Poste Italiane S.p.A. Sped. in A.P. DL n.353/03 conv. in Legge n.46/04 - art 1 comma 1 - Roma aut. n. 30051250-002
anno XIX • n.193 • marzo 2012 www.poliziapenitenziaria.it
Dirigenti Sappe sempre più qualificati
in copertina: La locandina dei Corsi di formazione organizzati dal Sappe
Per ulteriori approfondimenti visita il sito
www.poliziapenitenziaria.it Fotografa questo codice e leggi la rivista sul tuo cellulare
L’EDITORIALE In piazza per la dignità della Polizia Penitenziaria, senza sconti a nessuno
Organo Ufficiale Nazionale del S.A.P.Pe. Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria
di Donato Capece
IL PULPITO Il DAP che verrà
ANNO XIX • Numero 193 Marzo 2012
di Giovanni Battista De Blasis Direttore Responsabile: Donato Capece capece@sappe.it Direttore Editoriale: Giovanni Battista De Blasis deblasis@sappe.it
IL COMMENTO Per ritornare ad essere un Paese “normale”
Capo Redattore: Roberto Martinelli martinelli@sappe.it
di Roberto Martinelli
Redazione Cronaca:Umberto Vitale Redazione Politica: Giovanni Battista Durante
L’OSSERVATORIO Lavoro straordinario dopo le 36 ore: il sì del Consiglio di Stato
Redazione Sportiva: Lady Oscar Progetto Grafico e impaginazione: © Mario Caputi (art director) www.mariocaputi.it “l’ appuntato Caputo” e “il mondo dell’appuntato Caputo” © 1992-2011 by Caputi & De Blasis (diritti di autore riservati)
di Giovanni Battista Durante
Direzione e Redazione Centrale Via Trionfale, 79/A - 00136 Roma tel. 06.3975901 r.a. - fax 06.39733669
EVENTI Abano Terme: seconda parte del Meeting di formazione dei Quadri dirigenti del Sappe
E-mail:rivista@sappe.it Web: www.poliziapenitenziaria.it Le Segreterie Regionali del Sappe, sono sede delle Redazioni Regionali di:
Polizia Penitenziaria - S G & S Registrazione: Tribunale di Roma n. 330 del 18.7.1994 Stampa:Romana Editrice s.r.l. Via dell’Enopolio, 37 - 00030 S. Cesareo (Roma)
CRIMINI & CRIMINALI Dalla guapparia alla camorra di Pasquale Salemme
Finito di stampare: Marzo 2012 Questo Periodico è associato alla Unione Stampa Periodica Italiana
Chi vuole ricevere la Rivista direttamente al proprio domicilio, può farlo versando un contributo di spedizione pari a 20,00 euro, se iscritto SAPPE, oppure di 30,00 euro se non iscritto al Sindacato, tramite il c/c postale n. 54789003 intestato a:
Il S.A.P.Pe. è il sindacato più rappresentativo del Corpo di PoliziaPenitenziaria
Polizia Penitenziaria • SG&S
POLIZIA PENITENZIARIA - Società Giustizia & Sicurezza
Via Trionfale, 79/A - 00136 Roma specificando l’indirizzo, completo, dove va spedita la rivista.
n. 193 • marzo 2012 • pag. 3
Donato Capece Direttore Responsabile Segretario Generale del Sappe capece@sappe.it
In Piazza per la dignità della Polizia Penitenziaria, senza sconti a nessuno
I
l SAPPE non ha partecipato, giovedì 22 marzo scorso, all’incontro che il Capo dell’Amministrazione Penitenziaria Giovanni Tamburino ha ritenuto opportuno convocare. Non abbiamo partecipato per una serie di ragioni. La prima è che non sappiamo di cosa intendesse parlarci, visto che (lui o chi per lui) non ha avuto la cortesia di farci sapere l’oggetto dell’oceanico incontro al quale ha invitato i sindacati della Polizia Penitenziaria, quelli degli impiegati, degli assistenti sociali, degli educatori, dei direttori e dei dirigenti. E questo lo dico perché mi hanno riferito i sussurri di taluni sindacalisti che pensano sempre, solo ed esclusivamente al SAPPE per dire l’esatto contrario per partito preso e perché fondamentalmente nulla hanno da dire e da proporre; che patiscono la nostra indiscussa leadership nel panorama sindacale così tanto da rodersi il fegato e dal vomitare giudizi inaccettabili, peraltro sgradevoli come le loro persone; che hanno l’ossessione del SAPPE a prescindere, evidentemente dettata da un’insanabile complesso di inferiorità. Al di fuori di una etica comportamentale di corrette relazioni che anche il Capo del Dipartimento non può ignorare. Un aspetto importante, questo, rispetto al quale evidentemente il nuovo corso del Dap ha qualche lacuna, visto che, ad esempio, nonostante la consuetudine e la regola della quale tutti si sono avvalsi secondo la quale in concomitanza con impegni nazionali dei direttivi delle organizzazioni sindacali non si convocano incontri, questo non sempre è stato osservato per il SAPPE. Precisato e chiarito questo, non abbiamo partecipato all’incontro con il Capo Dap anche per il sospetto che si potesse trattare dell’ennesima riunione salotto in cui si parla, si parla, si parla ma poi non si conclude nulla di concreto.
E a questo il primo Sindacato della Polizia Penitenziaria non ci sta. Per rispetto di chi in carcere lavora nella prima linea delle sezioni. Le carceri scoppiano, nelle carceri si muore e i poliziotti sono sempre più stressati e stanchi di questo stato di cose e di questa inerzia. Servono interventi concreti che questo Capo Dipartimento non ha ancora preso. E allora le chiacchiere servono a zero.
Mi sembra di poter dire, anche leggendo taluni resoconti sindacali di coloro che a quell’incontro erano presenti, che non si sia trattato di un incontro particolarmente produttivo, a parte gli impegni a parola. Delle parole, però, noi del SAPPE siamo stufi. Il SAPPE terrà un sit-in di protesta a Roma martedì 3 aprile per denunciare i gravi problemi con i quali quotidianamente si confronta la Polizia Penitenziaria e che alimentano tensione - come i costanti e continui eventi critici - gli straordinari, gli avanzamenti di carriera, gli assegni di funzione e le missioni non pagate e, da ultimo, l’assurda riforma che farà andare in pensione i poliziotti a 70 anni.
Polizia Penitenziaria • SG&S
Tutto questo nell’indifferenza dell’Amministrazione Penitenziaria e delle Istituzioni. Grideremo in piazza la nostra rabbia. Anche qui sorprendono le dichiarazioni di altri sindacati che si sono permessi di etichettare come inutili le proteste del SAPPE. Ma poi capisco che diventa difficile giustificare ai propri iscritti perché loro non manifestano contro i trasferimenti nord-sud fatti con il contagocce, contro una gestione della formazione e dell’aggiornamento professionale inesistente e vecchia di trent’anni, contro le resistenze di chi al Dap continua a rifiutare il ruolo di Corpo di Polizia dello Stato ai Baschi Azzurri della Penitenziaria, contro chi si oppone alla realizzazione della Direzione Generale della Polizia Penitenziaria al Dap, contro la mancanza di trasparenza nei distacchi del personale, solo per citare alcune delle ragioni della nostra protesta. Noi in piazza martedì 3 aprile ci saremo. E se nulla cambierà, non è escluso che manifesteremo anche il giorno della Festa del Corpo a Roma per chiedere attenzione all’unica persona che si è dimostrata attenta e sensibile ai nostri problemi: il Capo dello Stato. Festa che si terrà Roma il prossimo 18 maggio, ancora una volta in forma autoreferenziale, senza un vero coinvolgimento dei cittadini. Anziché farla in una piazza, all’aperto, tra la gente, ci si chiude ancora una volta in un’aula di una Scuola di Polizia, in via di Brava. E non è evidentemente un caso che nel gruppo di lavoro istituito per organizzare la cerimonia che celebra il quarto Corpo di Polizia dello Stato, composto da educatori e direttori che non indossano la nostra orgogliosa divisa, ci sia un solo poliziotto, peraltro inserito dopo le nostre proteste. E poi c’è anche chi ha il coraggio di dire perché scendiamo in piazza?
n. 193 • marzo 2012 • pag. 4
•
Giovanni Battista De Blasis Direttore Editoriale Segretario Generale Aggiunto del Sappe deblasis@sappe.it
Il DAP che verrà
“C
aro collega ti scrivo, così mi distraggo un po’ ... Il Dap vecchio è finito ormai, ma qualcosa ancora qui non va !” Sembra scritta davvero con queste parole la famosa canzone di Lucio Dalla. Anzi, potrebbe essere riscritta con queste esatte parole se fosse riferita al nostro Dap, piuttosto che al nuovo anno che arriva. In realtà, il vecchio Dap è davvero finito come fosse giunto inesorabilmente al suo 31 dicembre. Il primo gennaio, infatti, ci ha portato un nuovo capo dipartimento, nuovi vice capi, nuovi direttori generali, nuovi direttori di uffici di staff e, addirittura, nuove segreterie particolari delle stanze dei bottoni. In buona sostanza, è stata azzerata tutta la nomenclatura dell’amministrazione penitenziaria, ad eccezione del direttore generale del personale. Anche in questo caso, però, nella migliore delle ipotesi si tratterà di onorare il terzo e ultimo anno di contratto dopo di che, probabilmente, ci potrebbe essere un avvicendamento alla direzione dell’ISSP. Tancredi, nel Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, diceva: “cambiare tutto, per non cambiare nulla”. Il mio timore è che al Dap sia avvenuto proprio questo. E’ stato cambiato tutto, per non cambiare nulla. Mi riferisco, ovviamente, alla posizione della Polizia Penitenziaria. Infatti, per la Polizia Penitenziaria al Dap non è cambiato assolutamente nulla. Il Capo del Dap è sempre un magistrato, è ancora lui il capo del Corpo e continua a percepire cinquecentoquarantamila euro l’anno per questo incarico (forse saranno ridotti a trecentodiecimila).
Polizia Penitenziaria • SG&S
I due vice capi sono sempre un magistrato ed un dirigente generale dell’amministrazione penitenziaria. I direttori generali sono sempre magistrati e dirigenti generali dell’amministrazione penitenziaria. Agli uffici di staff c’è stato un semplice scambio di poltrone tra generali degli Agenti di Custodia. Tutte le bozze di riorganizzazione del Dap che parlano di Direzione Generale del Corpo sono finite nel trita documenti. La bozza per l’istituzione dei ruoli tecnici è ferma su chissà quale scrivania, impallinata dai veti incrociati dei sindacati del personale civile. All’Ufficio del cerimoniale continua ad esserci un direttore. All’Ufficio stampa e relazioni esterne continua ad esserci un dirigente degli educatori. Cosa è cambiato ? Nulla. Nel frattempo i sindacati (quelli con la s minuscola) si perdono dietro alle loro beghe di bottega. Niente è mai stato più indicativo del divide et impera assurto a sistema. Come potremo mai ottenere qualcosa se il 56% dei sindacati della Polizia Penitenziaria è impegnato a tempo pieno a cercare il fuscello nell’occhio del Sappe. Purtroppo, c’è anche qualche altra organizzazione extra56% che nei tempi vuoti, allorquando non esercita il culto dell’eroe, è ossessionata da quel che il Sappe dice e da quel che il Sappe fa. Ad onor di cronaca, va anche detto che una parte rilevante degli stessi sindacati è molto più interessata a mantenere lo staus quo dipartimentale che non alle riforme, affinché non si corra il rischio di perdere guarentigie clientelari che, spesso, si concretizzano in incarichi per se stessi, nell’uso di alloggi e, soprattutto, nell’impiego di parenti e amici negli uffici romani. Qualcuno, poi, concentra tutte le proprie risorse (fisiche e mentali) per replicare, controbattere, confutare, censurare e commentare quello che fa o che scrive il Sappe. Sono convinto, ad esempio, che se dovessimo scrivere un comunicato di sabato dicendo: “Domani è domenica”, c’è chi scriverebbe un altro comunicato dicendo: “Dopodomani è lunedì”. Personalmente non mi meraviglierei, nemmeno, leggendo di chi si dice capace di sconvolgere finanche il mondo della geometria preannunciando di saper disegnare triangoli con quattro lati. Addirittura, si narra che nelle sedi di certi sindacati neanche il sapone detergente può essere neutro: anche quello è schierato dalla loro parte. Sono convinto, infine, che se mai qualche scienziato dovesse scoprire l’esatta ubicazione del centro dell’universo, qualche segretario nazionale rimarrebbe davvero deluso nell’apprendere che non si tratta della sede del suo sindacato. Non sono mai stato un pessimista. Tutt’altro, ho sempre cercato di vedere il lato positivo delle cose ma questa volta, francamente, mi sembra davvero uno scenario deprimente, quasi senza speranza. Per dirla come quel tale del culto dell’eroe: Mala tempora currunt. “Vedi caro collega cosa si deve inventare per poter riderci sopra, per continuare a sperare...”
n. 193 • marzo 2012 • pag. 5
•
Roberto Martinelli Capo Redattore Segretario Generale Aggiunto del Sappe martinelli@sappe.it
Per ritornare ad essere un Paese “normale”
T Nella foto una scultura raffigurante il filosofo Platone
empo fa, attraversando la nostra bella Italia, mi sono imbattuto in una scritta sulle mura di una vecchia casa che mi ha fatto molto riflettere: “La disciplina deve cominciare dall’alto se si vuole che sia rispettata in basso!”. Nella sua essenza, ricalca perfettamente quella dizione che ormai per i giovani è archeologia del politichese: la distinzione tra Paese legale, le istituzioni e il loro alone a partire dai vertici della politica, e il Paese reale, quello che si affanna quotidianamente specie nelle fasce più deboli, più a rischio. Già Platone ebbe a scrivere che «la pena che i buoni devono scontare per l’indifferenza alla cosa pubblica è quella di essere governati da uomini malvagi.» E questo richiamo all’etica e alla moralità della politica è quello che più vuole la gente. Al punto in cui siamo arrivati, i problemi non sono più neppure di ordine politico, perchè la politica ha fallito ed ha generato l’anti-politica solo perché questa è l’alternativa agli inciuci tra nomenklature di partito, all’attivismo delle relative cricche, pingui di malaffare, agli odiosi giochetti della casta. Forse non è nemmeno un problema etico e morale, perchè anche l’etica e la morale si ritrovano ad essere contestualizzate, relativamente alla persona che commette l’illecito etico e morale. Il problema è diventato di una banalità disarmante e coinvolge esclusivamente il pudore. Prima di recuperare l’etica e la morale, quindi i valori della politica, bisognerebbe recuperare il pudore e riuscire a vergognarsi di essere rappresentati a livello comunale, provinciale, regionale, nazionale tra Camera e Senato, da gente che manca del pudore. Bisognerebbe premiare finalmente la meritocrazia, quel sistema di valori che valo-
rizza l’eccellenza indipendentemente dalla provenienza, dove provenienza indica un’etnia, un partito politico, l’essere uomo o donna ma che in Italia significa soprattutto la famiglia di origine.
In Italia il sistema di valori è molto meno meritocratico di quello di altre società, come quella nord-americana e scandinava, molto più capaci di assicurarsi che la classe dirigente (il top 1 per cento o 10 per cento, a seconda delle definizioni) sia la migliore possibile. La mancanza dei valori della meritocrazia è la causa del declino della nostra economia e della spaventosa mancanza di equità della nostra società. Siamo la società sviluppata che ha il più rapido declino economico e la maggior ineguaglianza sociale. Mentre le altre società moderne nel secolo scorso sono riuscite a evolvere da una economia agricola a una industriale e post-industriale, con lo Stato che sostituiva la famiglia come creatore di opportunità, la società italiana è ancora
Polizia Penitenziaria • SG&S
preda del familismo amorale, che prospera grazie all’assenza di uno Stato in grado di dare fiducia ai cittadini. Senza meritocrazia non è nata quella classe dirigente eccellente che in altri paesi è stata capace di creare opportunità per tutti i cittadini. Basti pensare (e lo ha fatto bene il direttore Vittorio Brunello in uno degli ultimi numeri de L’Alpino) alle costanti e continue emergenze italiane. Sbarchi di clandestini, carceri sovraffollate, rifiuti, spread, malavita, malcostume o calamità e potremmo continuare con le opere d’arte fino alle pale per lo sgombero delle strade: tutto diventa emergenza. Pochi centimetri di neve bastano a paralizzare la capitale e a far tremare i palazzi. Cose da far uscir di senno le persone di buon senso. Eppure non sono pochi proprio i cittadini di buon senso che avvertono un moto di ribellione a questi giochetti allo scaricabarile quando succede qualcosa un po’ fuori norma. È incontestabile che la vita d’oggi è complicata dalle nostre comodità. Le strade devono essere sgombre, i treni funzionare; la corrente elettrica, il gas, i medicinali e via dicendo non possono mancare. Ma il problema non è la neve: sono coloro che hanno la responsabilità di governare il benessere che abbiamo raggiunto. Non neghiamo che spesso ereditano situazioni disastrose sotto il profilo organizzativo e non dispongono di uomini e mezzi sufficienti a fronteggiare le crescenti richieste dei cittadini. È altrettanto vero che siamo lontani dalla saggezza antica che sapeva misurarsi con gli eventi organizzandosi con lungimiranza e utilizzando con parsimonia le risorse della collettività. Quel che manca è una gestione corretta
n. 193 • marzo 2012 • pag. 6
della normalità. Troppi capi e un esercito che, quando c’è, non sempre è guidato con direttive precise e mano ferma. Tutti sanno cosa devono fare gli altri, pochi si assumono le proprie responsabilità lavorando in silenzio, e se le cose si complicano ecco la parola magica: emergenza... Nel corso di un dibattito televisivo un noto economista ha riconosciuto che da quando non c’è più la leva obbligatoria è venuto a mancare nella gestione dei grandi eventi un sistema educativo e formativo che abituava i cittadini all’organizzazione e alla disciplina. Ricordo spesso quel vecchio detto militare che recitava: “Chi naja non prova, libertà non apprezza”. Ora è caduto in disuso perchè il servizio di leva non esiste più, ma credo renda bene l’idea... Si è scoperto, con un po’ di ritardo, che la ristrutturazione dell’esercito, necessaria per gli impegni dell’Italia in politica estera, non poteva non tener conto che il dovere di tutti riguarda anche la tutela del Paese. A cominciare anche da chi sconta una pena. Eppure, nelle scorse settimane, abbiamo dovuto prendere atto dello stop della Commissione Bilancio della Camera, per mancanza di copertura finanziaria, alle norme per favorire l’inserimento lavorativo dei detenuti. Ricordo a me stesso che, secondo le leggi ed il regolamento penitenziario, il lavoro è obbligatorio per i condannati e per i sottoposti alle misure di sicurezza ed è elemento cardine del trattamento penitenziario e «strumento privilegiato» diretto a rieducare il detenuto e a reinserirlo nella società.
In realtà, c’è profonda ipocrisia su questo argomento. Tutti, politici in testa, sostengono che i detenuti devono lavorare: ma poi, di fatto, a lavorare nelle carceri oggi è una percentuale davvero irrisoria di detenuti, con ciò alimentandosi una tensione detentiva nelle sovraffollate celle italiane fatta di risse, aggressioni, suicidi e tentativi suicidi, rivolte ed evasioni che genera condizioni di lavoro dure, difficili e stressanti per le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria. E le responsabilità della politica, di chi fa e vive di politica, su questo tema come sulle molte altre criticità del sistema carcere (a cominciare dalla sconfortante e colpevole disattenzione circa la specificità della nostra delicata professione) sono palesi ed evidenti. A mio avviso, perché la politica ritrovi la sua dignità e credibilità deve eliminare tutti coloro che l’hanno calpestata, che hanno
Polizia Penitenziaria • SG&S
vissuto per arricchirsi, per perseguire i propri interessi personali, calpestando valori morali ed ideali. Se poi, come oggi, la tecnica è chiamata a prendere il posto della politica non è certo un bel segnale per lo stato di salute di una democrazia. E’ la conferma più evidente che i partiti hanno fallito, che non sono stati all’altezza della situazione, che hanno perso credibilità, che non hanno saputo capire e interpretare le esigenze dei cittadini. In Italia è andata proprio così: il fallimento di Berlusconi, Bossi e Tremonti (con l’incapacità di una opposizione di sinistra allargata all’Italia dei Valori di essere portatrice di una reale alternativa) ha di fatto determinato il commissariamento della politica e il ritorno dei tecnici, come non succedeva dalla metà degli anni 90. Questa anomalia tutta italiana è un sintomo evidente di debolezza. C’è un malato, l’Italia, che invece di essere curato con la medicina tradizionale, è stato affidato alla medicina alternativa, in cura da una equipe di medici sicuramente di chiara fama ma anche un po’ ambigua, vista l’anomalia nell’anomalia di un governo presentatosi come tecnico e diventato subito politico, sostenuto per di più da una insolita quanto improbabile e numerosa maggioranza. In un momento di estrema crisi economica, finanziaria ed occupazionale, che ha travolto l’intero sistema mondiale e quello europeo, il nostro Paese è tra quello che ne ha subito i più pesanti contraccolpi. Sul banco degli imputati finisce necessariamente la politica, travolta da un sistema che non è riuscito a governare, come invece avrebbe dovuto e potuto, cioè quello delle banche e della finanza virtuale. Una cascata di responsabilità che ricade inevitabilmente sui cittadini, sulle famiglie, sui giovani in cerca di occupazione, sui lavoratori, sui pensionati, sul sistema industriale, agricolo, dei trasporti e della sanità. C’è bisogno di un ritorno alla vera politica; alla politica dei cittadini e al servizio dei cittadini; alla politica come passione civile. C’è bisogno di facce, di idee, di comportamenti nuovi. Di etica, moralità, senso civico e buon senso per tornare ad essere un Paese davvero normale.
n. 193 • marzo 2012 • pag. 7
•
Nelle foto lavoro in carcere
a sinistra apettando l’’ alba che verrà
Giovanni Battista Durante Redazione Politica Segretario Generale Aggiunto del Sappe durante@sappe.it
Lavoro straordinario dopo le 36 ore: il sì del Consiglio di Stato
N
el corso di questi ultimi anni si è presentato un particolare problema, riguardante il lavoro straordinario, con specifico riferimento a coloro che avevano lavorato in giornata festiva, dopo aver già espletato le 36 ore settimanali. Si è posto il problema, nell’ambito del Corpo di Polizia Penitenziaria e di quello della Guardia di Finanza, se al dipendente competa o meno il compenso per lavoro straordinario, per le ore eccedenti le 36 Nella foto settimanali, indipendentemente dal recuun Giudice pero del riposo non fruito. Per quanto riguarda il Corpo di Polizia Penitenziaria il problema è stato posto con due circolari del 2007 e del 2008 e risolto positivamente, nel senso che la Direzione Generale del Personale e della Formazione ha disposto che al dipendente che lavora il giorno destinato al riposo, dopo aver completato l’orario di lavoro settimanale, oltre al recupero della giornata di riposo deve essere corrisposto lo straordinario per le ore eccedenti le 36 settimanali, previste dal contratto collettivo nazionale di lavoro. Le disposizioni contenute nelle circolari de quibus sono rimaste pressoché inapplicate, tranne rare eccezioni, poiché i dirigenti degli istituti penitenziari ed i dirigenti generali dei Provveditorati regionali hanno ritenuto tali disposizioni non rispondenti alle norme vigenti. Significativo, a tal riguardo, fu il parere della Ragioneria Generale dello Stato che chiarì che in base all’articolo 10, comma 3, del d.P.R. 11 settembre 2007, n. 170 al dipendente che per sopravvenute inderogabili esigenze fosse chiamato a prestare servizio nel giorno destinato al riposo settimanale o festivo settimanale, era corrisposta un’indennità di euro 5,00 a compensazione della sola prestazione di lavoro giornaliero. Pertanto, in base alla normativa contrattuale, il servizio prestato nella giornata di riposo settimanale era considerato prestazione lavorativa ordinaria e al di-
pendente in questione poteva essere corrisposto il compenso per lavoro straordinario nella sola ipotesi in cui la prestazione lavorativa chiesta eccedesse l’ordinario orario di lavoro giornaliero. Ciò, anche nella considerazione che al dipendente spettava, comunque, una giornata di riposo compensativo, secondo quanto stabilito dal decreto legislativo n. 66/2003, da godere in un giorno normalmente lavorativo per il recupero delle energie psico-fisiche.
Successivamente, in risposta ai numerosi quesiti pervenuti sull’argomento e richiamando proprio la nota della ragioneria Generale dello Stato, l’Amministrazione penitenziaria ha emanato una nuova circolare, più esplicativa delle due precedenti, con la quale ha ribadito e chiarito che al dipendente che lavora in giornata festiva, dopo aver completato l’orario settimanale di lavoro, compete il pagamento delle ulteriori sei ore come lavoro straordinario, oltre al riposo recupero e all’indennità di cinque euro di cui all’articolo 10, comma 3, del d.P.R. 170/2007. Successivamente, il Capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, con let-
Polizia Penitenziaria • SG&S
tera circolare ha modificato le precedenti disposizioni emanate dalla Direzione Generale del personale e della formazione, nel senso che a coloro che lavorano in giornata festiva, dopo aver completato l’orario settimanale di servizio (leggasi 36 ore), competono il riposo recupero, l’indennità di 8.00 euro prevista dall’articolo 10, terzo comma, dell’Accordo Quadro e verrà considerato straordinario e come tale retribuito l’eccedenza di orario oltre quello ordinario di servizio, vale a dire dopo le sei ore giornaliere. Nel 2009, un gruppo di 117 agenti di Polizia Penitenziaria in forza agli istituti di Parma ha promosso, attraverso lo studio legale Carnevali di Parma, attualmente convenzionato con il SAPPE, un ricorso al TAR dell’Emilia Romagna, sezione staccata di Parma, al fine di ottenere il riconoscimento del diritto a percepire il trattamento economico previsto per lavoro straordinario per l’attività di servizio svolta, in eccedenza sull’orario settimanale di 36 ore, nel giorno destinato al riposo settimanale, oltre all’indennità di 8.00 euro, anch’essa mai retribuita dalla direzione degli istituti di Parma, per il disagio di essere richiamati in servizio nel giorno del riposo soppresso. Il Giudice adito, con sentenza n° 307/2011 ha accertato il diritto dei ricorrenti alla corresponsione del compenso spettante a ciascuno per ogni periodo di servizio svolto durante il quinquennio ottobre 2004/ottobre 2009 per ore di straordinario effettuate e non pagate, svolte in giornata destinata al riposo, oltre le 36 ore settimanali, secondo gli importi maturati in base alla legge e ai contratti succedutisi nel tempo, nonché dell’indennità per lavoro nel giorno di riposo prevista dall’art. 10 comma 3 del CCNL di categoria, recepito con d.P.R. 11/09/2007 n. 170, con rivalutazione monetaria secondo l’indice ISTAT e interessi legali sulle somme rivalutate dalla data di maturazione del diritto fino al soddisfo.
n. 193 • marzo 2012 • pag. 8
Inoltre, di non minore importanza, il fatto che il giudice adito si è sostanzialmente pronunciato pro futuro, annullando la nota del Ministero della giustizia, Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria a firma del Capo del Dipartimento prot. N. GDAP0481307-2009 del 30.12.2009, impugnata con i motivi aggiunti. Il Giudice, nel corpo della sentenza, ha confutato le argomentazioni dell’amministrazione, affermando che non può essere accolta la tesi dell’amministrazione per cui la giornata lavorativa prestata in eccedenza rispetto all’orario settimanale di 36 ore stabilito dal Contratto Collettivo Nazionale di lavoro darebbe diritto al solo riposo compensativo (peraltro da fruirsi non necessariamente con cadenza settimanale, ma a discrezione dell’amministrazione) e all’indennità giornaliera di euro 5.00. Il Giudice ha stabilito il fondamentale principio in relazione al quale l’orario di lavoro si calcola su base settimanale, per cui il lavoro eccedente le 36 ore settimanali deve
esser considerato straordinario. L’amministrazione penitenziaria ha impugnato la sentenza al Consiglio di Stato. L’organo adito, con sentenza n° 1342/2012, ha stabilito che l’appello era infondato ed ha confermato la sentenza di primo grado. Il Giudice di secondo grado ha osservato, in aggiunta a quanto aveva già fatto quello di primo grado, che la disposizione di cui all’articolo 10, terzo comma, del d.P.R. n° 170/2007 deve essere interpretata nel senso che sostituisce unicamente la retribuzione ordinaria per il giorno festivo e, non riferendosi in alcun modo al problema del lavoro straordinario festivo, non può supportare la tesi negativa accolta dal ministero. A sua volta, la funzione del recupero mediante la turnazione di riposo non ha carattere retributivo, essendo invece quella di compensare il disagio arrecato (ratio emergente del contratto) per aver prestato servizio ordinario in giorno festivo, se si considera nel contempo che la festività ha di norma carattere irrinun-
Polizia Penitenziaria • SG&S
ciabile e che il disagio stesso costituisce un fatto oggettivamente irrimediabile, se non con l’istituto in questione (in assenza del quale la retribuzione festiva riceverebbe un trattamento complessivo identico al normale giorno di lavoro). Quindi, ad avviso del collegio, nessuno dei benefici previsti dal cennato comma 3 costituisce fattore preclusivo del diritto al compenso per il lavoro straordinario festivo di cui si controverte.
n. 193 • marzo 2012 • pag. 9
•
Nella foto Agenti al lavoro in una sezione
Abano Terme: seconda parte del Meeting di formazione dei Quadri dirigenti del Sappe
é
stato sottolineata più volte e in più contesti l’importanza della formazione professionale anche in relazione alla peculiare strategicità che occupa nel mondo produttivo e lavorativo. L’esigenza di acquisire competenze e di essere costantemente aggiornati e preparati rispetto ai continui cambiamenti normativi è condizione imprescindibile per chi si pone al servizio degli altri, specie in campo sindacale. Per essere competitivi e per crescere professionalmente bisogna quindi in primo luogo specializzarsi, tenersi sempre aggiornati e ampliare le proprie conoscenze senza aver mai paura di mettersi in discussione. Partendo da questi principi, si è tenuto ad Abano Terme dal 12 al 15 marzo scorsi il secondo Meeting di formazione dei Quadri del SAPPE che ha visto coinvolti circa 60 dirigenti del Nelle foto alcune fasi primo Sindacato della Polizia Penitenziaria provenienti dalle redel Corso gioni dell’Italia centrale, meridionale ed insulare.
Polizia Penitenziaria • SG&S
Dopo il coinvolgimento delle colleghe e dei colleghi provenienti dalle regioni settentrionali, dunque, il percorso formativo fortemente voluto dalla Segreteria Generale del SAPPE è proseguito con ampia soddisfazione delle persone intervenute, che hanno seguito con partecipazione ed interesse le lezioni. E’ utile ribadire che questi due meeting sono i primi appuntamenti di una percorso di formazione ed aggiornamento professionale che vedrà coinvolti tutti i quadri sindacali del SAPPE. Importanti e qualificati i relatori intervenuti: Mario Moioli, Responsabile del servizio promozionale e di marketing di Fon. Ar. Com.; Salvatore Piroscia, Docente presso l’Istituto professionale alberghiero di Assisi (PG), Direttore di Confsalform; Carmelo Mezzasalma, Docente presso l’Istituto Professionale per l’industria e l’artigianato “G. Marconi” – Vittora (RG) e Direttore del catalogo sicurezza di Confsalform; Nello Cesari, Docente di trattamento criminologico presso la Scuola di specializzazione dell’Università di Modena e Nicoletta Sensi, Referente per il MIUR di un progetto nell’ambito della comunicazione e relazioni interpersonali, Gruppo di ricerca del prof. Enrico Cheli dell’Università di Siena. Interessanti gli argomenti affrontati: dalla legislazione della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro dal D.Lgs 626/94 al Dlgs 81/08 alle relazioni sindacali nel comparto sicurezza, analisi e riflessioni sul D. lgs. N. 195/95, la contrattazione e le tecniche di negoziazione. E poi, ancora, la leadership efficace e i compiti del leader, le tecniche di comunicazione e relazioni interpersonali, l’Accordo Quadro Nazionale del Corpo di Polizia Penitenziaria e contrattazione sindacale, obblighi e diritti dei Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, le relazioni sindacali
n. 193 • marzo 2012 • pag. 10
Nella foto i partecipanti al Meeting di formazione
tra OO. SS. e parte pubblica. E’ quindi seguito il test di verifica per tutti i partecipanti ai quali sono stati riconosciuti alcuni crediti formativi. Giornate intense, partecipate, che hanno riscosso un grande successo e che hanno confermato l’importanza che hanno, per il
Polizia Penitenziaria • SG&S
•
SAPPE, la formazione e l’aggiornamento professionale dei propri quadri dirigenti da mettere a disposizione ed al servizio degli iscritti. Anche così si mantiene la leadership del sindacalismo: con la preparazione e la professionalità di coloro che rappresentano il primo Sindacato della Polizia Penitenziaria. erremme
n. 193 • marzo 2012 • pag. 11
a cura di Lady Oscar Redazione Sportiva rivista@sappe.it
Lo sport in divisa: dalle Compagnie atleti alla nascita dei Gruppi Sportivi el panorama sportivo nazionale, tra tutte le organizzazioni e le società esistenti, le vestali che custodiscono l’agonismo sportivo di altro profilo, sono i gruppi sportivi (militari e non) dei Corpi in divisa, con all’interno sezioni di discipline olimpiche nella quasi totalità dei casi. Il Corpo della Regia Guardia di Finanza iniziò la sua attività agonistica a partire dal 1911, le Fiamme Gialle, come siamo abituati a chiamare oggi i finanzieri dello sport, esordirono invece con l’atletica nel 1930. Negli anni ’50 prese avvio l’esperienza di un protocentro sportivo a Sabaudia della Marina Militare che riuniva gli atleti degli sport remieri (canoa e kayak) ed il nuoto, con l’intento di preparare un gruppo di atleti competitivi in vista delle Olimpiadi di Roma 1960; nel 1954 furono create le Fiamme Oro, nel 1960 il Gruppo Sportivo Esercito, nel 1963 quello dei Vigili del Fuoco, nel 1964 furono varati i centri sportivi di Carabinieri ed Aeronautica, infine, istituito nel 1983 ed agonisticamente attivo dal 1985, è arrivato, ultimogenito rispetto a tutti gli altri, il gruppo sportivo della Polizia Penitenziaria: le Fiamme Azzurre. Ad onor del vero, quasi a consolare di essere arrivati con grande ritardo rispetto agli altri sodalizi sportivi già operanti, bisogna ricordare che la Polizia Penitenziaria, di ben più antiche tradizioni, aveva visto nascere al suo interno l’Astrea nel 1948. Come spesso avviene, i progetti che nel tempo si dimostrano più seri e duraturi, inizialmente originano dalla passione e dall’entusiasmo di sole poche persone. L’Unione Sportiva Astrea, così si chiamava, nacque dall’idea di un gruppetto di appassionati dipendenti del Ministero di Grazia e Giustizia, che decisero di formare una squadra di calcio composta da appartenenti
N
Nelle foto a destra lo scudo del G.S. Fiamme Gialle sotto una formazione dell’Astrea del campionato 1948-49
dell’allora Corpo degli Agenti di Custodia. Limitandosi alle fasi salienti della storia basti sapere che è stata la legge 81 del 1991 a permettere alla squadra di prendere parte al suo primo campionato a livello professionistico con calciatori che mantennero lo status dilettantistico. Da quel momento la squadra cambiò denominazione sociale in Associazione Sportiva per effetto delle disposizioni contenute nella predetta legge e partecipò, consecutivamente per sei stagioni agonistiche, al campionato professionistico di serie C2, confrontandosi con realtà` calcistiche con trascorsi illustri come Catanzaro, Taranto o il Catania, oggi in serie A, tanto per dimostrare che come palestra di militantismo successivo anche per palcoscenici di tutt’altro rilievo la strada imboccata era giusta. Al termine della stagione 1995/96 l’A.S. Astrea fu retrocessa al Campionato Nazionale Dilettanti e nella stagione seguente ebbe modo di stabilire uno dei primati ancora imbattuti nella storia del calcio dilettantistico italiano: riuscì ad aggiudicarsi Campionato Nazionale Dilettanti, Coppa Italia Dilettanti e 2° posto Poule Scudetto; (Vice campione d’Italia Dilettanti, dispu-
Polizia Penitenziaria • SG&S
tando in totale 55 gare ufficiali (vinte 34, nulle 14, perse 7 - reti fatte 98 subite 35). Quella stagione, coronata da tanti successi, vide protagonista l’A.S. Astrea anche allo stadio Olimpico di Roma, dove davanti all’ora Ministro della Giustizia - On.le Giovanni Maria Flick- si aggiudicò la Coppa Italia Dilettanti. Nella stagione agonistica 1997/98, a seguito dei successi ottenuti, ci fu il ritorno nel campionato professionistico di serie C2. Poi però, data l’impossibilità di attuare un piano di ringiovanimento della rosa degli atleti a disposizione che potesse assicurare un adeguato ricambio generazionale (l’Astrea non opera sul mercato aperto dei giocatori promettendo i profumati ingaggi caratteristici degli altri team militanti nella stessa serie) la squadra non riuscì a mantenersi sui livelli raggiunti. Ritornò alla serie D dalla stagione successiva, praticamente senza soluzione di continuità, con la speranza di poter reclutare nuove leve con concorsi mirati arrivati solo nel 2010, quando per le Fiamme Azzurre e gli altri gruppi sportivi erano ormai diventati da diverso tempo una consuetudine (di cui daremo un ampio resoconto a parte). Risultati alla mano e, considerando che la Polizia Penitenziaria è l’unico Corpo ad
n. 193 • marzo 2012 • pag. 12
avere al suo interno una squadra di calcio in un paese come l’Italia in cui tale sport assume quasi i connotati di una religione laica visti i numeri di appassionati, ci sarebbe più di qualche ragione per essere orgogliosi. Ci si aspetterebbe che un tale patrimonio interno contribuisse ad accrescere il senso di appartenenza di un Corpo caratterizzato, ovviamente ed innanzitutto dal lavoro di tanti addetti ad un servizio d’istituto duro e fondamentale. Sarebbe legittima una difesa perché l’agonismo sportivo di Fiamme Azzurre ed Astrea concorre (almeno lui) a vendere bene l’immagine della Polizia Penitenziaria, a rinforzarne il prestigio in ambiti diversi (per una volta accessibili a stampa e mezzi di comunicazione rispetto al lavoro nascosto di tanti invisibili colleghi che operano al servizio del Paese). D’altra parte le attestazioni di stima esterne manifestate nei confronti dei gruppi sportivi sono state molte ed autorevoli: al ritorno delle olimpiadi di Pechino 2008 ad esempio, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, parlando a braccio di fronte ad una platea gremita di atleti olimpici e paralimpici, oltre che di personaggi istituzionali, disse che le Fiamme Azzurre e chi le rappresentava dovevano essere portate ad esempio nel nostro Paese, e durante quella stessa occasione il Presidente del Cip Luca Pancalli aggiunse che tutti i successi raggiunti dai paralimpici delle Fiamme Azzurre a Pechino erano stati resi possibili dagli sforzi di un sognatore pazzo come lui ed il responsabile di quelle Fiamme Azzurre che aveva tanto spinto affinché il gruppo sportivo della Polizia Penitenziaria, primo fra tutti gli altri presenti in Italia, ammettesse al proprio interno una sezione di atleti diversamente abili. Inoltre è bene sottolineare come i ministri Castelli, Mastella e soprattutto Alfano, che ha imparato conoscendola a seguire e tifare l’Astrea, abbiano avuto parole di grande stima per i gruppi sportivi della Polizia Penitenziaria, definendoli il miglior biglietto da visita dell’Italia nel mondo. Oltretutto, riprendendo le dichiarazioni del Capo della Polizia, Prefetto Antonio Manga-
nelli, «dallo sport e dai suoi campioni può giungere un formidabile esempio di legalità ed emulazione positiva» e non ci sarebbe nulla di strano nel difendere il proprio patrimonio di valore e successi legati allo sport, ma, nella nostra Amministrazione, mai dare nulla per scontato, mai credere che tutto ciò che avviene in altri ambienti, in altri contesti istituzionali ed in altri Corpi sia la normalità, perché così non è. Se esistesse un podio che raccontasse della diffidenza, se non proprio dell’aperta ostilità verso le specializzazioni sportive proprie, la Polizia Penitenziaria al suo interno sarebbe da medaglia d’oro per l’Astrea e da piazza d’onore per le Fiamme Azzurre. Oltre all’assordante silenzio da parte dei vertici del Dap sullo sport, interrotto solo da circostanze eccezionali (ad esempio dopo medaglie olimpiche o nel corso di cerimonie ufficiali), l’anomalia più grande che rende più fragile ed attaccabile il sistema, è il modus operandi di molti personaggi, in aperta polemica con i gruppi sportivi. Come se non fossero un patrimonio comune ma piuttosto un giocattolo costoso caro a pochi, da parte di costoro Fiamme Azzurre ed Astrea sono spesso fatti oggetto di campagne demagogiche, di polemiche sterili, di dispetti puerili o di autentici tentativi di boicottaggio. L’Astrea in particolare è da sempre il bersaglio fisso delle accuse di essere un male assoluto per il Corpo
Polizia Penitenziaria • SG&S
dal punto di vista gestionale, da pochissimo lo è diventata anche riguardo ai reclutamenti tramite concorso pubblico per titoli (lo ripetiamo, previsti e regolati dalla stessa legge di cui hanno beneficiato tutti i gruppi sportivi militari per rinfoltire le proprie fila). Viene da pensare spesso a cosa ne farebbero gli altri Corpi in divisa dell’Astrea e del ricco gruppo di atleti delle Fiamme Azzurre che tra l’altro, è bene ricordarlo, andranno a costituire gran parte dell’ossatura fondamentale della spedizione olimpica presente a Londra 2012. Viene da chiedersi anche se in un altro gruppo, Carolina Kostner sarebbe potuta diventare, con una metamorfosi improbabile, da farfalla del ghiaccio a picchiatrice coinvolta a fine gennaio nei pestaggi a dei detenuti del carcere di Bolzano. Crediamo di no ma, senza astrarre troppo, basta guardare ciò che succede dai cugini più prossimi della Polizia di Stato, che tra tutti rappresentano il più utile dei termini di paragone poiché, oltre al Gruppo Sportivo Fiamme Oro, ospitano al loro interno una squadra di rugby di illustri tradizioni. Una squadra dunque, come l’Astrea in Polizia Penitenziaria, ma più giovane di sette anni.
Nella foto Carolina Kostner in uniforme
Nella foto la formazione del 1958 della squadra di Rugby delle Fiamme Oro
n. 193 • marzo 2012 • pag. 13
➠
Nel tondo il patch del Gruppo Sportivo Fiamme Oro
Sul sito www.fiammeororugby.it si avete letto bene, la Polizia di Stato gli ha dedicato un sito proprio, si comprende infatti come la nascita della sezione rugbistica delle Fiamme Oro risalga al 1955, un anno dopo la fondazione del gruppo sportivo, ed avvenne per iniziativa di una ventina di agenti del II reparto mobile di Padova che, nel dopolavoro, usavano darsi appuntamento per disputare incontri di rugby. Poi dopo poco tempo, l’iniziativa ricevette il sigillo dell’ufficialità e la squadra fu acquisita dal gruppo sportivo e iscritta al campionato nazionale di serie A, imponendosi ben presto come una delle più organizzate e tecnicamente valide del panorama rugbistico nazionale: essa infatti, esordiente nel 1956/57, vinse quattro titoli consecutivi dal 1957/58 al 1960/61. Attualmente la squadra comprende 40 atleti più 15 persone dello staff: tutti i giocatori sono poliziotti. Uno dei momenti più complicati per il team fu il 1995 anno in cui fu introdotto il professionismo, perché a partire da quella data, che ha segnato lo spartiacque tra il passato ed il futuro del rugby, la concorrenza con le altre squadre è diventata così spietata che, per poter mantenere il passo con la crescita del movimento italiano, si sarebbero presto resi necessari dei reclutamenti che potessero consentire alla rosa della Polizia di Stato di continuare ad essere il team performante di sempre, con campioni giovani e motivati. I concorsi mirati per i mitici cremisi della Polizia non sono però arrivati prima di un decennio dopo quel 1995. Solo considerando il periodo che va dal 2009 in avanti sono stati 18 gli atleti reclutati con il concorso mirato. A beneficio dell’Astrea nel 2010 e nel 2011 sono stati indetti due concorsi simili per assumere, rispettivamente 5 e 7 calciatori, 12 in tutto. A differenza di quanto avviene da noi per l’Astrea, la Polizia di Stato, nell’assumere
nuove leve, ha dimostrato di avere al proprio interno una cultura sportiva più radicata e matura: nessuno ha visto nulla di strano nel tenere vivo il valore dei propri settori agonistici tramite concorsi mirati, neppure un sindacato si è mai indignato perché i gruppi sportivi continuano ad attingere linfa nuova per sopravvivere, e men che meno, nessun sindacato si permetterebbe di chiedere chiarimenti al Ministro Cancellieri o al Prefetto Manganelli per questo. Anche in tempi di crisi e di tagli alle finanze nessun poliziotto vuole che la scure si abbatta sulla squadra di rugby o sul gruppo sportivo con l’intento di far demagogia prêt-à-porter: il sindacalista che lo facesse correrebbe probabilmente il rischio di rimanere isolato dopo avere lanciato la provocazione. Questo perché esiste la consapevolezza che sciogliere una disciplina come il rugby della Polizia, con la possibilità di avere forse dieci volanti in più per strada, sebbene non serva affatto a migliorare di molto una situazione generale di mancanza di personale e scarsità di risorse, provocherebbe il ben più grave depauperamento di una tradizione gloriosa, che renderebbe scellerata l’impresa. E’ prezioso ed illuminante, a testimonianza di una cultura sportiva diversa e radicata, fatta di settori giovanili attivi in ogni sezione delle Fiamme Oro e anche, dal 2004, di sezioni dedicate ai Veterani Affiliati (ex atleti che gareggiano a proprie spese fregiandosi ancora dell’abbigliamento sportivo delle Fiamme Oro), è l’intervento che ha voluto concederci il Segretario Generale Aggiunto Sap Ernesto Morandini (il Sap è il secondo sindacato più rappresentativo della Polizia di Stato) che ha definito le Fiamme Oro «patrimonio di professionalità e di successi». Il Sap in tempi di crisi e di tagli, sostiene i campioni che faranno parte della spedizione azzurra esprimendo con forza la necessità di «puntare ed investire nei gruppi sportivi». Volendo allargare la panoramica al resto del mondo sindacale della Polizia di Stato c’è da rilevare, e questo è il paragone più
Polizia Penitenziaria • SG&S
doloroso rispetto a quanto avviene in casa nostra, che le altre sigle che diversamente dal Sap non conducono in prima persona delle battaglie a favore dei gruppi sportivi, almeno non si oppongono a quelle degli altri. Questo atteggiamento è una regola di portata generale anche per la gran parte degli altri Corpi in divisa e ciò fa pensare, a dispetto dei molti risultati raggiunti che hanno portato la Polizia Penitenziaria sulla ribalta internazionale per mezzo dello sport, che il gap da colmare rispetto agli altri, non è di strutture, di medaglie, di atleti o di tecnici, ma di mentalità. I progetti che nel tempo si dimostrano più seri e duraturi nei nostri gruppi sportivi originano dalla passione e dall’entusiasmo di sole poche persone come detto prima, ma continuano a sopravvivere solo se rimane in vita l’entusiasmo di quelle. Eppure le idee valide, le strutture, gli uomini e la volontà di far bene ci sono state, ci sono e continuerebbero ad esserci se solo fosse garantita la possibilità di lavorare con maggiore serenità, con un’unità di Corpo degna di questo nome e, perché no, con un pizzico di orgoglio in più. Questo perché se poco tempo fa il Presidente della Repubblica Napolitano ha dichiarato che lo sport contribuisce all’identità di una nazione e fare sport nei gruppi sportivi della Polizia Penitenziaria contribuisce molto più spesso a far si che i suoi campioni, ed in questo momento anche il responsabile dei gruppi sportivi, si sentano degli stranieri in patria. Sette anni di successi, riconoscimenti ed iniziative importanti Dal 2005 ad oggi, con l’attuale gestione di Marcello Tolu nei gruppi sportivi Astrea e Fiamme Azzurre, c’è stata la ricostituzione di un organico di atleti ridotto ai minimi termini, effettuata esclusivamente con il re-
n. 193 • marzo 2012 • pag. 14
clutamento di campioni di altissimo profilo. Le Fiamme Azzurre sono state il primo Gruppo Sportivo espressione delle Forze Armate e dei Corpi di Polizia a dotarsi di un apposito strumento normativo che rendesse certe e trasparenti le procedure di reclutamento, attualmente disciplinate dal DPR 30 aprile 2002 n. 132: il regolamento prevede lo svolgimento di concorsi pubblici per titoli sportivi riservati agli atleti dichiarati di interesse nazionale dalle federazioni sportive di riferimento. Con la ricostruzione dell’organico degli atleti, dopo una gestione precedente da questo punto di vista depauperante, è seguita la ricostruzione del parco tecnici, e la modalità seguita per averne nelle fila delle Fiamme Azzurre di preparati e motivati non è stata quella seguita dagli esordi del gruppo sportivo in poi, che prevedeva l’impiego di persone esterne all’Amministrazione Penitenziaria assunte a contratto: per assicurarsi di avere delle persone perfettamente calate nella realtà e nella mentalità dell’ambiente in cui il gruppo è inserito, il Ds Tolu ha puntato alla formazione di professionisti che preferibilmente provenissero già dalle Fiamme Azzurre. Si è trattato nella maggioranza dei casi di atleti che stavano smettendo l’attività agonistica che avevano dimostrato spiccate doti e attitudini per l’insegnamento della loro disciplina, con il recupero di persone che erano già tecnici, che addirittura collaboravano con le squadre nazionali delle varie discipline ma che il gruppo sportivo, per varie ragioni, prima della gestione attuale, aveva accantonato. Per operare in una propria casa, termine col quale si intende l’impiantistica ed i materiali tecnici per svolgere le varie discipline, c’è da rilevare come la dotazione attualmente raggiunta delle Fiamme Azzurre è difficilmente eguagliabile dalla
quasi totalità delle società private. Gli impianti sportivi dismessi per lungo tempo sono stati rimessi in attività con appropriati restauri e migliorie apportate. Attualmente nelle strutture polifunzionali delle Fiamme Azzurre è possibile praticare all’aperto l’atletica leggera a livelli di competizioni fino alla Coppa Europa: esiste (ed è la struttura delle gare in casa dell’Astrea), un campo da calcio omologato per le competizioni professionistiche, una pista indoor di atletica leggera che in Italia non ha eguali per dimensioni e varietà di discipline praticabili (persino i lanci se si escludono i soli martello e giavellotto indoor). Ricostituito il parco atleti e tecnici, ridotato nuovamente il gruppo delle strutture su cui materialmente svolgere le sue attività con impianti all’altezza, ricostruita anche la struttura amministrativa e direzionale del gruppo sportivo a cominciare dai segretari di sezione, i risultati ottenuti sono stati eclatanti. Nel luglio 2007, altro importantissimo passaggio della storia del gruppo sportivo è stato la sigla dell’accordo con il Cip (Comitato Italiano Paralimpico) presieduto da Luca Pancalli, con il quale all’interno delle Fiamme Azzurre sono state aperte diverse sezioni riservate ad atleti di livello, diversamente ma tanto abili. A distanza di un solo anno dal loro ingresso sono già arrivate le prime soddisfazioni alle Paralimpiadi estive ed invernali con medaglie importanti nel ciclismo e nello sci, a Pechino e Vancouver. A spiegare i successi che questa gestione ha finora raccolto, impensati e insperabili fino a sette anni fa, non ci sono solo arruolamenti, strutture ed allenamenti: dato che
Polizia Penitenziaria • SG&S
le vittorie sono fatte di molte componenti, in gran parte di tipo psicologico, a fare la differenza l’elemento che più di altri può caratterizzare l’era Tolu rispetto ad altre gestioni è la sua capacità di dialogare con gli atleti, di ascoltarli e di metterli nelle migliori condizioni possibili per avere la serenità di gareggiare al meglio delle loro possibilità; di incoraggiarli e stimolarli nei periodi no, di festeggiare con loro dopo le vittorie, ma anche di sostenerli e di non abbandonarli soprattutto a seguito delle sconfitte. La fase caratterizzata solo da distanza formale e assenza di dialogo si è esaurita e sostituita con un lavoro più massacrante, di presenza costante o di telefono rovente per gran parte del giorno e della sera. Poi, a proposito dell’alta funzione sociale che può ricoprire l’attività sportiva direzionata ad obiettivi alti ed altri rispetto all’agonismo puro, è necessario ricordare anche come a partire dalla stagione 2010/2011 l’Astrea calcio abbia iniziato ad occuparsi delle categorie giovanili, inizialmente solo dei Giovanissimi provinciali, dalla stagione 2011/2012 sono arrivati anche gli Allievi provinciali, nella struttura della ex Stella Polare di Ostia, nella periferia di Roma dove spesso l’impegno nello sport per un ragazzo può segnare la differenza tra una vita sana e regolata ed una fatta di distrazioni pericolose. Recente ed importante c’è stata inoltre la stretta collaborazione delle Fiamme Azzurre con l’Aics per un progetto rivolto alla lotta al doping ed al bullismo, un progetto a favore della legalità e dello sport pulito, sfociato nel recentissimo patrocinio delle Fiamme Azzurre all’osservatorio nazionale sul bullismo ed il doping.
n. 193 • marzo 2012 • pag. 15
•
Nelle foto al centro l ‘impianto sportivo di Casal del Marmo a Roma sotto la rosa dell’ Astrea del campionato 1996-97
Dalla parte delle Fiamme Oro
V
oglio innanzitutto ringraziare gli amici del SAPPe per lo spazio concesso e per le azioni condotte in difesa dei Gruppi Sportivi della Polizia Penitenziaria. Per quel che riguarda la Polizia di Stato, da sempre il Sindacato Autonomo di Polizia porta avanti una battaglia per tutelare il patrimonio di professionalità e successi delle Fiamme Oro che possono contare su atleti di altissimo profilo in ben 39 discipline sportive e che annoverano tra i propri sucNella Foto Ernesto cessi oltre 70 medaglie olimpiche. Morandini Crediamo fermamente che le Amministra-
zioni che ci rappresentano debbano puntare e investire nei Gruppi Sportivi, soprattutto in un momento nel quale i tagli alle finanze pubbliche si fanno sentire pesantemente. Da settimane il Sindacato Autonomo di Po-
lizia è impegnato, ad esempio, in una importante battaglia per le Fiamme Oro in vista delle Olimpiadi di Londra. Siamo intervenuti nei confronti del Dipartimento di Pubblica Sicurezza per evidenziare la situazione di tre campioni della disciplina del Tiro a Volo come Francesco D’Aniello, Daniele Di Spigno e Jessica Rossi, tutti convocati per i Giochi Olimpici - grazie anche ad un direttore tecnico di assoluto valore come Pierluigi Pescosolido -, per i quali si rendeva necessario integrare i fondi relativi all’approvvigionamento delle munizioni con una somma pari a circa 10.000 euro. Ebbene, il nostro intervento – unitamente alla sensibilità dell’Ufficio Relazioni Sindacali del Dipartimento di P.S. – ha permesso di reperire le somme necessarie in poco tempo. La nostra battaglia si sposta adesso sull’intera fornitura di munizioni per le discipline del Tiro a Volo, Tiro a Segno e Pentathlon moderno. I Gruppi Sportivi Fiamme Oro sono da sempre motivo di vanto ed orgoglio per la Polizia di Stato e come sindacato abbiamo la responsabilità di tutelare gli atleti e tutti coloro che contribuiscono a dare lustro alla divisa. Il nostro Capo della Polizia, Antonio Manganelli, ha definito le Fiamme Oro un «modello per i giovani»e ha aggiunto: «Attraverso lo sport si diffondono dei valori che agiscono come momenti di prevenzione sociale, al pari dell’attività investigativa e di controllo del territorio che migliorano le condizioni di sicu-
Polizia Penitenziaria • SG&S
rezza del Paese. Gli atleti della Polizia conseguono dei risultati che li fanno diventare modelli di riferimento». Parole importanti che sento di condividere in pieno e che possono essere estese a tutti i Gruppi Sportivi dei Corpi dello Stato, a partire dalle Fiamme Azzurre.
n. 193 • marzo 2012 • pag. 16
•
Ernesto Morandini Segretario Generale Aggiunto SAP Sindacato Autonomo di Polizia
a cura di Ciro Borrelli Segretario Locale Sappe ICF Roma borrelli@sappe.it
La Direzione Generale del Personale e della Formazione Minorile
L’ Nelle foto a destra Manuela Romei Passetti al centro Bruno Bartoli sotto il Dipartimento per la Giustizia Minorile di Roma
articolo di questo mese relativo ai servizi della Giustizia Minorile è dedicato alla più importante delle direzioni generali del Dipartimento Giustizia Minorile, la Direzione Generale del Personale e della Formazione che gestisce un contingente di Polizia Penitenziaria impiegato nei servizi minorili, assegnato dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria previa adeguata selezione. La Direzione Generale del Personale e della Formazione, diretta magistralmente dal dott. Luigi Di Mauro da cinque anni, con ottimi risultati, concorre con le altre direzioni generali e con gli uffici del Capo Dipartimento alla realizzazione degli interventi di giustizia minorile e all’attuazione dei provvedimenti giudiziari, attraverso un’adeguata amministrazione, sviluppo, valorizzazione delle risorse umane nonché di specifici programmi di formazione e aggiornamento delle stesse. La Direzione Generale del Personale e della Formazione è articolata in due uffici situati al primo piano della nuova struttura di via Damiano Chiesa, 24 in Roma. Attualmente il Direttore Generale dott. Luigi Di Mauro ha a disposizione per la gestione nazionale delle unità di Polizia Penitenziaria, lo staff dell’Ufficio I composto da: un Direttore responsabile del Servizio di Polizia Penitenziaria dott. Cosimo Dellisanti, l’Ispettore Alessandro Saccuti, l’Ispettore Francesco Colarossi e l’Assistente Capo Marco Fabrizi che si occupano delle seguenti attività: assegnazioni di prima nomina del personale uscito dai corsi di
Polizia Penitenziaria • SG&S
formazione; interpelli nazionali e straordinari; applicazione legge 104/92; distacchi per gravi e comprovati motivi familiari (art.7, D.P.R. 254/99); trasferimenti del personale del Corpo di Polizia Penitenziaria impiegato in Istituti e Servizi minorili; inserimento S.I.G.P. di tutte le vicende nazionali relative al personale di Polizia Penitenziaria; definizione delle piante organiche delle sedi in ambito nazionale; decreti di concessione delle aspettative; decreti per la nomina dei Comandanti di Reparto per gli Istituti Penali per Minorenni; contenziosi del personale di Polizia Penitenziaria; procedure per la concessione di Lodi ed Encomi al personale del settore minorile; trasmissione al D.A.P. delle pratiche relative al pensionamento del personale di Polizia Penitenziaria ; corrispondenza con altri ministeri; invio dei decreti per la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale e sul Bollettino Ufficiale; relazioni sindacali; partecipazione nella realizzazione dei corsi rivolti al personale di Polizia Penitenziaria che opera negli Istituti e Servizi Minorili e corsi organizzati dal D.A.P. con relativa assegnazione di fondi per il pagamento delle missioni; commissione di cui all’art.2 D.M. 26.03.1993, per la selezione del personale che intende essere assegnato presso gli Istituti e servizi Minorili; commissione per la stesura dell’Accordo Quadro Nazionale; rapporti con l’Ente Assistenza. In ultimo è doveroso precisare che a marzo 2012 il contingente di Polizia Penitenziaria assegnato al Dipartimento Giustizia Minorile è di 869 unità, di cui 124 sono distaccati dal D.A.P. nei servizi della Giustizia Minorile mentre 44, viceversa, sono in servizio nelle Strutture per adulti, numeri molto al di sotto delle 1.000 unità previste dal D.M. 08.02.2001 relativo alle dotazioni organiche dei ruoli del Corpo di Polizia Penitenziaria.
n. 193 • marzo 2012 • pag. 18
•
Giovanni Passaro passaro@sappe.it
Le assenze per malattia del personale di Polizia Penitenziaria
S
crivo a Voi del SAPPe per avere chiarimenti sul regime delle assenze per malattia della Polizia Penitenziaria. In particolare, vorrei comprendere il significato di giornata lavorativa e come giustificare l’assenza in caso di visita specialistica, a seguito delle recenti innovazioni normative. Ringrazio per l’attenzione.
Carissimo collega, il regime delle assenze per malattia dei dipendenti pubblici è stato innovato dall’art. 16 del d.l. n. 98 del 2011, convertito in Legge n. 111 del 2011. Inoltre, si segnala la circolare del Dipartimento delle Funzione pubblica n. 10 del 1 agosto 2011, recante le modalità di svolgimento dei controlli medico-fiscali e, in particolare, i casi nei quali l’Amministrazione deve disporre per il controllo sulla malattia, il regime della reperibilità ai fini del controllo, le modalità di giustificazione dell’assenza nel caso di visite, terapie, prestazioni specialistiche ed esami diagnostici e l’individuazione dell’ambito soggettivo di applicazione della nuova disciplina. Per quanto riguarda l’obbligatorietà della richiesta della visita fiscale, il nuovo comma 5 dell’art. 55 septies, applicabile anche al personale della Polizia Penitenziaria, prevede che “Le pubbliche amministrazioni dispongono per il controllo sulle assenze per malattia dei dipendenti valutando la condotta complessiva del dipendente e gli oneri connessi all’effettuazione della visita, tenendo conto dell’esigenza di contrastare e prevenire l’assenteismo. Il controllo è in ogni caso richiesto sin dal primo giorno quando l’assenza si verifica nelle giornate precedenti o successive a quelle non lavorative”. La norma non specifica cosa debba inten-
dersi per giornate “non lavorative” e, cioè, se debba farsi riferimento ad un concetto di tipo solo oggettivo o anche di tipo soggettivo, vale a dire riferito pure alla particolare situazione del dipendente interessato. In proposito, considerato che, come noto e come dichiarato dalla disposizione, l’intento della previsione è quello di “contrastare e prevenire l’assenteismo”, ad avviso dello scrivente, la giornata lavorativa va individuata non solo con riferimento alle giornate festive e alla domenica, che di regola sono dedicate al riposo, ma anche all’articolazione del turno cui ciascun dipendente è assegnato, nonché nelle giornate di permesso o ferie concesse.
In ordine poi all’assenza dovuta all’espletamento di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici (fermo restando che il dipendente potrà fruire di permessi o ferie anche in relazione alla durata della visita della prestazione o dell’esame), ad avviso dello scrivente, con la novella, anche in un’ottica di semplificazione, è stato modificato il regime del giustificativo, cosicché al fine dell’imputazione dell’assenza a malattia, sarà sufficiente che il dipendente produca l’attestazione rilasciata dal medico o dalla struttura, anche privata, che ha svolto la visita o la prestazione, a prescindere dalla circostanza che queste siano connesse ad una patologia in atto.
•
La sicurezza per il vostro mondo siamo noi! • Servizio di indagini informatico forensi • Bonifiche ambientali • Servizio di scorta e tutela • Sistema di monitoraggio flotte • Vendita di prodotti per il contro spionaggio ...e tanto altro ancora Per informazioni: posta@almaelsecurity.com tel.+39 06 95557549 +39 339 1773962 www.almaelsecurity.com
Polizia Penitenziaria • SG&S
n. 193 • marzo 2012 • pag. 19
Roma: la Polizia Penitenziaria in mostra al Motodays
I
l Salone Moto e Scooter tenutosi a Roma dall’8 all’11 marzo 2012 ha fatto registrare il record di presenze: 128.400 visitatori in 4 giorni. Anche quest’anno, il Corpo di Polizia Penitenziaria al pari dei Carabinieri e della Polizia di Stato – ha assicurato la sua presenza all’evento allestendo uno stand ben dotato di motocicli. Si fa presente che le moto del Corpo di Polizia Penitenziaria sono state messe a dispo-
sizione dal Dipartimento della Amministrazione Penitenziaria ( GOM, Cerimoniale, Reparto Stradale e Nucleo Traduzioni) ed attualmente sono il meglio che si trova oggi in produzione: Honda, Moto Guzzi, Yamaha e BMW. Nei cinque padiglioni, i visitatori hanno potuto ammirare le novità di mercato delle maggiori Case Costruttrici come, tra le altre, Honda, Suzuki, KTM, Gruppo Piaggio (con Aprilia, Derbi, Gilera, Moto Guzzi, Scarabeo e Vespa), Fantic, Husaberg e Lambretta oltre a Yamaha, Ducati, BMW, Husqvarna, Harley-Davidson, MV Agusta, Peugeot, Garelli e poi Norton, CR&S e Sym che hanno portato a Roma tutte le gamme 2012. Tra le aree tematiche di maggior successo di questa edizione la grande novità Villaggio dell’Alternativa – Dekra con un’attrezzata area prova per i veicoli elettrici, Kromature dedicata al custom con il Bike Show, Days on the Road dedicato agli USA per il turismo, Motodays Vintage e le
moto inglesi fino agli anni ‘70 per l’epoca e Market One to One per l’usato. Oltre le aspettative sono andate anche le aree esterne, prese d’assalto dagli appassionati che dopo le registrazioni ai desk hanno avuto la possibilità di provare tutte le novità scooter e moto nelle aree demo apposite (Honda, Suzuki e Masterbike-MX Motosprint), sulla pista (Piaggio e Sym) e attraverso gli Open Door (KTM, Husqvarna, Harley, Honda, Yamaha e Aprilia) che portavano i visitatori all’esterno del quartiere fieristico per un’esperienza su due ruote di 30 minuti. Presenti, tra gli altri, i campioni del motocross freestyle Bianconcini e Oddera e dello stunt riding Chris Pfeiffer che hanno dato spettacolo nelle numerose aree show. Protagonisti anche i piloti della Velocità come l’iridato Superbike Carlos Checa, il campione del mondo Motocross MX1 Tony Cairoli ma anche Marco Melandri e Michel Fabrizio. Ciro Borrelli
•
Roma: un Direttore di Gara Como: cordoglio per Giovanni Usai internazionale “Federmoto” della Polizia Penitenziaria
C
I
l 10 Marzo 2012 al Palazzo delle Federazioni di Roma si è tenuta una selezione nazionale per Direttori di Manifestazioni Sportive motoristiche. Il Vice Sovrintendente Ciro Borrelli, unico rappresentante delle Forze di Polizia, ha superato l’esame brillantemente, ricevendo i complimenti dai vertici della Federazione Motociclistica Italiana. Nella foto sotto, il Vice Sovr. Ciro Borrelli con il Presidente della Federazione Motociclistica Italiana Paolo Sesti.
•
ordoglio della Segreteria Provinciale SAPPe di Como, per la scomparsa improvvisa del collega Ass.te Capo Giovanni Usai, nato a Cagliari il 19 aprile del 1964, arruolato nel Corpo il 12 gennaio1987 ed effettivo presso la Casa Circondariale di Como. Caro Giovanni, Quando sabato dopo il tuo turno di lavoro ci hai salutato con il tuo sorriso dandoci appuntamento per il lunedì seguente, non avremmo mai immaginato lontanamente che quella sarebbe stata l’ultima volta che ti avremmo visto… Vorremmo tutti poter rivivere quel momento, per abbracciarti forte così come si fa con un fratello. Ti abbracciamo ora caro AMICO, un abbraccio fatto di sincero affetto, e ci sentiamo di includere in questo tenero saluto, tutti coloro che ti hanno conosciuto e che hanno avuto la gioia di dividere i momenti più felici con te. Caro Giovanni, tu sei tra quelli che nel nostro cuore hai lasciato un’impronta grande e profonda, difficile accettare di averti perso per sempre. Caro Giovanni, le persone che ti hanno amato e che non ti dimenticheranno mai, sono qui unite in cordoglio a chiederci... ma perché... sappiamo per certo che tu Caro Giovanni stai li a guardarci e a guidarci proprio come farebbe un Padre. Ciao Giovanni!!!!!!!!!!!!!! G. Orrù - Segretario Provinciale SAPPe Como
Polizia Penitenziaria • SG&S
n. 193 • marzo 2012 • pag. 20
a cura di Erremme
GER ARDO CANORO
Manuale dell’Operatore Penitenziario (V edizione) Codice di Amministrazione e contabilità Penitenziaria (V edizione) per le richieste scrivere a:
info@gerardocanoro.it
STEFANO ALES Tavole di ANDREA VIOTTI
DALLA GUARDIA DOGANALE ALLA GUARDIA DI FINANZA 1862 -1908
A
Struttura, uniformi e distintivi della Guardia di Finanza Ente Editoriale Corpo GdF pagg. 382 - euro 30,00
I
l volume è l’inizio di una serie editoriale dedicata alla storia delle uniformi della Guardia di Finanza. Nelle oltre 380 interessanti pagine, l’opera ricostruisce con dovizia di particolari, con le pregevoli tavole uniformologiche di Andrea Viotti e fotografie d’epoca, l’evoluzione delle divise indossate nel tempo dai Finanzieri, a partire dal lontano 1862, anno di costituzione del Corpo delle Guardie di Doganali. La prima divisa del neonato Corpo si rifaceva a quella dei “Preposti delle Regie Dogane” del Regno di Sardegna; con il passare degli anni i fregi, i distintivi di grado e l’equipaggiamento tenderanno a rendere l’uniforme sempre più allineata a quella dei reparti alpini del Regio Esercito, specie per gli Ufficiali. Sarà solo nel 1907 che alla Regia Guardia di Finanza verranno concesse le stellette metalliche a cinque punte che sancirono definitivamente lo status militare del Corpo. Una pregevole ricostruzione, frutto della collaudata collaborazione tra il Museo Storico e l’Ente Editoriale per il Corpo della Guardia di Finanza, che ne fa testo imperdibile per ogni appassionato di storia.
lzi la mano chi non ha mai sentito parlare, nel nostro ambiente, di Gerardo Canoro. I suoi libri sono probabilmente tra i più letti e consultati da ragionieri, direttori, comandanti e personale vario: ma sono altrettanto utili e fondamentali per coloro che intendono prepararsi ai vari concorsi interni. Entrambi alla quinta edizione, nel manuale viene trattata la normativa della gestione dei detenuti, del personale e dell’amministrazione degli istituti penitenziari, in modo tale che ogni manifestazione della vita carceraria venga esaminata sotto l’aspetto della tecnica penitenziaria, sotto l’aspetto amministrativo e, infine, sotto l’aspetto contabile. Ad esempio, per tutte le categorie del personale penitenziario vengono descritti i vari stati giuridici, diritti e doveri, responsabilità, compiti, trattamento economico, sia fondamentale che accessorio, la previdenza, l‘assistenza, le attività ricreative. Ancora, il lavoro dei detenuti è esaminato sotto l’aspetto della tecnica penitenziaria, sotto l’aspetto amministrativo e sotto l’aspetto contabile, caratteristica, questa, che non si riscontra nei numerosi testi di ordinamento penitenziario. Il Codice di Amministrazione è invece una raccolta della normativa di amministrazione e contabilità penitenziaria dal 1920 al 2011, con la caratteristica che in calce
Polizia Penitenziaria • SG&S
ad ogni articolo di legge o regolamento vi è il riferimento alla pagina ove è riportata la relativa circolare. Viceversa, in calce ad ogni circolare vi è il riferimento alla pagina ove è riportata la normativa citata nella circolare stessa. In tal modo, ad esempio , i servizi della mensa, sopravvitto, lavoro detenuti ecc. sono descritti con le normative e le relative circolari, collegate con i riferimenti incrociati delle pagine. Tale caratteristiche distingue il codice dai numerosi codici penitenziari in circolazione che non trattano la materia amministrativa e non hanno, appunto, i riferimenti incrociati con le circolari.
QUADERNI ISSP La prevenzione dei suicidi in carcere. Contributi per la conoscenza del fenomeno A cura dell’Istituto Superiore di Studi Penitenziari
L
e pubblicazioni dell’Istituto Superiore di Studi Penitenziari riprendono con la realizzazione di questo interessante volume su una delle criticità più gravi e tristi del sistema carcere: quello dei suicidi. Gli Autori sono Pietro Buffa, direttore della Casa Circondariale di Torino e docente presso l’ISSP, ed alcuni neo vice commissari di Polizia penitenziaria che hanno affrontato quel tema nella tesi di fine corso di formazione, attraverso un’attività di ricerca condotta, approfondendo gli argomenti trattati in aula, durante l’attività di tirocinio, presso i più complessi istituti penitenziari, lungo il percorso della conoscenza che conduce al sapere critico su cui si è sviluppato l’intero corso di formazione annuale che si è concluso nella primavera del 2011.
n. 193 • marzo 2012 • pag. 21
•
a cura di Giovanni Battista De Blasis
R
I
In alto la locandina sotto alcune scene del film
l film R è un cupo dramma carcerario del regista danese Tobias Lindholm, ambientato proprio in Danimarca. Anche se R è un prison movie come se ne sono visti molti, non ultimo Un Profeta di Audiard, non risulta essere affatto ripetitivo e banale. Innanzitutto, va detto che non vi è traccia del solito tentativo di salvare, riabilitare, condannare o, più in generale, giudicare i personaggi, a partire dal protagonista e fino a tutti i comprimari che mettono in scena un copione ben scritto e senza punti deboli. La sceneggiatura, infatti, si dipana in una pura e semplice narrazione, più che altro intorno alla storia di un uomo, Rune che ha compiuto un reato (del quale tra l’altro non viene rivelato nulla) e che sta scontando la sua pena.
Tra l’altro, la pena di Rune è doppia perché finisce a scontare i due anni della sua condanna nella stessa cella di coloro con i quali ha un conto in sospeso. La storia di Rune, quindi, si sviluppa in un crescendo di vessazioni, violenze, vendette, giochi di potere, prove da superare e giri di soldi sporchi, all’interno di un carcere dove la linea che separa controllore e controllato è quasi impalpabile, la corruzione è dilagante e, spesso, la liberazione è tutt’uno con la morte. Per Lindholm, non c’è speranza e non c’è possibilità di salvezza. Chi si pente viene inesorabilmente punito, sovvertendo ogni morale umana o religiosa. Assolutamente pregevoli le interpretazioni degli attori, con le loro maschere cattive, addolorate, furbe, maligne, mai commosse, con gli sguardi sempre pronti alla sfida, ottime raffigurazioni del peggio che l’uomo può diventare. Tutto sommato, nel film di Lindholm c’è la
Regia: Tobias Lindholm, Michael Noer Soggetto: Tobias Lindholm, Michael Noer Sceneggiatura: Tobias Lindholm, Michael Noer Musiche: Horken Green Fotografia: Magnus Nordenhof Jønck Montaggio: Adam Nielsen Sonoro: Morten Green Arredatore: Holger Vig Trucco: Anne Wallentin Effetti sonori: Martin Lanngenbach Produzione:Rene Ezra Distribuzione: Olive Films
•
giusta tensione, ci sono sangue e dolore e c’è lo squallore umano speculare al luogo in cui il film è ambientato.
Rashid: Dulfi Al-Jabouri Mureren: Roland Møller Carsten: Jacob Gredsted Bazhir: Omar Shargawi Ladby: Lars Jensen Claus: Claus Poulsen Mormor: Laila Andersson Mini: Claus Saric Pedersen Sune: Sune Nørgaard Helmuth: Helmuth Kristensen un detenuto: Fatayi Lawal
Genere: Drammatico Durata: 96 minuti Origine: Danimarca, 2010
Personaggi ed Interpreti: Rune: Johan Philip Asbæk
Polizia Penitenziaria • SG&S
n. 193 • marzo 2012 • pag. 22
Pasquale Salemme Segretario Nazionale del Sappe salemme@sappe.it
Dalla guapparia alla camorra
L
Nela foto la rappresentazione di un guapppo
a parola guappo è di etimologia incerta e deriva con molta probabilità dallo spagnolo guapo (coraggioso). In Campania, in special modo nella provincia di Napoli, la parola veniva inizialmente usata per designare un delinquente, ma di gran cuore per il popolino. Un capetto locale, che a parere degli abitanti dei luoghi dell’epoca era visto come una persona di giudizio, che imponeva con le cattive - la propria legge sul territorio in cui risiedeva, ma che non diceva di no a delle buone azioni, ed aveva un proprio codice d’onore: i bambini non si toccano; la donna sì, ma per sfregiarla, se ha sbagliato. Tale figura iniziò a diffondersi a Napoli sul finire del 400, all’epoca degli Aragonesi. Il guappo, inoltre nell’immaginario collettivo, si è sempre riconosciuto per l’abbigliamento curato (giacca corta e aderente, portata sbottonata, i pantaloni larghi terminanti con due grosse trombe sulle scarpe, la coppola di panno col gallone d’oro), una postura particolare tesa all’ostentazione di sé stesso, una cura ostinata del proprio fisico e del proprio volto. Il guappo, inoltre, si poteva differenziare in semplice o signorile a seconda degli abiti indossati: il primo preferiva abiti stravaganti e ostentativi mentre il secondo indossava abiti un po’ più lunghi (la marsina) che valse loro la denominazione di guappi di sciammeria. Il guappo era anche considerato l’eroe del quartiere, colui che proteggeva ed aiutava i bisognosi. Abile nel duello e soprattutto nemico dei bulli. Anche il gergo del guappo era quantomeno singolare. Lo riportiamo integralmente dal testo di Francesco De Bourcard “Usi e costumi di Napoli”: allorché il guappo minaccia di bastonare alcuno, apre entrambe le palme ed agitandole stranamente e quasi ponendole di conserva sul volto dell’avversario in un moto espressivo gli grida: «Mo t’apparo ’a faccia» (adesso ti pareggio il viso). Quando saluta un altro guappo si esprime
con enfasi: «A’razia, ovvero, a’bbellezza» (alla grazia, ovvero, alla bellezza). A taluno che non attribuisce piena fede a quel che dice, è risponde: «Ebbè, ’o bbbulimmo lassà» (ebbene! Vogliamo lasciar andare). Quando vuol mostrarsi ossequioso si esprime: «Mo ’nce vo’; sapimmo l’obbrigazione nostra» (vivaddio, sappiamo il nostro obbligo), né meraviglierà alcuno dell’imperioso plurale, trattandosi di guappo. Nell’approccio alla rissa grida: «Ebbè senza che ffaie tutte sse ’ngeste; cca simmo canusciute, e aggio fatto scorrere ’o sango ’a llave po’ quartiere» (or via! E’ inutile che fai tutti codesti movimenti, perché qui siamo conosciuti ed ho fatto scorrere il sangue a lava nel quartiere). Anche le canzoni napoletane ne tramandano un’immagine romantica (Viviani, Di Giacomo, Ferdinando Russo, D.D.). Negli anni cinquanta il guappo a Napoli si tramuta in un plebeo camorrista di origini borghesi, fortemente esibizionista, imprenditore criminale, che svolgeva l’attività di intermediario mercantile tra i contadini e la commercializzazione dei prodotti agricoli (Francesco Barbagallo, in La modernità squilibrata del mezzogiorno d’Italia).
Polizia Penitenziaria • SG&S
Ma il guappo era, in sostanza, pur sempre un criminale, che con le sue romantiche bravate spadroneggiava sulla brava gente. Il più delle volte cercava di proteggere i deboli che subivano delle ingiustizie, ed è per questo che durante il secolo del Novecento, il guappo, nei rioni di Napoli, veniva chiamato dal suo popolo Mammasantissima. Ma chi erano questi personaggi. I più celebri guappi, seppur alcuni di loro sono annoverati dagli storici già camorristi, sono stati: Nicola Capuano, Salvatore De Crescenzo detto Tore ‘e Criscienzo, Ciccio Capuccio, Carmine Spavone detto ’O Malommo, Antonio Spavone anch’egli detto ’O Malommo o Guappo gentiluomo, Alfredo Maisto, Vittorio Nappi e in ultimo Pasquale Simonetti detto Pascalone ‘e Nola, marito della celebre Assunta Maresca detta Pupetta. Prima di addentrarci nei singoli personaggi è bene fare una precisazione. Senza dubbio la guapparia è stata l’antitesi della camorra. La differenza esistente fra guappi e camorristi, di cui ci occuperemo in uno dei prossimi articoli, è ben evidenziata dal giornalista Ernesto Serao: «Correvano ancora tempi classici per la camorra e l’ibrida confusione odierna, che ha fatto di questa istituzione dissanguatrice il centro e la sintesi di tutta la delinquenza, non era ancora iniziata». L’antico camorrista giudicava disonorevole rubare o compiere ricatti, rapine, estorsioni, ragione per cui demandava ad altri l’incarico di compiere questi misfatti. Il guappo, invece, era l’ommo ’e core, lo spirito fiero e irrequieto che non tollerava alcuna forma di obbedienza e prediligeva le imprese solitarie in cui far sfoggio della propria bravura. Tuttavia entrambi erano nemici dei ladri e degli sbirri ed intimorivano la gente che li riteneva pericolosi. Salvatore De Crescenzo detto Tore ‘e Criscienzo, divenne famoso paradossalmente più che per le sue imprese criminali, per il fatto che Liborio Romano (politico del Ri-
n. 193 • marzo 2012 • pag. 24
sorgimento) si rivolse a lui nella qualità di guappo per costituire la Guardia Cittadina. La sera del 27 giugno, segretamente, l’uomo politico affidò a Tore ‘e Criscienzo il comando della costituenda nuova polizia, che doveva prendere il posto di quella borbonica. Da allora fino a dopo l’arrivo di Garibaldi, l’ordine pubblico venne diretto ed esercitato, a Napoli, esclusivamente dai guappi. Contraddistinti da una coccarda tricolore sul cappello e armati apparentemente solo di un bastone, i membri della Bella Società Riformata arrestarono ladri e malfattori e impedirono quei saccheggi che sono tipici dei periodi di transizione politica. Ciccio Capuccio, la sua scuola fu l’Imbrecciata, violenta zona nel cuore della Vicaria. In carcere nacque la leggenda intorno al personaggio, quando, circondato - come era in uso - dai camorristi che gli chiedevano l’olio per la lampada, ovvero che lo sottoponevano a estorsione, Ciccio si rifiutò di pagare e da solo lottò contro dodici carcerati. Carmine e Antonio Spavone, erano due fratelli il primo era a capo di un’agguerrita gangs che si contendeva il controllo della zona con Giovanni Mormone detto o’mpicciuso . Carmine morì, crivellato di revolverate, nel corso di uno scontro con il clan rivale. Particolare è la fase precedente allo scontro, preceduta dal dichiaramento, dove le due bande convengono di duellarsi solo dopo un lauto banchetto. Antonio Spavone, si colloca a metà strada tra il guappo di matrice ottocentesca e il camorrista imprenditore. Nel 1945, durante il banchetto nuziale di sua sorella Maria, uccise Giovanni Mormone per vendicare il fratello. Le tredici coltellate inflitte al boss rivale gli diedero grande prestigio all’interno degli ambienti malavitosi; da quel momento gli venne affibbiato il nomignolo che era già stato del fratello Carmine e del nonno Ciro, ’O malommo, divenendo uno dei boss più potenti di Napoli. Nel corso dell’alluvione di Firenze del 4 novembre 1966, si distinse per diversi atti di eroismo compiuti nel carcere cittadino: salvò dall’annegamento tre compagni di cella, due Agenti di Custodia e la figlia del direttore del carcere delle Murate. Per il suo altruismo fù graziato dal Presidente Saragat. Antonio Spavone è considerato il
primo vero capo della malavita napoletana nel secondo dopoguerra. Vittorio Nappi, u guapp e Scafati, o’ Studente e o’ Signurino, discendente da una famiglia benestante e di professionisti, si differenziò sensibilmente dai suoi predecessori guappi. Le cronache del tempo, lo descrivono come una persona colta. Infatti, dopo aver frequentato il liceo classico, studia legge ed è prossimo alla laurea quando viene coinvolto in una faida amorosa. Tutto iniziò a causa del corteggiamento del fratello di Vittorio nei confronti di una ragazza già fidanzata. Il ragazzo di questa, folle di gelosia, lo uccise. Vittorio, non potendo rimanere indifferente a tale affronto, per vendicare il fratello uccise il fidanzato della ragazza. Perciò finì in carcere. Nappi è protagonista di un altro episodio che passerà alla storia: schiaffeggiò Lucky Luciano, il primo boss della famiglia mafiosa americana dei Genovese. Negli anni cinquanta del Novecento, in Campania, si sviluppava il mercato ortofrutticolo che dava da vivere a tanti onesti lavoratori, ma anche a tanti delinquenti. Fra questi vi era pure Pasquale Simonetti, detto Pascalone e’ Nola, originario di Palma Campania, che non si faceva passare la mosca per il naso, uso ad utilizzare le armi e al contrabbando di sigarette. Pascalone, considerato da molti l’ultimo guappo, veniva spesso interpellato dai cit-
Polizia Penitenziaria • SG&S
tadini per chiedere giustizia. Una volta una ragazza che era rimasta incinta, dopo che il fidanzato s’era fatto uccel di bosco, si rivolse a lui per trovare una soluzione. Pascalone andò dal giovane e gli disse: «Guagliò, io devo spendere per voi dieci mila lire in fiori. Preferite i fiori per il funerale o per il matrimonio?». Il giovanotto preferì i fiori per il matrimonio. Nel 1955 Pascalone sposò Pupetta Maresca, ma dopo solo qualche mese, un rivale, Totonno e’ Pumigliano, lo ferì a morte. Prima di morire avrebbe potuto dire alle forze dell’ordine il nome del suo feritore, ma, in pieno stile mafioso, non parlò e disse il nome solo a sua moglie. Era già accaduto più volte che i guappi, seppur gravemente feriti o addirittura sfigurati, abbiano deciso di non parlare, acquisendo ulteriore autorevolezza delinquenziale e conquistando persino il rispetto dei loro rivali e feritori. Alla fine degli anni sessanta la figura del guappo inizio a scomparire, si assiste così al passaggio da una camorra di tipo rurale a forme associazionistiche organizzate. Personaggio fisso della sceneggiata napoletana, la figura del guappo è rimasta legata ad una certa teatralità tutta partenopea: tanto che oggi accusare qualcun di «fare il guappo» vuol dire accusarlo di fare il fanfarone: di fare la faccia feroce, che non corrisponde però alla realtà (da qui la definizione di guapp’ e cartone). Il guappo di cartone alza la voce e mostra i muscoli, ma è un insicuro, che al primo accenno di reazione da parte dell’altro è pronto ad abbassare i toni, e a battere in ritirata. Alla prossima...
n. 193 • marzo 2012 • pag. 25
•
Nella foto a sinistra Antonio Spavone
Nella foto sotto il matrimonio di Pasquale Simonetti con Pupetta Maresca
Luca Pasqualoni Segretario Nazionale ANFU pasqualoni@sappe.it
Lettera aperta ai funzionari del Corpo di Polizia Penitenziaria
C
aro/a Collega, in qualità di Segretario Nazionale dell’Associazione Nazionale dei Funzionari (A.N.FU) ho ritenuto di aderire con piacere all’opportunità offertami di intervenire sul numero di marzo della rivista mensile del SAPPe Polizia Penitenziaria Società Giustizia & Sicurezza, stante anche l’indubbia capacità di diffusione della stessa presso l’Amministrazione tutta, per rappresentare e partecipare a tutto il personale del Corpo di Polizia penitenziaria, e non solo quindi ai colleghi del ruolo direttivo, gli obiettivi che l’Associazione si propone di raggiungere, meglio dettagliati nel documento programmatico, che possono riassumersi nei seguenti punti: l’istituzione della tanto agognata Direzione Generale del Corpo di Polizia Penitenziaria; il passaggio da una subordinazione gerarchica ad una funzionale se non la completa eliminazione della medesima; l’attuazione del riallineamento con le altre Forze di Polizia che restituisca la dovuta dignità ai funzionari nelle varie sedi istituzionali moenia ed extra moenia; una dotazione dirigenziale adeguata e correlata all’attuale numero dei funzionari, oggi pressoché insignificante: allo stato, infatti, sono previsti 4 dirigenti superiori, nonché 8 primi dirigenti, qualifiche superate, tra l’altro, dalle recenti modifiche legislative in materia di dirigenza; revisione delle funzioni assegnate al ruolo direttivo, con particolare riferimento alle funzioni di comando: in via esemplificativa, per quanto attiene alla funzione di Comandante di Reparto che nel D.P.R. 82/1989, in materia di istituzione di unità operative, pur essendo responsabile dell’area sicurezza deve, comunque, sottoporre la relativa proposta al Direttore. Parimenti, la figura del funzionario dovrebbe essere contemplata, quale membro di diritto, nei vari collegi disciplinari a cui è attribuito il compito di irrogare sanzioni sia nei confronti del personale del Corpo (D.Lgs 449/92) che dei detenuti (O.P. e R.E.), nonché nella Commissione deputata a redigere il regola-
mento interno dell’Istituto; diversamente da quello che accade oggi; criteri oggettivi ed effettivamente meritocratici, in cui, in sede di scrutinio all’avanzamento alle qualifiche superiori, assumano finalmente peso preponderante le funzioni di comando in ragione del grado di prossimità alle singole e diverse realtà penitenziarie, rispetto al peso specifico riconosciuto oggi alla partecipazione alle variegate commissioni dipartimentali.
Tutti obiettivi pretenziosi ma legittimi, rispetto ai quali occorre ritrovare quella unità di intenti che l’esasperato dualismo tra ruolo direttivo ordinario e speciale ha contribuito non poco ad allontanare e che certa burocrazia, o meglio certi burocrati, hanno sapientemente cavalcato e forse taluni di noi alimentato. Obiettivi che possono essere realizzati solo grazie all’ancoraggio ad un sindacato, come il SAPPe, che avendo abbracciato le medesime finalità, può incidere concretamente nelle sfere politiche ed amministrative in virtù della propria storicità, solidità e maggiore rappresentatività: da qui la contiguità dell’ANFU alla predetta organizzazione sindacale, sia pure nell’ambito dell’alienabile autonomia dell’Associazione. All’uopo, le precedenti sperimentazioni di dar vita ad associazioni non inserite organicamente in un sindacato o comunque le velleitarie aspirazioni di poter incidere anche senza l’egida sindacale, si sono infrante nella diaspora immediatamente successiva alle assegnazioni di fine corso. Ricompattare il ruolo, dunque, deve essere l’obiettivo principale, anche a fronte del-
Polizia Penitenziaria • SG&S
l’aumento esponenziale in organico del ruolo direttivo ordinario di cui agli ultimi due corsi di formazione, affinché i funzionari della polizia penitenziaria possano essere considerati una vera e propria categoria in grado di assurgere ad interlocutore istituzionale privilegiato e qualificato sia con l’Amministrazione che con i referenti politici a qualunque livello di governo. Ma, per tornare a parlare all’unisono, occorre l’apporto integrativo e migliorativo di tutti, nessuno escluso, apporto che non può risolversi nella mera corresponsione della quota mensile, ma che deve concretarsi in azioni propulsive e fattive che ridiano slancio ad un progetto nato sei anni or sono e che oggi rischia di arenarsi nei meandri degli arrivismi personali, nelle dinamiche dipartimentali, nei problemi personali, nelle barriere istituzionali, nelle contrapposizioni culturali e nella ricerca spasmodica di una sede gradita. Questa opera di cementazione passa anche attraverso il confronto con le altre associazioni di categoria, che dia vita a un fronte unico di rivendicazioni, nonché mediante l’implementazione del sito internet a cui occorre guardare con rinnovato spirito costruttivo, in quanto strumento comunicativo di indubbia rilevanza, soprattutto nella parte riguardante il forum. Invero, l’Associazione mira a tutelare la dignità e gli interessi morali, giuridici ed economici del personale del ruolo direttivo e dei dirigenti del Corpo di Polizia penitenziaria, promuove iniziative per elevare la professionalità ed il prestigio della categoria e, più in generale, per accrescere l’immagine del Corpo di polizia penitenziaria nel suo complesso. L’Associazione persegue le proprie finalità improntando la propria azione al rispetto delle diverse professionalità operanti nell’Amministrazione Penitenziaria e dei principi di libertà, di trasparenza e di legalità, nel quadro della difesa e del potenziamento delle Istituzioni democratiche, unitamente al rafforzamento del legame della Polizia penitenziaria con i cittadini.
n. 193 • marzo 2012 • pag. 26
L’Associazione è apartitica e non ha fini di lucro, per tale ragione finanzia le proprie attività e la propria esistenza esclusivamente mediante le entrate delle quote associative o con eventuali atti di liberalità. Nell’ambito dei suddetti generali fini statutari l’Associazione persegue, più in particolare, come più sopra sinteticamente rammentato, l’istituzione della Direzione Generale del Corpo di Polizia Penitenziaria, il riallineamento dei funzionari ai corrispondenti ruoli delle altre Forze di Polizia ad ordinamento civile, la revisione delle funzioni di comando, la fissazione di criteri oggettivi e trasparenti per la progressione in carriera, nonché la modifica dell’articolo 9 della Legge 395/1990 nella parte in cui prevede la dipendenza gerarchica del Comandante di Reparto all’Autorità Dirigente anziché la dipendenza funzionale, più congeniale ad una Forza di polizia che ha abbandonato la struttura militare per abbracciare un ordinamento a connotazione civilistica, pur mantenendo elementi di esteriorità tipici delle Forze armate. L’esistenza dell’Associazione ieri, e ancor di più oggi, si rileva quanto mai necessaria se solo si presti attenzione al fatto che sono stati designati a rappresentare l’Amministrazione presso il Ministero dell’Interno, in occasione della riunione tecnica interforze programmata per il giorno 27 marzo 2012, due dirigenti dell’Amministrazione penitenziaria, addetti all’Ufficio della Formazione, sebbene, trattandosi di una concertazione riguardante esclusivamente la formazione, le funzioni e i compiti di personale del Corpo di Polizia penitenziaria, si rendesse quanto mai necessaria la partecipazione di funzionari del ruolo direttivo della Polizia penitenziaria. Non si può continuare a subire supinamente simili mortificazioni, per questo occorrono quante più adesioni all’Associazione, che consentano di dar vita anche ai coordinamenti regionali e provinciali di cui allo Statuto, comunque, in corso di graduale attuazione, affinché la figura del Comandante di Reparto, funzionario del ruolo direttivo del Corpo di Polizia penitenziaria, non venga evocata e ricordata esclusivamente in occasione dell’insorgere di responsabilità. Si coglie l’occasione per porgere a tutti Voi colleghi saluti di più viva vicinanza e considerazione
•
Diario di bordo
P
rosegue regolarmente il terzo corso R.D.O. riservato ai futuri Funzionari del Corpo. Dopo il primo mese di tirocinio svoltosi in ben trentacinque istituti della penisola, da circa due mesi il corso si incentra all’ISSP. La quotidianità passa dall’addestramento formale alle lezioni teoriche in aula, dai lavori di gruppo ai confronti con i docenti e, al termine delle giornate e per la maggior parte dei corsisti, il poter conoscere Roma nella sua immensa bellezza. Va dato atto che l’organizzazione del corso ha risaltato la competenza, la professionalità e la dedizione dell’intero staff di lavoro in servizio presso l’ISSP, tutti coordinati dal Direttore - dott Massimo De Pascalis - che ha più volte dimostrato la sua particolare attenzione alle problematiche dei vice commissari in prova, sostenendoli ed incitandoli ad affrontare le varie tematiche nel miglior modo possibile. Una particolare citazione e segnalazione va fatta a tutte le corsiste che, seppur cimentandosi con una realtà del tutto nuova, hanno manifestato sin da subito una piena predisposizione ed integrazione alla vita operativa. Infine, un sentito ringraziamento a tutti coloro che garantiscono quotidianamente la riuscita del corso, in primis il Dr. Pandolfi (Direttore del corso), al Comandante (Commissario Daniele), al vice Direttore del Corso (Commissario Cuomo), ai tutor ed a tutto lo staff che segue da vicino l’evolversi giornaliero del corso, garantendo professionalità e facendo mai mancare la propria disponibilità. Dal 10 aprile p.v. i corsisti saranno impegnati in tirocinio negli istituti penitenziari, a contatto per oltre due mesi con la realtà pratica che, a breve, li vedrà protagonisti in prima persona. F.C.
IL GIRO DI BOA Il giro di boa, forse l’immagine più esaltante e significativa di una regata, è quel momento in cui le barche, giunte a metà del loro percorso, si accingono a ruotare attorno ad un punto prestabilito per poi affrontare la seconda metà della loro gara. Il terzo Corso si accinge adesso ad affrontare il secondo tirocinio operativo che inizierà il dieci aprile e condurrà i
Polizia Penitenziaria • SG&S
vicecommissari in prova ad affrontare, dopo un’esperienza di circa dieci settimane, il giro di boa, preludio alla seconda ed ultima parte del loro percorso formativo. E’ dunque tempo di primi bilanci per gli aspiranti funzionari del terzo corso. Presto le aule dell’I.S.S.P. si svuoteranno, le pagine dei libri affronteranno il vaglio dell’esperienza sul campo, i vicecommissari in prova si confronteranno con l’esame più importante: la vita in istituto. Il percorso formativo e soprattutto le esperienze on the job tracceranno le bisettrici che dovranno seguire i commissari del domani. Le nuove leve raccoglieranno dai tutors e dai trainers una pesante eredità: contribuire al processo evolutivo della Polizia Penitenziaria. In un recente ed intenso incontro presso l’ISSP, il capo della Procura di Bari, il dott. Laudati, ha posto un quesito sul quale i vice commissari in prova dovranno riflettere profondamente: «in che direzione sta andando la Polizia Penitenziaria? Oggi vi sentite più Polizia o più Penitenziaria?» Ai posteri l’ardua sentenza. G.M. I PRIMI PASSI A circa tre mesi dall’inizio del corso si notano i primi risultati. E così, lasciatosi alle spalle il proprio passato di ex (avvocato, bancario, consulente, etc.) il gruppo degli aspiranti commissari ha iniziato ad assumere un aspetto ed una consistenza omogenei (e non solo per la presenza della uniforme) tipico di un corpo di polizia. I primi impacciati passi di marcia (che per circa il 90% dei corsisti sono stati mossi proprio nel piazzale dell’ISSP) hanno ceduto il posto ad un’andatura più incisiva e decisamente più marziale che, unitamente alle materie tecnico-pratiche sin qui affrontate, stanno contribuendo ad accrescere in ognuno la consapevolezza del proprio ruolo e del mondo penitenziario in generale. Gli incontri-seminario con rappresentanti delle altre forze di polizia, da ultimo tenuti, hanno costituito una importante occasione di confronto e riflessione che ha suscitato grande curiosità tra i corsisti che con numerose domande ai docenti hanno avuto modo di soddisfare le proprie curiosità professionali e personali. M.S.
n. 193 • marzo 2012 • pag. 27
•
Maurizio M. Guerra Avvocato info@avvocatoguerra..it
G
Inidoneità al servizio e transito ai ruoli civili diritto al cumulo della pensione privilegiata col nuovo servizio
L’
art. 75 del d.lgsl. 30 ottobre 1992,n. 443, stabilisce che “il personale del Corpo della Polizia Penitenziaria, giudicato assolutamente inidoneo per motivi di salute, anche dipendenti da causa di servizio, all’assolvimento dei compiti d’istituto può, a domanda, essere trasferito nelle corrispondenti qualifiche di altri ruoli dell’Amministrazione penitenziaria o di altre Amministrazioni dello Stato, sempreché l’infermità accertata ne consente l’ulteriore impiego”. Al secondo comma dell’art. 78 del medesimo decreto si precisa che “Il personale trasferito è inquadrato in soprannumero… nella qualifica corrispondente a quella rivestita al momento del trasferimento, conservando l’anzianità nella qualifica ricoperta, l’anzianità complessivamente maturata e la posizione economica acquista”, Ciò premesso, ci si domanda se il personale della Polizia Penitenziaria transitato ai ruoli civili della stessa amministrazione o ad altri ruoli civili dello Stato per inidoneità assoluta conseguente a lesioni o infermità dipendenti da causa di servizio, possa pretendere la pensione privilegiata con diritto ad altra successiva pensione. C’è chi ritiene infatti che il trattamento pensionistico privilegiato dell’ex poliziotto non sia cumulabile con l’attività lavorativa successivamente prestata nel ruolo civile dello stesso Ente di appartenenza, perché il nuovo lavoro sarebbe una continuazione di quello precedente per “derivazione causale” (art. 133 del T.U. 1092/73). C’è chi invece, come noi, ritiene che il militare cessato dal servizio per inidoneità dipendente da causa di servizio e transitato al ruolo civile della stessa amministrazione, possa percepire la pensione privilegiata con la sola perdita del diritto alla riunione dei due servizi non potendo computare nel secondo gli anni del primo. Tale è infatti l’orientamento giurisprudenziale formatosi (prima e) dopo la sentenza delle SS.RR. della Corte dei Conti n. 21/QM del 24 settembre 1998. Le SS.RR. con la predetta decisione di massima, esaminando la delicata posizione dei Commissari di leva transitati al ruolo civile del Ministero della Difesa, posizione più delicata di quella del personale della Polizia Penitenziaria transitato al ruolo civile della propria amministrazione, hanno affermato, dopo un’attenta ricognizione del quadro normativo regolante il cumulo fra trattamento di pensione e trattamento di attività, che se è vero che il divieto di cumulo delle pensioni ordinarie coi trattamenti di attività opera nei casi in cui il nuovo rapporto costituisce derivazione, continuazione e rinnovo di quello precedente che ha dato luogo alla pen-
Polizia Penitenziaria • SG&S
sione (art. 133 del d.P.R. 1092/73), è anche vero che l’art. 139 dello stesso T.U. prevede una deroga alla norma di divieto e afferma che la pensione privilegiata o l’assegno ordinario rinnovabile sono cumulabili con un trattamento di attività ovvero con un altro trattamento pensionistico derivante da un rapporto di servizio “diverso” da quello che ha dato luogo alla pensione. Il legislatore nel 1973 pur riaffermando il principio generale della legittimità del cumulo della pensione con altra attività o altra pensione pubblica, ha sancito con l’art. 133 un criterio che deroga alla norma di carattere generale prevedendo specifiche ipotesi di divieto riconducibili ad un’ampia categoria di rapporti di servizio derivati. La previsione dell’art. 139, invece, si caratterizza come vera e propria deroga al divieto di cumulo. Essa, infatti, consente il cumulo del trattamento privilegiato ordinario con il trattamento di attività a condizione che il rapporto di attività sia “diverso” da quello che ha dato luogo alla pensione, indipendentemente dalla sua derivazione. In buona sostanza, anche nell’ipotesi di continuazione e derivazione da un precedente servizio, la pensione privilegiata ordinaria spetta se il secondo servizio è diverso dal primo. Appaiono evidenti allora gli errori di valutazione in cui incorre chi ritiene non cumulabile la pensione privilegiata in ipotesi di transito dai ruoli delle Forze di Polizia a quelli civili della stessa amministrazione sul solo presupposto della continuazione per “derivazione causale” della nuova attività col precedente servizio (militare), senza minimamente soffermarsi sulla “diversità” o meno della seconda attività rispetto al primo servizio. La “diversità” deve essere individuata nella concreta disciplina del nuovo rapporto in termini oggettivi avuto riguardo alla natura della prestazione e allo status del dipendente, a nulla rilevando che il rapporto intercorra con la stessa amministrazione. La ragione va individuata nella natura indennitaria o risarcitoria della pensione privilegiata. In conclusione, l’art. 139 del T.U. 1092 del 1973 esclude il cumulo della pensione privilegiata con altra attività soltanto quando si continua a prestare servizio nello stesso ruolo. Quando, al contrario, il militare inidoneo transita al “diverso” ruolo civile, il cumulo della pensione privilegiata con la nuova attività è ammesso a domanda, con diritto anche alla seconda pensione ma senza diritto ai fini di questa ultima alla riunione degli anni di servizio a meno che l’interessato non rinunci alla pensione privilegiata e restituisca quanto percepito (art. 117 T.U. 1092/73).
•
n. 193 • marzo 2012 • pag. 28
Aldo Maturo * avv.maturo@gmail.com
Il diritto e il rovescio dei peccati più gravi
O
gni volta che un Vescovo ha notizia - almeno verosimile - di un delitto grave, svolge una sua prima indagine e trasmette gli atti alla Congregazione per la Dottrina della Fede che, se non avoca a se l’indagine, ordina al Vescovo di procedere. Delitti più gravi sono quelli commessi contro i costumi o nella celebrazione dei sacramenti, giudicati dal Supremo Tribunale Apostolico della Chiesa, la Congregazione per la Dottrina della Fede, appunto. Le sentenze di questo Tribunale Supremo, emesse nei limiti della propria competenza, non sono soggette all’approvazione del Sommo Pontefice. Il Collegio è presieduto dal Prefetto o, in sua assenza, dal Segretario della Congregazione, che nomina gli altri cinque giudici. L’accusa e la difesa sono affidate a sacerdoti dottori in diritto canonico mentre un altro sacerdote svolge le funzioni di cancelliere. Per questi delitti si instaura un formale processo e il Tribunale apostolico ha facoltà di deferire direttamente alla decisione del Sommo Pontefice i casi più gravi, specialmente quando si è accertato che il delitto è manifestamente avvenuto ed è stata data al colpevole la facoltà di difendersi. Al Papa è affidata la decisione in merito alla dimissione dallo stato clericale o alla deposizione, insieme alla dispensa dalla legge del celibato. Le cause di questo genere sono soggette al segreto pontificio.Queste alcune delle novità contenute nel nuovo testo del “De gravioribus delicti”, la normativa che disciplina i delitti più gravi, rivisitati dalla Congregazione per la Dottrina della Fede e sottoposti al Papa che il 21 maggio 2010 li ha approvati ordinandone la promulgazione. Di particolare importanza il comma 1 dell’Art. 6 del nuovo testo, ove si legge che i delitti gravi contro i costumi, riservati alla
giurisdizione della Congregazione, sono: • 1° il delitto contro il sesto comandamento (non commettere atti impuri) commesso da un chierico con un minore di diciotto anni ( = pedofilia); viene equiparata al minore la persona che abitualmente ha un uso imperfetto della ragione; • 2° l’acquisizione o la detenzione o la divulgazione, a fine di libidine, di immagini pornografiche di minori sotto i quattordici anni da parte di un chierico, in qualunque modo e con qualunque strumento. Quelli dell’art.6 sono quindi considerati delitti particolarmente gravi. Il prete che li compia è punito anche con la dimissione o la deposizione. La prescrizione per questi delitti è di 10 anni ma per quelli commessi da un chierico a danno di minore la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il minore ha compiuto il 18° anno di età. Secondo il Card. Bagnasco, Presidente della CEI (Conferenza episcopale Italiana) - il massimo organo dei vescovi italiani - “…la Chiesa ha sempre perseguito e dato indicazioni di massima trasparenza e fermezza nell’affrontare la pedofilia….omissis…. È sotto gli occhi di tutti il fatto che diversi vescovi di varie nazioni, una volta trovati responsabili di non essere prontamente intervenuti contro alcuni preti e avere nascosto i fatti, si sono dimessi.” Alla 61ª Assemblea Generale dei Vescovi italiani ha sottolineato che la pedofilia è “un peccato terrificante e un reato che riguarda tutta la società e la Chiesa, che fa parte della società”, concludendo che “…i sacerdoti sono ogni giorno a servizio del bene di tutti” e “i casi di indegnità non possono oscurare il luminoso impegno che il clero italiano nel suo complesso, da tempo immemore, svolge in ogni angolo del Paese”. Purtroppo il fenomeno esiste ed è un crimine enorme, per dirla con Papa Ratzinger
Polizia Penitenziaria • SG&S
o è terrificante, per dirla con il Cardinale Bagnasco. Il Segretario della CEI ha ammesso che nell’ultimo decennio ci sono stati in Italia un centinaio di casi.
E non sarebbe poco se pure fossero tutti. La Conferenza episcopale americana (la CEI italiana) in uno studio commissionato nel 2004 aveva scoperto che il 4% dei sacerdoti e diaconi in America – pari a 109.694 unità – negli ultimi 50 anni era stato accusato di crimini a sfondo sessuale con minori. E’ una profonda vergogna e lottiamo tutti perché questi fatti non si ripetano più. Come abbiamo visto sono stati predisposti gli strumenti per perseguire i più turpi comportamenti di fronte ai quali non ci sono alibi e ci sarebbero le soluzioni tecnico giuridiche per intervenire. Questo è in diritto. Il rovescio è che il problema è delicatissimo e ci vuole coraggio, ma di certo il silenzio o il trasferimento ad altra sede, come da prassi, serve solo a nascondere il problema e a creare disorientamento nella pubblica opinione. E’ uno dei più gravi problemi che la Chiesa deve affrontare e la soluzione non può che venire da una revisione sulla posizione del celibato del clero. Guardando la trave nell’occhio della Chiesa non dimentichiamo che secondo Telefono Azzurro il 60% degli abusi su minori, in Italia, avviene con un incesto in famiglia. Avvocato, già Dirigente dell’Amministrazione penitenziaria
n. 193 • marzo 2012 • pag. 29
•
Nelle foto sopra un confessionale a sinistra il Cardinale Bagnasco
a cura di Giovanni Battista De Blasis deblasis@sappe.it
Q
uasi venti anni di pubblicazioni hanno conferito al mensile Polizia Penitenziaria la dignità di qualificata fonte storica, oltre quella di autorevole voce di opi-
nione. La consapevolezza di aver acquisito questo ruolo ci ha convinto dell’opportunità di introdurre una rubrica - Cosa Scrivevamo - che contenga una copia anastatica di un articolo di particolare interesse storico pubblicato quindici e più anni addietro. A corredo dell’articolo abbiamo ritenuto di riprodurre la copertina, l’indice e la vignetta del numero originale della Rivista nel quale fu pubblicato.
Addio Regina Coeli ? di Giovanni B. De Blasis e Mario Pascale
N
el mese di gennaio è salito alla ribalta delle cronache il caso della chiusura del carcere romano di Regina Coeli e di una sua riconversione a Centro Residenziale da impiegare come Ostello turistico per il Giubileo del 2000. L'argomento ci è sembrato degno di nota e, pertanto, abbiamo deciso di realizzare un ampio servizio sul caso attraverso interviste, sondaggi, cenni storici ed opinioni. Nella composizione del dossier ci siamo avvalsi della collaborazione di molte persone ed abbiamo interpellato, con alterna fortuna, il Presidente della Regione Lazio Badaloni, il Sindaco di Roma Rutelli ed il Presidente dell'Agenzia per il Giubileo Zanda. Abbiamo anche cercato di raccogliere le testimonianze del dott. Veschi, Provveditore Regionale del Lazio e del dott. Benedetti Direttore della Casa Circondariale di Regina Coeli, ma, nonostante la cortese disponibilità degli interessati, non siamo riusciti ad ottenere in tempi ragionevoli (quasi un mese) la indispensabile preventiva autorizzazione del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria (da notizie ufficiose abbiamo appreso che la richiesta s'è persa nella solita tarantella tra un piano e l’altro e tra una stanza e l'altra). Se facciamo subito richiesta, avremo sicuramente una qualche probabilità di ottenere l'autorizzazione ad intervistare il Direttore di un eventuale nuovo carcere romano per discutere della sua chiusura perchè divenuto, nel frattempo, troppo vecchio! Miglior fortuna abbiamo avuto con il personale dell'istituto sia esso della Polizia Penitenziaria, dell'Amministrazione Penitenziaria, medico e paramedico. Assente, come sempre (e non soltanto nel concedere le autorizzazioni), il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria sempre più fossilizzato nella sua politica del "tira a campà".
Ma chi pensa ai posti di lavoro? La copertina e la vignetta del numero del mese di febbraio 1996
Polizia Penitenziaria • SG&S
Consapevoli del fatto che l'eventuale chiusura del carcere di Regina Coeli avrebbe nuociuto anzitutto al personale dipendente, abbiamo voluto dare la parola agli addetti ai lavori, che stanno vivendo, sulla propria pelle, questo momento di incertezza, dovuto al problema chiusura o non chiusura della Casa Circondariale di Regina Coeli. A tutto ciò si aggiunge l'indifferenza, la totale assenza e il completo disinteresse alle problematiche, che sorgerebbero all'indomani dell'eventuale chiusura dell'istituto capitolino, da parte di coloro che risultano, essere gli stessi promotori della richiesta di variazione di destinazione d'uso del carcere in questione. Si cari lettori mi riferisco proprio al Primo cittadino di RomaCapitale, il Sindaco Francesco Rutelli, che dopo aver lanciato il sasso ha· nascosto la mano. Il Sindaco è stato più volte e da più parti, chiamato in causa ma lui era impegnato, non poteva,
n. 193 • marzo 2012 • pag. 30
era in seduta, insomma, a parere mio, si è eclissato. Il grave non sta nel fatto che abbia negato la disponibilità, ma nel fatto che egli sconosce realmente i problemi che giornalmente vengono affrontati e risolti da tutto il personale che opera all'interno della struttura. Il Sindaco, tra l'altro, non conosce nemmeno quali sono le categorie che operano nell'istituto ed il loro livello di professionalità, il numero di questi operatori e soprattutto sconosce i disagi a cui verrebbero sottoposti nell'eventualità della chiusura della struttura penitenziaria. Circa 800 unità del Corpo di Polizia Penitenziaria, di cui il 70% coniugato con figli e residente in Roma; circa 300 unità tra personale medico e paramedico, di cui il 65% coniugato con figli residente in Roma (peraltro con unica fonte di sostentamento e senza possibilità di essere sottoposto a mobilità, perché assunto con contratto a termine); circa 100 dipendenti amministrativi di cui il 90% coniugato e residente in Roma; circa 900 detenuti. Dunque abbiamo ritenuto opportuno dare la possibilità agli addetti ai lavori di esprimere il proprio parere in merito alla chiusura dell'istituto e alla conseguente, per alcuni di loro, perdita del posto di lavoro. La prima a parlare è l'infermiera professionale Maria Pia Tozzi, che incalza affermando che nel caso in cui l'istituto venisse chiuso lei, come tutti gli altri suoi colleghi, perderebbe il posto di lavoro «e questo non è giusto, perché oltre a non tener conto della professionalità, non hanno preso in considerazione che tutto il personale della categoria perderebbe il posto di lavoro» continua poi dicendo che gli amministratori romani non hanno neppure tenuto conto che all'interno del carcere esiste un centro clinico perfettamente funzionante in grado, tra l'altro, di effettuare operazioni chirurgiche di medio livello, con circa 250 operazioni annue, capace di ospitare circa 90 detenuti e suddiviso in tre reparti, di cui uno interamente destinato alle malattie infettive con particolare riguardo ai detenuti affetti da AIDS; da considerare peraltro, che nel centro clinico prestano la loro opera specialisti provenienti da vari ospedali romani tra cui lo Spallanzani, specializzato tra l'altro nella cura delle patologie infettive. Tutto ciò significa che i detenuti ospitati nel centro clinico, ricevono una assistenza di gran lunga superiore a quella che potrebbero ricevere in una struttura esterna. A questo punto la domanda nasce spontanea: Ma il Sindaco, nel momento in cui ha richiesto l'inserimento della struttura nel programma "Giubileo", aveva pensato a tutto ciò? Sulla questione interviene un medico in servizio presso l'istituto che non può far altro che approvare quanto già detto dall'infermiera Tozzi, aggiungendo, tra l'altro che loro sono in grado di offrire un’assistenza nell'arco delle 24 ore per tutti i tipi di
Polizia Penitenziaria • SG&S
emergenza che possono verificarsi all'interno del carcere. Ed è per questo motivo che detto servizio è imprescindibile dall'istituto, ed è strettamente legato ad esso. Loro, i medici della guardia medica, che all' interno del penitenziario sono in 17, si chiedono: «dove potrebbero mai essere collocati i detenuti? Dove si potrebbe realizzare un istituto organizzato come Regina Coeli? Questo è un istituto che lavora 24 ore su 24 fornendo, molto velocemente, un'assistenza adeguata ed altamente professionale, non solo dal personale medico e infermieristico, ma anche e soprattutto dal personale di Polizia Penitenziaria.» Neanche a parlare dell'opinione del personale di Polizia Penitenziaria, che, sentito a campione in merito alla chiusura dell'istituto, non ha fatto altro che confermare le stesse problematiche delle altre figure che operano all'interno dell'istituto, con la sola differenza che essendo soggetto alla mobilità, subirebbero sicuramente un trasferimento, in gran parte, in istituti diversi da quelli romani. Altra importante eccezione è da far risalire a quanto il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, in termini economici, ha impegnato per la recente ristrutturazione del carcere romano sia per le caserme, sia per la mensa, sia per alcune sezioni. Detto impegno, a quanto ci è dato di sapere, ammonterebbe circa ad una cinquantina di milioni. Lascio a voi trarre le conclusioni. Per quanto riguarda infine il Sindaco di Roma posso garantire di aver cercato di contattarlo, allo scopo di sentire il suo parere sui problemi accennati, però, ovviamente, non ci sono riuscito, era in riunione... Sarà mia cura inviargli una "copia omaggio", sperando che trovi il tempo di leggerla e chissà, forse, di rispondere alle nostre sollecitazioni.
•
n. 193 • marzo 2012 • pag. 31
Nella foto Regina Coeli vista dal Gianicolo al centro il sommario del numero di Febbraio 1996
inviate le vostre foto a: rivista@sappe.it
1960 - Casa Circondariale di Palermo Festa del Corpo (foto inviata da Bernardino Carzani)
1972 - Casa di Reclusione di Procida (NA) posto di sentinella (foto inviata da Mario Chirico)
1986 - Scuola AA.CC. di Cassino (FR) Giuramento Allievi Ausiliari 36° Corso (foto inviata da Marcello De Simone)
Polizia Penitenziaria • SG&S
n. 193 • marzo 2012 • pag. 32
1958 -Casa Circondariale di Palmi (RC) foto di gruppo (foto inviata da Bernardino Carzoni)
1986- Acquiterme (AL) - Festa del Corpo (foto inviata da Giuseppe Moscato)
Polizia Penitenziaria • SG&S
n. 193 • marzo 2012 • pag. 33
inviate le vostre lettere a rivista@sappe.it
l’appuntato Caputo©
il mondo dell’appuntato Caputo© 1992•2012
IL DAP CHE VERR A’
VENTI ANNI
COGITO ERGO SUM?
MI SA CHE ERA MEGLIO PRIMO A MILANO CHE TERZO A ROMA...
di Mario Caputi & Giovanni Battista De Blasis © 1992 - 2012
PIU’ VELOCE DELLA LUCE !
TAMBURINO
Polizia Penitenziaria • SG&S
MATONE
n. 193 • marzo 2012 • pag. 34
PAGANO