Poste Italiane S.p.A. Sped. in A.P. DL n.353/03 conv. in Legge n.46/04 - art 1 comma 1 - Roma aut. n. 30051250-002
anno XX • n. 210 • ottobre 2013
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Piazza d’Armi: nasce l’Agorà virtuale della Polizia Penitenziaria
sommario
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anno XX • numero 210 ottobre 2013 Per ulteriori approfondimenti visita il sito
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In copertina: la home page del forum Piazza d’Armi
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l’editoriale
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Una legge di (in)stabilità che non ci piace di Donato Capece
Organo Ufficiale Nazionale del S.A.P.Pe. Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria
il pulpito
Direttore responsabile: Donato Capece capece@sappe.it
Piazza d’Armi: l’Agorà virtuale della Polizia Penitenziaria di Giovanni Battista de Blasis
Direttore editoriale: Giovanni Battista de Blasis deblasis@sappe.it Capo redattore: Roberto Martinelli martinelli@sappe.it
il commento
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di Roberto Martinelli
Redazione politica: Giovanni Battista Durante Progetto grafico e impaginazione: © Mario Caputi (art director)
l’osservatorio
www.mariocaputi.it
Direzione e Redazione centrale Via Trionfale, 79/A - 00136 Roma tel. 06.3975901 r.a. • fax 06.39733669
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di Giovanni Battista Durante
mafie e dintorni
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La ’ndrangheta e il carcere 6ª ed ultima parte di Franco Denisi
Le Segreterie Regionali del Sappe, sono sede delle Redazioni Regionali di: Polizia Penitenziaria-Società Giustizia & Sicurezza
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crimini e criminali
Registrazione: Tribunale di Roma n. 330 del 18 luglio 1994
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Il massacro del Circeo di Pasquale Salemme
Stampa: Romana Editrice s.r.l. Via dell’Enopolio, 37 00030 S. Cesareo (Roma)
il punto sul corpo
Finito di stampare: ottobre 2013
Il S.A.P.Pe. è il sindacato più rappresentativo del Corpo di Polizia Penitenziaria
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Amnistia e indulto non risolvono il problema carcere in Italia
e-mail: rivista@sappe.it web: www.poliziapenitenziaria.it
Questo periodico è associato alla Unione Stampa Periodica Italiana
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Il Capo dello Stato sferza il Parlamento sulle carceri
Redazione cronaca: Umberto Vitale
“l’appuntato Caputo” e “il mondo dell’appuntato Caputo” © 1992-2013 by Caputi & de Blasis (diritti di autore riservati)
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Liberate la Polizia Penitenziaria 5ª ed ultima parte - di Daniele Papi
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Chi vuole ricevere la Rivista direttamente al proprio domicilio, può farlo versando un contributo di spedizione pari a 20,00 euro, se iscritto SAPPE, oppure di 30,00 euro se non iscritto al Sindacato, tramite il c/c postale n. 54789003 intestato a:
POLIZIA PENITENZIARIA - Società Giustizia & Sicurezza
Via Trionfale, 79/A - 00136 Roma specificando l’indirizzo, completo, dove va spedita la rivista.
Polizia Penitenziaria n.210 ottobre 2013
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l’editoriale
Una legge di (in)stabilità... che non ci piace Donato Capece Direttore Responsabile Segretario Generale del Sappe capece@sappe.it
Nella foto il Presidente del Consiglio Letta con i Ministri Alfano e Saccomanni
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ra gli argomenti che stanno monopolizzando l’attenzione del mondo penitenziario, ve ne sono due in particolare che hanno la priorità su tutto. Da un lato il messaggio del Capo dello Stato al Parlamento sulle criticità penitenziarie e dall’altro i possibili effetti della Legge di stabilità varata dal Governo. Su entrambe le tematiche, il SAPPE ha inteso esprimere le proprie considerazioni con altrettante note dirette alle Autorità costituzionali ed istituzionali. Sugli aspetti connesse al messaggio del Presidente della Repubblica, riferisce Roberto Martinelli nel suo articolo. Sulla Legge di Stabilità, dopo una attenta lettura dell’articolato, emergono taluni gravi disarmonie. Leggendo ad esempio l’articolo 9 (Rifinanziamento esigenze indifferibili e ulteriori finanziamenti), si apprende che vengono previsti un incremento di 900 milioni di euro per missioni di pace, di 50 milioni di euro, a decorrere dall’anno 2015, il fondo per la tenuta in efficienza dello strumento militare, si autorizza la spesa di 40 milioni di euro in materia di “ strade sicure” da destinare da destinare esclusivamente alle forze armate e, infine, viene istituito, con una dotazione di 10 milioni di euro, il fondo per le esigenze di funzionamento dell’Arma dei Carabinieri. Non si possono certo condividere stanziamenti che non includono le Forze di Polizia, tra cui il Corpo di Polizia Penitenziaria (ex art.16 della Legge 121/1981 e art. 1 della Legge 395/1990) quali destinatari di fondi in materia di strade sicure: e ciò nella considerazione del disposto di cui dagli articoli 11 e 12 del Codice della strada vigente, in cui, tra l’altro, anche al Corpo sono demandati specifici compiti, e non solo in virtù dell’articolo 57, commi 1 e 2 del Codice di Procedura Penale.
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E per questo abbiamo espresso il nostro significativo dissenso, perché un Fondo specifico dovrebbe riguardare la Polizia Penitenziaria, le cui ben note condizioni lavorative sono quanto mai precarie e critiche. Sulla razionalizzazione della spesa del Pubblico impiego (articolo 11), ferma restando la contrarietà più volte manifestata in ordine al blocco della contrattazione, estesa fino al 31 dicembre 2014, non può non sorprendere come “l’indennità di vacanza contrattuale” rimanga del medesimo importo di quella in godimento al 31 dicembre 2013: risulta quasi una ulteriore penalizzazione, peraltro indebita, da rivisitare, non sottovalutando un minimo di incremento in presenza di un mancato rinnovo contrattuale prorogato. Un vero e proprio controsenso, poi, è la riduzione, nella misura del 5%, delle prestazioni di lavoro straordinario, dal momento che tale riduzione ha luogo ogni anno, nonostante i collocamenti in congedo non vengano mai assolutamente reintegrati al 100%: infatti, si assiste, dopo il primo trimestre, a richieste di integrazioni perché il ricorso all’attività straordinaria è obbligatorio, se i compiti istituzionali debbono essere assolti pienamente sotto il profilo della funzionalità e dell’efficienza. Le annuali esperienze nei sensi esposti non vengono tenute in considerazione(!). Tale riduzione non può essere ammessa. Inoltre, le modifiche apportate alle assunzioni evidenziano una completa disattenzione in merito alla copertura delle vacanze in organico, che ammontano, allo stato, ad oltre 7000 unità. La quota programmata nel turn over per l’anno 2014 era del 50% ed
è stata ridotta al 20% (!); parimenti, decurtazioni si registrano anche per l’anno 2015 (dal 50% al 40%), per l’anno 2016 (dal 100% al 60%), per l’anno 2017 (dal 100% al 80 %) e solo nell’anno 2018 i reintegri saranno al completo. Non si considera che nel prossimo triennio, come pure rappresentato da questa O.S., verrà collocato in quiescenza il personale che si è arruolato alla fine degli anni ‘70, ai sensi della legge 198/1975 e della legge 186/1977, che hanno consentito gli arruolamenti sino a 2.500 unità annue. Un blocco o, comunque un turn over nei modi di cui spora farà si che le carenze d’organico del Corpo supereranno le 10.000 unità nel 2015: l’attuale critica emergenza collasserà completamente. Altra penalizzazione riguarda, altresì, l’abrogazione del cosiddetto divieto di reformatio in perius dei trattamenti economici, quando fino ad ora, proprio per tutelare il reddito, viene corrisposto, “l’assegno ad personam”, quando spettante. Il SAPPE, allora, non può fare a meno di sollecitare opportune iniziative da parte delle Aule parlamentari, tenuto conto che l’ordine e la sicurezza nel Sistema penitenziario rivestono un carattere di priorità istituzionale, per cui indebolire un settore che già da anni versa in condizioni lavorative sempre in costante emergenza, significa mettere in pericolo l’intera collettività e non solo chi si trova in carcere, a qualunque titolo. Per questo, questa legge di (in)stabilità non ci piace! H
il pulpito
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Piazza d’Armi: l’Agorà virtuale della Polizia Penitenziaria
“C
i vediamo in Piazza d’Armi...” Il nostro sogno è che questo appuntamento diventi, nel prossimo futuro, una bella abitudine per tutti noi poliziotti penitenziari in servizio ed in congedo, anche quelli che provengono dal glorioso Corpo degli Agenti di Custodia. Un’abitudine ed un appuntamento che riesca a riportare – nel suo piccolo – un po’ di quello spirito di corpo che, ultimamente, ci sembra sia venuto a mancare tra le fila dei poliziotti penitenziari. Piazza d’Armi nasce grazie all’impegno e alle fatiche del nostro team informatico che, dopo mesi e mesi di progettazione, è riuscito a mettere on line un “luogo” virtuale che ambisce riunire e ricompattare i trentottomila baschi blu del Corpo. Nell’agorà virtuale di Piazza d’Armi troveremo i gruppi di discussione delle varie articolazioni, servizi e specialità della Polizia Penitenziaria; troveremo anche i forum dei vari corsi di formazione e/o di aggiornamento di tutti i ruoli e le qualifiche del Corpo. Ritroveremo i colleghi del corso agenti, del corso sovrintendenti e di quello da ispettore, così come quelli dei corsi funzionari, ordinari o speciali. Avremo la possibilità di proporre ognuno di noi la nascita di forum e gruppi, magari anche di lontanissimi corsi di agenti ausiliari. Su Piazza d’Armi ci sarà la possibilità di condividere le esperienze di specifiche professionalità anche di sedi lontanissime tra loro. Penso, ad esempio, ai matricolisti, agli addetti ai colloqui o ai nuclei traduzioni... e penso al collega che presta servizio a Bolzano che si confronta con quello di Favignana, scambiando esperienze, idee o suggerimenti tanto da illuminare quella spessa coltre di nebbia che troppo spesso più di qualcuno crea ad arte intorno al nostro Corpo, fino ad abbattere qualsiasi differenza territoriale o culturale e, soprattutto, professionale all’interno della Polizia Penitenziaria. La conoscenza, la trasparenza e la libera circolazione delle notizie tra tutti noi è un’arma letale contro tutti i signorotti dell’amministrazione penitenziaria che vorrebbero perpetrare il proprio piccolo potere sulla inconsapevolezza dei poliziotti penitenziari. In tal senso, Piazza d’Armi potrebbe dare il colpo definitivo a questa nostra amministrazione oscurantista che ha fondato sulla riservatezza delle notizie e delle informazioni la propria autorità centrale. Al contrario, questo luogo d’incontro online vuole far circolare tutte le notizie e le informazioni possibili a beneficio di tutti i poliziotti penitenziari e a svantaggio di satrapi e boiardi troppo inclini al sistema feudale. Il collega di Bari potrà sapere, ad esempio, come si gestiscono le missioni a Torino così come il collega di
Potenza potrà sapere come si svolge il servizio di piantonamento a Padova. E, ancora, si potranno scambiare opinioni ed esperienze sulla gestione delle matricole o sulla fruizione delle mense, delle caserme o dei buoni pasto. Si potrà sapere come vengono concessi i congedi straordinari in Campania piuttosto che in Umbria, se, quando e dove vengono svolti servizi di polizia giudiziaria e/o di polizia stradale. Auspichiamo, insomma, che niente possa più rimanere in zona d’ombra e che tutti possano sapere tutto di tutti. E presto accadrà in Piazza d’Armi. Piazza d’Armi, in definitiva, costituirà la “quarta gamba” della strategia di comunicazione del Sappe, insieme alla storica Rivista mensile Polizia Penitenziaria Società Giustizia & Sicurezza, all’Agenzia di Stampa Sappeinforma ed ai siti web www.sappe.it e www.poliziapenitenziaria.it. Questo è l’apparato comunicativo del Sappe, quello che racchiude il suo mass media sindacale. Non è incidentale che, spesso, i mezzi di informazione vengono definiti “quarto potere” in relazione ai tre poteri fondamentali della democrazia teorizzati da Montesquieu. Nel nostro caso si potrebbe parlare di un “secondo potere” in contrapposizione a quello istituzionale del Dap. E, altrettanto non a caso, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani così recita sulla materia: «Chiunque ha il diritto alla libertà di opinione ed espressione; questo diritto include libertà a sostenere personali opinioni senza interferenze ed a cercare, ricevere, ed insegnare informazioni e idee attraverso qualsiasi mezzo informativo indipendentemente dal fatto che esso attraversi le frontiere». Noi in questo ci crediamo davvero. E ci abbiamo creduto fin dall’inizio. Non voglio e non posso dimenticare i tempi preinternettiani in cui il Sappe investiva gran parte delle proprie risorse economiche proprio sulla comunicazione. Infatti, oltre alle spese di stampa e spedizione della Rivista mensile, diffondevamo quasi quotidianamente la nostra Agenzia di Stampa Sappeinforma attraverso la Società Sicurfax che garantiva via fax la trasmissione contemporanea a tutte le nostre segreterie locali, provinciali e regionali. Pensate soltanto cosa significava, a quel tempo, trasmettere ai nostri segretari in tutta Italia le graduatorie di trasferimento composte da centinaia di pagine. Ma noi ci abbiamo sempre creduto. Ne è passato di tempo da allora... ed il tempo non è trascorso invano: oggi, infatti, siamo qui a presentare Piazza d’Armi. Un piccolo passo per internet, un grande balzo per la Polizia Penitenziaria ! H
Giovanni Battista de Blasis DirettoreEditoriale Segretario Generale Aggiunto del Sappe deblasis@sappe.it
Polizia Penitenziaria n.210 ottobre 2013
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forum
Ci vediamo in Piazza d’Armi, il nuovo forum della Polizia Penitenziaria on è affatto casuale aver definito Piazza d’Armi l’Agorà virtuale della Polizia Penitenziaria.
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Con il termine Agorà, nell'antica Grecia, si indicava la piazza principale della polis. La descrizione dei servizi di Piazza d’Armi
Polizia Penitenziaria n.210 ottobre 2013
Alla stessa stregua vorremmo che Piazza d’Armi diventasse la piazza principale della Polizia Penitenziaria. L’Agorà greco era il luogo della democrazia per antonomasia, perché era sede delle assemblee dei cittadini che si riunivano per discutere i problemi della comunità e decidere collegialmente sulle leggi. Analogamente vorremmo che a Piazza d’Armi si possano riunire tutti i poliziotti penitenziari per discutere i problemi del Corpo.
• Invita i tuoi amici/colleghi su Piazza d'Armi Dopo aver effettuato l'iscrizione gratuita su Piazza d'Armi potrai invitare i tuoi amici/colleghi sulla prima piattaforma gratuita riservata a tutti i colleghi della Polizia Penitenziaria (in servizio e in congedo).
• Cerca i tuoi amici/colleghi su Piazza d'Armi Dopo aver effettuato l'iscrizione gratuita su Piazza d'Armi potrai cercare i tuoi amici/colleghi e ritrovare tutti i tuoi compagni dei Corsi di formazione, i colleghi con cui hai lavorato in passato, persone che conosci ma con le quali non riesci più a rimanere in contatto.
www.piazzadarmi.it
piazza d’armi
7 La homepage del forum
Perché iscriversi a Piazza d'Armi della Polizia Penitenziaria? • PER SPIRITO DI CORPO La Polizia Penitenziaria è continuamente tenuta in secondo piano dai suoi stessi amministratori Dirigenti dell'Amministrazione penitenziaria. E' tempo di riunirci e confrontarci anche attraverso gli strumenti offerti dal web. • PER RIMANERE IN CONTATTO CON I COLLEGHI E GLI AMICI Ognuno di noi ha perso i contatti con tanti amici e colleghi dei vari Corsi di formazione, oppure gli amici e colleghi delle sedi in cui abbiamo lavorato. Con Piazza d'Armi rimanere in contatto (e in maniera riservata) è più facile!
• PER I SERVIZI RISERVATI AI POLIZIOTTI PENITENZIARI L'iscrizione gratuita a Piazza d'Armi è riservata ai soli appartententi alla Polizia Penitenziaria o agli Agenti di Custodia in congedo. I servizi già attivi (o che saranno attivati fra poco) sono i messaggi privati tra colleghi, i gruppi di discussione su specifiche tematiche lavorative, convenzioni, scambio di taglie di uniformi, consulenza legale, annunci di vendita/affitto/scambio di oggettti o servizi, e molti altri che attiveremo anche in base alle vostre segnalazioni e richieste.
• PER TUTELARE LA SICUREZZA E LA PRIVACY DEI POLIZIOTTI PENITENZIARI Piazza d'Armi è riservata ai soli appartententi alla Polizia Penitenziaria o agli Agenti di Custodia in congedo. Ci sono troppi siti web che diffondono e pubblicano documenti con dati sensibili dei poliziotti penitenziari. Piazza d'Armi nasce anche per tutelare la privacy e la sicurezza degli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria.
• PERCHÉ È GRATIS! Piazza d'Armi è l'unico luogo virtuale che offre notize, approfondimenti, servizi, materiale utile per il lavoro e documenti riservati in maniera gratuita. Piazza d'Armi è e resterà uno spazio gratuito per tutti i colleghi della Polizia Penitenziaria! • PIAZZA D'ARMI È FATTO DA COLLEGHI PER I COLLEGHI Piazza d'Armi è realizzato unicamente da colleghi della Polizia Penitenziaria per i colleghi della Polizia Penitenziaria. Per qualunque richiesta, informazione o consiglio, hai la garanzia di rivolgerti ad un tuo collega e amico della Polizia Penitenziaria!
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Roberto Martinelli Capo Redattore Segretario Generale Aggiunto del Sappe martinelli@sappe.it
Nella foto il Ministro Cancellieri presta giuramento davanti al Presidente della Repubblica Napolitano e al Presidente del Consiglio Letta
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il commento
Il Capo dello Stato sferza il Parlamento sulle carceri. Ma l’emergenza continua e ultime settimane hanno visto i temi del carcere e del sovraffollamento penitenziario al centro delle cronache dei giornali e delle dichiarazioni politiche. L’impietosa ed autorevole denuncia è arrivata (ancora una volta) dal Colle più alto di Roma, che ospita il Palazzo del Quirinale, sede ufficiale del Presidente della Repubblica. Ma questa volta il richiamo al Parlamento è arrivato nella forma più solenne ed ufficiale. Martedì 8 ottobre 2013, il
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potere e mai prima Napolitano aveva inteso percorrere questa strada, pur avendo più volte richiamato e posto l’attenzione sulla gravità e sulla emergenzialità delle carceri italiane. Questa volta il Capo dello Stato ha sollecitato il Parlamento ad intervenire nel breve con il ricorso a rimedi straordinari: “vi pongo con la massima determinazione e concretezza una questione scottante. Parlo della drammatica questione carceraria che va affrontata in tempi
segretario generale della presidenza della Repubblica, Donato Marra, ha infatti consegnato ai presidenti di Camera e Senato un messaggio del capo dello Stato, ai sensi dell’articolo 87 della Costituzione, sulla situazione carceraria. Un messaggio, controfirmato dal presidente del Consiglio Enrico Letta, atipico pur nella sua piena legittimità, atteso che quello dell’8 ottobre scorso era il primo atto di questo tipo compiuto da Giorgio Napolitano nei suoi due mandati da presidente della Repubblica. Il messaggio alle Camere, infatti, riveste una rilevanza costituzionale di grande peso: è uno degli atti formali che la Carta consente al capo dello Stato per esercitare formalmente il proprio
stretti”. E per il conseguimento del prioritario obiettivo di ridurre il numero dei detenuti, il Quirinale non si è sottratto nell’indicare una serie di riforme il cui convergente effetto dovrebbe determinare un decremento stabile del numero di presenze negli istituti penitenziari, modificando le variabili di flusso: agendo, cioè, nella direzione di limitare i “flussi in entrata” nelle carceri e rendere al contempo più agevole il “flusso in uscita” dalle medesime. Nel suo messaggio, Napolitano ha tra l’altro sottolineato come la “perdurante incapacità del nostro Stato nel garantire i diritti dei detenuti in attesa di giudizio e in esecuzione di pena” fa sì che venga “frustrato il principio costituzionale
della finalità rieducativa della pena, stante l’abisso che separa una parte peraltro di intollerabile ampiezza – della realtà carceraria di oggi dai principi dettati dall’art. 27 della Costituzione.”. E ancora: “L’Italia viene a porsi in una condizione umiliante sul piano internazionale per violazione dei principi sul trattamento umano dei detenuti”. E’ dunque “inderogabile” la “necessità di porre fine senza indugio” alla situazione. Il Capo dello Stato ha indicato alcune soluzioni come la reclusione presso il domicilio, una minore custodia cautelare, l’espiazione della pena inflitta nel proprio Paese di origine, una attenuazione degli effetti della recidiva per l’accesso alle misure alternative, una incisa depenalizzazione dei reati. Ha sollecitato la positiva definizione dell’iter parlamentare per la introduzione della “messa alla prova” dell’imputato non socialmente pericoloso, in relazione a taluni reati non compresi tra quelli di allarme sociale o di particolare gravità. In questi casi, il giudice del merito potrebbe assegnare direttamente il soggetto al percorso di rieducazione, evitando al medesimo il passaggio per il carcere. L’istituto si configura come una forma di “probation” anticipato alla fase giudiziale anziché, come di regola nel nostro ordinamento, nella fase esecutiva (ove un istituto analogo si riscontra nell’affidamento in prova del condannato al servizio sociale). Nel nostro ordinamento la figura è già presente nel diritto processuale penale minorile, ed è caratterizzato dall’effetto estintivo del reato se la prova è positivamente superata. Ma Napolitano è arrivato a citare anche prima l’indulto, poi l’amnistia: anche
il commento se “la perimetrazione della legge di clemenza rientra nelle esclusive competenze del Parlamento”, ha sottolineato con riferimento a reati particolarmente gravi, quale la violenza sulle donne. Tuttavia, “l’effetto combinato dei due provvedimenti, un indulto per pene pari a 3 anni, e un’amnistia su reati” di non grave entità potrebbe ridurre significativamente la popolazione carceraria e di “adempiere tempestivamente alle prescrizioni della comunità europea”, con chiaro riferimento alla sentenza pilota (Torreggiani e altri sei ricorrenti contro l’Italia), approvata l’8 gennaio 2013, che ha accertato la violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea che, sotto la rubrica “proibizione della tortura”, pone il divieto di pene e di trattamenti disumani o degradanti a causa della situazione di sovraffollamento carcerario in cui i ricorrenti (detenuti a Busto Arsizio e Piacenza) si erano trovati, dando all’Italia il termine ultimo del 28 maggio del 2014 per rimuovere le cause oggettive di sovraffollamento dei penitenziari. Ma l’Italia è in grado di rispettare quella data? Difficile, conoscendo la realtà delle cose e tenendo anche a mente quanto il Ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri ha dichiarato in sede di Commissione Giustizia della Camera dei Deputati pochi giorni dopo il messaggio del Quirinale sulla reale situazione delle carceri. Intanto è emerso un dato importante: i numeri sulla effettiva capacità recettiva delle 202 strutture penitenziarie in questo momento attive sul territorio nazionale sono ben diversi da quelli diffusi regolarmente dall’Amministrazione penitenziaria! La capienza regolamentare viene infatti calcolata rispetto ad un parametro secondo il quale in una camera detentiva di 9 metri quadri è prevista la presenza di 1 detenuto – parametro più ampio rispetto a quelli indicati dall’Europa - mentre in quelle più grandi è prevista la allocazione di un detenuto per ogni ulteriori 5 metri da aggiungere ai 9 di partenza (tale indicazione è mutuata da un D.M. del
1975 dell’allora Ministero della Sanità che disciplina l’abitabilità delle abitazioni civili). Oggi la capienza regolamentare è di 47.599 posti, ma questo dato subisce una flessione abbastanza rilevante per effetto del mancato utilizzo di spazi (quantificabile in circa 4.500 posti regolamentari) dipendente in massima parte dalle necessità di interventi di manutenzione o di ristrutturazione edilizia. Una “capienza regolamentare” virtuale alla quale si contrappongono dati reali inquietanti, soprattutto in relazione alle immaginali gravi condizioni di lavoro alle quali sono soggetti quotidianamente i poliziotti penitenziari. Oggi nel nostro Paese i detenuti in custodia cautelare sono 24.744 mentre quelli condannati definitivamente sono 38.625. A queste due categorie vanno aggiunti
definitivamente mentre 8.657 sono in custodia cautelare e 59 internate); il secondo reato è la rapina con 9.473 presenze (5.801 sono i definitivi, 3564 i giudicabili e 108 gli internati); il terzo reato è l’omicidio volontario con 9.077 presenze (6.049 sono i definitivi, 2.792 i giudicabili e 236 gli internati); il quarto è l’estorsione con 4.238 presenze (2.180 sono i definitivi mentre 1.982 sono i giudicabili e 76 gli internati); il quinto reato, come detto, è il furto con 3.853 presenze (1.952 sono i definitivi, 1.824 i giudicabili e 77 gli internati); il sesto reato è la violenza sessuale con 2.755 presenze (2.001 sono i definitivi, 709 i giudicabili e 45 gli internati); il settimo è la ricettazione con 2.732 presenze (1.897 sono i definitivi, 809 i giudicabili e 26 gli internati). Sono 1424 i detenuti per
1195 internati, per arrivare al numero complessivo dei presenti di 64.564 alla data del 14.10.2013, giorno dell’audizione del Guardasigilli in Parlamento. I detenuti in custodia cautelare posso essere ulteriormente in relazione al grado di giudizio: 12.348 sono i detenuti ancora in attesa del primo grado di giudizio, 6.355 sono stati condannati in primo grado e sono in attesa della decisione di appello, 4.387 sono condannati in uno od entrambi i gradi di giudizio di merito e sono in attesa della decisione della Cassazione. Il reato per il quale è ristretto il maggior numero di detenuti è quello di produzione e spaccio di stupefacenti. Per tali fattispecie sono ristrette ben 23.094 persone (di queste 14.378 sono condannate
associazione di stampo mafioso (si tratta di un numero basso trattandosi di reato spesso associato a fattispecie di maggiore gravità come l’estorsione o l’omicidio). Seguono, con circa 500 detenuti, il sequestro di persona, l’associazione per delinquere, la violenza privata, violenza e resistenza a pubblico ufficiale, maltrattamenti in famiglia, atti sessuali con minorenni. Con riferimento alla analisi richiesta in ordine alla pena residua si rileva che a fronte dei 38.625 condannati 9.598 hanno pena residua inferiore ad un anno, 7.735 tra uno e due anni e 5.689 da due a tre anni. Complessivamente sono quindi 23.022 quelli che devono scontare una pena residua inferiore ai tre anni. E’ interessante infine anche sapere gli
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Nelle foto il Presidente Giorgio Napolitano tra i poliziotti penitenziari di Poggioreale
‡ Polizia Penitenziaria n.210 ottobre 2013
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il commento
Amnistia e indulto non risolvono il problema delle carceri in Italia Ancora il Presidente della Repubblica in visita ad un detenuto
Polizia Penitenziaria n.210 ottobre 2013
effetti sul sovraffollamento di leggi approvate negli ultimi anni. Per quanto attiene agli effetti della legge n. 199 del 26 novembre 2010 (detenzione domiciliare) e successive modifiche, risulta, dalla rilevazione costantemente aggiornata, che a partire dalla data di entrata in vigore della norma sono 12.109 i detenuti ammessi alla specifica forma di detenzione domiciliare prevista da questa legge. E’ ovvio che al numero delle persone ammesse alla misura non corrisponde un pari decremento del numero delle presenze in carcere trattandosi di strumento che anticipa, però in modo diluito nel tempo, una uscita dal carcere nei confronti dei beneficiari della misura. Per quanto riguarda la legge n. 9 del 17 febbraio 2012 va rilevato come in parte abbia prodotto un aumento degli effetti della legge 199 avendo ampliato da un anno a 18 mesi il residuo pena che consente l’accesso alla detenzione domiciliare. Altro effetto particolarmente rilevante prodotto dalla stessa legge attiene al fenomeno delle detenzioni brevi (in genere definito delle “porte girevoli”) prodotto, prevalentemente, da arresti con la procedura di giudizio per direttissima che hanno storicamente pesato in modo consistente sulle strutture penitenziarie. La riduzione rilevante del numero degli ingressi in carcere (63.000 nel 2012 a fronte degli oltre 80.000 degli anni precedenti) e la riduzione di quasi due terzi del numero di persone che permangono meno di tre giorni in carcere a seguito dell’arresto,
depongono nel senso di un importante effetto sul sistema dell’intervento normativo. Ma l’aumento dei definitivi e l’incidenza della legge solo sulle detenzioni brevi non ha permesso un abbattimento consistente delle presenze complessive. Con riferimento infine alla legge 9 agosto 2013 n.94 (conversione del D.L. n. 78 del 1 luglio) sono stati rilevati i dati relativi alla modifica dell’art.656 c.p.p. relativamente alla eliminazione della recidiva (ex art. 99, comma quarto, c.p.) come ostacolo alla sospensione dell’ordine di esecuzione pena. Nel periodo antecedente all’entrata in vigore della norma, a fronte di una media mensile di ingressi superiore alle 900 unità si è registrata, invece, a partire dal mese di luglio, una riduzione prima di un terzo e poi di circa la metà. Se questo trend rimanesse costante in un anno si realizzerebbe un mancato ingresso in esecuzione pena di oltre 4.000 persone. Questa proiezione meramente statistica nella pratica impatterà, però, con le valutazioni dei giudici di sorveglianza che potrebbero ridurre, anche in maniera consistente, quella media. Alla luce di questi dati e considerazioni del Ministro della Giustizia, è difficile prevedere nei prossimi 7 mesi cambiamenti sul sistema dell’esecuzione della pena in Italia. E tutto andrà ad aggravare ulteriormente le già critiche condizioni operative di chi in carcere lavora in prima linea e sotto organico: le donne e gli uomini appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria. H
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a questione carceri è sempre più all’attenzione del Parlamento, del governo e dell’opinione pubblica. Ormai capita sempre più spesso di sentire parlare del sovraffollamento carcerario anche dalla gente comune, non solo dagli addetti ai lavori. Dopo il messaggio rivolto dal Presidente della Repubblica alle Camere la questione è rimbalzata prepotentemente su tutte le testate giornalistiche, televisive, radiofoniche ed i commenti non si sono fatti attendere, da tutte le parti politiche. Ciò ha suscitato reazioni, a volte anche scomposte, perché si può non condividere, ed io non condivido né che si faccia l’indulto, né che si faccia l’amnistia, ma il Presidente della Repubblica merita comunqe rispetto per il ruolo che ricopre. Detto ciò, credo che il Presidente Napolitano avrebbe fatto meglio a non porre in maniera così diretta la questione dell’indulto e dell’amnistia, per alcune semplici ragioni. In primo luogo perché è molto probabile che non si facciano né l’indulto, né tantomeno l’aministia, perché sembra che non ci siano i numeri in Parlamento, per raggiungere la maggioranza dei due terzi: M5S e Lega Nord non lo voteranno mai. Il PD è diviso sulla questione, forse il partito più compatto, verso la scelta del voto favorevole, sembra essere proprio il PDL. In secondo luogo perché essendoci la questione Berlusconi, inevitabilmente, sarebbero state sollevate tante polemiche, proprie in relazione alla possibilità che ne usufruisca anche lui.
l’osservatorio In terzo luogo perché aministia e indulto non risolvono la questione carceri: a legislazione vigente è stato dimostrato dal precedente provvedimento di indulto che dopo soli tre anni i numeri tornano ad essere quelli di prima, quindi, tali iniziative risultano essere solo una resa di fronte all’impossibilità di varare provvedimenti legislativi ed organizzativi che risolvano definitivamente il problema. Con l’indulto e l’amnistia ci salveremmo dalle condanne della Corte europea, ma solo per qualche anno, quindi, si tratterebbe soltanto di un rinvio del problema. Non entro nel merito di quelle che potrebbero essere le soluzioni, perché le abbiamo più volte evidenziate, anche attraverso questa rivista. In più, oltre il 75% dei cittadini sono giustamente contrari. Basti pensare che in Italia solo il 3/4 percento di coloro che commettono reati arrivano a scontare la condanna, per cui, se continuiamo a concedere anche scriteriati condoni, perché tali risulterebbero, quel poco di certezza della pena, intesa proprio come capacità dello Stato di individuare i responsabili dei reati, condannarli e fargli scontare la pena, verrebbe definitivamente vanificata. I provvedimenti di clemenza, se non conseguenti ad eventi sociali davvero eccezionali, risultano essere sempre delle inutili scorciatoie, assunte da chi, in questo caso i governi che si sono succeduti negli ultimi anni, uniti ad una gestione a dir poco allegra dell’amministrzione penitenziaria, si è dimostrata incapace di affrontarli seriamente. Nel nostro caso, sul carcere e sull’esecuzione della pena, intesa, appunto, come reclusione, confliggono sovente posizioni ideologiche contrapposte, tra chi vorrebbe eliminare il carcere, l’esecuzione penale intesa come reclusione, e chi, invece, considera il carcere l’anello terminale del sistema della sicurezza e della giustizia in generale, del quale non bisogna preoccuparsi più di tanto, atteso che, in base a tale visione, il problema della sicurezza e della giustizia si pongono fino a quando il soggetto non è entrato in carcere: da quel momento in poi non è più in grado di nuocere e, quindi, tutto ciò
che accade non riguarda la società. Ma ciò non è vero perché il soggetto in carcere può creare anche gravi problemi alla società, si vedano gli oltre novemila appartenenti alla criminalità organizzata, dei quali circa settecento sottoposti al regime del 41 bis, strumento anche questo soggetto a varie pressioni destabilizzanti, da parte di coloro che per ragioni ideologiche o per interessi di bassa lega, vorrebbero far scomparire dall’ordinamento. Per ora stanno ottenendo il quasi totale smantellamento del Gruppo Operativo Mobile che sta gestendo i detenuti al 41 bis che si vorrebbero far sorvegliare dal personale dei reparti dei rispettivi istituti, con grave pregiudizio per la sicurezza del personale medesimo, delle loro famiglie e dell’efficacia della misura stessa. E’ vero che la condanna della Corte europea ci impone cambiamenti che sembra impossibile fare in meno di un anno, però è anche vero che l’emergenza carceri è stata decretata ormai cinque anni fa e da allora poco è stato fatto, tranne provvedimenti i cui effetti, seppur importatnti, non sono stati risolutivi del probelma. La legge 199/2010, voluta dall’allora ministro della Giustizia Angelino Alfano, modificata poi dalla ministro Severino, che ha previsto la detenzione domiciliare fino a diciotto mesi di reclusione, ha prodotto dei buoni effetti, perché ha consentito a più di diecimila persone di scontare la pena in detenzione domiciliare, invece che in carcere; senza quei provvedimenti, oggi, avremmo circa settancinquemila persone negli istituti penitenziari, e quei diecimila in più, molto probabilmente, dormirebbero per terra. Quindi, la strada delle misure alternative, come dimostrano questi provvedimenti, resta la strada maestra da seguire, ma bisogna spingersi oltre, ampliando la detenzione domiciliare a tre anni, oppure favorendo maggiormente i lavori socialmente utili, un accesso, quindi, più ampio al servizio sociale e la messa alla prova, applicando il braccialetto elettronico, che consente un controllo continuo sulla persona. Se non ci si vuole spingere oltre, rispetto a queste misure, non resta che costruire nuove carceri, ma la
costruzione di nuovi istituti richiede più tempo e l’assunzione di personale, cosa che non sembra possibile, considerato che proprio la manovra finanziaria di questi giorni ha previsto un ulteriore taglio al turn over e allo straordinario. L’incapacità della politica di affrontare seriamente la questione penitenziaria sta spingendo ormai i giudici ad assumere provvedimeti sempre più forti, di condanna o di monito alla stessa politica. Abbiamo citato la sentenza della Corte europea, ma non bisogna dimenticare quanto ha detto la Corte costituzionale che ha dichiarato inammissibile la questione sollevata dai Tribunali di Sorveglianza di Venezia e Milano che puntava ad ampliare i motivi per cui può essere differita l’esecuzione di una condanna in carcere, introducendo fra essi anche il sovraffollamento carcerario e le condizioni disumane di detenzione. «La Corte costituzionale nell’odierna Camera di consiglio - spiega la Consulta in una nota - ha ritenuto inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate dai Tribunali di Sorveglianza di Venezia e di Milano, dirette a consentire alla magistratura di sorveglianza il rinvio dell’esecuzione della pena previsto dall’art. 147 del codice penale anche nel caso in cui la stessa debba svolgersi in condizioni contrarie al senso di umanità per il sovraffollamento carcerario. La Corte ha ritenuto di non potersi sostituire al legislatore essendo possibili una pluralità di soluzioni al grave problema sollevato dai rimettenti, cui lo stesso legislatore dovrà porre rimedio nel più breve tempo possibile. Nel caso di inerzia legislativa - conclude la Consulta - la Corte si riserva, in un eventuale successivo procedimento, di adottare le necessarie decisioni dirette a far cessare l’esecuzione della pena in condizioni contrarie al senso di umanità». Quindi, in un prossimo futuro potrebbe accadere che i condannati non entreranno in carcere perché non c’è posto. L’ennesima beffa alla certezza della pena ed a quei cittadini che sempre più spesso sono vittime anche di reati molto gravi. H
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Giovanni Battista Durante Redazione Politica Segretario Generale Aggiunto del Sappe durante@sappe.it
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Franco Denisi Segretario Provinciale del Sappe denisi@sappe.it
mafie e dintorni
La ’ndrangheta e il carcere 6ª ed ultima parte
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he il carcere sia un centro di reclutamento della ’ndrangata sin dai tempi dei Borboni è oramai risaputo. Tutt’oggi le carceri divise ancora in caste sono delle vere e proprie palestre del malaffare, che spesso non sminuiscono il prestigio dei boss ma al contrario lo accrescono. Una decina di anni di carcere cd “di branda” come vengono denominate, non costituiscono un problema. Nel gergo della ‘ndrangata si dice che “il carcere non mangia uomini”. Tutto passa; bisogna avere solo la forza di resistere, sopportare e tollerare, senza scantonare. Il boss è colui che all’interno della cella non cucina ma ama mangiare genuino e non il “cd pane del governo” (cibo proveniente dal vitto carcerario); a tavola indica (in gergo carcerario “libera”) a tutti quando è il momento di sedersi per iniziare a mangiare, quando è possibile incominciare a fumare e quando ci si può alzare.
Nelle foto il carcere di Cosenza
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Il boss nel carcere cementa altre amicizie, stringe alleanze, crea nuovi comparati, effettua il “taglio della coda”. Dietro le sbarre gli ‘ndranghetisti cercano sempre di opporsi al rispetto delle regole. A tal proposito riporto alla memoria dei lettori l’accoltellamento avvenuto negli anni ’75/80 nel carcere di Reggio Calabria, quando lo ‘ndranghetista Aricò, detenuto nel reparto di alta sicurezza del carcere reggino accoltellò un agente con undici fendenti al ventre. Inoltre all’interno delle carceri gli uomini di ‘ndrangata comunicano tra di loro con codici sconosciuti che scritti in dei “pizzini”, cercano di fare uscire tramite i colloqui con i familiari. L’esempio eclatante risale all’agosto 2011 quando un agente della Polizia Penitenziaria intercettò e sequestrò un “pizzino” che un boss della piana di Gioia Tauro (RC) cercava di inviare all’esterno. Il “pizzino” conteneva un messaggio cifrato : “fiore per mio fratello”. Con tale messaggio si concedeva la promozione al fratello del boss, il quale in sua assenza, avrebbe dovuto prendere il comando della cosca. Resosi conto dell’imperdonabile leggerezza e
consapevole di aver messo nero su bianco una frase che conferma il suo status di boss pregò l’agente di restituire quanto sequestrato. L’Agente, però, ligio ai doveri che il mandato impone, invia tutto alla Procura della Repubblica. Covano anche vendette come quella del 1985 che porta all’uccisione del Direttore del carcere di Cosenza Sergio Cosmai, unitamente al suo Comandante del Reparto degli allora Agenti di Custodia (oggi Polizia Penitenziaria) Maresciallo Filippo Salsone i quali pagarono con la vita il merito di aver ripristinato l’ordine e la sicurezza all’interno dell’Istituto di Cosenza, dopo una rivolta promossa dai boss cosentini, a causa della mancata concessione di un’ora d’aria in più rispetto al limite previsto dalla norma.
L’omicidio del direttore Cosmai Sergio Cosmai si stava recando all’asilo per prelevare la figlia Rossella, di appena 3 anni, quando nel tratto della SS 19 che collega Cosenza a Roges (Rende) (ora via Cosmai), si affiancò alla sua 500 gialla un’autovettura dalla quale partirono undici proiettili calibro 38 che lo colpirono alla testa.
mafie e dintorni
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fuggire, Bartolomeo tirò fuori una calibro 38. Sparò 2 o 3 colpi e poi me la passò. Io feci lo stesso. Mi avvicinai ma l’arma era scarica. Constatai, però, che Cosmai era immobile». I destini di Sergio Cosmai e Filippo Salsone si incrociano e si sovrappongono. Questo ultimo, braccio destro del direttore Cosmai venne infatti ucciso quasi un anno dopo.
Erano pressappoco le 14 del 12 marzo 1985. Cosmai morì il giorno seguente durante il disperato ed inutile viaggio verso l’ospedale di Trani. Un mese dopo sarebbe nato il suo secondo genito Sergio. Per questo omicidio la Corte d’assise di Bari condannò all’ergastolo Nicola e Dario Notargiacomo e Stefano Bartolomeo. In appello, tuttavia, furono assolti per insufficienza di prove. Successivamente Dario Nortargiacomo raccontò le fasi del delitto: «Il direttore veniva controllato e le sue mosse spiate dall’abbaino che è sito sulla casa di Giuseppe Bartolomeo, a Bosco De Nicola. Con un cannocchiale si riusciva a seguirlo in tutti i suoi spostamenti...» « ...Quella mattina, Giuseppe Bartolomeo segnalò a mio fratello Nicola quando Cosmai uscì dal carcere. Io e Stefano Bartolomeo aspettavamo nascosti a bordo di una Mitsubishi verde. Eravamo camuffati con barbe, baffi e parrucche. Lo vedemmo e ci avviammo. Quindi l’affiancammo. Io esplosi il primo colpo che non andò a segno. Però, il dottore aveva capito benissimo quello che stava accadendo e frenò di colpo. Allungai la mano e sparai ancora. Lui mise la retromarcia, cercò di
L’omicidio del Maresciallo degli AA.CC. Filippo Salsone L’agguato a Salsone, 40 anni, venne portato a termine a Brancaleone, contrada Razzà, nella provincia di Reggio Calabria. Aveva appena lasciato l’abitazione dei genitori cui s’era recato a far visita quando il sottufficiale venne massacrato a colpi di fucile calibro 12 e 16 caricati a lupara e finito con un colpo di pistola alla testa. Tre i sicari impegnati nell’azione delittuosa. Nell’attentato rimaneva ferito il figlioletto di 10 anni. Al momento della morte Salsone era in servizio provvisorio a Reggio Calabria, anche se la sede d’assegnazione era Poggioreale. Le cose però per fortuna cambiarono. Basti pensare all’introduzione del 41 bis, il cd carcere duro, regime con il quale si pose fine ad alcuni privilegi. Il carcere duro diventò così un orco per i boss, da evitare ad ogni costo. Se una volta per evitare il carcere si ingoiavano chiodi, ingerivano detersivi, o improvvisavano spogliarelli adesso i boss si affidano alle perizie di medici e psichiatri,
ricoveri facili, mali oscuri ed incurabili all’interno del sistema carcerario. Purtroppo l’applicazione del 41 bis oggi non è come nei periodi di Falcone e Borsellino, quando i boss sottoposti al 41 bis venivano inviati nei penitenziari di Pianosa , Gorgona e Asinara. Con quest’ultimo articolo concludo questo piccolo ma spero soddisfacente excursus di quella che fu l’evoluzione dagli anni più remoti sino ad oggi, di uno dei più grandi mali della nostra terra. La mafia si caratterizza per la sua rapidità nell’adeguare valori arcaici alle esigenze del presente, per la sua abilità nel confondersi con la società civile, per l’uso dell’intimidazione e della violenza, per il numero e la statura criminale dei suoi adepti, per la sua capacità ad essere sempre diversa e sempre uguale a se stessa. Forse a parere di chi scrive, necessaria sarebbe anche una revisione del codice penale, di procedura penale e codice penitenziario in modo che il carcere diventi, per chi ci entra, un “deterrente”. Sarebbe necessario dunque cominciar a dar voce alle proprie coscienze perché la mafia, come disse Falcone, è un fenomeno umano, e come tale ha un principio, ha un’evoluzione e avrà anche una fine. Un giornalista però scriveva: “incentrare la strategia di contrasto della criminalità mafiosa esclusivamente sul terreno tecnico investigativo, e non anche su quello politico culturale, è alla lunga inesorabilmente perdente.” H
Nelle foto sopra il Maresciallo Filippo Sansone a sinistra Sergio Cosmai
Nelle foto al centro Dario e Nicola Notargiacomo
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dalle segreterie Roma
rivista@sappe.it
Assemblea dei Quadri del polo di Rebibbia i è tenuto lo scorso 8 ottobre, nella sala conferenze della Casa Circondariale di Roma Rebibbia, un incontro con i quadri sindacali ed il personale del polo di Rebibbia. All’evento hanno partecipato il Segretario Generale Dott. Donato Capece, il Segretario Nazionale del Lazio Maurizio Somma
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Nelle foto alcune fasi dell’Assemblea di Rebibbia
Macomer Le unità cinofile dell’istituto decisive in una operazione antidroga e foto e gli articoli di giornale riguardano l’intervento operativo effettuato il 9 ottobre 2013 con le unità cinofile dellla Polizia Penitenziaria di Macomer e il Commissariato di P.S. del luogo. H Piermattia Puggioni
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ed i Segretari del polo di Rebibbia unitamente al personale in servizio. Ospite d’onore il Sottosegretario di Stato alla Giustizia dr. Cosimo Maria Ferri che ha espresso all’assemblea la sua vicinanza al Corpo di Polizia Penitenziaria. Durante i lavori dell’assemblea sono stati oggetto di discussione molteplici temi tra i quali sono stati messi in risalto l’endemica carenza di personale, i carichi di lavoro, l’Accordo Quadro Nazionale, la questione delle caserme, il FESI 2013, la previdenza complementare e la riforma pensionistica, il ricorso relativo alle 36 ore, il ricorso inerente le mansioni
superiori e quello relativo al fumo passivo, il piano della formazione, la sanità penitenziaria, il nuovo modello organizzativo delle traduzioni e molto altro; tutte argomentazioni che saranno portate all’attenzione dei vertici del Ministero della Giustizia, del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e del Provveditorato Regionale del Lazio. Alla fine della riunione, si è svolto un piccolo rinfresco per chiudere la giornata lavorativa. Un ringraziamento a tutti i colleghi che hanno partecipato e, in particolare, ai miei collaboratori che hanno permesso l’ottima riuscita dell’evento. H Maurizio Somma
dalle segreterie Reggio Calabria Il delegato Regionale Sappe della Calabria l’Ispettore Capo Antonio Parrilla nominato Cavaliere dei Diritti Umani ncora una volta il maestoso secentesco Palazzo Biscari, realizzato per volere della famiglia Paternò Castello, Principi di Biscari, ha accolto nei suoi fastosi saloni, membri ed ospiti per il conferimento dell’Onorificenza Cavalieri dei Diritti Umani. Un evento che vanta un’accorata partecipazione, per ringraziare e ricordare insieme quegli “angeli bianchi” che talvolta incontriamo sul nostro cammino. Angeli fatti, però, di carne ed ossa, uomini dediti al bene ed alla salvaguardia altrui, sprezzanti del
pericolo per il raggiungimento del bene comune. Quest’anno uno di questi “angeli bianchi” premiato è stato il nostro delegato SAPPe Ispettore Capo Antonio Parrilla. La Segreteria Locale di Reggio Calabria, la Segreteria Regionale della Calabria nonché il Segretario Generale Donato Capece, esprimono
grande soddisfazione e ammirazione per la meritata attribuzione dell’onorificenza di “Cavaliere dei Diritti Umani” all’Ispettore Capo Antonio Parrilla, per aver onorato con coraggio, spirito di servizio e abnegazione, il suo impegno di rappresentante della Polizia Penitenziaria. H Franco Denisi
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rivista@sappe.it
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Trapani Ritrovati videopoker rubati e abbandonati vicino al carcere
Salerno
stata la segnalazione fatta alla sala operativa della Questura di Trapani da parte dell’Agente scelto di Polizia Penitenziaria Tony Ruggirello, che ha reso possibile recuperare dei videopoker rubati ed ammassati in prossimità della Casa circondariale di Trapani, nel territorio di Erice Casa Santa. I ladri, dopo aver svuotato i contenitori delle monete, li avevano abbandonati a poca distanza dal carcere San Giuliano di Trapani. Il nostro collega, non appena li ha notati, non ha esitato ad allertare i poliziotti della Questura che hanno provveduto al sequestro delle macchinette e avviato le indagini per risalire agli autori del furto. H
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Nelle foto sopra immagini della Cerimonia di Reggio Calabria
Lamezia Terme Gara di motocross
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l 15 settembre in provincia di Salerno si è tenuta presso l’impianto sportivo “La Torre” un’importante manifestazione organizzata dalla Federazione Motociclistica Italiana. Per noi della Polizia Penitenziaria, a dirigere l’evento, in veste di Direttore di Gara Nazionale Fuoristrada della Federmoto, c’era il Vice Sovrintendente
Ciro Borrelli. Grande contributo è stato offerto dagli uomini dalla sezione Rangers d’Italia di Oliveto Citra (SA). Grazie a loro e alla collaborazione che hanno prestato sotto la direzione del Direttore di Gara l’evento, cui hanno assistito migliaia di persone tutte provenienti dal Sud Italia, si è svolto con grande successo. H
L’ Assistente Capo della Casa Circondariale di Lamezia Terme (CZ) Pietro Bonaddio è deceduto improvvisamente il 13 agosto 2013. Ne da notizia il figlio scrivendoci quanto suo padre teneva al Corpo di Polizia Penitenziaria.
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dalle segreterie Lucca
rivista@sappe.it
Convegno su Carcere, Sicurezza e Territorio
Nelle foto sotto immagini del Convegno di Lucca
i è svolto il 2 ottobre u.s., nell’incantevole sala Accademia del Palazzo Ducale di Lucca, il Convegno “Toscana: carcere, sicurezza e territorio. Il ruolo della Polizia Penitenziaria a tutela della sicurezza del cittadino”, organizzato dalla Segreteria
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Regionale SAPPe della Toscana, con il patrocinio della Provincia di Lucca. Alla manifestazione hanno partecipato, oltre ai quadri sindacali
del SAPPe, anche esponenti del mondo politico e penitenziario. Nel corso del dibattito apprezzamenti sono stati espressi al lavoro della polizia penitenziaria e al ruolo sempre più pregnante che occupa nella società civile. Al termine del consesso si è celebrato l’XI Consiglio Regionale del SAPPe della Toscana, presieduto dal Segretario generale Dott. Donato Capece e dal Segretario Nazionale Pasquale Salemme, nonché dai Segretari Regionali Francesco Oliviero e Claudio Falchi. H
Roma Solidarietà ai bambini svantaggiati: quadrangolare di calcio tra Vaticano, Fiamme Azzurre, Magistrati e World Stars for Charity Nella foto a destra il Ministero della Giustizia Annamaria Cancellieri con la maglia dell’Astrea
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uattro squadre di calcio - una rappresentativa del Vaticano, una di Magistrati italiani, le Fiamme Azzurre della Polizia Penitenziaria e la World Stars for Charity – sono scese in campo a Roma per aiutare bambini particolarmente svantaggiati. È 4 X KIDS, iniziativa di solidarietà promossa dalla Fondazione Raphael in collaborazione con il Ministero della Giustizia, è stata presentata presso la Sala Livatino del Ministero della Giustizia in via Arenula, alla presenza del ministro Annamaria Cancellieri. Il progetto è finalizzato a sensibilizzare l'opinione pubblica sui
problemi dei figli di detenuti affetti da disabilità fisiche e psichiche. Il quadrangolare di calcio ha questo senso; i fondi raccolti saranno destinati alla creazione del primo "Osservatorio nazionale" per i figli di detenuti affetti da disabilità, a favore dei quali è previsto inoltre l'accompagnamento psicologico e sociale e il loro inserimento in famiglie o in strutture di adeguato riferimento. Numerosi i grandi calciatori del passato coinvolti nell'iniziativa 4 X KIDS che sono andati in campo per la solidarietà il 17 ottobre nel "Centro Sportivo di
Casal del Marmo": Roberto Bettega, Antonio Cabrini, Giovanni Galli, Damiano Tommasi, Dino Baggio, Pedro Paolo Pasculli, Francesco Graziani, Giuseppe Galderisi, Sebastiano Nela, Bruno Giordano, Massimo Bonini, Thomas Berthold, Vladimir Liutyi, Antonio Manicone. Il calcio d'inizio, giovedì 17 ottobre alle ore 9.30, presso l'impianto sportivo delle Fiamme Azzurre a Roma Casal del Marmo. H
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cinema dietro le sbarre
Regia: Mikael Håfström Titolo Originale: Escape Plan Altri titoli: The Tomb, Exit Plan Soggetto: Miles Chapman Sceneggiatura: Miles Chapman, Jason Keller, Arnell Jesko Fotografia: Brendan Galvin Musiche: Alex Heffes Montaggio: Elliot Greenberg Scenografia: Barry Chusid Costumi: Lizz Wolf Effetti: Michael Lantieri
Fuga dall’inferno a cura di Giovanni Battista de Blasis deblasis@sappe.it
ylvester Stallone interpreta Ray Breslin un esperto di sicurezza delle strutture carcerarie. Il mestiere di Breslin consiste nel testare, appunto, la sicurezza dei penitenziari e, per questo, ha trascorso metà della sua vita ad evadere dalle prigioni nelle quali era entrato sotto copertura, per trovarne i punti deboli. Ad un passo dalla pensione, Ray si trova ad accettare una proposta di lavoro senza precedenti: mettere alla prova il carcere di massima sicurezza soprannominato la Tomba. Purtroppo, questo ultimo incarico si rivela una trappola tanto che Breslin sembra destinato a rimanere detenuto a vita, quasi sepolto vivo. Soltanto
la scheda del film
S
Produzione: Emmett/Furla Films, Summit Entertainment Distribuzione: 01 Distribution
si sottrae a una scazzottata, in un contesto davvero da incubo, in cui i diritti umani non esistono, le guardie non hanno volto e le sentenze non hanno appello. Sembra, insomma, di immergersi in un aura da vecchi tempi e vecchi
Personaggi ed Interpreti: Ray Breslin: Sylvester Stallone Swan Rottmayer: Arnold Schwarzenegger Willard Hobbes: James Caviezel Lester Clark: Vincent D'Onofrio Drake: Vinnie Jones Dott. Emil Kaikev: Sam Neill Dott. Hush: Curtis "50 Cent" Jackson Abigail Ross: Amy Ryan Jessica Miller: Caitriona Balfe Javed: Faran Tahir Roag: Matt Gerald Gabriel: Steven Krueger Capitano Baradah: David Joseph Martinez Genere: Azione, Fantathriller Durata: 116 minuti Origine: USA, 2013
Nelle foto la locandina e alcune scene del film
Polizia Penitenziaria n.210 ottobre 2013
l’imprevista ed imprevedibile amicizia con un altro detenuto, Rottmayer (interpretato da Schwarzenegger), fornisce a Ray le motivazioni a non desistere e lasciarsi andare. Si riforma, così, in prigione la vecchia coppia StalloneSchwarzenegger, che costruisce bussole di carta sotto il banco e non
modi del cinema, piena di stratagemmi spettacolari e di esibizioni altrettanto spettacolari di forza fisica da peplum; tutto però calato in una sceneggiatura poco credibile. Anche se neppure i colpi di scena riescono a tenere lo spettatore attaccato allo schermo, alla fine ci pensa proprio Stallone con quel suo carattere umano, ingenuo più che retorico, ad infondere simpatia e a creare quel rapporto empatico che coinvolge. In definitiva, nonostante una regia non eccelsa ed una sceneggiatura fragile, non è l’ambientazione suggestiva creata all’interno di una struttura della NASA a New Orleans a
fare la fortuna del film, quanto proprio la coppia dei Mercenari Stallone e Schwarzy che incarna lo spirito di chi non si arrende mai così come nessun altro giovane attore avrebbe potuto fare. Sicuramente non siamo davanti ad un capolavoro ma, pur tuttavia, la pellicola fa discretamente il suo dovere di intrattenimento e, paradossalmente, l’aspetto romantico rende il film molto più duro di quanto avrebbe fatto, da solo, l’aspetto fisico. H
storie di polizia penitenziaria
Quando l’altruismo non è una eccezione...
gostino D’Agostino è entrato a far parte della famiglia della Polizia Penitenziaria solo due anni fa, dopo aver vinto il concorso riservato ai Vfp1. Giovanissimo - ventidue anni -, in quell’anno di leva in cui ha vestito la divisa verde dell’esercito è stato impiegato nell’ultimo carcere militare rimasto in Italia, quello di S. Maria Capua Vetere, che è anche la sua città natale. Lì ha avuto modo di iniziare sin da subito a prendere contatto con il mestiere di chi è chiamato a vigilare su coloro i quali hanno perduto per qualche motivo la libertà, ma con la particolarità di farlo nei confronti di chi in passato indossava a sua volta una divisa, portando magari più di
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qualche stelletta sulle spalle (NdR Erich Priebke, il capitano delle SS scomparso da poco, è stato per qualche tempo uno degli “ospiti” della struttura). Quei reclusi particolari tutt’ora vivono in contiguità con i “controllori”, mangiano alla stessa mensa con lo stesso menù e, altro elemento di unicità rispetto a qualunque altra situazione detentiva nazionale, sono in minoranza rispetto a chi vigila su di loro: 55 detenuti per 280 agenti. Nessuna evasione mai registrata: 21 carabinieri, 18 poliziotti, 3 finanzieri, 4 soldati di esercito e aeronautica e pure 9 agenti di polizia penitenziaria; chi si trova lì per mafia, chi per droga, chi per omicidio. Agostino D’Agostino, tra l’altro originario proprio di quel piccolo centro campano tanto caro a Sant’Ambrogio che lo definì portum tranquillitatis (porto di tranquillità), finita l’esperienza militare e fatto ingresso in Polizia Penitenziaria, come molti, è stato assegnato in servizio nel nord Italia, più precisamente presso la Casa Circondariale di Imperia. Quella struttura ospita in media non più di cento detenuti, tutti uomini, in un’area detentiva suddivisa in tre piani composti da 10-14 celle ciascuno. Nel piano interrato l’isolamento, nel quarto si svolgono invece quasi tutte le attività trattamentali. D’Agostino è riuscito ad ambientarsi presto e bene nella realtà ligure. D’estate adora trascorrere il tempo libero al mare, meglio se con la sua adorata fidanzata Daniela e ad Imperia il mare ha avuto la fortuna di trovarlo vicino. Quando ha qualche ora libera vi si reca spesso. Anche il 12 luglio, approfittando del gran caldo stagionale, ha deciso di andare nella spianata di Borgo Peri in compagnia di altri tre colleghi, alla ricerca di un
pò di riposo. Quel relax, tra bagni di sole e chiacchiere in libertà, ad un tratto è stato spezzato dalle grida disperate di un uomo attempato, così forti da attirare l’attenzione del gruppetto di poliziotti penitenziari presenti oltre che degli altri bagnanti. Indicava con il braccio la vicina scogliera ed il colpo d’occhio sugli spuntoni affioranti mostrava chiaramente il motivo di tanta agitazione: il nipotino di tre anni, sfuggito al suo controllo, si era inerpicato proprio su uno degli scogli più vicini allo specchio d’acqua che in quel momento era agitatissimo e minaccioso. La sua sorte a quel punto era diventata improvvisamente una questione di tempo e di fortuna, perché le onde che si infrangevano violente e spumeggianti a pochi centimetri da lui potevano risucchiarlo a fondo in pochissimi istanti. Agostino capisce immediatamente che via terra ci vorrebbe troppo per riportare il bimbo in salvo e che per prevenire i pericoli del mare occorreva probabilmente affrontare di petto il mare stesso. Si è tuffato senza pensare troppo e, come lui, lo stesso ha fatto uno dei suoi colleghi. Per quest’ultimo però la fatica è risultata ben presto troppa per reggere e con poche parole viene convinto da D’Agostino a tornare a terra: «Collega torna indietro perché io forse uno lo porto a riva ma in due da salvare siete in troppi». Il collega ha ascoltato il consiglio ed è tornato a riva mentre l’agente di S. Maria Capua Vetere ha continuato lo sforzo a nuoto, diretto verso il piccolo che, braccioli indossati, era completamente e beatamente ignaro del clamore che aveva suscitato con il suo allontanamento in quella assolata spiaggia. Via mare Agostino D’Agostino lo ha riportato al nonno
19 di Lara Liotta rivista@sappe.it
Nella foto Agostino D’Agostino in uniforme di servizio
‡ Polizia Penitenziaria n.210 ottobre 2013
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storie...
Le ore di permesso sindacale durante il turno di servizio aro collega, sono un delegato sindacale del SAPPE che tutti i giorni si batte per la tutela dei diritti dei poliziotti penitenziari. Mi è sorto un dubbio relativo alla fruizione dei permessi sindacali sia per attività sia per convocazione. Qualche volta capita che una contrattazione sindacale, anche in caso di rinvio, coincida con impegni assunti nell’attività di servizio. Al fine di conciliare le esigenze professionali di servizio e lo svolgimento dell’attività sindacale, vorrei sapere se è possibile fruire durante un turno di servizio solo di alcune ore di permesso sindacale retribuito, nella circostanza per la partecipazione ad una riunione sindacale. Ringrazio anticipatamente. Buon lavoro Esimio sindacalista, il nostro sistema legislativo prevede per gli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria, che ricoprono cariche sindacali presso le organizzazioni sindacali rappresentative sul piano nazionale, la possibilità di beneficiare di permessi sindacali, finalizzati allo svolgimento dell’attività sindacale nell’eccezione più ampia del termine, che conferiscono al sindacalista la facoltà di assentarsi dal posto di lavoro. I permessi sindacali sono equiparati al servizio effettivamente espletato nell’amministrazione: retribuiti, utili ai fini previdenziali nonché pensionistici. Si possono distinguere due tipi di permessi sindacali retribuiti: per lo svolgimento del mandato e per la partecipazione alle riunioni sindacali su convocazione dell’amministrazione. La procedura di autorizzazione dei
C Nella foto un altra immagine di Agostino D’Agostino
Polizia Penitenziaria n.210 ottobre 2013
ancora sotto shock per l’accaduto. E’ stremato dallo sforzo quando l’uomo lo ringrazia per il suo gesto. Chiusa quella giornata tutt’altro che rilassante, al ritorno in servizio non parla molto del salvataggio, non si vanta di essere stato così coraggioso e non cerca elogi dai suoi superiori. Le voci però, come spesso avviene, si spargono più veloci di quanto si riesca a prevedere: i colleghi ed i presenti in quel giorno al mare hanno iniziato a parlare di quel poliziotto penitenziario impavido e generoso. In breve la notizia è giunta al suo comandante, il Comm. Lucrezia Nicolò, che lo ha convocato chiedendogli conto dell’accaduto. Agostino a quel punto ha confermato tutto ritenendo però di non aver fatto nulla di eccezionale vista la situazione che gli si era presentata davanti. In fondo cosa aveva fatto di particolare salvando quel bambino? Non lo avrebbero fatto tutti forse? Molto probabilmente no per la frequente logica di chi crede che delle difficili incombenze se ne debba sempre occupare qualcun altro, che fare in prima persona potrebbe comportare una perdita di tempo o una scocciatura. Considerato l’esito del salvataggio e le modalità di intervento si può dire più prosaicamente che il suo è stato il gesto eccezionale di un ragazzo fin troppo normale. Da allora non ha più avuto alcuna notizia del nonno e del bambino, ma di certo non li dimenticherà facilmente. H
permessi sindacali è disciplinata nel dettaglio dall’articolo 32 del D.P.R. n. 164/2002. La richiesta del permesso sindacale deve pervenire, all’amministrazione dalla struttura sindacale di riferimento del rappresentante, in forma scritta (1) almeno tre giorni prima ed in casi eccezionali almeno 24 ore prima. L’amministrazione autorizza il permesso sindacale salvo che non ostino eccezionali e motivate esigenze di servizio. L’eventuale diniego motivato deve essere comunicato all’organizzazione sindacale richiedente in forma scritta entro tre giorni. Quanto alla certificazione relativa alla effettiva utilizzazione del permesso sindacale, essa è stata sostituita, ai sensi dell’alt. 32, comma 6, del D.P.R. 164/2002, dalla comunicazione che l’organizzazione sindacale fornirà al dirigente dell’ufficio di appartenenza nel caso in cui il permesso non sia stato fruito. L’articolo 32, comma 8, del D.P.R. 164/2002 stabilisce in nove turni giornalieri il limite mensile di permessi retribuiti utilizzabili da ciascun dirigente sindacale per l’espletamento del proprio mandato. I permessi sindacali devono essere autorizzati in misura pari alle ore corrispondenti al turno di servizio giornaliero e vanno rapportati alle ore lavorative previste per quel turno da cui il dipendente chiede di essere esonerato per poter svolgere attività sindacale. Il principio della non superabilità dei nove turni di servizio al mese per permessi sindacali, risulta attenuato da due disposizioni: • non sono nel calcolo dei nove turni di servizio quelli utilizzati per la partecipazione a riunioni sindacali su convocazione dell’Amministrazione
diritto e diritti
(è necessario indicare, nella richiesta di permesso, la sede di contrattazione presso la quale il dirigente sindacale espleterà il mandato qualora non coincidente con quella in cui lo stesso presta servizio, al fine di consentire all’amministrazione di effettuare i dovuti controlli (2); detti permessi non incideranno altresì sul monte ore complessivo riconosciuto al personale della Polizia Penitenziaria; • l’art. 32, comma 8, del D.P.R. 164/2002 prevede che il limite dei nove permessi sindacali mensili può essere superato, con i permessi cumulativi previa richiesta nominativa fatta dall’organizzazione sindacale all’amministrazione, almeno 30 giorni prima dell’inizio delle assenze. In tali casi, resta ferma la competenza dell’Amministrazione Centrale all’autorizzazione entro 15 giorni. Sulla scorta delle sopra citate
considerazioni e di quanto stabilito in materia dalla vigente normativa, si ritiene che non è possibile fruire di un numero di ore di permesso sindacale inferiore al turno di servizio individuale.Tuttavia, il dirigente interessato all’autorizzazione potrebbe concedere la fruizione di ore di permesso sindacale retribuite, garantendo il rapporto strumentale tra le concrete esigenze di servizio (3) che si verrebbero a determinare dall’assenza del rappresentante sindacale e la tutela prevista dal legislatore per l’espletamento del mandato, in ottemperanza al principio fondamentale di buon andamento della Pubblica Amministrazione, sancito dall’art. 97 della Costituzione, vero cardine della vita amministrativa e quindi condizione dello svolgimento ordinato della vita sociale, più semplicemente, che concepisce l’amministrazione pubblica come soggetto che deve perseguire, esclusivamente e nel modo migliore, gli interessi dei cittadini. H Note (1) La mancata formale richiesta risulta sufficiente a norma di legge per rendere ingiustificata l’assenza dal servizio; non si tratta di una mera
formalità in qualche modo sanabile, in quanto spetta pur sempre all’amministrazione a norma di legge verificare, in via preventiva, la presenza dei requisiti per concedere i permessi sindacali, laddove nulla rileva la buona fede dell’interessato. Rif. Sentenza T.A.R. Friuli Venezia Giulia 11/01/2013.
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Giovanni Passaro passaro@sappe.it
(2) Cfr. Ministeriali prot. GDAP n.0332513-2008 del 6 ottobre 2008 – n° 0251486 del 27 luglio 2006 -– n° 0429557 del 29 novembre 2004 - n° 326407 del 23 luglio 2002. (3) L’Autorità Dirigente dovrebbe valutare se la concessione delle ore di permesso avrebbe una ricaduta positiva diretta sullo svolgimento dell’attività della Pubblica Amministrazione. Più in particolare, stabilire se la presenza in servizio possa giovare al regolare funzionamento dei pubblici uffici. In buona sostanza, chiedersi se e come esso possa contribuire al “buon andamento” della Pubblica Amministrazione, che è - come noto precetto costituzionale in quanto irrinunciabile convenienza per la collettività.
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Pasquale Salemme Segretario Nazionale del Sappe salemme@sappe.it
Nelle foto sopra Villa Moresca a S. Felice Circeo a destra Izzo, Guido e Ghira
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crimini e criminali
iù di qualche anno fa, in questa rubrica, affrontai il fenomeno dei Serial Killer Groupie - donne che si dichiarano follemente innamorate di uomini che hanno compiuto reati oltraggiosi contro il genere umano – facendo una breve citazione al caso di una giornalista italiana convolata a nozze, nel carcere di Velletri, con il pluriomicida Angelo Izzo, famoso agli onori della cronaca nera per essere uno dei tre autori del cd. massacro del Circeo.
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si chiama Giampiero Parboni Arquati, Stefano che nella realtà è Angelo Izzo e Gianni Guido. All’appuntamento, con mezz’ora di ritardo, arrivano solo Angelo e Gianni, mentre Giampiero, secondo i due, era rimasto nella sua villa al mare a Lavinio, a sud di Roma. Ed è proprio questa la meta proposta dai ragazzi alle due adolescenti per trascorrere il pomeriggio e far rientro a Roma prima di sera. Lungo il tragitto, a bordo di una Fiat 127, le due ragazze si accorgono che
sedemmo nel giardino a chiacchierare. Verso le sei e mezza, i due (Guido e Izzo ndr) si svelano subito e ci chiedono di fare l’amore. Rifiutiamo. Insistono e ci promettono un milione ciascuna. Rifiutiamo di nuovo. A questo punto Guido tira fuori una pistola e dice: “Siamo della banda dei Marsigliesi, quindi vi conviene obbedire, quando arriverà Berenguer non avrete scampo, lui è un duro, è quello che ha rapito il gioielliere Bulgari”. Capiamo che era una trappola e scoppiamo a piangere. I due ci chiudono in bagno, aspettavano. La mattina dopo Angelo apre la porta del bagno e si accorge che il lavandino è rotto, si infuria come un pazzo e ci ammazza di botte, e ci separano: io in un bagno, Rosaria in un altro. Comincia l’inferno. Verso sera arriva
Tra il 29 e il 30 settembre del 1975, due ragazze, allora adolescenti, vennero picchiate e massacrate brutalmente, una delle quali addirittura uccisa, da tre balordi della Roma bene. L’orrendo massacro detiene due tristi primati: è sicuramente uno dei primi casi di violenza di gruppo in Italia ed è stato un omicidio caratterizzato da una fortissima componente misogina e da un altrettanto forte influenza di classe. E’ il 29 settembre quando Donatella Colasanti e Rosaria Lopez, di diciassette e diciannove anni, si danno appuntamento alle quattro del pomeriggio davanti al cinema Ambassade di Roma, con alcuni ragazzi che Donatella aveva conosciuto qualche giorno prima. I ragazzi, che si trasformeranno in belve, sono Carlo, che in realtà
la strada percorsa non era quella per Lavinio; insospettite iniziano a spazientirsi e continuamente invitano i due a dare spiegazioni. Ad un certo punto, Gianni Guido accosta l’auto nei pressi di una cabina telefonica e inizia a giustificare la cosa adducento che in effetti la villa si trovava in una località distante da Lavinio; nel mentre intavolava la conversazione con le due ragazze; Angelo Izzo scende dall’auto e telefona ad un altro personaggio losco del loro gruppo, tale Andrea Ghira, per annunciargli che si stavano recando, con le due ragazze, presso la sua villa a San Felice Circeo. Dietro l’apparenza di un’innocente uscita tra amici si cela in realtà un piano di violenza ben architettato. Intorno alle sei del pomeriggio arrivano a Villa Moresca, a San Felice Circeo: «Appena arrivati nella villa ci
Jacques che è Andrea Ghira (nella realtà dell’epoca Jacques Berenguer è il famoso capo del clan dei Marsigliesi ndr). Jacques appena arrivato nella villa non è stato cattivo con noi, non mi obbligò ad andare a letto con lui. Poi però ci ordino di fare l’amore tra di noi, io e Rosaria. Jacques prese Rosaria per la mano e la portò in una stanza. Io rimasi con Izzo e Guido. Angelo Izzo provo ripetutamente a prendermi senza riuscirci e siccome a Guido non piacevo mi presero a calci sulla schiena. Approfittando di un attimo di distrazione raggiunsi il telefono e chiamai il 113, riuscendo solo a dire: “mi stanno ammazzando, sto a Lavinio”. In quel momento fui colpita da una spranga di ferro e caddi a terra. Mentre mi prendevano a calci sentivo le urla di Rosaria. Dopo un po’ vidi Jacques e dietro di lui la mia amica era sporca di sangue, lo
Il massacro del Circeo
crimini e criminali implorava di lasciarci andare. A quel punto ci fanno tre punture ciascuna, ma io e Rosaria siamo più sveglie di prima e allora passano ad altri sistemi. Prendono Rosaria e la portano in un’altra stanza per cloroformizzarla dicono, la sento piangere e urlare, poi silenzio all’improvviso. Devono averla uccisa in quel momento. A me mi picchiano in testa col calcio della pistola, sono mezza stordita, e allora mi legano un laccio al collo e mi trascinano per tutta casa per strozzarmi, svengo per un po’ e quando mi sveglio sento uno che mi tiene al petto con un piede e sento che dice: “Questa non vuole proprio morire”, e giù a colpirmi in testa con una spranga di ferro. Ho capito che avevo una sola via di uscita, fingermi morta, e l’ho fatto. Mi hanno messa
nel portabagagli della macchina, Rosaria non c’era ancora, ma quando l’hanno portata ho sentire chiudere il cofano e uno che diceva: “Guarda come dormono bene queste due” (dalla deposizione di Donatella Colasanti). Ho ritenuto opportuno riportare la deposizione della Colasanti per far comprendere l’agghiacciante vicenda vissuta in prima persona dall’unica donna sopravvissuta per far si che il lettore nella sua immaginazione possa comprendere la mostruosità del genere umano impersonificata dai tre loschi balordi. Alle nove di sera circa quindi, Guido, Izzo e Ghira avvolgono in teli di plastica quelli che ritengono essere due cadaveri e li caricano nel portabagagli della Fiat 127; poi tornano a Roma. Alle undici e mezza, parcheggiano la macchina in Via Pola
e vanno in pizzeria. Poi, verso le tre di notte una donna che abita in un appartamento del palazzo davanti al quale è ferma la Fiat 127 bianca sente i pugni e i lamenti della Colasanti. Quasi subito arrivano i Carabinieri e si trovano davanti Donatella Colasanti, livida e insanguinata accanto al corpo inanimato della Lopez. Angelo Izzo e Gianni Guido vengono fermati e arrestati quella notte stessa. Il 29 luglio 1976 arriva la sentenza di primo grado: ergastolo per Gianni Guido e Angelo Izzo, ergastolo in contumacia per Andrea Ghira che fa perdere subito le sue tracce e rimane latitante fino alla sua morte. Guido e Izzo nel gennaio del 1977, durante la carcerazione, presero in ostaggio un Agente di Custodia e tentarono di evadere dal carcere di Latina, senza successo. Il 28 ottobre del 1980 la Corte d’Assise d’Appello modifica la sentenza per Gianni Guido e riduce la condanna a trenta anni, dopo la dichiarazione di pentimento e l’accettazione da parte della famiglia della ragazza uccisa di un risarcimento. Nel gennaio del 1981, Gianni Guido evade dal carcere di San Gimignano e fugge a Buenos Aires dove però viene riconosciuto ed arrestato, soltanto due anni dopo. In attesa dell’estradizione, nell’aprile del 1985, riuscì ancora a fuggire, ma nel giugno del 1994, fu di nuovo catturato a Panama, dove si era rifatto una vita come commerciante di autovetture, ed estradato in Italia. Il capitolo oscuro del massacro del Circeo si riapre per ben due volte nel corso del 2005. È il 30 aprile del 2005 quando due corpi vengono trovati parzialmente sepolti all’interno del giardino di una villetta a Campobasso. Si tratta dei cadaveri di madre e figlia, Maria Carmela Limucciano e Valentina Maiorano, rispettivamente moglie e figlia di Giovanni Maiorano, esponente della Sacra Corona Unita. Ad ucciderle è stato Angelo Izzo, divenuto amico del boss in carcere a Palermo. Se ne era conquistato la fiducia e, non appena ottenuto dai
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giudici il permesso di uscire dal carcere, le ha uccise. La polemica sul permesso concesso al massacratore del Circeo infiamma i tribunali. Passano alcuni mesi e il massacro del Circeo torna ad essere di attualità. È il 29 ottobre 2005 quando gli investigatori della polizia danno la svolta conclusiva alle indagini su Andrea Ghira morto per overdose undici anni prima in Spagna e sepolto nell’enclave spagnola di Melilla. Ghira era fuggito in Spagna, subito dopo il massacro, e si era arruolato nella Legione spagnola, dalla quale venne espulso per abuso di stupefacenti nel 1994, con il falso nome di Massimo Testa de Andres. Rosaria è morta quel maledetto 1 ottobre 1975. Donatella è deceduta nel 2005, a 47 anni, ancora duramente sconvolta per
la violenza subita trenta anni prima, per neoplasia mammaria. A Rosaria e Donatella dedico questo mio piccolo contributo affinché il ricordo delle loro atrocità resti vivo nelle menti di tutti noi: “...Il male, anche quello più radicale, è sempre banale, come direbbe Hannah Arendt. Non perchè i massacri di un popolo o il femminicidio siano banali. Di banale, nella morte di un essere umano, non c’è proprio niente. Il male è banale solo perchè lo si compie banalmente. Sopratutto quando non si riconosce più l’umanità delle persone che si violentano, accoltellano e uccidono. E’ l’unica spiegazione che si può tentare di dare a questo moltiplicarsi di violenze contro le donne...” (Michela Marzano da La Repubblica, 11 dicembre 2012). Alla prossima... H
Nelle foto sopra Donatella Colasanti a sinistra Rosaria Lopez al centro il ritrovamento delle ragazze nell’auto
Polizia Penitenziaria n.210 ottobre 2013
24 a cura di Giovanni Battista de Blasis deblasis@sappe.it
Sopra la copertina e, nell’altra pagina, il sommario e la vignetta del numero di marzo1999
Polizia Penitenziaria n.210 ottobre 2013
come scrivevamo enti anni di pubblicazioni hanno conferito al mensile Polizia Penitenziaria - Società Giustizia & Sicurezza la dignità di qualificata fonte storica, oltre quella di autorevole voce di opinione. La consapevolezza di aver acquisito questo ruolo ci ha convinto dell’opportunità di introdurre una rubrica - Cosa Scrivevamo - che contenga una copia anastatica di un articolo di particolare interesse storico pubblicato tanti anni addietro. A corredo dell’articolo abbiamo ritenuto di riprodurre la copertina, l’indice e la vignetta del numero originale della Rivista nel quale fu pubblicato.
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Nascita dell’istituzione carceraria e sua evoluzione sino ai giorni nostri Aspetti generali della situazione penitenziaria prima del XIX secolo 3ª parte - Nascita della Scienza Penitenziaria di Maurizio Renzi
A
ll' inizio del diciannovesimo secolo, una combinazjone di circostanze morali, sociali ed economiche avrebbe determinato una riforma radicale del sistema carcerario. L'incalzare del moderno capitalismo, al quale necessita sempre più manodopera a basso costo, da inquadrare nella produzione di fabbrica si fa sentire anche nei confronti delle nascenti strutture penitenziarie le quali riscoprono il lavoro in funzione sì di un addestramento al regime di fabbrica, ma senza i limiti eccessivi connessi all'uso indiscriminato dell'isolamento. L'aumento della popolazione carceraria doveva almeno esprimere un alto livello di deterrenza o avere un effetto fortemente punitivo sulle vittime. Nasce così per far fronte ad esigenze di una custodia razionale, la moderna scienza penitenziaria. Essa muove i primi passi cercando di trovare, mediante sperimentazioni empiriche, il modello di carcerazione più funzionale in rapporto alle nuove teorie formulate dai riformatori. Il dibattito, al quale neppure gli Stati italiani prima e il Regno poi, si sottrassero, ruota intorno a questi risultati. I riformatori, inglesi e continentali, trovarono la risposta nel sistema penitenziario americano e in particolare nel progetto di Walnut Street Prison di Philadephia. Imperniato sull'isolamento totale in celle singole, desunto dalla diretta applicazione del modello di prigione di Jeremy Bentham, noto come
Panopticon. Strumento basato sul principio ispettivo, al fine di esercitare una sorveglianza permanente, capace di rendere tutto visibile, ma a condizione di rendere se stesso invisibile. "Lavoro obbligatorio in laboratori, costante occupazione dei detenuti, finanziamento della prigione per mezzo di questo lavoro, ma anche retribuzione individuale dei prigionieri per assicurare loro un reinserimento morale e materiale nel mondo dell'economia... La vita è dunque inquadrata secondo un impiego del tempo assolutamente rigoroso, sotto una sorveglianza ininterrotta; ogni istante della giornata ha una sua destinazione, prescrive un tipo di attività e porta con sè i suoi obblighi e le sue interdizioni...". (1) Fondamento logico di questo schema era l'idea che non si punisce per cancellare un delitto, ma per trasformare il colpevole. Il castigo deve portare con sè una certa tecnica correttiva, non solo, ma bisognava tendere ad un'individualizzazione della pena, praticare cioè una distinzione di trattamento: tra una classe criminale abituale e una classe di criminali occasionali. Si cercava, in questo modo, di evitare che questi ultimi fossero indotti ad emulare gli atteggiamenti dei primi. Il carcerato poteva, nella solitudine della cella, parlare con la propria anima e riflettere sul suo passato criminoso. Maggiormente indotto dalla solitudine, la sua mente si
come scrivevamo
sarebbe liberata presto dei pensieri immorali, la solitudine non sarebbe più stata un peso, diventando un terreno fertile per un rinnovamento religioso e morale. La religiosità quacchera, alla base del modello filadelfiano, reinterpretava la concezione cattolica, secondo la quale la pena era medicina spirituale. " La prigione filadelfiana invero non mira ad isolare il recluso da tutti gli altri uomini, ma soltanto dagli altri perversi per rendere più efficace il contatto con i buoni, per preservarlo dalla altrui corruzione, per richiamarlo al miglioramento possibile, per renderlo alla società, alla quale lo si vorrebbe degnamente restituito". (2) In sostanza, il sistema carcerario, univa i tre aspetti fondamentali della pena moderna: brutalità, anonimato e lavoro che venivano così assimilati agli stessi elementi che caratterizzavano il regime di fabbrica. Per far sì che ogni detenuto ricevesse lo stesso trattamento, era essenziale imporre un'uniformità totale alla popolazione carcerata. Il carcerato veniva così spersonalizzato: stesso vestito, cella, cibo, medesime attività, nonchè fissare quattro mura uguali per tutti. Gli effetti si dimostrarono subito disastrosi, aumentarono i suicidi e i casi di pazzia. La base di una prigione funzionante era la disciplina, fondata sull'uso eccessivo della violenza da parte dei guardiani, generalmente composti da ex militari. Costruendo quadri viventi che trasformano le moltitudini confuse, inutili o pericolose in molteplicità ordinate. Il modello filadelfiano incontrò subito molto interesse, ma "l'esosa pretesa degli stabilimenti cellulari richiedeva una grossa spesa, e questa fu poi la ragione per cui anche diversi Stati, che in linea di principio si erano pronunciati per tale soluzione, di fatto non
l'attuarono". (3) Contemporaneo al sistema di Philadelphia c'è il sistema aburniano, dal nome dello stabilimento carcerario vicino a New York ove era stato per la prima volta sperimentato. Consisteva nell'abbinare all'isolamento notturno, durante i pasti ed il riposo, il lavoro in comune, mantenendo l'obbligo del silenzio. Vantaggio del sistema di Auburn è una ripetizione della stessa società, dove, l'obbedienza alla disciplina della prigione, addestra il detenuto ad una vita utile e rassegnata. “Nell'isolamento assoluto, come a Filadelfia, la riqualificazione del criminale non viene richiesta all'esercizio di una legge comune, ma al rapporto dell'individuo con la propria coscienza ed a ciò che può illuminarlo dall'interno. Solo nella sua cella, il detenuto è messo di fronte a se stesso; nel silenzio delle sue passioni e del mondo che lo circonda, egli si inoltra nella sua coscienza, la interroga e sente risvegliarsi il sentimento morale che non perisce mai interamente nel cuore dell'uomo. Non sarà dunque un rispetto esteriore per la legge, o il solo timore della punizione, ad agire sul detenuto, ma il lavoro stesso della coscienza". (4) Nel modello aburniano l'attenzione è rivolta alla sola coscienza, il lavoro è piuttosto una consolazione, non un obbligo. Sul tema del lavoro carcerario non tarderanno infatti a crearsi delle polemiche, innescate dalla presunta concorrenza di quest'ultimo nei confronti del lavoro libero. Le risposte governative dell'epoca tendono a minimizzare la presunta concorrenza, rappresentata dal lavoro carcerario, giudicato di scarsa estensione e di debole rendimento tale da incidere in modo lieve sull'economia. Lo scopo del lavoro nelle prigioni è di trasformare oziosi e vagabondi in proletari. I carcerati sono possessori delle sole braccia, unico mezzo attraverso il quale questi ultimi potranno provvedere ai propri bisogni. Si tratta di riqualificare il ladro in docile operaio. Altra polemica
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innescata dal lavoro, riguarda la sua retribuzione. Essa viene giustificata perché il salario gratifica il lavoro e abitua i malfattori al senso della proprietà, di quella guadagnata grazie alle proprie fatiche. H continua... Note: (1) Michel Foucault, Sorvegliare e punire, Torino, Einaudi Paperbacks, 1976, p.135 (2) Romano Canosa e Isabella Colonnello, Storia del carcere in Italia, Sapere 2000, p.146 (3) D. Melossi e M. Pavarin, Carcere e fabbrica, Bologna, Società Editrice il Mulino, p.93 ( 4) Michel Foucault, Sorvegliare e punire, Torino, Einaudi Paperbacks, 1976, p.260.
Polizia Penitenziaria n.210 ottobre 2013
26 di Daniele Papi rivista@sappe.it
il punto sul corpo
Liberate la Polizia Penitenziaria La Formazione - 5ª ed ultima parte
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ormazione Una attenzione particolare deve essere rivolta alla formazione. Sulla materia, un iniziale aspetto è quello della direzione delle scuole, che sono affidate al primo funzionario o dirigente disponibile, anche con duplicazione di incarico. Un secondo aspetto è quello della ambiguità dell'indirizzo didattico, perennemente oscillante tra l'ansia di privilegiare la cultura del trattamento e la strisciante tendenza (quasi una pretesa di credito) a minimizzare la preparazione operativa, attenti a non oltrepassare la soglia della cautela. Dell'una si fa disinvolta esibizione a più voci.
Nella foto un plotone schierato
Polizia Penitenziaria n.210 ottobre 2013
Sulla sussidiarietà della seconda v'è una tacita convergenza. L’evidenza che la preparazione operativa sia trattata con inadeguatezza, è dimostrata dalla scarsa attenzione destinata ad esempio alla formazione e all’addestramento rivolti in favore del personale impiegato nei servizi tutori, in particolare quel personale dipendente dall’U.S.Pe.V e dagli UST locali. La legge n° 133 del 2/7/2002, istitutiva dell’U.C.I.S. emendata dalla Legge n° 259 del 14/11/2002 di
conversione del D.L. n° 201 del 11/09/2002, pone in capo al Corpo di Polizia Penitenziaria l’onere di provvedere al servizio di protezione deliberato dal Comitato per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica nei confronti delle Autorità appartenenti all’Amministrazione Centrale della Giustizia. Nella medesima normativa è posto un serio presupposto relativo alla professionalità che deve possedere il personale impiegato in tali compiti e mansioni. Si stabilisce dunque nella legge che criteri e modalità per l’accesso alla formazione prima e al servizio poi, sono stabiliti dall’U.C.I.S. Ne consegue, quindi, che per eseguire tali funzioni è necessario aver svolto un corso di formazione predisposto dall’Amministrazione Penitenziaria dopo aver selezionati i candidati (secondo requisiti e titoli oggettivi) e che nella sua struttura progettuale sia stato preventivamente verificato e approvato dall’U.C.I.S. L’attività formativa, ovviamente, si può e si deve fare presso gli Istituti di Istruzione dell’Amministrazione, anche per motivi legati al sistema organizzativo specifico del Corpo e d’immagine, impiegando risorse interne all’Amministrazione le quali sono certamente in grado di selezionare e istruire il personale al meglio ed in economia. Allo stato, tale formazione specifica è totalmente disattesa. Al riguardo, sarebbe utile conoscere i dati di frequenza riguardanti il personale incardinato nell’U.S.Pe.V. e nei vari UST, a proposito delle esercitazioni per l’accertamento dall’idoneità all’uso delle armi, e i dati sulla specifica formazione irrogata al fine di garantire la specifica formazione necessaria per l’impiego in tali delicati servizi. Ciò accade al confronto di una realtà che sembrerebbe invocare altri presupposti, essendo l'azione
istituzionale complessiva di sicuro differenziabile ma con altrettanta certezza indivisibile. Un terzo aspetto è quello dei docenti, segnatamente di quelli preposti alla formazione tecnica e di intervento in senso stretto, che sono, per lo più, di risulta. Orbene, circa la direzione pare implicito l'obbligo di una scelta accurata e responsabile, che non dovrebbe trascurare una ricognizione all'esterno. La direzione amministrativa (ed il relativo quadro locale) e la direzione didattica sono due componenti troppo importanti della formazione (che non dovrebbe subire interruzioni nell'arco delle ventiquattro ore) per essere chetate con il ripiego nell'adempimento di rito. Circa l'indirizzo didattico, poi, nessun privilegio dovrebbe essere accordato alla priorità opportunistica del momento. Si dovrebbe, piuttosto, assicurare una qualificazione complessiva di alto profilo (come insinuato, la costante della qualità non è discutibile), tenendo conto della previsione delle istanze provenienti dalla realtà dell'istituto: uno sforzo verso il conferimento di un credibile attestato della acquisizione progressiva della professionalità e non di un mestiere, insomma. Si pensi non solo alla trascuratezza di come sono trattate le materie riguardanti le tecniche operative, un’attenzione particolare andrebbe rivolta alle attività di polizia giudiziaria, materia da sempre trattata con superficialità in qualsiasi ambiente formativo. Docenti Circa i docenti, infine, la questione dovrebbe essere affrontata supponendo figure per titolo e per qualità in grado di divulgare informazioni giuridiche e tecniche su altre materie di contorno non vi
il punto sul corpo sarebbe ostacolo alla mediazione -, secondo un metodo di insegnamento univoco. Dunque giuristi ed autentici esperti, senza discussione, sul primo intendimento. Più ardua, appare, invece l'attuazione del secondo intendimento, vale a dire del metodo, se il respiro di esso deve essere purificato dalle surrogazioni di maniera e dalle approssimazioni di convenienza. L'immaginazione, allora, corre verso un corpo docente stabile, appositamente costituito. Tale corpo, in quanto unità omogenea (anch'esso una sorta di ruolo) dovrebbe essere il solo investito della competenza didattica in materia di tecnica operativa. Da tale impostazione la formazione dei docenti potrebbe, allora, avvenire attraverso alcuni passaggi: • la redazione di due testi, ad esempio, cioè il testo sul servizio e sulle tecniche di esecuzione e il testo sul metodo di insegnamento. Tali testi, affidati alla elaborazione di persone colte ed essenziali, preferibilmente ma non necessariamente interne, dovrebbero contenere soltanto notizie concrete, perfettamente aderenti alla norma con la totale esclusione di qualsivoglia opinione o teoria discrezionali; • la selezione di aspiranti tra volontari di buon livello attitudinale e culturale (quest'ultimo al di là del titolo di studio), operata da persone aduse alla pratica scolastica; • la spiegazione del fine preteso attraverso la partecipazione del contenuto dei testi da parte degli stessi selettori o di figure omologhe; • la scelta collegiale e, quindi, la costituzione. • Il corpo docente formato in tale modo diverrebbe una sorta di messaggero di certezze ufficiali. Assunzioni Reclutamento: essendo policroma la tipologia del servizio, occorrerebbe uscire dall'equivoco del reclutamento univoco, in pratica del
convogliamento indifferenziato di massa, stimando opportuna la non impossibile classificazione dell'inquadramento. La Polizia Penitenziaria dovrebbe, infatti, poter contare su personale in grado di offrire un contributo di cognizioni, prodotto di una formazione ampia e d’alto indice qualitativo, atto all'espletamento d’ogni servizio istituito, secondo rigorose caratteristiche attitudinali e tecniche Ora, invece, si riscontra un traffico di destinazione operativa che tende a congestionarsi allorché la richiesta di sostegno è avanzata da settori che non hanno bisogno del possesso di conoscenze superiori o speciali. In concreto, tutto il personale può essere agevolmente messo in condizione di eseguire servizi di vigilanza, ma soltanto una esigua parte di esso può essere tranquillamente assegnata a servizi di livello più marcato, dalla pretesa tecnica per complessità strumentale (ad esempio quelli informatici), per cultura giuridica (ad esempio quello matricolare) ovvero per cultura amministrativa (ad esempio quelli d'ufficio, anche contabili) Con l'effetto, a dispetto della ripetuta dichiarazione legislativa, che l'interscambio, in caso d’emergenza, non è per niente garantito in quanto ad automatismo, essendo, come detto, agevole il flusso in un senso e veramente ostacolato quello inverso. E' una limitazione che, in fondo, denuncia un netto difetto d’organizzazione e di metodo. Vero è che è dato spazio a certi corsi definiti di specializzazione (peraltro, con discontinuità e con poca insistenza, segnatamente quelli su materie giuridiche ed amministrative), ma ciò, paradossalmente, tende ad aumentare la confusione e la conflittualità tra fasce, non sempre latenti, proprio a causa della carenza legislativa sulla stabilizzazione della acquisita specializzazione. I pochi specializzati ed i pochi impiegati nelle attività "da scrivania", infatti, se in qualche misura godono del privilegio della saltuarietà nella convivenza carceraria tipica (ammesso che di privilegio si possa parlare senza profanare il concetto
della differenziata catena di produzione) rimanendo fluttuanti entro una dimensione giuridicamente non consolidata, sono costretti sull'altalena della precarietà e della incertezza, proprio in quanto non solo non sono garantiti dalla rimozione estemporanea, di circostanza o sanzionatoria, ma nemmeno acquisiscono il diritto alla titolarità di qualità acquisite. Del resto, la realtà intollerante, che deve essere contrastata e sostenuta, secondo la presentazione, non lascia margini né all’improvvisazione né agli espedienti, tutti magari utili nell’occasionalità ma, alla lunga, negativi per la realizzazione di un progetto consorziale d’ampio respiro. Insomma, con crudezza, la qualità non può essere né lustrata né migliorata perché l'esigenza quotidiana non permette di distogliere chicchessia, nemmeno per l'invio presso un centro d’aggiornamento: un pretesto, ovviamente, prodotto della incapacità gestionale e programmatica. Un altro elemento di disturbo alla coesione della compagine fu rappresentato dal contingente “ausiliari”. L’arruolamento degli ausiliari era una scelta d'epoca, operata con intendimento di provvidenza pragmatica, pretesa dall’emergenza, con relativa certezza, ma con sicuro procedere, infatti, perso il proprio carattere di corroborante per divenire cardine concorrente pressoché prioritario alla composizione concreta della pianta organica, presumibilmente a causa della rinuncia centrale al minimo calcolo critico dell'utile. Un buon serbatoio, non c'è che dire, erogatore anche di qualche divagazione clientelare….. Benché snaturato nella propria essenza logico-giuridica, quel serbatoio è stato creato per attingervi, secondo un’improvvisata periodicità. In seguito, prevedendo poi la “sub condicione” che l'assunzione degli agenti di Polizia Penitenziaria avvenga esclusivamente mediante concorso pubblico, di soggetti che abbiano svolto servizio nelle Forze
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‡ Polizia Penitenziaria n.210 ottobre 2013
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Nella foto l’ingresso del carcere di Péistoia
Polizia Penitenziaria n.210 ottobre 2013
il punto sul corpo Armate in qualità di Volontari in Ferma Prefissata (VFP), si è di fatto deciso di comprimere ulteriormente la componente esecutiva dell’Organismo, privilegiando l’immissione a più riprese di personale appartenente ai quadri direttivi ed effettuando innumerevoli concorsi per l’accesso ai quadri intermedi, la così detta carriera di concetto, insomma, ci troviamo al cospetto di una struttura ove tutti “comandano” e pochi producono, la fotografia perfetta dell’andamento gestionale amministrativo-politico della Nazione insomma. Sarebbe, quindi, indispensabile pensare alla reintroduzione del concorso pubblico classico al fine di evitare quelle possibili divagazioni clientelari che potrebbero produrre i concorsi aperti esclusivamente ai VFP, tanto valeva estendere questa tipicità d’arruolamento alle Forze di Polizia, per alimentare, anche provvisoriamente un ruolo che ormai è ridotto ai minimi termini. Così posta la questione, sembrerebbe trattarsi di un’eccedenza (ruolo agenti ed assistenti), dismissibile. Invece, lungi dalla soppressione, il settore dovrebbe essere considerato seguendo un diverso indirizzo, che, poi, dovrebbe essere quello verso l'ausilio intelligente e utile. Intendendo, con ciò, una previsione legislativa chiara ed organica sull'impiego di quel personale non nei soli servizi di supporto, attualmente coperti in promiscuità, insomma certezze per questi giovani che, dopo il servizio militare volontario ed un concorso superato, trovino un ambiente professionale ad accoglierli... (Scusate, se sfocio sovente nell’utopia pura). In una succinta elencazione, del tutto esemplificativa, il proposito conduce ai servizi degli armaioli, dei meccanici, dell'informatica, dei magazzinieri, dei sarti, degli elettricisti, dei banchisti, dei piantoni, degli impiegati al tavolo (le specializzazioni, in parole povere). Si tratterebbe, in pratica, di sviluppare un reclutamento di provate professionalità, senza pregiudicare la specialità riguardo all’importanza, tramite concorsi mirati, in altre parole
privilegiare concorsi specifici. In sintesi, si possono indicare due soluzioni: Prima ipotesi: in un capovolgimento della situazione, più ruoli tecnici ed entro di essi i ruoli del personale con le relative qualifiche; • operativi; • tecnici; • amministrativi; • logisti; • sanitari; • di supporto; • generici. Ciascun ruolo, deve essere competente per materia, senza necessità di specializzazione, essendo essa insita nella formazione. L’ipotesi prospettata avrebbe bisogno della previsione delle mansioni espletate da ogni ruolo e le relative aliquote “blindate” per ogni sede di servizio. In tal modo, si creerebbe la possibilità di una mobilità interna che risponda alle esigenze, in pratica prevedere le aliquote di quel personale “specializzato” che svolga effettivamente detti compiti. E’ assurdo che, ad esempio, un istruttore di tiro sia impiegato come scritturale o un autista decida di non “guidare”, a quel punto tale personale andrebbe “despecializzato” e inquadrato nei “generici”, impiegato quindi nello svolgimento delle attività ordinarie; ovviamente le “vacanze” devono essere coperte con altro personale “specializzato” che contrasti le esigenze. In tal modo, si eviterebbe ad esempio l’alimentazione incontrastata dell’aliquota che svolge compiti amministrativi. Seconda ipotesi: mantenere la situazione attuale, con qualche correttivo e previsione di un ruolo ausiliario alimentato appunto dai Volontari in Ferma Prefissata (VFP). Tale ipotesi presupporrebbe le specializzazioni (peraltro già previste ma mai rese operative), fatta eccezione per il ruolo ausiliario, essendo esse parte del bagaglio qualitativo. H
Non sei solo Un racconto di Rosa Cirone tratto dalla Raccolta La solitudine: il pieno e ilvuoto 2011-2013 a cura di Daniela Papini Edizioni Oltre l'Orizzonte
l grande portone che si apre sul fiume Brana, nella storica città di Pistoia non è un portone qualunque ma è quello del carcere, da cui, in una qualunque, anonima, nebbiosa mattina di nbvembre esce un giovane uomo con una divisa di colore blu. E' un poliziotto penitenziario, si proprio "un sec:ondino” come usa chiamarlo chi non conosce l'importanza del suo lavoro. Lavorare all'interno di un carcere, quel luogo senza tempo ma dove i tempi sono scanditi con un ritmo ossessivo, non è un lavoro per tutti perché non si è a contatto con '"tutti" ma solo con “quelli", si proprio quelli che hanno sbagliato, che sono lì per essere puniti. Allontanandosi da quel portone che racchiude i drammi della vita non riesce a "vivere" la città, tutto sembra a lui estraneo, le piazze, le strade, le chiese sono luoghi sconosciuti che
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giustizia minorile servono soltanto a rafforzare il suo senso di solitudine. Viene da un piccolo paese del sud, l'esigenza di trovare un'occupazione lo ha condotto lontano dal suo ambiente, dai suoi familiari, dai suoi affetti. Anche se ha trascorso una lunga notte in una "sezione detentiva" o sul "muro di cinta", non vuole rimanere a dormire in caserma, vuole uscire, scrollarsi di dosso quello che per l'opinione pubblica è il peso di aver "custodito" coloro che la società non vuole "tra ipiedi". Desidera però rimanere in divisa, come vorrebbe sua mamma, per far vedere alla gente anche sconosciuta, che bravo figlio che è! Sceglie di impiegare la mattina di libertà facendo colazione in un bar del centro, comprando un giornale e sedendosi su una panchina del parco di Monteoliveto. Sembra che nulla possa ostacolare le sue intenzioni quando accanto a lui, dopo alcuni minuti, si siede un ragazzo vestito con un pantalone marrone, pieno di buchi, una camicia a quadri rossa e blu, un paio di scarpe da ginnastica ed un cappellino nero. Al giovane poliziotto viene spontaneo chiedere: Non hai freddo? Il giovane risponde: No, perché sono libero ma non mi riconosci? Mi hai per anni aperto e chiuso la cella, mi hai dato da mangiare, mi hai curato quando stavo male, mi hai ascoltato quando ero triste e depresso. Dovevi essere il mio nemico, quello che mi privava della libertà ma sei diventato per me una persona importante. Quando sono uscito volevo ritornare a sbagliare ma ho pensato che è possibile anche ritornare a "vivere" percorrendo la strada più difficile che è sempre quella più giusta. Sono felice di vederti "fuori", ti sono grato per quello che hai fatto per me! Il poliziotto penitenziario dopo aver offerto una sigaretta all'ex detenuto, lo ringrazia delle belle parole, pensando che, anche se lontano da casa, non è solo, la gratitudine di chi dovrebbe odiarlo lo ripagadelle difficoltà di vivere nel "vuoto" affettivo ma "pieno" del pregio di una professione unica che lo arricchirà ancora durante il corso di tutta la sua vita. H
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Storia di un attimo
La nuova fiction della Rai girata nell’Istituto Minorile di Airola (BN) enerdì 13 settembre alle ore 10.00, presso l’Istituto Penale per i Minorenni di Airola, si è tenuta la conferenza stampa di presentazione d’inizio riprese del cortometraggio “Storia di un attimo” scritto e diretto da Antonella D’Agostino. All’incontro organizzato dal personale del Corpo di Polizia Penitenziaria con lo staff RAI, sono intervenuti il regista Alfredo Quintiero, la sceneggiatrice Antonella D’Agostino, il dott. Giuseppe Centomani Direttore del Centro Giustizia Minorile di Napoli, Gianfranco Valiante presidente Commissione Anticamorra Regione Campania e il sindaco di Airola Michele Napoletano. “Storia di un attimo”, inserita all’interno di un progetto di cinema sociale voluto dall’Associazione ‘Orfani della vita’, non è solo la raccolta di testimonianze dove i ragazzi raccontano il loro vissuto, ma un film dove i giovani del carcere beneventano interpretano dei personaggi attraverso i quali raccontare quelle scelte fatte in un attimo, ma che segnano la vita. L’obiettivo dell’Associazione è offrire una scelta ai ragazzi una volta scontata la pena. Tutto ciò grazie anche alla partecipazione di due volti noti della tv, la cantautrice D’Aria e l’attore Vincenzo Soriano e la collaborazione del personale del Corpo di Polizia Penitenziaria che ha fornito le uniformi, i mezzi e la professionalità per realizzare le riprese in sicurezza e dare quei consigli utili che solo gli appartenenti alla Polizia Penitenziaria possono conoscere. Un impegno concreto quello della cantautrice D’Aria che ha scritto e prodotto la colonna sonora del film. Un sentire diventato realtà quello dell’attore Vincenzo Soriano che da
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anni, nonostante gli impegni come protagonista in “La nuova Squadra 3” e con il film in uscita “Con tutto l’amore che ho” dove recita al fianco di Barbara De Rossi e Cristel Carrisi, è impegnato nel sociale. Ancora una volta il personale del Corpo di Polizia Penitenziaria del settore minorile ha dimostrato elevate doti professionali ricevendo i complimenti dello staff Rai di Napoli. H
a cura di Ciro Borrelli Referente Sappe per la Formazione e Scuole Giustizia Minorile borrelli@sappe.it
Nele foto alcune fasi delle riprese
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inviate le vostre foto a rivista@sappe.it
A fianco 91° Corso Scuola AA.CC. Parma (foto inviata da Antonio Mele) sotto 1950 C.C. Brindisi Festa del Corpo (foto inviata da Donato Rosa)
a fianco: 1978 Casa Reclusione Femminile Roma Rebibbia (foto inviata da Antonio Ribezzi) a destra due immagini del 1965 di Ignazio Luciotti inviate da Antonio Cocco
Polizia Penitenziaria n.210 ottobre 2013
eravamo cosĂŹ
eravamo cosĂŹ
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Sopra 1960 circa (foto inviata da Vincenzo Iovanella) in alto a sinistra Anni ’80 Casa Circondariale di S. Gimignano (foto inviata da Erasmo Rosselli)
A fianco 1964 Scuola AA.CC. Cairo Montenotte (foto inviata da Michele Lorenzo)
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32 a cura di Erremme rivista@sappe.it
le recensioni Giovanni Francesio
A PORTE CHIUSE SPERLING & KUPFER Ed. pagg. 200 - euro 16,50
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e è vero che il calcio è lo specchio di un Paese, siamo messi male. Per fortuna, il calcio sta peggio del nostro Paese. E non parliamo di scommessopoli o delle frequenti inchieste finanziarie, ma di ciò che, in fondo, caratterizza ogni sport: il momento collettivo, il rito imprescindibile della partita. In Italia, ogni domenica - o venerdì, sabato, lunedì, mercoledì... come Signora Televisione comanda, si gioca in stadi deserti, grigi, vecchi, brutti, addirittura chiusi al pubblico. Perché si è arrivati a tanto? Colpa degli ultras, dicono in molti. Colpa delle televisioni, ribattono altri. Colpa di tutti, fuorché di chi ha veramente colpa, ovvero di chi questo sistema poteva riformarlo, cambiarlo, o almeno non peggiorarlo. E invece per anni si sono susseguite decine di leggi cervellotiche, demagogiche, inutili e dannose, nel silenzio generale di una stampa (con poche virtuose eccezioni) sempre troppo allineata alle posizioni ufficiali. Così il calcio italiano si è impoverito, e gli stadi hanno perso pubblico e fascino. “A porte chiuse” è lo sfogo di due tifosi che hanno
amato e amano visceralmente l’esperienza dello stadio, ma è anche una vera e propria opera di controinformazione che farà aprire gli occhi (a chi è disposto a farlo) sullo stato comatoso del mondo del pallone. Punta il dito su responsabili e complici di questo disastro, semplicemente mettendo in fila una serie di fatti e circostanze avvenuti negli ultimi anni...
Franco Corleone e Andrea Pugiotto
VOLTI E MASCHERE DELLA PENA. Opg e carcere duro, muri della pena e giustizia ripartitiva EDIESSE Edizioni pagg. 342 - euro 16,00
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l sovraffollamento carcerario è “strutturale e sistemico”: lo attesta la Corte EDU con la sentenza Torreggiani c. Italia del gennaio 2013, chiamando tutti i poteri statali (Capo dello Stato, Parlamento, giudici, amministrazione penitenziaria, Corte costituzionale) a risolverlo. Il rischio è che questa prepotente urgenza releghi in un cono d’ombra altri momenti critici della pena e della sua esecuzione. Come un riflettore, il volume illumina a giorno alcune di queste zone buie: la pena nascosta negli ospedali psichiatrici giudiziari; la pena estrema del carcere duro ex art. 41 bis; la pena insensata se la sua esecuzione è solo inumana retribuzione e non l’occasione per una giustizia riparativa; i muri della pena che segnano lo spazio di una vita prigioniera. Il volume nasce dal ciclo di incontri - svolti a Ferrara nell’autunno 2012 per iniziativa del dottorato di Diritto costituzionale dell’Ateneo estense dedicati alla discussione critica delle tesi di alcuni volumi: Matti in libertà (di M.A. Farina Coscioni, Editori Internazionali Riuniti, 2011); Ricatto allo Stato (di S. Ardita, Sperling & Kupfer, 2011); Il
perdono responsabile (di G. Colombo, Ponte alle Grazie, 2011); Il corpo e lo spazio della pena (a cura di S. Anastasia, E Corleone, L. Zevi, Ediesse, 2011). Ne esce una riflessione unitaria sui tanti volti della pena e i suoi altrettanti mascheramenti. Volti disegnati dall’urbanistica penitenziaria o dall’idea controversa di una riconciliazione tra reo e vittima.
Cristiano Bettini
PROCESSI DECISIONALI IN AMBIENTE COMPLESSO Sviluppare capacità adattative LAURUS ROBUFFO Edizioni pagg. 256 - euro 27,00
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a accresciuta evidenza che la non linearità, imprevedibilità ed irreversibilità della maggior parte dei fenomeni emergenti nei sistemi aperti nei quali siamo immersi, sono aspetti di una più estesa nozione di instabilità, non investe solo la natura e l’ambiente ma l’economia, l’innovazione tecnologica, le dinamiche sociali e non ci consente di continuare ad usare solo modelli semplificati e strumenti analitici e previsionali tradizionali. Questo è ancor più valido nel settore della Difesa e Sicurezza, che per sua natura si muove in aree di crisi dove la prevedibilità è ancor più aleatoria per l’incidenza di un numero straordinariamente alto di fattori di rischio e di sensibilità a cambiamenti continui ed è necessario ragionare secondo logiche integrate ed adattive, tipiche della complessità. Partendo dalle prime organizzazioni navali delle flotte nella seconda metà del XVIII secolo, l’autore ripercorre la lunga evoluzione del comando e controllo in mare, per poi esaminare i principali insegnamenti che ci vengono offerti dalla teoria dei sistemi dinamici e della complessità, con i quali far affrontare oggi con maggiore efficacia le problematiche emergenti.
le recensioni Gianni Simoni
CHIUSO PER LUTTO Un caso di Petri e Miceli TEA Edizioni pagg. 260 - euro 134,00
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l commissario Miceli è al suo primo giorno di pensione, quando una lettera del Ministero lo informa che, a causa di un errore di calcolo, gli toccherà lavorare un altro anno. Tuttavia, nel frattempo, Grazia Bruni, fresca di nomina a nuovo commissario, ha preso servizio. Si ritrovano così a dover collaborare, gomito a gomito, l’esperto e saggio Miceli e la giovane e risoluta Bruni. E dietro le quinte, come sempre, c’è l’ex giudice Petri a dar loro una mano. Questa volta il caso, anzi i casi, di omicidio, sono due: due uomini assassinati con inaudita violenza. E il buon vecchio Petri, per una curiosa fatalità, li conosceva entrambi. Così, suo malgrado, si troverà personalmente coinvolto nelle indagini. E se, in un primo momento, le piste sembrano chiare, ben presto si confondono, si incrociano, sembrano diventare una sola, finché... si perdono tutte le tracce. A Petri, a lui solo, l’onere di conoscere la verità, ma di doverne portare il peso in silenzio.
P. Carretta, A. Cilli, A. Iacovello, A. Grillo, F. Trocchi
L’ACQUISIZIONE DEL DOCUMENTO INFORMATICO. Indagini penali e amministrative LAURUS ROBUFFO Edizioni pagg. 249 - euro 26,00
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li autori, forti di esperienze professionali e di insegnamento universitario, esaminano trasversalmente i diversi
ambiti normativi e tecnici, ricavandone una guida pratica e snella per affrontare la complessa attività di computer forensics nei suoi aspetti essenziali. Tale attività si pone oggi ineludibile ed importante sia nelle indagini penali che in quelle amministrative. Recenti cronache giudiziarie inducono a ritenere che talune nozioni e un minimo di abilità, debbano essere patrimonio di ogni inquirente, prescindendo dall’amministrazione di appartenenza o dal livello specialistico della formazione. La pubblicazione spiega concretamente “cosa fare” rendendo l’approccio al tema accessibile anche a chi non possiede un bagaglio di conoscenze tecniche eccessivamente sofisticate. Sono inoltre considerati i più importanti aspetti della gestione dei dati e dei beni immateriali acquisiti grazie all’attività di computer forensic e la loro ostensibilità nei vari procedimenti. Tale aspetto riguarda tutto il variegato mondo delle forze di polizia, senza eccezioni, anche coloro che, ad oggi, non sono ancora sensibili al problema. Testi di Paolo Carretta, Antonio Cilli, Antonio Iacoviello, Alessio Grillo e Francesco Trocchi.
Frederick Forsyth
LA LISTA NERA MONDADORI Edizioni pagg. 282 - euro 19,00
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utto ha inizio con una lista di nomi. Non sono nomi qualunque, ma quelli di pericolosi terroristi che minacciano la sicurezza internazionale tanto da dover essere eliminati uno a uno. Solo sette persone nelle segrete stanze di Washington conoscono l'esistenza della "lista nera", tra queste il presidente degli Stati Uniti. La minaccia è reale, ma deve rimanere top secret o si scatenerà il panico. Il primo di questi nomi è anche il più temibile "il Predicatore",
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un fondamentalista islamico senza scrupoli che ha come unico scopo la distruzione degli infedeli. Incita all'odio attraverso messaggi che diffonde tramite il web e riesce a raccogliere attorno a sé una folla di proseliti che scatenano una serie incontrollabile di eventi mortali. Gli omicidi si moltiplicano, non solo negli Stati Uniti ma anche sul territorio inglese, dove cadono altre vittime. Troppe. Solo un uomo può compiere quella che sembra una missione impossibile: l'ex marine Kit Carson, soprannominato "il Segugio", che viene prontamente incaricato di trovare e uccidere il responsabile di quell'inferno. Kit, pero, non sa che faccia abbia il suo nemico, dove si nasconda e quale sia il suo vero nome. Sarà un giovane ed espertissimo hacker a rintracciare per lui le postazioni del Predicatore e dei suoi complici utilizzando solo la tecnologia. Si scatena così una guerra tra due schieramenti, totalmente diversi tra loro ma con un obiettivo comune: la distruzione dell'avversario. H Sul prossimo numero de “il Poliziotto Penitenziario in congedo” il 1° Raduno Nazionale dell’Associazione Nazionale Polizia Penitenziaria tenutosi ad Aversa il 28 ottobre 2013.
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l’ultima pagina
inviate le vostre lettere a rivista@sappe.it
Lettera al Direttore
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aro Giovanni, mi permetto il tono confidenziale perché collega. Sono l’Assistente Capo Vincenzo Santagata in servizio presso la casa circondariale di Firenze Sollicciano, nonché iscritto al Sappe. Ho letto con attenzione quanto da te scritto nella rivista e nell’ articolo dove sostieni che probabilmente abbiamo sbagliato qualcosa nell’attuare la riforma degli AA.CC. e in questo concordo con te. Tuttavia, è già da diverso tempo che sostengo quest’opinione, anzi sono circa venti anni da quando, appunto, è stata attuata la riforma che la Polizia Penitenziaria non è riuscita a crearsi un’identità. Abbiamo, è il caso di dire, consegnato in mano al personale civile tutta la parte trattamentale, che dovrebbe rappresentare la nostra specificità e che identifica il nostro “saper fare” e anche il nostro “saper essere” poliziotti penitenziari. A mio parere, abbiamo rivolto l’attenzione e le energie a compiti, certamente importanti (cinofili, Banca DNA, servizi di polizia stradale...) mentre, forse, era più
opportuno rivolgere l’attenzione a compiti prettamente istituzionali e a mio a parere, altamente professionali, quali la gestione e il trattamento delle persone detenute. Non ho ben capito l’ultima invenzione della vigilanza dinamica, comunque se verrà attuata saremo semplici “custodi” che azionano pulsanti e forse neanche l’osservazione, che era la nostra specificità, saremo chiamati più a compiere. Non saprei dire se tutto questo è dovuto a scelte politiche, istituzionali o ad altre variabili, fatto sta che gli allora Agenti di Custodia si riconoscevano e si qualificavano, appunto, come Agenti che gestivano le persone detenute con il buon senso e l’umanità che oggi, non trovano più riscontro proprio perché paradossalmente sembra che il buon senso e l’umanità siano prerogative solo del personale civile che a vario titolo entra nell’istituto. Tu hai dato una spiegazione prettamente istituzionale, ma vorrei che il nostro sindacato si occupasse di fornire maggiore dignità al ruolo del poliziotto penitenziario che istituzionalmente è chiamato a gestire persone detenute e a garantire sicurezza e che promuovesse sempre più l’alta professionalità (per esempio maggiore competenze nel trattamento e nell’osservazione) che negli anni abbiamo acquisto, nonché il nostro buon senso e certamente l’umanità che sempre ci ha, almeno nel passato, contraddistinto dalle altre Forze di Polizia. Ass.te C.apo Vincenzo Santagata Cordialmente
il mondo dell’appuntato Caputo Piazza d’Armi di Mario Caputi e Giovanni Battista de Blasis © 1992-2013
Polizia Penitenziaria n.210 ottobre 2013
HEY CIRO, MA NON DOVEVAMO VEDERCI IN PIAZZA D’ARMI?
MA CAPUTO... COS’HAI CAPITO, IO INTENDEVO SU INTERNET...
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