Polizia Penitenziaria - Giugno 2011 - n. 185

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anno XVIII • n.185 • giugno 2011

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in copertina: Manifestazione del Sappe davanti al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, con l’Appuntato Caputo che invita i burocrati del DAP ...a lasciare le poltrone

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Organo Ufficiale Nazionale del S.A.P.Pe. Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria

L’EDITORIALE Il Sappe in piazza a contestare la vecchia nomenclatura del DAP di Donato Capece

ANNO XVIII • Numero 185 Giugno 2011

IL PULPITO Qualcuno inciampa nella verità... ma si rialza e prosegue per la sua strada di Giovanni Battista De Blasis

Direttore Responsabile: Donato Capece capece@sappe.it

SAPPEINFORMA Il Sappe manifesta contro i burocrati del DAP

Direttore Editoriale: Giovanni Battista De Blasis deblasis@sappe.it

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IL COMMENTO Non solo le criticità del carcere nelle cronache giornalistiche

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LO SPORT Astrea: una giovane squadra di 63 anni

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Donato Capece Direttore Responsabile Segretario Generale del Sappe capece@sappe.it

Il Sappe in piazza a contestare la vecchia nomenclatura del DAP

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ncora una volta, siamo scesi in piazza a Roma per rappresentare il disagio delle donne e degli uomini del Corpo di Polizia Penitenziaria nei confronti di una Amministrazione Penitenziaria che, ogni giorno di più, si dimostra distante anni luce dalla realtà penitenziaria e da coloro che gestiscono questa emergenza nella prima linea delle sezioni detentive. Una Amministrazione che da vent’anni – con i suoi burocrati parrucconi - ostacola ogni evoluzione ed accrescimento professionale della Polizia Penitenziaria, condizionando l’operato di tutti i Capi Dipartimento che fino ad oggi si sono avvicendati alla guida del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Una Amministrazione che non assume alcuna iniziativa concreta in materia di formazione e aggiornamento professionale dei poliziotti, che non riesce a retribuire le ore di straordinario che i poliziotti penitenziari sono costretti a fare e che non non riesce a liquidare le competenze per i servizi di missione svolti, spesso anticipando di tasca propria le relative spese. Una Amministrazione illogica, che prima dispone che unità del DAP vadano a rinforzare gli organici di Istituti come Roma Rebibbia e Regina Coeli e poi il giorno dopo distacca unità da Regina Coeli proprio per il DAP! Una Amministrazione che dispone il distacco in servizio nella comoda sede del DAP di alcuni Funzionari del Corpo appena stabilizzati in sedi di loro gradimento, calpestando ogni regola di buon senso prima ancora che di trasparenza, democrazia e legalità. Una Amministrazione che per colpa di alcuni suoi burocrati, occupati solo a difendere la propria poltrona, sempre gli stessi, ha boicottato e continua a boicottare subdolamente e costantemente una non più rinviabile, adeguata e funzionale riorganizzazione del Corpo di Polizia Penitenziaria e l’istituzione della Direzione Generale del Corpo, in seno al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, indispensabile

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e necessaria per raggruppare tutte le attività ed i servizi demandati alla quarta Forza di Polizia del Paese. Queste sono solo alcune delle ragioni per le quali il quattordici giugno siamo scesi in piazza a Roma, con delegazioni del Sappe di tutta Italia. La manifestazione davanti al DAP si è svolta senza alcun problema sotto il profilo dell’ordine pubblico e della viabilità ed ha visto presenti anche le rappresentanze dell’Associazione Nazionale dei Funzionari del Corpo Anfu e dei Sindacati penitenziari Lisiapp e Saipp. Anche l’Organizzazione confederale autonoma Confsal ha aderito alla protesta dei Baschi Azzurri del Sappe. Nel corso della manifestazione, una delegazione del Sappe da me guidata e composta dai Segretari Nazionali e Regionali presenti alla manifestazione, è stata ricevuta dal Capo dell’Amministrazione Penitenziaria Franco Ionta. Nell’incontro il Pres. Ionta ha parlato degli sforzi del Ministro della Giustizia Angelino Alfano e del Dipartimento che, pur in un momento di grave difficoltà economica del Paese, sono riusciti ad ottenere significativi risultati come l’assunzione di 3.400 nuovi poliziotti penitenziari e l’avvio delle procedure per la costruzione di nuovi istituti penitenziari. Ionta ci ha anche informati di avere già chiesto che con la legge di assestamento di bilancio vengano individuate nuove risorse per permettere al DAP di sanare il credito che molti appartenenti al Corpo vantano verso l’Amministrazione, in particolare per quello che riguarda il lavoro straordinario e i servizi di missione non retribuiti. Noi, da parte nostra, abbiamo espresso un sincero apprezzamento per le parole espresse da Ionta, ma abbiamo anche voluto sottolineare che il primo Sindacato del Corpo, il Sappe non può fare sconti a nessuno e se alle parole non seguiranno i fatti, non esiteremo a tornare in piazza.

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Giovanni Battista De Blasis Direttore Editoriale Segretario Generale Aggiunto del Sappe deblasis@sappe.it

Qualcuno inciampa nella verità... ma si rialza e prosegue per la sua strada

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n uomo, che voleva insegnare al suo asino a non mangiare, decise di non dargli più cibo. Quando l’asino morì di fame, l’uomo disse: «Mi è capitata una disgrazia. Proprio quando aveva imparato a non mangiare, l’asino è morto.» (Philogelos) La parabola dell’ Asino morto di fame tratta dal Philogelos, ci suggerisce una attenta riflessione sulla ostinazione di certe persone nel perseguire le proprie convinzioni anche quando queste appaiono, ai più, prive di senso. Tomasi di Lampedusa nel suo Gattopardo affermava che un uomo per poter convincere gli altri delle proprie ragioni doveva, innanzitutto, avere la capacità di convincere se stesso. Ovviamente, in tal modo, qualsiasi tentativo di persuadere un interlocutore profondamente convinto delle proprie ragioni, non può che essere vano. E’ di tutta evidenza la difficoltà di far capire all’uomo del Philogelos che il suo asino è morto di fame. Egli rimarrà sempre convinto della sopraggiunta disgrazia (indipendente dalla sua volontà) che ha impedito di portare a compimento il suo tentativo di insegnare all’asino a fare a meno del cibo. Nella vita di tutti i giorni, nemmeno troppo raramente, capita di imbattermi in persone profondamente convinte delle proprie ragioni, disposte a difenderle ad ogni costo e, talvolta, fortemente determinate ad imporle anche agli altri. In particolare, soprattutto nell’attività sindacale, mi è capitato di scontrarmi con la caparbietà e la testardaggine di qualcuno, ostinatamente abbarbicato sulle proprie posizioni. Eppure gran parte degli esseri umani af-

frontano ogni giorno una qualche forma di trattativa, di negoziato. A maggior ragione, proprio nell’attività sindacale il nocciolo di ogni questione è proprio il negoziato e la trattativa. Purtroppo, però, tanti (troppi) colleghi sindacalisti confondono una trattativa con una gara o, peggio, con una guerra. Secondo questa logica esistono vinti e vincitori e, anziché ricercare l’accordo migliore, si finisce per diventare avversari. Ricordo un mio vecchio insegnante che, per renderci meglio l’idea, era solito paragonare una negoziazione alla ricerca del Santo Graal, piuttosto che alla lotta dei gladiatori nell’arena. Ma non sarà mai possibile trovare il Sacro Calice se ci si parano davanti, sulla strada, aggressivi guerrieri disposti soltanto al singolar tenzone. Churchill diceva che «A volte l’uomo inciampa nella verità ma, nella maggior parte dei casi, si rialza e continua per la sua strada». Cosa passa nella testa dell’uomo del Philogelos quando inciampa nella verità ? Si rialza, appunto, e prosegue per la sua strada.

Una strada che si allontana sempre di più dai sentimenti di colleganza e di solidarietà verso il personale in quiescenza. Si allontana sempre di più dalla possibilità di un accordo che avrebbe potuto identificare proprio nell’Anppe quel punto di unione, trasversale a tutti i sindacati, nel quale far confluire i valori ed i principi del Corpo di Polizia Penitenziaria come un immaginario ponte che unisce il personale in servizio con quello in congedo. Nell’Associazione Nazionale Polizia Penitenziaria avrebbero potuto convergere tutti i dirigenti dei sindacati rappresentativi ai quali, il Sappe, aveva in tal senso indirizzato un invito.

Cosa è capitato a certi sindacalisti quando hanno inciampato nell’ANPPe, l’Associazione dei pensionati della Polizia Penitenziaria ? Si sono rialzati, appunto, ed hanno proseguito per la loro strada.

Ma, evidentemente, la logica del Philogelos ha finito per prevalere e qualcuno si è convinto che gli è capitata una disgrazia: proprio quando aveva imparato a non contrattare, il sindacalismo è morto.

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L ‘immagine di un asino Sotto una scena dal film Il Gattopardo

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Il Sappe manifesta contro i burocrati del DAP

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n successo la manifestazione del SAPPE a Roma. In piazza la rabbia delle donne e degli uomini della Polizia Penitenziaria contro i burocrati del DAP. Si è tenuto martedì mattina 14 giugno a Roma, davanti alla sede del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, l’annunciato sit-in di protesta dei poliziotti aderenti al Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE, la prima e più rappresentativa Organizzazione dei Baschi Azzurri, che hanno

manifestato per le gravose situazioni operative in cui sono costretti a lavorare i poliziotti penitenziari nelle sovraffollate carceri italiane. Alla manifestazione, che si è svolta senza alcun problema sotto il profilo dell’ordine pubblico e della viabilità ordinaria, erano presenti anche le rappresentanze dell’Associazione nazionale dei Funzionari del Corpo ANFU e dei Sindacati penitenziari Lisiapp e Siapp: anche l’Organizzazione confederale autonoma CONFSAL ha aderito alla protesta dei Baschi Azzurri del SAPPE. In piazza erano presenti le delegazioni e gli iscritti SAPPE provenienti, oltre che da Roma e dal Lazio, da Piemonte, Liguria, Campania, Marche, Molise, Toscana, Veneto, Puglia, Calabria, Sicilia, Lombardia e Umbria. Siamo ancora una volta tornati in piazza, sotto le bandiere azzurre del SAPPE, per protestare contro quella parte di dirigenza

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dell’Amministrazione Penitenziaria che da vent’anni ostacola ogni evoluzione ed accrescimento professionale della Polizia Penitenziaria. Abbiamo portato in piazza l’ira delle donne e degli uomini della Polizia Penitenziaria che, nell’indifferenza dei piani alti del Di-

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partimento dell’Amministrazione Penitenziaria, combattono ogni giorno - nella prima linea delle sezioni detentive delle carceri, a bordo dei mezzi che trasportano i detenuti, nelle sale degli Ospedali in cui piantonano i detenuti ricoverati – le gravi criticità penitenziarie che si caratterizzano per il pesante sovraffollamento e la consistente carenza dei nostri organici. Uomini e donne che sono obbligati ad effettuare turni di lavoro straordinario senza vedersi corrisposti i relativi emolumenti economici ed a anticipare le spese nei servizi di traduzione, compiuti spesso su mezzi fatiscenti ed inadeguati. Tutto questo mentre al Dipartimento i ‘nostri’ dirigenti vengono trasportati su auto berline extra lusso ed i nostri colleghi, che fanno loro da autisti e da scorta, vengono autorizzati a fare centinaia di ore di lavoro straordinario al mese.

ministrazione Penitenziaria Franco Ionta. Il Capo del DAP ha voluto sottolineare gli sforzi del Ministro della Giustizia Angelino Alfano e del Dipartimento che, pur in un momento di grave difficoltà economica del Paese, hanno ottenuto significativi risultati come l’assunzione di 3.400 nuove unità di Polizia Penitenziaria e l’avvio delle procedure per le gare per le costruzioni di nuovi istituti penitenziari. Ha annunciato di avere già chiesto che con la legge di assestamento di bilancio vengano individuate nuove risorse tali da permettere al DAP di sanare il credito che molti appartenenti al Corpo vantano verso l’Amministrazione, in particolare in merito a lavoro straordinario e servizi di missione non retribuiti. Ha quindi chiesto al Personale di Polizia Penitenziaria uno sforzo supplementare per comprendere la particolare situazione economica che sta vivendo non solo

l’Amministrazione Penitenziaria. Capece ha manifestato «un sincero apprezzamento per le parole espresse da Ionta, sintomo di una progettualità concreta» ma ha sottolineato che il primo Sindacato del Corpo, il SAPPE, «non fa sconti a nessuno e se le cose, in tempi ragionevolmente brevi, non dovessero cambiare, torneremo in piazza a manifestare». erremme

Nelle foto alcune immagini della protesta davanti la sede del DAP a Roma

Questa è una vergogna ed uno schiaffo a chi lavora in prima linea! Nel corso della manifestazione, una delegazione del SAPPE guidata dal Segretario Generale Capece, composta dai Segretari Nazionali e Regionali presenti alla manifestazione, è stata ricevuta dal Capo dell’Am-

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Roberto Martinelli Capo Redattore Segretario Generale Aggiunto del Sappe martinelli@sappe.it

Non solo le criticità del carcere nelle cronache giornalistiche

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erso la fine del mese di giugno, diversi argomenti di natura penitenziaria hanno fatto capolino nelle cronache giornalistiche. La prima è la nuova iniziativa non violenta di Marco Pannella che, considerato come per l’emergenza carceri non vi siano soluzioni concrete all’orizzonte, è dal 20 aprile scorso in sciopero della fame e dal 20 giugno anche della sete per sostenere la richiesta di un’amnistia in grado di decongestionare gli istituti penitenziari. Nella foto Con il leader dei Radicali, che ha motivato Marco il suo gesto «affinchè l’Italia possa in Pannella qualche misura tornare a essere considerata una democrazia», digiunano in tutta Italia oltre 13 mila persone - tra detenuti e loro familiari, agenti di Polizia Penitenziaria, psicologi, volontari, avvocati, personale amministrativo, oltre a numerosi liberi cittadini e cittadine - per chiedere che venga varato un provvedimento di amnistia che consenta di riportare un po’ di legalità nelle carceri italiane. Alla protesta non violenta di Pannella si sono interessate le più Alte cariche costituzionali ed istituzionali, che hanno tutte chiesto al carismatico leader radicale di sospendere la sua protesta di sciopero della fame e della sete per le gravi conseguenze che essa può provocare al suo già debilitato fisico. Tra gli altri, Pannella ha incontrato Angelino Alfano, (ex?) Ministro Guardasigilli, con il quale ha affrontato – ha detto – «il tema principe non solamente della protesta radicale, ma anche per il Ministro Alfano, della crisi istituzionale e sociale del nostro Paese: quello della giustizia e della sua appendice carceraria, in relazione al problema posto dal critico rapporto con diritti umani, civili, costituzionali a tutti drammaticamente evidenti». «I punti di vista, d’altra parte letteralmente, inevitabilmente, come tali, di-

versi vanno confrontati e approfonditi. Da parte del ministro Angelino Alfano – ha proseguito Pannella - nella sua iniziativa personale di stamane mostra quanto paghiamo il fatto che da decenni alla ‘Democrazia’ e al popolo italiano non è stato possibile di aprire perfino questo dibattito, a tal punto che da 30 anni la proposta Radicale sulla riforma necessaria per non permanere in una situazione di orripilante estraneita’ a ogni forma di legalitaà costituzionale e nazionale, internazionale ed europea attraverso lo strumento della amnistia non è sostanzialmente conosciuta nemmeno da coloro che continuano a cercare da troppo tempo di giungere alla riforma obbligatoria, oltre che necessaria, ottenendo semplicemente l’attuale protrarsi della tragica situazione istituzionale e sociale in cui versano con milioni e milioni di persone e di famiglie il nostro Paese, la nostra società e il nostro Stato». Personalmente credo che non possa essere l’amnistia la risoluzione del problema carcerario se non si arriva prima a definire una nuova esecuzione penale in Italia. E’ ora, a mio avviso, di rivedere organicamente il sistema dell’esecuzione della pena attraverso, ad esempio, un nuovo modulo a tre livelli: il primo, per i reati meno gravi e

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di minor allarme sociale, sarà caratterizzato da pene alternative al carcere. Rilanciando anche l’istituto della messa alla prova, finora sperimentato nel processo minorile, quale strumento di deflazione del processo: su richiesta dell’imputato questi sarebbe ammesso alla prova, prima dell’accertamento del fatto. Il secondo livello è quello che riguarda le pene medio – lunghe, che inevitabilmente dovranno essere espiate in carcere, ma immaginiamo istituti molto meno affollati per lo sgravio conseguente all’operatività del primo livello e per una notevole riduzione dell’utilizzo della custodia cautelare. L’emenda è garantita dalla privazione della libertà personale, ma l’obiettivo sociale prevalente dovrà essere quello del trattamento, finalizzato al reinserimento a fine pena e quindi alla prevenzione della recidiva. Il terzo livello, è quello della massima sicurezza, del 41 bis, c. 2°, O.P. In questo settore il contenimento è l’obiettivo prioritario. Ciò detto, un sincero ringraziamento va a Marco Pannella per avere riportato nella diffusa e colpevole indifferenza politica la drammaticità penitenziaria nei temi all’ordine del giorno del Paese. Nella direzione di rafforzare questa mia personale necessità

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di revisione del sistema vanno anche i nuovi dati diffusi dall’Associazione Antigone. Cresce infatti il sovraffollamento nelle carceri italiane: a fine maggio i detenuti avevano oltrepassato quota 67.000 superando di oltre 20.000 persone il limite considerato regolamentare. A fornire i dati relativi ai nostri penitenziari è l’Associazione Antigone, impegnata in difesa dei diritti e delle garanzie nel sistema penale, in un incontro che si è tenuto a Roma, il 23 giugno scorso, presso la Fondazione Basso. A fronte di una quota fissata a 45.551 detenuti, i reclusi al 31 maggio sono 67.174 di cui 14.251 in attesa di primo giudizio, 28.178 imputati e solo poco più della metà, 37.257, condannati con sentenza definitiva. Le donne sono 2.878 e gli stranieri 24.404 di cui il 21% proveniente dal Marocco, il 14% dalla Romania e il 12% dalla Tunisia per quanto riguarda gli uomini; il 22% dalla Romania e il 16% dalla Nigeria per quel che concerne le donne. Dei condannati in via definitiva, quasi il 9% è in carcere per scontare una pena inferiore a un anno e il 32% per una condanna fino a tre anni. Inoltre, il 30% ha un residuo di pena inferiore a un anno e il 64% fino a tre anni. Nello scorso anno, sono stati 84.641 i nuovi detenuti, dei quali 6.426 donne e 37.298 stranieri. Quanto alla Polizia Penitenziaria, a fronte di un organico previsto di 42.268 unità, sono 34.165 gli agenti attualmente in servizio nelle carceri. In testa alla lista degli istituti più sovraffollati, figura il carcere di Busto Arsizio, in provincia di Varese, con 265 detenuti per ogni 100 posti, seguono nell’ordine Vicenza con 256 detenuti, Brescia con 252, Ancona e Catania con 236 e San Vittore a Milano con 233 detenuti. In altri 15 istituti penitenziari si registrano piu’ del doppio di detenuti rispetto alla pianta organica: Savona, Piacenza, Venezia, Reggio Calabria, Castrovillari in provincia di Cosenza, Pozzuoli in provincia di Napoli, Treviso, Bari, Bologna, Reggio Emilia, Lecce, Palmi in provincia di Reggio Calabria, Monza, Pesaro e Pavia. Rispetto a una media europea di 97 detenuti ogni 100 posti letto, in Italia vi sono 148 reclusi. La percentuale di stranieri è del 37% nel nostro Paese e del 12% in Ue mentre la custo-

dia cautelare riguarda il 42% dei detenuti in Italia e il 25% in Europa. A scontare la pena dell’ergastolo è il 4,6% dei detenuti nelle carceri italiani e l’1,4% dei detenuti negli istituti penitenziari europei. Infine, il numero dei suicidi ogni diecimila detenuti è di 8,2 in Italia e di 6,1 nella media europea. Se aumentano i detenuti, - nello stesso arco di tempo calano le risorse a disposizione del sistema carcerario. Secondo i dati riferiti sempre dall’Associazione Antigone, infatti, tra il 2007 e il 2010 la presenza media dei reclusi è aumentata del 50,6% mentre lo stanziamento è calato del 10,4% passando da quasi 3,1 a meno di 2,8 miliardi di euro. «In un simile contesto - denuncia Antigone - il nostro sistema penitenziario e’ allo stremo». Quanto al piano carceri, «è del febbraio scorso la notizia della inaugurazione, a Piacenza, del primo cantiere. Altrove, i lavori devono ancora partire e in molti casi devono essere ancora individuate le zone interessate. Ammesso che il piano per le nuove carceri parta subito e si rispettino i tempi indicati, nel 2012 mancheranno ancora 14.000 posti». Giuste denunce, quelle di Antigone, che avrebbe però potuto ricordare anche quelle riferiti agli eventi critici che quotidianamente si verificano in carcere e che vedono direttamente coinvolti in prima linea gli uomini e le donne della Polizia Penitenziaria. Dati che, l’ho già scritto ma ritengo importante sottolinearlo ancora una volta, sono importanti anche per far conoscere il duro, difficile e delicato lavoro che quotidianamente le donne e gli uomini della Polizia penitenziaria svolgono con professionalità, zelo, abnegazione e soprattutto umanità. Mi riferisco ai 5.703 atti di autolesionismo (263 dei quali da donne ristrette) e 1.137 tentativi di suicidio avvenuti nelle carceri italiane nel 2010. E anche ai 3.039 ferimenti, ai 1.289 detenuti coinvolti in proteste violente con danneggiamento o incendio di beni dell’Amministrazione penitenziaria, alle 27 le proteste a seguito delle quali 550 soggetti hanno fatto lo sciopero della fame, 125 quelle con rifiuto del vitto cui hanno partecipato 14.632 ristretti, ben 180 la percussione rumorosa sui can-

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Nella foto suor Enrichetta Alfieri “l’ Angelo di S. Vittore”

celli e le inferriate delle celle (la cosiddetta battitura) con 36.641 detenuti coinvolti. Cifre, queste, che però Antigone non cita... Ultimo evento a far notizia, in questo accaldato fine giugno, è la proclamazione di nuovi Beati della Chiesa Cattolica tra i quali suor Enrichetta Alfieri, conosciuta come l’angelo di San Vittore, carcere in cui aiutò i detenuti anche a rischio della vita negli anni della Resistenza. Fra i carcerati c’era anche Mike Bongiorno e per questo la vedova, Daniela Zuccoli, ha voluto essere presente domenica 26 giugno a Milano con quasi ottomila fedeli alla cerimonia presieduta dall’arcivescovo, il cardinale Dionigi Tettamanzi, e concelebrata da circa 300 fra sacerdoti e vescovi. Proprio Mike aveva piùvolte parlato di suor Enrichetta, originaria di Borgo Vercelli, che gli aveva permesso di incontrare la madre prigioniera nel settore femminile. E lo aveva fatto anche un altro illustre prigioniero dei tedeschi, Indro Montanelli che la definì santa ed eroina. A causa dei messaggi che portava ai detenuti politici suor Enrichetta fu, infatti, catturata e solo l’intercessione del cardinale Schuster allora arcivescovo di Milano, le salvò la vita ed evitò la deportazione. Ma suor Enrichetta era un punto di riferimento per tutti a San Vittore, anche per gli allora Agenti di Custodia che lavoravano in carcere e per le loro famiglie. Ed ora, come Andrea Schivo (l’agente di custodia di San Vittore morto in un campo di concentramento nazista per aver aiutato i bambini ebrei detenuti nello stesso carcere e che per questo è stato riconosciuto dallo Stato di Israele Giusto fra le Nazioni), la sua beatificazione ci fornisce una ulteriore, straordinaria e concreta dimostrazione di misericordia e di bontà di una persona qualunque.

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a cura di Lady Oscar Redazione Sportiva rivista@sappe.it

Astrea: una giovane squadra di 63 anni

L’

Astrea ha concluso una stagione 2010/2011 assai intensa, impegnativa ed importante sotto diversi punti di vista. Innanzitutto ci pare naturale parlare di prima squadra, dei play out vincenti del 29 maggio scorso attraverso i quali è stata raggiunta contro il Guidonia la fondamentale ed agognata salvezza al termine di un campionato dalle ondivaghe aspettative: sotto la gestione del tecnico biancoazzurro Luca Ripa si è parlato infatti, dopo tanti anni nei quali anche solo parlarne non era alla portata del Team della Polizia Penitenziaria, di play off per tutto il girone di andata.

dello Stato, militante nella Lega Nazionale dilettanti del Campionato Italiano di calcio. Un’ottima notizia sicuramente. A bocce ferme però sarà necessario, per la dirigenza dell’Astrea, esaminare a fondo ciò che è stato in questa stagione e soprattutto ciò che dovrà essere in vista della prossima già alle porte. Tra le belle novità in casa Astrea, la più significativa, per l’alto valore educativo e sociale che ha ricoperto, è stata senza dubbio l’apertura del suo settore giovanile con i giovanissimi provinciali. Dopo 63 anni di storia al Mister Mauro Sambucini , assistito dal

Nella foto Poi l’Astrea è stata protagonista di un incedere meno convinto in il settore campionato, soprattutto ed incredibilmente in coincidenza con giovanile dell’ Astrea l’assunzione tramite concorso di nuove e fresche leve che da

secondo Roberto Conti e Claudio Mascherino nel ruolo di allenatore di portieri, è stato affidato il compito di inaugurare una nuova pagina della storia del sodalizio calcistico targato Polizia Penitenziaria. Ad Ostia, vicino allo Stadio Giannattasio, dove l’Astrea ha disputato oltre due anni di campionati in attesa che Casal del Marmo per ristrutturazioni tornasse pronto all’uso più bello e performante di prima, tanti ragazzi con lo scudetto dell’Astrea hanno iniziato l’attività nella fascia B girone A dei giovanissimi provinciali. Tra l’altro, oltre all’eccezionalità dell’evento a cui ha partecipato, sposandolo in pieno in un connubio vincente la società calcistica Vega di Ferdinando Regini, c’è da ricordare come Ostia sia un’area della periferia romana dove l’attività fisica e lo sport di gruppo rappresentino, oltre all’opportunità di un sano e dinamico divertimento, anche la possibilità di evitare distrazioni inutili o devianti. I ragazzi coinvolti da questo primo anno di esordio del

tempo si attendevano a dar manforte ad una rosa esperta ma desiderosa, soprattutto in ottica futura , di validi ricambi. Puntualmente arrivati non hanno però impedito alla squadra di ritrovarsi, al termine della stagione, a lottare con l’aritmetica della salvezza automatica, ed in mancanza di questa purtroppo, con la lotteria dei play out che nuovamente è stata affrontata non senza prima una preghierina rivolta alla dea della giustizia (per giunta bendata!). Dopo l’ottima prova dell’andata di Guidonia, nella quale i nostri sono riusciti ad imporsi per 3 a 1 sui padroni di casa, il 4 a 3 di Casal del Marmo ha fatto si che l’Astrea abbia conquistato il diritto a restare nel girone G della serie D, mantenendo il primato di essere l’unica squadra appartenente ad una delle 5 forze di Polizia

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settore giovanile, classe 1997, hanno disputato un encomiabile campionato piazzandosi a quota 62 punti dietro ad una Roma Team, prima a 78 punti, incredibilmente fuori quota rispetto agli altri gironi provinciali, ed assortita con obiettivi diversi rispetto a quelli che hanno fatto dar vita all’undici dei ragazzi di Sambucini: anziché vincere e vincere, la priorità del nostro collettivo è stata quella di crescere e crescere, di dare il meglio e valorizzare quanto di bello poteva derivare dall’essere uniti sotto l’egida un team prestigioso come l’Astrea. Proprio per questo difficilmente vi parleremo di marcatori prodigio o di futuri campioni della massima serie in erba transitati in biancoazzurro. Possiamo però ben dire che in questo primo anno di attività ha vinto il gruppo nel quale Mister Mauro Sambucini, il Ds Marcello Tolu e Ferdinando Regini, tra i fondamentali dello staff di dirigenti e tecnici, hanno creduto a ragion veduta. La speranza per il futuro più prossimo è che il settore giovanile possa militare in campionati quantomeno di livello regionale, che sarebbero un banco di prova fondamentale per una continua crescita e per un salto verso stagioni sportive ancora più competitive ed attrattive per piccoli e promettenti calciatori in erba che volessero vestire i colori dell’Astrea andandone a costituire un primo ed importante vivaio. La stagione della Juniores Nazionale girone H guidata da Silvio Miracapillo non è riuscita a confermare le posizioni di vertice delle passate stagioni nelle quali era addirittura giunta da un passo dal conquistare lo scudetto tricolore. La chiusura all’ottavo posto finale ha lasciato un po’ di amaro in bocca e dovrà far rivedere probabilmente alcune cose in vista del prossimo futuro e del campionato 2011/2012, per un ritorno nella parte altra della classifica che non é senz’altro un impresa al di là dei mezzi dei nostri calciatori come ampiamente hanno dimostrato negli ultimi anni. E proprio mentre la stagione si è avviata al termine e Casal del Marmo si avviava a spegnere i riflettori sull’Astrea e ad immergersi nella calda quiete estiva in attesa della ripresa di luglio per gli undici della prima squadra, sabato 11 giugno a regalare le ultime

emozioni in biancoazzurro ci ha pensato il Memorial Condemi di Casal del Marmo. Ideato ed organizzato da Roberto Gasparri, si è svolto come un triangolare di calcio creato in omaggio alla memoria dell’indimenticato vice presidente dell’Astrea e magistrato Raffaele Condemi, co-fondatore del Gs Fiamme Azzurre e sportivo appassionato (leggi box a fondo pagina).

E’ seguito un buffet a bordo campo che ha agevolato i racconti di chi poco prima era uscito dagli spogliatoi ritrovando i vecchi amici. Come per un tuffo nel passato, quei giocatori (oggi non più ragazzi, spesso padri di famiglia e appartenenti con altri ruoli) hanno ricordando le stagioni con gli scarpini ai piedi tra gli aneddoti più divertenti, non senza un pizzico di nostalgia. Una nostalgia diretta ai ricordi della primavera della propria esistenza, ad un periodo della vita che la crescita e l’evoluzione personale ha consegnato al passato, ma mai rivolta al’idea di non essere più parte del sodalizio. Ritrovarsi è stata la conferma che il tempo trascorso non ha lavorato mai abbastanza per riuscire a cancellare l’appartenenza alla maglia biancoazzurra. In tempi nei quali certezze sui valori che abitano il mondo del pallone non sono troppe, anche tutto ciò è una bella notizia ed occasioni come queste, ancora di più, sono una festa da celebrare con regolarità anche in futuro.

La grande Festa dell’Astrea al “Memorial Condemi” E' stato come se il tempo non fosse mai trascorso così in fretta. Ritrovarsi negli spogliatoi, indossare di nuovo quella maglia, allacciarsi gli scarpini e farsi forza coi compagni nel momento in cui, ad un passo dal tunnel l’emozione di una volta e la morsa allo stomaco sono tornate a farsi sentire prima di correre in campo. Tutto come da sempre è stato in casa Astrea: stesso campo, stessi personaggi che su quell’erba hanno scritto la storia del sodalizio sportivo della Polizia Penitenziaria al suo sessantatreesimo anno di vita, con qualche anno o chilo in più in alcuni casi e per tutti una vita che

ha preso una forma completamente diversa rispetto all’epoca della militanza agonistica. I figli che quando il papà giocava in prima squadra erano piccolissimi o non ancora nati, si sono ritrovati sugli spalti ad immortalare l’evento come, a parti invertite, quei papà avranno fatto per le loro recite a scuola. C’è stata tutta questa variopinta umanità sabato 11 giugno al Memorial Condemi di Casal del Marmo. Ideato ed organizzato da un altro ex biancoazzurro Roberto Gasparri, il triangolare di calcio è stato creato in omaggio alla me-

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moria dell’indimenticato vice presidente dell’Astrea e magistrato Raffaele Condemi, tra l’altro co-fondatore del Gs Fiamme Azzurre e sportivo appassionato (nella foto Raffaele Condemi).

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Ancora i giovanissimi dell’ Astrea (anno 1997) in un momento di relax


Ad onorare l’impegno si sono affrontate, in incontri di 30 minuti ciascuno svoltisi senza soluzione di continuità, la Calce Dream Team, i Fungi All Stars ed i Fronti Boys. Il primo incontro, a partire dalle 17 si è disputato tra Fronti Boys e Calce Dream Team. Per uno a zero vittoria di misura del Fronti con gol di Cordelli. A seguire Calce Dream Team contro i Fungi Boys, terminato per uno a quattro con gol di Crepaldi per la squadra di Calce, Carli, Gallo, Castagnari ed ancora Carli per i Fungi All Stars. Nell’ultima mezz’ora Fungi All Stars opposta ai Fronti Boys con un finale di uno a tre e reti di Gallo per i Fungi, Perrone, Fabrazzo e ancora Perrone per i Fronti. Nel filo rosso della continuità storica dei colori biancoazzurri si è inserito il simbolico calcio d’inizio di Salvatore Fuscà, giocatore dell’Astrea dalla stagione 1949 al 1961. Trai molti presenti a gremire la tribuna dello stadio, graditissima è stata la presenza del Capo del Dap Franco Ionta, presidente e primo tifoso dell’Astrea. Nel rispetto dello spirito di semplice ed amichevole ritrovo tra tutti i calciatori biancoazzurri di ieri, nessuna premiazione finale: la vittoria in fondo è stata per tutti l’esserci ed il rincontrarsi. Non sono mancati però i doverosi omaggi finali. Alla famiglia del vice presidente Condemi il Capo del Dap ha consegnato fiori ed una targa commemorativa. Unitamente a Ionta, la Dott.ssa Maria Claudia Di Paolo, finora Capo Nella foto della Segreteria ma appena nominata diRaffaele rigente generale dell’Amministrazione Condemi Penitenziaria al Provveditorato Regionale di Roma ed il Ds dell’Astrea Marcello Tolu, hanno consegnato un’altra targa sia a Salvatore Fuscà, sia ai giovanissimi provinciali di Mauro Sambucini e Roberto Conti, secondi dopo un’ottima stagione d’esordio del settore giovanile della Polizia Penitenziaria. Ultimo e doveroso ricordo è stato per Matteo Calce, prematuramente scomparso il 27 settembre 2009. Un mazzo di fiori al papà Andrea Calce, Mister dell’Astrea anche nella scorsa stagione.

I rimborsi elettorali anche ai Partiti fantasma

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i sono partiti dei quali non è rimasto più niente tranne il simbolo, altri, invece, hanno sedi e strutture varie, ma tutti continuano a percepire i rimborsi elettorali. La causa di tutto questo è stato un comma opportunamente nascosto nella legge mille proroghe che venne approvata il 2 febbraio del 2006. In quella disposizione normativa fu scritto che il rimborso elettorale spetta ai partiti anche nel caso in cui la legislatura termini in anticipo. Pertanto, lo Stato continua a versare ai partiti i soldi dei rimborsi elettorali, anche se la legislatura è terminata e, magari, quel partito, nel frattempo, è scomparso dalla scena. E proprio nel 2006, dopo pochi giorni dall'approvazione della legge, la legislatura si chiude e il Parlamento viene sciolto. Che l'abbiano fatto apposta, tutti d'amore e d'accordo? D'altra parte, tutti i partiti ci hanno abituati che quando ci sono in gioco interessi che li riguardano sono sempre uniti e d'accordo; anche quando si tratta di votare per qualche autorizzazione a procedere: tanto, prima o poi, tocca a tutti. Dopo il blitz del 2006, la legislatura si chiuse a distanza di una settimana dal voto, si tornò alle urne e vinse la coalizione di centrosinistra guidata da Romano Prodi che governò per due anni. Nel frattempo, però, alcuni partiti erano scomparsi: Forza Italia e Alleanza Nazionale

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avevano dato vita al PDL, DS e Margherita si erano sciolti ed erano confluiti nel Partito Democratico. Alle elezioni successive restarono fuori dal Parlamento Rifondazione Comunista, i Verdi, l'UDEUR, il Partito dei Comunisti Italiani di Oliviero Diliberto. Sparirono dalla scena politica, ma continuarono a ricevere i rimborsi elettorali che non sono di scarsa entità: il totale, per il periodo 2006/2011 ammonta a 499,6 milioni di euro. A questa cifra si devono aggiungere i rimborsi che spettano per la legislatura in corso e quelli relativi alle regionali del 2004, 2005 e 2006. A parlare di rimborso si finisce per credere che i partiti ricevano una somma pari a quella che hanno speso. Se così fosse, probabilmente nessuno si scandalizzerebbe più di tanto del fatto che anche i partiti che non esistono più continuano a ricevere i soldi. Invece, non è affatto così. I soldi che i partiti hanno ricevuto a titolo di rimborso sono molti di più di quelli spesi. Per esempio, nel corso del 2008, sulla base dei dati forniti dalla Corte dei Conti, la Lega Nord ha dichiarato spese elettorali per 2 milioni e 940 mila euro ed ha incassato 41 milioni e 385 mila euro, come rimborso. Tanto per citare un partito che non esiste più in Parlamento, Rifondazione Comunista, per le elezioni del 2006 ha dichiarato spese per 1 milione e 636 mila euro ed ha

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Giovanni Battista Durante Redazione Politica Segretario Generale Aggiunto del Sappe durante@sappe.it

ottenuto, come rimborso, la bellezza di 6 milioni e 987 mila euro. L'altra cosa buffa è che a decidere che cosa fare di questi soldi sono gli organismi statutari dei partiti che non esistono più. E di tali organismi deputati a decidere ne fanno parte anche coloro che si sono accasati altrove.

Prendiamo l'esempio della Margherita: a presiederla è Francesco Rutelli, oggi leader dell'API. Di quell'assemblea fa parte anche Enzo Carra che oggi è passato all'UDC. Complessivamente, i partiti fantasma incasseranno 500 milioni di euro, pari alla somma che il governo ha stanziato per Roma capitale.

Se a queste cifre aggiungiamo poi gli altri costo della politica: dalle consulenze alle auto blu ed a tanti altri benefit, notiamo come nessun governo e nessuna maggioranza si siano mai preoccupati di dare il buon esempio. E' questa l'Italia peggiore, non certo quella additata da Brunetta, il quale farebbe bene a dimettersi dopo la gestione fallimentare come ministro della funzione pubblica e la sonora sberla che gli hanno rifilato i suoi concittadini veneziani nelle ultime elezioni, per la poltrona a sindaco di Venezia. Adesso sembra che ci voglia provare Tremonti a tagliare un po' di spese alla politica, dopo aver falcidiato gli stipendi e le indennità degli statali. Speriamo che glielo facciano fare, in modo che il governo possa acquistare maggiore credibilità e presentarsi alle prossime elezioni con qualche speranza in più di poterle vincere.

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AVVISO

Giovanni Passaro passaro@sappe.it

LE PAGINE DEDICATE ALL’ASSOCIAZIONE NAZIONALE POLIZIA PENITENZIARIA (A.N.P.Pe.) NON SONO STATE INSERITE PER L’IMMINENTE USCITA DELLA RIVISTA DELL’ ASSOCIAZIONE.

Ordine di servizio “sostanzialmente illegittimo”

S

pettabile redazione, dopo i doverosi complimenti per la splendida rivista, passo a esternare un mio dubbio, certo che sarà immediatamente chiarito. Il Direttore dell’Istituto XXX ha emanato un ordine di servizio che disciplina le procedure da seguire nel caso di ingresso nuovo giunto, durante il turno notturno. Nello stesso è disposto che l’addetto alla sorveglianza generale è responsabile della custodia della cassaforte dislocata presso l’ufficio matricola. Ritenendo questo ordine illegittimo, perché di competenza dell’addetto alla matricola che ha maggior prontezza nel vigilare il contenuto della cassaforte, mi sono rifiutato di eseguire quanto ordinato. Di pronta risposta il Direttore ha ordinato al Comandante di Reparto di elevarmi rapporto disciplinare. Il Consiglio Regionale di disciplina mi ha comminato la sanzione della pena pecuniaria. Ritenete che sia giusto? Che mi consigliate? Distinti saluti. Lettera firmata

Caro ispettore, occorre rilevare che l’ordine di servizio, di cui lamenti la sostanziale contraddittorietà perché ha imposto lo svolgimento di un’attività sostanzialmente incompatibile con la doverosa attività di vigilanza e con le specifiche mansioni, dai documenti in mio possesso non risulta essere stato impugnato, né può ammettersi al riguardo un sindacato incidentale di legittimità al fine di una sua eventuale disapplicazione: l’addetto alla sorveglianza generale, quindi, in presenza di un ordine formalmente legittimo e legalmente dato avrebbe dovuto eseguirlo, salvo poi a farne constare la sostanziale illegittimità ovvero la inopportunità e/o la contraddittorietà nelle sedi opportune (non solo

quelle strettamente giudiziarie, ma anche quella gerarchica o quella sindacale, limitatamente alla tutela della posizione lavorativa quanto meno apparentemente), non potendo invece ammettersi la sua evidente e manifesta violazione ovvero il rifiuto di eseguirlo, esponendo in tal modo a pericolo la stessa organizzazione degli uffici, tanto più che nel caso in esame si tratta di uffici dell’Amministrazione Penitenziaria. Non può poi non evidenziarsi che, secondo un costante indirizzo giurisprudenziale, nel procedimento disciplinare nei confronti dei dipendenti pubblici il giudizio si svolge con una larga discrezionalità da parte dell’amministrazione in ordine al convincimento sulla gravità delle infrazioni addebitate e sulla conseguente sanzione da irrogare, sicché, in sede di impugnativa del provvedimento disciplinare, il giudice amministrativo non può sostituirsi agli organi

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dell’amministrazione nella valutazione dei fatti contestati all’inquisito e nel convincimento cui tali organi sono pervenuti, se non nei limiti in cui la valutazione si basi su di un travisamento dei fatti ovvero il convincimento risulti formato sulla base di un processo illogico, arbitrario e incoerente, circostanze tutte che non si ravvisano nel caso di specie. Pertanto, in sede disciplinare, si deve considerare legittimo contestare all’appartenente al Corpo di Polizia Penitenziaria la manifesta negligenza nel prendere visione dell’ordine di servizio e ritardo o negligenza nell’esecuzione di un ordine, qualora, detto personale, abbia rifiutato l’esecuzione dell’ordine contestandone l’incompatibilità con le proprie specifiche mansioni. Il poliziotto penitenziario, infatti, qualora si trovi in presenza di un ordine di servizio formalmente legittimo e legalmente dato, ha il dovere di eseguirlo, salvo poi, qualora lo ritenga non compatibile con la propria attività, farne constare la sostanziale illegittimità ovvero la inopportunità e/o la contraddittorietà nelle sedi opportune; non può, invero, ammettersi il rifiuto di eseguire tale ordine, poiché, in tal modo, si mette in pericolo la stessa organizzazione degli uffici. Tuttavia, nel caso in esame, consiglio di avanzare ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale per superamento del termine di 90 giorni di cui all’articolo 120 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3. Il termine di 90 giorni è considerato come riferito alle varie fasi del procedimento ed è interrotto dagli atti tipici ed interni del procedimento stesso (C.d.S., sez. IV, 22 giugno 2004, n. 4464; 14 luglio 2003, n. 4155; 14 febbraio 2002, n. 89). Si deve provare la mancata adozione o l’adozione intempestiva dei suddetti atti interni. Cordialmente

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Maurizio Maria Guerra avvocato www.avvocatoguerra.it

Armonizzazione e tutela delle vittime del dovere

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bbiamo già parlato ampiamente della convenzione stipulata dal Sappe, all’inizio del 2011, con lo Studio Legale Associato Guerra, in materia previdenziale (n. 182, N.d.A). Altrettanto abbiamo detto della vera e propria partnership che si è andata creando in questi primi mesi di esperienza tra il Sappe, appunto, e lo Studio Guerra. Partnership che va sicuramente al di là di una semplice convenzione stipulata al solo fine di offrire un servizio diretto tra iscritto ed ente convenzionato, senza alcuna funzione attiva da parte del Sindacato. Con lo Studio Guerra, infatti, (soprattutto in particolare modo con l’Avvocato Maurizio Guerra) si è venuta a creare, in effetti, una vera e propria sinergia che ha già espresso i suoi contorni con la partecipazione dello Studio al V Congresso Nazionale e che ha continuato ad esprimersi attraverso una continua collaborazione di consulenza e scambio di esperienze, nei mesi immediatamente successivi. A confermare ed incrementare questa partnership, si aggiunge da oggi la collaborazione attiva e fattiva dell’Avvocato Guerra alla Rivista, sulla quale si è impegnato a seguire e curare una rubrica di consulenza legale in materia previdenziale, dai contenuti prevalentemente giornalistici. Siamo, ovviamente, felici della new entry dell’Avvocato Maurizio Guerra nella redazione della nostra Rivista che si arricchisce, in tal modo, della collaborazione qualificata di un eccellente professionista con l’introduzione di una nuova rubrica di carattere legal-giornalistico che raccoglierà sicuramente grande consenso tra i nostri lettori. Alla ricerca di un tocco di originalità e, forse, per un piccolo vezzo del quale chiediamo perdono, abbiamo voluto chiamare la nuova rubrica “Previdenzialmente”. Buona lettura. G.B. d.B.

ARMONIZZAZIONE E TUTELA DELLE VITTIME DEL DOVERE REQUISITI E BENEFICI DI LEGGE «Nel nostro Paese è ormai matura la necessità di porre un’adeguata e più sistematica attenzione nei confronti delle vittime di mafia, del terrorismo e del dovere. Oggi abbiamo una cospicua legislazione che prevede tutta una serie di norme che vanno nella direzione di dare un certo sostegno ai familiari delle vittime che, spesso, rimangono isolate e in enorme difficoltà a poter continuare la loro vita professionale e sociale. La nostra legislazione, anche in questo delicatissimo settore, contiene un’elevata molteplicità di norme che produce disparità e una rincorsa legislativa tra le varie tipologie di vittime. E’ giunto il tempo di procedere per testi normativi chiari e provvidenze omogenee che evitino l’odiosa differenza di trattamento nei confronti dei caduti che meritano tutti dignità ed un’elevata considerazione da parte dello Stato...» Queste le parole di apertura dell’interessante relazione del Senatore Giuseppe Lumia, Vice Presidente della Commissione Antimafia, al convegno organizzato dallo

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Studio Guerra in Ancona nel maggio del 2008. E in effetti, al momento del convegno, risultava ormai avviato il processo di omogeneizzazione delle vittime del dovere alle vittime del terrorismo. La progressiva estensione di tutti i benefici previsti per le vittime della criminalità e del terrorismo alle vittime del dovere è stata infatti disposta dalla legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria 2006, art. 1, commi 562-565) che ha incluso tra le vittime del dovere non solamente il personale delle Forze Armate e delle Forze di Polizia (Carabinieri, Polizia di Stato, Polizia Penitenziaria, Guardia di Finanza, Guardia Forestale), i magistrati, i Vigili del Fuoco ecc., ma anche tutti gli altri dipendenti pubblici che siano deceduti o che abbiano subìto un’invalidità permanente nell’espletamento delle funzioni d’istituto per diretto effetto di lesioni riportate in conseguenza di eventi verificatisi: a) nel contrasto ad ogni tipo di criminalità, b) nello svolgimento di servizi di ordine pubblico, c) nella vigilanza ad infrastrutture civili e militari, d) in operazioni di soccorso, e) in attività di tutela della pubblica incolumità, f) a causa di azioni nei loro confronti in contesti di impiego internazionale non aventi necessariamente le caratteristiche dell’ostilità. La stessa legge ha equiparato alle vittime del dovere coloro (militari e dipendenti civili) che abbiano contratto infermità permanentemente invalidanti o alle quali consegua il decesso, in occasione o a seguito di MISSIONI di qualunque natura effettuate dentro e fuori dei confini nazionali e che siano riconosciute dipendenti da causa di servizio per particolari condizioni ambientali ed operative. In attuazione della L. 266 del 2005 è stato

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Nella foto il Senatore Giuseppe Lumia


Nella foto emanato il Decreto del l’attentato di Presidente della ReCapaci

pubblica n. 243/2006 che ha individuato quali delle provvidenze previste per le vittime del terrorismo e della criminalità organizzata siano da attribuire anche alle vittime del dovere e tra queste, in particolare, l’elargizione speciale di euro 2000 per ogni punto di invalidità permanente fino ad un massimo di euro 200.000, e per le invalidità superiori al 25% l’assegno vitalizio di euro 258,23 e l’assegno speciale vitalizio di euro 1.033,00, entrambi non reversibili ai familiari ove già liquidati alla vittima. In caso di decesso del diretto interessato, i benefici di legge spettano ai familiari (moglie e figli e in mancanza, genitori e fratelli solo se conviventi e a carico della vittima del dovere). In caso di più familiari aventi diritto, mentre l’elargizione speciale viene divisa fra tutti, l’assegno vitalizio spetta a ciascuno. Rientrano nella casistica più frequente relativa alle vittime del dovere (dovendosi precisare che per le vittime del terrorisomo e della criminalità organizzata sono previsti diversi requisiti ed ulteriori benefici), coloro che abbiano riportato: • ferite d’arma da fuoco durante un servizio di vigilanza anche per colpi partiti accidentalmente da armi in dotazione; • lesioni e conseguenti patologie in incidente stradale nell’ambito di un’operazione di servizio causalmente collegata al soccorso o per scongiurare pericolo pubblico o nell’ambito di un’operazione di ordine pubblico o nell’ambito di una operazione di aiuti umanitari, • politraumatismi da esplosione accaduti comunque nell’ambito di operazioni di soccorso, di ordine pubblico, di tutela della incolumità pubblica, vigilanza ad infrastrutture civili o militari. • infermità contratte in missione su territorio nazionale ed estero in particolari

condizioni ambientali e operative; La giurisprudenza più recente della Magistratura del lavoro (per la verità non consolidata e, al momento, non vagliata e confermata dalla Suprema Corte di Cassazione né tanto meno seguita dal Giudice Amministrativo), ha esteso i benefici delle vittime del dovere a coloro, militari e civili, che abbiano riportato infermità, lesioni o siano deceduti in circostanze di maggiore rischio rispetto a quello tipico o durante esercitazioni per cause non collegate causalmente a nessuna delle ipotesi indicate nel comma 563 dell’art 1 legge 266/05 come: • l’esplosione di mine durante un’esercitazione; • sciagure aeree durante un’esercitazione; • incidente stradale avvenuto durante il percorso in occasione di attività di soccorso. A questi esempi, possono aggiungersi tante altre ipotesi non ancora valutate ma vhe possono rientrare nella predetta interpretazione estensiva. A ben vedere, quindi, non basta avere riportato o riportare lesioni e infermità dipendenti da causa di servizio che hanno dato o diano titolo ad altre provvidenze e alla pensione privilegiata, ma occorre che traumi, ferite, lesioni e infermità siano stati riportati nelle specifiche situazioni previste dalla legge e comunque (ma ancora al riguardo la giurisprudenza non è uniforme) nello svolgimento del compito d’istituto in missioni, anche su territorio nazionale, che eccedano il rischio normale o tipico del servizio prestato. Ogni caso è a se, e in ogni evento invalidante vanno individuate le particolari condizioni che hanno reso straordinario il servizio medesimo.

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I

n questo articolo ci occuperemo di illustrare brevemente la storia e i servizi della sede di Castiglione delle Stiviere (MN), ricordando che anche quest’anno in accordo con l’Ente Assistenza la struttura sarà disponibile, per il personale che ha fatto richiesta nei tempi previsti dalla circolare, come centro estivo per le vacanze dei dipendenti e le relative famiglie. L’Istituto Centrale di Formazione, così come da provvedimento istitutivo dell’aprile 2006, successivamente modificato con D.M. del maggio 2007, dipende funzionalmente dalla Direzione Generale del Personale e della Formazione del Dipartimento Giustizia Minorile, ha la sede centrale a Roma ed è costituito inoltre da due sedi decentrate, una a Castiglione delle Stiviere (Mn) e una a Messina. ICF di Castiglione delle Stiviere Ex Villa Brescianelli Costruita nel 1736 dal canonico Brescianelli, è oggi sede decentrata dell’Istituto Centrale di Formazione del personale di Roma. Il prestigioso complesso, proprietà del Ministero della Giustizia a seguito della donazione del canonico, è situato nel centro storico di Castiglione delle Stiviere (MN). Gli affreschi del Salone principale Luigi Gonzaga, di probabile scuola veneziana, sono per lo più di carattere allegorico. L’ingresso principale su Via Moscati è ornato da un magnifico portale marmoreo in

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a cura di Ciro Borrelli* e Carmine D’Avanzo* rivista@sappe.it

L’Istituto Centrale di Formazione la sede decentrata di Castiglione delle Stiviere stile barocco, già sotto il vincolo della Soprintendenza ai Beni Ambientali e Architettonici di Mantova. Villa Brescianelli, prima dell’attuale sistemazione, ha subito una serie di vicende: da abitazione signorile fu trasformata in allevamento del baco da seta fino a divenire, durante la guerra, caserma e rifugio per famiglie senza tetto. Nel 1950 fu restaurata per conto del Ministero di Grazia e Giustizia (oggi Ministero della Giustizia - Dipartimento della Giustizia Minorile), per farne una casa di rieducazione per minorenni. Fino al 1977 furono ospitati in quattro gruppi-famiglia, ragazzi difficili, per i quali il Tribunale per i Minorenni disponeva la misura della semilibertà. Con l’evoluzione dei tempi e l’esigenza di una più adeguata formazione degli operatori minorili, nacque così la Scuola di Formazione con un mandato istituzionale che comprendeva la formazione, in tutte le sue articolazioni, la ricerca e la prevenzione nell’area del Nord Italia.

rispettivamente 36 km e 10 Km circa. Sarà disponibile presso l’Istituto un servizio navetta per raggiungere il suddetto parco.

Informazioni su come raggiungere la sede e le località da visitare nei dintorni L’istituto Centrale di Formazione è ubicato a Castiglione delle Stiviere (MN), Via Moscati n.27 ed è raggiungibile dall’autostrada A4 uscita Desenzano, dalla stazione ferroviaria di Desenzano del Garda, da cui la località dista circa 8 km, dagli aeroporti di Verona Villafranca (distante 40 km circa) e Brescia Montichiari (distante 20 km circa). Nelle vicinanze sono visitabili le seguenti città: Mantova, Verona, Brescia (distanza media di circa 45 km). Il parco di Gardaland e il lago di Garda (Desenzano centro) distano dalla struttura

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La struttura dispone di 46 posti letto distribuiti in 34 stanze di cui: • 12 doppie; • 19 singole; • 1 singola e 1 doppia adibite ai portatori di handicap. La biancheria (lenzuola e asciugamani) è fornita direttamente dall’Istituto e il cambio è previsto ogni 3 gg. L’Istituto mette a disposizione dei villeggianti uno spazio–giardino, un piccolo campo sportivo polivalente e una sala tv. Presso la struttura sarà possibile parcheggiare all’interno e usufruire del servizio di ristorazione su prenotazione.

* Ciro Borrelli Rappresentante Sappe - ICF Roma * Carmine D’Avanzo Coordinatore Nazionale Sappe Minori

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Nella foto alcuni scorci della struttura di Castiglione delle Stiviere


inviate i vostri articoli a rivista@sappe.it

Genova: Memorial Day in ricordo delle vittime del dovere e della criminalità

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l Sap, Sindacato Autonomo di Polizia, in collaborazione con l’Associazione Vittime della Criminalità e del Terrorismo, ha organizzato anche quest’anno, in occasione del 19esimo anniversario della strage di Capaci, una serie di iniziative in tutta Italia dirette a rinnovare il ricordo del giudice Falcone, della moglie, della scorta e, assieme a loro, tutte le vittime del dovere e dell’impegno nel contrasto alla mafia, al terrorismo, alla criminalità comune e organizzata. Il Memorial Day del SAP ha ricevuto, per il sesto anno consecutivo, la Medaglia della Presidenza della Repubblica. Si tratta di un importante riconoscimento che il Presidente Napolitano, che ancora una volta, ha voluto concedere a quella che ormai è una delle più importanti

manifestazioni nazionali di commemorazione delle vittime della criminalità, del terrorismo e della mafia. E’ appena il caso di sottolineare che la manifestazione non intende onorare esclusivamente i servitori dello Stato perché sarà celebrata la memoria di tutti coloro che impegnati socialmente (giornalisti, politici, comuni cittadini) abbiano subito la violenza del crimine per non venir meno ai propri doveri civici. A Genova l’iniziativa è stata celebrata il 20 maggio scorso, con un percorso ciclistico e podistico che partendo da Bolzaneto, collegherà tutte le lapidi e i cippi della città posati in memoria delle vittime della criminalità, del terrorismo e del dovere, caratterizzata da una breve orazione e dalla deposizione di un mazzo di fiori. Anche il SAPPE di Genova Marassi, che ha curato ogni aspetto organizzativo grazie al prezioso contributo dei nostri Segretari Domenico Tarantino ed Antonio Macrini, era presente con i suoi ciclisti che anche da queste pagine ringraziamo: Elena Parodi, Cristoforo Langi e Calogero Paruta. Il gruppo di ciclisti e podisti è costituito da appartenenti alle Forze

Castrovillari: il Sappe incontra gli studenti

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ei giorni scorsi si sono svolti presso l’IPSIA ed il Liceo scientifico di Castrovillari degli incontri con gli studenti dei due istituti. Numerosi i partecipanti tra studenti e docenti. L’Ispettore Leonardo De Santis, ricevuto dal prof. Bellizzi per l’IPSIA e dal prof. Casella per il liceo, ha espresso la propria soddisfazione per l’entusiasmo con cui è stata accolta la proposta della Segreteria Sindacale SAPPe. Il tema dell’incontro è stato incentrato particolarmente sul ruolo che il sinda-

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dell’Ordine, Magistrati nonché da semplici cittadini attenti ai temi sociali; il percorso si è concluso nel pomeriggio davanti al Duomo di Genova, in via San Lorenzo, dove Monsignor Luigi Ernesto Palletti ha invocato la Benedizione del Signore sui presenti ed in modo particolare sulle Famiglie dei Caduti. Durante la cerimonia si è proceduto alla deposizione di una corona per onorare tutte le vittime che hanno sacrificato la propria vita per le Istituzioni. L’iniziativa, con il suo altissimo senso morale, costituisce una delle poche occasioni per tributare il doveroso omaggio a tutti i caduti, divenuti ormai patrimonio della coscienza collettiva e del valore civico di ogni cittadino onesto. L’impulso che ne scaturisce, è finalizzato ad impedire che tali tragici fatti di sangue debbano ancora ripetersi, nonchè concretizzare i giusti riconoscimenti dovuti alle vittime ed i loro familiari. Agli amici del SAP e del SAPPE di Genova ed a tuti coloro che hanno partecipato ed organizzato la cerimonia genovese del Memorial Day giunga l’apprezzamento della Redazione. erremme

cato ha nel Corpo di Polizia Penitenziaria: non sono mancate domande sul più vasto mondo del carcere e sul Corpo di polizia e sulle modalità di accesso al Corpo stesso. L’Ispettore De Santis ha portato i saluti del Segretario Nazionale Damiano Bellucci e del Segretario Generale Dott. Donato Capece, rappresentando i gravi problemi che oggi il sindacato sta affrontando legati indiscutibilmente al sovraffollamento degli istituti ed alla diffusa carenza di personale. Questa Segreteria ancora una volta, attraverso le pagine del Quotidiano della Calabria e del Diario esprime compiacimento ai dirigenti scolastici dell’IPSIA e del Liceo Scientifico, ai Prof. Bellizzi e Casella, nonché agli studenti tutti per l’accoglienza e la disponibilità concessa e per l’interesse dimostrato. Leonardo De Santis

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Palermo: un riconoscimento di prestigio

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l Commissario della Polizia Penitenziaria, Comandante di Reparto della Casa Circondariale Palermo Ucciardone, Patrizia Manuela Bellanti, è stato assegnato quest’anno il Premio Marisa Bellisario, intitolato le Mele d’Oro 2011, che viene assegnato a donne che nel corso dell’anno si siano particolarmente distinte nella professione, nel management, nella scienza, nell’economia e nel sociale, a livello nazionale ed internazionale. Il nostro Commissario, come cita la nota del sito ufficiale della fondazione, è una delle “...dieci giovani donne delle Forze Armate che, ogni giorno, con la loro determinazione e impegno contribuiscono alla difesa del Paese e nove atlete che hanno dato gloria all’Italia meritando le medaglie d’oro e d’argento”. I premi, sono stati consegnati il 17 giugno al Teatro delle Vittorie di Roma, e la cerimonia di consegna delle Mele D’Oro è stata trasmessa su Raidue domenica 19 in seconda serata; la manifestazione è stata inserita nelle celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia. La Segreteria Regionale del SAPPe, primo e più rappresentativo sindacato di categoria, si complimenta con il Commissario Bellanti per il riconoscimento attribuitogli, e perché con la sua presenza ha dato lustro a tutto il Corpo di Polizia Penitenziaria. Cataldo Calì

Paola: la Polizia Penitenziaria partecipa a un torneo di solidarietà

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ei giorni scorsi, a Castrolibero, si è tenuto un quadrangolare di calcio per raccogliere fondi da devolvere ad un progetto in Africa, finalizzato alla costruzione di una casa per un’anziana nonna ed i suoi otto nipoti rimasti orfani a causadell’Aids. Un progetto benefico che ha visto anche la partecipazione della Polizia Penitenziaria di Paola, la quale si è confrontata sul rettangolo da gioco, in un quadrangolare con il 1° reggimento Bersaglieri Cosenza, con la parrocchia Santafamiglia di Castrolibero e con il Comune di Castrolibero. La squadra della Polizia Penitenziaria di Paola, capitanata dall’ispettore capo Eugenio Spizzirri, pur classificandosi terza, ha mostrato grande capacità di gioco. La prima classificata è stata la compagine sportiva del 1° reggimento Bersaglieri di Cosenza. Gli apprezzamenti più vivi verso la Polizia Penitenziaria di Paola, sono giunti dal suo delegato regionale Salvatore Panaro che ha espresso grande condivisione per questa manifestazione di beneficenza. Panaro spiega che «serve parlare e scrivere di questi uomini, che gareggiando per un scopo di alto valore sociale, rappresentano i colori ed il nome del Corpo di Polizia Penitenziaria, di una forza di Polizia dello Stato che in un momento storico così particolare caratterizzato da

carenze di organico, e vivendo criticità quotidiane, riescono a mantenere al di fuori dal proprio lavoro e nel loro spazio libero unione di Corpo. Sì, proprio questa è la forza dei baschi azzurri - aggiunge Panaro - il lavoro di squadra che amplifica la forza di ogni singola unità la quale sostiene i piloni delle carceri che ad oggi registrano in ambito nazionale una carenza di personale di circa 6.000 unità. L’amministrazione Penitenziaria in questo non può comunque continuare ad essere sorda: servono uomini e mezzi per poter vincere la partita più importante che è quella di mantenere la garanzia della sicurezza dei cittadini». (g. s.)

Trapani: la Polizia Penitenziaria in Fiera

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a Fiera ARCO IN che si tiene ogni anno a Trapani nel mese di giugno, è giunta ormai al suo 19° appuntamento. 400 espositori da tutta Italia, degustazioni, spettacoli, offerte, fanno di questo evento un appuntamento molto importante per i cittadini della Provincia. Anche quest’anno, gli organizzatori della Fiera hanno voluto che la Polizia Penitenziaria di Trapani, al comando del Commissario Giuseppe Romano, esponesse in uno stand appositamente allestito, nel capannone dedicato alle istituzioni, materiale pubblicitario del Corpo, cimeli e quant’altro potesse attirare l’attenzione dei visitatori. Grande successo di pubblico hanno riscosso le due porte del vecchio carcere della Vicarìa, restaurate a cura di detenuti ristretti alla C.C. Trapani, e un vecchio registro dell’Ufficio Matricola del 1939, in ottimo stato di conservazione. Attraverso una postazione video, i cittadini hanno potuto ammirare le immagini della Festa regionale del Corpo 2011 che si è svolta quest’anno ad Erice. A volte basta davvero poco per riscuotere l’attenzione e la simpatia della gente e pubblicizzare un Corpo di Polizia attraverso la partecipazione a queste manifestazioni, che diventano una vetrina per l’esterno. Eugenio D’Aquino

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Barberino del Mugello: Cure 2 children

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elle giornate del 4 e 5 giugno, nella splendida cornice toscana del lago di Bilancino (Mugello) si è svolta la manifestazione organizzata dall’associazione internazionale Cure 2 children, organizzazione impegnata nella cura dei bambini con patologie oncologiche che vivono in paesi in via di sviluppo, garantendo un accesso a cure adeguate direttamente nel loro paese. Due giorni di festa per tutti i bambini: per i tanti che hanno partecipato ma anche per quelli molto meno fortunati che devono combattere contro gravissime malattie. Intitolata tra cielo e lago, per crescere senza confini, la manifestazione ha visto la collaborazione delle forze armate e delle forze di polizia. Dal cielo sono scesi i paracadutisti della Folgore oltre agli elicotteri della Guardia di Finanza e della Polizia di Stato mentre sul lago, sotto l’occhio attento dei sommozzatori dei Vigili del Fuoco, è stato possibile navigare in barca a vela.

Nelle foto alcune immagini della manifestazione

Anche la Polizia Penitenziaria, con il personale della Casa Circondariale di Sollicciano, ha presentato la sua attività, con uno stand estremamente ricco ed accattivante. Molti i mezzi presenti che, oltre a garantire un servizio di viabilità in occasione delle fasi più importanti della manifestazione (attraverso i motociclisti), hanno costituito una delle principali attrattive di tutta la manifestazione.

Una folla di piccoli curiosi accompagnata da genitori altrettanto interessati ha, infatti, letteralmente preso d’assalto il mezzo blindato per il trasporto detenuti all’interno del quale ognuno ha voluto provare, almeno per qualche minuto, l’ebbrezza di essere rinchiuso in cella.

La piccola autovettura del servizio navale e le motociclette sono state scelte per una foto in compagnia dei colleghi che, con grande simpatia e disponibilità, hanno risposto alla nutrita folla di piccoli e grandi curiosi alle domande più svariate sui compiti della polizia penitenziaria e sulle sue prerogative. A ricordo della giornata, i piccoli avventori hanno ricevuto portachiavi, distintivi e vari gadget della Polizia Penitenziaria. I fondi ricavati finanzieranno i progetti di Cure 2 children a sostegno dei bambini colpiti da tumori e malattie del sangue in Kosovo, Georgia, India, Pakistan, Bangladesh e Argentina. Mario Salzano

Roma: percorso di formazione minori

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ell’ambito del progetto di formazione rivolto al Corpo di Polizia Penitenziaria del settore minorile, realizzato e completato negli anni 2009/2010 per i Comandanti di Reparto degli Istituti Penali Minorili di tutta Italia, l’Istituto Centrale di Formazione sta completando il percorso già avviato, destinando tre nuovi moduli ai coordinatori di Polizia Penitenziaria, in servizio presso i Centri di Prima Accoglienza e ai coordinatori degli Uffici Sicurezza presso i Centri Giustizia Minorile d’Italia.

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Il primo dei tre moduli previsti si è tenuto presso la sede ICF di Roma nelle giornate del 7, 8 e 9 giugno. Le tre giornate di corso, oltre a prevedere uno spazio dedicato al contratto formativo, sono state incentrate sui temi della comunicazione, delle tecniche relazionali e della leadership. L’attività didattica del corso è sempre a cura dello staff dell’Istituto Centrale di Formazione della Giustizia Minorile, con la consulenza scientifica del prof. Gioacchino Lavanco - Prorettore dell’Università degli Ciro Borrelli Studi di Palermo.

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di Freddy S.B. rivista@sappe.it

LA 1ª e la 2ª PARTE DELL’ ARTICOLO SONO STATE PUBBLICATE SUI NUMERI 183 (4/2011) e 184 (5/2011).

Una visita al Siriraj Museum •3• all’ interno dell’ ospedale universitario di Bangkok

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ai paraggi della Vecchia Prigione è poi facile e rapido spostarsi sino alla sponda del grande fiume Chao Praya, che taglia in due la città e da qui, su una delle molte barche o traghetti che lo solcano, trasferirsi nel genuino distretto di Bangkok Noi, ad occidente del Palazzo reale e delle maggiori attrazioni della città, per la visita al complesso dei musei sistemati all’interno dell’ospedale pubblico universitario Siriraj.

Nelle foto alcune sale e reperti del museo

Questo, fondato alla fine del XIX secolo, il più vecchio e probabilmente anche il più prestigioso del Paese, piuttosto organizzato e frequentato, rientra nella struttura dell’omonima facoltà di medicina dell’Università Mahidol ed accoglie innumerevoli specialità mediche e migliaia di dipendenti, oltreché - pare, ultimamente - la Casa reale in trasferta, al seguito del Re Bhumibol, che in questi ultimi anni non è stato molto bene e ha soggiornato qui per parecchio tempo (non ci si meravigli quindi, se in giro per i trafficati vialetti interni si incontrassero dozzine di poliziotti e forze speciali che tutto annotano ed osservano...). E’ questa cittadella sanitaria, simbioticamente inserita nella caotica e pittoresca vita della Bangkok meno turistica che la circonda, che ospita i sei distinti piccoli musei di cui andremo a parlare, organizzati organicamente nella comune entità dei Siriraj Medical Museums, come comunemente e generalmente vengono chiamati. Siamo quindi pronti alla visita, che comun-

que non richiede troppo tempo, dei Musei di storia della medicina tailandese, di parassitologia; quello preistorico ed infine, per molti probabilmente i più interessanti, quelli di anatomia, patologico e di medicina legale. Ognuno di essi è ben caratterizzato, con il proprio nome e contesti specifici; alcuni appaiono più interessanti di altri, o almeno più frequentati (quali i tre ultimi citati): è comunque probabile trovarsi da soli, senza compagnia, fra gli scaffali ed i reperti che sono spesso datati ed emergono consegnati alla storia nello stesso stato disposto dagli originali fondatori e curatori di queste istituzioni. Negli ultimi anni, per la verità, lo sforzo di modernizzare l’ambiente è stato notevole e, specie nella parte rinnovata di quello patologico e nell’area introdotta per illustrare i metodi del lavoro compiuto nell’immediato periodo successivo al grande tsunami del 2004, la presentazione non ha nulla da invidiare a quelle delle più titolate gallerie occidentali. Qualcuno, forse, come il museo preistorico, un po’ trascurato, preso di per sé, non meriterebbe particolare menzione, ma l’ambiente fermo agli anni ’50, la visione di alcune fotografie d’epoca e di alcuni ritrovamenti che paiono appena scoperti in qualche scavo archeologico del sudest asiatico, può certamente premiare qualche minuto del nostro tempo. E’ nella stessa palazzina, proprio al piano superiore a quello nel quale si praticano tuttora le autopsie e le dissezioni, che si presenta l’occasione di un primo incontro con la parte impietosa della realtà della vita, nella quale alla dolcezza ed all’armonia delle forme del corpo umano si associa la nuda verità della nostra corporalità, che a volte può essere tremenda. Come, in maniera inaspettata, quasi sempre accade nella visita ai musei anatomici (sul tipo dell’eccellente museo della seconda università di Napoli: cfr per un’idea al sito web ufficiale http://www.museoanatomiconapoli.it), sedi deputate alla proposizione a scopo di studio dei corpi, normalmente

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sezionati, di animali e persone; dove trovano pietoso rifugio molte aberrazioni e mostruosità fisiche (nel senso letterale, prescindendo da giudizi di valore) che a scopo scientifico possono dipingere tutta la carnalità della nostra esistenza. Qui, accanto a molti reperti (esteticamente) innocui attinenti alla materia, ad alcune fotografie ed a qualche scheletro proposto per la conoscenza di alcuni estremi della nostra specie, sono in bella mostra anche molti feti di gemelli siamesi, persone sezionate, organi di animali ed esseri umani ed altre parti di apparati del nostro corpo, generalmente ben conservati nella formalina, in recipienti trasparenti adatti allo scopo. Una esibizione che non può lasciare indifferenti, anche se i ragazzini tailandesi - che talvolta arrivano qui in visita d’istruzione (si suppone), nella loro pulite divise da scolari, in numero apparentemente più elevato di quello degli studenti in medicina - non pare vengano particolarmente colpiti dallo spettacolo che a noi invece sembra un po’ macabro e misterioso. Con due passi, zigzagando fra infermieri e personale amministrativo al lavoro nell’ospedale, si raggiunge poi il padiglione numero 28, che contiene i rimanenti musei, i più forti dei quali sono indiscutibilmente quello patologico e quello di medicina legale. Il primo, sull’onda di un aumentato interesse e di una rinnovata, relativa popolarità, è stato di recente rimodernato, acquistando in organizzazione, efficienza e funzionalità (ma anche asetticità), così perdendo quella affascinante atmosfera retrò di museo di metà secolo (XX) che lo caratterizzava ulteriormente. L’abbondante presenza di diorama, schermi televisivi, luci ed arredamento moderni tuttavia non fanno affatto dimenticare, né leniscono di molto lo shock della vista di così tante anomalie del corpo umano, che sostanziano appunto le patologie che la scienza medica studia e prova ad evitare. Qui, fanno piena, tragica mostra di sé -nella formalina - corpi defunti di neonati sirena con una gamba sola od affetti da ciclopia,

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feti abnormi e disgraziati, gemelli siamesi di varia natura, bambini idrocefali, senza encefalo, con due teste... Invero, una spietata, paradossale introduzione dell’intento misterioso dell’imperscrutabile disegno creativo e della crudele logica della natura, che talvolta, come in questo caso, ci lascia esterrefatti e dolenti, ma decisamente più informati e meno timorosi di alcuni fenomeni fisici, che l’immaginario collettivo troppo spesso paurosamente associa alla soprannaturale trascendentalità. Qui vi è anche l’area di cui già accennavamo sopra: quella relativa alla descrizione del tremendo tsunami che ha colpito in specie il sud-est asiatico nel natale 2004, causando migliaia di morti e grandi distruzioni. Questo evento naturale è chiarito e spiegato in modo comprensibile ed interessante e viene illustrato, in una apposita sezione, l’intervento compiuto dalle autorità sanitarie (in primo luogo proprio dall’ospedale dove ci troviamo), nell’immediatezza della tragedia, mediante l’assistenza medica d’emergenza e successivamente dalle varie squadre di anatomopatologi per il riconoscimento delle vittime (vengono ben illustrate le varie tecniche in uso per tale mesta incombenza). Con un altro piccolo sforzo, entriamo poi finalmente nel settore occupato dal Museo di medicina legale, che con le sue esibizioni a contenuto giuridico lato sensu è per noi piuttosto avvincente e che per il tema generale strizza l’occhio ai contenuti che normalmente si trovano nei musei criminologici (come per esempio il nostro ottimo Museo criminologico, a Roma: cfr il sito web ufficiale http://www.museocriminologico.it/index.htm). Qui, alcuni potrebbero proprio affermare che la sofferenza e la morte aleggiano in ogni componente delle gallerie: una sofferenza impietosa, spietata; una morte violenta, raccapricciante, truce... Il museo non è inteso specificamente a soddisfare solo l’interesse scientifico degli addetti ai lavori, ma anche quello generale

dei profani (per lo più, nei corridoi si notano alcune famiglie thai in visita, con i bambini...): così il limite della tollerabilità e della decenza comuni è sempre conservato; ma certo i reperti correlati ad omicidi, suicidi, morti violente di ogni tipo che si succedono metro dopo metro, insieme alle molte raccapriccianti fotografie a colori di incidenti di vario genere (ovviamente: violenti) non può lasciarci indifferenti. Gli animi sensibili dovrebbero rimanere al di fuori, ma chi coltiva l’interesse per la specifica materia si troverà probabilmente a suo agio, nel rilevare la professionalità e la freddezza nel trattare questo argomento delicato, che ai più non può che apparire obbrobrioso e feroce. Assieme, a lato di tutti questi articoli paurosi vi è tuttavia anche un angolo che risulta quasi divertente; la sala che è l’ultimo ricovero di alcune cadaveri mummificati di individui criminali, ai quali si è applicata la pena di morte, esposti in piedi nelle loro ultime dimore di cristallo, o di vetro, per conoscenza e monito ai visitatori, che dovrebbero interpretarlo come un richiamo deterrente alla commissione dei reati. La mummia più famosa è quella di tale Si Quey, un assassino seriale di etnia cinese immigrato in Tailandia, uno stupratore cannibale che operava a cavallo degli anni ’50 del secolo scorso che, scoperto ed impiccato, negli anni è qui diventato l’archetipo di un genere e nell’immaginario locale ancora rappresenta una sorta di ‘uomo nero’ che gli adulti sensati richiamano ai bambini, tentando di raddrizzarne il comportamento poco giudizioso... Dopo aver percorso le sale precedenti, la visita al museo di storia della medicina tailandese ed a quello di parassitologia (e delle malattie tropicali rare) ci trova seriamente più sollevati... Non che qui si possa sorridere molto, specie al cospetto di alcuni reperti che dimostrano i repellenti orribili effetti di molte patologie esotiche, spesso causate da organismi microscopici, trasmessi da una semplicissima puntura di zanzara (come per esempio nel caso della filariasi (elefantiasi), i cui tremendi esiti sono qui evidenti nell’articolo che è il pezzo forte della col-

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lezione: un gigantesco, spettacolare scroto umano del diametro di una settantina di centimetri...), ma la normalità delle emozioni che ci vengono date qui, in assenza di tutti i terribili immediati, evidenti legami con la morte che permeava le esposizioni alle nostre spalle, è evidente e piacevole. I dati presenti in questa sezione, dove si incontrano informazioni piuttosto differenti da quelle generalmente fornite dalla medicina occidentale, sono piuttosto dirette e l’impostazione pratica che le guida le rendono alquanto utili, specie per coloro che dovessero trascorrere qualche tempo in zona tropicale/equatoriale, magari un po’ al di fuori degli usuali tragitti turistici...

In conclusione della nostra ispezione, cosa possiamo dire…che la visita a questi musei un po’ atipici è stata decisamente interessante, anche affascinante, per alcuni versi suggestiva. Non è proprio per tutti: alcune sensibilità potrebbero rimanere particolarmente colpite; ma a coloro che completeranno il giro, la tessera che viene consegnata, piena dei simpatici timbretti d’entrata di ogni museo ricorderà per un bel po’ le forti impressioni, le strabilianti emozioni e le nuove diradanti conoscenze che questo pizzico di estremo Oriente ha saputo dare loro...

L’indirizzo internet del sito ufficiale è: www.si.mahidol.ac.th/museums/en/index.htm Siriraj Medical Museum Aperto dal lunedì al sabato: dalle ore 9:00 alle ore 16.00.

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a cura di Giovanni Battista De Blasis

Bronson

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In alto la locandina sotto alcune scene del film nel riquadro ancora Tom Hardy

Avevo una vocazione ma non sapevo quale», così inizia la voce narrante dello stesso protagonista del film. Il film del quale stiamo parlando è Bronson, produzione inglese del 2008 arrivata nelle sale italiane soltanto adesso, che narra la storia (quasi vera) di Michael Peterson, autoimpostosi il soprannome di Charles Bronson, che ha passato 35 anni della propria vita in carcere, dei quali almeno trenta in isolamento. In un teatrale monologo fuori campo rivolto ad un pubblico immaginario, Bronson ripercorre tutta la propria esistenza, commentandola. Bronson è statuario e feroce, ma anche capace di radiosi sorrisi disarmanti. La sua è una violenza esasperante (anche se non ha mai ucciso nessuno) vissuta come pura esperienza estetica. Evidente il riferimento ad Arancia Meccanica, sia nello stile espressionista, che nei colori acidi e nella scelta delle musiche (al

posto di Ludwing van Beethoven e Rossini troviamo Verdi e Delibes). Bronson vive i pestaggi e le scazzotate come fossero gradini da salire verso la realizzazione di se stesso, anche se questa sua scelta, contro ogni ragionevolezza, lo conduce ad una inevitabile lunghissima prigionia. Risale al 1974 la prima volta che gli si spalancano le porte del carcere, dopo una piccola rapina ad un ufficio postale. Entrato in carcere, per scontare una condanna di sette anni, manifesta tutta la sua voglia di essere sempre al centro dell’attenzione. Entra subito in conflitto con i poliziotti penitenziari nei confronti dei quali reagisce sempre violentemente, diventando l’idolo degli altri detenuti. Le autorità decidono di trasferirlo in diversi penitenziari, nella vana speranza di calmare la sua violenza. Viene tentata anche la carta dell’ospedale psichiatrico, dove viene sottoposto ad un trattamento con farmaci sedativi, ma tornato in carcere svaniscono tutti gli effetti calmanti, tanto che tenterà di strangolare un detenuto condannato per pedofilia.

Dopo diversi anni torna in libertà ed inizia a praticare la boxe a mani nude, cambiando il proprio nome in Charles Bronson, in omaggio al famoso attore. La sua carriera di pugile, però, dura molto poco, perchè dopo un furto viene nuovamente arrestato. In carcere si rende nuovamente protagonista di atti di violenza fino a rimanere coinvolto in una rivolta dove dopo aver preso in ostaggio un bibliotecario, si scontra violentemente contro agenti antisommossa. Proprio per questi motivi, la sua condanna raggiungerà alla fine i trentacinque anni di detenzione.

Regia: Nicolas Winding Refn Soggetto: Brock Norman Brock, Nicolas Winding Refn Sceneggiatura: Brock Norman Brock, Nicolas Winding Refn Fotografia: Larry Smith Montaggio: Mat Newman Scenografia: Adrian Smith Costumi: Sian Jenkins Effetti: Saint Produzione: Vertigo Films, 4DH Films, Aramid Entertainment, STR8JACKET Creations, EM Media, Perfume Films Distribuzione: ONE Movie (2011) Personaggi ed Interpreti: Charles Bronson/Michael Peterson: Tom Hardy Irene: Kelly Adams

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Guardia isterica: Luing Andrews Julie: Katy Barker Agenti: Gordon Brown, Paul Donnelly Madre di Charlie: Amanda Burton Infermiere: Mark Devenport Padre di Charlie: Andrew Forbes Webber: Jon House Paul Daniels: Matt King Phil: James Lance Alison: Juliet Oldfield Governatore prigione: Jonny Phillips Andy Love/guardia amichevole: Mark Powley Zio Jack: Hugh Ross John White: Joe Tucker Genere: Thriller, biografico Durata: 89 minuti Origine: Gran Bretagna, 2008

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di Aldo Maturo* avv.maturo@gmail.com

Crimine import-export

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miliardi di euro che se vogliamo ragionare con la vecchia lira, utilizzando la calcolatrice del computer perché quella normale si imballa, si scrive 193.627.000.000.000 e si legge 193 mila miliardi e 627 mila milioni di lire. La cifra sarebbe “...il fatturato annuo lordo della criminalità organizzata in Italia limitato solo alla droga, agli appalti pubblici, alle armi, alla prostituzione”.

Un discorso a parte da qualche anno merita l’industria del commercio di organi, che richiede specialisti nel prelievo e nei trapianti, ospedali altamente specializzati, tecnologia d’avanguardia, aerei, banche in grado di ricevere capitali senza fare molte domande. Alla Borsa mondiale clandestina un rene costa 3000 dollari, un fegato 8000, un cuore fino a 20.000. Con questi bilanci al crimine organizzato nel suo complesso può essere aggiudicato il primato di maggiore industria del pianeta: al primo posto nel redditometro mondiale della criminalità vi è il traffico degli stupefacenti e quello delle armi. Droga, armi e terrorismo si sono saldati in una miscela che non può che preoccupare tutti. Se a questo uniamo il contrabbando di materiali nucleari, la gestione di contrabbando dei rifiuti tossici e il traffico degli essere umani esportati dal terzo mondo verso il ricco occidente - e nel nostro Sud ne sanno qualcosa - ci renderemo conto che ci troviamo di fronte ad holding transnazionali con una Nella foto Il dato riguarda solo le quattro cupole sto- tecnologia e una strategia aziendale libera banconote riche. Se è così alla somma vanno aggiunte da vincoli normativi e con il vantaggio di da 500 euro altre voci del bilancio corrente – quello poter utilizzare, per il raggiungimento dei della cronaca nera quotidiana - nonché gli propri fini, le più moderne tecniche di teutili delle altre organizzazioni dell’Est che lecomunicazioni ed un’elevata professionaormai operano nel Paese. lità, componenti queste favorite dalla In termini percentuali non è un bilancio da liberalizzazione del commercio e dalla capoco se si pensa che secondo una recente duta delle frontiere. Ove non bastasse resta ricerca il patrimonio complessivo della cri- sempre l’uso della violenza e della corruminalità nel mondo era stimato intorno ai zione. 1000 miliardi di dollari, cifra che ci rifiu- A questi livelli evidentemente non è più un tiamo di convertire in lire perché più simile problema solo di casa nostra, una folcloria uno scioglilingua. Una somma simile equi- stica guerra tra guardie e ladri. vale al prodotto interno lordo di molti Stati Una simile sfida non può essere limitata ale raggiunge o supera il budget di tante l’impegno di un singolo Stato ed è seguita grandi multinazionali. infatti da tutti gli organismi internazionali Il profitto sul traffico di droga raggiunge una deputati alla sicurezza ed al controllo della somma tra i 300 e i 500 miliardi e secondo criminalità. E non è neppure una sfida imLe Monde rappresenta l’8% del commercio pari. Gli onesti non fanno la parte dell’elemondiale. Il fatturato della prostituzione fante ed i criminali non sono un topolino solo in Italia è pari a quello del tessile e destinato ad essere schiacciato in ogni modell’abbigliamento. mento o solo che l’elefante voglia. Anzi, il

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rischio è che si possano invertire questi ruoli e la potenzialità economica che fa capo a questi centri di potere impone la massima attenzione. Questo non significa che tutti i gruppi criminali organizzati operano su scala mondiale ma è indubbio che esistono rapporti sempre più stretti e frequenti tra i traffici e le attività criminose di un Paese e quelli di altri, con i gruppi emergenti che tentano di sottrarre sempre più spazi liberi a quelli storici. Se l’internazionalizzazione delle imprese è frutto della globalizzazione della rete commerciale e finanziaria a tale modello non potevano non ispirarsi le imprese criminali che perseguono profitti illegali. Il rischio ulteriore da non sottovalutare è il tentativo occulto di anestetizzare il problema in maniera che se ne parli il meno possibile. Si opera con manovre occulte non solo per motivi strategici ma anche per far sì che il fenomeno resti di esclusiva competenza delle istituzioni e delle forze dell’ordine, impermeabilizzando la gente che ignora o si impone di ignorare il problema. In questa logica dei grandi numeri non è detto che si debba restare solo a guardare e non si possa svolgere il nostro piccolo ruolo aderendo ad una cultura della legalità vissuta giorno per giorno che si contrapponga ad una illegalità diffusa, elevata spesso a sistema di vita. Pensiamo ai nostri innocenti peccatucci quotidiani che sono rappresentativi di una illegalità talmente radicata da essere considerata legale: gli abitudinari acquisti sottobanco che determinano l’alimentazione diffusa del contrabbando, il ricorso continuo ed istituzionalizzato al favore per ricevere indebiti vantaggi o accelerare la soddisfazione di un interesse, la stipula di affari non sempre trasparenti, il rito quinquennale del voto di scambio, l’adesione alla filosofia delle tre scimmiette (non vedo, non sento, non parlo, non c’ero e se c’ero dormivo). Chiediamoci qualche volta se anche alcuni di questi gesti quotidiani, che ci appaiono innocui, non rappresentano invece il fertilizzante naturale per il terreno di coltura su cui possono nascere e crescere piccoli o grandi comportamenti criminosi. * Avvocato, già Dirigente dell’ Amm. Penitenziaria

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Luca Pasqualoni Segretario Nazionale ANFU info@sappe.it

Riflessioni sull’avviso di conclusioni delle indagini articolo 415 bis C.P.P.

I

l presente articolo costituisce sviluppo consequenziale del precedente e risponde alla sempre più avvertita esigenza di dare spazio a delle riflessioni maturate nel corso della concreta applicazione di alcuni istituti giuridici, ove ho potuto prendere atto di vistose dissociazioni fra quanto studiato e quanto attuato. Può accadere che nei confronti della nostra persona siano svolte indagini da una qualsiasi Procura della Repubblica senza che uno lo sappia o che siano state svolte indagini senza che uno lo abbia saputo, perché ne è stata disposta l’archiviazione ancor prima che siano state poste in essere attività che le rendano conoscibili: vuoi perché non vi è stato bisogno dell’emissione di misure cautelari personali o reali, vuoi perché non vi è stata necessità di procedere ad elezione di domicilio, vuoi perché non vi è stato bisogno di procedere ad un atto per cui è richiesta la partecipazione, o meglio, l’assistenza del difensore. Per mitigare la possibilità di un rinvio a giudizio per così dire a sorpresa, la Legge del 16 dicembre 1999, n. 479, c.d. legge Carotti, ha introdotto l’istituto dell’avviso di conclusione delle indagini di cui all’articolo 415 bis del codice di procedura penale. Tale istituto, espressione di una delle garanzie che la legge riserva all’indagato che sta per diventare imputato, serve, oltre che a rendere noto allo stesso che un Pubblico Ministero sta per esercitare l’azione penale nei suoi confronti, anche e soprattutto a permettergli di preparare la difesa prima dell’inizio del processo, nonché ad avanzare alcune richieste al P.M. per indurlo a modificare l’ipotesi di reato o a farlo desistere dall’esercitare l’azione penale. Infatti, l’indagato, ed ovviamente il suo difensore, ha diritto di prendere visione ed estrarre copia di tutti gli atti del fascicolo

del P.M. nonché, entro il breve termine di venti giorni dalla notifica dell’avviso, il diritto di presentare memorie, produrre documenti, depositare le investigazioni difensive, chiedere al P.M. atti di indagine, presentarsi per rilasciare dichiarazioni o, infine, chiedere di essere sottoposto obbligatoriamente ad interrogatorio. Quindi, l’articolo 415 bis avrebbe la funzione di anticipare il contraddittorio delle parti necessarie del processo, prima del dibattimento. Nei libri di testo, infatti, è ricorrente leggere che l’istituto in parola è una garanzia fondamentale per l’indagato, il quale, esercitando i suoi diritti, può far cambiare opinione al P.M., tanto è vero che la richiesta di rinvio a giudizio o il decreto di citazione a giudizio, se non preceduti dall’avviso in parola, sono nulli. A ben guardare, le cose non stanno esattamente così. Si deve infatti evidenziare che la pubblica accusa dispone di un potenziale investigativo imponente rispetto alla limitata possibilità accordata all’indagato, all’esito delle indagini, di poter presentare memorie o depositare documenti, a nulla rilevando la possibilità di poter depositare le investigazioni difensive, dal momento che nessuna investigazione può essere compiuta e quindi depositata, se non si conosca, fin da subito, di essere sottoposto ad indagini. Si ponga mente alle intercettazioni, telefoniche ed ambientali, alle perizie balistiche, psichiatriche, autoptiche, ai rilevi fotografici, agli appostamenti della p.g., ai rilievi scientifici, alle sommarie informazioni et similia. In questa ottica ricevere un avviso di conclusione delle indagini, ex abrupto, a distanza di sei mesi, un anno, un anno e mezzo o due anni a seconda di quanto pre-

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visto dal congiunto disposto degli articoli 405, 406 e 407 c.p.p., non appare evenienza consona ad uno Stato di diritto. Appare davvero difficile credere che cotanto armamentario investigativo possa essere vinto con delle semplici memorie o tutt’al più con il deposito di documenti.

Inoltre, a fronte di diciotto mesi di indagine, nella loro massima estensione, salvo il limite massimo di due anni di cui all’articolo 407, comma 2, per i reati di maggiore allarme sociale, ivi comprese le organizzazioni criminali in quanto tali, l’indagato ha a disposizione solo venti giorni per replicare: un arco temporale affetto da evidente asimmetria processuale. Del resto, nel meno rilevante procedimento disciplinare la giurisprudenza ha da tempo consacrato il principio per cui tra il rilievo disciplinare e la contestazione dell’addebito vi deve essere un rapporto di stretta connessione temporale se non si vuole violare il diritto di difesa che diversamente verrebbe minato alla radice poiché risponde, a massima di esperienza, che la memoria degradi con il passar del tempo.

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Nella foto un Carabiniere impegnato in una intercettazione telefonica


Alla stregua di quanto osservato, l’articolo 415 bis non appare soddisfare, se non in minima parte, l’esigenza di garantire un pieno diritto di difesa. Allora perché non portare a conoscenza dei cittadini che si stanno compiendo indagini sul proprio conto dal momento in cui si procede alla loro iscrizione nel registro degli indagati, fatta salva l’esigenza di salvaguardare, in alcuni casi, le stesse mediante la loro segretazione per il tempo strettamente necessario? In ogni caso, occorrerebbe contemperare le due esigenze in maniera più bilanciata, considerato che l’istituto delle investigazioni difensive, invero, non è più finalizzato soltanto o prevalentemente all’esercizio del diritto alla prova in dibattimento, ma è divenuto espressione del più ampio diritto di difendersi nell’ambito dell’intero procedimento ed addirittura al di fuori di questo (inteso in senso stretto), tanto da assumere una funzione dinamica, non limitata, come in passato, al contrasto delle opzioni accusatorie del pubblico ministero, ma destinata a spaziare a tutto campo per la ricerca e la raccolta di elementi utili all’assistito, fino ad anticipare le iniziative della parte pubblica e a precostituire materiale da presentare direttamente al giudice per le eventuali decisioni che questi debba adottare. Un simile obbligo a carico della pubblica accusa renderebbe, tra l’altro, effettiva la previsione delle indagini difensive preventive, previste dall’articolo 391 nonies c.p.p., e garantirebbe l’effettiva parità delle armi, senza considerare che si eviterebbero eventuali sperperi di denaro pubblico, laddove il P.M. interfacciandosi preventivamente con l’indagato, si astenga dal compiere indagini tanto inutili quanto dispendiose. Una vera riforma della giustizia dovrebbe intervenire anche e soprattutto su tali aspetti procedurali, allo stato, troppo sbilanciati a favore della pubblica accusa, poiché non può essere tollerata da uno Stato che si professi veramente di diritto la possibilità che il cittadino veda irrompere nella sua vita, a sua insaputa, un avviso di conclusione delle indagini senza che abbia potuto, a tempo debito, interloquire sullo stesso: una simile evenienza appare porsi in contrasto con il principio di presunzione di innocenza.

Un serial killer cannibale

U

na delle storie più inquietanti che mi è capitata di leggere è quella di Adzovic Rudzija uno zingaro di origine slava definito in sede di requisitoria dal PM, «un serial killer cannibale». Prima di descrivere la cronistoria dei diversi delitti efferati ascritti ad Adzovic è necessario chiarire che il termine cannibalismo è generalmente riferito agli animali, appartenenti alla stessa specie, che hanno la caratteristica di mangiarsi tra loro. Per quanto riguarda l’uomo è necessario distinguere i termini antropofagia e necrofagia. L’antropofagia è riferita al consumo di carne umane di persone non ancora definitivamente decedute (es. il vampirismo), mentre la necrofagia è riferita al consumo di carne di persone già morte. Nelle popolazioni primitive e anche in popolazioni originarie dell’Australia e della America latina veniva esercitato il cannibalismo che poteva essere di tipo endocannibalismo, consisteva nel mangiare membri della propria comunità, di tipo esocannibalismo, che consisteva, invece, nel mangiare membri di un’altra comunità. Il bisogno di cibarsi di altri uomini nasceva da motivazioni diverse quali, ad esempio, il bisogno alimentare o perché erano persone sacrificate alle divinità. La letteratura psicologica classica associa normalmente l’impulso a mangiare simbolicamente i nostri simili come una estrema voglia di possesso affettivo nei loro confronti. Freud (Tre saggi sulla teoria sessuale), in tal senso, riteneva che il significato di questa dinamica fosse da ricercare nell’ambito

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della famosa fase orale nel corso della quale il bambino prende coscienza del mondo attraverso la bocca e, in particolare, nella fase sadico-orale quando comincia a mordere e a ricercare l’appagamento del desiderio erotico attraverso l’incorporazione dell’oggetto amato (il seno materno). Introdurre nel nostro corpo una parte o l’intero corpo di una persona è quindi interpretato come un desiderio di possedere un oggetto in modo assoluto che, se limitato alla dimensione simbolica o del desiderio fantastico, non costituisce fattore di particolare allarme clinico essendo spesso radicato nella struttura profonda della psiche umana normale (Fabio Bernardini – Alcuni omicidi estremi: le forme di cannibalismo). A volte, in alcuni soggetti del mondo occidentale, l’impulso antropofago si realizza però in un atto vero e proprio. E’ il caso di quelle persone affette da psicopatologie gravi o di alcuni serial killer.

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Pasquale Salemme Segretario Nazionale del Sappe salemme@sappe.it

La storia di Adzovic Rudzija ha inizio il 21 luglio 1994, quando, in stato di ebbrezza, picchiò violentemente la moglie Branka, che intendeva denunciarlo per le continue violenze subite, con una mazza di baseball. La donna morì dopo un coma durato circa una decina di giorni, all’ospedale di Pescara. Nel 1999 (dopo cinque anni) la Corte d’Assise di Lanciano condannò Adzovic a 27 anni di reclusione per omicidio volontario. I giudici esclusero l’aggravante della crudeltà, ma inflissero all’uxoricida la sospensione della potestà genitoriale, che se fosse stata disposta prima, forse, avrebbe impedito ad Adzovic di compiere nel 1996 un altro tremendo delitto sulla riva del torrente Carapelle, che scorre sotto l’antica colonia romana di Herdonia, oggi Ordona, in provincia di Foggia. Già, precedentemente nel 1993 fu assolto dall’accusa di aver ucciso la figlia, Tamara, deceduta per soffocamento. Invece, nel settembre del ’96 fu incriminato della scomparsa e dell’uccisione di un’altra figlia, Jandranka. Secondo la testimonianza degli altri due figli minori, Boris e Yasmine, il padre bastonò la piccola e poi ripose il suo corpo nel cofano della sua autovettura; successivamente, nello stesso luogo, accese un falò, riprese il cadavere della bambina e lo appoggiò sulla legna ardente (ANSA, 17 gennaio 2000) e se ne sarebbe cibato, incitando lo stesso Boris e l’altra sua figlia Yasmina, 7 anni, a mangiarne alcuni pezzi (Corriere della Sera, 10 marzo 1998). Di fronte all’accusa di aver bruciato, mangiato e offerto agli altri suoi figli pezzi del corpo di Jadranka, in sede di incidente probatorio, Adzovic apparve assente a se stesso, come in catalessi. Alla domanda del proprio difensore: «Adzovic, guarda che ti stanno accusando di aver mangiato la tua bambina. Lo stesso rispose: no, non è possibile avvocato, avrai capito male». Chi, invece, rimase convinto della colpevolezza del gitano fu il PM Anna Rosa Capuozzo, che chiese la condanna dell’imputato all’ergastolo, con le aggravanti dell’occultamento del cadavere attraverso l’ingestione di alcune parti di esso. Fu proprio durante la sua requisitoria che definì l’imputato: «un serial killer cannibale», disquisendo una ricostruzione antropologica e criminologica dell’atto di

antropofagia: «Ci sono trattati e numerosi studi in cui si evince che il cannibalismo non è una pratica lontana da noi. In epoca moderna questa pratica è stata riscontrata da parte di alcuni serial killer e Adzovic è uno di questi. Il cannibalismo, a cui fa ricorso il singolo, è ormai diventata una pratica a cui fanno ricorso uomini occidentali, è un fenomeno diffusissimo. Generalmente i serial killer che ingeriscono i corpi delle loro vittime bevono alcolici, si drogano, hanno avuto una infanzia difficile e gli piace vedere il terrore negli occhi delle loro vittime, proprio come l’imputato ha fatto con la moglie e con la figlia di 5 anni. A quest’ultima infilandole un cacciavite nella schiena e minacciando gli altri due figli che lo hanno accusato» (ANSA, 9 maggio 2009). Nonostante la difesa chiese l’assoluzione facendo leva sull’inattendibilità della deposizione dei due figli minori, e sebbene la perizia psicologica, disposta dalla Corte, che ritenne i due bambini inattendibili quando raccontavano l’omicidio della so-

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rellina, la Corte di Assise di Foggia, invece, condannò lo Adzovic all’ergastolo con le aggravanti dei futili motivi, ed escluse quella relativa all’accusa di cannibalismo. Adzovic, nonostante le due condanne si è sempre proclamato innocente dando, per entrambi gli omicidi, la sua verità dei fatti e riguardo l’uccisione della figlia ha sempre ribadito: «Il corpo di Jadranka, o quel che ne resta, non è stato ancora ritrovato. Vuol dire che la bimba può essere morta, ma anche che può essere stata rapita». I fenomeni di antropofagia nel mondo degli omicidi seriali sono tutt’altro che fantasiosi. La letteratura criminologica richiama diversi assassini, che dopo aver ucciso le loro vittime, ne hanno mangiato alcune parti o bevuto il sangue come il russo Andrei Chikatilo o Jeffrey Dahmer, il mostro di Milwaukee e il personaggio di fantasia di Annibal Lecter nel Silenzio degli Innocenti. Ma il fenomeno del cannibalismo, per quanto paradossale accade anche nei giorni nostri, come è avvenuto in Russia. All’interno di una comitiva di ambigui personaggi rock, probabilmente dediti al satanismo e, come accertato dalle forze di polizia, noti consumatori di alcool, droghe ed altre sostanze/miscugli micidiali. Prima hanno ucciso una loro coetanea, poi l’hanno messa in pentola e infine l’hanno messa in un piatto accanto a delle patate. Tutto perché erano affamati e ubriachi, come hanno raccontato ai giudici. I protagonisti cannibali di questa storia sono due giovani membri ventenni di una gothic band di San Pietroburgo, accusati di aver tolto la vita ad una ragazza di sedici anni, Karina Barduchian. A inchiodare i due aguzzini è stata la testimonianza di una coinquilina che ha inconsapevolmente mangiato un piatto della carne della vittima. Alla prossima...

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Nelle foto dell’altra pagina Hannibal Lecter interpretato dall’attore Anthony Hopkins sotto Sigmund Freud In questa pagina, a fianco Andrei Chikatilo

Sopra la locandina del film Il silenzio degli innocenti a sinistra Jeffrey Dahmer


inviate le vostre foto a: rivista@sappe.it

1955 - Casa Penale Porto Azzurro (LI) Festa del Corpo (foto inviata da Francesco Perruccio)

1981 - Casa di Reclusione Porto Azzurro (LI) Festa del Corpo (foto inviata da Santo Bartolomeo)

1981 - Casa di Reclusione Porto Azzurro (LI) Festa del Corpo (foto inviata da Santo Bartolomeo)

1979 - Scuola di Portici (NA) 62° Corso Allievi AA.CC. Esercitazioni di tiro a Pontecorvo (FR) (foto inviata da Carmine Barletta)

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1986 - Casa Cirondariale Palermo - Ucciardone Festa del Corpo AA.CC. (foto inviata da Italo Giovanni Corleone)

1973 - Scuola di Cairo Montenotte (SV) Giuramento 40° Corso Allievi AA.CC. “Moncenisio” (foto inviata da Italo Giovanni Corleone)

1973 - Scuola di Cairo Montenotte (SV) Giuramento 40° Corso Allievi AA.CC. “Moncenisio” (foto inviata da Italo Giovanni Corleone)

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uesto è un libro-inchiesta sugli abusi commessi nel nostro Paese da chi veste la divisa ma non è e non vuole essere un dossier a senso unico sui crimini commessi da poliziotti o carabinieri. Gli autori delineano nelle premesse il quadro giuridico, italiano e anche europeo, nel quale operano oggigiorno le forze dell’ordine, esaminando le leggi che permettono l’uso delle armi agli Operatori di Polizia. Poi hanno intervistato poliziotti e carabinieri: lo dicono peraltro loro stessi: «Non sarebbe stato serio né corretto fare un’inchiesta sugli abusi commessi dalle forze dell’ordine senza interpellare chi veste la divisa». Hanno quindi messo insieme, uno dietro l’altro, i casi dei morti ammazzati degli ultimi 10 anni. Ne hanno contati quindici, esclusi i quattro casi più famosi di Carlo Giuliani, Federico Aldrovandi, Gabriele Sandri e Stefano Cucchi, ai quali hanno dedicato un capitolo ognuno. Chi può usare un’arma o comunque dispone di un potere coercitivo concessogli da un ruolo istituzionale, dovrebbe saper essere sempre nel giusto, irreprensibile, incorruttibile, equilibrato. Io sono convinto che gli appartenenti ai Corpo di Polizia dello Stato svolgano il proprio duro, difficile e delicato lavoro quotidiano – al servizio del Paese - con professionalità, zelo, abnegazione e soprattutto umanità. Questo libro fa seriamente riflettere perché, al di là del percorso giudiziario che ha poi caratterizzato ognuna di esse e di ricostruzioni eccessivamente forzate (come nel

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a cura di Erremme

caso del G8 di Genova o delle morti in carcere), ci racconta storie, così diverse una dall’altra, di ragazzi morti ammazzati spesso da coetanei in divisa, rappresentanti dello Stato. La tragedia nella tragedia.

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GUIDA AI LUOGHI PIU’ SEGRETI DEL MONDO CASTELVECCHI Edizioni pagg. 288 - euro 18,00

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e è vero, come è vero, che leggere un libro rappresenta uno dei modi migliori di viaggiare con la mente, questa Guida ai luoghi più segreti del mondo è in grado di fare di più perché, per la prima volta, mette nero su bianco tutti quei luoghi che i poteri forti – siano essi di carattere politico, economico, militare e spirituale – non vogliono assolutamente farvi visitare. In questo modo i tunnel sotterranei del Vaticano, il giardino dei «Banchieri della Regina» al 440 Strand di Londra, i club dove albergano le sette massoniche europee e americane o l’inquietante Area 51, la zona del nevada in cui il Governo statunitense condurrebbe esperimenti ufologici, vengono raccontate con la stessa chiarezza che ci si aspetta da una «normale» guida turistica. Un reportage sull’ignoto che comprende il fantomatico – e ufficialmente non esistente – «Club 33», creato da Walt Disney in persona, e il satanico Castello di Wewelsburg, quartier generale delle SS di Himmler, la siciliana caverna dei beati paoli e la norvegese isola di Svalbard, dove si dice vengano custoditi i semi di tutte le piante del mondo per orre rimedio a eventuali disastri ecologici. Abili nello smascherare misteri descritti come tali solo a uso e consumo dei turisti

più sprovveduti dalle situazioni di reale interdizione alla pubblica conoscenza, Klimczuk e Warner offrono al lettore un testo pieno di sorprese e la possibilità, più unica che rara, di visitare i luoghi più segreti del mondo e di svelare gli arcani a cui sono collegati.

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L’ INCUBO DI LEONARDO NORD Edizioni pagg. 366 - euro 18,60

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ilano, 1484. Nuvole di tempesta si addensano sui domini di Ludovico il Moro, minacciati dall’ambizioso duca di Pontalba. Tutte le speranze del signore di Milano sono riposte nel suo ingegnere di corte, Leonardo da Vinci, che sta mettendo a punto un’arma rivoluzionaria: una macchina volante. Ma i lavori s’interrompono bruscamente quando, nei giardini del Castello Sforzesco, viene ritrovato il cadavere del capo degli apprendisti con accanto alcuni disegni preparatori del prototipo. Il ragazzo aveva deciso di tradire il Moro e di vendere il progetto al nemico? Oppure si è sacrificato per proteggere quelle carte cosi preziose? Destreggiandosi da par suo tra i sospetti e i rancori che turbano la corte, Leonardo chiede aiuto al suo più fidato assistente, Dino, che però è costretto a muoversi con estrema cautela. Il falegname incaricato della costruzione della macchina volante è infatti suo padre, il quale ha subito riconosciuto in lui la figlia Delfina, scappata di casa un anno prima: se l’uomo rivelasse l’inganno, spezzerebbe per sempre il sogno della giovane di diventare pittrice. Divisa tra la necessità di proteggere il proprio segreto e l’obbedienza dovuta a Leonardo, Delfina dovrà attingere alle proprie riserve di coraggio e di astuzia per squarciare la fitta rete di misteri e tradimenti: in pericolo, non c’è soltanto il suo futuro, ma anche la vita del Maestro...

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TESS GERRITSEN

IL SILENZIO DEL GHIACCIO LONGANESI Edizioni pagg. 344 - euro 18,60

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oveva essere un tranquillo weekend in montagna. Maura Isles ne aveva bisogno più che mai, per staccare un po. da un lavoro, quello di anatomopatologa, che le ha fatto guadagnare il soprannome di “regina dei morti”. E per dimenticare un amore impossibile. Doveva essere un tranquillo weekend e invece va subito tutto storto. La neve comincia a cadere troppo fitta. La stradina di montagna diventa indistinguibile. Il navigatore satellitare non funziona, così come i cellulari. Basta un attimo perché l.auto esca di strada. Sopravvissuta all.incidente, Maura si addentra nel nulla per cercare soccorso. Quello che trova, però, ha dell.incredibile e del misterioso. E ha l.odore inconfondibile della morte. Forse, presto, anche della sua. Molto presto. Se per Maura sta per iniziare il peggiore degli incubi, per Jane Rizzoli, detective della polizia di Boston, sta per iniziare la caccia. Perché nonostante Maura sia scomparsa, nonostante le prove evidenti di un destino terribile, Jane non è disposta ad arrendersi. A costo di scoperchiare un segreto orribile e letale. Bellissimo ed imperdibile.

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inviate le vostre lettere a rivistae@sappe.it

Lettera al Direttore

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di Mario Caputi & Giovanni Battista De Blasis - © 1992 - 2011

pett.le Direttore Sono un orgoglioso iscritto al sindacato più rappresentativo e ne vado fiero. Con la presente vorrei ricordare che il nostro dovere è quello di garantire su tutto il territorio la sicurezza e la tranquillità di ogni cittadino, nonchè quella di tutti noi all'interno degli isitituti e per poterlo fare abbiamo diritto a svolgere un servizio che ci dia dignità, tranquillità soddisfazione che molto spesso ci vengono negati. Come sindacato avete l'obbligo di trovare soluzioni ottimali, per garantire un servizio più dignitoso, ma nell'arco della mia carriera ultraventennale, la dignità la tranquillità e la soddisfazione, sono andati sempre più a

mancare, con il risultato del collasso generale in cui versa il personale in servizio presso gli isitituti della Repubblica. E' evidente che gli obiettivi del sindacato in tutti questi anni sono stati altri, trascurando non poco la situazione di malessere e di malcontento che regna tra il personale e che negli ultimi anni si sta notevolmente manifestando. Mi auguro che in futuro il sindacato ponga fra gli obiettivi primari quello di battersi seriamente per garantire a tutti la dignità e dia a tutti la giusta serenità in servizio. L'eroe non è colui che non cade mai, ma colui che una volta caduto trova il coraggio di rialzarsi. (James Douglas Morrison) Cosimo Pazienza

Mai come oggi scarseggiano i punti di riferimento. Mai come oggi è stato così basso lo spirito di Corpo ed il senso di appartenenza. La colpa e la responsabilità di questa situazione sono da ripartire, a mio modesto avviso, tra una serie di concause che hanno interagito tra di loro. Direttori in altre faccende affaccendati, Commissari demotivati ed inesperti, Dirigenza del DAP indaffarata in sterili lotte di potere, Sindacati che si accapigliano tra di loro, noi stessi singoli agenti che non vediamo l’ora di andarcene a casa e ci sentiamo estranei all’istituzione. Però, posso aggiungere una cosa con grande convinzione Noi non ci siamo rassegnati e continueremo (come abCome potre dare torto al collega Pa- biamo sempre fatto te lo assicuro) a lotzienza? E’ sotto gli occhi di tutti lo stato tare affinchè la Polizia Penitenziaria di abbondono nel quale versa il perso- torni ad essere un Corpo unito e solidale. nale della Polizia Penitenziaria.

il mondo dell’appuntato Caputo© BRUTTI CATTIVONI DEL SAPPE, MA L’OSAPPETE O NON L’OSAPPETE CHE LE MANIFESTAZIONI CONTRO I MIEI AMICHETTI NON SI DEVONO FARE?

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