenziaria sono saliti ancora una volta sul podio, in questo caso sul secondo gradino, a due punti di distacco dai vincitori, i canadesi Kaitlyn Weaver e Andrew Poje allenati da Pasquale Camerlengo, terzi ai Mondiali 2015. Anna e Luca hanno ottenuto 103.79 punti nel libero, che sommati ai 67,82 punti del corto, hanno dato un totale di 171.61, mentre i canadesi hanno chiuso con 173.58. Rispetto a Pechino gli azzurri si sono migliorati nel programma corto (in Cina si erano fermati a 65,39), ma hanno ottenuto un punteggio più
Il 7 novembre, sul ghiaccio del Capital Gymnasium di Pechino, Anna e Luca hanno trionfato battendo i vicecampioni del mondo in carica gli americani Madison Chock ed Evan Bates - che si sono dovuti accontentare del secondo posto, mentre terzi si sono piazzati i russi Elena Ilinykh e Ruslan Zhiganshin. Il bronzo cinese della scorsa stagione per la coppia della Polizia Penitenziaria era stato una delusione perché arrivato dopo i fasti (e la festa) per la vittoria del titolo iridato. Nell’edizione 2015 i danzatori delle Fiamme Azzurre si sono ripresi ciò che era loro dominando la competizione pechinese e battendo
di Pechino Anna e Luca si sono esibiti nel programma corto, sulle note di Franz Leahr Merry Widow, ottenendo subito il miglior risultato (66.39 punti) e nel libero hanno consolidato il primato con il programma danzato sulle note della colonna sonora de “La Dolce Vita” di Nino Rota, conquistando altri 106.91 punti, dei quali 52.72 per la componente tecnica, 55.19 per quella artistica e chiudendo dunque con un totale di 173.30. Gli americani si sono fermati a 169.16 ed i russi a 159.00 punti. Per proseguire nel cammino delle competizioni ISU aspirando alla finalissima di Barcellona (11/12
basso nel programma libero (106.91 a Pechino). A completare il podio della Rostelcom Cup ci sono i padroni di casa Victoria Sinitsina e Nikita Katsalapov, che hanno ottenuto un punteggio totale di 167.40. Quarta l’altra coppia italiana, quella composta da Charlène Guignard e Marco Fabbri, allenata da Barbara Fusar Poli, stessa posizione ottenuta a Skate America, ai piedi del podio. I fuoriclasse delle Fiamme Azzurre sono ora matematicamente qualificati alla finale del Grand Prix che si svolgerà a Barcellona l’11 e 12 dicembre tra le sei coppie più forti del mondo.
Lady Oscar rivista@sappe.it
Nelle foto: Anna Cappellini e Luca Lanotte
Polizia Penitenziaria n.233 novembre 2015
lo sport Per la coppia azzurra quello di Mosca è stato il dodicesimo podio in carriera al Grand Prix (per l’ottava volta secondi) ed è la quarta qualificazione alle finali. Nelle coppie di artistico Valentina Marchei ed il nostro Ondrej Hotarek sono finiti sesti, ma con molti margini di miglioramento, soprattutto sui salti. E anche loro, nel totale (178.19), come già nel corto, hanno alzato il personale dimostrando sempre più sintonia e possibilità di crescita in coppia nella difficilissima specialità dell’artistico. PECHINO (6/8 novembre) ISU Grand Prix “Cup of China” danza su ghiaccio: (1) ANNA CAPPELLINI-LUCA LANOTTE 173.30 (1/66.39 + 1/106.91);
17 Nelle foto: le immagini dell’evento sportivo Croato che ha visto la partecipazione dei nostri colleghi Stefano Pressello e Dimitri Pollo con la vittoria della medaglia d’argento
Il Metodo Globale di Autodifesa (M.G.A.) è d’Argento con la coppia Pressello-Pollo
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(2) Madison Chock – Evan Bates 169.16; (3) Yelena Ilinykh – Ruslan Zhiganshin RUS 159.00.
MOSCA (20/22 novembre) ISU Grand Prix “Rostelcom Cup” danza su ghiaccio 1) CAN - Kaitlyn WEAVER / Andrew POJE 173.58; (2) ITALIA - ANNA CAPPELLINI LUCA LANOTTE 171.61; 3) RUSSIA - Victoria SINITSINA / Nikita KATSALAPOV 167.40; 4) ITALIA - Charlene GUIGNARD / Marco FABBRI 153.54 . H
l 16 Ottobre 2015 si è svolto l’evento sportivo, la 4ª competizione/dimostrazione Internazionale di Arti Marziali e tecniche di autodifesa, organizzata dalla Republic of Croatia Ministry of Justice Prison System Directorate presso il palasport di Lepoglava, che ha visto la partecipazione di 35 coppie appartenenti alle polizie penitenziarie di: Francia, Germania, Ungheria, Paesi Bassi, Macedonia, Montenegro, Bosnia, Herzegovina, Repubblica Ceca, Polonia, Romania, Slovenia e Serbia. Le fasi preliminari della gara hanno previsto 5 esibizioni; Italia- Macedonia vinta dai nostri con il punteggio 3-0; è stata poi la volta di Italia-Croazia, superata con un altro perentorio 3-0; poi Italia-Ungheria, battuta con il punteggio 2-1; ed infine ItaliaRomania, vinta con un altro rotondo 3-0. Nella finalissima Italia-Slovenia c’è stata la sconfitta di misura per 1-2, ma è stato comunque un ottimo argento finale. Terminata la competizione sportiva si è proceduto a stilare la classifica generale del podio, è seguita la successiva cerimonia di premiazione e la consegna di due medaglie d’argento per gli Ass. Capo Stefano Pressello e Dimitri Pollo e la coppa-Targa come rappresentativa della Polizia Penitenziaria Italiana.
Il Metodo Globale Autodifesa (M.G.A) è stato orgogliosamente rappresentato dai due istruttori della Polizia Penitenziaria, portatori di una grande professionalità e determinazione nel rappresentare abilmente l’M.G.A (Metodo globale Autodifesa) non solo tra i confini nazionali ma anche in Europa, a testimonianza del grande valore degli appartenenti al Corpo nello sport e nella formazione sportiva messi al servizio della divisa indossata. H
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mondo penitenziario
L’istituto a custodia attenuata di Orvieto
N
el sistema penitenziario italiano non esistono solo strutture vecchie e fatiscenti e carceri angusti e sovraffollati. Anche da noi, infatti, si trovano “eccellenze” nell’esecuzione penale. L’Istituto a Custodia Attenuata di Orvieto, ad esempio, si pone come obiettivo quello di proporre una modalità di esecuzione della pena volta a rendere il detenuto consapevole delle proprie potenzialità e capace di gestirle con sempre maggiore
Nelle foto: l’ingresso dell’ICAM di Orvieto
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autonomia attraverso un percorso di progressiva responsabilizzazione. L’esperienza della custodia attenuata di Orvieto intende raggiungere l’obiettivo di iniziare dalla detenzione un percorso di recupero che riconduca l’autore di reato al contesto sociale, offrendogli l’opportunità di maturare e intraprendere una scelta di cambiamento attraverso concrete attività di lavoro, studio e formazione. I detenuti che aderiscono al progetto avranno la possibilità di espiare al loro pena in un contesto detentivo che lascia loro libertà di movimento e ampi spazi di autonomia nell’ organizzazione della propria giornata. Di contro, il detenuto si impegnerà ad attuare un percorso rieducativo scelto e condiviso con il Gruppo di Osservazione e
Trattamento dell’Istituto nel rispetto delle regole sottoscritte con il patto trattamentale. I requisiti di ammissione • Detenuti di sesso maschile inseriti nel circuito “media sicurezza”; • sono esclusi i detenuti inseriti nel circuito “media sicurezza protetti”; • posizione giuridica: appellante, ricorrenti e definitivi; • entità minima della pena residua in espiazione: 1 anno; • entità massima della pena residua in espiazione: 12 anni, salvo proposte dell’istituto di provenienza e approvazione della Custodia Attenuata di Orvieto; • non elevata pericolosità detentiva espressa dall’istituto di provenienza con una formale valutazione di idoneità all’ammissione al regime di custodia attenuata; • sono esclusi i detenuti con precedenti condanne o con procedimenti penali in corso per il reato di evasione, commesso negli ultimi 5 anni durante la sua permanenza in un istituto penitenziario; • regolare condotta e partecipazione alle attività trattamentali. Qualora la condotta sia stata a tratti irregolare il GOT dell’istituto di Orvieto valuterà caso per caso; • assenza di patologie psicofisiche che richiedano particolari trattamenti sanitari; • non essere tossicodipendente ovvero
avere intrapreso un programma riabilitativo. Cosa offre l’istituto Il reparto detentivo dell’Istituto di Orvieto è costituito da 27 camere, di diversa superficie, tutte dotate di bagno con doccia e conformi ai parametri di superficie stabiliti dal DAP. Nel reparto detentivo sono presenti la biblioteca e la sala polivalente. Lo spazio esterno dedicato al passeggio è di ampia superficie (2.000 mq ca.) con annessi un campo polifunzionale di tennis, pallavolo, pallacanestro, un campo di calcetto, un campo di bocce, uno spazio dedicato ai lavatoi e stendibiancheria. Lungo il viale dei “passeggi” sono collocate le lavorazioni: sartoria tessitoria - falegnameria - officina fabbri, la chiesa, la palestra, la barberia. Il regime è aperto. Gli orari della vita quotidiana Ore 7,30: distribuzione della colazione; Ore 8,30: apertura passeggi e inizio di tutte le attività; Ore 11,30/12,30: distribuzione vitto e consumazione pasto in regime di socialità; Ore 12,30: apertura passeggi e inizio attività pomeridiane Ore 15,30: chiusura passeggi e regime di socialità in reparto detentivo ed inizio attività pomeridiane: lavoro, corsi scolastici, laboratori;
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Ore 19,30: distribuzione vitto e consumazione pasto in regime di socialità; Ore 21,00: termine della socialità. Il lavoro L’Istituto vanta una pluriennale tradizione manifatturiera. Sono presenti quattro lavorazioni, tutte dotate di macchinari moderni ed efficienti, nell’ ambito delle quali è possibile acquisire competenze professionali e vivere un’esperienza lavorativa qualificata e qualificante. Sono attive: la Sartoria, la Tessitoria, la Falegnameria e l’Officina Fabbri. E’ possibile essere avviati al lavoro per effettuare la manutenzione ordinaria dell’edificio e i lavori domestici. L’Istituto di Orvieto si pone come obiettivo l’inserimento lavorativo di tutti i detenuti presenti.
Il mandato dell’Amministrazione Penitenziaria è finalizzato al reinserimento sociale dei detenuti mediante l’acquisizione di competenze e conoscenze professionali utilmente spendibili nella fase post-detentiva.
Le attività Ricreative • Laboratorio di Pittura • Laboratorio di Musica • Cineforum • Biblioteca • Teatro
Le attività volontarie di pubblica utilità nell’ambito del territorio comunale di Orvieto E’ stato attivato un Protocollo d’intesa con il Comune di Orvieto per l’inserimento di detenuti in Attività Volontarie non Retribuite di Pubblica Utilità, nell’ambito del territorio comunale per la manutenzione, restauro, pulizia e decoro urbano dei siti di interesse pubblico.
L’istruzione Tutti i corsi scolastici si svolgono in orario pomeridiano per favorire la partecipazione dei detenuti lavoranti. Sono attivi i seguenti corsi: • Scuola media • Corso d’Italiano per stranieri • Scuola primaria • 1° e 2° anno dell’ Istituto Tecnico Professionale • Laboratorio di lingua inglese e francese
Sono presenti: • una palestra attrezzata con accesso libero; • un campo di calcetto; • un campo di bocce; • basket • pallavolo; • tennis; • tennis tavolo; • calcio balilla. Tutte le attività sono autogestite.
Nelle foto: le attività lavorative di Orvieto
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mondo penitenziario aggiunta ormai la seconda edizione e superate abbondantemente le mille copie vendute, il romanzo di Alessandro Pugi viene così recensito sul sito “Letteratura e... dintorni” della giornalista Dianora Tinti:
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Alessandro Pugi
IL COLORE DEL CIELO L’Aquila, il Falco e il Cigno Il procedimento di assegnazione di detenuti alla Custodia Attenuata di Orvieto da altro istituto dell’Umbria. La domanda di trasferimento compilata utilizzando esclusivamente la modulistica fornita e corredata di: • relazione di sintesi o comportamentale in cui sia riscontrato il possesso dei requisiti richiesti; • certificazione medica che attesti l’idoneità sanitaria come indicata dai requisiti. Va inoltrata alla Direzione dell’ Istituto a Custodia Attenuata di Orvieto cr.orvieto@giustizia.it.
Nelle foto: gli spazi aperti, la palestra ed il teatro di Orvieto
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Servizi • attività di ascolto e segretariato sociale curata dai volontari Caritas; • mediazione interculturale (Il progetto “Il sistema della Prossimità” assicura la presenza settimanale di un mediatore culturale); • struttura di accoglienza per i familiari dei detenuti in permesso premio gestita dai volontari della Caritas; Colloqui visivi I colloqui visivi con gli aventi diritto sono assicurati tre giorni a settimana, di cui uno in orario pomeridiano. Verranno valutate richieste particolari in merito ai colloqui con i minori. E’ di prossima apertura un’area verde attrezzata.
• Il G.O.T. di Orvieto, verificata la sussistenza dei requisiti di ammissione, trasmetterà alla sede di provenienza del detenuto il parere di idoneità al trasferimento temporaneo, quindi provvederà ad inoltrare l’istanza così istruita al P.R.A.P. dell’Umbria. • Il Provveditorato Regionale dell’Umbria deciderà entro 20 giorni dalla ricezione della richiesta; • Il G.O.T. di Orvieto entro i primi tre mesi di assegnazione temporanea confermerà o meno l’idoneità del detenuto a permanere presso la Custodia Attenuata, dandone comunicazione al P.R.A.P. Umbria per i provvedimenti che riterrà opportuni. H
IL FOGLIO Edizioni pagg. 287 - euro 15,00 Di cosa parla IL COLORE DEL CIELO Siamo negli anni ottanta e Raphaël Lewonsky, un giovane di 24 anni, decide di indagare su un mistero che per anni è stato quasi “ignorato” dalla sua famiglia: dalla morte del padre, avvenuta una decina di anni prima, sono cominciate infatti donazioni mensili da parte di un anonimo benefattore americano. Parte così da Bologna, dove vive, e accompagnato dalla fidanzata e da un amico fidato arriva a Manhattan mettendosi quasi subito sulle tracce dell’uomo misterioso. Ma non è una verità facile quella che gli svelerà il benefattore, vecchio amico/nemico del padre che con lui ha vissuto parte di una normale adolescenza, ma anche gli orrori della follia nazista nel campo di concentramento di Majdanek nel quale uno era vittima e l’altro carnefice. COSA NE PENSO Un romanzo che ho iniziato a leggere in maniera, diciamo così, “professionale” e che invece mi sono ritrovata a divorare da accanita lettrice, tanto che poi l’ho dovuto rileggere per poter fare una recensione più obiettiva possibile. Sul nazismo e la seconda guerra mondiale sono stati scritti e pubblicati libri di tutti i tipi, è quindi piuttosto difficile scrivere qualcosa di nuovo, ma devo dire che Alessandro Pugi ce l’ha fatta. Documentato come un romanzo storico, avvincente come un thriller, racconta la storia dei due personaggi
il libro del mese
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“Il colore del cielo” il romanzo del collega Alessandro Pugi principali descrivendoli dall’adolescenza fino alla tragica esperienza durante il secondo conflitto mondiale. Con grande sensibilità, ma senza mai scadere nello scontato o nel patetico, è riuscito a descrivere l’animo umano raccontandone forza e fragilità. Oltre ai protagonisti, tutta una serie di figure non meno importanti dà al racconto un respiro ampio e direi universale. La figura del vecchio gerarca nazista che non ha dimenticato, non può dimenticare, i vecchi amici che comunque ha cercato di aiutare anche in quei frangenti difficili e concitati per tutti, è molto ben costruita. Traspare chiaramente la volontà dell’uomo di ricordare e anche di discolparsi per ciò che, forse, non ha potuto scegliere. E questo ritorno al passato appare un cammino difficile, delicato, penoso e spesso insopportabile per uno della sua età che coltiva solitario il giardino della memoria senza aver paura di affrontare cattivi pensieri. Anche perché, in cuor suo, sa che
Chi è Alessandro Pugi Toscano, nasce a Portoferraio, di
esiste sempre la possibilità di scegliere da quale parte stare. Nonostante Alessandro Pugi non abbia risparmiato niente al lettore, comprese descrizioni e scene molto “forti” (...un prigioniero in fuga finito nella recinzione del campo era una delle occasioni per ribadire a tutti il dominio del regime nazista. Spesso, invece di porre fine alle flebili grida di dolore di quelle ombre viventi, i soldati arpionavano i loro corpi sofferenti con uncini, strappandoli brutalmente dalla rete metallica. Questo permetteva alle “spine”, pezzi di filo di ferro tagliato obliquamente alle due estremità, di lacerare brandelli di carne umana. Le gocce di sangue sembravano rimanere incollate agli aculei e solo con il passare del tempo si allungavano, scivolando verso il basso. A testimonianza di queste tragedie, che avvenivano spesso di notte, rimaneva a terra una larga pozza di sangue che, congelata dalle bassissime temperature notturne, si trasformava professione fa l’Ispettore di Polizia Penitenziaria. Appassionato di calcio, è istruttore CAS (Centro Avviamento allo Sport), allenatore FIGC calcio a 5 e allenatore FIGC di base – Uefa B. Il primo approccio con il mondo della scrittura risale al 1998 quando al Concorso di poesia Phalesia viene premiato con una menzione speciale per la poesia dal titolo “Senti...” Da allora non si è più fermato pubblicando un romanzo dietro l’altro, senza contare quelli che ha già pronti nel cassetto: The Spanners – Il colore del cielo, l’Aquila, il Falco e il Cigno – Il tredicesimo zodiaco – La sottile linea del destino e Il cercatore di stelle.
in una lastra di ghiaccio color porpora...) non c’è mai alcun tipo di compiacimento letterario, tutto è al servizio della storia e non di facili “effetti speciali”. Un libro veramente ben pensato che emoziona, scritto in maniera pulita e lineare. Una storia che “prende” fin dalle prime righe e che, inevitabilmente, fa riflettere su tante cose lasciando in chi legge un lieve retrogusto amaro, ma anche la convinzione che il bene, per fortuna, è sempre in agguato. Alessandro Pugi è stato ospite della trasmissione giornalistica di TV9, Quante storie vuoi, condotta dalle giornaliste Francesca Ciardiello e Dianora Tinti. Nell’occasione Pugi ha parlato di tutti i suoi romanzi, in particolare delle ultime due uscite: Il cercatore di stelle e La sottile linea del destino, in vendita su Amazon, IBS e Mondadori Store, oltre che nelle librerie e nei negozi Conad dell’Elba.H
Nelle foto: a sinistra Alessandro Pugi sopra la copertina del suo libro
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cinema dietro le sbarre
Attica a cura di Giovanni Battista de Blasis deblasis@sappe.it
Nelle foto: la locandina e alcune scene del film
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ttica è un film girato per la televisione nel 1981, che racconta i tragici eventi della rivolta avvenuta nel 1971 nell’Attica Correctional Facility. Il film, interamente girato a Lima, Ohio, è tratto dal libro di Tom Wicker A Time to Die: The Attica Prison Revolt. La rivolta della prigione di Attica fu una sommossa carceraria scoppiata nel penitenziario statunitense di Attica, Stato di New York, il 9 settembre 1971 e fu scatenata allo scopo di ottenere diritti politici e migliori condizioni di detenzione. In realtà, l’episodio che ha innescato la rivolta fu la protesta contro l’uccisione, da parte di alcuni poliziotti penitenziari, dell’attivista politico George Jackson, membro del movimento per l’emancipazione dei diritti dei neri Black Panther, avvenuto il 21 agosto precedente nella prigione californiana di San Quintino. Durante la rivolta, 1.280 dei 2.200 detenuti, in gran parte afroamericani e portoricani occuparono un’ala del carcere prendendo in ostaggio 33 persone tra guardie e impiegati avviando le trattative con le autorità. Nonostante si fosse giunti ad un
la scheda del film Regia: Marvin J. Chomsky Tratto dal libro: "A Time to Die" di Tom Wicker
A
accordo sommario sulla maggior parte delle richieste dei detenuti, non fu possibile porre fine alla rivolta a causa del rifiuto di aderire alla richiesta di amnistia per i reati commessi dai carcerati durante la rivolta e a quella di destituzione del direttore del carcere. Per questo motivo il 13 settembre, su ordine preciso del governatore di New York Nelson Rockefeller, l’esercito e le forze di polizia attaccarono il carcere. Furono prima lanciati lacrimogeni dagli elicotteri e poi 500 agenti entrarono nella struttura sparando sui rivoltosi, che non avevano armi da fuoco. Sul campo restarono 39 vittime, di cui dieci poliziotti penitenziari e 29 detenuti , e più di 200 prigionieri rimasero feriti, di cui 80 in modo grave. Durante l’irruzione numerosi superstiti furono picchiati e torturati. Nei giorni seguenti la stampa locale scrisse che parecchi ostaggi furono uccisi dai rivoltosi, cosa che risultò
Soggetto: Tom Wicker - (libro) Sceneggiatura: James S. Henerson Fotografia: Donald H. Birnkrant Montaggio: Paul LaMastra Scenografia: Tracy Bousman Musica: Gil Melle Arredamento: James Cane Produzione: Louis Rudolph per ABC Circle Films Distribuzione: Charter Entertainment Personaggi ed Interpreti: Herman Badillo: Henry Darrow Commissario Russell Oswald: Charles Durning Senatore Gordon Conners: Joel Fabiani Hap Richards: Morgan Freeman Tom Wicker: George Grizzard T.J. : David Harris Frank Green: Roger E. Mosley Raymond Franklin: Glynn Turman William Kunstler: Anthony Zerbe Tenente John Driscoll: Andrew Duncan Carl Dudley: William Flatley Art Silver: Paul Lieber Pazzo: Tony Brubaker Genere: Drammatico Durata: 97 minuti, USA, 1980 del tutto infondata dalle successive autopsie che appurarono che tutti i decessi erano stati provocati dalle pallottole delle forze dell’ordine. All’interno del carcere c’erano alcuni gruppi politicizzati di stampo etnico, come gli afroamericani Black Panthers, i portoricani Young Lords e i Black Muslims che, con lo scopo di attuare un piano d’azione coordinato e unitario, decisero di appianare le proprie differenze ideologiche all’interno del penitenziario. Nel gruppo di cittadini invitati come osservatori dai detenuti vi era anche Tom Wicher, giornalista del New York Times, che scrisse poi il libro A Time to Die, nel quale raccontò che “L’armonia razziale che regnava tra i detenuti era assolutamente stupefacente”. H
Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Napoli 18 gennaio 2016
CONVEGNO
La Polizia Penitenziaria nell’esecuzione penale esterna inizio dei lavori ore 15:00 co n i l p a t ro c in io di
in collaborazione con
CORPO DI POLIZIA PENITENZIARIA
www.mariocaputi.it
CITTÀ METROPOLITANA DI NAPOLI
Sala Congressi Hotel Ramada Via Galileo Ferraris, 40 • Napoli tel. 081.3602111 • www.ramadanaples.it N A P O L I 1 8 • 19 • 2 0 gennaio 2016
Convegno organizzato nell’ambito dei lavori del VI Congresso Nazionale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria
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Pasquale Salemme Segretario Nazionale del Sappe salemme@sappe.it
Nelle foto: sopra e accanto al titolo Milena Quaglini al centro Mario Fogli a destra Giusto Dalla Pozza
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crimini e criminali
La vedova nera: Milena Quaglini Perché io sopportavo, sopportavo, finché non mi facevano qualcosa di intollerabile che mi faceva esplodere”. Sarebbe questa la frase utilizzata da Milena Quaglini, nel corso del processo, per giustificare il suo istinto assassino. Domenica 2 agosto del 1998, intorno alle 16,00 arriva una chiamata al 112 della compagnia dei Carabinieri di Stradella, un piccolo comune dell’Oltrepò Pavese: “ho ammazzato mio marito”, è la voce di una donna.
“
legargli le mani e i piedi con la corda delle tapparelle; l’uomo però si sveglia e cerca di reagire, ma è legato e cade dal letto. Milena allora lo colpisce alla testa con un abat-jour ed inizia a tirare con forza la corda finché il marito cessa di respirare. In casa, ci sono le due figlie che non si sono accorte di niente. Milena aspetta qualche ora, poi prende il corpo del marito e lo trascina sul balcone. La donna, dopo la scoperta del cadavere, viene arrestata e rinchiusa nel carcere di Pavia.
riemergere. E’ una donna psicologicamente labile, ossessionata dai problemi economici e che cerca di arrangiarsi, per sbarcare il lunario, facendo ogni tipo di lavoro (cameriera, cassiera, badante e donna delle pulizie), ma molto spesso gli impieghi hanno durata breve a causa delle avance che puntualmente arrivano dai datori di lavori e che spesso si trasformano in violenze e botte. Si risposa con un uomo, Mario Fogli, da cui ha due bambine.
Il vice brigadiere, addetto al centralino, intuisce che non si tratta di uno scherzo e le chiede se vi siano altre persone in casa. La donna riferisce che ci sono le due figlie, ma che non si sono accorte di nulla. Il carabiniere chiede di parlare con una delle due bambine e nel frattempo invia una pattuglia al domicilio della donna. Nel mentre continua la conversazione, la donna lascia la cornetta del telefono al carabiniere, che nel frattempo era arrivato nell’abitazione, che conferma la presenza di un cadavere sul balcone della casa. La sera prima, la donna, dopo aver bevuto due bicchieri di brandy, aspetta che il marito si addormenti per
Ma perché la donna ha compiuto un delitto così efferato e, soprattutto, chi è Milena Quaglini? Milena è nata a Mezzanino, nei pressi di Broni (Pavia), nel 1957, il padre era un alcolista, spesso quando rientrava in casa picchiava lei e la sorella: “Una prigione senza felicità”, così definirà la sua casa paterna nel corso del processo. A 19 anni scappa di casa e dopo poco si sposa con il suo primo marito, l’unica persona di cui afferma di essere stata veramente innamorata, il quale, dopo qualche anno, muore di diabete, lasciandole un figlio: da questo momento Milena cadrà in uno stato di depressione e alcolismo dal quale ben poche volte riescirà a
Con lui litiga spesso, si sente oppressa. Spesso la picchia e lei lo denuncia più volte per le violenze subite sino a quando non decide di separarsi e di andare ad abitare ad Este, in provincia di Padova, con la seconda figlia. In Veneto trova lavoro come badante presso un signore anziano, Giusto Dalla Pozza (83 anni), che le presta anche 4 milioni di lire. Il 25 ottobre 1995, l’uomo le chiede la restituzione della somma proponendogli in alternativa di saldarlo in natura: al suo rifiuto lui cercò di violentarla. Nacque una colluttazione, nella quale la donna lo colpì con una lampada in testa. La Quaglini uscì di casa mentre Dalla
crimini e criminali Pozza era agonizzante, per poi chiamare l’ambulanza. Trasferito in ospedale, muore dieci giorni dopo. Sei mesi dopo, la polizia archivia il caso come “morte accidentale”: Giusto Dalla Pozza è stato infatti ritrovato a terra vicino al letto e, secondo gli inquirenti, le sue fratture sono compatibili con una caduta. Dopo questo avvenimento, ritornò a convivere con il marito da cui era separata, ma dopo poco le liti e le botte ricominciarono per terminare definitivamente la sera del 1 agosto del 1998 quando la donna lo uccide. Il 26 aprile 1999, il Tribunale di Voghera la condanna a 14 anni di reclusione per uxoricidio e affida le sue figlie alla sorella. A difendere Milena c’è l’avvocato Licia Sardo. L’avvocato ha preso a cuore la storia di Milena, la difende strenuamente e in appello riesce a ottenere la seminfermità di mente: la condanna è quindi commutata in 6 anni e 8 mesi, scontabili agli arresti domiciliari. Passa un periodo di detenzione presso una clinica, per disintossicarsi, poi si trasferisce in una casa a Bressana, di proprietà di Angelo Porrello, conosciuto a seguito di un annuncio su un giornale. La sera del 5 ottobre 1999, però, i Carabinieri la fermano per strada, è alla guida di una Regata bianca. Si è allontanata da casa e la denunciano per evasione. Due giorni dopo Milena è nuovamente fuori di casa. Questa volta è lei che avvisa i Carabinieri, ha dimenticato le chiavi nell’abitazione e non può rientrare. Così, il 7 ottobre 1999, le sono revocati gli arresti domiciliari e torna nel carcere di Vigevano. Il giorno prima, il 6 ottobre, è stata denunciata la scomparsa di Angelo Porrello. Si sospetta che l’uomo sia vittima di un regolamento di conti a causa del suo passato. Ad Angelo piacevano le ragazzine: era stato condannato perché violentava le sue tre figlie. Nel 1991 era stato in carcere per violenza sessuale su minori. Partono le indagini su un altro possibile delitto. Dal carcere femminile di Vigevano, la
donna astutamente manda delle lettere ad Angelo Porrello. Una il 7 ottobre e una l’11 ottobre. Le lettere sono formali, Milena utilizza addirittura il lei e lascia intendere che i due non si vedono da parecchio. I sopralluoghi nella casa dell’uomo sembrerebbero però dire l’opposto: vengono ritrovate nella spazzatura delle scatole di Halcion (il medicinale che usa Milena) e gli esami del DNA su dei capelli trovati nel letto, indicano che la donna è stata in quella casa nel periodo in cui l’uomo è scomparso. Anche l’avvocato Licia Sardo comincia a dubitare di Milena e la invita a confessare. “Ogni schiaffo che prendevo da un uomo rivivevo tutti quelli presi da mio padre”, così inizia la deposizione, tra il 23 e il 24 novembre, che dopo 4 ore di interrogatorio porterà alla confessione dell’omicidio di Angelo Porrello, ma anche a quello di Giusto Dalla Pozza. La donna confessa che Angelo Porrello l’aveva aggredita e violentata. Lei dopo il rapporto gli aveva preparato un caffè, diluendo nella tazza dell’uomo una scatola di tranquillanti. Poco dopo l’uomo si addormenta sul divano. Lei lo porta nella vasca da bagno e fa in modo che anneghi, per poi liberarsi del cadavere gettandolo in una letamaia, posta all’esterno dell’abitazione. Tracciando un identikit del serial killer ne emerge un individuo: solitario, fallito nella vita, senza istinto paterno, gravi disturbi della personalità, perversioni sessuali, predilezione per il sadismo, egoista, irresponsabile, incapace di tenere una relazione stabile eterosessuale o omosessuale, ma generalmente capace di intendere e di volere. Le stesse caratteristiche si riscontrano anche nelle donne: sembrano espansive ma sono molto chiuse e solitarie, evidenziano grave assenza o disturbo dell’istinto materno; hanno subìto abusi infantili, molestie sessuali sviluppando in tal modo una sessualità precoce. Non sono eccessivamente violente, non torturano le loro vittime prima di ucciderle, spesso le stordiscono. I loro atti non mirano a
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gratificazioni sessuali e spesso il movente è economico. iiSpesso il loro rapporto matrimoniale è instabile e finiscono con il prostituirsi. “Le vittime sono familiari ed estranei in egual misura: tra i primi il marito è il bersaglio più frequente, mentre gli estranei sono scelti tra i più deboli ed indifesi”(1). Sembra il profilo della Quaglini, se non fosse che alla base di ogni suo omicidio c’è il fattore scatenante delle botte: “Perché io sopportavo, sopportavo, finché non mi facevano qualcosa di intollerabile che mi faceva esplodere”. Tra il 2000 e il 2001 si svolgono i processi a carico della pluriomicida. Viene, nel processo di appello, confermato il vizio parziale di mente in occasione dell’omicidio di Mario
Fogli (6 anni e 8 mesi di reclusione) mentre, per l’omicidio di Giusto Dalla Pozza, riaperto dopo la confessione, le vengono inferti, il 2 febbraio del 2001, dalla Corte di Assise di Pavia, 1 anno e 8 mesi di reclusione per eccesso colposo di legittima difesa. Le ultime due perizie psichiatriche su Milena Quaglini sono molto differenti: la prima conferma la seminfermità mentale della donna, che addirittura parla in terza persona raccontando degli omicidi, ma l’ultima perizia, quella che conta, è stesa da Maurizio Marasco, specialista in neurologia e psichiatria, professore di psicologia forense e criminologia all’Università La Sapienza (Roma). Questa perizia complica le cose per
Nelle foto: a sinistra Angelo Porrello a destra l’avvocato Licia Sardo
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dalle segreterie
26 Milena, poiché, secondo il professor Marasco, “la signora Quaglini presenta un disturbo del carattere di tipo isterico nel cui ambito si colgono tratti di personalità che rimandano al disturbo borderline”.
Consigliere Comunale di Cuneo Manuele Isoardi sono stati ricevuti dal Direttore della Casa Circondariale di Cuneo Claudio Mazzeo e dal Comandante di Reparto Serafino Greco al fine di effettuare una visita sui luoghi di lavoro del personale di Polizia Penitenziaria in servizio presso l’istituto l giorno 27 novembre, la piemontese. A seguito della visita sono delegazione del Sappe, coordinata state riscontrate alcune problematiche dal Segretario Regionale Vicente strutturali (garitte, muro di cinta e Santilli con il Segretario Provinciale quadrato due). Amodeo Antonio e il Segretario Locale Sempre nella medesima giornata si è Carmelo Patanè, assieme all’Onorevole svolta un assemblea con tutto il Fabiana Dadone del M5S e il personale. H
Cuneo
Visita nei luoghi di lavoro e assemblea con il personale
I Nella foto: Milena Quaglini viene scortata al processo
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Un soggetto che presenta anomalie del carattere e alterazioni a tratti della personalità, un soggetto psicopatico. “La donna era perfettamente consapevole del fatto che stava uccidendo un uomo e lo ha fatto con una freddezza e una lucidità implacabili, senza alcun ripensamento o esitazione”: quindi in grado di intendere e di volere. Milena, dunque, è una serial killer. I suoi delitti sono caratterizzati da una violenza efferata spinta dal bisogno appagante della donna di punire i partners dei tanti torti subìti, quasi a simboleggiare la vendetta nei confronti della figura paterna. La sentenza definitiva è attesa per la fine di ottobre, Milena capisce che è senza un futuro, così il 16 ottobre 2001 decide di farla finita. La Quaglini, al passaggio dell’agente finge di dormire, poi mette in atto il suo piano di suicidio: fa a pezzi un lenzuolo e forma un cappio, lo appende all’armadio, ci infila la testa e si lascia cadere sollevando di colpo le ginocchia. Morirà all’Ospedale Civile di Vigevano, perchè al momento in cui gli agenti erano intervenuti per slegarla la donna era ancora in vita. Alla prossima... H Note (1) De Pasquali Paolo, Serial killer in Italia. Un’analisi psicologica, criminologica e psichiatrico-forense. Milano, Franco Angeli, 2001
donne in uniforme Laura Pierini Vice Segretario Provinciale Sappe Toscana rivista@sappe.it
parano.. Un boato improvvisamente interrompe ogni pensiero e, in un istante, tutto si fa buio. Un buio senza distinzione di nazione, religione, età. Le lacrime scendono senza controllo. Parole urlate in nome di un Dio, ma è la follia cieca dell’uomo che muove i fili dell’odio. Un odio alimentato da potenti affamati di controllo.
S
Pioggia di sangue Troppe ne ha viste, dolore, sofferenza che si perpetuano in una sterile spirale. Lacrime, che hanno lo stesso sapore in ogni parte del mondo, mentre il silenzio scende sulla nostra esistenza. Perché... chiedono le mie figlie. Perché.. Chiedono i bambini del mondo.
27 seguito di un orientamento maturato in dottrina secondo il quale la salute del singolo non possa essere scissa dall’ambiente in cui vive e nel quale espleta la sua personalità (1), la stessa giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto in merito che la tutela della salute deve essere estesa alla preservazione delle necessarie condizioni di salubrità ambientale (2). Il diritto a un ambiente salubre è riconosciuto a coloro che subiscono interventi altrui suscettibili di alterare l’equilibrio ecologico del territorio nel quale si trovano, indipendentemente dalla natura giuridica del rapporto che essi hanno con quel territorio (3). Anche il detenuto, perciò, dovrà considerarsi titolare di tale diritto in relazione al luogo in cui deve eseguire la pena. Da ciò discende che anche l’Ordinamento Penitenziario debba garantire tale diritto, e sembrano così orientate quelle disposizioni generali che all’art.5 e 6 Ordinamento Pentenziario descrivono le caratteristiche degli edifici penitenziari e dei locali nei quali si svolge la vita dei detenuti e degli internati, che “devono essere di ampiezza sufficiente, illuminati con luce naturale e artificiale in modo da permettere il lavoro e la lettura; aerati, riscaldati ove le condizioni climatiche lo esigano, e dotati di servizi igienici riservati, decenti e di tipo razionale” e che consentano “ai soggetti che non svolgono lavoro all’aperto di […] permanere almeno per due ore al giorno all’aria aperta” (art.10 comma 1 Ordinamento Penitenziario). La domanda sorge spontanea: ma se l’amministrazione penitenziaria violasse queste norme, quale sarebbe Visita il sito il rimedio azionabile dal detenuto? www.poliziapenitenziaria.it L’introduzione nell’Ordinamento Penitenziario, parte del d.l. per scopriredamodalità 92/2014, conv. con modif. in legge e procedure per attivare 117/2014, dei nuovi “rimedi il servizio.in favore dei detenuti e risarcitori” degli internati che hanno subito un trattamento in violazione dell’art. 3 della CEDU costituisce l’adempimento
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Sparano... e tutto cambia. Cambia per sempre cancellando sogni e progetti, per chi il buio se l’è portato via. Cambia, per chi resta, spettatore di atrocità di cui non vede fine, tentando di uscire dal quel buio che, nel suo abbraccio mortale, vuole impossessarsi di tutto. Tramite la vendetta, l’odio, la paura. Sparano.. e bombe esplodono. Pioggia di sangue sulla terra, che assiste allo spegnersi della vita e, se potesse, urlerebbe all’umanità di fermarsi.
Le nostre risposte costruiranno il loro futuro. Se saranno parole di vendetta ed odio il buio ed il silenzio calerà su di loro, la follia cieca avrà il sopravvento, cancellando sogni e progetti per un domani diverso.
Mali, Libano, Francia, Egitto, Gran Bretagna, Nigeria, Siria, Israele, Russia, Stati Uniti... i più recenti di una lunga lista.
Cristiani, ebrei, mussulmani, atei ... uomini donne e bambini ... ‘je suis’ ‘nous sommes’, tutti quanti. H
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Polizia Penitenziaria n.233 novembre 2015
28 a cura di Giovanni Battista de Blasis deblasis@sappe.it
Sopra la copertina del numero di aprile 1995
Polizia Penitenziaria n.233 novembre 2015
come scrivevamo
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iù di venti anni di pubblicazioni hanno conferito al mensile Polizia Penitenziaria - Società Giustizia & Sicurezza la dignità di qualificata fonte storica, oltre quella di autorevole voce di opinione. La consapevolezza di aver acquisito questo ruolo ci ha convinto dell’opportunità di introdurre una rubrica - Come Scrivevamo - che contenga una copia anastatica di un articolo di particolare interesse storico pubblicato tanti anni addietro. A corredo dell’articolo abbiamo ritenuto di riprodurre la copertina, l’indice e la vignetta del numero originale della Rivista nel quale fu pubblicato.
Carcere eIl Segretario condizione umana Generale del Sappe Donato Capece ha partecipato ad un dibattito sul tema presso l’Università di Roma “La Sapienza”
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artedì 14 marzo 1995 presso il Centro Congressi dell'Università "La Sapienza" di Roma si è tenuto un dibattito sul tema «CARCERE E CONDIZIONE UMANA (due termini inconciliabili?)». Al dibattito hanno partecipato, tra gli altri insieme al Segretario Generale del Sappe, Tiziana Maiolo, Donato Marra, Ferdinando Aiuti, Luigia Culla, Luigi Carlo Greco, Don Gino Rigoldi, Carlo Serra, Vincenzo De Donatis. Il dibattito è stato promosso dal Presidente della Provincia di Roma Giorgio Fregasi e dal Presidente dell'Istituto di Ricerche Economico Sociali "Placido Martini" dott. Silvano Muto. Nelle pagine seguenti riportiamo, unitamento ad un resoconto fotografico, l'intervento del dott. Capece. «A nome dello Polizia Penitenziaria che rappresento e mio personale, ringrazio e saluto gli organizzatori e gli intervenuti al dibattito. Devo dire, preliminarmente, che trattare di condizioni umane in carcere non è affatto insolito per chi svolge all'interno e all'esterno dell'amministrazione un'attività sindacale che è proprio quella di umanizzare "l'intero sistema penitenziario". La situazione è fin troppo nota. E' però utile un richiamo alle attuali condizioni e alle cause che le hanno determinate. In primo luogo è evidente che la politica penitenziaria del paese è improntata più sulle interpretazioni che ne hanno dato, di volta in volta, le classi politiche anche se supportate da movimenti d'opinione di troppo breve durata, che- su una seria analisi delle esigenze e delle misure disponibili il cui risultato avrebbe dovuto essere una
corretta programmazione degli interventi. In oltre un decennio si è passati dall'imperativo del carcere "duro" o supercarcere, durante la fase della criminalità politica, al periodo della pacificazione sociale o del "perdono". In seguito, sulla spinta dell' emergenza legata alle attività delle organizzazioni criminali di stampo mafioso, oltre ad individuare più idonei strumenti di prevenzione, si è giunti ad una diversificazione di pene trattate fra "detenuti comuni" e detenuti cosiddetti ad "alta sicurezza", accusati cioè di crimini quali il narcotraffico, l'associazione a delinquere ed il sequestro di persona. Gli articoli 4 bis, 14 bis e 41 bis dell'Ordinamento Penitenziario rappresentano altrettanti aggiustamenti del legislatore non del tutto riusciti. Dal 1975 ad oggi la legislazione penitenziaria è senz'altro un settore all'avanguardia, mentre risultano tutt'oggi insuficienti l'organizzazione, le infrastrutture e gli organici del personale.
come scrivevamo Le scelte concrete di politica penitenziaria dimostrano quindi che l’affannosa e continua ricerca di soluzioni dell'amministrazione non è affatto idonea, nè per quanto riguarda i mezzi nè, tantomeno, per quanto riguarda gli strumenti. I 30.000 posti letto attualmente disponibili per i detenuti, considerato il numero complessivo (54.000) rappresentano una scelta sbagliata di chi non ha saputo o non ha voluto prevedere che il carcere avrebbe subìto duramente le conseguenze dell'emarginazione sociale, etnica, economica, ed anche sanitaria. Infatti, dire che mentre nelle sedi politiche continuava a dibattersi sulla funzione della pena, in poco più di quattro anni, nelle carceri i tossicodipendenti aumentavano fino a 18.000, gli extracomunitari fino a 9.000, a 6.000 ed oltre i "grandi sorvegliati" e fino a 25.000 i detenuti in custodia cautelare o in attesa di giudizio definitivo. Il tutto nella più generale confusione e promiscuità. Le conseguenze le vediamo nella impossibilità di interventi immediati, nella mancanza di momenti di dialogo e di risocializzazione, nella totale estraneità tra carcere e società. L’istituto è diventato scuola di crimine, luogo preferenziale di "contagio" sanitario e sociale, strumento di alienazione e di violenza sull'individuo reso "altro" da se stesso e, quindi, non più recuperabile. "Umanizzare" il carcere non prescinde
dalla soluzione dei grandi problemi di cui facevo cenno. Nella realtà quella che non si conosce e che non si vuole conoscere è la funzione insostituibile che può e deve svolgere la Polizia Penitenziaria in tale prospettiva. Nel nostro Paese il Corpo di Polizia Penitenziaria rappresenta un caso unico di progresso culturale: la sua attività istituzionale non si limita, infatti, alla prevenzione e repressione del crimine, alla custodia ed al rispetto dell'ordine costitutito e della legalità. La Polizia Penitenziaria deve, o dovrebbe, svolgere opera di reinserimento sociale di chi delinque. E' quindi doveroso, soprattutto in questa sede, descrivere e denunziare le condizioni, spesso disumane degli oltre 39 .000 poliziotti, uomini e donne che spesso sono il solo tramite tra i detenuti e lo Stato, nei primi contatti, come nella quotidianità della loro detenzione: è giusto ricordarlo e corrisponde alle finalità del dibattito in corso. La penuria di organici (gli stessi di quando i detenuti erano 26.000), l'assoluta povertà dei mezzi (mancano mezzi di trasporto, effetti di vestiario, alloggi e mense), l'assenza di disposizioni univoche e chiare, l'inconsistente organizzazione a livello centrale e periferico, i turni di lavoro massacranti (oltre il 30 % dell'orario di lavoro è servizio straordinario
obbligatorio), l'assenza di momenti di formazione e di riqualificazione professionale, l'inadeguato trattamento economico, l'impossibilità di fruire di riposi e ferie e quindi di vivere i propri rapporti familiari e sociali all'esterno dell'istituto, frustrano e sviliscono il nostro personale che,
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Nella foto: il tavolo della presidenza del Dibattito
Nel box: il sommario del numero di aprile 1995 a sinistra Ferdinando Aiuti nell’atra pagina Donato Capece
minato nel corpo e nello spirito, regge in prima persona il peso del disastro penitenziario italiano solo attraverso strenui sacrifici. Non esistono, all'interno degli istituti penitenziari, un compito, una necessità, un intervento che non vedano la Polizia Penitenziaria
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Polizia Penitenziaria n.233 novembre 2015
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come scrivevamo
Il datore di lavoro n questo numero parleremo del datore di lavoro (direttore dell’istituto) che è la figura principale, dell’eco piramidale del D.lgs 81/08 e successive integrazioni. Il datore di lavoro, come recita il decreto, ha il potere decisionale e il potere di “spesa”. Gli obblighi del datore di lavoro sono molteplici, in primo luogo deve nominare il responsabile del servizio di prevenzione e protezione ed eventuali addetti, effettuare la valutazione dei rischi, come si evince all’art17 del D.lgs 81/08, compiti che non sono delegabili. Nomina, come parcellista esterno, il medico competente del lavoro; avendo i requisiti come da art.38 del D.lgs 81/08, acquisisce dalle OO.SS. i rappresentanti dei lavoratori eletti tramite l’elettorato dei lavoratori all’interno all’istituto. Tutti concorrono alla stesura e firma del documento sulla valutazione dei rischi, art.28 del D.lgs 81/08, lo stesso documento deve recare la data certa o da un protocollo interno o dalla posta. Ritornando sugli obblighi del datore di lavoro questi sono: • l’attuazione delle misure generali di tutela per la sicurezza di cui all’art15 del decreto vigente; • informare e formare i lavoratori, in merito all’art 36 e 37, formare un congruo personale addetto alle emergenze di cui all’art 45 e 46 del D.lgs 81/08; • indire almeno una volta l’anno una riunione periodica in riferimento all’art 35 del suddetto decreto. Informa e forma i dirigenti e preposti art 37, ai quali delega le direttive e le procedure per la tutela dei lavoratori. Detiene o fa detenere il DVR al responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP). Lo stesso documento deve contenere le misure ( prescrizioni) tendenti a migliorare le condizioni lavorative, il piano d’emergenza estrapolato dallo stesso documento e deve essere valutato il rischio incendio, il rischio
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Nel box: la vignetta del numero di aprile 1995 sotto Donato Capece insieme a Silvano Muto e Don Rigoldi
Polizia Penitenziaria n.233 novembre 2015
impegnata direttamente o che non richiedano l'ausilio del personale del Corpo, eppure si fa di tutto per dimenticare che proprio tale personale sostiene, a grandissimo prezzo e spesso con diretto rischio per la propria incolumità. La contraddizione tra uno Stato che si finge disponibile ed aperto e la concreta impossibilità di esserlo alle attuali condizioni. Addirittura, come in passato si è evinto anche da affermazioni dell'Associazione Vittime dell'Ingiustizia di cui il presente Giacomo Fassino è il segretario nazionale, c'è chi ha individuato nella Polizia Penitenziario lo strumento ed il
una strada praticabile se non quella che respinge fermamente le radicalizzazioni, i preconcetti e gli steccati della contrapposizione sociale, soprattutto laddove non esistono figure dell'emarginazione più qualificate di altre. Il senso di questo intervento è, quindi, quello di sostenere, perchè è tale il mio compito, che notevoli ed articolati devono essere gli interventi diretti a riorganizzare il sistema penitenziario italiano, perchè alla deprivazione della libertà non si aggiunga la sofferenza fisica e psicologica dell'individuo e perchè sia ricostruita l'insostituibile funzione
mandante di una strisciante volontà repressiva, in ciò dimostrando una miopia culturale d'altri tempi e forse l'incapacità di riconoscere soggetti, anche politici, reali e più qualificati. Per la soluzione dei problemi del penitenziario, non riteniamo che esista
sociale della pena, ma nessuno di questi interventi può lasciare in disparte e disconoscere gli uomini e le donne della Polizia Penitenziaria che tale incarico hanno e svolgono, a rischio di più gravi conseguenze per l'intera collettività.» H
sicurezza sul lavoro fisiologico, biologico e chimico. Deve contenere gli allegati, riportanti le misure tecniche logistiche quali: rilevamento rumore (fonometro), rilevamento climatico (temperatura e umidità), rilevazione aria forzata e naturale (anemometro), postazioni di lavoro luce naturale e artificiale (luxometro). Lavorazioni a rischio specifico, dove è obbligatoria la sorveglianza sanitaria (medico del lavoro). Il nominativo del coordinatore del piano d’emergenza, gli addetti alle squadre d’emergenza. La mancanza di questi obblighi del datore di lavoro, comporta in casi lievi sanzioni amministrative, se poi avviene un decesso per negligenza potrebbe configurare l’omicidio colposo. Infatti con il decreto del Ministero della Giustizia emanato nel 2014 ed in vigore a febbraio 2015, sono state inasprite le sanzioni e le pene a carico del Datore di lavoro. Questo per affermare a chi ancora non vuole capire l’importanza di questa materia e non basta la scusante dei costi elevati per la sicurezza, per chi la vita non ha prezzo. Un monito anche per i dirigenti e i preposti: il decreto legislativo non assolve tali figure preposte alla vigilanza sui lavoratori, la trascuratezza dei DPI non consoni all’attività lavorativa o obbligare i lavoratori a lavorare in locali non idonei e pericolosi, comporta sanzioni amministrative. Anche i lavoratori che non osservano le condizioni di sicurezza impartite, dai superiori gerarchici vanno incontro a sanzioni amministrativie. Mi riallaccio a un detto del Dott. Guariniello che dice: “l’ignoranza non fa attenuante, ma aggravante”.
Si può spendere meno per la formazione?
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rattiamo ora della formazione sui luoghi di lavoro e tutti gli obblighi del datore di lavoro previsti dall’art.15: squadre d’emergenze art.45-46 (antincendio e primo soccorso), formazione dei lavoratori, preposti art 36-37 del D.lgs 81/08 e successive integrazioni.
Pur avendo i requisiti previsti dal decreto dal Ministero del Lavoro del 6 marzo 2013 in vigore dal 18 marzo 2015 e documentati da cartaceo in nostro possesso, (attestazioni e verbali) con esperienza accumulata da 15 anni nel campo della formazione, le autorità preposte non approvano le nostre competenze. Qual’è il motivo ? Non lo sappiamo neanche noi, forse perché due assistenti capo “che hanno già svolto diversi corsi antincendio dal 2010 per la Casa Circondariale Rebibbia Nuovo Complesso, uno per il Servizio Approvvigionamento e Distribuzione Armamento e Vestiario e ben quattro corsi antincendio presso la Scuola di Perfezionamento per le Forze di Polizia nelle date di dicembre 2011, settembre 2012 e marzo 2015 in permesso sindacale”; perchè in p/s perchè il Provveditorato ci ha risposto che eravamo autorizzati solo fuori dal servizio. Come se fuori dal servizio dovevamo rendere edotti questi Signori sul nostro privato. Purtroppo cari colleghi, l’ottusità di certi personaggi non fa altro che aggravare i capitolati di spesa, complimenti! La nostra opera è quella di fornire ai colleghi corsi gratuiti, al di là dei costi vivi, fotocopie, attestati, cancelleria e quanto altro possa servire per la didattica.E’ palese che il nostro operato non vede, come qualcuno vorrebbe, quelle figure a capo del progetto, per fine propagandistici o fondi incentivanti. Purtroppo ancora oggi troviamo colleghi formati da aziende esterne, che in merito alle problematiche degli istituti non sanno nemmeno cosa vuol dire sicurezza sul lavoro applicata nella sicurezza in carcere. Un altro problema sul piano d’emergenza, sapendo bene che gli istituti sono diversi tra loro, per il rischio incendio, per le ubicazioni di idranti, pompe di spinta e vie d’esodo. Che fa l’azienda? Impartisce una formazione uguale e generalizzata per tutti gli istituti con il beneplacito delle autorità competenti. Il nostro progetto, inviato via email al PRAP e mai avallato, era quello di conoscere i piani d’emergenza dei vari
istituti, per formare in seguito gli addetti sul rischio incendio e addestrarli sui dispositivi di contrasto a fuoco del proprio istituto, la risposta del PRAP “verbale e non scritta” è stata che non siamo iscritti alla Camera di Commercio della Regione Lazio e non abbiamo una Partita Iva. Ci consentirete di sorridere di tanta ignoranza di tali affermazioni, in quanto vorremmo sapere se Agenti di Polizia Penitenziaria possono avere la Partita Iva. In conclusione vorremmo farvi sapere che tali corsi potrebbero essere fatti grazie alle attestazione in nostro possesso di formatore a rischio incendio medio rilasciato dalla ditta MOLAJONI s.r.l., formatore autorespiratori a ciclo aperto rilasciato dalla ditta SPASCIANI e con le conoscenze di un professore cardiologo-anestesista si potrebbero formare anche addetti al primo soccorso con corsi del tutto gratuiti, compresi quelli da lavoratori e preposti, integrazione sulla formazione dei rappresentanti dei lavoratori, anch’essi gratuiti. L’unica spesa (su richiesta personale se volessimo essere fiscali ) riguarda il BLSD “Basic life support defibrillation” supporto di base per la vita con l’uso del defibrillatore, per l’acquisto di manuale, attestato, tesserino, mascherina porta chiavi e altro materiale di consumo. Ciò in quanto noi non percepiamo nessuna somma in denaro e possiamo espletare il nostro mandato essendo istruttori IRC COMUNITA’ e appartenenti al centro di formazione ANIS (Associazione Nazionale Italiana Subacquei, dove si possono frequentare corsi subacquei con varie specializzazioni ). Questo naturalmente non è obbligo per i laici, ma sarebbe un completamento del primo soccorso fatto obbligatoriamente, in merito alla 388/2003, che spiega soltanto la manualità del BLS (RCP) ma non l’uso del defibrillatore. Ringrazio i lettori per l’attenzione, ma trovo giusto che i colleghi siano al corrente delle spese superflue che si possono evitare, senza mettere in primo piano figure non competenti che vogliono a tutti costi mettersi in mostra, per scopi personali. H
31 a cura di Vater Pierozzi Dirigente Sappe Esperto di sicurezza sul lavoro rivista@sappe.it
Polizia Penitenziaria n.233 novembre 2015
32 a cura di Erremme rivista@sappe.it
le recensioni Fascicolo 3/2014
Marco Biagi
DEMOCRAZIA E DIRITTO. Carcere, giustizia e società nell’Italia contemporanea
CARCERE, CITTA’ E ARCHITETTURA. Progetti per il carcere di San Vittore a Milano
FRANCO ANGELI Edizioni pagg. 175 - euro 31,50
MAGGIOLI Edizioni pagg. 228 - euro 22,00
uesta nuova edizione del Trimestrale del Centro di studi ed iniziative per la Riforma dello Stato, diretta da Michele Prospero ed edita da Franco Angeli, offre un prezioso ed importante contributo di approfondimento a tematiche di sicuro interesse. Si parla, con cognizione e competenza, di carcere, di umanizzazione della pena e della prospettive dell’esecuzione penale esterna. Undici seri e qualificati contributi, sviluppati da altrettanti docenti universitari, dirigenti e funzionari dell’Amministrazione penitenziaria, che affrontano i temi più dibattuti del sistema carcerario. Valido contributo di conoscenza, a mio avviso risente di una pesante assenza: ovvero il contributo che avrebbe potuto dare un appartenente al Corpo di Polizia Penitenziaria in materia di sicurezza e trattamento rieducativo nella quotidianità delle carceri. Un contributo che avrebbe potuto affrontare criticamente il palliativo della vigilanza dinamica nei penitenziari e la drammatica realtà dei moltissimi eventi critici che si contano, ogni giorno, in carcere.
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Polizia Penitenziaria n.233 novembre 2015
uesto libro, esito di un laboratorio di laurea tenutosi tra il 2004 e il 2006 nella Facoltà di Architettura Civile del Politecnico di Milano, raccoglie una selezione di progetti di studenti per riqualificare il carcere milanese di San Vittore. Ed è interessante vedere con quale e quanta passione ed interesse i vari autori hanno pensato di “superare” l’ottocentesco carcere milanese di San Vittore attraverso innovative strategie di riqualificazione, riconnessione e integrazione del complesso penitenziario con le cospicue risorse edilizie e funzionali presenti nella zona di Porta Vercellina: dal Museo della Scienza e della Tecnica all’Università Cattolica del Sacro Cuore. Il pregio evidente di questo libro, curato dall’architetto Marco Biagi, che insegna Progettazione dell’architettura proprio nella Scuola di Architettura Civile del Politecnico di Milano, è quello di impiegare l’architettura, concretamente, nell’impegno sociale e civile. «... il futuro di un carcere sempre più orientato alla semilibertà va cercato in un sistema di luoghi deputati articolato e diramato nel corpo fisico della città, accessibile e integrabile in entrata e uscita, da e verso quelle istituzioni (assistenza, istruzione, lavoro) in grado di consentire un autentico graduale reinserimento nella società seguito da più qualificate prestazioni di tutela, osservazioni e custodia. Ecco che allora, assai più dei recenti complessi penitenziari sorti isolati ai margini delle aree metropolitane, sarebbero ancora le sedi storiche, sorte nella prima espansione della città (come San Vittore a Milano), attualmente in crisi di
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sovraffollamento, a garantire, una volta sottoposte a un criterio di radicale decongestione, proprio per la loro dislocazione di venuta ancor più strategica, quella necessaria permeabilità dalla società, nonché ad affidare alla memoria collettiva della cittadinanza un vissuto da non rinnegare.» (Guido Canella, 22 febbraio 2006)
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OLTRE I TRE METRI QUADRI. XI Rapporto sulle condizioni di detenzione in Italia GRUPPO ABELE Edizioni pagg. 282 - euro 15,00
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nche quest’anno il Rapporto dell’Associazione ANTIGONE si conferma importante e preziosa testimonianza sulla attualità penitenziaria italiana ed europea, con un serie di contributi sui temi più svariati attinenti la realtà detentiva. Il Rapporto, che esamina la situazione italiana dopo la Sentenza Torreggiani, è la sintesi delle visite che ogni anno una cinquantina di osservatori, autorizzati dal Ministero della Giustizia su base regionale o nazionale, fa nelle carceri con lo scopo di raccontare all’esterno i risultati del proprio monitoraggio diretto. Il dato, evidente, che emerge è che i detenuti presenti al 28 febbraio 2015 erano 53.982 mentre il 31 dicembre 2014 erano 53.623. I detenuti nelle carceri europee sono 1 milione 737 mila. In calo di circa 100 mila unita rispetto all’anno precedente.Il 31 dicembre 2013, ovvero a sette mesi dalla sentenza pilota della Corte europea dei diritti umani nel caso Torreggiani, i detenuti erano invece 62.536. Dunque a oggi sono 8.554 in meno rispetto a fine 2013. I detenuti erano 66.897 alla fine del 2011, anno nel quale sono stati assunti i primi interventi di carattere deflattivo. Pertanto in tre anni i detenuti sono diminuiti di 12.915 unita. Va ricordato che dieci anni fa ovvero il 31 dicembre 2004 i detenuti erano
le recensioni 56.068, ossia 2.445 in piu rispetto a oggi. I posti letto regolamentari secondo il Dap sono 49.943. Il tasso di affollamento sarebbe dunque del 108%, ovvero 108 detenuti ogni 100 posti letto. Per stessa ammissione dell’amministrazione pero il dato sulla capienza non tiene conto di eventuali situazioni transitorie (reparti chiusi per lavori di manutenzione) che comportano scostamenti temporanei dal valore indicato. Gli scostamenti temporanei da noi accertati sono quantificabili intorno alle 4 mila 200 unita. Se cosi fosse il tasso di affollamento salirebbe al 118%. Dunque bisogna insistere sul terreno delle riforme per arrivare a una situazione ‘normale’ ovvero di un detenuto per un posto letto.
Arturo Rubino
COMPENDIO DI DIRITTO PENITENZIARIO MAGGIOLI Edizioni pagg. 237 - euro 20,00
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gile ed utile compendio sul diritto penitenziario, molto utile per la preparazione di concorsi ma anche per conoscere bene diritti e doveri e approfondire la conoscenza di una importante articolazione dello Stato, quella penitenziaria appunto. Le oltre duecentotrenta pagine si caratterizzano per la chiara esposizione, che permette di affrontare agilmente una materia non facile. Parte significativa è dedicata al trattamento, che deve sempre porre in primo piano la personalità del condannato, la cui osservazione scientifica porta all’individuazione del trattamento in rapporto alle sue condizioni specifiche ed ai particolari bisogni della sua soggettività, affinché si possa ottenere, con l’espiazione della pena, il recupero del reo ed il suo reinserimento nella vita sociale. A tal fine, acquisiscono grande rilevanza alcuni elementi, esaustivamente esaminati nel testo, quali l’istruzione, il lavoro, la religione, le attività culturali,
ricreative e sportive, nonché il rapporto con la famiglia. quest’ultimo aspetto, in particolare, è una nota qualificante del nuovo ordinamento penitenziario, che riconosce l’importanza preminente del mantenimento e dello sviluppo delle relazioni affettive del detenuto con i propri congiunti.
Lamberto Gherpelli
QUALCUNO CORRE TROPPO. Il lato oscuro del calcio GRUPPO ABELE Edizioni pagg. 335 - euro 20,00 davvero il calcio lo sport più bello del mondo, come pressochè universalmente si dice? Si, probabilmente, anche se questa eccellente indagine sull’uso (e abuso) di sostanze e farmaci proibiti nell’attività sportiva curata da Lamberto Gherpelli mina alle fondamenta l’assunto citato in precedenza, lasciando nei lettori dubbi, interrogativi, riflessioni, come pure rileva l’ex giocatore di Verona e Roma Damiano Tommasi, oggi numero 1 dell’Associazione italiana Calciatori. L’Autore ha condotto nelle sue ricerche attraverso atti giudiziari e testimonianze dirette, partendo dagli anni Trenta e dalla Nazionale di Vittorio Pozzi per poi arrivare ai giorni nostri. Un arco di tempo assai lungo, che mette in luce alcune importanti ombre del calcio nostrano (e non solo, visto che l’Autore riserva un capitolo del libro al doping all’estero). Certo, allarma ed inquieta leggere che negli ultimi sette-otto anni la percentuale dei calciatori morti per attacchi cardiaci è aumentata del 33%, i decessi per leucemia linfoide sono stati 35 volte più numerosi rispetto al resto della popolazione, mentre l’incidenza della SLA è 24 volte superiore rispetto alla popolazione normale. Seria, documentata, rigorosa, la ricerca di Lamberto Gherpelli va assolutamente letta.
È
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Alberto Mariotti
L’ARCHITETTURA PENITENZIARIA OLTRE IL MURO. MAGGIOLI Edizioni pagg. 215 - euro 16,50 uesto non è solo un libro di architettura penitenziaria, concentrata per altro nella realtà patavina del Due Palazzi, ma un libro per e sul carcere, scritto da un architetto, “musicista irregolare, appassionato di fotografia e impegnato in attività teatrali”, che il carcere lo conosce grazie all’Associazione La Fraternità, che frequenta. Punto centrale del bel lavoro di Mariotti è comporre un orizzonte qualitativo della struttura carceraria che, avvicinando il “dentro” e il “fuori”, aprendo le porte appunto, lo definisca quale istituto di rieducazione e di reinserimento. Ed è interessante seguire l’evoluzione penitenziaria che è intercorsa negli anni, anche, ma non solo, sotto l’aspetto architettonico. Dai punti di contatto città/carcere ai raffronti con le esperienze olandese e spagnola, l’agile volume si caratterizza per una approfondita disamina della questione penitenziaria. Peccato non avere ritenuto opportuno sentire anche a voce di chi, come i poliziotti penitenziari, vivono quotidianamente dentro gli spazio perimetrali delle mura carcerarie. H
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l’ultima pagina il mondo dell’appuntato Caputo Presepe vivente
di Mario Caputi e Giovanni Battista de Blasis © 1992-2015
DAI CAPUTO, CERCA DI NON MUOVERTI...
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CAPISCO CHE NON CI SONO BAMBINI PICCOLI TRA I FIGLI DEL PERSONALE, MA QUESTA VOLTA IL DIRETTORE HA PROPRIO ESAGERATO...
SINDACATO AUTONOMO POLIZIA PENITENZIARIA
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CONGRESSO NAZIONALE
co n i l pa t ro ci ni o di
CORPO DI POLIZIA PENITENZIARIA
CITTÀ METROPOLITANA DI NAPOLI
NAPOLI 1 8 • 19 • 2 0
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