Polizia Penitenziaria - Dicembre 2011 - n. 190

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anno XVIII • n.190 • dicembre 2011

La misericordia del Papa nel carcere di Rebibbia www.poliziapenitenziaria.it



in copertina: Il Pontefice Benedetto XVI durante la visita al carcere di Roma Rebibbia.

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L’EDITORIALE La misericordia e la speranza del Papa nella sua visita al carcere romano di Rebibbia di Donato Capece

Organo Ufficiale Nazionale del S.A.P.Pe. Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria

ANNO XVIII • Numero 190 Dicembre 2011

IL PULPITO Il Calendario del Sappe, appuntamento storico del Sindacato di Giovanni Battista De Blasis

Direttore Responsabile: Donato Capece capece@sappe.it

IL COMMENTO Prospettive per una nuova esecuzione della pena

Direttore Editoriale: Giovanni Battista De Blasis deblasis@sappe.it Capo Redattore: Roberto Martinelli martinelli@sappe.it

di Roberto Martinelli

Redazione Cronaca:Umberto Vitale Redazione Politica: Giovanni Battista Durante

L’OSSERVATORIO POLITICO Il Pacchetto Carceri del Ministro della Giustizia Paola Severino

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di Giovanni Battista Durante

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CRIMINI & CRIMINALI La scomparsa di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori: crimini impuniti o misteri irrisolti ? di Pasquale Salemme

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Donato Capece Direttore Responsabile Segretario Generale del Sappe capece@sappe.it

La misericordia e la speranza del Papa nella sua visita al carcere romano di Rebibbia

I Nelle foto a destra Benedetto XVI sotto la visita di Giovanni XXIII e nell’altra pagina, quella di Giovanni Paolo II a Regina Coeli

Il Santo Padre Benedetto XVI, nel corso della sua visita nel carcere romano di Rebibbia di domenica 18 dicembre scorso, ha pronunciato un discorso di alto profilo con molte sollecitazioni su sovraffollamento, dignità e reinserimento sociale, tutte realtà al centro delle quali è da evidenziare il fondamentale ruolo svolto quotidianamente dagli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria. «Il sovraffollamento e il degrado delle carceri possono rendere ancora più amara la detenzione» ha detto, affermando anche che «c’è un abisso tra la realtà carceraria reale e quella pensata dalla legge, che prevede come elemento fondamentale la funzione rieducatrice della pena e il rispetto dei diritti e della dignità delle persone». Una denuncia forte, rispetto alla quale l’auspicio del Pontefice è che si possa «promuovere uno sviluppo del sistema carcerario, che, pur nel rispetto della giustizia, sia sempre più adeguato alle esigenze della persona umana, con il ricorso anche alle pene non detentive o a modalità diverse di detenzione». Benedetto XVI non si è spinto oltre, ma le sue parole hanno inevitabilmente infiammato il cuore e lo spirito dei presenti, anche dei poliziotti penitenziari che ogni giorno rappresentato lo Stato nel difficile contesto delle carceri italiane con professionalità, senso del dovere, spirito di abnegazione e, soprattutto, umanità. La denuncia del Sommo Pontefice è largamente condivisa nel mondo cattolico e di essa si è fatta interprete, nel suo breve discorso di saluto a Rebibbia, anche la neo ministro della Giustizia, Paola Severino, che ha voluto leggere al Papa la lettera di un detenuto di Cagliari, scritta per lamentare lo stesso disagio. «La custodia cautelare in carcere deve essere disciplinata in modo tale da rappre-

sentare una misura veramente eccezionale», ha poi affermato il ministro assicurando il proprio impegno affinchè nelle carceri si possano «coniugare entrambi i valori posti dalla Costituzione a fondamento di ogni sanzione: la riparazione e la rieducazione».

Quello di Rebibbia è stato il secondo istituto penitenziario romano visitato da Benedetto XVI, che il 18 marzo 2007 si era recato al carcere minorile di Casal Del Marmo. «Non è possibile vivere senza Dio perchè manca la luce, perchè manca il senso di cosa significa essere uomo», disse in quell’occasione ai 53 ragazzi ospiti nell’istituto, diversi familiari e rappresentanti delle organizzazioni di volontariato impegnate nel recupero dei giovani detenuti. Il suo predecessore, Giovanni Paolo II, andò invece per due volte a Rebibbia, incontrandovi la seconda volta, il 27 dicembre 1983, anche il terrorista turco Ali’ Agca, che lo aveva ferito in piazza San Pietro il 13 maggio di due anni prima. Lo stesso Giovanni Paolo II si recò anche a Regina Coeli, l’altro carcere romano, il 9 luglio 2000, in occasione del Giubileo delle Car-

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ceri. E proprio nel corso della visita chiese pubblicamente al Parlamento italiano «un gesto di clemenza in nome di Gesù, anche lui carcerato”, senza precisare se dovesse essere un’amnistia o un indulto, invocò infatti “la riduzione della pena per permettere al prigioniero di ritrovare una nuova vita sociale una volta fuori dal carcere». Al carcere romano di Regina Coeli è legato anche il ricordo di Giovanni XXIII che da poco eletto Papa vi si recò il 26 dicembre 1958. Era il primo Pontefice a mettere piede in un carcere, e fu palpabile anche l’emozione degli allora Agenti di Custodia in servizio. Tornando alle parole della Ministro Sottosegretaria, sulla eccezionalità della misura cautelare in carcere, il decreto legge approvato venerdì 16 dicembre per fronteggiare le criticità penitenziaria va indubbiamente nella giusta direzione. Le misure introdotte riducono il fenomeno delle porte girevoli e consentiranno di applicare la detenzione presso il domicilio introdotta dalla legge n.199 del 2010 per un maggior numero di detenuti. Più in dettaglio, il provvedimento introduce due modifiche nell’art. 558 del codice di procedura penale. Con la prima, si prevede che, nei casi di arresto in flagranza, il giudizio direttissimo debba essere necessariamente tenuto entro, e non oltre, le quarantotto ore dall’arresto, non essendo più consentito al giudice di fis-

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Giovanni Battista De Blasis Direttore Editoriale Segretario Generale Aggiunto del Sappe deblasis@sappe.it

sare l’udienza nelle successive quarantotto ore. Con la seconda modifica, viene introdotto il divieto di condurre in carcere le persone arrestate, per reati di non particolare gravità, prima della loro presentazione dinanzi al giudice per la convalida dell’arresto e il giudizio direttissimo. In questi casi, l’arrestato dovrà essere, di norma, custodito dalle forze di polizia, salvo che ciò non sia possibile per mancanza di adeguate strutture o per altri motivi, quali lo stato di salute dell’arrestato o la sua pericolosità. In tali casi, il pubblico ministero dovrà adottare uno specifico provvedimento motivato. Queste misure consentiranno di ridurre significativamente e con effetti immediati lo stato di tensione detentiva determinato dal numero di persone che transitano per le strutture carcerarie per periodi brevissimi (nel 2010 altre 21.000 persone sono state detenute per un periodo non superiore a tre giorni).

Il decreto legge ha, poi, previsto l’innalzamento da dodici a diciotto mesi della pena detentiva che può essere scontata presso il domicilio del condannato anziché in carcere. Secondo le stime dell’amministrazione penitenziaria, sarà così possibile estendere la platea dei detenuti ammessi alla detenzione domiciliare di altri 3.300, che si aggiungeranno agli oltre 4.000 che ad oggi hanno beneficiato della legge 199/2010. Carceri meno affollate vogliono sicuramente dire carceri più umane ma, soprattutto, migliori di condizioni di lavoro e meno stress per le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria. E con questa speranza ed augurio, formulo ai lettori di Polizia Penitenziaria SG&S, agli iscritti al SAPPE, ai poliziotti tutti ed alle rispettive famiglie i migliori auguri affinchè trascorrano in serenità le imminenti Festività.

Il calendario del Sappe Appuntamento storico del Sindacato

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ono quasi due decenni che il Sappe, puntualmente, ogni anno edita una agendina professionale ed un calendario da offrire in omaggio ai propri iscritti. Ogni anno, da quasi vent’anni, il Sappe pubblica dei prodotti editoriali originali da allegare al numero di dicembre di questa Rivista. L’agendina, dopo parecchi e parecchi tentativi editoriali di diversi contenuti e dimensioni, è diventata ormai da qualche anno un format gradito ed apprezzato da tutti, oltre che un’utile strumento professionale per le annotazioni relative al servizio svolto. Il calendario, invece, dopo le prime rudimentali versioni che prevedevano semplicemente l’abbinamento del marchio Sappe ad una versione prestampata, è finito per diventare una vera e propria espressione di creatività, talvolta anche dai contenuti artistici, che cerca ogni anno di presentare una novità grafica ed editoriale. In effetti, sulle pagine del calendario sono stati ospitati negli anni variegati soggetti dai contenuti ora istituzionali, ora sindacali, sempre però con ambizioni di originalità e gradevolezza. Sono così apparse sui muri delle stanze sindacali, degli uffici e delle case private, fotografie di colleghi in uniforme, mezzi, strutture e personaggi del Corpo di Polizia Penitenziaria, ma anche bandiere, manifestazioni ed eventi sindacali; poi vignette, disegni e caricature, copertine di questa Rivista e manifesti di campagne tesseramenti; ma anche ritratti di volti femminili, fotografie storiche del Corpo e del sindacato, specializzazioni e specialità, navi, moto e cellulari ed, infine, quest’anno, locandine cinematografiche di film che parlano di carcere. Peraltro, non posso nascondere che l’ispirazione per il calendario 2012 proviene

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dalla rubrica Cinema dietro le sbarre che tengo ormai da tanti anni su questa stessa Rivista. La rubrica, che tratta recensioni cinematografiche di film carcerari, o prison-movie come amano definirli gli anglofili, ha compiuto, ormai, più di otto anni ed ha raccontato, più o meno, centocinquanta film. E proprio da dodici di questi centocinquanta film, abbiamo tratto le locandine che sono raffigurate sul calendario 2012. A nostro parere queste dodici locandine sono le La copertina più rappresentative del del Calendario genere cinematografico Sappe 2012 e non a caso abbiamo voluto inserire per prima (gennaio) e per ultima (dicembre) proprio quelle dei due film carcerari italiani più famosi: Accadde al penitenziario, 1955, di Giorgio Bianchi con Aldo Fabrizi e Detenuto in attesa di giudizio, 1971, di Nanni Loy con Alberto Sordi. Come al solito, ci auguriamo che quello che abbiamo realizzato sia gradito ed apprezzato da tutti i nostri colleghi, ma anche da tutti gli altri addetti ai lavori e dagli altri fruitori occasionali. Ad ogni buon fine, nel giudicare il nostro impegno ed il nostro lavoro, tenete conto che tutto quello che vedete è il frutto dell’impegno e della buona volontà mia e dell’amico Mario Caputi, con le uniche risorse delle nostre idee, con i modesti mezzi del sindacato e con il sostegno economico dei nostri sponsor, che credono ed investono sulle nostre iniziative pubblicitarie. Con questo intendo dire che sarebbe più opportuno riservare la severità dei giudizi alle realizzazioni dell’amministrazione che, se non altro, dispone di mezzi e risorse praticamente illimitati e si arroga il diritto di decidere la realizzazione di prodotti editoriali della Polizia Penitenziaria senza tenere in nessun conto il parere ed il gradimento di trentanovemila uomini e donne del Corpo. E per di più con i nostri soldi.

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Roberto Martinelli Capo Redattore Segretario Generale Aggiunto del Sappe martinelli@sappe.it

Prospettive per una nuova esecuzione della pena

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Nelle foto a destra Il Presidente Mario Monti e il Presidente Giorgio Napolitano sotto il Ministro Paola Severino durante la sua visita a Cagliari

eve fare riflettere la (ennesima) denuncia del Capo dello Stato sulla situazione penitenziaria nazionale: la condizione delle carceri italiane «troppo spesso appare distante dal dettato costituzionale sulla funzione rieducativa della pena e sul rispetto dei diritti e delle dignità delle persone». Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano lo ha affermato nel messaggio inviato agli organizzatori del convegno del SEAC, il Coordinamento delle associazioni di volontariato penitenziario, dal titolo «Dal carcere alle misure alternative. La dignità dei soggetti in esecuzione penale». La condizione carceraria, ha sottolineato Napolitano, «troppo spesso appare distante dal dettato costituzionale sulla funzione rieducativa della pena e sul rispetto dei diritti e delle dignità delle persone». Un appello come tanti lanciati dal presidente della Repubblica sul sovraffollamento degli istituti di pena. Tanti, perchè quasi nulla finora è stata la risposta da parte di governo e Parlamento.

L’ultimo provvedimento approvato sul tema, praticamente un anno fa, fu il cosiddetto svuotacarceri, che consentiva la detenzione domiciliare per chi doveva scontare condanne inferiori a un anno. Ma evidentemente si è dimostrato inefficace ai fini della risoluzione dell’emergenza. Dopo i moniti lanciati quest’estate («Ripugna la

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condizione attuale delle carceri e dei detenuti», disse il Capo dello Stato nel suo intervento al Meeting di Rimini), il capo dello Stato è dunque tornato sulla questione. E, probabilmente non a caso, il presidente della Repubblica ha già ricevuto al Quirinale il ministro della Giustizia, Paola Severino. Sembrerebbero esclusi provvedimenti radicali tipo amnistia o indulto, per i quali sarebbe necessaria una maggioranza di due terzi del Parlamento. Ma, a quanto si apprende da fonti vicine al ministro, questo esecutivo potrebbe mettere in cantiere misure di alleggerimento delle carceri. Basterebbe mandare avanti proposte già presentate in Parlamento. Solo per fare alcuni esempi, ci sarebbe quella sull’archiviazione delle fattispecie di reato tenue, avanzata dal Democratico Tenaglia; o magari insistere sulla via della depenalizzazione, da sempre rimarcata dall’ex Guardasigilli, Nitto Palma; o magari ritornare su uno svuotacarceri più efficace. Al di là di cosa verrà fuori, l’appello di Napolitano sulla condizione carceraria è un

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altro segnale che accende luci diverse da quelle dell’emergenza economica sul governo Monti. Ferma restando la necessità di affrontare la crisi con misure da approvare in tempi rapidi. Una volontà, questa, espressa dalla ministro della Giustizia Paola Severino che, chiamata ad esporre il suo programma davanti alla Commissione Giustizia del Senato, ha avuto parole chiare: ne’ l’amnistia ne’ la costruzione di nuovi istituti possono essere una risposta all’emergenza sovraffollamento nelle carceri, che ha raggiunto livelli insostenibili. A sorpresa, la Guardasigilli ha rilanciato il braccialetto elettronico tra le misure alternative alla detenzione sulle quali bisogna puntare per alleggerire carceri che scoppiano. Un programma «necessariamente scarnificato», dai tempi limitati del governo, che «nella migliore delle ipotesi non potrà durare più di un anno», e sul quale il Guardasigilli vuole il dialogo con le forze politiche perchè proprio un governo tecnico non può portare avanti alcun progetto «senza il consenso parlamentare». Il ministro, in Parlamento, è partito dalla condizione dei detenuti (per i quali pensa anche a una Carta dei diritti) chiarendo subito: «non si può far fronte all’emergenza attuale», caratterizzata da un numero di reclusi «non sostenibile e non coniugabile con il rispetto dei diritti fondamentali della persona», con provvedimenti «provvisori» che liberano «momentaneamente» celle «destinate a riempirsi di nuovo»; ne’ con la costruzione di nuovi istituti, che pure va portata avanti, ma «richiede tempi lunghi». Bisogna puntare sulle misure alternative al carcere che possono dare risultati subito: l’allargamento della detenzione domiciliare innanzitutto, ma anche il ricorso alla messa alla prova. E in questa stessa ottica il braccialetto elettronico: un istituto che ha un grande successo in Europa e negli Stati Uniti, anche perchè raramente chi vi è sottoposto torna a delinquere (il tasso di recidiva è estremamente limitato) e che consentirebbe risparmi notevoli, visto che non ci sarebbero più i costi della detenzione per chi vi

si sottopone; ma che in Italia è stato un fallimento. Una parola che la ministro non ha usato a caso: come ha denunciato il SAPPE in più occasioni a Striscia la Notizia, la felice trasmissione di Canale 5, lo Stato paga un canone annuo di quasi 11 milioni di euro alla Telecom per 450 kit di fatto inutilizzati, per un problema tecnico che sembrava irrisolubile, (la rintracciabilità del segnale) e sul quale ora la Ministro Severino e la sua collega degli Interni hanno unito le forze. Ma la Ministro ha fatto e detto di più. Nel corso della sua prima visita in un carcere, a Cagliari, ha sottolineato che «è un impegno serio del ministero della Giustizia trovare le risorse necessarie ad affrontare il problema degli organici degli agenti di polizia penitenziaria. Faremo di tutto per trovarle. I beni confiscati alla criminalità organizzata potrebbero rappresentare una fonte importante». «La lotta contro la criminalità può andare a favore della redenzione e del reinserimento sociale, per una migliore condizione del detenuto e una migliore situazione degli agenti di polizia penitenziaria, che svolgono un lavoro duro in condizioni difficili e rispetto ai quali, quindi, un riconoscimento di forze adeguato è assolutamente indispensabile». Severino si è detta «commossa» dopo aver parlato con detenuti e agenti del sovraffollato carcere di Buoncammino, dove qualche giorno fa si è uccisa la detenuta Monia Bellofiore, tossicodipendente, arrestata assieme al marito per l’omicidio della madre. «Ho incontrato le compagne di cella di Monia - ha riferito la ministro Erano tutte commosse e hanno fatto una cosa che mi ha ancora di più emozionato: hanno voluto ringraziare le agenti di Polizia Penitenziaria che erano intervenute nella cella. Vuol dire che tra agente e detenuto c’è un rapporto che può essere di solidarietà. C’è una professionalità degli agenti e dei funzionari che va continuamente migliorando. Vivono in una situazione pesante, devono avere spiccate doti di umanità e professionalità e io le ho percepite in questo carcere, anche attraverso i detenuti».

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Non le ho trovate frasi di circostanza, queste. Tutt’altro. Il ministro della Giustizia Paola Severino ha quindi detto di puntare sulle misure alternative alla detenzione per affrontare l’emergenza del sovraffollamento delle carceri italiane. «Sto preparando un decreto, non posso entrare nei dettagli ora, sarebbe scorretto. Prima devo presentarlo al Governo», ha spiegato all’uscita del carcere di Buoncammino, a Cagliari. «Le misure cui sto lavorando sono la detenzione domiciliare, la messa in prova, forma che veniva utilizzata solo per i minori in alternativa alla carcerazione e che potrebbe essere tranquillamente estesa anche ai maggiorenni. Penso anche ad alcune forme di depenalizzazione che già sono state elaborate e studiate dalle commissioni che si sono succedute all’interno del ministero della Giustizia. Queste sono certamente alcune delle forme alternative al carcere che terrò presenti e inserirò nel decreto». Una frase della Guardasigilli, in particolare, mi ha colpito: «Sono qui in carcere - ha detto - perchè credo che un ministro debba potersi fare un’esperienza sul campo, cioè prima di agire debba conoscere il mondo su cui deve intervenire». Mi auguro che questa consapevolezza, questa serietà morale, questa sensibilità della Ministro Guardasigilli Paola si possa tradurre presto in provvedimenti concreti finalizzati a deflazionare le sovraffollate carceri italiane e quindi permettere alle donne e agli uomini della Polizia Peniten- Nella foto Paola ziaria di poter lavorare quotidianamente Severino nelle migliori condizioni di sicurezza e di dignità professionale.

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Giovanni Battista Durante Redazione Politica Segretario Generale Aggiunto del Sappe durante@sappe.it

Il Pacchetto Carceri del Ministro della Giustizia Paola Severino

I Nella foto il Ministro della Giustizia Paola Severino

l Consiglio dei ministri che si è riunito venerdì 16 dicembre ha approvato il decreto svuota-carceri. La semplificazione giornalistica non rende l'idea dell'insieme dei provvedimenti, atteso che non si tratta solo di un decreto per far uscire detenuti dal carcere, ma di riforme più strutturali, anche se tutto il sistema necessiterebbe di una riorganizzazione complessiva. E' comunque giusto ritenere che le riforme messe in campo dal ministro Severino siano importanti e contribuiscano ad avviare un percorso di riorganizzazione del sistema penitenziario e dell'esecuzione penale. Sono state previste due modifiche all'articolo 558 del codice di procedura penale, che disciplina la convalida dell'arresto e il giudizio per direttissima. Era previsto che nel caso in cui il giudice non tenesse udienza in quel giorno la stessa potesse essere fissata nelle quarantotto ore successive. Con la modifica introdotta il giudizio direttissimo deve essere necessariamente tenuto entro, e non oltre, le quarantotto ore successive dall'arresto. La seconda modifica prevede che le persone arrestate per reati di non particolare gravità non debbano essere portate in carcere, tranne casi eccezionali. E' questo, forse, il punto debole delle modifiche, considerato che in Italia, spesso, le eccezioni diventano la regola. Basti ricordare quanto avviene con gli uffici dei giudici per le indagini preliminari, quando devono convalidare gli arresti. Le norme di attuazione al codice di procedura penale prevedono che sia il giudice ad andare in carcere per la convalida, tranne i casi di effettiva impossibilità, nei quali dispone alla Polizia Penitenziaria la traduzione in tribunale. In Italia l'eccezione è diventata la regola,

tant'è che nel corso del 2010 sono state fatte 58000 traduzioni per tale motivo. E' sempre la Polizia Penitenziaria a portare i detenuti in udienza per le convalide, tranne casi eccezionali, legati al buonsenso di qualche giudice o di qualche ufficio, come avviene a Bologna, dove, a causa delle gravi difficoltà operative, è stato raggiunto un'intesa tra la direzione del carcere e l'ufficio GIP e da circa un anno sono i giudici che vanno in carcere a tenere le udienze. In altri casi, invece, i giudici non vanno in carcere neanche se la direzione del carcere mette a disposizione la macchina con l'autista. Il ministro Severino, durante la conferenza stampa, ha spiegato che saranno i giudici ad andare in carcere, quando l'arrestato non potrà permanere nelle celle di sicurezza delle altre Forze di Polizia. Noi abbiamo ragionevoli dubbi che ciò si verificherà. Attendiamo con fiducia. Tornando alla questione che ci occupa, la nuova disposizione prevede che, di norma, l'arrestato debba essere custodito dalle Forze di polizia che hanno operato l'arresto, salvo che ciò non sia possibile per mancanza di adeguate strutture o per altri motivi, quali lo stato di salute dell'arrestato o la sua pericolosità.

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In tali casi il pubblico ministero dovrà adottare uno specifico provvedimento motivato. Finora le altre Forze di Polizia, ossia quelle che avevano operato l'arresto, conducevano l'arrestato in carcere, con la solita motivazione che le celle di cui disponevano non erano idonee. Temiamo che continueranno a fare così ed i pubblici ministeri firmeranno i decreti di traduzione in carcere. A tal proposito si è già fatta sentire l'associazione nazionale funzionari e dirigenti della polizia di Stato, il cui presidente, in un'intervista telefonica al tg1 delle 14.00 di sabato 17 dicembre, ha già detto che le celle non sono idonee, tanto da sconsigliare che un essere umano possa rimanere in quei luoghi. Bene. Chissà cosa ne direbbero gli scettici di fare un giro a Poggioreale, all'Ucciardone, a San Vittore e in altre strutture simili, per verificare se un essere umano può stare in quelle strutture, in celle con altri sei, sette, otto detenuti, per poi uscire dopo 48 o 76 ore, perchè il giudice ha convalidato l'arresto, ma non ha emesso un provvedimento di custodia cautelare, per mancanza dei presupposti. Questa modifica dovrebbe, appunto, evitare il fenomeno delle porte girevoli, per cui una persona entra in carcere per uscire dopo pochissimi giorni. Altra importante iniziativa riguarda l'estensione da dodici a diciotto mesi della possibilità di espiare la pena presso il proprio domicilio. Già la legge 199/2010, voluta dal ministro Alfano, aveva previsto la possibilità di espiare, presso il domicilio, gli ultimi dodici mesi di pena. Lo stesso Alfano aveva inizialmente previsto che tale beneficio si estendesse fino a tre anni, ma era stato costretto dalla Lega a fare retromarcia. Secondo le stime del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria i potenziali be-

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neficiari del primo provvedimento (fino a dodici mesi) erano circa undicimila, ne sono usciti, ad oggi, circa quattromila, perchè molti sono senza fissa dimora. Le stime legate all'estensione del beneficio fanno presumere che ne usciranno circa tremila e trecento. Gli altri provvedimenti messi in cantiere dal guardasigilli riguardano: depenalizzazioni, introduzione anche per gli adulti di ciò che è già previsto per il processo minorile, vale a dire la sospensione del procedimento con messa alla prova, sospensione del procedimento per gli irreperibili, pene detentive non carcerarie, introduzione della carta dei diritti dei detenuti, stanziamento di 57 milioni di euro per l'edilizia carceraria. In questa sede intendiamo soffermarci sulla sospensione del procedimento con messa alla prova, per le altre questioni si rimanda all'approfondimento fatto dalla nostra redazione on line. Si tratta di una misura già prevista per il processo minorile, che ha dato finora buoni risultati.

L'articolo 28 del d.P.R. 448/1988 ha introdotto tale istituto, per i reati commessi dai minorenni e per i quali è prevista la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore a dodici anni. In tali casi il processo è sospeso per un periodo non superiore a tre anni. Negli altri casi per un periodo non superiore ad un anno. Il giudice affida il minorenne ai servizi minorili dell'amministrazione della giustizia, per lo svolgimento di attività di osservazione, trattamento e sostegno. Se la prova da esito positivo il reato è estinto. L'introduzione di tale istituto nel procedimento per adulti è previsto per reati non molto gravi, puniti con pene detentive non superiori a quattro anni. La sospensione con messa alla prova è rimessa a una richiesta dell’imputato e deve essere formulata non oltre la dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado. La messa alla prova consiste in una serie di prestazioni, tra le quali un’attività lavorativa di pubblica utilità, presso lo

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Stato, le Regioni, le Province ed i Comuni, o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato. L'esito positivo della prova determina l’estinzione del reato. Potrà essere concessa soltanto una volta, al massimo due, purché non si tratti di reati della medesima indole ed a condizione che il giudice ritenga che l’imputato si asterrà dal commettere ulteriori reati.

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Nella foto una seduta del Consiglio dei Ministri


Le ipocrisie del DAP sui suicidi del Personale Nel Veneto e nel Lazio qualcosa si muove...

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ontinua inarrestabile la piaga dei suicidi che vede coinvolti appartenenti alle Forze di Polizia ed alla Polizia Penitenziaria in particolare. Per quanto più direttamente ci riguarda, l’ultimo, in ordine di tempo, è avvenuto lunedì 19 dicembre a San Vito al Tagliamento, dove si è tolto la vita un Assistente Capo che lavorava a Pordenone. Lo scorso 31 ottobre, commentando la tragica notizia del suicidio a Battipaglia dell’Assistente capo di Polizia Penitenziaria Luigi Corrado, in servizio ad Avellino, il capo del Dap fece sapere di aver immediatamente istituito una commissione, presieduta dalla vice Capo Simonetta Matone, con il mandato di studiare il fenomeno del suicidio tra il personale di Polizia Penitenziaria sia dal punto di vista quantitativo, con un esame comparato del fenomeno presso le altre Forze di Polizia e sia dal punto di vista qualitativo, per l’individuazione delle Nella foto Stefano possibili cause dell’atto suicidario. La comGaletto missione ha il compito di individuare i possibili strumenti di sostegno psicologico al personale che manifesta segnali di disagio e sofferenza emotiva, legati al proprio vissuto, sia di carattere strettamente personale che lavorativo. «Spesso la persona che decide di suicidarsi non mostra segnali facilmente intercettabili, ma questo non ci esime dall’assumerci la responsabilità di mettere in atto ogni possibile strumento per prevenire i suicidi tra il nostro personale», aggiunse Ionta. «Già in passato – rilevò - il Dap ha attivato gruppi di lavoro per lo studio del fenomeno, ma evidentemente occorre intervenire con maggiore incisività, ed è questo che intendo fare, in ció sollecitato anche dalla sensibilità del Ministro della

Giustizia Dal 2000 ad oggi sono 65 i casi di suicidio tra il personale di Polizia Penitenziario, 7 si sono verificati nel corso del 2011.» Quell’immediatamente si è in realtà tradotto in un Ordine di servizio emanato dal Capo Dap solo più di un mese dopo, il 2 dicembre scorso, con il quale si è istituita una Commissione per lo studio del fenomeno dei suicidi del personale e per la formulazione di proposte tese alla definizione di un’omogenea strategia per la prevenzione del rischio derivante da stress da lavoro correlato o da altri fattori. Sarebbe curioso sapere – e come primo Sindacato della Polizia Penitenziaria abbiamo più volte sollecitato al Dipartimento di monitorare la questione – cosa concretamente è stato fatto, a livello centrale e periferico, in adempimento alle disposizioni emanate nel tempo sulla triste e tragica realtà dei poliziotti e più in generale sul benessere del Personale. Ma lo sappiamo già: praticamente zero, nulla, niente. Ed oggi ci ritroviamo con una ennesima Commissione, che peraltro non sappiamo da chi è concretamente composta, che suggerirà sicuramente ulteriori valide proposte che però, come tutte quelle fino ad oggi indicate, saranno relegate in qualche cassetto dipartimentale. Se non stoppate e boicottate da qualche solerte burocrate che, nelle sue vesti di Dirigente Generale e Provveditore regionale, ritiene di non condividere convenzioni con psicologici del lavoro per garantire pertinenti anonimi presidi a supporto del Personale di Polizia Penitenziaria, probabilmente spaventato da chissà quali spese esse possano produrre (stiamo parlando di esponenti di rilievo di una Amministrazione che fino a ieri aveva nel suo parco macchine Maserati, Jaguar, Audi A6 e super Bmw, con relativi costi di manutenzione e d’uso annessi e connessi, o che ha condiviso con altri la convenzione con la Telecom per i famosi 450 braccialetti elet-

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tronici di controllo dei detenuti costati 110 milioni di euro...). Fino ad oggi nulla di concreto è stato fatto per contrastare il disagio lavorativo ed i risultati sono sotto gli occhi di tutti, tra suicidi di poliziotti e riforme dal servizio per motivi psicologici. E i suicidi, implacabili, continuano. A queste ipocrisie e contraddizioni del DAP sembrano, per fortuna, fare da contraltare le sensibilità degli Enti locali. In Veneto, ad esempio, d’intesa con il competente Prap, le Aziende USLL offrono al personale dell’Amministrazione Penitenziaria una consulenza specialistica per fronteggiare l’eventuale disagio che può insorgere in situazioni lavorative particolarmente stressanti. Personalmente continuo a ritenere che siano altri i professionisti più appropriati per questo delicato quanto importante servizio, e cioè gli psicologi del lavoro, ma certo l’iniziativa veneta è sempre meglio del nulla. E per la prima volta anche nel Lazio verrà attivato un servizio di assistenza psicologica aziendale a sostegno degli agenti penitenziari impiegati nelle carceri di Roma, Viterbo, Velletri, Frosinone e Civitavecchia. Questo, grazie al parere favorevole espresso all’unanimità dalla commissione Risorse umane e Affari istituzionali del Consiglio regionale rispetto ad uno schema di delibera licenziato dalla giunta lo scorso 2 dicembre. Si tratta di un progetto sperimentale di counseling, finanziato con 100 mila euro, che favorirà l’incontro del personale di polizia penitenziaria con specialisti della salute mentale (psicologi, psicoterapeuti, medici psichiatri) attraverso la creazione di uno spazio individuale di ascolto e di confronto, a fronte di un tipo di lavoro particolarmente caratterizzato da episodi di stress e di burn out (affaticamento mentale, modificazioni dell’umore, disturbi psicosomatici e del sonno). Due Regioni, due iniziative concrete per una comune sensibilità. Al DAP , invece, dopo quella voluta dall’allora Capo Ettore Ferrara, si istituisce una nuova Commissione per studiare (?!) il fenomeno dei suicidi. E mentre al Dipartimento studiano, un considerevole numero di colleghi, con drammatica periodicità come dimostra il caso dell’Assistente Capo in servizio a Pordenone, continua a togliersi la vita... Roberto Martinelli

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a cura di Lady Oscar Redazione Sportiva rivista@sappe.it

Un film con Chiara Rosa: 100 metri dal Paradiso ra le imprese dei campioni delle Fiamme Azzurre potrà annoverarsi anche la partecipazione ad un film: Chiara Rosa, primatista italiana di getto del peso ed olimpionica a Pechino 2008, sarà uno degli interpreti del nuovo film diretto da Raffaele Verzillo intitolato 100 metri dal Paradiso. Le capacità di Chiara di prendere la scena si era già avuto modo di apprezzarle in pedana per l’esuberanza, la gioiosità e la capacità di dare personalità ed interesse ad una prestazione di gara che di per sé non è avvincente da seguire quanto una finale di velocità. Eppure grazie a lei agli assoluti di Padova si assieparono sugli spalti dello stadio molti di tifosi, con indosso una maglia rigorosamente rosa, per incitarla con cori e trombette piuttosto inusuali nell’atletica.

T Nelle foto in alto, Chiara Rosa sotto il regista Raffaele Verzillo e l’ attore Domenico Fortunato

Il film sarà interpretato, tra gli altri, da Domenico Fortunato (l’attore lucano che ha recitato nel ruolo di Monterosso nella serie il Commissario Rex 5) che nella nuova parte indosserà la tonaca impersonando il ruolo di un prete, Monsignor Angelo Paolini. Coprotagonista del film-commedia è il catalano Jordi Mollà, reduce da una produzione internazionale con Tom Cruise e Joh-

nny Depp, nella parte di Mario Guarrazzi, l’amico di infanzia e campione di corsa ormai in pensione. Intorno alle loro figure si sviluppa l’intera vicenda in un intreccio divertente di sport e Chiesa. Prodotto da Scripta in collaborazione con Rai Cinema, 01 Distribution, con il sostegno di Apulia Film Commission e del Coni, 100 metri dal Paradiso induce ad una riflessione profonda su contrapposte visioni della vita: quella di Mario Guarrazzi (Jordi Mollà), ex centometrista miscredente ed il Monsignor Angelo Paolini (Domenico Fortunato), sacerdote convinto della necessità che la Chiesa debba sperimentare nuove forme e nuovi linguaggi per diffondere il messaggio evangelico tra la gente comune. Tra i due, a far da ponte e a fungere da risorsa ci sarà Tommaso (Lorenzo Richelmy), il figlio di Mario, che incarnerà il desiderio di riscatto del padre Mario, invecchiato con il tarlo di non essere mai riuscito a vincere la gara regina, le olimpiadi, facendosi strada nell’atletica. Tommaso però decide di farsi prete e ciò rappresenta potenzialmente la fine di ogni carriera sportiva ed un duro colpo per Mario ed i suoi sogni di rivincita con lo sport ricercati tramite la possibile riuscita del figlio in ciò che a lui non era sportivamente mai arrivato. In soccorso di Mario arriverà però l’amico Angelo, proponendo di creare una Nazionale Olimpica in Vaticano con

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cui poter partecipare alle Olimpiadi di Londra 2012 per non negare la possibilità di conciliare due percorsi di vita molto distanti tra loro. Sul set, oltre a Fortunato e Mollà, anche Giulia Bevilacqua, presa in prestito da Distretto di Polizia) per interpretare la parte di Marcella, la sorella di Monsignor Paolini. Oltre a lei Giorgio Colangeli, Ralph Palka, Mariano Rigillo e Luis Molteni. Oltre a questo cast di alto profilo si sono improvvisati attori per l’occasione diversi sportivi professionisti tra i quali, come detto, proprio la nostra Rosa nazionale che nel film interpreterà la parte di una suora pronta a partire, schierata nella nazionale del Vaticano proprio nel getto del peso. Insieme a lei anche un campione di wrestling ed un podista del Sud America. Le riprese sono terminate lo scorso 5 dicembre e fra qualche tempo saranno più chiare le tempistiche per la proiezione. A raccontare come è nata questa nuova avventura cinematografiche ci ha pensato in una recente intervista al giornale della Calabria Domenico Fortunato: «E’ un progetto a cui sto studiando da oltre un anno e su cui ho investito molte energie» ha detto entusiasta Fortunato. «Il fatto che la sceneggiatura, letta preliminarmente dall’abate Zielinski, vicepresidente della Pontificia Commissione per il Patrimonio Culturale della Chiesa

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abbia ottenuto il gradimento anche della Segreteria di Stato vaticana - ha raccontato Fortunato- mi riempie di orgoglio. Interpretare Monsignor Paolini non ha fatto che rafforzare la mia abitudine alla preghiera». Per calarsi pienamente nel ruolo Fortunato si è avvalso di due consulenti d’eccezione: Don Giulio della Vite, segretario del cardinale Re ed il Monsignor Franco Camaldo, Pronotariato apostolico e cerimoniere pontificio. Per la fotografia le scene saranno impreziosite dalla collaborazione di Blasco Giurato, premio Oscar per Nuovo Cinema Paradiso. A ben guardare 100 metri dal Paradiso è la storia di un grande ideale, ma anche la storia dei sogni e delle aspirazioni di uomini e donne comuni. Ogni protagonista è a pochi metri dalla realizzazione del proprio obiettivo, al raggiungimento del proprio paradiso, e lotta,

s’impegna, si gioca il tutto per tutto pur di conquistarlo. Il film, costruito su due elementi lo sport e la religione, due temi che coinvolgono e appassionano molte persone rappresenta l’antinomia tra scarpe da corsa e mocassini felpati che attraversano i saloni Vaticani, tra una tuta ed un abito talare, tra il tempio del’ Olimpiadi e la Chiesa. E’ stato girato a Bari e in alcune zone del Salento. Tra le zone interessate dalle riprese lo Stadio San Nicola, Villa Camilla ed il Palazzo della Provincia, utilizzato per ricreare gli ambienti del Vaticano. Il film, la cui uscita è prevista a ridosso delle Olimpiadi del 2012, avrà il valore e le potenzialità di un grande evento, offrendo ai suoi protagonisti una bella vetrina sul piano internazionale. Per Chiara Rosa che a Londra 2012 punta anche nella sua vita reale d’atleta , un doppio appuntamento con una visibilità che ci auguriamo possa derivarle (e derivare con-

seguentemente alle Fiamme Azzurre), soprattutto dalle medaglie che riuscirà a mettersi al collo o dal superamento del personale, fermo restando che vederla sul grande schermo sarà senz’altro uno spettacolo nello spettacolo da non perdere.

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Nella foto Chiara Rosa in uniforme


a cura di Ciro Borrelli rappresentante Sappe ICF Roma borrelli@sappe.it

Benevento: i segni dell’unità

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i sono concluse a Benevento le celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia. L’evento durato tre giornate è stato coordinato dalla Prefettura locale. Grande contributo è stato fornito dalla Polizia Penitenziaria coordinata per l’occasione dal vice comandante Ispettore

Benevento con un concerto dal titolo Voci e Suoni dal Risorgimento seguiti dagli artisti della Compagnia Teatro senza Quartiere che ha rappresentato uno spettacolo teatrale. Tra gli ospiti della manifestazione voluta dalla direttrice Mariangela Cirigliano, ricordiamo la presenza del Senatore della

ICF Roma: un seminario sulle Competenze di gestione delle risorse umane, comunicazione e motivazione per i coordinatori dei CPA

N Nella foto Superiore Mario Pirozzi che con professioalcune fasi nalità ha garantito la sicurezza all’Istituto dell’evento Penale Minorile di AIROLA (BN), favo-

rendo così lo svolgimento dell’evento-concerto nel prestigioso teatro situato all’interno dell’I.P.M.

Repubblica Cosimo Izzo, avvocato Cassazionista, che dal 1975 al 1982 è stato Consigliere comunale di Airola, sua città di adozione e il Prefetto della Provincia di Benevento Michele Mazza. Ancora una volta la Polizia Penitenziaria del settore minorile è stata protagonista alla pari delle altre forze di polizia presenti alle celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia. Servizio di Ciro Borrelli Foto di Pasquale Ruggiero

ell’ambito del progetto di formazione riservato al personale del Corpo di Polizia Penitenziaria si è tenuto, il 14 e 15 novembre 2011, presso l’Istituto Centrale di Formazione di Roma, il secondo modulo del corso destinato ai coordinatori di Polizia Penitenziaria in servizio presso i Centri di Prima Accoglienza e ai coordinatori degli Uffici Sicurezza presso i Centri Giustizia Minorile di tutto il territorio nazionale. Il seminario è stato il prosieguo del percorso già avviato in giugno, incentrato sui temi della comunicazione, delle tecniche relazionali e della leadership. L’attività didattica è stata come sempre a cura dello staff dell’ Istituto Centrale di Formazione, con la consulenza scientifica del prof. Gioacchino Lavanco – Prorettore dell’Università degli Studi di Palermo.

Il teatro interno databile ai primi del ‘900 è una bella sala rettangolare di grande eleganza con un eccezionale soffitto a cassettoni. La sala è illuminata da un bellissimo lampadario di ottone e vetro perfettamente conservato. Ad esibirsi i musicisti del Conservatorio di

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Alessandria: giornata dedicata alla Polizia Penitenziaria con il Convegno Carcere e Territorio

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lessandria ha ospitato venerdì 16 dicembre una giornata interamente dedicata al Corpo di Polizia Penitenziaria, che il giorno prima celebrava 21 anni dalla sua istituzione. E’ stato il Consigliere Comunale Mario Bocchio ad attivarsi perché la manifestazione, promossa dal SAPPe (Sindacato Autonomo della Polizia Penitenziaria) in collaborazione con l’Amministrazione Comunale di Alessandria, si svolgesse proprio nella città piemontese. Il momento-clou è stato nel pomeriggio in Municipio, presso la Sala del Consiglio Comunale, con il convegno dal titolo: “Carcere e Territorio: società, giustizia e sicurezza”. Ha portato il saluto del Comune il Sindaco Piercarlo Fabbio, mentre nel suo intervento introduttivo il Segretario Nazionale e Regionale del SAPPe Nicola Sette ha affermato: «È giunta l’ora che tutti, a cominciare dai vertici nazionali e regionali dell’Amministrazione Penitenziaria, abbiano piena consapevolezza del problema ed affrontino l’emergenza in atto con provvedimenti seri e concreti». Gli interventi in scaletta sono stati quelli del Consigliere Regionale On. Marco Botta, dell’Assessore Comunale Gabrio Secco, dei Consiglieri Comunali Mario Bocchio e Giuseppe Bianchini, del Comandante della Polizia Municipale di Alessandria Piergiuseppe Rossi, dell’Avv. Massimo Taggiasco del Foro di Alessandria, del Segretario Provinciale del Sindacato UIL-Polizia

Antonio Antonacci, del Dirigente Sindacale del SULPM (Sindacato Unitario Lavoratori Polizia Municipale e Locale) Ezio Bassani, di Marco De Michiel, Presidente della Cooperativa sociale Magestic e dei rappresentanti regionali del Sindacato Siulp della Polizia di Stato. Moderatore è stato il Segretario Generale Aggiunto del SAPPe Roberto Martinelli, mentre le conclusioni sono state quelle di Donato Capece, Segretario Generale del SAPPe. Durante il convegno il Sindaco Fabbio ed il Consigliere Bocchio hanno premiato due atleti del Gruppo Sportivo della Polizia Penitenziaria, le Fiamme Azzurre, che si sono distinti a livello mondiale, entrambi nella specialità del Tiro a Volo Fossa Olimpica. Si tratta del vercellese Giovanni Pellielo e dell’alessandrino Marco Panizza. Al mattino, invece, è avvenuta l’ esibizione dell’ Unità Cinofila di stanza ad Asti (ricerca di sostanze stupefacenti su un’automobile e sulle persone), che si è svolta nella Piazza Libertà,

davanti al Palazzo Municipale. Ad assistere alla dimostrazione sono stati gli scolari delle scuole elementari alessandrine, alla presenza dell’ Assessore all’Istruzione Teresa Curino, dello stesso Consigliere Bocchio, del Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria Aldo Fabozzi e dei Vertici Nazionali e Regionali del SAPPe.

Palermo: il Segretario Generale Donato Capece incontra i rappresentanti del Sappe dell’ I.P.M.

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l 13 dicembre, presso l’IPM di Palermo si è tenuto un incontro tra gli esponenti locali del Sappe e il Segretario Generale Donato Capece. Si è parlato dei problemi del personale e delle strategie del Sindacato per la giustizia minorile ed in particolare per il personale di Palermo. (nella foto alcune fasi del dibattito)

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Marsala: Ispettore Superiore della Polizia Penitenziaria ritrova un’anfora romana e la consegna alla locale Soprintendenza

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nche nei mesi di ottobre e novembre, la Sicilia offre giornate primaverili, talvolta estive, con una temperatura gradevole e un mare piatto, che invitano a battute di pesca. Il 31 ottobre scorso, era una di quelle giornate. Il nostro Ispettore Superiore Vincenzo Stabile, in servizio presso la Casa Circondariale di Marsala, decide di effettuare una battuta di pesca subacquea nelle acque antistante il litorale di Marausa (TP). E’ un sub esperto, e conosce quei fondali come le sue tasche, essendo nato e cresciuto da quelle parti. Ad un tratto, su un fondale di circa 4 metri, qualcosa attrae la sua attenzione: adagiato nella sabbia sporge un oggetto nero di grosse dimensioni; è semi coperto dal fango e dalla sabbia, e non si capisce bene cosa sia: forse un residuato bellico? Il nostro Ispettore Stabile si cala e comincia

a scavare con le mani tutt’intorno all’oggetto e quando affiora un manico laterale si rende conto di avere avvistato un’anfora.

Siamo solo a trecento metri dalla costa, in direzione dell’antica Torre di avvistamento di Marausa. L’ispettore Stabile sa di avere fatto una scoperta eccezionale e quindi di impegna fino allo stremo nello scavare, svuotare l’anfora dal fango, disincrostarla, ed infine aiutato dal fratello che sta sulla barca riesce a tirare fuori dalle acque e riportare alla luce uno splendido esemplare di anfora del 2° - 3° secolo a.c., testimonianza dell’intenso traffico commerciale, in quei mari, in epoca romana. Alcuni anni fa, a poche centinaia di metri da quel punto era stata avvistato un relitto di un’antica nave romana sul quale, i sommozzatori archeologi della soprintendenza di Palermo, ancora lavorano per il recupero.

Roma: un ricordo del Maresciallo Lorenzo Casiello

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ingrazio gli Amici di questa rivista per avermi invitato a scrivere un pensiero per mio padre ed approfitto dello spazio concessomi per ricordarlo. Lorenzo Casiello (Maresciallo Maggiore Scelto dell’ex Corpo degli Agenti di Custodia) ci ha lasciati il 3 dicembre 2011 all’improvviso visto che, nonostante tutto, pur avendo superato gli 80, i suoi anni li portava splendidamente.

Quando se ne va una persona cara i momenti brutti caratterizzati da tristezza, angoscia e solitudine, paradossalmente si alternano ai ricordi belli di vita privata, familiare ma anche di lavoro. Tante sono state le testimonianze di affetto da parte dei suoi ex colleghi, alcuni ancora in servizio, testimonianze fatte anche di aneddoti e di giornate passate in allegria. Sono stati proprio gli amici, gli ex colleghi di lavoro in pensione e tuttora in servizio a darmi una conferma, semmai ce ne fosse stato bisogno, della figura di mio padre, un uomo altruista, leale, autorevole, pronto alla battuta, sul lavoro come nella vita privata. Figura irreprensibile, ha mantenuto la sua innata cordialità e precisione in tutto ciò che faceva, conquistandosi la stima e la benevolenza da parte di tutte le persone che lo hanno conosciuto. Ringrazio mio padre per avermi trasmesso l’amore per la vita, l’affetto e la dedizione che lui ha sempre avuto per il lavoro, ma soprattutto per la sua famiglia. Ed è proprio l’amore per la sua famiglia che anche negli ultimi minuti di vita gli ha dato la forza di chiamarci vicino a se e di salutarci.

Ciao caro papà

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Dopo venti anni insieme Moraldo Adolini lascia la redazione della nostra Rivista e se ne va in pensione

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l collega, e amico di sempre, Moraldo Adolini - uno dei fondatori di questa Rivista e, fin dall’inizio animatore della nostra redazione - lascia l’incarico (ed il Corpo) per ritirarsi a riposo presso il suo paese natale di Nepi. In verità, il buon Moraldo, ha cambiato di poco la sua attività perchè - trasformandosi da giornalista in giornalaio - non si è potuto sottrarre dall’apportare il suo contributo all’edicola di famiglia gestita dal figlio maggiore e dalla moglie. Non senza un pizzico di commozione, tutta la redazione di Polizia Penitenziaria SG&S saluta con affetto l’amico e collega Moraldo augurandogli un meritato riposo nel paese natio lontano dallo stress della vita moderna...

Caputi

Adolini

De Blasis

Benevento: due poliziotti dell’IPM di Airola sventano il tentativo di evasione di un minore dall’ ospedale

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l 18 Novembre scorso si è verificato l’ennesimo tentativo di evasione da parte di un detenuto minorenne che fingendosi moribondo all’Istituto Penale Minorile di Airola(BN)dove era rinchiuso, veniva ricoverato su parere dei medici dell’Ospedale civile di Benevento per essere sottoposto a osservazione.

Durante la notte sembra che il detenuto ricoverato sia tornato in perfetta forma fisica, tanto che per sottrarsi ai poliziotti si è lanciato da un’altezza di circa 4 metri, dando prova delle sue grandi doti atletiche. Purtroppo per il pericoloso detenuto, il tentativo di fuga non è andato a buon fine, perché per sua sfortuna era piantonato da due poliziotti penitenziari (iscritti al Sappe) professionisti esperti di traduzioni e piantonamenti: l’Ispettore Superiore Mario Pirozzi e l’Assistente Nicola De Mizio. L’Assistente De Mizio, al pari del suo collega, non aveva mai perso di vista il detenuto. Per cui quando il detenuto si è lanciato dalla finestra non ha esitato ad inseguirlo buttandosi anche lui. Dopo alcuni minuti, nonostante avesse riportato la frattura scomposta di un braccio, l’Assistente De Mizio è riuscito a raggiungere il detenuto in un fitto cespuglio di rovi per poi bloccarlo con l’aiuto dell’Ispettore

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Pirozzi che nel frattempo si era spostato in un’altra direzione per allertare le altre Forze di Polizia. Anche l’Ispettore Pirozzi a seguito di questa disavventura ha riportato lesioni, segnatamente una grave ferita al ginocchio. La notizia arriva dal responsabile della Segreteria Provinciale Minori di Benevento Sig. Pasquale Ruggiero. Ciro Borrelli

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a cura di Giovanni Battista De Blasis

Ghosted

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In alto la locandina sotto alcune scene del film

ack è un detenuto rinchiuso in un carcere inglese che cerca di mantenere una condotta impeccabile nella speranza di potersi riunire alla moglie. Purtroppo, però, la donna lo lascia nel giorno stesso dell’anniversario della morte del figlio e per lui la vita in prigione diventa improvvisamente insostenibile. Soltanto l’arrivo di Paul sembra dargli un nuovo motivo per andare avanti e, quando il ragazzo si lascia attrarre dalla frangia violenta di detenuti capeggiati da Clay, Jack decide di proteggerlo rischiando la sua stessa vita quando scopre di condividere con lui un tragico passato. Ghosted è l’opera prima di Craig Viveiros, che dopo aver lavorato a lungo nell’industria cinematografica come operatore e tecnico delle luci, e dopo aver diretto cortometraggi, ha fondato una sua casa di produzione, con la quale ha prodotto que-

sto film. Ghosted è un prison movie altamente professionale dal punto di vista tecnico, con ogni cosa al suo posto, dalla fotografia al montaggio, e con le ottime interpretazioni di John Lynch e Martin Compston. Viveiros ha puntato al film di genere con connotazioni fortemente drammatiche. Ghosted è una storia di dolori e segreti e mostra sin dall’inizio tutte le caratteristiche e i cliché del prison movie, dai detenuti divisi in gruppi al cattivissimo boss della sezione, dallo spaccio di droga alla corruzione della polizia, fino all’omosessualità indotta di molti carcerati. Niente di cui scandalizzarsi troppo, tutto rientra nel genere e non potrebbe essere altrimenti. Viveiros si affida all’introspezione, ai colpi di scena e all’effetto sorpresa, contando di trovare nel finale del film il coupe de theatre ad effetto. Il regista tenta fin da subito il giochetto di far credere una cosa,mentre sta andando in un’altra direzione.

Alla fine, però, non riesce ad ottenere comunque l’effetto sorpresa e accumula buchi di sceneggiatura raccontando una storia piuttosto inverosimile, senza ritmo e senza tensione emotiva. Nonostante tutto però, la gente ha applaudito ed il film è risultato di alto gradimento al Festival del Cinema di Torino.

Regia: Craig Viveiros Soggeto e Sceneggiatura: Craig Viveiros Musiche: Amory Leader, Simon Williams Fotografia: James Friend Montaggio: Kelvin Hutchins, Sam White Scenografia: Danny Rogers Costumi: Susan Gurley Effetti: Mark Meddings Produzione: Motion Picture House, London Film and Media Distribuzione: Revolver Entertainment Personaggi ed Interpreti: Jack: John Lynch Donner: David Schofield Paul: Martin Compston Clay: Craig Parkinson

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Ahmed: Art Malik Tracy: Amanda Abbington Ade: Hugh Quarshie Prigioniero: Liran Nathan Jonno: Peter Barrett Nurse Evans: Jemma Bolt Hoodie: Carl Chambers Barry: Roger Evans Prison Officer Evans: Andrew Foster Muslim Cleaner: Aymen Hamdouchi Sparky: Christopher Hatherall Prisoner Smith: James Helder Jason: Duane Henry Genere: Thriller Durata: 102 minuti Origine: Gran Bretagna, 2011

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Pasquale Salemme Segretario Nazionale del Sappe salemme@sappe.it

La scomparsa di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori: crimini impuniti o misteri irrisolti?

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Nella foto un manifesto di Emanuela Orlandi

i ha colpito molto la lettera riportata da alcuni quotidiani nazionali, il 16 dicembre scorso, di Pietro Orlandi che rivolgendosi al Papa scriveva: «Santità, mi rivolgo a lei nella sua duplice veste di capo di Stato e di rappresentante di Cristo in terra per chiederle di porre in essere tutto ciò che è umanamente possibile per accertare la verità sulla sorte della Sua connazionale Emanuela Orlandi, scomparsa a Roma il 22 giugno 1983. Il sequestro di una ragazzina è offesa gravissima ai valori religiosi e della convivenza civile: a Emanuela è stata fatta l’ingiustizia più grande, le è stata negata la possibilità di scegliere della propria vita. Ci liberi dalla straziante attesa» e concludendo «confido in un Suo forte e ispirato intervento perché, dopo 28 anni, gli organi preposti all’accertamento della verità (interni ed esterni allo Stato Vaticano) mettano in atto ogni azione e deliberazione utili a fare chiarezza sull’accaduto. Un gesto così cristiano non farebbe che dare luce al Suo altissimo magistero, liberando la famiglia di Emanuela e i tanti che le hanno voluto bene dalla straziante condanna a un’attesa perenne». Sebbene il caso Orlandi, proprio perché ancora irrisolto, non ha delle chiare sfaccettature criminali, nel senso proprio del significato, può essere annoverato tra le sconfitte dell’Italia repubblicana, per le sue implicazioni politiche, religiose e criminali. Purtroppo, cosa è successo realmente ad Emanuela e ancor prima a Mirella, ad oggi, non è dato saperlo. Le ipotesi formulate nel corso dei soli 28 anni dalla scomparsa sono diverse e possono essere sintetizzate: nello scontro interno alla Chiesa, che vedeva contrapposte le correnti dei cattomassoni agli opusiani; la pista del terrorismo internazionale, con l’avvento del Fronte di Liberazione Turco AnticristianoTurkesh; la pista degli allora famigerati ser-

vizi segreti gravitanti nella galassia sovietica (KGB e STASI), tesa ad ottenere con i due sequestri la liberazione dell’uomo che compì l’attentato al Papa, e dei suoi complici; l’onnipresente Banda della Magliana e, in ultimo, la congettura, seppur residuale che non può mai mancare, di un serial killer di famiglia nobile capitolina. Sull’argomento sono stati scritti miriadi di libri e cercare di operare una ricostruzione non spetta a me, ma ricordare, dando così il mio contributo, l’odissea di queste due famiglie che ancora oggi non sanno che fine abbiano fatto le proprie figlie è un dovere di tutti noi. Nel lontano 1983, ricordo che mia madre rimase molto scossa dalla notizia della sparizione di due ragazze a Roma. Le scomparse destarono l’allarme in seno alle famiglie italiane, tanto da dar vita a delle leggende metropolitane, secondo cui in alcuni negozi di abbigliamento della Capitale si celavano, nei camerini di prova, delle botole capaci di inghiottire le ragazze più belle. Ragazze che poi venivano vendute e trasferite negli harem di sceicchi benestanti. La prima ragazza, di soli 16 anni, scompare la sera del 7 maggio del 1983, nei pressi delle sua abitazione a Roma. Da allora di Mirella Gregori non si è saputo più nulla. La seconda ragazza è Emanuela Orlandi, un anno in meno di Mirella, che scompare il 22 del mese successivo, nei pressi di piazza Sant’Apollinare, sempre a Roma. La scomparsa delle due adolescenti sin dall’inizio sembra collegata a un denominatore comune: il Vaticano. Emanuela è la figlia di un commesso della Prefettura della Casa Pontificia e discende da una famiglia che lavora per la Santa Sede dai

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tempi di Pio XI. Mirella, invece, una settimana prima della scomparsa, con la sua classe aveva fatto visita al Papa, e una sua fotografia vicino al Pontefice era stata esposta per molto tempo nella sede dell’Osservatore Romano. Inoltre, il Papa nell’Angelus del 3 luglio del 1983 fa appello ai rapitori per la liberazione delle due ragazze, cosa del tutto anomala per la Chiesa che ha sempre distinto gli affari di stato da quelli religiosi. A ciò si aggiunga che qualche anno dopo la scomparsa, la madre di Mirella, durante una visita del Papa in una parrocchia del Nomentano, il 15 dicembre del 1985, riconobbe in un uomo della scorta pontificia la persona che andava a prendere regolarmente la figlia a casa. Emanuela Orlandi il giorno della scomparsa, lungo il tragitto che dal Vaticano, dove abita, la portava alla scuola di Musica Tomaso Ludovica da Victoria, dove studiava canto e flauto, incontrò uno sconosciuto che le offrì un lavoro di volantinaggio per la Avon (famosa azienda di cosmetici), prospettandogli un compenso di 375.000 Lire. Emanuela si riserva di accettare l’offerta, perché vuole chiedere il permesso ai genitori. Verso le 19,00 dopo essere uscita in anticipo dalla lezione, fu raggiunta dalla sua amica Raffaella Monti che le chiese se secondo lei le conveniva prendere l’autobus oppure andare all’appuntamento per il lavoro che le era stato proposto. Dopo averle risposto che la cifra offerta le sembrava eccessiva, l’amica le disse «fai un po’ tu!» e se ne andò a prendere l’autobus. Mirella, invece, il giorno della scomparsa uscì dalla sua abitazione di via Nomentana 91 dicendo alla madre di avere un appun-

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tamento in piazza di Porta Pia, dinanzi al monumento al bersagliere con tale Alessandro, ex compagno di scuola. Dopo aver conversato con l’amica Sonia, incontrata sotto casa, si allontanò senza far mai più ritorno a casa. L’aspetto più interessante delle due vicende, senza propendere per alcuna delle ipotesi profuse dagli inquirenti e dagli investigatori, è la presenza di personaggi o pseudo tali comuni alle due scomparse; alcuni dei quali parlano, altri non parlano, ma per loro parlano i collaboratori di giustizia o i familiari, altri ancora, pare, essere stati presenti in entrambe i casi. Il primo personaggio è Raoul Bonarelli, vicecapo della polizia vaticana (un corpo di sicurezza alternativo a quello delle guardie svizzere), che si è più volte incontrato con Mirella vicino casa della ragazza, in un bar della Nomentana (Cristiano Aramti e Yari Selvetella, in Vento giallo in Vaticano, gli enigmi insoluti dello Stato della Chiesa) e che aveva l’ufficio a meno di 30 metri dalla palazzina dove abitavano gli Orlandi, in piazzetta S. Egidio, finito sotto inchiesta, ma mai interrogato, per depistaggio. Bonarelli, convocato in Procura, avrebbe avuto ordini di non rivelare quanto accadeva in Vaticano dopo la scomparsa di Emanuela, nemmeno ai magistrati (l’Unità 25.11.2008) . Altro personaggio che parla di Emanuela è Ali Agca, l’attentatore del Papa, che inizialmente in una lettera dice di essere stato minacciato da un certo Petkov, che gli avrebbe riferito, inoltre, che Emanuela Orlandi l’avevano rapita quelli della STASI tedesca (servizi segreti della DDR). (Atti della Commissione parlamentare d’inchiesta concernente il dossier Mitrokhin e l’attività d’intelligence italiana). Dopo la sua scarcerazione, avvenuta il 18 gennaio del 2010, Agca rilascia, il giorno seguente, un intervista al quotidiano La Repubblica, in cui dichiara: «Emanuela Orlandi è viva, sta bene ed è stata rapita per chiedere la sua

liberazione. E vorrebbe pure portarla in Vaticano, magari per l’anniversario del suo rapimento. E ancora - Fin dal giorno del rapimento Emanuela viene trattata umanamente e adesso sta bene, ma subisce limitazione del contatto esterno. L’Italia non deve credere alle menzogne dei pentiti della Banda della Magliana sul caso Orlandi. Dunque Emanuela è viva, e sta bene». Nel febbraio dello stesso anno, Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, ha un colloquio con Mehmet Ali Agca, nel quale l’ex terrorista conferma l’ipotesi del rapimento per conto del Vaticano, già menzionata in una precedente telefonata del 5 Luglio 1983 e fa il nome di un cardinale, Giovanni Battista Re, ritenendolo persona informata sui fatti. Un anno dopo, la registrazione del colloquio viene pubblicata dalla trasmissione Chi l’ha visto? che censura il nome del cardinale. Pietro Orlandi, in quel momento in collegamento, comunica di essere andato a parlare con lo stesso Re, che ha smentito le parole dell’ex terrorista. L’altro personaggio è Sabrina Minardi, ex fidanzata di uno dei capi della banda della Magliana, Enrico De Pedis (Renatino), ha raccontato ai magistrati che fu il suo uomo, insieme ad altri del gruppo, a rapire la Orlandi. De Pedis era uno dei capi di quello strumento per far soldi e incutere terrore che si impose su Roma tra la fine degli anni settanta e i primi novanta. Non c’è mistero, trama, strage, intrigo romano e, a volte, anche italiano in cui non siano entrati in qualche modo uomini e personaggi della banda della Magliana. Secondo la Minardi, molti soldi della banda confluivano in conti segreti dello IOR (Istituto per le Opere Religiose), la banca vaticana, allora gestita dall’arcivescovo statunitense Paul Casimir Marcinkus. Accortosi della sparizione dei soldi, De Pedis decise di agire rapendo Emanuela Orlandi, per il sol fatto di essere

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figlia di un dipendente del Vaticano, per poi fare pressioni su Marcinkus. Se fosse vero il racconto della Minardi (e i magistrati le riconoscono una certa attendibilità) sarebbe purtroppo vera probabilmente anche la conclusione: Emanuela fu uccisa. Ad avvallare questa pista vi è anche la testimonianza di un carabiniere del Nucleo Operativo che notò la somiglianza con Enrico De Pedis, ma la cosa, stranamente, non ebbe un immediato seguito investigativo; pare che una giustificazione sarebbe nel fatto che all’epoca si riteneva il soggetto criminale latitante all’estero, ma un riscontro approfondito in merito non venne effettuato. In ultimo, lo scorso anno vi è stata un importante decisione del Vicariato capitolino che si è dichiarata disponibile a collaborare alla ricerca della verità, accogliendo gli inviti della Procura di Roma a poter ispezionare la tomba di Enrico De Pedis, sepolto nella basilica di Sant’Apollinare, e ritenuto dagli inquirenti coinvolto nel rapimento di Emanuela Orlandi. La basilica, tra l’altro, è anche l’ultimo luogo dove è stata vista Emanuela prima di sparire. Tanti personaggi oscuri e loschi, tante ipotesi, fiumi di carte e processi interminabili conclusisi senza colpevoli, con due sole certezze: Emanuela e Mirella non sono più tornate a casa.

Credo sia nostro dovere cercare di conoscere la verità, al di là` delle appartenenze, delle simpatie e di tutte le ideologie, dal momento che rappresenta un fatto etico, prima di ogni altra cosa (dott. Ferdinando Imposimato). Questo piccolo articolo è dedicato a tutte le persone scomparse e, soprattutto, ai loro familiari che continuano a pretendere di ottenere giustizia e verità. Alla prossima ...

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Nelle foto a sinistra un manifesto di Mirella Gregori sotto la facciata della Basilica di Sant’ Apollinare a Roma


Luca Pasqualoni Segretario Nazionale ANFU pasqualoni@sappe.it

Less than lethal (armi non letali) seconda parte

L

Nella foto uno spray urticante nell’altra pagina i componenti di base dello spray

a seconda giornata del seminario sul Less than Lethal è stata aperta dal capitano dell’Arma dei Carabinieri Gianfranco Peletti, esperto di tecniche di ordine pubblico, il cui intervento ha messo in risalto come la degenerazione degli scontri di piazza in occasione di manifestazioni di vario genere ha accentuato i limiti delle Forze dell’Ordine nel gestire cospicui gruppi di manifestanti violenti con gli strumenti classici in dotazione alle Forze di Polizia, strumenti non più in grado di soddisfare le moderne esigenze di ordine pubblico che si basano sulla necessità di evitare lo scontro e di provocare il minor danno possibile alle persone pacificamente manifestanti, identificando ed isolando i facinorosi, anche e soprattutto alla luce del fatto che le violenze non hanno più un carattere estemporaneo e caotico, ma sono manifestazione sempre più di gruppi tatticamente e strategicamente organizzati, capaci di dar luogo a vere e proprie guerriglie urbane che, come tali, non possono essere fronteggiate con i tradizionali gas lagrimocini, sfollagente, o idranti, ma esigono un potenziamento proporzionato alle nuove frontiere dei disordini di piazza: da qui l’adozione del tonfa in luogo del tradizionale sfollagente, dell’adozione del gas CL in luogo del tradizionale CS, già, peraltro, messo al bando dalla Convenzione di Ginevra, potendo provocare effetti collaterali anche irreversibili. Anche in Italia le Forze dell’Ordine hanno affrontato, in alcune occasioni, scontri ad alta intensità simili a quelli che già hanno interessato le Forze dell’Ordine degli Stati Uniti (rivolta di interi quartieri di Los Angeles), in Israele (intifada) e in Gran Bretagna (scontri razziali e manifestazioni in Ulster), Paesi questi che per primi hanno sviluppato la ricerca tecnologica nel settore

delle armi non letali, alcune delle quali, già testate, si sono rilevate particolarmente adatte ai compiti di contenimento di folle di rivoltosi. Si pensi alle pallottole di gomma e alle granate flashbang, ossia accecanti-assordanti, mentre si studiano altri strumenti quali sostanze collanti o scivolose per bloccare o impedire il passaggio lungo i confini di eventuali “zone rosse”, speciali cannoni per lanciarle contro i gruppi più aggressivi, miscele maleodoranti o schiume collanti che a contatto con l’area si solidificano bloccando i facinorosi o creando barriere invalicabili anche per una folla inferocita, se opportunamente corrette con sostanze repellenti o irritanti.

Sono, altresì, allo studio munizioni speciali caricate a vernice che permetterebbero di rendere facilmente distinguibili i manifestanti più facinorosi rispetto a quelli pacifici. Tutti questi sistemi sono già in dotazione sperimentale ai reparti militari statunitensi e anche ai reparti antisommossa di molte Forze di Polizia americane, mentre sono in fase di sviluppo altre armi non letali, quali emettitori acustici di ultrasuoni a bassissima frequenza in grado di provocare nausea e stordimento e quindi rendere offensivi gli aggressori (utilizzati fin dagli

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anni ’80 dai Sovietici per tenere lontani i curiosi dai perimetri di basi e poligoni militari e dagli Inglesi in Ulster) ed armi che emettono impulsi luminosi ad alta intensità e luci stroboscopiche (note anche come Dream Machine), in grado di disturbare temporaneamente la frequenza delle onde cerebrali umane, causando vertigini, disorientamento e nausea. Parimenti interessante è stato l’intervento del dirigente della polizia locale di una città del Nord, che dopo un breve preambolo sulle funzioni e sui compiti della polizia amministrativa, alla luce del nuovo dettato costituzionale che l’ha affrancata da una polizia a competenza limitata all’operatività del codice della strada, si è soffermato come la progressiva assunzione di compiti nel settore della contraffazione delle merci degli ambulanti, nell’attività di polizia giudiziaria, nell’attività di sgombero di edifici pubblici, nell’attività di contrasto al disturbo alla quiete pubblica, nella prevenzione e repressione di stupefacenti et similia, abbia determinato la necessità della dotazione dell’armamento individuale, nonché della mazzetta distanziatrice e dello spray antiaggressione che sfrutta il principio attivo del peperoncino denominato Oleoserin Capsicum con una concentrazione del 10%. Questa sostanza crea una momentanea irritazione sulla pelle e sulle mucose con cui viene a contatto. Spruzzato sul viso provoca tosse forte, lacrimazione degli occhi, abbondante produzione di muco nasale e un bruciore intensissimo, anche se dopo diversi minuti dalla contaminazione gli effetti fastidiosi passano senza lasciare traccia alcuna sia sulla persona che sugli abiti. Trattasi di sostanza legale in quanto atta alla difesa, tanto che il porto in pubblico è stata

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di Aldo Maturo* avv.maturo@gmai.com

ritenuto lecito da diversi Tribunali interessati della questione, proprio perché lo spray non ha attitudini all’offesa e non può cagionare danni alle persone, al pari dei dissuasori elettrici. Di tali spray ne esistono di due tipi a getto nebulizzante non idonei ad essere usati in locali chiusi per il rischio di portare a saturazione l’ambiente e a getto balistico da preferire per la buona capacità discriminatoria che possiedono.

Infine, il seminario si è concluso con delle simulazioni tenute dal personale della Beretta e dal personale dell’INSPT nel piazzale antistante l’Aula Magna della Scuola di Via di Brava, in cui i partecipanti hanno potuto rendersi conto, anche sperimentando di persona, quanto teorizzato nella conferenza, potendo, se del caso, cambiare l’esito dell’intervento in base all’arma non letale prescelta. Il nucleo essenziale del seminario può riassumersi nel fatto che la caratteristica della non letalità non è una componente intrinseca dell’arma, ma è legata inscindibilmente alla professionalità, all’addestramento e all’aggiornamento dell’operatore, dal momento che un errore nell’utilizzo può trasformare ciò che nasce e viene concepito come non letale in drammaticamente fatale. Infine, occorre evidenziare la scarsa partecipazione al seminario se non la totale assenza di rappresentanti dell’Amministrazione penitenziaria periferica, ormai sempre più emarginata, nonostante l’importanza dell’argomento soprattutto per il Corpo di Polizia Penitenziaria che, come già in precedenza evidenziato, per ragioni di sicurezza non può utilizzare armi nei reparti detentivi, se non in casi assolutamente eccezionali.

Visite fiscali: anche Brunetta si è arreso

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al 6 luglio, a seguito della manovra finanziaria, è cambiato il regime delle visite fiscali nelle pubbliche amministrazioni ( Legge n.111 del 15 luglio del 2011). Ne è’ stata annullata intanto l’assoluta obbligatorietà che penalizzava i dipendenti, gli uffici del personale e le spese connesse a tali controlli. La visita fiscale, in caso di malattia, resta obbligatoria sin dal primo giorno solo nei casi di assenza che precedono o seguono le giornate non lavorative. Chi era abituato ad ammalarsi il sabato, il lunedì o il giorno prima o seguente una festività, dovrà prestare maggiore attenzione al suo stato di salute. Per tutte le altre ipotesi di assenza il capo ufficio dovrà valutare la condotta complessiva del dipendente e gli oneri connessi all’effettuazione della visita, praticamente dovrà valutare il rapporto costi-risultati, anche nella considerazione che mai il medico fiscale modifica la prognosi e che la visita fiscale rappresenta solo una penalità per non far uscire l’ammalato in alcune ore del giorno. Ma anche questa penitenza è stata alleviata perché il dipendente che nel corso della malattia debba allontanarsi dall’indirizzo dichiarato durante le fasce di reperibilità, per effettuare visite mediche,prestazioni specialistiche o altri giustificati motivi deve limitarsi ad avvisare l’amministrazione. L’inserimento della voce giustificati motivi aprirà le porte ad infiniti contenziosi in sede disciplinare. “La valutazione dei giustificati motivi che consente l’allontanamento è rimessa all’amministrazione di servizio secondo le circostanze concrete ricorrenti di volta in volta, considerato che il dirigente responsabile può sempre chiedere la documentazione a supporto dell’assenza dal domicilio. In caso di visite mediche, terapie, prestazioni o accertamenti specia-

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listici il giustificativo deve consistere nell’attestazione rilasciata dal medico o dalla struttura anche privata, che hanno svolto la visita o la prestazione, fermo restando negli altri casi la facoltà di produrre una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà”. Le fasce orarie di reperibilità restano quelle fissate dal D.M. 18.12.2009 n.206 e quindi tutti i giorni (compresi quelli non lavorativi e festivi) dalle 9,00 alle 13,00 e dalle 15,00 alle 18,00. Sono esclusi dall’obbligo di rispettare le fasce di reperibilità i dipendenti per i quali l’assenza è etimologicamente riconducibile ad una delle seguenti circostanze: a) patologie gravi che richiedono terapie salvavita; b) infortuni sul lavoro; c) malattie per le quali e’ stata riconosciuta la causa di servizio; d) stati patologici sottesi o connessi alla situazione di invalidità riconosciuta. Sono altresì esclusi i dipendenti nei confronti dei quali e’ stata già effettuata la visita fiscale per il periodo di prognosi indicato nel certificato. La nuova normativa si applica a tutto il personale del pubblico impiego, compreso quelle delle Forze di Polizia, Carabinieri, etc... Non si fa cenno alla gestione telematica dei certificati che, almeno per il personale di diritto pubblico, dovrebbe continuare a poter essere acquisito in forma cartacea. Si ha l’impressione che il Ministro Brunetta, dopo il rigore dei primi tempi, abbia capito che il regime di terrorismo fiscale che aveva instaurato contro gli assenteisti non solo non ha dato i frutti sperati ma ha comportato un inutile sperpero di pubblico denaro per i farraginosi meccanismi di controllo che aveva inventato. E gli statali, almeno per questo, ringraziano. * Avvocato, già Dirigente dell’Amministrazione Penitenziaria

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Giovanni Passaro passaro@sappe.it

Il responsabile e l’ addetto al servizio di prevenzione e protezione

S

crivo a Voi del SAPPe per avere chiarimenti circa le modalità di organizzazione e di gestione dei corsi per responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP) e addetto al servizio di prevenzione e protezione (ASPP). Inoltre,vorrei conoscere quali sono i soggetti abilitati ad erogare la formazione ed i requisiti dei docenti. Ringrazio anticipatamente. Cordiali saluti.

Il D. Lgs. 81/2008 (c.d. testo unico di salute e sicurezza sul lavoro) ha confermato, all’art. 32, “le capacità e i requisiti professionali dei responsabili e degli addetti ai servizi di prevenzione e protezione interni ed esterni”. Il datore di lavoro può nominare come “Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione” - RSPP o come “Addetto al Servizio di Prevenzione e Protezione” ASPP soltanto persone, interne o esterne alla sua azienda, che abbiano una determinata qualifica professionale. In particolare, sia RSPP che ASPP devono «essere in possesso di un attestato di frequenza, con verifica dell’apprendimento, a specifici corsi di formazione adeguati alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attività lavorative». Il RSPP, inoltre, deve superare «specifici corsi di formazione in materia di prevenzione e protezione dei rischi, anche di natura ergonomica da stress lavorocorrelato, di organizzazione e gestione delle attività tecnico amministrative e di tecniche di comunicazione in azienda e di relazioni sindacali». Il d.lgs. n. 81/2008 nel valorizzare la for-

mazione dei lavoratori come uno dei principali strumenti di prevenzione e tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, prevede varie tipologie di corsi di formazione, dettando al proposito una disciplina differenziata. Per quanto riguarda, in particolare, i corsi di formazione per responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP) e di addetto al servizio di prevenzione e protezione (ASPP), i soggetti abilitati ad effettuarli sono quelli di cui al citato art. 32, comma 4, del d.lgs. n. 81/2008, il quale, a sua volta, richiama quanto previsto al punto 4 dell’Accordo sancito il 26 gennaio 2006 in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano, e successive modificazioni. Tale accordo oltre ad individuare, al punto 4.1, gli ulteriori soggetti formatori rispetto a quelli già indicati dal citato art. 32, comma 4, d.lgs. n. 81/2008, - come pure i requisiti del personale docente impiegato nell’attività formativa - al punto 4.2, stabilisce che altri soggetti, oltre a quelli espressamente indicati nel paragrafo precedente, possono esercitare attività di formazione, ricorrendo i seguenti requisiti: a) essere accreditato nella Regione o Provincia autonoma in cui intendono operare, in conformità al modello di accreditamento definito in ogni Regione e Provincia autonoma, ai sensi del decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale del 25 maggio 2001 n. 166;

esperienza almeno biennale in materia di prevenzione e sicurezza sul lavoro”. Sembra opportuno notare che, in tali casi, e, in generale, in tutti i casi in cui la normativa si limita a stabilire i requisiti minimi della formazione, senza indicare particolari soggetti abilitati allo svolgimento dei relativi corsi, gli stessi possono essere svolti da qualsiasi centro di formazione con esperienza nel settore della sicurezza in conformità alla normativa che li ha istituiti e alla eventuale disciplina dettata in materia dalle Regioni e dalle Province autonome. Per quanto riguarda, infine, la certificazione di avvenuta formazione dei RSPP e degli ASPP, la materia è disciplinata al punto 2.5 del predetto Accordo sancito in data 26 gennaio 2006, il quale prevede che gli attestati di frequenza, con verifica dell’apprendimento, vengano rilasciati dalle Regioni e Province autonome competenti per territorio, sulla base dei verbali, redatti in sede di accertamento dell’apprendimento dalle Commissioni di docenti interni, nei quali è formulato il giudizio della medesima Commissione in termini di valutazione globale. Da tale previsione sono esclusi gli attestati di frequenza rilasciati dai soggetti individuati dall’art. 32 del d.lgs. n. 81/2008 e di quelli di cui al punto 4.1 dell’Accordo stesso, che possono certificare autonomamente la avvenuta formazione.

b) dimostrare di possedere esperienza almeno biennale, maturata in ambito di prevenzione e sicurezza sul lavoro; c) dimostrare di disporre di docenti con

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La convenzione Sappe/Studio Legale Guerra Per rispondere ad una richiesta sempre più pressante dei propri iscritti, il Sappe ha stipulato una convenzione con lo Studio Legale Associato Guerra, come partner legale in materia previdenziale.

• assistenza legale nel relativo procedimento amministrativo; •assistenza nella fase giudiziale contro il relativo provvedimento negativo; • compenso professionale convenzionato.

Lo Studio Legale Associato Guerra è specializzato in materia di diritto pensionistico pubblico, civile e militare.

in materia di PENSIONE PRIVILEGIATA per il personale cessato dal servizio e/o i superstiti L’assistenza interessa: • il personale collocato in congedo senza diritto a pensione o con pensione ordinaria che possa ancora chiedere il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di infermità o lesioni riferibili al servizio stesso e la conseguente pensione privilegiata; • il personale collocato in congedo senza diritto a pensione o con pensione ordinaria, al quale sia stata negata la pensione privilegiata per non dipendenza da causa di servizio di infermità e lesioni o per non ascrivibilità delle stesse; • il personale cessato per inidoneità dal ruolo della Polizia Penitenziaria, già transitato o che debba transitare ai ruoli civili della stessa amministrazione o di altre amministrazioni, ai fini della concessione della pensione privilegiata per il servizio prestato nella polizia Penitenziaria; • il personale deceduto in servizio, ai fini della pensione indiretta privilegiata ai superstiti e di ogni altro beneficio previsto a favore degli stessi; • il personale già titolare di pensione privilegiata deceduto a causa delle medesime infermità pensionate, ai fini dei conseguimenti spettanti ai superstiti. L’assistenza comprende: • esame gratuito, legale e medico legale, del fondamento della domanda per la concessione della pensione privilegiata anche per i transitati al ruolo civile; • valutazione gratuita, legale e medico legale, del fondamento del ricorso contro il provvedimento negativo della pensione privilegiata; • valutazione gratuita, legale e medico legale, delle pensioni indirette e di riversibilità ai fini del trattamento privilegiato e dell’importo pensionistico liquidato; • assistenza nella relativa fase amministrativa e nella fase giudiziale contro il provvedimento pensionistico negativo; • compenso professionale convenzionato.

La convenzione tra il Sappe e lo Studio Legale Associato Guerra comprende • la causa di servizio e benefici connessi; • le idoneità al servizio e provvedimenti connessi: • i benefici alle vittime del dovere; • la pensione privilegiata (diretta, indiretta e di riversibilità) e gli assegni accessori su pensioni direttte e di riversibilità. La consulenza si avvale di eccellenti medici esperti di settore, collaboratori dell Studio Guerra, in grado di assistere l’interessato anche nel corso delle visite mediche collegiali in sede amministrativa e giudiziaria. In particolare, attraverso lo Studio Legale Associato Guerra , il Sappe garantisce ai propri iscritti: in materia di CAUSA DI SERVIZIO • valutazione gratuita, legale e medico legale, del fondamento della domanda per il riconoscimento della causa di servizio anche ai fini dell’equo indennizzo; • assistenza legale nella fase amministrativa; • valutazione gratuita, legale e medico legale, del fondamento del ricorso contro il provvedimento negativo di riconoscimento della causa di servizio e del’equo indennizzo; • assistenza legale nella fase giudiziale dinanzi alle competenti Sedi Giurisdizionali; • compenso professionale convenzionato. in materia di INIDONEITA’ AL SERVIZIO • valutazione legale e medico legale delle infermità oggetto di accertamento della idoneità al servizio, per la scelta strategica delle azioni da promuovere secondo gli obiettivi che intende raggiungere l’interessato; • assistenza legale nel relativo procedimento amministrativo; •assistenza nella fase giudiziale contro il provvedimento amministrativo; • assistenza amministrativa e giurisdizionale contro il provvedimento di trensito; • compenso professionale convenzionato. in materia di VITTIME DEL DOVERE • valutazione gratuita per l’accertamento della sussistenza delle condizioni di legge richieste per il diritto ai benefici previsti a favore delle vittime del dovere;

PER BENEFICIARE DELLA CONVENZIONE Gli iscritti al Sappe possono: • rivolgersi alla Segreterie Sappe di appartenenza; • rivolgersi agli avvocati Guerra presso le sedi degli studi di Roma (via Magnagrecia n.95, tel. 06.88812297), Palermo (via Marchese di Villabianca n.82, tel.091.8601104), Tolentino - MC (Galleria Europa n.14, tel. 0733.968857) e Ancona (Corso Mazzini n.78, tel. 071.54951); • visitare il sito www.avvocatoguerra.it


Codici bianco, verde, giallo e rosso: l’ennesima contraddizione tra teoria e pratica

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osso, giallo, verde, bianco. La rivoluzione nelle carceri italiane passerà attraverso questi colori, che andranno a definire i codici di classificazione dei detenuti ed il trattamento loro riservato in funzione della pericolosità del soggetto detenuto e cambieranno le modalità operative dei poliziotti penitenziari facendo loro svolgere più compiti di Polizia che non di custodia. Questa rivoluzione porta la firma di Sebastiano Ardita, già alla guida della direzione generale detenuti, che dopo nove anni ha lasciato il Dap per tornare alla procura della Repubblica di Catania. L’innovazione guarda alla nostra Carta Costituzionale, sottolinea come la rieducazione sia un obiettivo primario del trattamento penitenziario. e prevede un nuovo modello trattamentale penitenziario che prevede l’assegnazione di un codice colorato in funzione della pericolosità del soggetto detenuto. Quarantatrè pagine controfirmate dal capo del Dap, Franco Ionta, la circolare sul nuovo trattamento penitenziario - Modalità di esecuzione della pena. Un nuovo modello di trattamento che comprenda sicurezza, accoglienza e rieducazione - rappresenta una vero cambio di passo nel sistema carcerario: mira ad innovare la gestione dei detenuti comuni introducendo un codice per ogni categoria per evidenziare il livello di rischio che presenta, introduce un regime a celle aperte per i detenuti non pericolosi e garantisce più ampi spazi di trattamento e di recupero sociale. Le disposizioni non si applicano, per motivi opposti, ne’ ai detenuti del circuito alta sicurezza, ne’ a quelli in custodia attenuata per cui restano ferme le regole attualmente in vigore, se più favorevoli. Il codice bianco verrà utilizzato per individuare i detenuti che non sono stati autori di reati di violenza (i tossicodipendenti, gli extracomunitari, i nuovi poveri), e che al tempo stesso abbiano mantenuto una buona

condotta ed abbiano risposto al trattamento penitenziario. Il codice verde potrà essere individuato per identificare i soggetti autori di reati di violenza, che abbiano risposto bene al trattamento e mantenuto buona condotta. Il codice giallo è per i detenuti che abbiano realizzato violazioni disciplinari. Il codice rosso per gli autori di reati in carcere e di tentativi di evasione. I codici bianchi dovranno essere tenuti a celle aperte, e tendenzialmente anche i verdi. I codici gialli potranno essere tenuti a celle aperte dopo attenta osservazione. I codice rosso dovranno essere mantenuti chiusi. La Polizia penitenziaria perderà la funzione di custodia ed opererà con funzioni di Polizia, andando in giro per gli spazi aperti ed assicurando l’ordine, la disciplina e la sicurezza pubblica. Vengono introdotte anche nuove regole di assistenza ed un gruppo di intervento interdisciplinare per prevenire i suicidi. Si raccomanda che «i soggetti ritenuti a rischio» vengano «presi in carico dallo staff multidisciplinare, che pertanto non sarà più denominato Staff di accoglienza bensì Staff di accoglienza e sostegno. In altri termini, tale organo collegiale - rimarca la circolare - oltre a continuare a svolgere la sua funzione originaria nei confronti dei nuovi giunti, dovrà mantenere ovvero riprendere in carico tutti quei soggetti che, pur se da tempo ristretti, manifestino i sintomi un intento auto aggressivo». Lo Staff multidisciplinare dovrà agire in modo integrato con i servizi psichiatrici e sociali del territorio, avendo come riferimento un modello di intervento di comunità, secondo piani di trattamento individuali che, quando possibile, «devono tendere a un forte coinvolgimento anche dei familiari dei detenuti ed essere sottoposti a periodiche valutazioni multidisciplinari strutturate».

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Nella circolare si raccomanda inoltre la massima attenzione nella scelta dell’ubicazione del detenuto: «Tale delicata decisione dovrà avvenire tenendo conto delle indicazioni dello staff multidisciplinare, in ogni caso evitando tassativamente ogni forma di isolamento del soggetto a rischio, ma semmai, per quanto possibile, individuando compagni di detenzione umanamente e culturalmente più idonei a instaurare un rapporto proficuo con la persona in difficoltà’». All’interno della nuova normativa di riforma della sanità penitenziaria, infatti, è espressamente previsto che i presidi sanitari presenti in ogni istituto penitenziario e servizio minorile debbano adottare procedure di accoglienza che consentano di attenuare gli effetti potenzialmente traumatici della privazione della libertà e mettere in atto gli interventi necessari a prevenire atti di autolesionismo. Tra gli Obiettivi di salute e i Livelli essenziali di assistenza, infine è presente la riduzione dei suicidi e dei tentativi di suicidio, attraverso l’individuazione dei fattori di rischio. «Lo strumento da utilizzare in questi casi -spiega la circolare- risulta essere quello dell’intervento partecipato tra operatori della sanità ed operatori penitenziari, fondato su un Accordo tanto a livello centrale che a livello periferico». L’Amministrazione penitenziaria, tramite le proprie articolazioni territoriali, le regioni e le altre pubbliche amministrazioni interessate, «si impegneranno a costruire (entro tre mesi dalla pubblicazione dell’Accordo) in ogni regione, all’interno di ciascun Osservatorio permanente sulla sanità penitenziaria, un gruppo di lavoro tecnico-scientifico, composto anche da operatori penitenziari e sanitari, che avrà il compito di elaborare, sulla base delle linee guida esistenti e tenendo conto delle indicazioni degli organismi europei e dell’Oms, un programma operativo di prevenzione del rischio autole-

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sivo e suicidario in carcere». Per il Dap, il sistema necessita di essere affinato attraverso l’introduzione di tre aspetti di novità, peraltro strettamente interconnessi. Anzitutto la nuova operatività delle attività rese in staff, con particolare riguardo alla sinergia tra operatori penitenziari e sanitari; in secondo luogo l’estensione a tutta la popolazione detenuta delle iniziative mirate alla prevenzione del suicidio. E ancora la sostituzione della tradizionale attività di sorveglianza con le nuove attività di sostegno, assicurate in accordo tra le componenti dello staff, per la prevenzione del suicidio e la stretta collaborazione con altri Enti sanitari e sociali del territorio com-

nuta e individuare le sezioni da destinare ai detenuti a regime aperto. Gli elenchi dei detenuti da ammettere al regime aperto verranno inviati entro 60 giorni al provveditorato regionale competente che raccoglierà le proposte e verificherà la fondatezza della eventuale mancata attuazione del regime aperto, inviando poi, entro 30 giorni, alla direzione generale dei detenuti, il progetto completo su base regionale. L’attribuzione del codice è legata a riunioni periodiche dell’equipe dell’istituto che può rivedere in senso positivo o negativo le valutazioni sul livello di pericolosità del detenuto, comunicando ogni decisione al provveditorato.

dalla condizione di privazione della libertà e per prevenire i fenomeni autoaggressivi - o quella del 2007 che ha definito le Linee di indirizzo sulle regole di accoglienza dei detenuti provenienti dalla libertà. Provvedimenti che non sembrano avere avuto una particolare incidenza, anche perché il personale penitenziario che dovrebbe garantirne la messa in pratica (psicologi, educatori, etc.) è scarsissimo, basti pensare che mediamente un detenuto ha a disposizione dai 10 minuti ai 30 minuti di assistenza psicologica in un anno, mentre un educatore potrà dedicargli circa 1 ora ogni mese (almeno teoricamente, perché Il carcere a colori

petenti in materia (Dipartimenti salute mentale, Province, Comuni, case famiglia, volontariato sociale). L’Amministrazione penitenziaria, da parte sua, dovrà facilitare le attività riabilitative e di risocializzazione, il coinvolgimento dei familiari e la ricerca di «un sostegno, non necessariamente lavorativo, ma quanto meno consistente in attività motivanti, quali la formazione certificata». Quanto ai tempi di attuazione di questa lettera circolare, per garantire che tutti gli istituti di pena possano attuare contestualmente quanto previsto, si procederà per tappe. Intanto verrà stabilmente convocata, in ogni istituto, un’equipe per avviare il censimento della popolazione dete-

Se un detenuto viene trasferito, l’istituto che lo accoglie dovrà confermare o modificare il codice assegnatogli. Non me ne vogliano gli estensori ma - allo stato attuale, nelle condizioni in cui versano le carceri del Paese - questa nota del Dap mi sembra l’ennesimo libro dei sogni, l’ennesima circolare del Dap finalizzata più a tamponare il diffuso malcontento sulle condizioni detentive dei ristretti e su quelle lavorative dei poliziotti penitenziari che non ad introdurre concretamente innovazioni attuabili nel sistema penitenziario. E non sarebbe il primo caso: tanto per restare sul tema dei suicidi, basterebbe ricordare la circolare 26 aprile 2010 - Nuovi interventi per ridurre il disagio derivante

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nella realtà la maggior parte del tempo viene dedicato all’espletamento di pratiche burocratiche). E nulla (o quasi) si è mosso sulla formazione di alcuni agenti per prevenire i suicidi in carcere. La finalità della circolare era quella di avviare la formazione di 4-5 agenti in ciascun istituto, per dotarli delle conoscenze necessarie a valutare l’eventualità e il grado del rischio che i detenuti possano tentare il suicidio, oltre che a sostenerli nelle situazioni più critiche, quando lo psicologo non può intervenire immediatamente, per esempio nelle ore serali e notturne. Un’iniziativa resa necessaria dalla scarsità di risorse destinate al supporto psicologico

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nelle carceri e che suscitò le giuste proteste del Consiglio nazionale dell’Ordine degli Psicologi. Tutto questo è rimasto sulla carta, perchè di difficile attuazione. Non credo sarà diversamente con questa circolare, che pure in teoria è assolutamente condivisibile in ogni suo punto ma difficilmente attuabile. Sono ad esempio curioso di vedere in quali spazi potranno liberamente circolare i detenuti in carceri vecchi e fatiscenti, cito ad esempio quello di Savona, in cui sono in uso per il costante sovraffollamento celle senza finestre e gli stessi spazi sono assai ridotti... Ci si diletta, insomma, in esercizi retorici per rendere più vivibili le carceri italiane, senza però risolvere alla radice – e qui colpevole è la diffusa indifferenza della politica ai temi penitenziari - i problemi chiamati sovraffollamento, altissima presenza di persone in cella in attesa di una sentenza definitiva, percentuali di detenuti stranieri ben oltre il 60% delle presenze, numero di detenuti lavoranti irrisorio e quindi ozio penitenziario diffuso ed un carcere che non insegna e non rieduca. E nelle carceri la tensione resta altissima. Nel solo 2010, i detenuti hanno posto in essere 5.703 atti di autolesionismo (263 dei quali da donne ristrette) e 1.137 tentativi di suicidio. Le manifestazioni di protesta individuali hanno visto 6.626 detenuti fare nel corso dell’anno lo sciopero della fame, 1.553 rifiutare il vitto, 1.289 detenuti coinvolti in proteste violente con danneggiamento o incendio di beni dell’Amministrazione penitenziaria. Parlando di manifestazioni di protesta collettive sulla situazione di sovraffollamento delle carceri e sulle critiche condizioni intramurarie, nel 2010 sono state registrate 27 proteste a seguito delle quali 550 soggetti hanno fatto lo sciopero della fame, 125 quelle con rifiuto del vitto cui hanno partecipato 14.632 ristretti, ben 180 la percussione rumorosa sui cancelli e le inferriate delle celle (la cosiddetta ‘battitura’) con 36.641 detenuti coinvolti La rivolta e le violenti proteste nel penitenziario di Ancona – e di Parma e Bologna e prima ancora in molte altre carceri, tra le quali Porto Azzurro e financo i minorili di Cagliari e Bari – non sono dunque improvvisi fulmini a ciel sereno… Prima di colorare il carcere e i detenuti, bisogna risolvere i problemi alla radice...

Cambio della guardia all’Ispettorato Cappellani

L

a notizia è passata quasi inosservata ma merita di essere ripresa per sottolineare l’importante riconoscimento internazionale conferito ad una delle personalità più impegnate nell’arcipelago penitenziario italiano. Monsignor Giorgio Caniato, ispettore generale dei cappellani italiani del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria e del Dipartimento della giustizia minorile, è stato insignito a luglio a Toronto del prestigioso Premio Harward, per la sua vita dedicata ai detenuti, al Personale di Polizia ed all’Istituzione penitenziaria. Il riconoscimento arriva da Prison Fellowship International, il grande network cristiano impegnato nel mondo carcerario, che opera in 135 Paesi. Il premio, recita la motivazione diffusa dalla Radio Vaticana, è stato assegnato “come riconoscimento dei 60 anni di servizio a favore dei detenuti in Italia e per la fedele leadership come ispettore generale dei cappellani all’interno del sistema penitenziario italiano”. «Questo ambito premio – ha rilevato in un comunicato Marcella Reni, presidente della Prison Fellowship Italia Onlus (Pfit) - è un riconoscimento alla preziosa, silenziosa e instancabile opera al servizio dei detenuti e dei giovani svolta da tutti i cappellani italiani che hanno trovato in monsignor Caniato un maestro e una guida sia spirituale che professionale». L’agenzia di stampa Adnkronos ci ha recentemente ricordato che la presenza nelle carceri italiane dei cappellani è radicata da decenni. Fu durante la Seconda guerra mondiale, quando i nostri penitenziari si riempirono di detenuti politici e di prigionieri di guerra, che il problema di un coordinamento nazionale dei sacerdoti che operano fra i detenuti venne affrontato anche dal punto di vista legislativo. L’iniziativa di porre all’attenzione delle autorità religiose e civili il problema partì dal

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cappellano delle carceri Le Nuove di Torino, padre Ruggero Cipolla, il quale durante l’ultimo periodo bellico si trovò davanti a svariate e pesanti difficoltà, soprattutto per l’assistenza ai molti detenuti politici. Fu in quel periodo di tempo che accompagnò e confortò fino all’estremo supplizio 72 condannati a morte. Quindi padre Cipolla chiese all’Arcivescovo di Torino, il cardinale Maurilio Fossati, di intervenire chiedendogli di patrocinare come prima cosa un convegno nazionale dei cappellani delle Carceri italiane. Il Cardinale Fossati rispose subito positivamente alla sollecitazione ed affidò a monsignor Ferdinando Baldelli, presidente della Pontificia Commissione Assistenza, l’organizzazione del convegno che fu poi tenuto a Roma nei giorni 11, 12 e 13 novembre 1947 con la partecipazione di oltre 100 cappellani, che per la prima volta ebbero l’occasione di incontrarsi, confrontarsi, consigliarsi. L’Arcivescovo di Torino ne fu il presidente e monsignor Baldelli il programmatore, l’estensore e il coordinatore dei vari ordini del giorno. La proposta dell’ istituzione di un cappellano capo, avanzata e caldeggiata in quella sede da monsignor Baldelli e da tutti i convegnisti, fu accolta dal Ministero di Grazia e Giustizia, allora il liberale Giuseppe Grassi. Non potendo tuttavia il ministro istituire il ruolo di una nuova figura giuridica, che è di competenza del Parlamento, fu deciso il conferimento dell’incarico di Ispettore con un decreto ministeriale nell’ambito del già esistente organico dei Cappellani delle Carceri. Così primo Ispettore fu nominato mons. Giovanni Cazzaniga, fino ad allora Cappellano del Carcere San Vittore di Milano, che iniziò le sue nuove mansioni nel febbraio 1948, con ufficio prima presso la sede centrale in Piazza Cairoli nella Pontificia Commissione Assistenza, che mise a disposizione i locali e le strutture, e poi in via Giulia 52, in locali ministeriali al quarto

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piano. Nel 1963 si arrivò all’approvazione parlamentare della legge istitutiva di un posto di Ispettore fuori dell’organico dei Cappellani. E’ la legge numero 323 del 5 marzo, che istituisce un posto di Ispettore dei cappellani presso il Ministero di Grazia e Giustizia, Direzione Generale degli Istituti di Prevenzione Pena, per la vigilanza sul servizio di assistenza religiosa negli istituti. Dal 1948 questi sono stati gli Ispettori: 1. Mons. Giovanni Cazzaniga, già Cappellano di San Vittore a Milano in carica dal 1948 al 1955. 2. Mons. Francesco Pieri, contemporaneamente anche Vescovo di Orvieto in carica dal 21 luglio 1956 al 15 maggio 1961, data della sua improvvisa morte ad Acquapendente durante una cerimonia religiosa. 3. Mons. Roberto Ronca, Arcivescovo titolare di Lepanto e già prelato di Pompei, in carica dal 5 febbraio 1962 al 31 marzo 1976. 4. Mons. Cesare Curioni, già Cappellano del carcere San Vittore di Milano dal 1 febbraio 1948, in carica dal 1 aprile 1976 al 12 gennaio 1996 quando improvvisamente morì nella sua casa di Asso. 5. Mons. Giorgio Caniato, già Cappellano del carcere San Vittore di Milano dal 1 luglio 1955 e contemporaneamente dal 1959 al 1973 Cappellano dell’Istituto per i minorenni Cesare Beccaria di Milano, nominato il 9 dicembre 1996 ed entrato in servizio il 15 gennaio 1997 e tuttora in carica. Ma Monsignor Caniato, don Giorgio come tutti noi lo abbiamo sempre chiamato perché lui ha voluto e vuole così, terminerà quest’anno il suo lungo e meritorio impegno. Ed anche da queste pagine vogliamo ringraziarlo per la vicinanza e l’affetto che ha sempre concretamente dimostrato verso le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria e verso il primo Sindacato dei Baschi Azzurri, il SAPPE, partecipando ai nostri Congressi ed ai nostri Convegni. A sostituirlo nell’incarico è stato chiamato don Virgilio Balducchi, che da oltre vent’anni opera nel carcere di Bergamo, ed al quale parimenti esprimiamo le nostre felicitazioni per il prestigioso (ancorchè gravoso) incarico. In una recente intervista, don Balducchi ha assunto una ferma presa

di posizione sul sovraffollamento nelle carceri italiane che sta provocando gravi violazioni dei diritti fondamentali delle persone e della loro dignità: «l’amnistia sarebbe un atto di giustizia», ha sottolineato all’Adnkronos. «L’amnistia – ha spiegato - ora ha un senso perchè molte persone in carcere stanno subendo limitazioni dei diritti fondamentali, pensiamo alla salute, alla malattia mentale, al degrado della dignità umana. Molti diritti vengono limitati, l’amnistia sarebbe un atto di giustizia».

E tuttavia, osserva don Balducchi, «la politica su questo discorso non è disponibile. Se però questo governo riuscisse a far muovere la situazione a partire da quello che già ora si può fare, sarebbe molto. Se tutti i tossicodipendenti che chiedono di andare in comunità potessero farlo, se i malati mentali fossero accolti in strutture adeguate e gli stranieri che vogliono andare a casa li si lasciasse andare, credo che si abbatterebbe la presenza nelle carceri del 20-30%». «Il punto – ha spiegato ancora il sacerdote - è che bisognerebbe depenalizzare i reati minori, quelli fino a tre anni. In questi casi, certo se la persona non è pericolosa, la pena andrebbe scontata sul territorio. Servirebbe anche un codice penale nuovo» . Il Papa il 18 dicembre ha incontrato i detenuti nel carcere romano di Rebibbia. «Un bel gesto» commenta don Balducchi, che poi spiega quale sia la situazione delle carceri: «in carcere c’è una realtà distrutta, un’umanità che versa in condizioni disastrose, persa, con problemi sociali, tossicodipendenti, senza fissa dimora,

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malati mentali». «E’ un’umanità - prosegue - già di per se’ molto debole e abbastanza sfasciata che non dovrebbe trovarsi in carcere per essere curata dal punto di vista sociale. Bisogna evitare di continuare a fare leggi che favoriscono la carcerazione, come quella sull’immigrazione, con il reato d’immigrazione clandestina, o la cosiddetta ‘recidiva’. Non si può mettere in carcere qualcuno solo perchè si trova sul nostro territorio e non riesce ad arrabattarsi per venirne fuori». «In realtà – ha affermato ancora il sacerdote che presto assumerà l’incarico di ispettore generale dei cappellani delle carceri - abbiamo una legislazione buona, ma i tagli sociali di questi anni hanno colpito anche il mondo dei detenuti e delle comunità di accoglienza. Poi c’e’ un problema culturale, perchè la gente rischia di non capire questi discorsi. Uno sbaglia, deve pagare. Il punto è come possa riparare a quest’errore». Esiste poi un’ altra questione particolarmente delicata: «c’è il tema dei manicomi criminali – ha affermato don Balducchi qui la condizione è più disastrosa che nelle altri carceri. I detenuti si trovano in condizioni da brivido. Molti di loro rimangono dentro non perchè pericolosi ma perchè non ci sono strutture pronte ad accoglierli comunità per curarli, così si perpetua un circuito di permanenza in queste strutture». Giudizi, questi espressi da don Balducchi, che sono in buona parte condivisibili. Ma una cosa ci sentiamo di dirgli, dopo aver letto la sua intervista. Non abbiamo visto una citazione una, un pensiero uno per i Baschi Azzurri del Corpo. Sarà un caso, per carità. Ma non si dimentichi delle donne e degli uomini della Polizia Penitenziaria, don Virgilio, nel corso della sua delicata e difficile missione pastorale. Non ci dimentichi e si ricordi quando parla di carcere - anche di noi, che sistematicamente nella prima linea delle sezioni detentive delle carceri coniughiamo professionalità ed umanità. Roberto Martinelli

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Nella foto Monsignor Giorgio Caniato con Papa Benedetto XVI


STEFANO BARTEZZAGHI

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irenze, 1482. L’affascinante cortigiana Luciana Vetra è furiosa: ha fatto da modella per il grande pittore Sandro Botticelli, ma lui, dopo essersi rifiutato di pagarla, l’ha addirittura cacciata dal suo studio. Determinata a vendicarsi, la giovane ruba uno dei disegni preparatori del dipinto – una grande tavola che avrà come titolo La primavera – e cerca di rivenderlo. Tuttavia non le ci vuole molto a capire di aver commesso un tragico errore: sembra infatti che alcuni uomini potenti e senza scrupoli siano disposti a tutto − anche a ucciderla − pur di recuperare quel disegno. Disperata, Luciana chiede asilo presso la basilica di Santa Croce e viene accolta da Guido, un novizio che, incantato dalla sua bellezza, decide di aiutarla a fuggire. Consapevoli che soltanto svelando il mistero del quadro avranno salva la vita, i due intraprendono allora un viaggio che li porterà da Napoli a Pisa, da Roma a Venezia, tra nobili e assassini, pericoli e agguati, complotti e tradimenti. Scopriranno che, nell’allegoria della Primavera, si nasconde un messaggio in codice per un gruppo di cospiratori che vogliono cambiare il futuro dell’Italia…

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il drammatico esito di un fatto di cronaca nera, ma non è così. La vittima è un famoso finanziere dell’Opus Dei, per lungo tempo considerato l’anti Cuccia cattolico, Gianmario Roveraro, che quattro anni prima si era imbarcato in una misteriosa operazione finanziaria internazionale. Il suo assassino è anche il suo socio: arrestato e processato, verrà condannato all’ergastolo. Ma il processo lascia irrisolti inquietanti interrogativi sulla natura dell’affare che Roveraro stava conducendo, anche perché i guadagni di quella operazione finanziaria erano destinati in beneficenza, probabilmente a strutture collegate all’Opus Dei. Partendo dai risultati dell’inchiesta giudiziaria e indagando sulle relazioni tra i protagonisti, gli autori hanno ripercorso la vita di Roveraro e i suoi rapporti d’affari, incrinando il muro che cela i meccanismi di reclutamento e finanziamento dell’Opus Dei e svelando una galassia opaca di società controllate e gestite da uomini della prelatura. Con il rigore dell’inchiesta giornalistica e il viluppo narrativo proprio del giallo, il lettore viene proiettato in un viaggio all’interno di un mondo in cui tutto gira intorno al denaro e alla fede.

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a cura di Erremme

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llertata da una delle sue visioni, Anderle, somma sacerdotessa e Signora di Avalon, riesce a mettere in salvo il piccolo Mikantor, figlio di sua cugina, da un incendio scatenato dagli uomini di Galid, l’usurpatore del trono della loro tribù. Mikantor è infatti colui che le profezie acclamano come il Figlio di Cento Re, il guerriero che riunirà le tribù per guidarle nella battaglia contro le forze della disgregazione e del caos in cui il mondo sembra destinato a sprofondare. Perché ciò si avveri, però, Mikantor dovrà prendere coscienza del proprio destino e affrontare un percorso irto di ostacoli e rinunce, in un viaggio che lo priverà dell’affetto dei compagni e della dolce e caparbia Tirilan e che lo vedrà approdare, come schiavo, sulle lontane sponde del Mare di Mezzo. Qui le sue sorti si intrecceranno a quelle del nuovo padrone, Velantos, cui gli dei hanno riservato il compito di forgiare una spada di un materiale venuto dalle stelle, una spada invincibile che chiuderà un’era, giungendo intatta fino alle mani di re Artù...

titi e dal disincanto di alcuni militanti, braccata dalle forze dell’ordine, eppure ancora temibile e spietata, in grado di realizzare quattro sequestri di persona in diverse parti d’Italia. Per il romano Antonio Savasta, il giovane leader terrorista chiamato in Veneto a gestire il rapimento dell’ingegnere Giuseppe Taliercio, non è un mistero che si stia aprendo una nuova drammatica stagione, dall’esito quanto mai incerto. D’altra parte, lo Stato non sta a guardare. Il cerchio si stringe, si susseguono arresti eccellenti, le indagini si fanno serrate. Il commissario di polizia Rino Genova, fra gli artefici dello smantellamento della colonna genovese, viene inviato sulle tracce del gruppo che sta operando in Veneto: così i destini del terrorista e del poliziotto si intrecciano. Nella vasta letteratura sulla storia delle Brigate Rosse, questo libro rappresenta uno dei contributi più originali. Non solo perché si basa su dichiarazioni inedite sia di Savasta, sia di Genova -in grado di illuminare molti punti oscuri della parabola brigatista, ma perché mostra - grazie a testimonianze dirette - come si ricorse talvolta a trattamenti molto particolari per incrinare il muro di silenzio dei terroristi. Nicola Rao ripercorre l’epilogo della storia delle Br, dal maggio 1981 all’ottobre 1982, e in particolare l’episodio che provocò reazione finale dello Stato: il rapimento del generale americano Dozier.

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he cosa sono le Brigate Rosse nel 1981? Un’organizzazione divisa al suo interno, fiaccata dai primi pen-

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CARLO BARBER A GIUSEPPE DE CARLO LUCA DE CARLO

PRONTUARIO VIOLAZIONI AL T.U.L.P.S. E AL CODICE PENALE MAGGIOLI Edizioni pagg. 590 - euro 34,00

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li Autori di questo prezioso Prontuario si sono ispirati alla frequenza con cui ricorrono molte delle fattispecie infrazionali previste dal Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza e dal Codice Penale nonchè dalle leggi speciali connesse.

L’operatore di Polizia troverà nel Prontuario un esauriente ed aggiornato strumento di consultazione e documentazione nonchè un valido ausilio, estremamente utile ai fini della pronta individuazione delle norme e dei riferimenti per orientarsi nei vari casi concreti. Dodici le sezioni del Prontuario: dal Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza al relativo Regolamento per l’esecuzione, dalle Contravvenzioni e illeciti amministrativi previsti dal codice penale ai Pubblici esercizi per la somministrazione di alimenti e bevande. Dalle Disposizioni in materia di vendita e somministrazione di sostanze alcoliche alla Sicurezza urbana. E ancora Sicurezza alimentare e Cessione di fabbricati od immobili e ospitalità/alloggio stranieri, Manifestazioni di sorte locali e Attività diverse (già soggette al T.U.L.P.S.) ed infine Stranieri e Divieto di fumare. Utilissimo.

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inviate le vostre foto a: rivista@sappe.it

1985 - Casa Circondariale di Cagliari Picchetto alla Festa del Corpo (foto inviata da Cosimo Alessandro Serra)

1955 - Casa di reclusione di Fossombrone Pietro Pica e Lorenzo Casiello (foto inviata da Roberto Casiello)

1963 - Casa di Lavoro di Gorgona (Livorno) Festa del Corpo (foto inviata da Pietro Baia)

1979 - Scuola di Portici (NA) 62° Corso Allievi AA.CC. Esercitazioni di tiro a Pontecorvo (FR) (foto inviata da Carmine Barletta)

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ER R ATA COR R IG E La foto a pag. 32 del numero 189 di novembre 2011, relativa alla Festa del Corpo della C.C. di Taranto, è stata inviata da Alessandrino Battiloro figlio dell'app. Federico Battiloro in primo piano nella foto. Ce ne scusiamo con i lettori e gli interessati.

1975 - Scuola di Cairo Montenotte (SV) 46° Corso Allievi AA.CC. ”Gaeta” Picchetto di rappresentanza (foto inviata da Alessandro Serra

1957 - Poligono della Marina Militare di Taranto Esercitazioni di tiro (foto inviate da Alessandrino Battiloro)

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inviate le vostre lettere a rivista@sappe.it

regole generali del trattamento penitenziario e che fornisca tutte le informazioni indispensabili su servizi, strutture, orari e modalità di colloqui, corrispondenza, doveri di comportamento.

Lettera al Direttore Carta dei diritti e dei doveri del detenuto Premessa Con questo provvedimento si modifica l’Ordinamento Penitenziario, così da fornire al detenuto, al momento del suo ingresso in carcere, e ai suoi familiari, una guida in diverse lingue che indichi in forma chiara le

Lo schema di D.P.R. modifica due norme del Regolamento penitenziario introducendo la Carta dei diritti e dei doveri dei detenuti e degli internati.

I

nutile fornire la carta dei diritti ai detenuti, se questi non potranno avere la possibilità di un normale trattamento penitenziario, poichè le stesse strutture sono piene di detenuti e gli operatori a dir poco insufficienti. Noi Poliziotti Penitenziari italiani, so-

gniamo un carcere all'americana, soprattutto pulito e moderno nella struttura, nonchè autonomo nella gestione come la Germania. Inutile costruire padiglioni quando i servizi essenziali non possono essere garantiti nel restante istituto. Vogliamo anche noi carceri più dignitose, vogliamo anche noi avere la possibilità, magari 10 giorni al mese, di uscire dalle sezioni detentive per svolgere diverse mansioni dal "CARCERIERE"......!!!!! Buon Natale a tutti, io il giorno di Natale, come tanti altri colleghi, vado a sentire il puzzo delle sezioni intasate sempre di più dal fumo delle sigarette dei detenuti e dalle loro grida: «vogliamo la visita medica!!!!». Toro seduto

di Mario Caputi & Giovanni Battista De Blasis © 1992 - 2011

il mondo dell’appuntato Caputo© L A SOLUZIONE ...FINALE E’ STATA FINALMENTE TROVATA LA SOLUZIONE AL SOVRAFFOLLAMENTO: SECONDO IL CALENDARIO MAYA IL 21 DICEMBRE 2012 RISOLVEREMO TUTTI I NOSTRI PROBLEMI...

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