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anno XX • n. 211 • novembre 2013
Le bandiere del Sappe sotto i Palazzi della politica www.poliziapenitenziaria.it
sommario
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anno XX • numero 211 novembre 2013 Per ulteriori approfondimenti visita il sito
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In copertina: Le bandiere del Sappe davanti a Montecitorio
l’editoriale
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Le bandiere del Sappe sotto i Palazzi della politica Organo Ufficiale Nazionale del S.A.P.Pe. Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria
di Donato Capece
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Direttore responsabile: Donato Capece capece@sappe.it
il pulpito Per Armida Miserere il carcere doveva essere un carcere... di Giovanni Battista de Blasis
Direttore editoriale: Giovanni Battista de Blasis deblasis@sappe.it Capo redattore: Roberto Martinelli martinelli@sappe.it
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Redazione cronaca: Umberto Vitale
il commento di Roberto Martinelli
Progetto grafico e impaginazione: © Mario Caputi (art director)
l’osservatorio
www.mariocaputi.it
Direzione e Redazione centrale Via Trionfale, 79/A - 00136 Roma tel. 06.3975901 r.a. • fax 06.39733669
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di Giovanni Battista Durante
storie di pol pen di Nuvola Rossa
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crimini e criminali
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Il mostro di Lusciano di Pasquale Salemme
Stampa: Romana Editrice s.r.l. Via dell’Enopolio, 37 00030 S. Cesareo (Roma)
mondo penitenziario
Finito di stampare: novembre 2013
Il S.A.P.Pe. è il sindacato più rappresentativo del Corpo di Polizia Penitenziaria
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Così Mike Bongiorno “sdoganò” la Polizia Penitenziaria
Registrazione: Tribunale di Roma n. 330 del 18 luglio 1994
Questo periodico è associato alla Unione Stampa Periodica Italiana
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Una norma della Finanziaria nega lo straordinario per il riposo non fruito
e-mail: rivista@sappe.it web: www.poliziapenitenziaria.it Le Segreterie Regionali del Sappe, sono sede delle Redazioni Regionali di: Polizia Penitenziaria-Società Giustizia & Sicurezza
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Sotto il Parlamento per gridare ai sordi e per stanare i furbi
Redazione politica: Giovanni Battista Durante
“l’appuntato Caputo” e “il mondo dell’appuntato Caputo” © 1992-2013 by Caputi & de Blasis (diritti di autore riservati)
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Quattro volti diversi un unico DNA di Rosa Cirone
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Chi vuole ricevere la Rivista direttamente al proprio domicilio, può farlo versando un contributo di spedizione pari a 20,00 euro, se iscritto SAPPE, oppure di 30,00 euro se non iscritto al Sindacato, tramite il c/c postale n. 54789003 intestato a:
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Polizia Penitenziaria n.211 novembre 2013
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Donato Capece Direttore Responsabile Segretario Generale del Sappe capece@sappe.it
Polizia Penitenziaria n.211 novembre 2013
l’editoriale
Le bandiere del Sappe sotto i palazzi della politica utti i poliziotti penitenziari, i poliziotti, i forestali ed i vigili del fuoco hanno manifestato a Roma con un presidio davanti a Palazzo Chigi martedì 19 novembre 2013 dalle 15,30 alle 17,30 e nella mattinata dello stesso giorno davanti agli Uffici territoriali del Governo di tutte le città d’Italia contro il disegno di legge di stabilità e per la difesa della dignità professionale e della specificità funzionale degli operatori del settore e per la difesa del diritto dei cittadini ad avere una sicurezza ed un soccorso pubblico efficiente e qualificato, all’altezza di un Paese civile.
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Con questa giornata di protesta i Sindacati delle Forze di polizia e dei Vigili del Fuoco, hanno voluto denunciare le irresponsabili scelte che il Governo si appresta a far approvare con il disegno di Legge di Stabilità in discussione in Parlamento e che richiedono un tempestivo ed immediato intervento parlamentare di modifica. Gli stessi Sindacati hanno chiesto al Governo lo sblocco del c.d. “tetto salariale” per superare l’attuale normativa ed i suoi effetti dannosi ed iniqui per il personale con il recupero delle risorse economiche per consentire il pagamento degli assegni
professionalità dell’operatore di polizia e dei vigili del fuoco. Non è sfuggito come i contenuti del disegno di legge di stabilità del Governo, smentiscono le dichiarazioni pubbliche e mediatiche rivolte ai cittadini sulla necessità di garantire maggior sicurezza del territorio e nel territorio. Si tratta di una modello di comunicazione che può ben ascriversi alla categoria della c.d.“pubblicità ingannevole” e che esprime una sostanziale indifferenza verso il diritto alla sicurezza dei cittadini e verso gli operatori del settore che in condizioni di crescente disagio e di paralisi funzionale per la mancanza di risorse,
Il Sappe, insieme alle organizzazioni sindacali della Polizia di Stato Siulp, Sap, Siap, Silp Cgil,Ugl Polizia di Stato, Coisp, Uil Polizia di Stato, Consap e Associazione Nazionale Funzionari di Polizia, della Polizia Penitenziaria Osapp, Sinappe, F.n.s./Cisl, Uil P.A., Ugl, del Corpo Forestale dello Stato Sapaf, Ugl, F.n.s./Cisl., Uil P.A. Forestali, Dirfor S.n.f. e dei Vigili del Fuoco F.n.s/Cisl Uil/VVF - Conapo - Confsal/VVF Ugl/VVF - Dirstat/VVF ha espresso tutto il proprio dissenso contro l’insensibilità di questo Governo ai problemi della categoria.
perequativi e delle progressioni automatiche (una tantum). Hanno chiesto, ancora, la revisione del modello di sicurezza e dei presidi di polizia e del soccorso pubblico sul territorio, che potrebbero comportare una riduzione della spesa ed una razionalizzazione nell’impiego delle risorse pubbliche oltre che una maggiore efficienza ed efficacia del servizio e più sicurezza per i cittadini. Ed, infine, hanno auspicato in tempi brevissimi una legge delega per un riordino delle carriere del personale, efficace e coerente con un nuovo modello di sicurezza e che valorizzi la
sono costretti quotidianamente nei posti di servizio ad attuare in diverse modalità e forme una vera e propria questua verso terzi o anticipando le risorse economiche per sostenere le spese necessarie per reperire materiale e strumenti che gli consentano di lavorare o per effettuare le missioni. Il Sappe, così come tutti i Sindacati che rappresentano gli operatori della sicurezza e del soccorso pubblico, ritiene che la misura sia colma e che siamo ormai in prossimità del capolinea se non ci sarà un immediato e repentino cambio di direzione. H
il pulpito
Per Armida Miserere il carcere doveva essere un carcere ...non il Jolly Hotel
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er me il carcere deve essere un carcere e i detenuti devono saper fare il loro mestiere. Io non faccio il direttore del Jolly Hotel, ma dirigo un luogo di condanna per efferati delitti.” Questa è la frase, attribuita ad Armida Miserere, che la giornalista Cristina Zagaria ha usato come didascalia sulla quarta di copertina del libro biografico sulla direttrice penitenziaria morta suicida nel 2003 a Sulmona. La stessa frase che pronuncia Valeria Golino in una delle scene più simboliche del film Come il vento di Simon Puccioni. Nonostante i miei tanti anni di servizio e nonostante la mia attività sindacale, non ho mai conosciuto personalmente la dottoressa Miserere. Oggi me ne rammarico un po’. Fino ad ora, non avevo mai approfondito la sua vicenda, né avevo letto il libro biografico pubblicato da Cristina Zagaria nel 2006. Conoscevo la storia della direttrice suicida per sommi capi e senza mai averne compreso fino in fondo il dramma. Sono andato a vedere, in anteprima, la proiezione della pellicola Come il vento nell’ambito della rassegna del Festival Internazionale del Film di Roma, dove è stata presentata fuori concorso. E ci sono andato insieme ai miei colleghi della segreteria generale del Sappe. Due di loro avevano conosciuto personalmente Armida Miserere. Successivamente, mi è capitato di parlare con molte, moltissime, altre persone che hanno conosciuto di persona la Miserere. Addirittura Valeria Golino, la protagonista del film, ha dichiarato di aver conosciuto la Miserere: «L’ho incontrata brevemente un anno prima che morisse, ero andata a Sulmona
con Emanuele Crialese a un piccolo festival di cinema per i detenuti, andavamo a mostrargli il film ‘Respiro’ ed è stata un’esperienza molto toccante. Lei mi ha accolta e accompagnata e ci siamo fatti delle foto insieme. Studiando il personaggio ho visto alcune foto di Armida e ho ritrovato la nostra, me la ero scordata: è curioso che, anche se ci eravamo conosciute da poco, nello scatto siamo abbracciate e lei mi guarda. Mi ha fatto molto effetto». Da tutti, incondizionatamente, un parere molto positivo sulla direttrice. Purtroppo, per quello che mi riguarda, la sola cosa che ho potuto fare, oltre
Armida Miserere è quella di una donna che ha avuto due vite: una prima ed una dopo l’assassinio del suo compagno. La prima vita è stata quella di una donna normale che, forse, fa un lavoro poco normale per una donna (almeno a quel tempo), ma che vive comunque la sua vita in modo normale. La vive serenamente, insieme ad un uomo che ama e che la ama e con il quale cerca anche di avere un figlio. Questa, forse, l’unica nota negativa di quella sua prima vita: non riesce a portare a termine la gravidanza a causa di un aborto.
che ascoltare i racconti di tutti coloro che l’hanno conosciuta, è stato leggere il libro di Cristina Zagaria. Un libro che, secondo quanto scrive la stessa autrice: “...attinge anche da documenti inediti forniti dalla famiglia, scava a fondo nella storia della Miserere e ne ricostruisce la vita pubblica e privata. Una personalità forte, segnata da un dolore mai sopito: la morte del suo compagno Umberto Mormile, educatore del carcere di Opera, vicino Milano, assassinato nel 1990.” Dopo film, libro e racconti dei colleghi, l’idea che mi sono fatta di
La seconda vita è quella che è rimasta impressa nell’immaginario collettivo: la donna energica, la direttrice dura e pura, la “femmina bestia”, come la chiamano i detenuti dell’Ucciardone. Lo spartiacque tra le due, appunto, l’omicidio di Umberto Mormile, il suo compagno. A mio avviso, non è soltanto la perdita dell’uomo amato che cambia radicalmente Armida Miserere quanto, piuttosto, le circostanze nelle quali è stato ucciso. Quelle circostanze che nascono e si sviluppano in carcere.
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Giovanni Battista de Blasis DirettoreEditoriale Segretario Generale Aggiunto del Sappe deblasis@sappe.it
Nella foto Armida Miserere (Valeria Golino) con l’uniforme di servizio della Polizia Penitenziaria
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Nelle immagini il logo del Festival e il biglietto dell’anteprima
Polizia Penitenziaria n.211 novembre 2013
il pulpito In un primo momento, tutti pensano che Mormile sia stato vittima del terrorismo ma, subito dopo, l’educatore è coinvolto in un’inchiesta di ‘ndrangheta per la quale sarebbe stato oggetto di una vendetta mafiosa. Secondo alcuni pentiti, Umberto Mormile sarebbe stato corrotto con trenta milioni di lire da un boss mafioso che, non avendo ottenuto quello che voleva, ne ordinò l’esecuzione E’ stato questo, più della morte del compagno, a devastare i pensieri e i sentimenti di Armida Miserere; è stato il vedere infangata la memoria dell’uomo amato, quell’uomo che per lei non era e non poteva mai essere stato coinvolto in malaffari di quel genere.
anch’io affronto l’ultima mia via crucis”. Così inizia il biglietto non indirizzato a nessuno in particolare. “Sono stanca, troppo, e la vita professionale, la stima, non sono sufficienti a riempire il troppo dolore che sempre mi ha accompagnata né questo nuovo dolore pieno di rabbia, di nausea, di disprezzo. Non c’è più posto in me per l’amore, per la comprensione, per la saggezza, per la generosità. Mi resta un ultimo atto di coraggio che peserà come un macigno per chi mi ha tradita, offesa, venduta, rinnegata. Un atto di coraggio contro chi non è stato capace che di sole menzogne e ipocrisie e viltà. A lui, a loro la vergogna del mio sangue e di un dolore che li perseguiterà per sempre.
vivano sereni in istituto. Grazie. Armida Miserere Non desidero funerali né lacrime finte. Preferirei essere cremata e buttata al vento. Perché vento sono stata.” Eccolo qui il titolo del film ...le ultime parole di Armida: Come il vento. Come il vento, tutto sommato, è un buon film che rende bene sullo schermo la tragica vicenda di Armida Miserere. E’ un po’ romanzato ma, d’altronde, le esigenze filmiche lo richiedevano. Dopo il mio articolo, è possibile leggere la recensione della pellicola all’interno della rubrica Cinema dietro le sbarre. Per quello che mi riguarda, da questa full immersion nella vita della Miserere ho ricavato un’impressione
La Miserere era profondamente convinta dell’innocenza del “suo” Umberto ed aveva molti sospetti sui mandanti dell’omicidio e sui motivi che lo avevano determinato. E così visse gran parte della sua seconda vita ad indagare su questo, a cercare di capire cosa fosse successo. Dal carcere era partito tutto e nel carcere lei aveva bisogno di capire cosa era successo. Per questo si trasforma nella “femmina bestia”, nella direttrice dura ed inflessibile che indossa la tuta mimetica da poliziotto penitenziario e non ha paura di niente e di nessuno ...tranne che di se stessa e della sua depressione. Toccante, emblematica e, per certi versi, misteriosa la lettera di commiato alla vita lasciata accanto a se prima di suicidarsi. “E’ venerdì santo e come Cristo
Auguro morte e infamia, dolore e sofferenza a chi mi ha dato morte e dolore e sofferenza. Auguro la stessa angoscia che mi ha uccisa, auguro tutto il male del mondo … e quello che mi è stato dato è la certezza … che nessuno potrà mai dare. Auguro vite distrutte così come con tanta leggerezza è stato distrutto quel che resta della mia. Non mi perdono di aver creduto in un sogno. Non posso perdonare chi quel sogno ha distrutto. Disprezzo la mia vita e coloro che … pensano solo a ciò che loro più aggrada. Maledetta me e maledetto colui che mi ha uccisa. Non chiedo nulla per me. Ad Antonio P. solo pietà e comprensione per i miei ...cani: Yuri e Liuba, Venerdì e Alba. Che gli Yuri e Liuba possano restare con lui, che Venerdì e Alba
estremamente positiva della donna, perlomeno sotto l’aspetto professionale. Mi sono reso conto che la direttrice Miserere godeva di grande stima da parte del personale della Polizia Penitenziaria che ha lavorato con lei. Personale che le riconosceva un ruolo di guida e di riferimento all’interno del carcere. Quel ruolo che difficilmente si riscontra nella maggior parte dei direttori, uomini o donne che siano. Sfido chiunque a segnalarmi una direttrice, o un direttore, che abbia avuto il coraggio di indossare una tuta mimetica e partecipare ad una perquisizione straordinaria (...mi accontento anche della segnalazione di qualcuno che abbia fatto solo la seconda cosa). Chapeau Armida ...ovunque tu sia. H
la scheda del film Regia: Marco Simon Puccioni Altri titoli: Soffia il vento Soggetto: Marco Simon Puccioni (liberamente ispirato alla vita di Armida Miserere) Sceneggiatura: Marco Simon Puccioni, Nicola Lusuardi, Heidrun Schleef Fotografia: Gherardo Gossi Musiche: Shigeru Umebayashi Montaggio: Roberto Missiroli, Catherine Maximoff Scenografia: Emita Frigato Costumi: Ginevra Polverelli Produzione: Intel Film, Les Films De L’Astre; con Rai Cinema, Red Carpet s.r.l., A-Movie Productions, Revolver Distribuzione: Ambi Pictures Personaggi ed Interpreti: Armida Miserere: Valeria Golino Umberto Mormile: Filippo Timi Riccardo: Francesco Scianna Rita: Chiara Caselli Stefano: Marcello Mazzarella Antonio: Salvio Simeoli Isabella: Giorgia Sinicorni Maurizio: Vanni Bramati Comandante Lodi: Enrico Silvestrin Fabio: Mattia Mor Cossu: Vanni Fois Agente Pianosa: Diego Migeni PM Cardi: Gerardo Mastrodomenico Comandante Pianosa: Francesco Acquaroli Cristina: Rosa Pianeta Genere: Drammatico Durata: 110 minuti Origine: Italia, Francia, 2013
cinema dietro le sbarre
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Come il vento a cura di Giovanni Battista de Blasis deblasis@sappe.it
resentato fuori concorso alla rassegna del Festival Internazionale del Film di Roma, Come il vento è un biopic sulla vita della direttrice di carcere Armida Miserere. Il film di Marco Simon Puccioni è liberamente ispirato alle vicende di Armida Miserere (interpretata da una bravissima Valeria Golino) una delle prima donne a dirigere un penitenziario in Italia. La pellicola di Puccioni si concentra soprattutto sui tredici anni successivi all’assassinio del compagno di Armida, Umberto Mormile (Filippo Timi), avvenuto nel 1990, anni in cui la Misererere accetta le direzioni più scomode, come Pianosa e l’Ucciardone. Dopo l’omicidio del suo compagno, Armida Miserere decise di andare dove nessuno voleva andare, determinata dalla volontà di scoprire i mandanti dell’omicidio di Umberto,
hanno finito per fiaccare la sua voglia di vivere. Il venerdì Santo del 2003, quando era direttrice del carcere di Sulmona, Armida Miserere si suicida. La resa di Armida fu dovuta forse al venir meno dell’unica ragione che la spingeva ad andare avanti: la ricerca dei mandanti dell’omicidio Mormile, oppure è stato soltanto il desiderio di raggiungere finalmente l’unico amore della sua vita che l’ha fatta arrendere. Ad ogni modo, il film rappresenta bene una pagina tanto tragica della
Nelle foto la locandina e alcune scene del film
nella consapevolezza che l’ordine di uccidere venne da dentro il carcere e che la verità era nascosta là dentro. Una vita sotto scorta, al centro della linea di fuoco tra Stato e Mafia, Armida ha proseguito nella sua missione, risoluta nel rispettare le regole e nel far applicare i regolamenti alla lettera. Solo undici anni dopo la morte di Umberto, Armida scoprirà finalmente il mandante e l’esecutore del suo omicidio ma le ombre gettate sul compagno, sul quale il processo ha scavato in modo impietoso, e le continue minacce alla sua persona
nostra storia recente anche grazie alla sensibilità dei suoi interpreti Valeria Golino e Filippo Timi, che hanno saputo ben rappresentare le angoscie e le preoccupazioni, così come i sogni e le illusioni, dei personaggi. H
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Roberto Martinelli Capo Redattore Segretario Generale Aggiunto del Sappe martinelli@sappe.it
il commento
Sotto al Parlamento per gridare ai sordi e per stanare i furbi uella di martedì 19 novembre è stata davvero una “giornata di autentica passione” per le donne e gli uomini di tutto il Comparto Sicurezza. Migliaia e migliaia di appartenenti alla Polizia Penitenziaria, alla Polizia di Stato, al Corpo Forestale e ai Vigili del Fuoco hanno manifestato in tutte le città italiane, da Trieste a Palermo, per dire un forte “no” a nuovi tagli e sacrifici, per dire “si” a una legge di stabilità che valorizzi la specificità della nostra professione. Una ritrovata compattezza sindacale – a dire il vero ancora un po’ precaria nella Polizia Penitenziaria visto che, a differenza delle altre realtà sindacali del Comparto Sicurezza e Soccorso Pubblico, non erano presenti tutte le Organizzazioni sindacali del Corpo che pure avevano firmato il volantino ed il comunicato stampa della mobilitazione… – ha permesso di mandare un fortissimo segnale al Governo e al Parlamento. Il disegno di legge di stabilità che Camera e Senato stanno discutendo non può prevedere nuove penalizzazioni per il personale e deve risolvere, in primis, il problema del tetto stipendiale e del completo finanziamento degli assegni una tantum. Durante il presidio romano davanti a Palazzo Chigi del 19 novembre ci siamo confrontati con parlamentari del centrosinistra e del centrodestra. Abbiamo, nello specifico, incontrato il Presidente del Gruppo Pd alla Camera, on. Roberto Speranza, e l’on. Emanuele Fiano. Sono stati presentati degli emendamenti sia dal Partito Democratico che dal Pdl (Forza Italia) con il senatore Maurizio Gasparri. Una cosa è sicura: non è più tempo di chiacchiere.
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il commento Le nostre retribuzioni sono ferme da quattro anni e il limite del tetto stipendiale va superato assolutamente, così come occorre finanziare integralmente l’una tantum che ci ha permesso di mitigare, almeno in parte, gli effetti del blocco retributivo. E non dimentichiamo che il Governo ha preso impegni anche in materia di Riordino delle carriere e
della Repubblica ebbe a dire parole pesanti sulla necessità di superare una situazione inaccettabile: stop al sovraffollamento nelle carceri e stop alla «condizione umiliante in cui l’Italia viene a porsi dinanzi alla comunità internazionale per violazione dei princìpi sul trattamento umano dei detenuti». Il Capo dello Stato ha invitato il
possiamo ignorarlo, come un’inammissibile allontanamento dai principi e dall’ordinamento si cui si fonda quell’integrazione europea cui il nostro paese ha legato i suoi destini». «E’ necessario intervenire nell’immediato con il ricorso a rimedi straordinari». Ed è qui che Napolitano arrivò a citare prima l’indulto, poi l’amnistia,
previdenza complementare. Siamo scesi in piazza proprio perché tutti gli Operatori della Sicurezza italiani sono ormai allo stremo, a fronte di un crescendo di impegni e di impieghi che ogni giorno mette sempre più a rischio professioni e vite. La mobilitazione del 19 novembre è solo l’avvio di un percorso di lotta che non finisce, ovviamente. Ora la palla passa a Governo e Parlamento, che pure dovrebbero essere darsi da fare per porre in essere quegli interventi necessari a fronteggiare il sovraffollamento penitenziario chiesti autorevolmente dal Capo dello Stato alle due Camere lo scorso 8 ottobre con un messaggio al Parlamento lungo 12 pagine. Fino ad oggi, però, non si è visto proprio nulla... Ricorderete che il Presidente
Parlamento a recepire le istanze legate alla necessità di riformare complessivamente il sistema giustizia ma, al contempo, ad agire in fretta per «ottemperare in tempi stretti» a ciò che dice la Corte di Strasburgo. «Vi pongo con la massima determinazione e concretezza una questione scottante – ebbe a scrivere Napolitano nella lettera che Pietro Grasso al Senato e Laura Boldrini alla Camera hanno letto ai parlamentari Parlo della drammatica questione carceraria che va affrontata in tempi stretti. Sottopongo all’attenzione del parlamento l’inderogabile necessità di porre fine, senza indugio, ad uno stato di cose che ci rende tutti corresponsabili delle violazioni contestate all’italia dalla Corte di Strasburgo: esse si configurano, non
sottolineando però che «la perimetrazione della legge di clemenza rientra nelle esclusive competenze del parlamento», con riferimento a reati particolarmente gravi, quale la violenza sulle donne. Tuttavia, «l’effetto combinato dei due provvedimenti, un indulto per pene pari a 3 anni, e un’amnistia su reati» di non grave entità potrebbe ridurre significativamente la popolazione carceraria e consentire di «adempiere tempestivamente alle prescrizioni della comunità europea». Prima di citare l’indulto e l’amnistia, però, Napolitano ha tracciato altre strade perseguibili: strade che da sole non consentono di agire in tempi stretti, ma che pure vanno prese in considerazione: «Messa alla prova come pena principale», con la
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Nelle foto alcune immagini della manifestazione
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il commento
Nella foto il Capo dello Stato Giorgio Napolitano tra i poliziotti penitenziari
possibilità di iniziare «da subito un percorso di reinserimento»; «pene limitative della libertà personale ‘non carcerarie’; e «riduzione dell’area applicativa della custodia cautelare in carcere». Non solo: il capo dello Stato ha detto anche: gli stranieri scontino la pena nei Paesi di origine. Il messaggio alle Camere riveste una rilevanza costituzionale di grande peso: è uno degli atti formali che la Carta consente al capo dello Stato per esercitare formalmente il proprio potere. E quello sulla situazione delle carceri italiane è stato il primo passo di
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questo tipo compiuto da Giorgio Napolitano nei suoi due mandati da presidente della Repubblica. Eppure, a più di un mese dal messaggio del Capo dello Stato, il Parlamento dei nominati non ha adottato alcun provvedimento. I nostri parlamentari sono evidentemente in tutt’altre faccende affaccendati. Come cambiare casacca e gruppo parlamentare, alla faccia della coerenza. Lo ha sottolineato bene Mattia Feltri, bravo giornalista de La Stampa, che in un articolo ha evidenziato come con un po’ di impegno e di fortuna, in questa legislatura si batterà un record
stabilito nella scorsa e sembrava inattaccabile. Nei quattro anni e otto mesi trascorsi fra l’aprile del 2008 e il dicembre 2012 se ne andarono da un partito all’altro sessanta senatori e centoventi deputati e siccome qualcuno fece avanti e dietro, oppure il salto triplo, si calcolò che in totale gli spostamenti erano stati 261. In pratica, quattro e mezzo al mese, oltre uno alla settimana. Niente in paragone al festival dei primo otto mesi di questo giro in cui siamo già a circa 120 passaggi (!), in media 15 al mese (!!), quasi 4 alla settimana (!!!). Tutto questo succede nel Parlamento dei nominati, in cui ogni onorevole e ogni senatore è stato scelto dalle segreterie, o direttamente dal leader, perché adempisse al dovere della rappresentanza, ma ancora meglio a quello dell’obbedienza… I problemi delle donne e degli uomini del Comparto Sicurezza (che chiedono di non mettere loro in ginocchio), il messaggio del Capo dello Stato sulle criticità penitenziarie, posso entrambi attendere. C’è altro da fare a palazzo Madama ed a Montecitorio... H
diritto e diritti
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Trattamento economico di missione corso di formazione Vice Ispettore Giovanni Passaro passaro@sappe.it
entile collega, sono un vincitore del concorso pubblico a 271 allievi Vice Ispettori di Polizia Penitenziaria (elevato a 356 posti), già appartenente all’amministrazione, prossimo alla frequentazione del corso di formazione. La Direzione Generale del Personale e della Formazione con nota prot. 0378958 del 6 giugno 2013 ha sollevato i dubbi circa il trattamento di missione con una interpretazione restrittiva della norma che non riconosce il diritto all’indennità. Sinceramente non mi trovo d’accordo con il chiarimento fornito dall’Amministrazione perché stona con la posizione di interno (già appartenente), infatti, ricordo che durante le prove concorsuali è stato liquidato il servizio di missione. Inoltre, la sentenza del T.A.R. Lazio n. 7315/2009 è chiara e favorevole sulla spettanza della missione. Appare evidente che il DAP ci considera interni solo quando ha convenienza e ritengo di aver diritto alla missione durante il corso di formazione. Vorrei un parere giuridico sulla questione. Ringrazio anticipatamente. Cordiali saluti.
Nella foto le insegne di Vice Ispettore in primo piano
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Il personale del Corpo di Polizia Penitenziaria può essere comandato, temporaneamente, a prestare servizio fuori sede presso altri istituti o uffici penitenziari. In tal caso ha diritto al trattamento economico di missione, ai sensi dell’art. 7, comma 10, del D.P.R. 18 giugno 2002, n. 164. L’attribuzione dei posti riservati al personale “interno” è finalizzata a riconoscere e valorizzare le competenze professionali sviluppate dai dipendenti, in relazione alle
specifiche esigenze delle amministrazioni. La disposizione, concernente il trattamento economico di missione per il personale di Polizia ad ordinamento civile, già appartenente al Corpo di polizia penitenziaria, impegnato nella frequenza di corsi addestrativi e formativi, interpretata dalla sentenza invocata del T.A.R. Lazio n. 7315/2009, dimostrerebbe il diritto del personale già appartenente al Corpo a frequentare il corso di formazione per vice ispettori senza essere collocato in aspettativa speciale, poiché la frequentazione del corso implica la permanenza in sede diversa da quella di servizio. Appurato il diritto a frequentare il corso di formazione per vice ispettore senza essere collocato in aspettativa speciale, comporterebbe conseguentemente il diritto al trattamento di missione. L’assunto non può essere condiviso dato che, la giurisprudenza del T.A.R. Lazio Sez. I quater, nella sentenza del 22 febbraio 2011, n. 1623, riporta che “è da escludere che l’allievo avesse titolo a frequentare il corso di
formazione senza essere collocato in aspettativa speciale perché il trattamento di missione presuppone lo svolgimento di attività di servizio, e tale non può essere considerata la frequenza del corso in esame, che avviene su base del tutto volontaria e comporta il collocamento in aspettativa”. Quanto alla invocata sentenza del T.A.R. n. 7315/2009 essa è stata riformata in appello dalla decisione del Consiglio di Stato n. 7235/2010, la quale invece risulta in piena sintonia con l’orientamento giurisprudenziale. Ne consegue che la costanza del rapporto di servizio sia condizione imprescindibile per la corresponsione del trattamento di missione, mentre il dipendente è collocato in aspettativa allo scopo di frequentare il corso previsto per i vincitori del concorso pubblico, al quale hanno volontariamente partecipato, conseguendo, al termine, la prima assegnazione nella nuova qualifica, con novazione del rapporto, essendo già dipendenti della Polizia Penitenziaria. H
Polizia Penitenziaria n.211 novembre 2013
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Giovanni Battista Durante Redazione Politica Segretario Generale Aggiunto del Sappe durante@sappe.it
l’osservatorio
Una norma della Legge Finanziaria nega lo straordinario per il riposo settimanale non fruito a legge di stabilità varata dal governo e in discussione in Parlamento penalizza ancora una volta il pubblico impiego e le forze di polizia nello specifico. Viene prorogato il blocco contrattuale fino al 2014, ma ciò che maggiormente penalizza il settore è il blocco individuale e non di amministrazione, come, invece, sarebbe stato più logico e opportuno.
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Nella foto l’emiciclo parlamentare
Polizia Penitenziaria n.211 novembre 2013
Cosa vuol dire. Vuol dire che ogni singolo dipendente non può superare il trattamento economico dell'anno precedente; quindi, si ripropone quel blocco, voluto nel 2010 da Brunetta e Tremonti e ora dalla grande coalizione, in base al quale gli avanzamenti di carriera, gli scatti di anzianità e tutto ciò che produce un incremento di reddito individuale non potrà essere retribuito. Se il blocco fosse di amministrazione ciò non si determinerebbe, in ragione del fatto che le singole amministrazioni potrebbero autonomamente determinare la distribuzione delle risorse, ad invarianza di spesa complessiva. A ciò è stato aggiunto il blocco della vacanza contrattuale che non potrà superare quella relativa al 2013.
L'altra questione rilevante che ci riguarda attiene al turn over che non potrà essere superiore al 55 per cento, in virtù di un emendamento presentato dal Governo, perché era fissato al 20 per cento, nella prima stesura della bozza licenziata dal Consiglio dei Ministri. Solo nel 2018 dovremmo tornare ad assumere al cento per cento. Sempre nella prima stesura della bozza erano state previste delle assunzioni per Polizia e Carabinieri pari a 1000 unità e 600 per la Guardia di Finanza. Come al solito si erano dimenticati della Polizia Penitenziaria. Grazie ad un emendamento presentato in commissione giustizia al Senato è stata prevista anche un'assunzione di 500 unità per la Polizia Penitenziaria. Coloro che hanno letto il disegno di legge di stabilità si saranno accorti che è stata introdotta una norma di interpretazione autentica riguardante lo straordinario, in particolare quello eccedente le 36 ore settimanali, effettuato in giornata destinata al riposo, foriero di contenziosi conclusisi con la vittoria dei ricorrenti. Nello specifico la norma stabilisce che la disposizione contrattuale deve essere interpretata nel senso che viene retribuito solo lo straordinario eccedente le sei ore giornaliere, un controsenso se si pensa alla disposizione che stabilisce che l'orario di lavoro è settimanale. Abbiamo chiesto un parere allo studio legale che ha curato i ricorsi presentati dai colleghi del SAPPE a Parma, parere in base al quale l'interpretazione autentica presenterebbe profili di incostituzionalità, poiché si tratta di una norma pattizia che non può essere interpretata unilateralmente. Ad ogni buon fine, pubblichiamo di seguito il parere per una più approfondita disamina della questione.
Il parere legale sulla incostituzionalità della norma Il progetto di legge di stabilita 2014, all’art. 11 contiene la seguente disposizione : “L ‘art. 10 comma 3 del Decreto del Presidente della Repubblica 11 settembre 2007 n. 170 e l’art. 11 comma 8 del Decreto del Presidente della Repubblica 13 giugno 2002 n. 163 si interpretano nel senso che la prestazione lavorativa resa nel giorno destinato al riposo settimanale o nel festivo infrasettimanale non da diritto a retribuzione a titolo di lavoro straordinario se non per le ore eccedenti l’ordinario turno di servizio giornaliero. Sono fatti salvi gli effetti delle sentenze passate in giudicato alla data di entrata in vigore della presente legge”. La norma interpretata 6 Part 10 comma 3 DPR 170/2007 che recita: “fermo restando il diritto al recupero, al personale che per sopravvenute inderogabili esigenze di servizio sia chiamato dall’amministrazione a prestare servizio nel giorno destinato al riposo settimanale o nel festivo infrasettimanale e corrisposta una iruiennita di C 5,00 a compensazione della sola ordinaria prestazione di lavoro giornaliero”. Detto articolo 10 DPR 170/07 è stato integrato dal DPR 51/2009. La norma presenta un primo evidente profilo di incostituzionalità poichè mira ad introdurre una interpretazione unilaterale di una norma contrattuale. Infatti i due DPR (DPR n. 170/2007 e DPR n. 163/2002) pur avendo recepito l’accordo sindacale per il personale delle forze di polizia ad ordinamento civile e militare non hanno privato tale accordo della sua natura pattizia o contrattuale. Non si vede quindi come possa il legislatore intervenire con una norma di interpretazione autentica su un accordo, posto che per sua natura la norma interpretativa autentica è una interpretazione della legge effettuata dal medesimo organo che ha posto in essere l’atto normativo. Nel caso in questione infatti le norme contrattuali recepite dai due DPR sono il risultato della concertazione Stato /
l’osservatorio organizzazioni sindacali. Quindi, lo Stato non può, da solo, provvedere alla modifica o interpretazione di una clausola contrattuale. In tale contesto, quando si tratta di interpretare una o più disposizioni della contrattazione collettiva nel pubblico impiego non può essere ovviamente il legislatore ad intervenire unilateralmente, mentre l’interpretazione di una clausola del contratto può essere effettuata, a norma di legge, solo dall’autonomia collettiva ovvero dalle parti firmatarie dei contratti. In particolare il D.lgs 195/1995 prevede all’art 8 sotto il titolo procedure di raffreddamento dei conflitti : “al fine di assicurare la sostanziale omogeneità nell’applicazione delle disposizioni recate dai Decreti del Presidente della Repubblica di cui all’articolo 2, le Amministrazioni ed i Comandi Generali interessati provvedono a reciproci scambi di informazione, anche attraverso apposite riunioni. 2. Le procedure di contrattazione e di concertazione di cui all’articolo 2 disciplinano le modalita di raffreddamento dei conflitti che eventualmente insorgano nell’ambito delle rispettive amministrazioni in sede di applicazione delle disposizioni contenute nei Decreti del Presidente della Repubblica di cui al medesimo articolo 2. Ai predetti fini in sede di contrattazione, per le Forze di Polizia ad ordinamento civile, presso le singole amministrazioni vengono costituite commissioni aventi natura arbitrale. 3. Qualora in sede di applicazione delle disposizioni contenute nei Decreti del Presidente della Repubblica di cui all’articolo 2 insorgano contrasti interpretativi di rilevanza generale per tutto il personale interessato, i soggetti di cui al predetto articolo 2, ossia le amministrazioni, le organizzazioni sindacali e le sezioni COCER, per il tramite dei rispettivi Comandi Generali o dello Stato Maggiore della Difesa, possono ricorrere al Ministro per la Funzione Pubblica, formulando apposita e puntuale richiesta motivata per l’esame della questione interpretativa controversa. Il Ministro per la Funzione Pubblica entro trenta giorni dalla formale richiesta, dopo aver acquisito Ie risultanze delle procedure di cui ai commi 1 e 2, può fare ricorso alle delegazioni trattanti l’Accordo Nazionale
di cui all’articolo 2, comma 1, lettera A), ovvero alle delegazioni che partecipano alle concertazioni di cui all’articolo 2, comma 1, lettera B) e comma 2. L’esame della questione interpretativa controversa di interesse generale deve espletarsi nel termine di trenta giorni dal primo incontro. Sulla base dell’orientamento espresso dalle citate delegazioni, il Ministro per la Funzione Pubblica, ai sensi dell’articolo 27, primo comma, n 2, della legge 29 marzo 1983 n. 93, e della legge 23 agosto 1988 n. 400, provvede ad emanare conseguenti direttive contenenti gli indirizzi applicativi per tulle le amministrazioni interessate”. In tale contesto normativo, che esprime la precisa scelta del legislatore di affidare la risoluzione dei conflitti interpretativi sulle norme, derivanti dalla concertazione Stato/Sindacati, ad apposita procedura in contraddittorio delle parti firmatarie, appare evidente ii contrasto con l’art 39 della Costituzione della disposizione in esame. Ma vi sono ulteriori profili di illegittimità costituzionale del progetto di norrna in oggetto. La legge di interpretazione autentica con effetto retroattivo, anche quando è ammessa (ma non è questo ii caso), non può dirsi costituzionalmente legittima qualora si limiti ad assegnare alla disposizione interpretata un significato già in essa contenuto (ex plurimis: sentenze Corte Costituzionale n.271 e 257 del 2011 e 209 del 2010). La legge di interpretazione autentica ha, infatti, lo scopo di chiarire situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo anche in ragione di una dibattito giurisprudenziale irrisolto (vedasi sentenza n. 311/2009 Corte Costituzionale). Nel caso di specie, sia l’art. 10 comma 3 DPR n. 170/2007 che l’art. 11 comma 8 DPR n. 163/2002 appaiono chiarissimi dal punto di vista ermeneutico e non presentano quindi oggettive incertezze interpretative, tant’è che essi vengono pacificamente interpretati dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato nel senso di riconoscere la spettanza dello straordinario in ragione del superamento dell’orario settimanale ordinario (vedasi, tra le più recenti, Consiglio di Stato n. 1342/2012 e n. 6156/2012). Anche la stessa Pubblica Amministrazione, da ultimo, ha preso atto del fatto che non esista alcuna
incertezza interpretativa della norma in esame; e infatti, in recenti contenziosi aventi ad oggetto ii diritto in questione, il Ministero della Giustizia non ha proposto appello avverso le sentenze di 1° grado favorevoli ai ricorrenti agenti di Polizia Penitenziaria (cfr. sent. TAR Emilia Romagna, Sez. Parma n. 36, 37 e 38 del 7.02.2013). In tale quadro, appare evidente la violazione del principio di ragionevolezza e, quindi, dell’art. 3 della Costituzione, della norma che, ben lungi dal risolvere contrasti (che peraltro non vengono neppure allegati) interferisce, con effetto retroattivo, sulla regolamentazione del rapporto tra le parti andando a nullificare un diritto già consolidato e acquisito al patrimonio giuridico del dipendente. Infine, sotto diverso profilo la norma è contraria ai principi costituzionali in quanto elide il diritto del dipendente ad avere una retribuzione proporzionata alla qualità e quantità del lavoro prestato, così come previsto dall’art. 36 della Costituzione. E’ pur vero che nell’ambito del rapporto di pubblico impiego lo svolgimento di prestazioni eccedenti il normale orario di lavoro straordinario non è di per sé sufficiente a radicare il diritto alla relativa retribuzione, dovendosi contemperare tale diritto con il principio costituzionale di legalità e buon andamento della pubblica amministrazione, sancito dall’art. 97 Costituzione. In questa prospettiva vige, quindi, il principio della retribuibilità del lavoro straordinario condizionata all’esistenza di una preventiva autorizzazione, nell’ottica di una verifica in concreto delle ragioni di pubblico interesse anche al fine di evitare incontrollate erogazioni di somme per prestazioni di lavoro straordinario. Ma ciò che rende la norma palesemente incostituzionale è che essa mira ad eliminare tout court, quindi in radice, il diritto alla retribuzione del lavoro straordinario; ciò rappresenta una palese violazione dell’art 36 della Costituzione. In ragione delle argomentazioni che precedono si confida che il progetto di norma in oggetto, così come strutturato, venga eliminato nel corso del dibattito parlamentare. H Parma, 29 ottobre 2013 avv. Giovanni Carnevali avv. Simone DaII’Aglio
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storie di polizia penitenziaria
Nuvola Rossa Capo indiano rivista@sappe.it
Così Mike Buongiorno “sdoganò” gli Agenti di Custodia
Nelle foto Giuseppe Romano con Mike Bongiorno e altri concorrenti
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orreva l’anno 1981 quando Giuseppe Romano, un giovane Agente di Custodia, in servizio alla Casa Reclusione di Favignana, ebbe l’idea di partecipare al programma televisivo a quiz “FLASH” condotto da Mike Bongiorno, l’icona della TV italiana. I quiz di Mike Bongiorno alla RAI
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erano divenuti leggendari, “Lascia o Raddoppia” , “Rischiatutto”, “Scommettiamo” e riuscivano a catalizzare milioni di telespettatori davanti al piccolo schermo; quale migliore occasione per parlare degli agenti di custodia e del loro lavoro oscuro all’interno delle carceri. E così grazie a questo giovane, il Corpo degli Agenti di Custodia ebbe una ribalta nazionale; Giuseppe Romano vinse per tre settimane di fila, laureandosi Campione di Flash per l’estate, rispondendo a domande sulla sua materia: Abramo Lincoln e la Guerra di Secessione Americana. Mike Bongiorno, sfruttò quelle settimane per parlare delle carceri e di questi sconosciuti Agenti di Custodia, e ne approfittò per ricordare anche la sua prigionia a Milano San Vittore, avvenuta durante la Seconda Guerra Mondiale ad opera dei tedeschi, in quanto giovane partigiano. A San Vittore, Mike faceva lo scopino e svuotava i “buioli”. Nella puntata in cui Mike Bongiorno ricordò la sua prigionia, partecipò come ospite l’allora direttore del carcere di Milano dott. Dotto che alla domanda se esisteva ancora la cella dove lui aveva passato quella terribile prigionia, se ne uscì con una battuta terrificante ovvero che la cella era
ancora lì, pronta eventualmente a riaccoglierlo... Grazie a questa apparizione televisiva di colpo gli Agenti di Custodia non apparivano più come rozzi aguzzini ma come lavoratori dello Stato che espletavano un compito difficile di rieducazione, a contatto con i detenuti. Ho rintracciato quel giovane di allora; oggi è un Commissario di Polizia Penitenziaria di mezza età, dai capelli brizzolati, ed è il Comandante di Reparto della Casa Circondariale di Trapani, dopo avere scalato tutti i gradini fino al grado di Commissario, partendo da quello più basso di Agente ausiliario. Commissario, cosa la spinse a partecipare a Flash? Forse non ci crederete, ma a spingermi a partecipare a quella trasmissione fu senza dubbio il fatto di poter parlare, attraverso la televisione, ad una vasta platea del mio lavoro. Non avevo messo in conto né i soldi né un eventuale successo, mi sarebbe bastata una apparizione televisiva. E invece cosa successe? Successe che alla prima puntata dopo
15 aver fatto conoscere a circa 20 milioni di spettatori (tanti erano gli ascolti di FLASH) cosa erano e cosa facevano gli Agenti di Custodia, e dopo una buona gara, venni rimesso in gioco dagli errori del Campione in carica Davide Musarra un giovane di appena 16 anni che rispondeva a domande sulla Juventus. E alla domanda del secolo, ovvero chi era quel famoso gangster americano che fu ucciso nel 1935 all’uscita del cinema, di quale città, risposi bruciando gli altri concorrenti: Dillinger, Chicago. D’altronde la storia americana era la mia materia, anche se rispondevo a domande su Lincoln. Fu l’apoteosi. Che effetto ebbe la sua vittoria sui colleghi? Dopo la vittoria della prima puntata tutti gli Agenti di Custodia d’Italia mi furono vicini, mi inviarono telegrammi di sostegno da tutta Italia che ancora conservo gelosamente, lo spirito di Corpo fu riacceso dalla mia apparizione televisiva; tutti gli agenti si identificavano in me. Il Comandante del Corpo mi concesse un lungo periodo di licenza straordinaria affinché continuassi in questa incredibile avventura che durò ben 4 settimane ma ebbe poi una coda di altre tre settimane durante le sfide dei Campioni. In una di quelle puntate andai anche in divisa con un gruppo di colleghi di San Vittore. Insomma FLASH fu per il Corpo una vetrina straordinaria.
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Per informazioni e prenotazioni: passaro@sappe.it Commissario, c’è qualcosa che rimpiange del passato degli AA.CC.? Sicuramente lo spirito di Corpo. H
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Lady Oscar rivista@sappe.it
Nelle foto Silvia Marangoni
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sport
Silvia Marangoni conquista il suo decimo titolo Mondiale ...in punta di pattini a rotelle ncora una pagina di storia sportiva scritta in punta di pattini, una costante ascesa verso la leggenda che lei stessa ha dichiarato di voler definitivamente legare al suo nome: Silvia Marangoni, con il suo decimo titolo mondiale conquistato a Taipei il 9 novembre scorso (ottavo consecutivo dal 2006), ha ipotecato seriamente qualunque sogno di essere eguagliata sui pattini a rotelle, specialità inline. Il capitano della squadra azzurra è esempio e vanto per tutte le giovani leve che tentano di seguirne le orme. Dopo anni di gare e di vittorie, non
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coloro che la aspettavano al rientro per festeggiarla e portarla in trionfo, che già in macchina discuteva con l’affezionatissimo allenatore Samo Kokorevec su come inseguire l’undicesimo successo: «Punto a superare il record di 11 mondiali consecutivi, quello di Patrick Venerucci - ha raccontato. In auto, con Samo, abbiamo già iniziato a pensare a come migliorare ancora per vincere il prossimo mondiale». Uno spirito mai domo il suo che continua ad esserle grande alleato per le imprese più importanti e le giornate vincenti di ogni rassegna
trottola singola, due salti singoli e una serie di passaggi che formano un cerchio. Nella classifica necessariamente provvisoria la seconda, l’argentina Valentina Escobar, è indietro di dieci punti, con il punteggio di 110.100. Più indietro ancora, terza con 106.700, l’atleta di casa, Hsin ChinLing. Una delle più forti atlete in gara, l’americana Natalie Motley finisce addirittura quinta, a testimonianza di quanto sia impossibile dare qualcosa per scontato, soprattutto quando tutti sono lì ad aspettarti e gareggiare da
sono mai mutate la passione e gioia di misurarsi contro se stessa innanzitutto, dato che le avversarie da anni le stacca tutte di diverse misure: uguale voglia di migliorare, di crescere ancora, di continuare a curare i particolari per ottenere l’insieme più armonioso e più preciso possibile e non lasciare nulla al caso. Basti pensare che, fuor di ogni dolce crogiolarsi sugli allori, dopo aver messo la decima medaglia iridata al collo non ha fatto in tempo neppure a godersi gli abbracci di casa, di
continentale o mondiale che affronti. Durante lo short program di giovedì 7, con un bel body argento e nero ed un clima pesante da fiaccare le gambe per la fortissima umidità, l’atleta delle Fiamme Azzurre ha pattinato senza errori sulle note della “danza macabra”, finendo prima al termine della sessione con un ampio e rassicurante distacco sulle avversarie: è nettamente in testa con il punteggio di 120.200 ottenuto con una catena di salti, una trottola combinata in tre posizioni, una
favorita è un peso che durante l’impegno agonistico - se non sei abbastanza forte da sostenerlo - può schiacciarti. Per la finale di sabato 9 molta gente si è radunata al Taipei Arena. Quando in Italia sono le 10:15 (17:15 ora locale) la gara ha inizio con le prime finaliste che iniziano a volteggiare in pista. Per la ventisettenne di Oderzo c’è stato tempo per concentrarsi, per ascoltare gli ultimi consigli da parte dell’allenatore Kokorevec e del Ct Azzurro Andrea Merlo.
La musica è quella del film Cleopatra, addosso ha un body oro e nero che Cleopatra la fa ricordare pienamente e che oltretutto, cosa ben più importante, è benaugurante perchè dell’oro avrà tutto sino in fondo. Una gara senza macchia quella che l’opitergina riesce a fare, le coreografie, sapientemente create da Gabriele Quirini, riescono ad incantare e a strappare applausi. Rispetto al passato i salti tripli sono migliori e i doppi hanno una fluidità mai vista prima.
L’atleta della Polizia Penitenziaria esegue un triplo Salkov straordinario e poi il “movimento Marangoni”, ovvero le trottole tacco–punta che lei stessa ha regalato al pattinaggio, a firma della sua bravura. Un esercizio magnifico che entusiasma e le fa ottenere altissimi voti dei giudici. Il pubblico le tributa e le dedica una lunga standing ovation e poco dopo arriva il verdetto. I 500,300 punti che si sommano a quelli dello short, fanno salire Silvia per la decima volta sul tetto del mondo. Nella classifica finale, accanto all’ormai “invincibile” Marangoni, salgono sul podio Hsin Chin-Ling e Motley. La pluricampionessa ha dedicato la propria vittoria mondiale, oltre che alla sua famiglia, anche alle persone senza lavoro e agli imprenditori in difficoltà: «Dedico questa vittoria come sempre alla mia famiglia, ma quest’anno credo che, visto il
momento che il Paese ed il mio Veneto stanno attraversando a causa della crisi, una dedica particolare spetti a tutti quelle persone che oggi sono senza lavoro e agli imprenditori in difficoltà». Parole che non hanno mancato di suscitare il sentito ringraziamento del Ministro per gli affari regionali, autonomie locali e dello sport, Graziano Delrio: «Grazie Silvia per il decimo oro mondiale e per averlo dedicato agli imprenditori in crisi”», ha dichiarato l’esponente del Governo. A casa la dieci volte campione del mondo della Polizia Penitenziaria ha trovato ad aspettarla tutta la famiglia al completo, il neo sposo Andrea ed un città intera pronta ad accoglierla festante. E per quest’atleta che non si è fermata quasi mai, passando da un allenamento all’altro e da una vittoria all’altra, meritatamente e lungamente che festa sia. H
Perché iscriversi a Piazza d'Armi della Polizia Penitenziaria? PER SPIRITO DI CORPO La Polizia Penitenziaria è continuamente tenuta in secondo piano dai suoi stessi amministratori Dirigenti dell'Amministrazione penitenziaria. E' tempo di riunirci e confrontarci anche attraverso gli strumenti offerti dal web. PER RIMANERE IN CONTATTO CON I COLLEGHI E GLI AMICI Ognuno di noi ha perso i contatti con tanti amici e colleghi dei vari Corsi di formazione, oppure gli amici e colleghi delle sedi in cui abbiamo lavorato. Con Piazza d'Armi rimanere in contatto (e in maniera riservata) è più facile! PER I SERVIZI RISERVATI AI POLIZIOTTI PENITENZIARI L'iscrizione gratuita a Piazza d'Armi è riservata ai soli appartententi alla Polizia Penitenziaria o agli Agenti di Custodia in congedo. I servizi già attivi (o che saranno attivati fra poco) sono i messaggi privati tra colleghi, i gruppi di discussione su specifiche tematiche lavorative, convenzioni, scambio di taglie di uniformi, consulenza legale, annunci di vendita/affitto/scambio di oggettti o servizi, e molti altri che attiveremo anche in base alle vostre segnalazioni e richieste.
PER TUTELARE LA SICUREZZA E LA PRIVACY DEI POLIZIOTTI PENITENZIARI Piazza d'Armi è riservata ai soli appartententi alla Polizia Penitenziaria o agli Agenti di Custodia in congedo. Ci sono troppi siti web che diffondono e pubblicano documenti con dati sensibili dei poliziotti penitenziari. Piazza d'Armi nasce anche per tutelare la privacy e la sicurezza degli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria. PERCHÉ È GRATIS! Piazza d'Armi è l'unico luogo virtuale che offre notize, approfondimenti, servizi, materiale utile per il lavoro e documenti riservati in maniera gratuita. Piazza d'Armi è e resterà uno spazio gratuito per tutti i colleghi della Polizia Penitenziaria! PIAZZA D'ARMI È FATTO DA COLLEGHI PER I COLLEGHI Piazza d'Armi è realizzato unicamente da colleghi della Polizia Penitenziaria per i colleghi della Polizia Penitenziaria. Per qualunque richiesta, informazione o consiglio, hai la garanzia di rivolgerti ad un tuo collega e amico della Polizia Penitenziaria!
17 Nella foto Silvia Marangoni con la medaglia d’oro
www.piazzadarmi.it
sport
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dalle segreterie Cuneo Manifestazione del Comparto Sicurezza
rivista@sappe.it
artedì 19 novembre 2013, i Poliziotti dello Stato e della Polizia Penitenziaria unitamente ai Forestali e ai Vigili del Fuoco, hanno partecipato alla rappresentanza del Presidio davanti l’Ufficio Territoriale del Governo di Cuneo, contro il disegno di legge di stabilità e per la difesa
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Nelle foto i momenti della manifestazione
Avellino Ciro Borrelli continua a dirigere le gare di motocross rande affluenza di piloti e pubblico (almeno mille le persone accorse) per il IX Memorial Aniello Biancardi che il 27 ottobre ha festeggiato anche il secondo anno di apertura del Crossdromo di Acqualonga a Monteforte Irpino (AV). Per il secondo anno la giornata è stata celebrata con una gara secca che ha visto la partecipazione al cancelletto di partenza di 90 piloti compreso un folto numero di minicross impegnati nel circuito realizzato nell’area paddock. Su tutti spicca la presenza in MX1 di Felice Compagnone
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della dignità professionale e della specificità funzionale degli operatori del settore, che tenga conto delle carenze organiche e le decurtazioni economiche del Comparto, per la difesa del diritto dei cittadini ad avere una sicurezza ed un soccorso pubblico
efficiente e qualificato, all’altezza di un Paese civile, per una maggiore efficienza ed efficacia del servizio e più sicurezza per i cittadini. H
Il Segretario Provinciale SAPPE Antonio Amodeo
dalle segreterie Parma Il collega Angelo Rubino è Campione regionale dell’Emilia di Mixed Martial Art
Angelo Rubino presta servizio presso gli II.PP. di Parma e si allena nella palestra SNAP del M° Marco Baratti. Un plauso dalla segreteria provinciale di Parma e dalla Regione Emilia
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Romagna tutta al collega Rubino. Restiamo in attesa dei prossimi interessantissimi match già programmati per gli inizi del 2014. Maiorisi Errico H rivista@sappe.it
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i è svolto domenica 10 novembre presso il palazzetto dello sport di Montecchio Emilia (RE) un importante evento di MMA (Miexed Martial Art) nel quale si è visto protagonista indiscusso il collega degli Istituti Penitenziari di Parma Angelo Rubino, il quale si è imposto nella categoria -84kg aggiudicandosi così la cintura di campione regionale Emilia Romagna. Il match si è svolto all’interno della “gabbia” da MMA regolamentare ed è terminato grazie ad una sottomissione (armbar), avvenuta quasi al termine della seconda ripresa dopo un lungo scontro che ha visto entrambi gli atleti scambiare tecniche potenti sia in piedi che al suolo.
Le immagini della vittoria di Rubino
La gara a Monteforte Irpino
pluricampione italiano di supermarecross in pista quest’anno con la Suzuki del Team Petriglia, Antonio Gizzi, Nicola Di Luccia e di tanti altri piloti campani impegnati nei campionati italiani come i piccoli Stefano Sandulli, Ciro Tramontano, Antonio Giordano e poi Alfredo Memoli e Adolfo Galdi. Nell’occasione lo staff del Moto Club
organizzatore ha voluto anche ricordare le vittime della strage del bus del viadotto Acqualonga e l’amico Nicola Matriciano scomparso prematuramente. La manifestazione Federale è stata diretta
ancora una volta per noi della Polizia Penitenziaria dall’Ufficiale Nazionale Direttore di gara FMI Ciro Borrelli impegnato sui crossdromi d’Italia a promuovere, sviluppare e tutelare l’attività sportiva, nonché a diffondere una cultura motociclistica rispettosa delle regole, dell’ambiente e delle leggi dello Stato. H
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Orario prelievi: dal lunedì al sabato dalle ore 7:00 alle ore 10:30 (esclusi festivi)
NB: il laboratorio analisi è attivo tutte le mattine (festivi esclusi) ed è erogabile in convenzione con il Servizio Sanitario Regionale in entrambe le Sedi (Termini e Pisana).
interventi ricevuti
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Ufficiali del disciolto Corpo degli Agenti di Custodia. Professionalità a cinque punte! ono lì, pronti come sempre a servire il Corpo, loro che hanno vissuto, come gli altri appartenenti al disciolto Corpo degli Agenti di Custodia, le sommosse, le rivolte, gli agguati e che, fedeli al motto ‘obbedir tacendo’, hanno accettato compiti marginali pur di non creare scompiglio. A differenza della cosidetta “truppa” che nella riforma è transitata in massa nella nuova “casa” chiamata Corpo di Polizia Penitenziaria, gli Ufficiali a cinque punte venivano confinati in un ruolo ad esaurimento, voluto da imposizioni politiche oppure da un handicap di riforma del ’ 91 ...fatto sta che non lo potremo mai sapere ma una cosa è certa: sono lì, pronti a dare il loro contributo come hanno sempre fatto. E’ giunto il momento di aiutare e riformare realmente il Corpo, senza alcuna guerra intestina. Già dalla riforma della legge 395 del ’90 che ha istituito il Corpo di Polizia Penitenziaria ed ha, con la creazione del Dipartimento, preso atto della necessità dell’Amministrazione di attrezzarsi in modo adeguato per l’esercizio organico e integrato delle proprie complesse funzioni, procedendo all’individuazione dei ruoli di appartenenza per il personale dalle professionalità operative compreso quello degli Ufficiali. Ad oggi nulla è stato fatto, anzi si è continuato, sia a livello centrale che politico-istituzionale, ad alimentare un conflitto interno tra Dirigenti penitenziari, ruoli Direttivi del Corpo e personale di Polizia penitenziaria. Ed ancora, ricordiamo alcuni casi ambigui della nostra Amministrazione: Gli Ufficiali hanno partecipato ai corsi di Alta Formazione per i dirigenti di tutti gli altri Corpi di Polizia ad ordinamento militare e civile presso la Scuola Interforze di Roma e, pur avendo conseguito titoli
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molto ambiti negli altri Corpi, non sono quasi mai stati impiegati dall’Amministrazione. L’organico previsto dalla Legge n.146/2000 per il Corpo di Polizia Penitenziaria è di circa 44.000 unità, inoltre prevede 4 Dirigenti Superiori ed 8 Primi Dirigenti, in più 500 funzionari circa. Il Corpo Forestale dello Stato, per fare un esempio, con un organico complessivo inferiore alle 10.000 unità, ha 2 Dirigenti Generali (Capo e Vice Capo), 14 Dirigenti Superiori, 50 Primi Dirigenti e 600 funzionari. Un’altra delle singolarità del Corpo degli Agenti di Custodia è che aveva come organismo di raccordo periferico i Comandi Regionali, con scarse competenze, soppressi nel 1990, mentre lo stesso organismo è stato istituito dai Carabinieri, Guardia di Finanza e Corpo Forestale dello Stato. Gli ufficiali sono stati sempre impiegati nelle situazioni più delicate che l’Amministrazione Penitenziaria ha dovuto gestire negli ultimi trent’anni, dalle rivolte negli istituti penitenziari degli anni ’80, alla gestione di situazione detentive di particolare importanza e, non ultimo, alla direzione di istituti penitenziari, così come accadde per il Gen. Uccella, il quale è stato Direttore dell’Istituto penitenziario di Santa Maria Capua Vetere fino alla sua morte. All’indomani della riforma del 1990 l’allora Capo del Dipartimento, Pres. Nicolò Amato, su precise richieste degli Ufficiali, riaffermò il principio che gli stessi costituivano un ruolo ad esaurimento della Polizia Penitenziaria e che quindi il loro status era civile, così come per tutti gli appartenenti al Corpo. Lo status civile fu riconosciuto per anni agli ufficiali tanto che, alcuni di loro, erano iscritti alle Organizzazioni Sindacali, ricoprendo anche al loro interno ruoli importanti.
Nel 1994, quattro anni dopo la riforma, venne fuori un parere non vincolante del Consiglio di Stato che ribaltò le affermazioni del Pres. Amato, riaffermando lo status militare degli Ufficiali; in quel caso l’Amministrazione si adeguò perentoriamente al parere del consiglio di Stato e gli Ufficiali ripresero le “stellette a cinque punte”. Credo fermamente che il buon andamento di una Amministrazione si assicura anche attraverso l’armonica distribuzione di competenze, in una seria interrelazione tra le tante figure professionali che operano nell’Amministrazione ma con compiti molto diversi come per il Corpo di Polizia Penitenziaria. Sulla questione, ormai, vi è un urgente gran bisogno di intensificare i rapporti di consolidamento tra il Corpo e gli Ufficiali, innanzitutto circa la concreta e quanto più possibile diversificata opportunità di impiego degli Ufficiali a cinque punte, e che, qualora l’Amministrazione volesse meglio impiegare gli Ufficiali, potrebbe utilizzare le loro capacità che però, non si traduca in una professionalità ed un impegno “ad personam” , in attesa che i funzionari del Corpo giungano alla carriera dirigenziale.
Nota a margine: Aspettando che la Professionalità dell’intero Ruolo degli Ufficiali del disciolto Corpo degli Agenti di Custodia diventi parte integrante del Corpo, ci godiamo le riunioni che coinvolgono le Forze di Polizia, tra cui la Polizia Penitenziaria, in ambiti operativi dove la presenza rappresentativa per il Corpo è individuata in molte occasioni in qualche Funzionario e/o Dirigente penitenziario. H Assistente capo Dott. Luca Frongia
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Pasquale Salemme Segretario Nazionale del Sappe salemme@sappe.it
crimini e criminali
Il mostro di Lusciano l mese scorso ho partecipato, come moltissimi colleghi in servizio e in quiescenza, al 1° raduno nazionale dell’ANPPe (Associazione Nazionale Polizia Penitenziaria) che si è svolto ad Aversa, in provincia di Caserta. Nel corso della manifestazione ho avuto modo di ritrovare numerosi colleghi che non vedevo da tempo e in particolare uno di essi con cui alcuni anni fa partecipai ad un convegno sul tema dell’infermità di mente.
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Nelle foto sopra un giornale dell’epoca a destra la mappa con l’ubicazione del paese di Lusciano
Polizia Penitenziaria n.211 novembre 2013
Nel condividere la passione per la criminologia, il collega, nonché amico, mi ha rappresentato il caso di un serial killer locale che aveva ucciso sette persone dal 1974 al 1983, per motivi futili e con moventi banali e inconsistenti, come riportato dai verbali delle forze di polizia. Del resto la motivazione alla base di molti assassini seriali è che l’omicidio è un atto che dà soddisfazione nel mondo fantastico dell’assassino. Poiché questi criminali pensano di avere il potere di fare tutto quello che vogliono e di vivere in un mondo tutto loro e, soprattutto, di avere un potere di controllo su di sé e su altri esseri umani, in cui la fantasia, come John E. Douglas e Roberto K. Ressler la definiscono, emerge come un importante luogo di fuga. Probabilmente queste sono stata le motivazioni che hanno fortemente
inciso sulla personalità borderline di Carlo Panfilla, pluriomicida e serial killer nostrano, sopranominato «il mostro di Lusciano», ridente località in provincia di Caserta famosa per la produzione di pesche e fragole, uva da vino (asprino) e foraggi, allevamento bufalino. Carlo Panfilia, nasce appunto a Lusciano, nel 1945, ed è definito una persona irascibile e violenta. La sua «carriera» omicida ha inizio il 16 ottobre del 1974 quando, ad Aversa, sempre nella provincia casertana, uccide, per motivi mai del tutto chiariti, due persone: Francesco De Lucia, di 23 anni, sopranominato «Ciccio ‘a posta» e Giovanni Improta, di 27 anni, alias «Garibaldi». L’ipotesi più accreditata del duplice omicidio sembrerebbe quella del difficile rapporto avuto con una donna, contesa con le due vittime, che l’omicida intendeva avviare alla prostituzione e che altrettanto tentavano di fare i due malcapitati (Ansa, 22 agosto 1981). Dopo l’uccisione il Panfilla scappa e, dopo una breve latitanza, viene arrestato nel cimitero del suo paese natio, ritrovato nel mentre dormiva nudo all’interno di una nicchia. Agli inquirenti, durante l’interrogatorio, non sa spiegare cosa lo ha spinto ad uccidere. Nel corso del processo i difensori chiedono ed ottengono che l’imputato sia sottoposto a perizia psichiatrica, per accertarne la capacità d’intendere e di volere al momento del duplice omicidio. Il collegio dei periti, nominato dal Tribunale, è composto da Aldo Semerari, famoso criminologo che, peraltro, nell’aprile del 1982 viene orrendamente decapitato dalla camorra e dal professor Ragozzino, allora direttore dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario Sant’Efremo
di Napoli, che si tolse la vita qualche anno dopo quando fu accusato di pesanti collusioni con la malavita organizzata. I due periti dichiarano Panfilla totalmente infermo di mente e i giudici lo inviano al manicomio giudiziario di Aversa e successivamente è trasferito a quello di Montelupo Fiorentino (FI). Nell’estate del 1981, il pluriomicida ottiene una licenza premio di 15 giorni e si reca al suo paese natio per rivedere i familiari, ma alla scadenza del periodo non rientra all’OPG. Qualche giorno dopo la latitanza, il 21 agosto, nei pressi di Cesa (Ce), un gruppo di giovani che si trovano all’interno di un’autovettura, lo deridono schernendo probabilmente il suo aspetto trasandato. La reazione del Panfilla è istantanea e
spaventosa: estrae la pistola che aveva al suo seguito, una Smith & Wesson a tamburo calibro 22, e spara contro l’auto dei quattro giovani. Cesario Mangiacapra, di 18 anni, e Fausto Errico, di 22 anni, rimangono uccisi, mentre Francesco Belardo, di 21 anni, è ferito; morirà successivamente in ospedale. L’unico superstite, Fernando Scarano, riesce a fuggire a piedi, mentre vede uccidere i suoi amici. Il giorno successivo, il 22 agosto, due persone, nei pressi di Roccavivara, in provincia di Campobasso, fanno notare al Panfilla che il fuoco che aveva appena accesso per bivaccare è troppo vicino al bosco, e che può propagarsi un incendio. Il killer senza pensarci troppo e considerando il rimprovero ricevuto come una provocazione, estrae la pistola e colpisce a morte Angelo
crimini e criminali Marcantonio, 32 anni e Mario Antenucci, di 28 anni, entrambi operai di Roccavivara. I loro corpi furono trovati nell’auto con il motore ancora acceso e con il finestrino abbassato. Catturato il giorno successivo a Lanciano (Chieti) nel mentre era in sella al suo motorino, i Carabinieri trovarono nelle tasche un’agendina con l’annotazione delle sue gesta: «21 agosto Caserta 2 ...22 agosto Roccavivara 2.. » (Ansa, 24 agosto 1981). All’atto dell’arresto appariva in evidente stato confusionale e pronunciava frasi sconnesse e prive di senso. In un momento di lucidità confessò i delitti e per giustificare l’assunto, senza un motivo apparente esclamò: «Mi avevano guardato storto».
Il 25 gennaio 1985 Carlo Panfilla è condannato all’ergastolo dalla Corte d’Assise di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) perché colpevole di cinque omicidi compiuti «per motivi abietti e futili». La Corte gli irrogò 30 anni di reclusione per i tre omicidi di Cesa e 28 anni per i due omicidi di Roccavivara. Inoltre, la Procura dello stesso Tribunale aprì un procedimento penale per omicidio colposo a carico di ignoti, per accertare se vi fossero responsabilità a carico di coloro che avevano concesso a Panfilla il permesso per uscire dal manicomio di Montelupo Fiorentino. Appare evidente che la personalità del Panfilla e le modalità con cui ha commesso gli omicidi denotano un disturbo di personalità borderline, anche se purtroppo mai accertato in quanto il pluriomicida non venne mai
sottoposto a perizia psichiatrica per i cinque omicidi. Il BPD (Borderline personalità disorder) è caratterizzato da impulsività e instabilità dell’umore, dell’immagine di sé e nelle relazioni personali. Le cause del BPD sono incerte, benché sia fattori psicologici che biologici possano essere coinvolti. Originariamente il disturbo veniva considerato come una patologia di confine con la schizofrenia (da cui il termine borderline = confine), attualmente è chiaro che molti soggetti BPD possono presentare manifestazioni cliniche proprie della sfera depressiva/bipolare. Le basi biologiche del disturbo sono ipoteticamente correlate all’impulsività ed instabilità dell’umore che secondariamente creerebbe difficoltà sul piano relazionale. Gli individui con il BPD presentano diversi sintomi tra i quali i piú evidenti sono: marcate variazioni dell’umore con periodi d’intensa depressione, instabilità, rabbia intensa, impulsività negli acquisti, nella sfera sessuale, abuso di sostanze, imprudenza nella guida, disordine alimentare, ricorso a minacce di suicidio o atti autolesivi e ancora relazioni interpersonali instabili, con giudizi estremi sulle persone e sugli eventi spesso oscillanti tra idealizzazione «completamente buono» e svalutazione «completamente cattivo», marcata e persistente insicurezza nei riguardi della propria immagine, delle proprie aspettative e dei rapporti interpersonali ed anche noia cronica o sensazioni di vuoto interiore, sforzi frenetici per evitare di essere abbandonato, sia questo un timore reale o immaginario. Purtroppo, però, come già scritto, per gli omicidi commessi nel 1981, i giudici della Corte d’Assise negarono la richiesta di perizia psichiatrica e la Cassazione, successivamente, annullò la sentenza del 1985 ordinando la ripetizione del processo sostanzialmente motivando: l’imputato pluriomicida non è stato sottoposto a una nuova perizia
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psichiatrica, la seconda, così come era stato richiesto dai difensori durante il processo di appello. La perizia sull’autore dei reati doveva valutare le sue condizioni di mente al tempo in cui erano stati commessi i reati da giudicare, perché può ben darsi il caso che il vizio di mente, riscontrato in relazione ad un determinato reato, venga successivamente escluso in relazione ad altro reato e soprattutto, stabilire la pericolosità sociale dell’imputato. La perizia, in generale, deve stabile se l’autore è imputabile in quanto in grado di intendere e di volere, se è affetto da un vizio totale o parziale di mente e se è presente o assente la pericolosità sociale dell’autore del reato con vizio di mente. La sentenza della Suprema Corte suscitò grandi proteste e sdegno tra le
famiglie delle numerose vittime che protestarono vivacemente con le autorità di polizia. Anche negli ambienti della Corte di Assise di Napoli ci fu una grande reazione di sdegno. Se il soggetto non è libero nel suo agire o nel suo omettere di agire, è responsabile da un punto di vista penale? Uno studioso del diritto porrebbe il suo interrogativo in questi termini, un difensore disserterebbe sulla posizione del suo assistito nelle aule di Tribunale ed un giudice si rivolgerebbe al perito. La sconvolgente vicenda di Carlo Panfilla è stata posta nel dimenticatoio dall’opinione pubblica, ma la paura di quei giorni di latitanza sopravvive ancora forte in una parte della comunità dell’agro aversano. Alla prossima... H
Nelle foto sopra il Municipio di Lusciano a sinistra una pagina di un giornale locale
Polizia Penitenziaria n.211 novembre 2013
24 Rosa Cirone Vice Direttrice Casa Circondariale di Prato rivista@sappe.it
Nella foto da sinistra il bisnonno, il nonno, Rosa Cirone e il figlio
Polizia Penitenziaria n.211 novembre 2013
mondo penitenziario
Quattro volti diversi, un unico DNA: il Corpo di Polizia Penitenziaria i sembrerà strano, ma questi quattro volti che vedete, tanto diversi, hanno qualcosa in comune, fanno parte della stessa famiglia, bisnonno-nonno-madre di un ragazzone alto 190 centimetri, si un agente di Polizia Penitenziaria del 163° Corso. E’ proprio così, la tradizione continua... Il bisnonno (1893-1956) ha conosciuto la triste realtà dell’Ergastolo di Santo Stefano; un
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attraverso l’architetto Carpi, sancisce con vigore il concetto di pena: “Fintanto che la santa giustizia tiene in catene tanti esemplari di scelleratezza, sta salda la tua proprietà, rimane protetta la tua casa”. Il 2 febbraio 1965 il carcere di Santo Stefano chiude definitivamente dopo aver vissuto tra le sue mura le angosce, le disperazioni, il soffocamento di tutte le speranze di molti uomini che, purtroppo, furono i
ti senti venir meno la vita”. Il bisnonno nel 1965 era morto da nove anni ma aveva già da tempo ceduto il posto al figlio che conobbe oltre che lo stesso penitenziario di Santo Stefano, le colonie penali di Pianosa, Mamone e tanti, tanti altri carceri. Egli visse il sorgere delle frequenti rivolte alla fine degli anni ’60 – le barricate – i detenuti sui tetti ma fu anche testimone di una vera e propria rivoluzione in ambito penitenziario, la
giovane di umili origini, padre maniscalco, madre filatrice, lasciava la povera Basilicata per approdare nei primi anni del ‘900 nel cosiddetto inferno in terra il luogo in cui ergastolani e guardie vivevano pressoché la stessa esistenza. Detenuti politici famosi quali Luigi Settembrini, Sandro Pertini, forniscono, attraverso i loro scritti, una testimonianza agghiacciante e proprio le parole di Settembrini sembrano le più calzanti per descrivere questo luogo: “Ecco l’ingresso, non può dire che tumulto d’affetti sente il condannato prima di entrare... con che ansia dolorosa si sofferma e guarda i campi, il verde, le erbe e tutto il mare, e tutto il cielo la natura che non dovrà più rivedere”. La frase apposta all’ingresso del penitenziario testimonia con più efficacia l’intento del legislatore che,
carnefici ma anche le vittime di periodi della nostra storia in cui la parola umanità era quasi sconosciuta. Proprio il bisnonno, suo malgrado, dovette chiudere giovani come lui in celle che avevano “uno spazio di 16 palmi quadrati... in cui vi stavano nove, dieci uomini e più in ciascuna. Erano scure e affumicate come cucine di villani, di aspetto miserrimo e rozzo;con letti squallidi e coperti di cenci... Tetre erano queste celle di giorno, più tetre e terribili la notte, la quale in questo luogo cominciava un’ora prima del tramonto del sole, quando i condannati erano chiusi .., dove nell’estate si ardeva come in fornace, e sempre vi era puzzo. O quanti dolori, quante rimembranze, quante piaghe si rinnovellavano a quell’ora terribile. Nel giorno sempre aspetti e sempre speri; ma quando è chiusa la cella e alzato il ponte levatoio, più non aspetti e non speri, e
Legge n. 354 del 26 Luglio 1975. Finalmente al recluso venivano non soltanto riconosciuti quei diritti fondamentali per non morire di carcere ma diveniva anche l’artefice del suo destino; infatti, il cosiddetto comportamento intramurario e la volontà di cambiare, erano gli elementi imprescindibili per continuare a sperare di tornare in libertà. La madre, giovane ventunenne, si trova catapultata nei primi anni ottanta, da una tranquilla cittadina sul mare, all’interno di una sezione femminile del vecchio carcere di San Giovanni in Monte a Bologna, nel periodo in cui le vicende legate al terrorismo fanno tremare politici e non. Per lei dormire in una cella adibita a caserma con altre ragazze provenienti dal sud, diventa un’occasione di crescita e di assunzione di una
mondo penitenziario responsabilità che probabilmente le sue amiche, lasciate nella piccola città di provincia, non avevano ancora avuto modo di sperimentare. La morte, proprio in quegli anni, di un collega all’interno della sezione maschile dello stesso carcere, l’abituò, come le aveva sempre insegnato il padre, ad aprire gli occhi, a stare molto attenta ai pericoli della sezione e non solo a quelli. Aver slegato un pezzo di stoffa al collo di una giovane detenuta, aver accarezzato il viso di un bambino rom quando chiudeva lo spioncino della cella... Ah! Quanto le è servito durante lo scorrere delle giornate, a volte considerate noiose! Il giovane poliziotto, destinato dopo il corso di formazione ad un istituto
della Toscana, non ha ancora preso coscienza che la sorveglianza dinamica, il prelievo del DNA, il benessere organizzativo, la formazione, sono parole frutto di
dolorose vicende in cui, la figura del custode, pur avendo avuto negli anni diverse connotazioni, è diventato il simbolo di una giustizia si innovativa ma in difficoltà nel dare concretezza ad un dettato normativo sempre in evoluzione. E proprio tale figura che spesso non riesce a limitare i danni di un lavoro unico ma complesso per le molteplici implicazioni che a livello personale determina. Le richieste di aiuto non sentite, non percepite, non colte, molto spesso hanno dato gli esiti drammatici che tutti conosciamo. Sono trascorsi 120 anni, il carcere è stato all’interno di questa famiglia il protagonista; gli attori hanno dovuto recitare e rapportarsi con un pubblico sempre diverso. I buoni consigli dati dal bisnonno al figlio, dal padre alla figlia, dalla madre al figlio, sono stati forse inutili? Forse no, poiché dai regolamenti dei primi anni del ‘900 alla riforma del 1975, tutto fu studiato per operare nelle coscienze la consapevolezza che l’evolversi del sistema penale modifica il modo di guardare il colpevole. Creare un modello di carcere in cui non si viva all’interno delle sue mura il peso della colpa, dove la pena sia più sopportabile ma soprattutto che alla fine dell’espiazione si possano aprire i cancelli per riconsegnare alla società un individuo pronto a
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ricominciare; tutto questo ancora oggi, nonostante i molti progressi, è davvero utopia. Rimane comunque dato incontrovertibile che l’obiettivo di creare un carcere capace di attenuare il peso della punizione, attraverso validi strumenti educativi, non può che essere, in ogni epoca, lo scopo primario del legislatore. Con il trascorrere del tempo, si è sempre più capito che “il penitenziario accoglie l’uomo, il delitto resta alla porta”. Solo riconoscendo tale verità, al carcere spettro e specchio di una società in disgregazione potrà contrapporsi una istituzione capace di collaborare in modo concreto al ripristino di quei valori fondamentali che il consorzio umano riconosce da sempre come propri, nel pieno rispetto che regola uno stato civile. Chissà se il bisnonno quando osservava il detenuto nel triste panottico di Santo Stefano, o il nonno guardando il cielo oscurato dalle ombre dei detenuti sui tetti, o la madre con gli occhi nello spioncino ad osservare se quella notte una donna come lei decideva di morire, riuscivano a vedere la stessa sofferenza che vede il giovane del 163° corso ascoltando un detenuto straniero che legge la lettera della sua compagna lontana. Grazie nonno... anche se non ti ho mai conosciuto! H
Il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria augura Buone Feste a tutti gli iscritti, ai lettori, alle loro famiglie, e a tutti gli appartenenti al Corpo.
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26 a cura di Giovanni Battista de Blasis deblasis@sappe.it
Sopra la copertina e, nell’altra pagina, il sommario e la vignetta del numero di aprile 1999
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come scrivevamo enti anni di pubblicazioni hanno conferito al mensile Polizia Penitenziaria - Società Giustizia & Sicurezza la dignità di qualificata fonte storica, oltre quella di autorevole voce di opinione. La consapevolezza di aver acquisito questo ruolo ci ha convinto dell’opportunità di introdurre una rubrica - Cosa Scrivevamo - che contenga una copia anastatica di un articolo di particolare interesse storico pubblicato tanti anni addietro. A corredo dell’articolo abbiamo ritenuto di riprodurre la copertina, l’indice e la vignetta del numero originale della Rivista nel quale fu pubblicato.
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Nascita dell’istituzione carceraria e sua evoluzione sino ai giorni nostri Aspetti generali della situazione penitenziaria prima del XIX secolo 4ª parte - La situazione italiana di Maurizio Renzi
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lla vigilia dell’Unità, la situazione degli Stati italiani era estremamente differenziata, il sistema auburniano era stato adottato come base della riforma penitenziaria piemontese, ma la realtà con la quale il nascente Stato si doveva cimentare era molto più complessa; causa l’eredità di ordinamenti giuridici, legati a condizioni socio-economiche profondamente differenti dal Nord al Sud. La politica penitenziaria prende avvio con notevole ritardo, venendo a mancare quella fase storica in cui il sistema carcerario aveva svolto funzione di addestramento alla disciplina di fabbrica e di controllo del mercato della forza-lavoro. Questo ritardo è causato dal lento sviluppo della manifattura e della fabbrica e viene compensato, con l’adeguamento della struttura di pena, alla funzione deterrente e terroristica svolta dall’internamento. «II carcere si adeguerà in tutta la nazione al modello di strumento terroristico di controllo sociale, senza che sia possibile rilevare alcuna differenza di gestione tra le zone industrializzate del nord e quelle più arretrate del mezzogiorno, ormai unificate dalla medesima amministrazione centralizzata delle istituzioni penitenziarie». (1) Altra problematica del settore penitenziario, per il nascente Regno, riguarda più gli aspetti strutturali delle carceri che non ci sono, piuttosto che la scelta di un particolare modello anzichè un altro, come invece era accaduto negli altri Stati europei.
L’eredità preunitaria, costituita da strutture fatiscenti, perlopiù frutto dell’adattamento di costruzioni ecclesiastiche, diviene uno dei primi problemi da affrontare in questo settore. Materia di dibattiti alla Camera dei Deputati sarà se conformarsi a modelli quali quello di Philadelphia o di Auburn, ma nella realtà sono pochi gli istituti che vengono costruiti alla fine del secolo e non solo per la scarsa sensibilità politica e la cronica crisi economica nazionale, ma anche per un’indecisione riguardo al modello da adottare, «Lo stesso Cavour, nella veste di Presidente del Consiglio, rassicurava la Camera che, qualora il sistema filadelfiano - del quale egli si dichiarava seguace - fosse risultato nocivo, sarebbe stato sempre possibile adattare i nuovi fabbricati al più mite sistema auburniano!». (2) Dal punto di vista giuridico il Paese è ancora legato al Codice penale sardo, emanato nel 1859; il carattere classista è evidente qualora si osservi, per esempio, che la disciplina del delitto di furto occupa ben ventuno articoli, comprensivi di relative aggravanti, minuziosamente descritte. Maggiori interessati risultano, quindi, gli appartenenti a classi non abbienti, comportando l’applicazione di pene che vanno normalmente da tre a dieci anni se non concorrono più circostanze aggravanti e se non vi è recidività. Tale rigore non traspare, invece, qualora si passi all’esame dei reati contro il patrimonio: esempio la truffa o l’appropriazione indebita (art. 62634 C.P.)
come scrivevamo Risulta evidente come il legislatore abbia privilegiato i soggetti interessati. Questi, per la particolarità del reato, non poteva non prescindere da un certo grado di istruzione e quindi da un livello non eccessivamente basso dal punto di vista sociale, ad essi veniva data la sola pena correzionale del carcere, variabile da un minimo di sei giorni a un massimo di cinque anni. Si deve attendere il1891 per avere un primo intervento normativo, costituito dal Regolamento generale degli stabilimenti carcerari e dei riformatori governativi, successivo all’entrata in vigore, nel 1890, del nuovo codice penale Zanardelli, che aveva avuto il pregio di unificare la normativa ed abolire la pena di morte. Il nuovo Regolamento, promosso dal Presidente del Consiglio Crispi, era ricco di ben 891 articoli e nella sostanza rappresentava un peggioramento della situazione legislativa precedente. Esasperando la centralizzazione burocratica e irrigidendo ancor di più la disciplina del personale di custodia (tanto da equiparare il trattamento di questi ultimi a quello dei detenuti), si cerca di perpetuare un clima di violenza e tensione tra le due categorie, evitando qualsiasi punto di solidarietà tra due diverse, ma non poi tanto, classi di oppressi. Infatti, se i detenuti rappresentavano i ceti più bassi della società, non diversa era la situazione del personale di custodia, proveniente, nella totalità , dalle regioni più povere del Regno, spesso semianalfabeta e privo di alcuna capacità di far valere la propria presenza all’interno della struttura organizzativa delle carceri. Dovevano in sostanza essere l’afflizione aggiuntiva, voluta dallo Stato, per colui che aveva sbagliato e allo stesso tempo, ne dovevano condividere l’infamia e la stigmatizzazione sociale. Oggi, anche se a fronte di tante riforme, il secondino rimane ancora per il sociale, un lebbroso di cui non si può fare a meno. «Dal contenuto dei progetti di riforma e dalle discussioni parlamentari di questi anni si ricava l’impressione della totale assenza di una volontà politica di
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affrontare le riforme delle strutture carcerarie o, meglio, si ha l’impressione di una precisa volontà di perpetuare, in quanto strumenti congegnali all’assetto sociale… le posizioni della burocrazia e del potere politico coincidono e dimostrano una comune volontà di non modificare i pilastri dell’amministrazione penitenziaria, nella convinzione che lo stato di abbrutimento e di soggezione in cui si trovano i detenuti e del personale di custodia rende più facilmente governabile la macchina carceraria». (3) Il carcere è in questo contesto una scuola di corruzione e delinquenza, causa anche il mancato rispetto delle posizioni giuridiche dei ristretti; ove imputati e condannati, per i reati più diversi, vengono custoditi insieme. «Il detenuto viene spogliato, dal momento del suo ingresso in carcere,
della sua personalità, privato del nome sostituito da un numero di matricola, e viene privato, attraverso l’imposizione di obblighi assurdi, di ogni autonomia e capacità di autodeterminarsi, secondo un rituale minuzioso, che non lascia alcuno spazio alla esplicazione della sua individualità e lo rende mero oggetto di custodia». (4) Tutta la vita carceraria verte su un complesso sistema di punizioni e
ricompense, rigidamente codificate dal codice. L’introduzione del Codice Zanardelli attenua solo parzialmente le condizioni vigenti con il Codice sardo. Confermando l ‘esplicita durezza verso i reati di furto contro la proprietà; prevedendo invece in caso di attentati contro l’integrità fisica la possibilità, per la parte economicamente più forte, di risarcire in denaro il danno alla parte lesa, qualora questa non sporga
‡ Polizia Penitenziaria n.211 novembre 2013
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come... querela. L’assetto classista rimane così inalterato, non solo, ma il soggetto dotato di mezzi finanziari può legalmente sfuggire al rigore della legge ed all’umiliazione del carcere. Dal punto di vista scientifico, verso la fine dell’Ottocento, si afferma l’ipotesi secondo cui il sistema penitenziario doveva guarire il delinquente dalla sua delinquenza. La prevenzione, la profilassi criminale e l’esame diretto dell’individuo, per tutto il primo trentennio del secolo XX, si sviluppano sulla base della teoria lombrosiana. Si assiste, quindi, sia pure in misura praticamente marginale, all’ingresso delle scienze dell’uomo nel sistema penitenziario. Nascono vere e proprie strutture diosservazione, destinate ad acquisire sempre più maggiore importanza. H ...continua
Nisida: la Polizia Penitenziaria contribuisce a riaprire i sentieri del parco n questo articolo descriveremo l’eccezionale attività che si è svolta sull’isola di Nisida negli ultimi mesi a cura della Direzione dell’Istituto Penale Minorile napoletano e degli uomini del Corpo di Polizia Penitenziaria che vi prestano servizio. Preliminarmente, corre l’obbligo ricordare che la straordinaria bellezza di Nisida, isoletta dalla ricchissima flora e fauna, ha ispirato fin dall’antichità, autori come Omero, Cicerone, Boccaccio, Sannazzaro, Caderon de la Barca, Cervantes e Dumas, solo per citarne alcuni. Molti di questi autori spesso non si sono limitati a descrivere l’isola, ma hanno trovato in essa l’ispirazione per la creazione di personaggi indimenticabili. L’isola di Nisida è bene del demanio dello Stato, di pertinenza del Ministero della Giustizia in quanto sede di un importante Istituto Penale Minorile e del Centro Europeo per gli studi sulla devianza e la criminalità minorile. L’isola di Nisida ospita inoltre un Reparto Navale del Corpo di Polizia Penitenziaria preposto al pattugliamento delle aree marine circostanti, nonché un settore militare presidiato dalla Guardia di
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Sopra bozzetti di divise per gli Agenti di Custodia
Note: (1) D. Melossi e M. Pavarini, Carcere e fabbrica, Bologna Soc. ed. il Mulino, pag. 12 (2) R. Canosa e I. Colonnello, Storia del carcere in Italia, Sapere 2000, pag. 157 (3) Guido Neppi Modona, Carcere e
Polizia società civile, in “Storia d’ Italia” Penitenziaria pag. 1911-1913, V, pt. II, Torino 1973 n.211 novembre 2013 (4) Ibidem, cfr. pag. 1924
Finanza e dalla Marina Militare. Nisida ricade in una zona a clima meso-mediterraneo caratterizzato da una temperatura media annua di 15° centigradi, che favorisce la produzione di specie tipiche costituenti la cosiddetta macchia mediterranea. Quest’ultima rimasta incontaminata grazie alla presenza dell’Istituto Penale. Numerosi testi di autori classici antichi contengono una descrizione dettagliata delle essenze vegetali presenti sull’isola ivi presenti. Basta ricordare la Naturalis Historia, in cui Plinio osserva: “Namquod in Neside Campaniae insula sponte nascitur, longe optimum existimatur” (Ciò che nasce spontaneamente a Nisida, isola della Campania, è reputato ottimo) che ha ispirato il Rotary Club Napoli Sud Ovest a finanziare un progetto pilota inteso al recupero della coltivazione dell’asparago di Nisida. Ed ancora non si può trascurare l’operato del nobile napoletano Vincenzo Macedonio che, nei primi anni del ’600, provvide ad una sistemazione generale dell’isola, realizzando numerosi sentieri e terrazzamenti che esaltarono ancor di più la bellezza della piccola isola, favorendone anche lo sfruttamento
giustizia minorile
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a cura di Ciro Borrelli Referente Sappe per la Formazione e Scuole Giustizia Minorile borrelli@sappe.it
agricolo. Sfruttando l’opera del Macedonio, che ha permesso tra l’altro di liberare alcuni terrazzamenti dell’isola fino ad allora dimenticati, si è proceduto nel corso degli anni grazie anche alla collaborazione del Corpo Forestale dello Stato e del personale del Corpo di Polizia Penitenziaria in servizio all’I.P.M. di Nisida, a realizzare il progetto di recupero totale dell’area finalizzato alla realizzazione di un percorso naturalistico – letterario, simile ad iniziative analoghe già presenti in Europa. Dal 2013 è stata attivata una collaborazione con il Dipartimento di Architettura e Disegno Industriale ‘Luigi Vanvitelli’ della Seconda Università degli Studi di Napoli, Corsi di Studio in Architettura e Comunicazione, volta a valorizzare, attraverso la comunicazione visiva multimediale, sia il rilievo architettonico dei corpi di fabbrica presenti sull’isola, per i quali si procederà con particolare attenzione allo studio delle ipotesi di funzionalità originaria (studio archivistico e bibliografico delle fonti) e a quelle possibili e future (definizione di un progetto di eventuale rifunzionalizzazione dei corpi di
fabbrica emersi); sia l’individuazione e la rifunzionalizzazione dei percorsi naturali che portano a mare e che potrebbero costituire un’ipotesi progettuale di fruizione culturale e ambientale dell’Isola attraverso la costituzione di piccoli gruppi sociali (scolaresche, cittadini) accompagnati dal personale del Corpo di Polizia Penitenziaria. Organizzare queste risorse sul territorio significa rafforzare l’identità dell’isola come patrimonio della città, dedicato ad una azione sociale
altamente qualificata per accrescere l’orgoglio dell’appartenenza e stimolare il recupero di attività economiche e di tradizioni caratteristiche del luogo. Il progetto ha il sostegno del Ministero dell’Istruzione e del Ministero dell’Agricoltura ed è stato premiato dal Presidente della Repubblica come iniziativa d’eccellenza di promozione della cultura dell’Ambiente con una cerimonia avvenuta in Castelporziano il 14 maggio 2010. H
Nelle foto alcune immagini della splendida isola di Nisida
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il punto sul corpo
La sicurezza penitenziaria Esigenza primaria gestita ed organizzata da presunti "addetti ai lavori"
L
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a Scienza della sicurezza è il possesso d’esperienze, d’acquisizioni di sapere e di procedimenti professionali che la rendono fondamentale al supporto della governance di organizzazioni complesse che si pongono, per essa stessa natura, in diretta relazione alle comunità ed alle relazioni penitenziarie considerate nel loro insieme sia generale che oggettivamente specifico. Nel caso di specie si tiene a rilevare come la sicurezza penitenziaria sia organizzata, programmata e soprattutto gestita da individualità poste a vario livello gerarchico che, da quanto si osserva, non hanno quella preparazione professionale tecnica e specifica idonea a ricoprire i ruoli assegnati alle differenti responsabilità ed alle esigenze di struttura. La “Sicurezza” in quanto tale è una materia precisa che lo Stato, tramite sistemi ordinati e codificati, gestisce attraverso Organismi militari e militarmente organizzati. Questi ultimi, in perfetta aderenza alle rispettive competenze ed ai rispettivi ordinamenti specifici, la assicurano e la gestiscono rispondendone direttamente all’organo politico di riferimento. Ora, la Sicurezza Penitenziaria da sempre sembra sfuggire a tale logica organizzativa; tale delicato settore dello Stato, infatti, è gestito, oltre che con scarsa competenza tecnica, anche con una dose di superficialità oggettiva che ad una attenta analisi della attuale situazione, ha margini per far rabbrividire anche chi, sic et simpliciter, potrebbe avere una lettura profana di ciò che si sta qui analizzando. La materia, nel suo specifico, richiederebbe capacità d’evoluzione continua, attuabile tramite la ricerca e l’applicazione di tecniche ed innovazioni organizzative che possano qualificare una moderna professionalità della Polizia Penitenziaria e che possano altresì contribuire in maniera sostanziale alla realizzazione di servizi efficaci ed efficienti. E’ fuor di dubbio che tutto ciò, allo stato attuale, oltre a mancare non è solo NON realizzabile ma neanche pensabile proprio a causa d’interpreti che, come sin qui evidenziato, nulla hanno a che fare con la materia “Sicurezza” appunto. FARE sicurezza per FARE prevenzione è un concetto che deve realizzarsi tramite un’assimilazione sicura, capace e cosciente da parte di chi si deve far garante di attuazione di sistemi complessi ma che allo stato attuale è incapace di recepire, sia per scarsa volontà che per scarsa Professionalità. La critica qui mossa è diretta ai nostri Dirigenti che a causa d’altissima ed immotivata autostima sembrano
vivere in un Empireo nel quale il Sommo Giove potrebbe apparire l’ultimo dei servitori. La cultura della Sicurezza, quando assume il principio della prevenzione, adotta lo strumento della programmazione degli interventi e si avvale sia dell’analisi delle condotte e delle relazioni criminali, sia dell’osservazione individuale la quale non solo serve per la protezione delle condizioni operative, ma anche per dare affidabilità e certezza della responsabilità istituzionale rispetto all’esecuzione delle pene e della tutela della libertà e dei diritti dei singoli cittadini. Tutto ciò, com’è logico, è assolutamente correlato anche alla vita ed alla dignità delle persone detenute ed internate. Una Sicurezza evoluta deve garantire ai condannati l’inizio di un nuovo percorso di riabilitazione personale e d’emancipazione sociale libero da condizionamenti e da elementi che possano costituire una reale pericolosità resa effettiva dal loro collegamento con le organizzazioni criminali esterne, visto che queste ultime, è inutile negarcelo, continuano imperterrite ad esercitare la propria influenza criminale anche all’interno dell’ ambito penitenziario. In questo settore la Polizia Penitenziaria deve razionalizzare e rendere più efficienti i propri servizi assumendo modelli operativi ed innovativi, riorganizzando i servizi esistenti ed introducendo supporti tecnologici ed informatici atti a migliorare l’efficacia e le condizioni complessive di lavoro. Allo stesso tempo dovrebbe rivedere i moduli della formazione, tarandoli su una adeguata professionalizzazione del personale destinato ai diversi circuiti di Sicurezza ed alla sua specializzazione nelle nuove tecniche operative e dell’innovazione dei servizi. È ovvio che l’esigenza prospettata presuppone l’istituzione di strutture permanenti centrali e territoriali con funzioni d’analisi, di ricerca e di supporto ai servizi di Sicurezza degli istituti penitenziari e di conseguente raccordo delle linee programmatiche di destinazione delle strutture ai diversi circuiti penitenziari. Fatto questo, si rende necessaria e conseguente la razionalizzazione dell’impiego del personale del Corpo, con l’inderogabile necessità di investimenti per la Sicurezza e la gestione dei servizi logistici e di amministrazione relativa, anche e soprattutto, ai bisogni della popolazione detenuta e del personale che la deve giocoforza gestire. In altre parole dovrebbe essere istituita una linea di comando che ora NON esiste e che quindi, in situazioni di perenne emergenza, rende palese l’incertezza e
il punto sul corpo l’inadeguatezza delle disposizioni di vertice che si materializzano in situazioni a dir poco paradossali e che spesso sfociano in conflitti tra Dirigenti e personale nella assoluta e conflittuale attribuzione di responsabilità. Insomma, ognuno dice la sua a diverso titolo e a vario livello ma, quando è il momento di tirare le somme, se il risultato ha prodotto sia pur minimi benefici tutti reclamano la paternità delle decisioni, in caso contrario, diventa una sorta di scarica barile, nessuno con la decisione presa o la direttiva impartita ha prodotto il danno ergo, nessuno è colpevole ...quindi nessuno è sanzionabile. Il massimo della garanzia per gli incapaci, non c’è che dire... Insomma, una bella situazione tipicamente italiana. E’, ovvio, che la linea di comando andrebbe supportata. Stanti i fatti, per assioma ne discende che; L’organizzazione logistica nei suoi sistemi essenziali deve essere organizzata secondo il principio della organizzazione di strutture complesse ed articolate. Tale strumento tecnico, si chiama organizzazione logistica. Qui rabbrividisco ulteriormente perché, se analizzo l’esegesi della parola “logica” e la raffronto alla struttura che conosco, mi rendo conto che ho ben poco di cui rallegrarmi... Proveremo, perlomeno, a limitarne i confini. L’ORGANIZZAZIONE LOGISTICA Generalità L’organizzazione logistica è un complesso di procedure che disciplina a livello nazionale, regionale e locale l’impiego di uomini, di mezzi e di materiali (strumento logistico). L’organizzazione, opportunamente articolata in fasce logistiche, svolge attività razionali e programmate per consentire l’impiego dello strumento operativo, in altre parole l’approntamento di strutture di supporto per la gestione degli uomini, dei mezzi e dei materiali ed il loro riordino al termine dell’impiego. I PRINCIPI DELLA LOGISTICA La logistica della Polizia Penitenziaria dovrebbe essere basata sull’osservanza di alcuni principi fondamentali, ai quali essa si deve ispirare per la propria organizzazione e per il proprio funzionamento; tali principi sono: la previsione, la flessibilità, il bilanciamento, la semplicità, la specializzazione e l’interoperabilità. • La previsione è il principio cardine della logistica, si basa su un’attenta attività di programmazione che consente di ridurre al minimo le azioni correttive necessarie a fronteggiare sviluppi della situazione non previsti. • La flessibilità è la capacità di adattare l’organizzazione logistica e le procedure all’evolvere della situazione operativa. Si deve tener conto di questo principio già in fase di pianificazione, in modo tale da predisporre il
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sostegno così che esso sarà in grado di fronteggiare le varie scelte d’impiego che si potrebbero verificare nell’ambito di utilizzo. • Il bilanciamento consiste nella ricerca del giusto equilibrio tra il raggiungimento degli scopi, la qualità e la quantità delle risorse investite, nonchè le modalità operative e logistiche adottate. • La semplicità è il criterio di base al quale la logistica si deve ispirare per far sì che l’organizzazione e le procedure consentano uno sviluppo lineare delle attività; devono essere pertanto evitate complesse relazioni gerarchiche e funzionali. Si deve evitare, inoltre, a tutti i livelli il perfezionismo formale che produce inevitabilmente un rallentamento delle attività. • La specializzazione è un altro principio fondamentale da considerare, in quanto la logistica moderna riveste caratteristiche d’elevata complessità dovuta a diversi fattori tra i quali le tecnologie con le quali ci si trova a confronto. In tal senso, la condotta del supporto logistico deve essere affidata ad organi specializzati, (non a caso esistono le specializzazioni). • L’interoperabilità deve essere considerata soprattutto in fase di pianificazione, in quanto la specializzazione e l’evoluzione della Polizia Penitenziaria in ambito nazionale porta ad un’evoluzione e ad un aumento dei servizi che comportano l’impiego di uomini e mezzi, quindi l’esigenza a mantenere efficienti entrambi, pur dovendo rispondere ad una inevitabile riduzione dei costi di gestione. E’, pertanto, fondamentale standardizzare il più possibile le procedure d’impiego di uomini, mezzi e materiali con il fine ultimo di ottenere risultati significativi sotto l’aspetto dell’economicità, senza pregiudicare la capacità operativa. Quanto appena enunciato è evidente che non è praticabile nell’immediato, a causa della mancanza di fiducia o di opinione sicura mal riposta nei confronti del personale di Polizia Penitenziaria. Quindi, tornando a bomba, come può un organismo militarmente organizzato, il quale dovrebbe fare della semplicità e dell’efficienza il proprio dogma, essere gestito a tutto tondo da soggetti che neanche conoscono il significato di linea di comando e di organizzazione logistica e che in strutture analoghe (Carabinieri, Polizia di Stato, Guardia di Finanza ecc.), verrebbero presi a calci nel deretano? Risposta: infatti non funziona, o funziona male, oppure funziona con una percentuale di efficienza talmente bassa che i benefici non sono valutabili e riscontrabili. PS Non ho inventato nulla, nel 2014 è già stato inventato e scritto tutto, è solo necessario saper leggere e, saper copiare. L’esercito Romano faceva della semplicità della linea di comando e dell’organizzazione logistica la propria incontrastabile forza. Sarebbe sufficiente perdere un pochino di tempo a leggere. H
Nele foto alcune fasi delle riprese
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inviate le vostre foto a rivista@sappe.it
A fianco 1930-40 Colonia Penale di Castidias (foto inviata da Maurizio Mattana) sotto: 1968 C.R. Sulmona Festa per l’Epifania (foto inviata da Carmelo Parente)
a fianco 1973 Scuola AA.CC. di Cairo Montenotte 40° Corso (foto inviata da Domenico Lauro) a destra 1980, Cassino 13° Corso Ausiliario (foto inviata da Carlo Core
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eravamo così
eravamo così
In alto, a sinistra 1953, “l’orchestrina” di Gorgona (foto inviata da Paolo Di Filippo)
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Sopra, 1981 C.R. Palmi (foto inviata da Vittorio Trovato)
a sinistra: 1982 C.C. Torino Le Nuove (foto inviata da Maurizio Melito)
Sopra: 1979 C.R. di Civitavecchia (foto inviata da Alessandro Serra) a sinistra: 1985 C.R. di Spoleto (foto inviata da Antonio Fania) A fianco 1984 C.C. di Asti. Festa del Corpo (foto inviata da Giuseppe Lai)
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l’ultima pagina
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il mondo dell’appuntato Caputo Carcere a 5 stelle di Mario Caputi e Giovanni Battista de Blasis © 1992-2013
POSSO AVERE LA COLAZIONE ALLE 9:30? BENVENUTO, LA SUA CELLA E’ PRONTA...
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