Polizia Penitenziaria - Febbraio 2012 - n. 192

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anno XIX • n.192 • febbraio 2012 www.poliziapenitenziaria.it

Giovanni Tamburino è il nuovo Capo del DAP



in copertina: Giovanni Tamburino, nominato di recente Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria

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L’EDITORIALE Il Sappe ha incontrato il Ministro e il nuovo Capo del DAP di Donato Capece

IL PULPITO Braccialetti elettronici “le ultime parole famose” del Vice Capo della Polizia Cirillo

ANNO XIX • Numero 192 Febbraio 2012

di Giovanni Battista De Blasis

Direttore Responsabile: Donato Capece capece@sappe.it

IL COMMENTO Approvata la Legge “salvacarceri”, una misura di civiltà giuridica

Direttore Editoriale: Giovanni Battista De Blasis deblasis@sappe.it Capo Redattore: Roberto Martinelli martinelli@sappe.it

di Roberto Martinelli

Redazione Cronaca:Umberto Vitale Redazione Politica: Giovanni Battista Durante

L’OSSERVATORIO L ’ incolmabile distanza tra Paese legale e Paese reale

Redazione Sportiva: Lady Oscar Progetto Grafico e impaginazione: © Mario Caputi (art director) www.mariocaputi.it “l’ appuntato Caputo” e “il mondo dell’appuntato Caputo” © 1992-2011 by Caputi & De Blasis (diritti di autore riservati)

di Giovanni Battista Durante

Direzione e Redazione Centrale Via Trionfale, 79/A - 00136 Roma tel. 06.3975901 r.a. - fax 06.39733669

IN PRIMO PIANO Giovanni Tamburino: ...Chi è il nuovo Capo del DAP

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MONDO PENITENZIARIO Quando è il Poliziotto Penitenziario a volare sul nido del cuculo

Finito di stampare: Febbraio 2012

di Luca Pasqualoni

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Donato Capece Direttore Responsabile Segretario Generale del Sappe capece@sappe.it

Il Sappe ha incontrato il Ministro della Giustizia Paola Severino e il nuovo Capo del DAP Giovanni Tamburino

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i è svolto mercoledì 22 febbraio scorso, nella Sala Rosario Livatino del Ministero della Giustizia, il previsto incontro tra il SAPPE e le altre Organizzazioni Sindacali dell’intero Comparto Penitenziario con la Ministro Guardasigilli avv. Paola Severino. Era presenti anche il Capo di Gabinetto Filippo Grisolia ed il Vice Capo Vittorio Paraggio, il neo insediato Capo dell’Amministrazione Penitenziaria Giovanni Tamburino, accompagnato dalla Vice Capo Matone e dal Direttore del Personale e della Formazione Turrini Vita. Nel mio intervento, disponibile nel formato audio sul nostro sito internet www.sappe.it, ho auspicato che il provvedimento recentemente licenziato dal Parlamento per contrastare la tensione nelle carceri sia il primo passo per una più complessiva e generale riforma strutturale di tutta l’esecuzione penale. Il SAPPE ha sottolineato le criticità che quotidianamente affrontano gli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria e lo stress che esso inevitabilmente produce invitando ancora una volta Ministro e Capo Dipartimento a stabilire gli organici del DAP, delle Scuole, dei Provveditorati, anche prevedendo la costituzione di un apposito tavolo tecnico. Ho denunciato come si sia perso il conto delle unità distaccate in quelle sedi; delle decine di direttori, educatori, assistenti sociali distaccati al DAP, nelle Scuole e nei Provveditorati e di come gli Istituti penitenziari patiscano le carenze nelle carceri proprio di queste figure professionali, tanto da indicare la più evidente contraddizione del Paese di avere carceri senza direttore titolari e un consistente numero di dirigenti presso la sede Dipartimentale. Il SAPPE ha sollecitato ancora una volta l’assunzione dei 551 idonei non vincitori dell’ultimo concorso per Agente ed ha evidenziato i grandi problemi che i poliziotti penitenziari devono quotidianamente affrontare in relazione ai tagli delle risorse economiche in materia di lavoro straordinario e servizi di missione fuori sede, de-

nunciando anche come buona parte dei mezzi in uso ai Nuclei Traduzioni siano inadeguati e obsoleti. «Bisogna dare serenità ai nostri poliziotti penitenziari», ho tenuto a sottolineare. Abbiamo anche suggerito una alternativa alle bombolette di gas che i ristretti detengono in cella e che spesso vengono usate come armi contro i poliziotti, come veicolo suicidario e come surrogato di stupefacente per taluni tossicodipendenti in carcere. In commercio infatti esistono altri tipi di fornelli, usati ampiamente nel settore del campeggio, che utilizzano un altro tipo di combustibile il quale per le proprie caratteristiche chimico-fisiche, non crea alcun problema di salute passiva, non può essere utilizzato per tentativi di suicidio e nemmeno può essere convertito in esplosivo artigianale. Si tratta di un combustibile alcolico che viene “rivestito” di un gel che ne determina una maggiore stabilità e trasportabilità-stoccaggio. Tale tipo di gel viene ampiamente impiegato anche nel settore militare proprio per le sue caratteristiche di efficienza-efficacia. Nel corso dell’incontro con la Guardasigilli, abbiamo infine richiamato la necessità di riallineare le carriere della Polizia Penitenziaria – ruolo direttivo, ispettori e sovrintendenti – a quelle delle altre Forze di Polizia, in modo di avere analogia di progressioni economiche e di carriere. La Ministro Severino ha assicurato attenzione ai problemi esposti, anticipando alle componenti sindacali di avere pronta una lettera al Presidente del Consiglio Monti per definire la questione connessa alla corresponsione anche al Personale di Polizia Penitenziaria degli assegni una tantum. Ha comunicato di avere dato mandato al DAP affinchè si concretizzi a breve la fattibilità di prevedere per quanto più possibile il ricorso, l’estensione e l’ampliamento alle video conferenze per il Personale dei Nuclei e, per quanto concerne lo stress psicofisico dei poliziotti, di attendere gli esiti dei lavori della Commissione istituita al DAP

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per la stipula di protocolli d’intesa finalizzati a realizzare punti di ascolto per lenire il disagio lavorativo. Ha detto che il provvedimento recentemente licenziato dal Parlamento è solo il primo passo verso una nuova concezione di esecuzione della pena che preveda il ricorso alla detenzione in carcere ai casi più gravi: ci ha informato di avere consegnato alla Camera dei Deputati, per i successi iter parlamentari, un disegno di legge che disciplini nuove forme di esecuzione della pena diverse dalla detenzione (come, ad esempio, la messa in prova e la depenalizzazione di alcuni reati). Ed ha chiesto, al SAPPE ed agli altri Sindacati, un contributo per realizzare quelle riforme che pongono al centro la dignità della detenzione e i diritti di coloro che in carcere lavorano. Il neo Capo del Dipartimento Tamburino, che abbiamo peraltro ufficialmente incontrato il successivo giovedì 23 febbraio, ha voluto chiarire, per parte sua e per evitare fraintendimenti rispetto a quel che si sente in giro, che ha grande rispetto e stima per il Corpo di Polizia Penitenziaria, che non è solo un Corpo di Polizia dello Stato di pari dignità con le altre Forze dell’Ordine – di assoluta Serie A! - ma, anzi, è di A+. Ha sottolineato di voler porre al centro della sua azione l’ottimismo quale veicolo imprescindibile per rivedere e ripensare l’azione complessiva dell’Amministrazione penitenziaria. In conclusione, ha detto che pur nel breve tempo trascorso dal suo insediamento ha già dato disposizioni per la verifica della distribuzione del Personale del DAP, compreso il Reparto Scorte, per l’accertamento di correttivi alle modalità operative del Servizio delle traduzioni nel senso appena delineato e, di concerto con il Direttore del Personale e della Formazione Turrini Vita, ha avviato la redazione delle piante organiche per il DAP, le Scuole ed i Provveditorati regionali. L’auspicio del SAPPE è che alle parole dette ed ascoltate seguano ora segnali concreti nelle direzioni indicate.

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Giovanni Battista De Blasis Direttore Editoriale Segretario Generale Aggiunto del Sappe deblasis@sappe.it

Braccialetti elettronici “le ultime parole famose” del Vice Capo della Polizia Cirillo

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raccialetti elettronici, 5mila euro l’uno. «Avremmo speso meno da Bulgari». Il Vice Capo della Polizia Francesco Cirillo: «Inoltre non hanno il Gps: se il detenuto esce di casa non è più rintracciabile» Così titolava il Corriere della Sera del 4 gennaio 2012. In effetti, il Prefetto Cirillo, in occasione di una audizione parlamentare, ha espresso un parere assolutamente negativo sul braccialetto elettronico e sulla sua applicazione, ovviamente a nome del Ministero dell’Interno in qualità di Vice Capo della Polizia. Peraltro, il parere contrario del Dipartimento della Pubblica Sicurezza segue la presa di posizione altrettanto negativa dell’ex Sottosegretario Mantovano che davanti alle telecamere di Striscia la notizia , appena qualche mese fa, ha dichiarato solennemente che giammai il suo Ministero avrebbe rinnovato l’onerosissimo contratto con Telecom per i Braccialetti elettronici (110 milioni di euro per dieci anni). Ovviamente, considerate le prese di posizione del dicastero dell’Interno ci siamo convinti (come immagino l’intera opinione pubblica) che il tentativo di introdurre il braccialetto elettronico nell’esecuzione penale italiana poteva essere considerato miseramente fallito. Invece, contro ogni previsione, nelle settimane immediatamente successive, abbiamo appreso in via informale che il Ministero dell’Interno, pare all’insaputa del Ministero della Giustizia, ha rinnovato l’accordo con Telecom contrattualizzando la fornitura di ulteriori duemila braccialetti elettronici per i prossimi cinque anni, per un ulteriore costo di nove milioni di euro. Non sto qui a raccontare con quanto e quale stupore abbiamo accolto la notizia e, pur tuttavia, superata la prima sorpresa, non abbiamo potuto fare a meno di rivol-

gerci nuovamente a Striscia la notizia per tornare a raccontare a Jimmy Ghione la paradossale evoluzione della vicenda. A nostro avviso, infatti, sono davvero tanti i tapiri d’oro che potrebbero essere distribuiti per la peripezia dei braccialetti elettronici. E puntualmente, il primo marzo scorso, il telegiornale satirico di Mediaset ha mandato in onda l’ennesimo servizio sul braccialetto elettronico del quale, per chi vuole, è possibile guardare un ampex sul nostro sito.

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Nelle foto l’inviato di “Striscia” Jimmy Ghione durante la sua ultima visita alla Segreteria Generale del Sappe

Nel frattempo, per chi altrettanto vuole, rimandiamo alla vignetta in ultima pagina dove l’appuntato Caputo racconta a suo modo la vicenda.

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Roberto Martinelli Capo Redattore Segretario Generale Aggiunto del Sappe martinelli@sappe.it

Approvata la Legge salvacarceri, una misura di civiltà giuridica

C Nella foto a destra Il Ministro della Giustizia Paola Severino

In basso a sinistra Angelino Alfano a destra Luigi Lusi

on l’approvazione definitiva dell’Aula di Montecitorio, 385 sì, 105 no e 26 astenuti, diventa legge il decreto carceri, dopo un iter che ha visto, tra il Senato e la Camera, battute d’arresto, polemiche, e soprattutto la forte opposizione di Lega (che aveva votato senza troppe resistenze la legge sulla detenzione domiciliare per gli ultimi dodici mesi di pena, presentata dall’allora Guardasigilli Alfano…) e Italia dei Valori (che pure era colonna portante di quel Governo Prodi che fu il principale ispiratore dell’indulto del 2006…). Dall’approvazione in consiglio dei ministri il 16 dicembre scorso, al sì di Palazzo Madama il 25 gennaio fino al via libera del 14 febbraio, un iter contrastato che ha portato il governo a chiedere la fiducia, votata giovedì 9 febbraio per superare l’ostruzionismo del Carroccio, pronto a dare battaglia con oltre 500 emendamenti, ed evitare il rischio di scadenza del provvedimento. E che ha visto una serie di interventi che lo hanno modificato in maniera sostanziale rispetto all’originale formulazione del governo. Non ‘svuota’ ma piuttosto ‘salva’ carceri nelle intenzioni del ministro della Giustizia, Paola Severino, che ha tra l’altro avuto modo di dichiarare: “«Mi sento molto più

colpevole delle morti in carcere per suicidio che delle conseguenze di un decreto che dovrebbe contribuire a salvare il carcere dallo stato di degrado in cui attualmente si trova». La legge 17 febbraio 2012 n. 9 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 20 febbraio scorso) è il primo intervento urgente per affrontare l’emergenza delle carceri, in cima all’agenda del Guardasigilli fin dalla sua nomina, ma che sta dentro un disegno di interventi più organici, ai quali il governo darà seguito con un disegno di legge che, come ci ha anticipato la Ministro nel corso dell’incontro in via Arenula, è stato già trasmesso alla Camera dei Deputati. Ha tenuto a sottolineare, infatti, che la legge recentemente licenziata dal Parlamento è solo il primo passo verso una nuova concezione di esecuzione della pena che preveda il ricorso alla detenzione in carcere ai casi più gravi e disciplini nuove modalità di controllo delle persone diverse dalla detenzione (come, ad esempio, la messa in prova e la depenalizzazione di alcuni reati). A tutto vantaggio del miglioramento delle condizioni di lavoro degli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria, che sono i primi a subire i disagi e le difficoltà operative per l’insostenibile situazione di tensione che si registra nelle carceri per il costante sovraffollamento delle celle. Tra le norme introdotte dalla legge ‘salva’ carceri, il ricorso prima ai domiciliari, in seconda istanza alle camere di sicurezza e solo in maniera residuale al carcere, per gli arrestati in flagranza per reati di competenza del giudice monocratico con rito direttissimo (tranne furto in appartamento, scippo, rapina ed estorsione semplici), in attesa dell’udienza di convalida che si svolge, entro 48 ore e non più 96, nel luogo in cui l’arrestato è custodito, esclusi i casi di custodia presso il domicilio; il prolunga-

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mento da 12 a 18 mesi del fine pena che si può scontare ai domiciliari, e la chiusura, entro il 31 marzo del 2013, degli Ospedali psichiatrici giudiziari. Ancora, l’estensione del regime delle visite in carcere ai parlamentari europei senza autorizzazione dell’amministrazione penitenziaria, e la cosiddetta ‘norma Lusi’, introdotta dal Senato, che amplia l’applicazione retroattiva della riparazione per ingiusta detenzione ai procedimenti con sentenza passata in giudicato dal 1° luglio 1988.

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Il punto centrale della legge riguarda gli interventi pensati per affrontare il cosiddetto fenomeno delle ‘porte girevoli’, per il quale circa 21mila persone ogni anno entrano in carcere e ne escono dopo 2 o 3 giorni, incidendo in modo consistente sul sovraffollamento. La sostanziale novità del provvedimento è la possibilità, al momento dell’arresto in flagranza e per reati non gravi, e in attesa del pronunciamento del giudice, che la persona fermata sia condotta, per le prime 48 ore, ai domiciliari, in prima istanza, poi nelle celle di sicurezza delle questure, e solo come estrema ratio in carcere. La formulazione originaria della norma prevedeva, in alternativa al carcere, solo la custodia nelle camere di sicurezza di questure e caserme. Su questo punto, come ricorderete, c’è stata una prima forte contestazione in Commissione al Senato dove, all’inizio dell’esame del provvedimento, il 4 gennaio, in un’audizione informale, il vice capo della Polizia, Prefetto Francesco Cirillo, ne denunciò l’inadeguatezza, giudicandole non idonee a ospitare i detenuti, seppure solo per 48 ore, e contestò il pericoloso aggravio che sarebbe venuto al lavoro delle forze dell’ordine, distolte così dal controllo del territorio. Affermazioni che costrinsero il ministro Severino ad una immediata replica sul fatto che le norme erano state preventivamente concordate con il Viminale e che, comunque, altro non fanno che confermare sostanzialmente ciò che il Codice di procedura penale prevede dal 1989. Da qui l’intervento dei due relatori del provvedimento, i senatori Filippo Berselli (Pdl) e Alberto Maritati (Pd) che, con un emendamento a firma congiunta, hanno introdotto gli arresti domiciliari come misura principale, in alternativa sia alle camere di sicurezza sia al carcere. A questa prima ipotesi, è stata poi apportata una modifica restrittiva, introducendo l’elemento della ‘pericolosità sociale’ come impedimento alla detenzione domiciliare. Ed è proprio sulla questione domiciliari-camere di sicurezza che si è prodotta poi un’impasse in Aula al Senato dove un emendamento della Lega, bocciato, che proponeva l’abolizione dell’intero articolo 1 del decreto, è stato

però votato da 27 franchi tiratori. E dove, in una seduta movimentata, l’ex guardasigilli, Francesco Nitto Palma, ha proposto un’ulteriore formulazione, più attenta alla tutela della sicurezza sociale, con un emendamento che introduce la variabile della disciplina degli arresti: niente domiciliari nei casi di arresto obbligatorio, ma solo per reati per i quali l’arresto è facoltativo. Un’impasse non solo tecnica, che ha portato a una frattura tra ‘falchi’ e ‘colombe’ all’interno del Pdl allo stop dell’esame per qualche giorno, risolta con un’ulteriore intervento dei due relatori che ha introdotto, accogliendo sostanzialmente le obiezioni di Palma, l’esclusione dai domiciliari per alcuni reati, giudicati di più alto allarme sociale: furto in appartamento, scippo, rapina ed estorsione semplici. I responsabili di questi reati, arrestati in flagranza, potranno essere custoditi, nell’ordine, presso le camere di sicurezza o, se non è possibile, in carcere. L’altra norma portante del provvedimento è quella che interviene su quanto già previsto da una legge voluta dall’allora ministro Angelino Alfano nel 2010 che estende, da 12 a 18 mesi, il periodo di fine pena che, sempre sulla base di una decisione del magistrato, può essere scontata presso il proprio domicilio.

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Con questa misura dovrebbero essere circa 3.300 i detenuti che potrebbero lasciare il carcere. Sempre in Senato un emendamento ha introdotto la norma che prevede la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari entro il 31 marzo 2013, e il passaggio degli internati in apposite strutture sanitarie regionali, con indicazione della copertura finanziaria, delle fonti dei finanziamenti e delle somme di spesa autorizzate. Norma che ha fatto gridare allo scandalo la Lega, che ha accusato il governo di rimettere in libertà pericolosi criminali, e che ha visto la dura replica della Ministro Severino, che parlando proprio degli Opg ha detto: «la loro chiusura non comporterà affatto il rilascio degli internati socialmente pericolosi. Nessuno vuole correre il rischio che potenziali serial killer percorrano liberamente il nostro Paese. Essi saranno ricoverati in strutture idonee alla terapia delle loro malattie mentali, ma anche adeguatamente sorvegliate per non mettere a repentaglio la tranquillità dei cittadini». Ultima novità aggiunta al testo a Palazzo Madama la norma ribattezzata ‘norma Lusi’ dal primo firmatario Luigi Lusi, in realtà sottoscritta da un ampio schieramento politico bipartisan, e passata in Senato senza grande clamore, che prolunga al 1° luglio del 1988 la retroattività delle norme del risarcimento per ingiusta detenzione: il tutto per consentire a un dirigente del Partito Democratico abruzzese, Giulio Petrilli, il partito che era di Lusi, di poter ottenere quel risarcimento. Della serie: la casta non si smentisce mai...

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Nelle foto in alto il senatore Alberto Maritati

In basso il senatore Filippo Berselli


Giovanni Battista Durante Redazione Politica Segretario Generale Aggiunto del Sappe durante@sappe.it

L’ incolmabile distanza tra Paese legale e Paese reale

I

politici sono sempre più distanti dalle esigenze della gente, così come la gente è sempre più distante dai politici e dalla politica. Questa ambivalente affermazione coinvolge, in maniera crescente, ampi settori della vita sociale. La disaffezione della gente verso la politica è sempre maggiore. I politici, ritenuti ormai una casta di intoccabili privilegiati, dal canto loro, non hanno fatto e non fanno molto per coinvolgere il popolo, i cittadini, in quel processo decisionale che i padri costituenti hanno richiamato nella nostra Carta costituzionale.

Nelle foto In primo luogo lo hanno richiamato nell’aula del l’articolo 1, comma 2, dove hanno previsto Senato nell’ a ltra pagina un comizio elettorale

che “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.” In una democrazia parlamentare rappresentativa, qual è quella italiana, i cittadini dovrebbero esercitare la sovranità, al livello più alto, attraverso i deputati ed i senatori che eleggono in Parlamento e che a seguito di tale elezione li rappresentano, ovvero, dovrebbero rappresentarli. E’ opportuno usare il condizionale, atteso che i cittadini italiani non eleggono i propri rappresentanti, almeno in maniera diretta. Infatti, attraverso il voto, i cittadini non fanno altro che esprimere il proprio consenso ad una lista di persone che i capi dei partiti hanno scelto ed indicato, non tanto in base a meriti e capacità, quanto in relazione alla più o meno funzionalità che gli stessi garantiscono rispetto ad interessi che, spesso, sono altri rispetto a quelli dei cittadini e,

più in generale, del Paese. Attraverso il vigente sistema elettorale i capi dei vari partiti e schieramenti sono riusciti, indirettamente, ad eludere un’altra importante disposizione costituzionale (art. 67), in base alla quale “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le funzioni senza vincolo di mandato.” Significando con ciò che, al contrario di quanto avrebbero voluto i padri costituenti, oggi, i membri del Parlamento non rispondono ai “propri” elettori, bensì ai capi dei partiti, i quali decidono chi candidare e chi lasciare fuori, con la logica ed evidente conseguenza che i parlamentari sono ligi al “dovere” da essi imposto, più che a quello che dovrebbe derivargli dal mandato “ricevuto”. Ricevuto da chi? Da coloro che li hanno candidati e non da coloro che li hanno eletti, o avrebbero dovuto eleggerli, se ci fosse stato un sistema elettorale maggioritario ad elezione diretta. Solo in questo caso essi risponderebbero del loro operato ai cittadini, i quali potrebbero scegliere realmente tra coloro che ritengono più capaci e meritevoli di rappresentarli in Parlamento, ma, soprattutto, potrebbero valutare il loro operato e decidere se rieleggerli, oppure mandarli a casa. Con l’attuale sistema elettorale, tra le altre cose, ci sono deputati e senatori che non hanno alcun rapporto col territorio e con i cittadini, essendo stati eletti in località diverse da quelle di residenza. Pertanto, al fine di restituire al popolo sovrano il diritto – dovere di eleggere i propri rappresentanti e di valutarne l’operato, sarebbe opportuno cambiare l’attuale sistema elettorale, da proporzionale a maggioritario secco, con elezione diretta dei candidati, preceduta, magari, dalle primarie, in modo che non siano i partiti ad indicare i candidati. Ciò restituirebbe anche maggior prestigio ed autorevolezza non solo agli elettori, ma anche agli eletti, i quali potrebbero realmente agire senza vincolo di mandato,

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senza, cioè, subire “l’influenza”, spesso nociva, dei capi partito, desiderosi, oggi come non mai, di assoggettarli al loro volere, vincolandoli più che al mandato, agli ordini di scuderia. I padri costituenti hanno richiamato nuovamente il popolo, quando si è trattato di definire l’ordinamento giurisdizionale e, quindi, la magistratura. L’articolo 101, comma 1, della Costituzione dispone che “La giustizia è amministrata in nome del popolo.” Forse, sarebbe stato opportuno aggiungere “e per il popolo”, dando così anche una funzione finalistica alla nostra giustizia, endemicamente ammalata di inefficienza e di inefficacia. Per quanto riguarda il settore penale, una causa, nei tre gradi di giudizio, dura in media sette anni e mezzo: il tempo strettamente necessario perché molti reati vadano in prescrizione. Quindi, con alcune riforme, attraverso le quali si voleva accorciare la prescrizione e dilatare i tempi dei processi non si sarebbe fatto altro che aumentare i casi di denegata giustizia ai tanti cittadini che attendono invano. Oggi, in Italia, solo l’uno/due per cento di coloro che commettono reati viene condannato, eppure le nostre carceri sono sovraffollate, con circa venticinquemila detenuti in più rispetto alla capienza regolamentare; cosa succederebbe se i condannati arrivassero al quattro/cinque per cento? Succederebbe che i detenuti, invece di essere circa sessantottomila, sarebbero circa centotrentaseimila e più. Paradossalmente, questa grave inefficienza di uno dei settori nevralgici dello Stato, ci consente di continuare a far sopravvivere, seppur perennemente con l’ossigeno, un altro settore, appendice di quello più generale denominato giustizia, che dovrebbe garantire, a coloro che hanno commesso un reato e sono stati condannati definitivamente, una volta usciti dal carcere, un adeguato reinserimento nella società, affinché gli stessi non tornino più a delinquere; affinché siano rieducati,

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come ci chiede la nostra Costituzione, all’articolo 27. Tale inefficienza determina l’assenza della certezza della pena, principio che deve essere inteso come incapacità dello Stato di individuare gli autori dei reati, di processarli e di condannarli, piuttosto che come capacità dello Stato di fare in modo che i condannati restino in carcere per tutto il tempo della pena inflitta, cosa, questa, che contrasterebbe con il generale principio della flessibilità della pena, quale corollario del richiamato articolo 27 della Costituzione. Inoltre, nelle nostre carceri, circa il 37% dei detenuti sono in attesa di giudizio, mentre l’articolo 27 della Costituzione dispone che “L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.” Nel settore civile le cose non vanno meglio: una causa dura in media più di dieci anni. Pertanto, è necessario riformare la giustizia, non con iniziative estemporanee, ma in maniera organica, accorciando i tempi dei processi, nel senso di una più celere definizione e non facendo in modo che vadano in prescrizione in tempi più rapidi, come si voleva fare non molto tempo fa. E’ altresì opportuno introdurre una reale responsabilità civile e disciplinare dei magistrati, anche attraverso un organo di autogoverno più laico di quello attuale. Oggi, quel popolo in nome del quale la giustizia viene amministrata, non ha più fiducia nella giustizia stessa, perchè chi la rappresenta, a volte, non ha l’autorevolezza richiesta. Infatti, le categorie che godono della minor fiducia dei cittadini sono proprio quelle dei magistrati e dei politici. Oggi, il popolo, più che sovrano, si sente suddito delle proprie istituzioni, spesso gui-

date da persone che non hanno l’autorevolezza morale e professionale richieste per governare una nazione; persone il più delle volte prive di quei valori fondanti, fondamentali ed inderogabili, che hanno fatto la fortuna di altri popoli, di altre nazioni e di altri stati, dove un ministro è costretto a dimettersi per aver copiato la tesi di laurea e un candidato a ritirarsi dalla competizione elettorale per aver tradito la propria moglie. Oggi, nel nostro Paese, le istituzioni sono spesso rappresentate da persone che hanno commesso fatti ben più gravi di quelli appena richiamati, fatti che, a volte, non hanno necessariamente rilievo penale, ma che contrastano con quei valori fondanti che dovrebbero essere parte integrante di tutti i paesi democratici, fatti che sicuramente sono contrari ai principi sanciti dall’articolo 54 della Costituzione, in base al quale “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore.” L’autodichia dei poteri del nostro Stato non ha dimostrato la necessaria capacità ed autorevolezza richieste, al fine di valutare e giudicare serenamente i propri membri. Ne sono esempio lampante gli ultimi avvenimenti, in base ai quali un deputato è stato mandato in carcere, su autorizzazione della Camera dei deputati, mentre un senatore è stato salvato dal voto contrario. Sempre l’articolo 54 dispone che “Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi.” Nonostante ciò, la nostra Costituzione è stata spesso vilipesa da importanti rappresentanti della politica, così come sono stati vilipesi la nostra bandiera e il nostro inno nazionale. Infine, bisognerebbe ricordare a molti autorevoli rappresentanti delle istituzioni italiane che l’articolo 53 della Costituzione stabilisce che “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.” Purtroppo, questo principio viene spesso disatteso, proprio da coloro che rappresentano le istituzioni e dovrebbero, altresì, rappresentare gli elettori, quegli elettori che, purtroppo, non hanno neanche il potere di valutarne l’azione e il comportamento, attraverso il voto popolare.

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GIUSEPPE ROMANO

PER UN LOCULO DI TERZA FILA MARGANA Edizioni COPPOLA Editore pagg. 130 - euro 9,00 per ordinarlo scrivere una email a: romano61@libero.it

P

er un loculo di terza fila è l’ultima fatica letteraria di Giuseppe Romano, Commissario di Polizia Penitenziaria comandante il Reparto del carcere di Trapani. Quarto libro dell’Autore – dopo Dall’altra parte delle sbarre (Kukku, 1998), Chi scaverà la fossa? (Coppola, 1999) e Il figlio della salma (Coppola, 2000) –, questo piacevole romanzo racconta la quotidianità trapanese di Dino Cucuzza, affossatore capo del Cimitero Comunale, o capo becchino come lo chiamavano con disprezzo gli impiegati di concetto. Si legge d’un fiato, complice anche una scrittura fluida e l’ironia che caratterizza molte pagine, ma non è solo un romanzo: è in realtà lo spaccato della e sulla umanità delle nostre tante province italiane, con i pregi ed i difetti degli uomini, conditi da cinismo, menefreghismo, arroganza ma anche solidarietà, bontà, umanità appunto. Riuscire poi a strappare più di un sorriso parlando di morte è già di per sé un successo. E Peppe Romano c’è riuscito, anche questa volta, alla grande. Non perdetevi, allora, Per un loculo di terza fila. erremme

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Giovanni Tamburino ...chi è il nuovo Capo del DAP Nato nel 1943 a Montebelluna (Treviso).

Esperienza Professionale

Nella Foto Giovanni Tamburino Biografia tratta dal sito ufficiale del Tribunale di Sorveglianza di Roma

Nel 1967 si laurea in giurisprudenza all’ Università di Padova. Subito dopo consegue il titolo di procuratore legale, svolge attività di avvocato in uno studio di diritto civile a Verona. Nel 1968 supera, a 25 anni, il concorso per l’accesso in Magistratura. Giudice istruttore a Padova dal 1970 al 1975; conduce nel 1973/74 l’indagine nel primo procedimento penale che coinvolge appartenenti ai Servizi segreti, in seguito alla quale il Parlamento adotta, nel 1977, la prima legge che regolamenta l’attività dei Servizi segreti in Italia. 1975-1981: Magistrato di Sorveglianza a Padova Dal 1981 al 1986: componente del Consiglio Superiore della Magistratura. 1986-1992: Giudice al Tribunale di Verona – sez. penale. 1992-1999: Consigliere di Corte d’Appello (sez. I penale) a Venezia 1999-2005: Direttore dell’Ufficio Studi, Legislazione e Rapporti internazionali del D.A.P. (Dipartimento della Amministrazione penitenziaria); in tale qualità è responsabile della organizzazione del Giubileo nelle carceri che ha visto la presenza di S.S. Giovanni Paolo II in Regina Coeli il 9 luglio 2000. Dal 2005 al 2010: Presidente dal Tribunale di Sorveglianza di Venezia. Dal 2010 al 2012: Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Roma. 2012: Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria - DAP (Decreto Consiglio dei Ministri 1 febbraio 2012)

Unite, dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, dal Consiglio Superiore della Magistratura, dalla F.I.P.P. (Federazione internazionale penale e penitenziaria) e da altre organizzazioni internazionali. In particolare: in Francia, anche su incarico dell’Ecole Nationale de la Magistrature e dell’Ecole Nationale de l’Administration pénitentiaire in Agen; in Algeria, dove ha consolidato importanti rapporti tra il D.A.P. e l’Amministrazione penitenziaria algerina; a Barcellona, Bruxelles, Friburgo (CH), Helsinki, Istanbul, Kabul, Lisbona, Oviedo, Strasburgo, Vilnius.

Studi e ricerche 1995-2005: Capo Redazione della “Rassegna penitenziaria e criminologica”, per la quale è attualmente membro del Comitato di garanzia. Nel 1999 fondatore e primo direttore della rivista ufficiale del DAP “Le Due Città”. Dal 1999 al 2002 componente della Commissione Mista del CSM sui problemi della Magistratura di Sorveglianza. Nel 2002 promotore della prima ricerca analitica sulla popolazione degli Ospedali psichiatrici giudiziari in Italia. Nel 2004 nominato dal Capo del DAP responsabile dell’UMES (Unità di monitoraggio sugli eventi di suicidio), prima ricerca operativa del D.A.P. sui fattori di rischio suicidario e la identificazione e attuazione di interventi diretti a ridurli. Relatore in numerosissimi incontri di studio in materia penitenziaria, anche per le Università di Roma La Sapienza, Bologna, Milano (Bicocca) e Padova. Autore di numerosi libri, scritti, pubblicazioni, in Italia e in sedi internazionali, in materia di diritto processuale penale, ordinamento giudiziario, diritto penitenziario, tossicodipendenze e terrorismo.

Esperienza internazionale Francese come lingua di lavoro Dal 2001 al 2005 coordinatore della Missione dell’Amministrazione penitenziaria italiana nel Kosovo (UNMIK). Responsabile dell’organizzazione del “CDAP”, Conferenza europea dei Direttori delle Amministrazioni penitenziarie, svoltasi a Roma nel novembre 2004, con la partecipazione delle Rappresentanze di 43 Stati. Agent de liaison per l’Italia con il CPT, Comitato per la Prevenzione della Tortura del Consiglio d’Europa sino al 2005. Incarichi di collaborazione penale internazionale dalle Nazioni

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altre attività e riconoscimenti Nel 1988 co-fondatore insieme a Giovanni Falcone ed altri Magistrati, e presidente del “Movimento per la Giustizia”. Dal 1992 al 1995: vicepresidente dell’Associazione Nazionale Magistrati. Nel 2004 co-fondatore e Coordinatore nazionale del Coordinamento nazionale Magistrati di Sorveglianza italiani (CONAMS). Medaglia d’oro al merito della Redenzione sociale conferita dal Ministro della Giustizia nel 2006 unitamente al Diploma di primo livello, ai sensi della legge 11 maggio 1951, n. 375.

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a cura di Lady Oscar Redazione Sportiva rivista@sappe.it

I campioni di scherma delle Fiamme Azzurre pronti per Londra 2012

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Due anni dopo Antalya e l’oro a squadre nel campionato mondiale di spada, Francesca Quondamcarlo è riuscita a conquistare un fondamentale bronzo nella prova individuale di coppa del mondo che si è tenuta a Doha dall’11 al 13 febbraio, in una gara che ha consacrato la scuola italiana come un indiscutibile eccellenza sportiva di livello internazionale, premiata dalle medaglie di tre azzurre, che sono andate a

comporre un podio tricolore nella quasi totalità se si esclude l’argento della coreana Jung Hyo-Jung, sconfitta dall’italiana Mara Navarria in finale per 15 a 9. Terze a pari merito sono infatti giunte la nostra Francesca Quondamcarlo e Rossella Fiamingo. L’atleta della Polizia Penitenziaria nel cammino delle eliminatorie aveva battuto la rappresentante cinese Li Na, poi l’ungherese Edina Bekefi, regolando in seguito i conti con l’altra azzurra ligure Bianca del Carretto e poi con l’ucraina Kseniya Pentelyeyeva, prima di fermarsi in semifinale di fronte alla vincitrice della gara, la compagna di squadra Mara Navarria, in stato di grazia per l’occasione. All’ottima prova individuale, che ha aperto la stagione di Coppa del Mondo, non è seguita una prova a squadre altrettanto brillante: solo seste le azzurre, con un risultato finale che delude dopo il bronzo di Catania 2011 ma che fortunatamente poco dice in chiave qualificazione olimpica, per la certezza della quale si dovrà attendere il termine ultimo del 31 marzo 2012 (bisogna essere tra le migliori 8 squadre al mondo per essere ammesse al torneo olimpico, a quel punto la Nazione avrà diritto a portare

Il 5 Aprile 2011, Francesca Quondamcarlo è stata ospite al Palazzo Chigi del comune di Ariccia sede dell’Università della III età per incontrare i partecipanti al corso sperimentale Educazione al Benessere: la scherma per la terza Età organizzato dall’Associazione Culturale Tiber Scrimia e patrocinato dal Comitato Trofeo Città di Roma e dal Comune di Ariccia. Presenti nell’occasione anche l’Assessore alla cultura e allo sport Cora Fontana Arnaldi e il sindaco del comune di Ariccia Emilio Cianfanelli. «Il progetto Educazione al Benessere è una sfida. I 30 iscritti sono entusiasti e vogliono sperimentarsi in questo sport, soprattutto le donne. Penso possa diventare un corso vero e proprio presso l’Uni-

versità perchè il gioco scherma è un modo per creare armonia tra mente e corpo e sinergia tra diverse generazioni» ha dichiarato l’Assessore. Educazione al benessere, con uno sport come la scherma, se ideato e strutturato correttamente, potrebbe essere il titolo di un programma dedicato al personale della Polizia Penitenziaria, per far scaricare agli appartenenti le tensioni, e canalizzare lo stress lavorativo o familiare in modo costruttivo. Un’idea a favore agli appartenenti, a cui si dovrebbe dar seguito insieme a tutta una serie di iniziative rivolte al benessere del personale in tempi così difficili per il sistema carcerario, che finora sono state debolissime ed impercettibili.

a specialità della scherma delle Fiamme Azzurre ha brillato sia nel settore maschile che in quello femminile, portando le prime certezze e fondate speranze, per alcuni dei suoi campioni, di poter esser presenti all’appuntamento a cinque cerchi di Londra 2012.

Non solo scherma agonistica

Nella foto Francesca Quondamcarlo in uniforme con il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

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3 atlete per la prova individuale, scelte dal ct). Le prime prove valide sono state disputate già a partire dal mese di marzo 2011. Ad onor del vero, tornando alla tappa di Doha, è bene sottolineare come nel confronto a squadre Francesca non abbia contribuito essendo stata preferita dal ct azzurro Sandro Cuomo a Bianca del Carretto, schierata insieme alle due colleghe del suo podio individuale (Navarria e Fiamingo), e a Nathalie Moellhausen a completare il quartetto. La prospettiva di qualificare atlete azzurre alle prossime olimpiadi di Londra dipende dalla classifica a squadre che le vede ancora in corsa, ma per mettere in cascina il pass olimpico c’è ancora un mese davanti. Chi invece non deve attendere per festeggiare la matematica certezza di essere presente a Londra 2012 è Aldo Montano, neo assunto atleta delle Fiamme Azzurre (della cui storia sportiva e del curriculum vi abbiamo parlato ampiamente nel numero di gennaio). Il trentaquattrenne livornese in forza alla Polizia Penitenziaria, nella prova di esordio con i colori del gruppo sportivo, nella Coppa del Mondo a squadre di sciabola tenutasi a Padova dal 17 al 19 febbraio, si è garantito la partecipazione alla sua terza olimpiade dopo Atene 2004 (oro individuale e argento a squadre) e Pechino 2008 (decimo posto individuale e bronzo a squadre). La tappa italiana si è conclusa con la vittoria della Germania per 45-26 contro la Bielorussia e con il terzo posto della Russia. Il quartetto azzurro, composto da Aldo Montano, Gigi Tarantino, Diego Occhiuzzi e Giampiero Pastore, si è piazzato al sesto posto in classifica, ma alla luce dei risultati delle altre formazioni, può festeggiare la conquista del pass olimpico. Nelle parole del ct Giovanni Sirovich c’è la gioia della certezza di poter essere protagonisti anche a Londra, dopo aver conquistato il pass olimpico,ma anche il dispiacere di non essere riusciti ad andare oltre il sesto

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posto finale: «Era sicuramente il nostro obiettivo il pass olimpico ed averlo raggiunto con una prova d’anticipo è senza dubbio importante – ha dichiarato - certo è che non possiamo essere soddisfatti per l’esito di questa prova a squadre, dove potevamo sicuramente fare meglio». La squadra azzurra,dopo aver vinto il primo assalto contro la Polonia per 45-40, è stata fermata nel tabellone dei quarti dalla Francia, col punteggio di 45-37. Poi nel tabellone dei piazzamenti, l’Italia ha vinto il primo assalto contro la Corea per 45-41, per uscire infine sconfitta dal match per il quinto posto contro l’Ungheria per 45-43. Per Aldo, campione del mondo uscente a Catania 2011, un altro grande risultato di una carriera sfolgorante nient’affatto scontata se si considera la difficoltà di confrontarsi e raccogliere il testimone degli illustri

natali sportivi della sua famiglia. Aldo infatti, classe ’78, è figlio di una lunga dinastia di schermidori tutti campioni, tutti medaglie olimpiche. Come il padre, Mario Aldo, il nonno Aldo e i tre cugini del padre, Mario Tullio, Tommaso e Carlo. Difficile reggere il paragone, ancor più arduo il compito di superarlo come ha fatto lui, conquistando podi importanti e vincendo competizioni individuali, soprattutto quando le copertine di riviste di gossip o la partecipazione a vari reality hanno fatto pensare i maldicenti (per fortuna a torto) che la sua carriera dovesse volgere al termine non conducendo propriamente la vita dell’asceta, pur restando sempre un atleta serio e coscienzioso. Nello stesso week end in cui Montano e compagni conquistavano il diritto alla gara a cinque cerchi anche la squadra maschile di fioretto, composta da Andrea Cassarà, Valerio Aspromonte e Giorgio Avola, si è assicurata l’accesso alla competizione regina, facendo il paio con l’altra impresa del

dream team del fioretto femminile composto dalla inossidabile Valentina Vezzali oltre ad Ilaria Salvatori, Arianna Errigo, ed Elisa Di Francisca.

Nella foto a sinistra il CT Giovanni Sirovich

Il quartetto azzurro, nella prima prova di Coppa del Mondo della stagione, a Tauberbischofschein (Germania) che si è svolta il 12 febbraio scorso, ha battuto la Russia in finale - rivincita della finale mondiale persa lo scorso ottobre a Catania - e prenotato il posto nella rassegna olimpica portandosi al numero 1 del ranking mondiale.

Nella foto sopra Aldo Montano Campione del Mondo a Catania

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a cura di Ciro Borrelli Segretario Locale Sappe ICF Roma borrelli@sappe.it

Manuela Romei Pasetti nuovo Capo del Dipartimento per la Giustizia Minorile

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Nelle foto a destra Manuela Romei Passetti al centro Bruno Brattoli sotto il Dipartimento per la Giustizia Minorile di Roma

e novità del Governo Monti che hanno investito tutto il settore pubblico, non potevano tralasciare il personale della Polizia Penitenziaria che lavora alla giustizia minorile. Il 03 febbraio 2012, il Consiglio dei Ministri - su proposta del nuovo Ministro della Giustizia, Avv. Paola Severino – ha difatti nominato il Presidente della Corte d’Appello di Venezia, dott.ssa Manuela Romei Passetti, nuovo Capo del Dipartimento per la Giustizia Minorile in sostituzione del Dott. Bruno Brattoli. Ad amor del vero si ricorda che la dott.ssa Manuela Romei Pasetti, durante la sua brillante carriera, è stata: Pretore di Venezia dal 1978 al 1987; Consigliere della Corte

d’Appello di Venezia dal 1987 al 1990; Sostituto Procuratore di Venezia dal 1990 al 1998; Componente del Consiglio Superiore della Magistratura dal 1998 al 2002; Avvocato Generale della Procura Generale di Milano dal 2002 al 2008; Presidente della Corte d’Appello di Venezia, e prima donna in Italia a rivestire tale incarico, dal 2008 fino ad oggi. Inoltre, in data 19 giugno 2009 la dott.ssa Romei Pasetti ha ricevuto il premio Marisa Bellisario Mela d’oro Donne per una Giustizia Giusta.

In attesa del via libera da parte del Consiglio Superiore della Magistratura per la messa fuori ruolo del Magistrato veneziano, la Polizia Penitenziaria porge

alla neo-presidente gli onori e i migliori auguri. Altrettanti onori vanno fatti al Presidente uscente Bruno Brattoli che in questi anni difficili ha saputo mantenere alto il livello del Dipartimento per la Giustizia Minorile, garantendo nel miglior modo possibile i diritti della Polizia Penitenziaria fino ad arrivare all’approvazione della specializzazione nel trattamento dei detenuti minorenni che dovrebbe concretizzarsi nei prossimi mesi, diversamente da quanto avevamo preannunciato sulla rivista di gennaio.

L’ eccezionale nevicata di Roma vista da Casal del Marmo

L’

ondata di freddo che ha investito l’Italia nel mese di febbraio oltre ai disagi di carattere generale ha causato non pochi danni alle strutture comprese quelle della Giustizia. Nella capitale per la prima metà del mese, il clima è stato decisamente polare, tanto che i 40 centimetri di neve caduta in media hanno indotto, come è noto, il Sindaco Alemanno a disporre con un’ ordinanza comunale la chiusura di scuole e uffici pubblici. Purtuttavia, nonostante la tempesta, a Casal

del Marmo (come nel resto d’Italia) la Polizia Penitenziaria ha garantito la sicurezza e il funzionamento delle strutture anche se completamente ricoperte dal manto nevoso.

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Giovanni Passaro passaro@sappe.it

Ferie e congedi non possono essere negati dopo l’assenza per malattia

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entile redazione, presto servizio presso un istituto penitenziario dove ci sono tanti doveri e pochi diritti, rivesto la qualifica di ispettore, ho vissuto un brutto periodo personale che mi ha visto costretto a stare per un lungo periodo lontano dal lavoro, a disposizione della CMO. Purtroppo, nonostante, sia rientrato in servizio non sono in condizioni ottimali e dato che ho quasi raggiunto il periodo massimo di computo che comporterebbe conseguenze molto spiacevoli, volevo porre la seguente domanda: è possibile per un appartenente al Corpo chiedere giorni di ferie, senza soluzione di continuità, successivamente ad un periodo di assenza per malattia? Egregio ispettore, il diritto del lavoratore alle ferie annuali, tutelato dall’art. 36 della Costituzione, è ricollegabile non solo ad una funzione di corrispettivo dell’attività lavorativa, ma altresì al soddisfacimento di esigenze psicologiche fondamentali del lavoratore, il quale – a prescindere dall’effettività della prestazione – mediante le ferie può partecipare più incisivamente alla vita familiare e sociale e può vedersi tutelato il proprio diritto alla salute nell’interesse dello stesso datore di lavoro; da ciò consegue che la maturazione di tale diritto non può essere impedita dalla sospensione del rapporto per malattia del lavoratore e che la stessa autonomia privata, nella determinazione della durata delle ferie ex art. 2109, capoverso, c.c., trova un limite insuperabile nella necessità di parificare ai periodi di servizio quelli di assenza del lavoratore per malattia. Le ferie sono stabilite dal datore di lavoro, il quale è tenuto a valutare le esigenze dell’amministrazione e gli interessi del lavoratore in applicazione dell’art. 2109 del codice civile. Il personale del Corpo di Polizia Penitenziaria ha diritto in ogni anno di servizio, ad

un periodo di congedo ordinario retribuito, ai sensi del D.P.R. 395/1995: “Il congedo ordinario può essere autorizzato, a richiesta del dipendente, e compatibilmente con le esigenze di servizio, scaglionandolo in quattro periodi entro il 31 dicembre dell’anno in cui il congedo si riferisce, dei quali uno almeno di due settimane nel periodo 1° giugno al 30 settembre. Per il personale con oltre 25 anni di servizio, almeno uno degli scaglioni non può essere inferiore ai 20 giorni”. Nel caso di indifferibili esigenze di servizio o motivate esigenze di carattere personale, che non abbiano reso possibile la completa fruizione del congedo ordinario nel corso dell’anno, il congedo ordinario residuo deve essere fruito entro l’anno successivo (D.P.R. 170/2007). Per completezza d’informazione si segnala

che, con sentenza n. 3028 del 27 febbraio 2003 la Suprema Corte di Cassazione ha confermato il precedente orientamento giurisprudenziale in base al quale “se non può configurarsi un’incondizionata facoltà del lavoratore, assente per malattia e ulteriormente impossibilitato a riprendere servizio, di sostituire alla malattia il godimento delle ferie maturate quale titolo della sua assenza, tuttavia, il datore di lavoro, nell’esercizio del suo diritto alla determinazione del tempo delle ferie, dovendo attenersi alla direttiva dell’armonizzazione delle esigenze aziendali e degli interessi del datore di lavoro, è tenuto, se sussiste una richiesta del lavoratore ad imputare a ferie un’assenza per malattia, a prendere in debita considerazione il fondamentale interesse del richiedente ad evitare la perdita del posto di lavoro a seguito della scadenza del periodo di comporto”. Pertanto, ritengo che in caso di assenza giustificata a causa di malattia, si può avanzare all’Autorità Dirigente dell’Istituto richiesta motivata di congedo ordinario e nel caso fosse respinta ricorrere al competente giudice amministrativo.

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Slovenia: le nostre colleghe di Trieste sul podio nella gara di tiro per “Lady”

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o scorso 14 e 15 ottobre si è svolta in Slovenia la 6° edizione Police Shooting Competition, gara di tiro formata da 6 stage che prevedevano l'ingaggio di sagome osteggiate con il classico body body head (due colpi alla testa uno al tronco) da colpire in varie posizioni: in piedi, in ginocchio e distesi, al corpo e alla testa e in velocità.

Alcuni esercizi prevedevano un ingaggio a bordo vettura con discesa operativa e cambio caricatore in corsa. Una gara davvero con diverse difficoltà per i 75 tiratori partecipanti. Sono state usate tre tipi di armi: pistola, fucile a pompa e carabina semiautomatica tipo Kalashnikov. Tra le diverse Forze dell'Ordine quali, la Polizia di Stato, la Forestale, l'U.N.U.C.I. e alcuni componenti delle squadre Slovene, alla gara ha partecipato anche la Polizia Penitenziaria di Trieste. Gli stage erano divisi in cinque categorie: Expert, Novice, Juniores, Squadre e Categoria Lady; quest’ultima ci ha particolarmente emozionato e riempiti d'orgoglio, quando sul podio sono salite le colleghe della Polizia Penitenziaria (e non è la prima volta per loro). Secondo posto per l'Assistente Marianna Di Mario (delegata sindacale S.A.P.Pe) e terzo podio per l'Assistente Cristina Cadenaro, entrambe in servizio presso la casa Circondariale di Trieste. Complimenti vivissimi alle nostre Poliziotte. Giovanni Altomare

L’

ultimo di febbraio è stato un fine settimana davvero importante per le discipline dei lanci lunghi (martello, disco e giavellotto): sul Campo Moreno Martini di Lucca, infatti, erano in calendario i campionati italiani invernali di specialità. Nelle previsioni, si pensava che una delle protagoniste della due giorni fosse senza dubbio Silvia Salis, ventiseienne genovese, nata e cresciuta con il Cus Genova ed ora tesserata per il Gruppo Sportivo delle Fiamme Azzurre. La brava (e bella) Silvia, che ha già lanciato a 66.05 in questo periodo invernale, è ovviamente la capofila italiana del lancio del martello, con quasi due metri sulla più immediata inseguitrice, ed il suo obiettivo, oltre ad incrementare il numero di titoli tricolori e la sua bacheca di successi, era quello di cercare la migliore condizione per la Coppa Europa di lanci in programma a Barcellona attorno alla metà del prossimo mese di marzo. E non ha tradito le attese. Silvia Salis ha infatti conquistato la carta olimpica nel martello lanciando l’attrezzo a m. 70,20, così superando il minimo olimpico B (m.69,00) e ottenendo quindi l’accesso ai Giochi Olimpici di Londra. Silvia si è detta soddisfatta della sua prestazione: «Sono contenta della misura e del successo in una gara comunque di passaggio – ha detto l’atleta genovese – anche perché l’inverno è stato duro. Nelle prossime settimane metteremo a posto altri particolari tecnici in vista della Coppa Europa invernale perché sono altre

Pordenone: ultimo saluto ai funerali del collega Caputo

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nome dell'Anppe - Associazione Nazionale Polizia Penitenziaria e di tutto il personale in servizio e in quiescenza, compreso tutto il personale civile operante negli istituti a qualsiasi titolo, per me oggi non è facile esprimere questo pensiero ma è doveroso, per un ragazzo speciale oltre che un amico e un collega Antonio. Nel venire a conoscenza la prematura scomparsa di Antonio di soli 44 anni eravamo increduli . E' mai possibile che sia capitato a proprio a lui che era un ragazzo esemplare. Parlava della sua famiglia come un grande tesoro orgoglioso dei suoi figli e della sua dolce metà Stefania, anche lei una ragazza splendida amati e stimati da tutti, Antonio il suo modo di fare cordiale, gentile e corretto. Era un ragazzo con cui potevi fare affidamento sia sul lavoro che fuori, era una persona squisita. Un pensiero speciale va alla famiglia in modo particolare alla moglie e ai 3 figli minori angioletti donati dal Signore, devono sapere che da oggi avranno un angelo speciale che veglierà da lassù, siamo sicuri che non vi abbandonerà mai anche se purtroppo fisicamente non lo avremo più tra noi. Rimarrà per sempre nei nostri cuori e nelle nostre preghiere, qualsiasi parola appare vuota di senso di fronte ad un dolore così grande, le persone come lui non muoiono mai per sempre, solo si allontanano, lo sentiremo sempre nel nostro cuore. A noi che restiamo rimane il compito di tenere vivo nella fede e nella speranza , per ricordare il nostro caro antonio, vi propongo di mettere un angioletto sull'albero di natale e di scrivere: Antonio oggi è un Angelo del Signore. Ci uniamo al dolore immenso dei familiari tutti e alle vostre preghiere, che l'esempio di Antonio sia per tutti noi, il suo modo riservato ma serio preciso in tutto ciò che faceva ha comunque lasciato un impronta indelebile che non potremmo mai dimenticare. Donato Bisceglia

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le misure che posso raggiungere». Come sempre, a Silvia Salis ed al Gruppo Sportivo Fiamme Azzurre vanno le felicitazioni di tutta la Redazione e del Sappe. erremme

Lucca: Silvia Salis conquista l’accesso ai Giochi Olimpici di Londra 2012

Airola: Polizia Penitenziaria e supermoto

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stata una giornata da incorniciare quella vissuta sabato 14 gennaio all’autodromo Nazionale di Airola (BN) che finalmente ha aperto le porte del suo impianto per ospitare gli appassionati di motori del Sud Italia. L’autodromo lungo 1.500 m e largo 11 ha ospitato nel giorno della sua inaugurazione circa 4.000 persone che per tutto il giorno si sono alternate nel paddock dell’impianto ammirando i tanti velocisti che giravano in pista con: moto, supermoto, Porsche, Ferrari, Lamborghini e Formula 3. Madrina della giornata Tiziana Morgillo, la bellezza campana giunta quarta all’edizione 2010 di Miss Italia, che non conoscendo il mondo dei motori si è fatta subito coinvolgere dall’entusiasmo che la circondava. In pista tra i piloti delle spettacolari Supermoto , era presente con la sua Honda 450 nella categoria S4, il giovane pilota Luca Mattiello (24 anni), Agente della Polizia Penitenziaria appartenente al Motoclub Fiamme Azzurre che prenderà parte a tutto il Campionato Supermoto 2012 Alla mani-

festazione era presente in rappresentanza per la FMI il Vice Sovrintendente di Polizia Penitenziaria Ciro Borrelli Direttore di Manifestazioni sportive - Ufficiale della Federazione Motociclistica Italianae il collaboratore Assistente Capo Pasquale Ruggiero della Segreteria Locale Sappe di Airola. Ciro Borrelli Foto di Pasquale Ruggiero

Vibo Valentia: in ricordo del collega Francesco Giuliano ei mesi scorsi è venuto a mancare l’Ass.te Capo Francesco Giuliano in servizio al N.T.P. di Vibo Valentia. E’ veramente difficile essere qui, per salutarti, ma non è difficile trovare le parole per descriverti... un uomo buono e generoso. Chi ha vissuto per anni con te ha scoperto come il tuo aspetto imponente, la tua impulsività, i modi burberi nascondevano, in realtà, un cuore grande. Sei sempre stato “Ciccio” per tutti noi: generoso e leale, coraggioso e combattivo. Eri orgoglioso della divisa che indossavi, la amavi, come amavi il mare e le tue piante... come amavi la vita... Ciccio, un uomo di altri tempi, con valori di altri tempi, un uomo semplice, uno di noi... si sente ancora la tua voce nei corridoi interminabili che percorriamo ogni giorno: che fatica per te imparare ad usare il computer! Che soddisfazione provavi quando riuscivi a risolvere mille problemi quotidiani al fianco dei medici, degli infermieri, dei tuoi amati colleghi che mai avresti lasciato in difficoltà! Arrivavi ogni mattina, carico di energia, ribelle, come se fossi in lotta con il mondo ma bastava poco per vedere brillare nei tuoi occhi la grande umanità che hai sempre avuto…bastava che parlassi di tua moglie, dei tuoi amati figli, e del tuo piccolo campioncino, il tuo nipotino, dei colleghi con i quali hai condiviso anni e anni di lavoro difficile, gli stessi colleghi che oggi sono qui per salutarti. Ma come si saluta un amico? Come separarsi per sempre dal “Nostro Ciccio”?... Con l’abbraccio di tutti noi, un abbraccio forte, sincero, pieno di amore, un abbraccio che possa accompagnarti in un mondo di pace dove, finalmente, sarai LIBERO di coltivare i fiori più belli. Ciao Ciccio Il Personale del Nuovo Complesso Penitenziario di Vibo Valentia

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a cura di Giovanni Battista De Blasis

Cesare deve morire

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In alto la locandina sotto alcune scene del film

opo un lunghissimo periodo di ventuno anni, un film italiano torna a vincere l’Orso d’oro al festival di Berlino. Il film è Cesare deve morire dei fratelli Taviani. Protagonisti della pellicola sono i detenuti del carcere di Rebibbia che si trasformano in interpreti shakespeariani per mettere in scena, guidati dal regista Fabio Cavalli, il Giulio Cesare di Shakespeare. Cesare deve morire inizia e termina a colori, tra gli applausi del pubblico che saluta gli attori che, dopo aver goduto del successo, si avviano verso i reparti detentivi scortati dal personale della Polizia Penitenziaria. Tra l’incipit e l’epilogo si dipana il vero film dei fratelli Taviani, rigorosamente in bianco e nero e per il quale gli stessi registi rifiutano ogni etichetta di documentario, docu-fiction o mockumentary che sia.

La storia racconta dei provini, della distribuzione delle parti e delle prove. In mezzo, però, ci sono i grandi rapporti che legano e dividono gli uomini: l’amicizia, il tradimento, il potere e il rispetto. I detenuti-attori recitano nel proprio dialetto d’origine, ma la deformazione dialettale delle battute non intacca minimamente il tono della tragedia e, anzi, vi aggiunge una verità nuova, un vis poetica e una forza drammatica inimmaginabile. Ciascun attore-detenuto entra in confidenza con il suo personaggio attraverso la propria lingua, tanto che anche il più retorico dei momenti, quale è il discorso di Marcantonio davanti alla folla che acclama Bruto, assume un particolare significato nel napoletano di Antonio Frasca, perché gli uomini d’onore a cui si rivolge, sono davvero davanti a lui. E pur tuttavia, i due registi riescono comunque ad evitare qualsiasi processo di identificazione tra attori e personaggi. In Cesare deve morire, insomma, il teatro illumina l’oscurità del carcere manifestan-

Regia: Paolo Taviani e Vittorio Taviani Altri titoli: Dalle sbarre al palcoscenico, Caesar Must Die Soggetto: William Shakespeare, Paolo Taviani Sceneggiatura: Vittorio Taviani Musiche: Giuliano Taviani, Carmelo Travia Fotografia: Simone Zampagni Montaggio: Roberto Perpignani Sonoro: Benito Alchimede, Thomas Giorgi, Enrico Pellegrini Effetti sonori: Andrea Lancia Produzione: Grazia Volpi per Kaos Cinematografica, Le Talee, La Ribalta-Centro Studi Enrico Maria Salerno, Stemal Entertainment, Rai Cinema Distribuzione: Sacher Distribuzione (2012) Personaggi ed Interpreti: Cassio: Cosimo Rega Bruto: Salvatore Striano

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dosi quasi come un tentativo di evasione senza, però, cancellare le colpe e l’esecuzione penale. Le condanne, infatti, non vengono mai nascoste e il teatro diventa una sorta di rivalsa per dimostrare che c’è un altro modo di vivere e, allo stesso tempo, un mezzo per inviare un messaggio a chi sta fuori e sta per commettere gli stessi sbagli che gli stessi attori hanno commesso in passato.

Cesare: Giovanni Arcuri Marcantonio: Antonio Frasca Decio: Juan Dario Bonetti Lucio: Vincenzo Gallo Metello: Rosario Majorana Trebonio: Francesco De Masi Cinna: Gennaro Solito Casca: Vittorio Parrella Legionario: Pasquale Crapetti Indovino: Francesco Carusone Stratone: Fabio Rizzuto Regista teatrale: Fabio Cavalli Ottavio: Maurilio Giaffreda Genere: Docufiction Durata: 76 minuti Origine: Italia, 2012

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• VINCITORE DELL’ORSO D’ORO AL 62° FESTIVAL DI BERLINO (2012). • REALIZZATO CON IL CONTRIBUTO DEL MIBAC-DGC.



Pasquale Salemme Segretario Nazionale del Sappe salemme@sappe.it

Caterina Fort, la “mass murder “ di casa nostra

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Nelle foto a destra Caterina Fort

sotto Caterina Fort durante il processo

ra il 1946, la guerra era finita da poco, a Milano si percepiva ancora l’odore di sangue per le esecuzioni politiche sommarie avvenute nei mesi addietro. L’Italia stava cercando di tornare alla normalità e proprio nella città lombarda iniziavano a giungere i primi immigrati, del dopo guerra, da ogni parte del Paese. A Milano arrivò anche una giovane ragazza friulana: Caterina Fort, soprannominata Rina. La Fort nata a Santa Lucia di Budoia in provincia di Udine il 28 giugno 1915, porta con se un vissuto tormentato contornato da lutti e dolori che hanno inciso profondamente sul suo carattere e sulla sua personalità. Ancora ragazzina, all’età di dieci anni, durante una passeggiata in montagna, chiede al padre di aiutarla a superare un piccolo salto: l’uomo le va incontro, scivola in un burrone e si sfracellarsi al suolo perdendo la vita. Nel 1930 apprende che quattro suoi parenti si sono uccisi nel giro degli ultimi cinquanta anni: il primo buttandosi sotto un treno presso Mestre; un altro, un sacerdote, trovato impiccato nella sua canonica a San Quirico di Pordenone; il terzo trovato annegato e, una cugina anch’essa trovata impiccata come il prete. Ma la sfortuna della ragazza non finisce qui! Il suo primo fidanzato muore di tubercolosi poco prima delle nozze. Nel contempo la Fort scopre che a causa di una sterilità incurabile non potrà avere figli. All’età di 22 anni convoglia a nozze con Giuseppe un suo paesano, ma la mattina del matrimonio, iniziarono per lo sposo già i primi segni paranoici destinati a diventare pazzia pura, a tal punto da essere rinchiuso

in manicomio. Avuta la separazione la Fort si trasferisce così a Milano, presso l’appartamento della sorella in via Panfilo Castaldi. Nella città lombarda, Rina trova lavoro come commessa in un negozio di stoffe e rimasugli in via Tenca. Il proprietario, Giuseppe Ricciardi, di origine siciliane aveva lasciato a Catania moglie e figli per cercare fortuna al Nord come tanti altri immigrati. Il Ricciardi, detto Pippo, è un meridionale dal sangue caldo, gli piacciono le belle donne, e non si è mai fatto mancare compagnie femminili. Da li a poco i due diventeranno amanti. La loro sarà una storia in cui amore e morte finiranno per legarsi indissolubilmente: una storia brutta che lascerà un’impronta indelebile nella città della Madonnina. Inizialmente Pippo fece credere alla sua amante di essere scapolo, ma anche quando rivelò il suo stato coniugale alla Fort, questi accettò la relazione extramatrimoniale. La loro relazione, comune a tante altre storie clandestine costruite a volte sulla menzogna e a volte accettate consapevolmente dai partners per amore e/o per passione, nella piena consapevolezza che il legame, matrimoniale di uno dei due o di entrambi probabilmente non terminerà mai, sarebbe potuta continuare all’infinito nonostante la gravosa presenza della moglie. I due amanti a Milano vivevano in simbiosi: durante il giorno nel negozio, e di sera a cena o al cinema. Finché la moglie del Ricciardi, Franca Pappalardo, 40 anni, insospettita dalle continue voci sulla presunta relazione del marito con una commessa, si trasforma, suo malgrado, in emigrante e si trasferisce a Milano coi tre figli: Giovanni detto Giovannino, 7 anni, Giuseppina detta Pinuccia, 5 anni, Antonio detto Antoniuccio, 9 mesi. Constatata la fondatezza delle voci, impone al marito di licenziare la Fort e chiudere la relazione, anche perché lei è incinta per la quarta volta. Rina viene così licenziata e approda a fare la commessa in una pasticceria, continuando comunque a vedersi con Peppe. La mattina del 30 novembre del 1946, verso le otto di un sabato freddo e umido,

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Pina Somaschini, la nuova commessa del negozio di Pippo Ricciardi, si reca a casa del titolare, per farsi consegnare dalla moglie le chiavi del negozio, per poter aprire. Non ottenendo alcuna risposta, spinge la porta accostata e si introduce rispettosa nell’appartamento. D’un tratto scorge sul pavimento, in una pozza di sangue, uno dei figlioletti del Ricciardi. Poco distante, supina sul pavimento anche quello della moglie. La commessa, sconvolta, scende in strada in cerca di aiuto. Dei passanti allertati dalle grida della ragazza, telefonano alla polizia che poco dopo arrivata nell’appartamento scopre le vittime giacenti riverse in una pozza di sangue, materia cerebrale e

tracce di vomito. Oltre a Franca Pappalardo e al piccolo, all’interno della casa ci sono altri due cadaveri: Giuseppina e Antonio che ha meno di un anno, riverso sul seggiolone dove poco prima stava prendendo la pappa. In totale, l’assassino o gli assassini hanno brutalmente ucciso, quasi sicuramente con una spranga in ferro, quattro persone. Il Ricciardi, che si trovava a Prato per ragioni di lavoro, rintracciato e informato dell’accaduto viene interrogato e fa il nome di Rina Fort. La Fort rintracciata e arrestata, nega di aver compiuto gli omicidi. Le prove per incriminarla non ci sono e sarebbe probabilmente riuscita a farla franca se non fosse stato per l’avvedutezza del funzionario di Pubblica Sicurezza. Alla fine del secondo giorno il commissario, dott. Di Serafino, nota sul cappotto della Fort delle macchioline scure: sono macchie del sangue di

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Franca Pappalardo che, insieme alla ciocca di capelli neri rivenuti nel pugno chiuso dell’uccisa, inchiodano definitivamente l’assassina. Dopo diciassette interrogatori di settanta ore complessive la Fort confessò il delitto della Pappalardo, ma non quello dei figli ed accusò il Ricciardi di essere stato il mandante del delitto, assieme ad un tal Carmelo. Aggiungendo che, nelle intenzioni dell'ex amante, lei e Carmelo avrebbero dovuto semplicemente inscenare un furto per convincere la Pappalardo che la vita a Milano era troppo pericolosa e spingerla a tornare a Catania ma che, una volta giunta in Via San Gregorio, la situazione sarebbe precipitata anche a causa di una «sigaretta drogata" che il misterioso Carmelo le aveva offerto poco prima. Ne vennero scovati cinque di Carmelo, amici o parenti del vedovo. Ma solo uno, alla fine, fu identificato come il complice della Fort: Carmelo Zappulla, all’anagrafe Giuseppe. Dovette passare un anno e mezzo, prima che Zappulla e il Ricciardi, arrestati in seguito alle dichiarazioni della Fort, venissero scarcerati perché totalmente estranei al delitto di via San Gregorio. Lo scrittore Dino Buzzati, all’indomani del ritrovamento dei cadaveri e del fermo della Fort, scriverà sul Nuovo Corriere della Sera: «Una specie di demonio si aggira dunque per la città, invisibile, e sta forse preparandosi a nuovo sangue. L’altra sera noi eravamo a tavola per il pranzo quando poche case più in là una donna ancora giovane massacrava con una spranga di ferro la sua rivale e i suoi tre figlioletti». Il 10 gennaio 1950, presso la Corte d'Assise di Milano, incominciò il processo contro la

Fort, accusata di strage. La donna, che venne difesa dall'avvocato Antonio Marsico, presenziò a tutte le udienze sfoggiando una vistosa sciarpa gialla che le valse il soprannome della «Belva con la sciarpa color canarino». Nella perizia psichiatrica svolta dal professore Filippo Saporito, un luminare della psichiatria criminale, l’imputata viene descritta come una persona sana di mente e dotata di una intelligenza superiore alla media nonostante i casi di pazzia e di suicidio in famiglia, e nonostante la brutale ferocia con cui aveva colpito non solo la povera moglie del Ricciardi, ma anche i piccoli innocenti. Va ricordato che i colpi vibrati - con un arnese del resto mai trovato - sullo stipite della porta aperta dalla povera vittima avevano fatto tacche profonde centimetri. Quando al termine del dibattimento le fu data l'ultima parola, la Fort se ne uscì con una sorta di amaro, spregiudicato proclama: «Potrei dire che non ho paura della sentenza. Faranno i giudici. Mi diano cinque anni o l'ergastolo, a che può servire? Ormai sono la Fort!». Condannata all’ergastolo, dopo un breve carcerazione a San Vittore, venne trasferita nel carcere di Perugia. La Corte di Assise di Bologna, nel processo di appello, nel 1951, confermo l’ergastolo. Il ricorso in Corte di Cassazione, preso in

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esame il 25 novembre 1953 non cambiò la pena, e l'ergastolo venne riconfermato. Da Perugia Rina Fort fu trasferita, per motivi di salute, a Trani (per il clima più mite) e poi a Firenze. In una delle numerose lettere inviate al suo avvocato c’è ne una che contiene una frase inquietante: «Non è la quantità della pena che mi spaventa. C’è una parte del delitto che non ho commesso e non voglio». In relazione alle modalità esecutive del reato, secondo una classificazione operata dall’FBI (Federal Bureau of Investigation), gli omicidi multipli, come quelli della Fort, possono essere annoverati nella sottocategoria denominata: mass murder o masskiller. Con tale termine si intende un omicidio che coinvolge più vittime uccise intenzionalmente, nello stesso luogo ed allo stesso tempo. Solitamente la motivazione che presiede l’agire di questi killer sembra essere un senso di rabbia e vendetta. Pur avendo alcune caratteristiche in comune con i serial killer, quali la razza (bianca) e l’età (tra i 20 e 45 anni), i mass killer si differenziano dagli assassini seriali, in quanto sono degli impulsivi che non si preoccupano affatto di lasciare, se non si suicidano sul posto, tracce che possono aiutare la polizia nella loro cattura, non temono di essere uccisi e, generalmente, commettono le loro stragi in luoghi pubblici, eccetto quelli che uccidono i propri familiari. Si tratta di individui che sembrano tristi, antagonisti, ribelli e frustati, violenti nel loro comportamento, talvolta sono stati in cura psichiatrica o psicologica, altre volte, invece, vengono descritti come persone del tutto normali. Il 12 febbraio del 1975 Rina Fort ottenne la grazia per buona condotta dal presidente della Repubblica, Giovanni Leone. Morì a Firenze, d’infarto, nel 1988. La sua ostinata ed ultima versione fu sempre quella di aver agito sotto la spinta materiale e morale di un complice del Ricciardi: Carmelo. Per la storia e l'opinione pubblica Rina sarà sempre ricordata come la Belva di San Gregorio. Alla prossima ...

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Nelle foto a sinistra l’ interrogatorio della Fort

a lato un articolo dell’epoca


Luca Pasqualoni Segretario Nazionale ANFU pasqualoni@sappe.it

Quando è il Poliziotto Penitenziario a volare sul nido del cuculo

Q

Nelle foto in alto. a destra Jack Nicholson e a sinistra Franco Basaglia a

ualcuno volò sul nido del cuculo è uno dei pochi film che unitamente ai film Accade una notte e Il silenzio degli innocenti ha trattato in modo innovativo l’argomento del disagio mentale relativo agli ospedali psichiatrici, denunciando in maniera drammatica il trattamento inumano cui sono sottoposti i pazienti ivi ospitati, o meglio ristretti, verso cui vige un atteggiamento discriminatorio alimentato dalla paura dell’aggressività dell’alienato mentale. Il titolo è altamente simbolico, letteralmente riprende il verso di una filastrocca: three geese in a flock, one flew East, one flew West, one flew over the cuckoo’s nest (uno stormo di tre oche, una volò ad est, una volò ad ovest, una volò sul nido del cuculo). Il termine inglese cuckoo indica il cuculo, ma in senso traslato significa anche pazzo e, quindi, il titolo potrebbe essere tradotto con qualcuno diventò pazzo, nondimeno il titolo sembra far riferimento al fatto che l’uccello del cuculo non costruisce il proprio nido, ma depone le uova in quello degli altri uccelli, prediligendo i nidi posti in luoghi impervi, difficilmente raggiungibili e particolarmente isolati. Le condizioni degli ospedali psichiatrici italiani è stata prepotentemente riportata alla ribalta dalla Commissione parlamentare di

inchiesta, presieduta dal senatore Ignazio Marino, che ne ha tratteggiato un quadro profondamente sconfortante, a parte alcune rare eccezioni. Ma facciamo un passo indietro. L’istituzione manicomiale, tra la fine dell’800 e i primi del 900, era dominata da una visione prevalentemente biologica, che si reggeva sull’idea della origine geneticocostituzionale del disturbo psichiatrico. Le implicazioni psicologiche, ambientali e sociali di questi disturbi non erano prese minimamente in considerazione, non si conoscevano i neurotrasmettitori ed idonei farmaci. Per questo il manicomio era l’unica soluzione possibile: per un paziente psichiatrico non c’era molto da fare e considerando che poteva costituire un pericolo per sé e per gli altri, era meglio rinchiuderlo. In stretta connessione con le esigue conoscenze di tipo descrittivo delle varie patologie mentali, il paziente psichiatrico era un individuo che, prima ancora, di dover essere curato doveva essere detenuto, o meglio, custodito. Le uniche cure applicabili all’epoca nelle strutture manicomiali erano l’elettroshock, peraltro praticato in maniera selvaggia, le docce fredde, l’insulina-terapia e la lobectomia. Nell’ambito di queste aberrazioni, qualcosa cominciava a muoversi. Si andava affer-

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mando la psicanalisi che per prima proponeva di dare un’interpretazione psicologica al disagio mentale. Si stavano sviluppando anche l’antropologia, la sociologia, la psichiatria sociale di Sullivan in America, che andavano sempre di più allargando la cultura intorno al discorso psichico, lasciando intravedere la possibilità che altri fattori, non solo, quindi, quelli biologici, potessero spiegare il disturbo psichiatrico, un disturbo che, nella sua dinamica, si presentava multifattoriale, in quanto vi incidevano, e vi incidono, condizioni ambientali, familiari, sociali, culturali ed etniche. Questo contesto culturale creava le basi per un’interpretazione che andasse al di là dell’aspetto biologico, fornendo le fondamenta per quei movimenti di psichiatria democratica che in Italia trovarono in Franco Basaglia il loro principale esponente. La legge Basaglia poggiava proprio sulla relazione, perché si basava sul presupposto che la malattia mentale fosse il prodotto di un’interazione di più fattori, tra cui assumevano particolare rilevanza i fattori familiari, ambientali, culturali e sociali, manifestandosi la malattia di sovente proprio come frattura con il sociale: da qui i due principi fondamentali della prevenzione e della riabilitazione, anche se la legge Basaglia viene ricordata, più che

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altro, per aver sancito la chiusura dei manicomi criminali, perlomeno nella loro accezione di luoghi di costrizione e di interdizione. Proprio sulla scia di queste rinnovate tendenze psichiatriche si è mosso l’articolo 62 della Legge 354/1975 che, nell’adottare la denominazione di Ospedale Psichiatrico Giudiziario in luogo di manicomio criminale, non voleva operare solo una mutazione lessicale, ma soprattutto sostanziale, tentando di concepire gli O.P.G. quali luoghi di cura e di riabilitazione e solo in minima parte di restrizione. Eppure, è notizia di questi giorni di come i suddetti obiettivi siano stati disattesi, come ha rilevato la citata Commissione Parlamentare sul Servizio Sanitario Nazionale, di cui l’articolo 82 della Costituzione, ritenendo solo quello di Castiglione delle Stiviere corrispondente agli standards di legge, sugli altri il giudizio è stato impietoso: si è parlato addirittura di lager.

L’inchiesta parlamentare ripropone con forza il problema della gestione di strutture di reclusione che hanno bisogno di una progettualità tale da garantire l’assistenza ai malati e la sicurezza degli operatori. Il Documento a firma dell’onorevole Marino, come al solito, non è l’ultimo né tanto meno vincolante, ma, nondimeno, per gli ospedali psichiatrici giudiziari è iniziato un processo progressivo di dimissione, infatti, il decreto legge n. 211 del 2011 in fase di conversione, dell’attuale Ministro della Giustizia On.le Paola Severino, ha fissato alla data del 31 marzo del 2013 la loro definitiva chiusura, disponendo che gli istituti pe-

nitenziari già sede di ospedale psichiatrico giudiziario siano definitivamente chiusi o, in alternativa, riconvertiti, per quella data, ad altra funzione penitenziaria. Tuttavia, anche la legge Basaglia è riuscita solo parzialmente nell’intento di abolire i manicomi, dal momento che il regolamento di attuazione non fu mai emanato e con lui non furono mai individuate strutture residenziali alternative previste dai vari Progetti-Obiettivi di salute mentale, così come non è riuscita nell’intento la Legge n. 833/78 che mirava a garantire l’universalità delle cure ai malati mentali. Invero, i buoni propositi delle Direzioni degli O.P.G. si scontrano sempre più spesso con una cronica carenza di fondi, dopo i tagli disposti dal Ministro della Giustizia, e con i ritardi nella gestione dell’assistenza medica dopo il passaggio della sanità penitenziaria a quella del Servizio Sanitario Nazionale. A subire le conseguenze di questa situazione sono gli agenti di polizia penitenziaria e gli stessi internati, che dovrebbero essere curati e non custoditi, tanto che la presenza della polizia penitenziaria mal si concilia con lo status di internato quale soggetto per lo più non imputabile e quindi incapace di intendere e di volere, poiché la pericolosità sociale non può precedere lo status mentale, come accade, per contro, nell’articolo 203 del c.p., di ispirazione autoritaria, conformemente all’ideologia fascista dell’epoca. L’attuale crisi degli O.P.G. è il punto di arrivo di una escalation negativa che ha portato all’aumento inversamente proporzionale del numero degli internati, rispetto a quello degli agenti di polizia penitenziaria. Dando attuazione alle direttive del Ministero della Giustizia, che ha disposto il blocco degli organici negli O.P.G., la dotazione organica degli agenti negli ultimi cinque anni è drasticamente scesa di circa 40 unità fino agli attuali 119, a fronte di un aumento esponenziale di internati: si è passati, infatti, dai 178 nel 2008 agli attuali 357, unità in più unità in meno. In ogni reparto, infatti, a fronte di oltre 100 ricoverati, è presente un solo agente (rispetto ai tre previsti) per garantire la sorveglianza dei reparti, talvolta posti su più piani, nonché delle loro pertinenze.

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In queste condizioni è evidente come diventi impossibile la gestione dei reparti, con il rischio quotidiano di risse, aggressioni, gesti di autolesionismo e finanche di suicidio, alimentati anche dagli spazi ristretti in cui sono costretti a vivere gli internati, incompatibili con il disagio psichiatrico.

Occorre che i politici, a tutti i livelli, invece delle solite passerelle a cui si accompagnano puntualmente anatemi, quanto estemporanee soluzioni, si facciano carico del loro ruolo istituzionale, mettendo le strutture psichiatriche nelle condizioni di poter svolgere al meglio il loro mandato, poiché le condizioni talvolta disumane in cui versano gli O.P.G. sono il frutto di una voluta indifferenza della società civile, dei politici, nonché dei vertici dell’Amministrazione penitenziaria, poiché è bene rammentarlo, gli O.P.G. sono centri penitenziari, gestiti dall’Amministrazione penitenziaria, dal momento che sono deputati ad ospitare soggetti sottoposti a misure di sicurezza. Ma dove sono stati i politici fino ad oggi, dove era la società civile, quella società perbenista sempre pronta, in occasione di suicidi di detenuti o di internati, a pontificare e a stigmatizzare l’operato del malcapitato poliziotto penitenziario di turno. E sì, perché se andiamo a vedere chi è veramente volato sul nido del cuculo, ci accorgeremmo che quel qualcuno indossa il basco azzurro: è il poliziotto penitenziario che quotidianamente contro tutto e tutti gestisce e custodisce quei soggetti che la società civile ripudia, assicurando quella umanità che l’apparato statale nel suo complesso non è in grado di assicurare, ma esclusivamente di decantare.

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Nella foto sopra la targa di un OPG a sinistra Ignazio Marino


In collaborazione con FonARCom e Confsalform evento formativo per i dirigenti del Sappe

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a Segreteria Generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, in collaborazione con Confsalform e Fon.AR.Com., ha organizzato una importante attività di formazione ed aggiornamento professionale che ha visto coinvolti, in questa prima edizione articolata in due moduli, circa 100 dirigenti locali, provinciali, regionali e nazionali del primo Sindacato della Polizia Penitenziaria. Questa prima edizione del Corso, che si è svolta ad Abano Terme e che vedrà il graduale coinvolgimento di tutti i dirigenti sindacali del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, ha messo in evidenza l’importanza delle attività di formazione ed aggiornamento professionale dei dirigenti sindacali, in grado di caratterizzare l’accrescimento delle conoscenze e delle capacità individuali in coerenza con le esigenze or-

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Nelle foto alcune immagini del Primo Modulo Formativo

ganizzative e con i cambiamenti del contesto di riferimento. L’obiettivo generale è stato quello di fornire proposte e risposte formative mirate e orientate a sviluppare la professionalità, attraverso docenti altamente qualificati ed approfondimenti mirati su legislazione della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, contrattazione e tecniche di negoziazione, accordo nazionale quadro della Polizia Penitenziaria e contrattazione sindacale, leadership e comunicazione. Al termine della intensa tre giorni, i partecipanti sono stati sottoposti ad un test di verifica ai fini del riconoscimento del credito formativo in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro. L’evento formativo del Sappe ha riscosso l’ampio e corale apprezzamento dei partecipanti nonché degli stessi qualificati docenti, che hanno avuto modo di esprimere pubblicamente il loro favore per la professionalità, l’attenzione e la partecipazione con cui sono state seguite le lezioni. Appuntamento alla prossima edizione! erremme

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La convenzione Sappe/Studio Legale Guerra Per rispondere ad una richiesta sempre più pressante dei propri iscritti, • assistenza legale nel relativo procedimento amministrativo; il Sappe ha stipulato una convenzione con lo Studio Legale Associato •assistenza nella fase giudiziale contro il relativo provvedimento negativo; Guerra, come partner legale in materia previdenziale. • compenso professionale convenzionato. Lo Studio Legale Associato Guerra è specializzato in materia di diritto pen- in materia di PENSIONE PRIVILEGIATA sionistico pubblico, civile e militare. per il personale cessato dal servizio e/o i superstiti L’assistenza interessa: La convenzione tra il Sappe e lo Studio Legale Associato Guerra comprende • il personale collocato in congedo senza diritto a pensione o con pensione • la causa di servizio e benefici connessi; ordinaria che possa ancora chiedere il riconoscimento della dipendenza • le idoneità al servizio e provvedimenti connessi: da causa di servizio di infermità o lesioni riferibili al servizio stesso e la • i benefici alle vittime del dovere; conseguente pensione privilegiata; • la pensione privilegiata (diretta, indiretta e di riversibilità) e gli assegni • il personale collocato in congedo senza diritto a pensione o con pensione accessori su pensioni direttte e di riversibilità. ordinaria, al quale sia stata negata la pensione privilegiata per non dipendenza da causa di servizio di infermità e lesioni o per non ascrivibilità delle La consulenza si avvale di eccellenti medici esperti di settore, collaboratori stesse; dell Studio Guerra, in grado di assistere l’interessato anche nel corso delle • il personale cessato per inidoneità dal ruolo della Polizia Penitenziaria, visite mediche collegiali in sede amministrativa e giudiziaria. già transitato o che debba transitare ai ruoli civili della stessa amministraIn particolare, attraverso lo Studio Legale Associato Guerra , il Sappe ga- zione o di altre amministrazioni, ai fini della concessione della pensione rantisce ai propri iscritti: privilegiata per il servizio prestato nella polizia Penitenziaria; • il personale deceduto in servizio, ai fini della pensione indiretta privilein materia di CAUSA DI SERVIZIO giata ai superstiti e di ogni altro beneficio previsto a favore degli stessi; • valutazione gratuita, legale e medico legale, del fondamento della do- • il personale già titolare di pensione privilegiata deceduto a causa delle manda per il riconoscimento della causa di servizio anche ai fini dell’equo medesime infermità pensionate, ai fini dei conseguimenti spettanti ai suindennizzo; perstiti. • assistenza legale nella fase amministrativa; L’assistenza comprende: • valutazione gratuita, legale e medico legale, del fondamento del ricorso • esame gratuito, legale e medico legale, del fondamento della domanda contro il provvedimento negativo di riconoscimento della causa di servizio per la concessione della pensione privilegiata anche per i transitati al ruolo e del’equo indennizzo; civile; • assistenza legale nella fase giudiziale dinanzi alle competenti Sedi Giu- • valutazione gratuita, legale e medico legale, del fondamento del ricorso risdizionali; contro il provvedimento negativo della pensione privilegiata; • compenso professionale convenzionato. • valutazione gratuita, legale e medico legale, delle pensioni indirette e di riversibilità ai fini del trattamento privilegiato e dell’importo pensionistico in materia di INIDONEITA’ AL SERVIZIO liquidato; • valutazione legale e medico legale delle infermità oggetto di accerta- • assistenza nella relativa fase amministrativa e nella fase giudiziale contro mento della idoneità al servizio, per la scelta strategica delle azioni da pro- il provvedimento pensionistico negativo; muovere secondo gli obiettivi che intende raggiungere l’interessato; • compenso professionale convenzionato. • assistenza legale nel relativo procedimento amministrativo; •assistenza nella fase giudiziale contro il provvedimento amministrativo; PER BENEFICIARE DELLA CONVENZIONE • assistenza amministrativa e giurisdizionale contro il provvedimento di Gli iscritti al Sappe possono: trensito; • rivolgersi alla Segreterie Sappe di appartenenza; • compenso professionale convenzionato. • rivolgersi agli avvocati Guerra presso le sedi degli studi di Roma (via Magnagrecia n.95, tel. 06.88812297), Palermo (via Marchese di Villabianca in materia di VITTIME DEL DOVERE n.82, tel.091.8601104), Tolentino - MC (Galleria Europa n.14, tel. • valutazione gratuita per l’accertamento della sussistenza delle condizioni 0733.968857) e Ancona (Corso Mazzini n.78, tel. 071.54951); di legge richieste per il diritto ai benefici previsti a favore delle vittime del • visitare il sito www.avvocatoguerra.it dovere;


Aldo Maturo * avv.maturo@gmail.com

Arresto obbligatorio per lo stupro di gruppo: ma è tutta colpa della Cassazione?

L

a recente sentenza della Corte di Cassazione (N.4377/12) che ha stabilito non essere obbligatorio il carcere in presenza di reato per stupro di gruppo non poteva non destare sconcerto. Prima di decidere che quella dei giudici è stata una decisione maschilista forse è giusto ricostruire sommariamente quello che è successo. Nel 2009 era stato stabilito (Art.275 c.p.p.) che per i reati sessuali, al pari dei reati di mafia, fosse obbligatoria la custodia cautelare in carcere salvo che il giudice ritenesse non sussistere una tale esigenza cautelare. Quindi chiunque era gravemente indiziato di aver commesso un reato sessuale doveva andare necessariamente in carcere in attesa del processo.

Nel 2010 la Corte Costituzionale (sentenza n.265) ha ritenuto che tra i reati di mafia e i reati sessuali non poteva esserci comparazione, perché i primi sono riconducibili ad associazioni criminali e i secondi di solito vengono eseguiti individualmente. Al giudice quindi non è vietato disporre la custodia cautelare in carcere ma nulla vieta che possa anche prendere decisioni diverse concedendo all’indagato, ad esempio, gli arresti domiciliari, come può accadere per gli indagati di reati molto gravi (rapina aggravata, sequestro di persona a scopo di estorsione). Secondo la Corte Costituzionale quindi cadeva l’obbligatorietà del ricorso al carcere con un provvedimento di custodia cautelare. Tra l’altro sempre la stessa Corte aveva ritenuto che l’obbligatorietà del car-

cere agli imputati di reati sessuali fosse incompatibile con l’art.3 della Costituzione (tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge). Che la gente pensi di farsi giustizia buttando in carcere gli imputati di reati sessuali non rientra, secondo la Corte Costituzionale, tra gli scopi della custodia cautelare, prevista solo per pericolo di fuga, rischio di inquinamento di prove, pericolo di reiterazione del reato. La Cassazione, con la sentenza che sta destando tanto scalpore, non ha fatto altro che applicare tale disposizione. In particolare:a Cassino una ragazza minorenne viene violentata da due persone, credo in macchina. Il GIP spedisce in carcere i due imputati per violenza sessuale di gruppo. Gli imputati ricorrono al Tribunale del Riesame di Roma che il 19.8.2011 conferma l’ordinanza del GIP. Il Tribunale ricostruisce il fatto e si sofferma su due momenti critici della vicenda: a) contrasto tra la versione fornita dalla ragazza e le tesi degli imputati circa la volontarietà dei rapporti sessuali intrattenuti pacificamente; b) esistenza delle esigenze cautelari che suggerivano il ricorso al carcere. Ritenuta la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza il Tribunale aveva ritenuto che la fattispecie rientrava nella ipotesi prevista dal suindicato art.275 c.p.p. (modificato in maniera restrittiva nel 2009). La Corte di Cassazione, sentiti i difensori che hanno sollevato tra l’altro il problema della compatibilità dell’art.275 con la sentenza della Corte Costituzionale, ha ricostruito la filosofia che ha animato nella Corte Costituzionale la disciplina delle misure cautelari. Il regime sarebbe improntato al criterio del minore sacrificio necessario assicurato mediante la previsione di una pluralità graduata di misure, una sorta di individualizzazione del trattamento cautelare. Per tale motivo non ci possono essere au-

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tomatismi o presunzioni e deve essere il giudice ad apprezzare e motivare i presupposti e le condizioni per l’applicazione del carcere al fatto concreto. Secondo la Corte Costituzionale quelli sessuali sono delitti meramente individuali che possono essere affrontati in teoria anche con misure diverse dalla custodia cautelare.

Che in giro ci sia allarme sociale per il moltiplicarsi di delitti a sfondo sessuale non può rientrare tra le finalità di tale misura restrittiva in carcere. La Corte di Cassazione ha fatto proprio tali considerazioni ed ha condiviso il contrasto della norma con gli articoli 3,13 e 27 della Costituzione ed ha stabilito che il giudice possa applicare misure diverse dalla custodia cautelare anche agli indagati per stupro di gruppo. Ha quindi annullato la sentenza del GIP di Cassino rinviando al Tribunale del Riesame di Roma per una nuova valutazione che terrà conto dei principi sopradescritti e che potrebbe anche risolversi con la riconferma del carcere per i due indagati. Loro, intanto, restano in carcere in attesa di nuove determinazioni mentre migliaia di donne, imbestialite e deluse, sono convinte che ci si stia arrampicando sugli specchi di una giustizia ingiusta. *Avvocato, già Dirigente dell’Amministrazione penitenziaria

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Nelle foto sopra la sede romana dellaCorte Costituzionale a sinistra una immagine di violenza


tracce di un oscuro e indefinibile disegno di morte che proviene da lontano. Da un luogo in cui soltanto Cross può addentrarsi... Con questa ultima fatica editoriale, Patterson si conferma maestro del thriller!

ALMA KATSU

IMMORTAL LONGANESI Edizioni pagg. 442 - euro 17,60

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JAMES PATTERSON

L’ ISTINTO DEL PREDATORE LONGANESI Edizioni pagg. 320 - euro 16,40

S

ono le undici di sera di una normalissima domenica quando Alex Cross viene convocato dal dipartimento di polizia di Washington sulla scena del crimine. Georgetown. Una bellissima villa a tre piani in stile coloniale, vicini e curiosi in vestaglia, radunati sul marciapiede. Dalle facce scure e gli sguardi vitrei dei tecnici che emergono dall’interno, Cross ha già intuito che si troverà davanti uno spettacolo raccapricciante, ma non immagina nemmeno quanto. Cinque persone, un’intera famiglia massacrata con una violenza e una ferocia inaudite. E quello che è peggio è che Cross conosceva bene una delle vittime, Ellie, ex compagna di università e suo primo amore. Ma non c’è tempo per abbandonarsi ai ricordi e alla nostalgia: troppe sono le domande che attendono una risposta, a partire dall’inspiegabile presenza di due agenti della CIA sul luogo del delitto. Unico indizio in mano a Cross, il libro che la donna stava scrivendo sulla situazione sociopolitica dell’Africa centrale. Chi si nasconde dietro la mano che ha ucciso Ellie? Chi c’è davvero dietro quel nome di battaglia, la Tigre? Che cosa lega quel brutale omicidio al massacro seriale che sembra aver preso di mira gli afroamericani di Washington? L’indagine si trasforma presto in una discesa all’inferno, sulle

un inverno che non dà scampo quello che avvolge nel gelo e nella neve il piccolo paese di St. Andrew, nel Maine, a pochi chilometri dal confine canadese. È notte e la foresta ghiacciata pare sussurrare nell’oscurità. Luke, giovane medico di turno al pronto soccorso, si ritrova davanti una ragazza dall’apparente età di diciannove anni e dalla bellezza eterea e struggente. È atterrita e chiusa nel silenzio, ma i suoi occhi sembrano gridare. Ha appena ucciso un uomo, abbandonandone il cadavere nel bosco. Si chiama Lanny e, con voce appena udibile, sostiene di aver ucciso quell’uomo perché era stato lui a chiederglielo. Prega Luke di aiutarla a scappare. Quando il dottore rifiuta, Lanny afferra un bisturi e si squarcia il petto nudo. Quello che succede dopo cambierà le loro vite per sempre. Luke, sconvolto, accetta di aiutarla a scappare oltre confine. E durante la fuga, lei gli rivela il proprio passato. Lanny è immortale e ha più di duecento anni. Il suo è il racconto di una donna travolta da un amore torbido, appassionato e mai ricambiato abbastanza. È il racconto di un uomo ossessionato dalla bellezza e dal bisogno oscuro di possederla, un uomo che trasforma la passione fisica in uno strumento di dominio. È il racconto del terribile prezzo da pagare in cambio della vita eterna.

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GIANNI SIMONI

PESCA CON LA MOSCA TEA Edizioni pagg. 307 - euro 12,00

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avernole sul Mella, Val di Ledro, Brescia: i vertici di un macabro triangolo all’interno del quale si consuma una catena di omicidi sconcertanti, il cui solo comun denominatore pare essere l’abito talare indossato ora dai sospettati, ora dalle vittime. E l’ex giudice Petri questa volta sembra finirci in mezzo proprio per caso, quando, in un tiepido pomeriggio di fine estate, durante una battuta di pesca con la mosca, s’imbatte in un macabro spettacolo: il cadavere di una giovane donna che galleggia pigramente in un’ansa del torrente nel quale sta pescando. È l’inizio di una trama sempre più intricata, in cui gli omicidi si susseguono a ritmo inquietante; in cui la soluzione un momento appare a portata di mano e subito dopo è ambigua e fuorviante; in cui le acque si confondono in continuazione e assassini e vittime paiono scambiarsi le parti in un gioco perverso. Un’indagine molto scomoda per Petri e Miceli, che, tuttavia, come sempre, non scenderanno a compromessi in nome della giustizia.

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a cura di Erremme

labile Rachel, la “mame” che veglia su di loro da quando li ha messi al mondo, può fermare la corsa vertiginosa dei suoi ragazzi lungo il piano inclinato dell’esistenza. Forse, però, potrà difendere fino all’ultimo il segreto impronunciabile che li riguarda tutti... Nel suo ultimo lavoro Piperno riporta in scena la famiglia Pontecorvo che abbiamo imparato a conoscere in Persecuzione e con la quale abbiamo condiviso il dolore per un’onta terribile. Ora l’autore chiude il cerchio e mette il punto alla saga familiare, regalandoci un romanzo corale e di grande umanità. E come i suoi precedenti, anche questo libro è imperdibile.

ALESSANDRO PIPERNO

INSEPARABILI Il fuoco amico dei ricordi MONDADORI Edizioni pagg. 351 - euro 20,00

PAOLO CREPET

I

nseparabili. Questo sono sempre stati l’uno per l’altro i fratelli Pontecorvo, Filippo e Samuel. Come i pappagallini che non sanno vivere se non sono insieme. Come i buffi e pennuti supereroi ritratti nel primo fumetto che Filippo ha disegnato con la sua matita destinata a diventare famosa. A nulla valgono le differenze: l’indolenza di Filippo - refrattario a qualsiasi attività non riguardi donne, cibo e fumetti - opposta alla determinazione di Samuel, brillante negli studi, impacciato nell’arte amatoria, avviato a un’ambiziosa carriera nel mondo della finanza. Ma ecco che i loro destini sembrano invertirsi e qualcosa per la prima volta si incrina. In un breve volgere di mesi, Filippo diventa molto più che famoso: il suo cartoon di denuncia sull’infanzia violata, acclamato da pubblico e critica dopo un trionfale passaggio a Cannes, fa di lui il simbolo, l’icona in cui tutti hanno bisogno di riconoscersi. Contemporaneamente Samuel vive giorni di crisi, tra un investimento a rischio e un’impasse sentimentale sempre più catastrofica: alla vigilia delle nozze ha perso la testa per Ludovica, introversa rampolla della Milano più elegante con un debole per l’autoerotismo. Nemmeno l’eccezionale, incrol-

L’ AUTORITA’ PERDUTA Il coraggio che i figli ci chiedono EINAUDI Edizioni pagg. 195 - euro 16,50

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ambini maleducati, adolescenti senza regole, ragazzi ubriachi all’alba in una qualsiasi via di una qualsiasi città. Bullismo, indifferenza. Giovani senza occupazione che, invece di prendere in mano la propria vita, vegetano senza studiare né lavorare. Genitori che si lamentano di una generazione arresa, una generazione senza passioni, che sembra aver perso anche la capacità di stupirsi. Ma chi si è arreso per primo, se non i genitori stessi? Chi per primo ha smarrito lo stupore e l’indignazione? Chi, dicendo sempre sì, ha sottratto alle nuove generazioni l’essenziale, ossia il desiderio? I genitori “invertebrati”, quelli che difendono i figli a priori, quelli che salvaguardano un quotidiano quieto vivere privo di emozioni e ambizioni, dove rimbomba soltanto l’elenco delle lamentele contro la società e la politica. Come se questo mondo non l’avessero creato proprio loro. Un pamphlet severo ma anche pieno di speranza, con cui Crepet ribadisce tenacemente che educare significa soprattutto preparare le nuove generazioni alle difficili, ma anche meravigliose, sfide del futuro.

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AMANDA LIND

IL VANGELO DELL’ ASSASSINA LONGANESI Edizioni pagg. 432 - euro 17,60

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anca ormai poco a Natale e fa freddo. La pioggia che cade sul giardino della sua villa di Stoccolma non fa che incupire i pensieri di Francy. Che noia, l’inverno. Peccato non poter cambiare a piacimento le stagioni, così come lei cambia di continuo le sue interminabili liste. Tutto programmato, secondo un ordine maniacale. Perché Francy non lo sopporta proprio, il disordine. Dovrebbe essere un periodo felice, per lei, ma un pensiero ossessivo la angoscia, costringendola a tormentarsi le mani, appoggiate sul pancione di otto mesi. E non riguarda la scelta del nome da dare alla piccolina in arrivo, anche se la cosa pone non pochi problemi. Il fatto è che non è facile fare la mamma, la moglie e la manager. Specialmente se il tuo primo figlio è in crisi adolescenziale precoce e sembra preferire la compagnia della baby-sitter alla tua. Ancor meno se il tuo quasi perfetto marito sembra fare altrettanto... Ma quando Francy si vede recapitare la testa mozzata di un suo collaboratore, con tanto di biglietto d’auguri, capisce di non avere scelta. Deve scendere in guerra. Sì, perché Francy è a capo del più vasto e potente impero criminale di Stoccolma. E così, mentre è occupata ad allattare la neonata Belle e a cercare di gestire il primogenito, deve dedicarsi anima e corpo a scoprire chi è la talpa che sta mandando all’aria la sua organizzazione e chi lo spietato assassino che vuole farle le scarpe. L’uomo che le vuole sottrarre il suo impero. Un uomo che sembra conoscere un segreto capace di far crollare inesorabilmente anche la sua vita privata...

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a cura di Giovanni Battista De Blasis deblasis@sappe.it

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uasi venti anni di pubblicazioni hanno conferito al mensile Polizia Penitenziaria la dignità di qualificata fonte storica, oltre quella di autorevole voce di opi-

nione. La consapevolezza di aver acquisito questo ruolo ci ha convinto dell’opportunità di introdurre una rubrica - Cosa Scrivevamo - che contenga una copia anastatica di un articolo di particolare interesse storico pubblicato quindici e più anni addietro. A corredo dell’articolo abbiamo ritenuto di riprodurre la copertina, l’indice e la vignetta del numero originale della Rivista nel quale fu pubblicato. La copertina e la vignetta del numero del mese di gennaio 1996

Natale Tragico per la Polizia Penitenziaria di Giuseppe Romano

G

iuseppe Montalto, trent'anni, trapanese è stato assassinato la sera del 23 dicembre con tre colpi di fucile calibro 12 caricato a lupara. Un delitto feroce firmato inequivocabilmente dalla Mafia. Alta mafia l'hanno definita gli investigatori sia per Ie modalità d'esecuzione sia per il semplice collegamento del delitto con il lavoro di Giuseppe Montalto. Lavorava all'Ucciardone, alla nona sezione dove sono rinchiusi dei mafiosi, i detenuti più pericolosi in assoluto, il gotha della criminalità mafiosa. Giuseppe svolgeva il suo lavoro con onesta. Era un tipo tranquillo, come diciamo noi "si faceva il suo", una frase che solo gli addetti ai lavori possono capire e decifrare. Egli viene descritto dagli amici come un ragazzo i cui soli interessi sono la giovane moglie e la bambina di pochi mesi. Senza vizi e con la passione della pesca. Eppure è stato assassinate barbaramente, da bestie feroci mandate fino a quella tranquilla contrada di campagna del trapanese per eseguire una sentenza di morte che secondo i piani criminosi di animaIi travestiti da uomini doveva servire da monito a tutto il personale di Polizia Penitenziaria. Quel giorno, Giuseppe Montalto aveva finito di lavorare alle 16.00 ed era tornato a casa, poiché faceva il pendolare. Abitava con i suoceri, nell'attesa di costruirsi una casetta con una vita di risparmi, proprio nel pezzetto di terra dove invece ha trovato la morte. Verso Ie nove di sera era andato a comprare due bombole di gas, che dovevano servire ad alimentare una stufa, specie quando la piccola Federica di dieci mesi doveva fare il bagnetto. Giuseppe era sceso dalla sua Fiat Tipo per posare Ie bombole a casa del suocero; aveva parcheggiato proprio davanti la casa. Sua moglie Liliana era rimasta seduta sul sedile posteriore con in braccio la figlioletta. Dovevano mangiare dalla mamma di Giuseppe, a qualche chilometro di distanza dal luogo del delitto. Dopo aver chiuso il portellone posteriore si avviava ad aprire lo sportello lato guida e non appena

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aperto, un colpo di fucile sparato da un vigliacco mascherato colpiva il montante dell'auto fracassandolo; Giuseppe non aveva il tempo di girarsi che in rapida successione un altro colpo di fucile lo colpisce al fianco (bucando polmoni e cuore - colpo che si rileverà mortale n.d.a.) e subito dopo al viso devastandoglielo. II tutto in presenza della moglie e della figlioletta, rimaste miracolosamente illese, riparate dalla grossa mole del Montalto (190 cm) oppure risparmiate volutamente dal killer professionista. Dopo gli spari e Ie urla disperate della moglie il killer ha il sangue freddo di calarsi su Giuseppe per constatarne la morte. Poi fugge con un altro o forse due complici. Un delitto portato a termine da gente abituata ad ammazzare, forse da killers locali, su commissione dei padrini di Cosa Nostra. Lo spettacolo che mi si presenta la notte del 23 dicembre è agghiacciante, Giuseppe Montalto è stato massacrato non abbiamo parole, solo un grande dolore che ci fa venire lacrime silenziose di rabbia. AI funerale celebrato nella piccola chiesetta di Pietragliate un'altra piccola contrada di campagna dove Giuseppe era nato e cresciuto è presente anche il dott. Cianci e numerosissime autorità quali i Sottosegretari alla alla Presidenza del Consiglio, agli Interni ed alla Giustizia, iI Capo della Polizia, il Comandante dell'Arma dei Carabinieri ed il Comandante della Guardia di Finanza, l'Europarlamenrare Leoluca Orlando, l'On.le Storace di A.N. e poi una folla immensa di colleghi venuti da ogni parte della Sicilia a testimoniare

la solidarietà degli altri colleghi che in questo momento si sentono mandati allo sbaraglio e dei quali lo Stato si ricorda solo in occasione di questi tragici avvenimenti.

COMUNICATO STAMPA del 24 dicembre 1995 Barbaro attentato mafioso a Trapani Ieri 23 dicembre 1995, alle ore 21 ,30 nei pressi della propria abitazione in Trapani e rimasto vittima di un vile e barbara agguato , di chiara matrice mafiosa , I'agente di Polizia Penitenziaria Giuseppe Montalto di anni 30 in servizio presso il carcere dell'Ucciardone di Palermo. L'agente Montalto, che lascia la giovane moglie ed una bambina in tenera eta, prestava da due anni servizio presso la 9a Sezione del carcere palermitano, a stretto contatto con detenuti di particolare pericolosità e sottoposti al regime dell'articolo 41 bis (per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso). Tra i possibili motivi scatenanti dell'efferato delitto, una perquisizione straordinaria decisa il giorno prima, che aveva provocato gravi minacce dei reclusi nei confronti degli agenti di Polizia Penitenziaria. L'evento, da intendersi quale estrema intimidazione lanciata dalla criminalità al Corpo di Polizia Penitenziaria, contro ogni tentativo di ristabilire la legalità all'interno degli istituti penitenziari, è l'ulteriore "riprova" che proprio il Corpo nella sua totalità e nel suo quotidiano sacrificio, seppure in estrema penuria di organici, di mezzi e nella ormai disorganizzazione voluta e perpetrata dalle Autorità Politiche ed Amministrative del Dicastero della Giustizia, rappresenta l'ultimo baluardo della Stato contro il crimine, soprattutto nelle regioni ad alto rischio mafioso. Ancora una volta, inoltre, la mafia ha potuto e voluto dimostrare di avere ampia possibilità di controllo e di "comando" del Carcere dell'Ucciardone al territorio Siciliano. II S.A.P.Pe. - Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria, esprimendo solidarietà alla famiglia ed agli amici del collega Montalto, estende a tutti i colleghi di Palermo, degli istituti penitenziari della Sicilia e su tutto il territorio nazionale l'invito a non recede re di un passo dalla propria quotidiana azione a tutela dell'Ordine Costituito e, nel contempo, rinnova al Presidente della Repubblica, a tutto il Governo ed al Parlamento l'invito a prendere in seria considerazione Ie ormai insostenibili condizioni di servizio del Personale di Polizia Penitenziaria.

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Nelle foto i funerali di Giuseppe Montalto


inviate le vostre foto a: rivista@sappe.it

1973 - Casa Lavoro Penale di Castelfranco Emilia (MO) Festa del Corpo (foto inviata da Francesco Agostinelli)

1952 - C. C. di Urbino Festa del Corpo Lorenzo Casiello e colleghi (foto inviata da Roberto Casiello)

1955 - Casa Reclusione di Fossombrone (PU) Lorenzo Casiello (foto inviata da Roberto Casiello)

1986 - Acqui Terme (AL) Festa del Corpo (foto inviata da Giuseppe Moscato)

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1960 (circa)- Scuola di Portici (NA) 1955 - Scuola di Cairo Montenotte (SV) Parata del 1° plotone

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inviate le vostre lettere a rivista@sappe.it

l’appuntato Caputo©

il mondo dell’appuntato Caputo© 1992•2012 VENTI ANNI

LE ULTIME PAROLE FAMOSE... (del Vice Capo della Polizia Francesco Cirillo) SIAMO CONTRARI AI BRACCIALETTI ELETTRONICI COSTANO TROPPO E NON HANNO IL GPS SE FOSSIMO ANDATI DA BULGARI AVREMMO SPESO MENO...

di Mario Caputi & Giovanni Battista De Blasis © 1992 - 2012

E POI CI SONO ANDATI...

SIGNORA MINISTRA GUARDI CHE BEI BRACCIALETTI...

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