Polizia Penitenziaria - Gennaio 2014 - n. 213

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anno XXI • n. 213 • gennaio 2014 www.poliziapenitenziaria.it

Costruiamo insieme il futuro della Polizia Penitenziaria



sommario

anno XXI • numero 213 gennaio 2014

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In copertina: Cubi che compongono il 2014

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www.poliziapenitenziaria.it

l’editoriale

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Il Sappe in tv in difesa dell’onorabilità della Polizia Penitenziaria Organo Ufficiale Nazionale del S.A.P.Pe. Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria

di Donato Capece

il pulpito Direttore responsabile: Donato Capece capece@sappe.it

Costruiamo insieme il futuro della Polizia Penitenziaria

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di Giovanni Battista de Blasis

Direttore editoriale: Giovanni Battista de Blasis deblasis@sappe.it

il commento

Capo redattore: Roberto Martinelli martinelli@sappe.it

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Il sacrificio dei nostri Caduti e il dovere morale di ricordare

Redazione cronaca: Umberto Vitale

di Roberto Martinelli

Redazione politica: Giovanni Battista Durante Progetto grafico e impaginazione: © Mario Caputi (art director)

l’osservatorio

www.mariocaputi.it

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Manuale di criminologia Parte seconda

“l’appuntato Caputo” e “il mondo dell’appuntato Caputo” © 1992-2014 by Caputi & de Blasis (diritti di autore riservati)

di Giovanni Battista Durante

Direzione e Redazione centrale Via Trionfale, 79/A - 00136 Roma tel. 06.3975901 r.a. • fax 06.39733669 e-mail: rivista@sappe.it web: www.poliziapenitenziaria.it

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sport

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Nelson Mandela: «Lo sport ha il potere di cambiare il mondo» di Lara Liotta

Le Segreterie Regionali del Sappe, sono sede delle Redazioni Regionali di: Polizia Penitenziaria-Società Giustizia & Sicurezza Registrazione: Tribunale di Roma n. 330 del 18 luglio 1994

crimini e criminali Il mostro di Firenze (Seconda parte) di Pasquale Salemme

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Stampa: Romana Editrice s.r.l. Via dell’Enopolio, 37 00030 S. Cesareo (Roma)

il punto sul corpo

Finito di stampare: gennaio 2014

Un Corpo di Polizia dello Stato è in mano a dei dilettanti

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di Daniele Papi

Questo periodico è associato alla Unione Stampa Periodica Italiana Il S.A.P.Pe. è il sindacato più rappresentativo del Corpo di Polizia Penitenziaria

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Chi vuole ricevere la Rivista direttamente al proprio domicilio, può farlo versando un contributo di spedizione pari a 20,00 euro, se iscritto SAPPE, oppure di 30,00 euro se non iscritto al Sindacato, tramite il c/c postale n. 54789003 intestato a:

POLIZIA PENITENZIARIA - Società Giustizia & Sicurezza

Via Trionfale, 79/A - 00136 Roma specificando l’indirizzo, completo, dove va spedita la rivista.

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l’editoriale

Linea Gialla, Report, Striscia la notizia: il Sappe (e solo il Sappe) in tv a difesa dell’onorabilità della Polizia Penitenziaria Donato Capece Direttore Responsabile Segretario Generale del Sappe capece@sappe.it

Le diverse testate delle trasmissioni televisive nelle quali è intervenuto il Sappe

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egli ultimi giorni del 2013 il SAPPe è stato mediaticamente in prima linea a tutela e difesa dell’onorabilità del Corpo di Polizia Penitenziaria e dei suoi appartenenti. Per non parlare, poi, delle decine di articoli di quotidiani e periodici o dei numerosi lanci delle principali agenzie di stampa nazionali attraverso i quali denunciamo ogni giorno i disagi che dobbiamo affrontare nelle strutture penitenziarie del Paese.

Paese a favore di un potenziamento dell’area penale esterna per i reati con pene brevi da scontarsi i cui autori non siano socialmente pericolosi. Abbiamo, ancora, denunciato presunte anomalie delle gare di appalto per il vestiario nella disponibilità delle donne e degli uomini della Polizia Penitenziaria, in relazione al fatto che potrebbero essere stati distribuiti un certo numero di berretti di provenienza incerta che, a quel che ci risulta,

Poliziotti che sono stufi di indossare divise e vestiario di scadente fattura e di materiale grossolano. Lasciamo ad altri la scelta di fotografare le celle dei detenuti durante le visite sindacali nelle carceri o partecipare a marce in favore di amnistia e indulto al fianco di eterogenee compagnie... Noi restiamo – fermamente e convintamente - dall’unica parte che riteniamo giusta: la Vostra, quella dei poliziotti penitenziari!

Negli ultimi giorni del 2013 siamo stati ospiti in tv, con il sottoscritto, a Linea Gialla (La7), Report (RaiTre) e Striscia la Notizia (Canale5). Abbiamo difeso e tutelato l’onorabilità del Corpo in relazione a talune infamanti accuse ed al linciaggio mediatico per la morte di Federico Perna, a Napoli. Abbiamo denunciato i soldi pubblici spesi inutilmente per uno strumento, il braccialetto elettronico, che potrebbe essere utile anche in Italia (come lo è già in molti Paesi europei) per rivedere il sistema dell’esecuzione della pena nel nostro

sarebbero stati confezionati in Cina con materiali difformi dal capitolato (plastica e fibra di catrame) con un certo rischio di tossicità per chi li indossa. C’abbiamo messo la faccia, ancora una volta, per schierarci da quella che riteniamo essere la parte giusta: quella dei poliziotti penitenziari! Poliziotti che si sono sentiti e si sentono offesi nell’essere etichettati come aguzzini e violenti. Poliziotti che giudicano quantomeno immorale vedere spesi inutilmente soldi pubblici per strumenti che potrebbero lenire le gravi, pesanti e stressanti condizioni di lavoro in sezioni detentive sovraffollate.

Siamo stati, siamo e saremo – spesso in splendida solitudine – in prima linea a difendere la Polizia Penitenziaria, la sua professionalità e la sua missione istituzionale. Continueremo su questa strada, per il bene del Corpo di Polizia Penitenziaria, delle sue donne e dei suoi uomini, convinti di essere dalla parte giusta. Ed è con questa convinzione che, pur con l’animo ancora sconvolto per la tragedia avvenuta nel carcere di Torino a metà dicembre quando un Assistente Capo ha prima ucciso un Ispettore e poi si è suicidato, vorremmo auspicare che nel 2014 si possa costruire insieme un futuro migliore per la nostra Polizia Penitenziaria. H

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il pulpito

Costruiamo insieme il futuro della Polizia Penitenziaria

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l 27 dicembre 1990 venne pubblicata, sul supplemento ordinario n. 88 della Gazzetta Ufficiale n. 300, la legge di riforma del Corpo degli Agenti di Custodia che prevedeva la nascita, l’11 gennaio 1991, della Polizia Penitenziaria. Contemporaneamente, proprio l’11 gennaio 1991 insieme a Cgil, Cisl e Uil, nacque il SAPPe, il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria. Con una sola sostanziale differenza: noi siamo davvero nati insieme alla Polizia Penitenziaria ...dalla Polizia Penitenziaria e per la Polizia Penitenziaria. Con tutto il rispetto per loro, Cgil, Cisl e Uil erano soltanto delle “filiali” delle confederazioni che a rappresentare i Poliziotti Penitenziari inviarono tre “civili” del Ministero di Grazia e Giustizia (Gianni Vigilante, Sebastiano Mazzone e Sergio Grisini). La nostra fu subito una partenza con handicap: milleseicento iscritti contro gli oltre diecimila ciascuno di Cgil e Cisl ed i cinquemila della Uil. E, peraltro, per far riconoscere la nostra rappresentatività fu necessario ricorrere giurisdizionalmente, tanto che fummo ammessi al tavolo dipartimentale soltanto nel febbraio del 1992, con un anno di ritardo e solo dopo una sentenza del Tar del Lazio. A Gennaio del 1993 eravamo già seimila. Nel 1994 diventammo il primo sindacato e l’anno dopo superammo da soli il numero di iscritti di Cgil, Cisl e Uil messi insieme. Nel 1996 raggiungemmo il record di iscritti con più di dodicimila aderenti. Poi, dopo che il “lavoro sporco” lo avevamo fatto noi, arrivarono gli altri sindacati e sindacatini. Il primo fu l’Osapp, nato da una costola del Sappe come l’acronimo napoletanamente suggerisce (’o sapp), poi il Sinappe e via, via tutti gli

altri. Tuttavia, nonostante il proliferare di sindacati e sindacatini, la diminuzione del personale in servizio e la fuoriuscita di “illustri” personaggi, oggi noi del Sappe siamo ancora qui: primo sindacato del Corpo, undicimila iscritti ed il 30 per cento di rappresentatività (e sempre con un numero di aderenti superiore al totale di Cgil, Cisl e Uil). Nel frattempo siamo arrivati a ventiquattro anni di vita. Da venti anni pubblichiamo il mensile Polizia Penitenziaria - Società Giustizia & Sicurezza che, oltre ad essere diventato una autorevole voce di opinione ed un attendibile periodico di cronaca, ha guadagnato la dignità di qualificata fonte storica. Da quattro anni (dicembre 2009) Polizia Penitenziaria - Società Giustizia & Sicurezza è andata online: www.poliziapenitenziaria.it e nel 2013 ha raggiunto un milione di visitatori l’anno per un totale di tre milioni di pagine aperte. Sapevamo che il tempo e le risorse investite sulla versione online della Rivista ci avrebbero premiato. Il blog è diventato un vero e proprio punto di riferimento per gli internauti che si interessano di Polizia Penitenziaria e di esecuzione penale e questo senza aver tolto nulla agli altri canali di informazione del Sappe che abbiamo, anzi, integrato e valorizzato con l’unico obiettivo di informare al meglio tutti i nostri colleghi. Crediamo molto, moltissimo, nell’informazione e nella libera circolazione delle notizie perché siamo

convinti che soltanto poliziotti penitenziari in grado di sapere tutto ciò che avviene negli istituti penitenziari, al Dap e al Ministero della Giustizia, possono prendere coscienza delle reali problematiche del Corpo scegliendo poi di dare forza al sindacato che ne è rimasto l’ultimo baluardo. Il Sappe, per questo, vuole fortemente che “tutti sappiano tutto” e non solo del palazzo, ma anche dei sindacati: cosa fanno per il Corpo e chi sono

e cosa fanno coloro che li dirigono, tanto quanto è necessario sapere quello che succede all’interno del Palazzone di Largo Luigi Daga. In questo modo il Sappe spera di essere scelto per rappresentare gli interessi generali e personali, perché si sa cosa fa, quando lo fa ed in che modo lo fa, così che ogni Poliziotto Penitenziario sia davvero in grado di discernere tra Sindacato e sindacato. Noi abbiamo alle spalle ventiquattro anni di storia, undicimila iscritti che credono in noi ed i mezzi di informazione in grado di raggiungere ogni collega in qualunque parte d’Italia. Abbiamo fatto e stiamo facendo la storia del Corpo... Seguiteci, sosteneteci, dateci forza... in questo 2014, costruiamo insieme il futuro della Polizia Penitenziaria! H

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Giovanni Battista de Blasis DirettoreEditoriale Segretario Generale Aggiunto del Sappe deblasis@sappe.it

La rivista Polizia Penitenziaria Società Giustizia & Sicurezza nella versione cartacea ed in quella online

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Roberto Martinelli Capo Redattore Segretario Generale Aggiunto del Sappe martinelli@sappe.it

il commento

Il sacrificio dei nostri Caduti e il dovere morale di ricordare bbiamo in più occasioni scritto, sulle pagine di questa Rivista, come e quanto sia sempre più necessario e doveroso ricordare il sacrificio umano pagato dai nostri Caduti. Abbiamo sottolineato come l’unica efficace arma contro l’oblio sia proprio quella di tenere vivo il ricordo di chi non c’è più, perché il ricordo delle vittime non è solo un lutto privato ma anche un lutto collettivo. Il SAPPe, e chi scrive in particolare, si è spesso occupato della memoria di quegli anni tragici perché non vi sia mai una rimozione storica di ciò che è accaduto e parimenti non sia dimenticato il sacrificio dei Caduti, degli assassinati, dei feriti e degli invalidi.

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Nelle foto la lapide dedicata ai Caduti dell’Amministrazione Penitenziaria del DAP a destra il Maresciallo Francesco Di Cataldo

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Non si trattò, con particolare riferimento ai periodi bui del terrorismo ed a quel periodo della nostra storia noto come anni di piombo, di vittime di scontri o episodi di una presunta guerra civile, come viene falsamente sostenuto da alcune fonti, ma di cittadini barbaramente trucidati in una lucida follia eversiva, sfociata talvolta in giochi di tiro al bersaglio. Terrorismo, ma non solo. Poliziotti penitenziari, Agenti di Custodia e vigilatrici penitenziarie: il Martirologio del Corpo è purtroppo fitto e lungo.

Ha detto bene il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, quando sottolineò, era il 2008, come fosse necessario “scongiurare ogni rischio di rimozione di una così sconvolgente esperienza vissuta dal Paese, per poter prevenire ogni pericolo di riproduzione di quei fenomeni che sono tanto costati alla democrazia e agli italiani”. Purtroppo negli ultimi anni abbiamo visto il riaffiorare del terrorismo: occorre opporre a questo pericoloso fermentare di rigurgiti terroristici la cultura della convivenza pacifica, della tolleranza politica, culturale, religiosa, delle regole democratiche, dei principi, dei diritti e dei doveri sanciti dalla Costituzione repubblicana. E occorre ribadire e rafforzare, senza ambiguità, un limite assoluto, da non oltrepassare qualunque motivazione si possa invocare: il limite del rispetto della legalità, non essendo tollerabile che anche muovendo da iniziative di libero dissenso e contestazione si varchi il confine che le separa da un illegalismo sistematico e aggressivo. E per non dimenticare i Caduti del Martirologio della Polizia Penitenziaria segnalo due iniziative davvero importanti. La prima è la notizia che per l’anno 2014 vedrà finalmente la luce il libro sui Caduti del Corpo di Polizia Penitenziaria. Come ricorderete, la pubblicazione è stata richiesta dal SAPPe ormai molti anni fa in sede di Commissione Ricompense e periodicamente sollecitata nelle segreterie dei vari Capi Dipartimento che si sono via via succeduti in largo Luigi Daga. La notizia, per voce del Vice Capo DAP Luigi Pagano, è che entro il primo semestre del 2014 il libro sarà

disponibile in forma digitale - ebook sul sito internet del Corpo e in forma cartacea per alcune migliaia di copie. Racconterà la storia familiare e professionale di ognuno dei nostri Caduti e, grazie al lavoro certosino di raccolta dei materiali curato dall’Ufficio Stampa del DAP, sarà corredato con ogni utile documento storico. La seconda importante notizia riguarda uno dei nostri Caduti:

Francesco Di Cataldo, maresciallo in servizio a San Vittore, ucciso a 51 anni dalle Brigate Rosse il 20 aprile 1978. Il nipote 19enne Francesco ha infatti realizzato un cortometraggio, “Per questo mi chiamo Francesco”, nel quale riesce a riassumere in otto minuti tanto asciutti quanto potenti la “sua” storia. Il ragazzo ha ricostruito la vicenda quella mattina di sedici anni prima che lui nascesse: quando intorno alle 7 in via Ponte Nuovo, zona Crescenzago, il maresciallo Francesco Di Cataldo viene freddato da un commando della colonna


il commento

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preparare la strada per il futuro, allora, innanzitutto, non dobbiamo dimenticare”. Va però anche detto che tutti o quasi i carnefici di quegli anni sono usciti alla spicciolata e ora sono quasi tutti fuori dalle galere. Con qualche restrizione o completamente liberi. Gli ex terroristi sono rientrati nella società. Alcuni lavorano nelle cooperative, che offrono una chance di reinserimento agli ex detenuti; altri hanno preso strade diverse. C’è anche chi è addirittura entrato nelle istituzioni e nel Parlamento, Walter Alasia delle Brigate Rosse. Cercatelo, su internet, questo piccolo film dedicato a tutte le Vittime delle Brigate Rosse: lo trovate, ad esempio nella rubrica video del sito del quotidiano Corriere della Sera, all’indirizzo www.corriere.it. Probabilmente vi capiterà, come è successo a me, di solcare il viso con quale lacrima nel vedere il ricordo del vicecomandante degli agenti di custodia di San Vittore, diretto allora da Amedeo Savoia. Nel vedere i filmati d’epoca, nell’ascoltare i colleghi del maresciallo Di Cataldo e la composta dignità della moglie. Proprio in un articolo del Corriere si ricorda come i giornali riportano della sua figura una serie di dettagli che la dicono già lunga da sé: responsabile del centro clinico del carcere e “uomo del dialogo” ante litteram, al punto che i detenuti mandano corone di fiori ai suoi funerali, impegnato con parecchi anni di anticipo – come ha ricordato l’attuale Vice Capo del Dipartimento amministrazione penitenziaria, Luigi Pagano - su quel fronte volto al “recupero dei detenuti” che avrebbe poi portato alla legge Gozzini. La domanda che il giovane Di Cataldo pone, alle persone che ha incontrato per il suo cortometraggio, è semplicemente “perché?”. E la pone soprattutto dopo aver letto il volantino con cui le Br, rivendicandone l’esecuzione, lo bollavano come “aguzzino”. Ed è esattamente la stessa domanda che suo padre Alberto - il figlio del maresciallo ucciso - rivolse

Nelle foto sopra la Cerimonia di intitolazione della strada alla MOMC Germana Stefanini a fianco la vecchia lapide dei Caduti relagata nel seminterrato del DAP

inutilmente alla fine del processo d’appello ai tredici brigatisti condannati all’ergastolo per quel delitto. E allora ricordare il Sacrificio - spesso estremo – dei nostri Caduti, di tutti i nostri Caduti, e il loro Martirio è un dovere per un Paese degno di questo nome. Il film del giovane Francesco di Cataldo si conclude con l’elenco delle vittime delle Brigate rosse. E una frase di Ben-Zion Dinur, che facciamo nostra: “Se vogliamo vivere e trasmettere la vita ai nostri posteri, se vogliamo credere che stia a noi

buttando via il passato come uno zaino ingombrante, ed è stato pagato da quello Stato combattuto in gioventù. Alla faccia della Giustizia (quella vera, con la G maiuscola), del dolore dei familiari e degli amici delle vittime. Certo resta una domanda inquietante, da decenni senza risposta. Contigua ai terroristi c’era una vasta area di fiancheggiatori di cui non si parla mai: erano migliaia e migliaia di persone... Chi erano? Dove sono oggi? Quali poltrone occupano? H

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Giovanni Battista Durante Redazione Politica Segretario Generale Aggiunto del Sappe durante@sappe.it

l’osservatorio

Manuale di criminologia parte II: criminalità, controllo, sicurezza l secondo volume del manuale di criminologia, di cui abbiamo già scritto nel numero precedente, quando abbiamo parlato del primo volume, tratta della criminalità, del controllo e della sicurezza. Dopo aver trattato di dinamica del crimine e spazio di vita, nel primo capitolo, gli autori, nel secondo, trattano i delitti contro il patrimonio: il furto, definito come un fenomeno normale nell’età infantile, dovendosi considerare come un compenso a frustrazioni. La rapina è un altro tipico delitto delle aree urbane ed in passato ascritto all’età adulto-giovanile. Infatti, negli anni settanta del secolo scorso, una caratteristica del rapinatore era quella di essere giovane. Il 77% delle persone arrestate per rapina nel 1970 erano di età inferiore ai 25 anni; il 57% era inferiore ai 21 anni e il 3% sotto i 18 anni. Solo il 6% erano donne. Oltre a questi rilievi che si riferiscono agli U.S.A., si poteva constatare che, nel 1967, sempre in America, il numero delle rapine commesse nelle grandi città fu di 29 volte superiore a quello registrato nelle zone rurali. La truffa è uno dei reati senz’altro più diffusi che però compare scarsamente nelle statistiche ufficiali e rientra probabilmente nel numero oscuro, dal momento che frequentemente la vittima, oltre che danneggiata, è mortificata e si vergogna di essere stata oggetto di un danno che si realizza appunto in un’interazione stretta tra autore e vittima. Nel terzo capitolo gli autori trattano della criminalità economica violenta, compliance models e rating di legalità delle imprese. Importanti pagine di denuncia sono

I La copertina del libro

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state pubblicamente avanzate in maniera non equivoca da intellettuali di metà ottocento. Si pensi, ad esempio, alla capacità di sottrazione alla giustizia da parte del potere economico, delineata da Engels nel 1848, nelle pagine riportate all’attenzione degli studiosi da Amedeo Cottino. Quest’ultimo ricorda che “Egli non soltanto non si accontenta di denunciare la devastante violenza del primo capitalismo britannico esercitata sulle masse dei lavoratori; dal suo testo più famoso sulla condizione della classe operaia in Inghilterra emerge con altrettanta lucidità la consapevolezza del legame tra potere e immunità, tra potere e crimine. In questo senso, le sue osservazioni empiriche e le riflessioni che le accompagnano sono esemplari”, la dove afferma che “Se un ricco viene portato, o piuttosto invitato dinanzi al tribunale, il giudice rammaricandosi di dovergli procurare tanto incomodo, rigira il più possibile la faccenda in suo favore, e

se proprio deve condannarlo, di nuovo se ne rammarica infinitamente ecc., ed il risultato è una misera pena pecuniaria: il borghese butta con disprezzo il denaro sul tavolo e se ne va. Ma se tocca ad un povero diavolo comparire dinanzi al giudice di pace, quasi sempre ha dovuto trascorrere la notte in guardina insieme a molti altri, viene considerato a priori colpevole apostrofato in malo modo..”. Il quarto capitolo affronta il tema dell’incendio doloso e della piromania. L’incendio doloso e la piromania sono fenomeni non univoci, ma riconducibili, come evenienza morbosa, a condizioni psicopatologiche differenti. I capitoli cinque e sei affrontano il problema della mafia, ovvero della criminalità organizzata di stampo mafioso, sia dal punto di vista della definizione giuridica, sia, e soprattutto, come fenomeno socioculturale. Il sesto capitolo si chiude con alcune considerazioni sull’imprenditorialità mafiosa. Nel capitolo sette si fa un’analisi delle organizzazioni criminali nella prospettiva della teoria del campo. Il capitolo otto affronta il tema dell’omicidio-violenza-vittima. Nel capitolo nove si affronta il tema del terrorismo e nel dieci i delitti sessuali. Il volume affronta anche i temi, attualissimi, della tratta degli esseri umani, del bullismo, della criminalità informatica e telematica, la pedopornografia e l’adescamento on line dei minori, senza trascurare un aspetto spesso dimenticato: la vittimologia, i centri di ascolto delle vittime e la rappresentazione delle vittime. L’ultima parte del libro è dedicata alla giustizia, al carcere, alla riabilitazione del crimine e alla solidarietà sociale, nonché al trattamento penitenziario del condannato. H


interventi ricevuti

Il Poliziotto Penitenziario è solo nell’incontro/scontro con il detenuto randi numeri sulla pelle di chi sta in prima linea. Preoccupa l’aumento dei suicidi degli operatori di Polizia Penitenziaria in Italia. Oltre cento operatori penitenziari dal 2000 ad oggi si sono tolti la vita: operatori, direttori, provveditori, secondo il sindacato autonomo SAPPe. Quasi un evento negativo al mese sembra veramente eccessivo, ma questi argomenti rimangono gelosamente custoditi entro le pareti scrostate delle carceri, luoghi ancora legati a vecchi retaggi di scarsa comunicazione, non solo per comprensibili motivi di sicurezza. Già, la sicurezza. In un sistema chiuso, dove il rigore di stampo militare aiuta a nascondere le varie sacche di inefficienza e spreco di denaro pubblico l’elemento portante, la struttura di cemento armato che sostiene l’intero “edificio/mondo” è composta dal Poliziotto Penitenziario. E seppur paradossale è anche l’elemento più fragile, nel senso che può facilmente trovarsi in un isolamento sociale che è favorito dai turni di lavoro che spezzano la comunicazione intrafamiliare, l’esigenza di disciplina porta ad un’obbedienza acritica che insieme all’obbligato rapporto quotidiano con la popolazione detenuta, mai facile e privo di momenti critici, e la possibile mancanza di appoggio del dipartimento/comando favoriscono l’insorgenza di disturbi disadattivi che possono sfociare nel burnout. In sintesi ricordiamo come il burnout psicologico sia stato definito una sindrome caratterizzata da tre dimensioni indipendenti (Maslach, 1982): l’esaurimento emotivo, in cui si ha la sensazione di svuotamento delle proprie energie e risorse emotive, con un senso di sfinimento, logoramento che questi operatori sembrano sperimentare, in seguito al

9 di Giuseppe Baiocco Psicologo penitenziario rivista@sappe.it

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sovraccarico emozionale dovuto al continuo contatto con l’utente; la depersonalizzazione, ossia uno svilimento psichico della individualità degli utenti, nella quale compaiono atteggiamenti negativi e spesso cinici verso gli stessi, dando origine ad un agire freddo, meccanico e distaccato da parte di questo operatori; la ridotta realizzazione personale, relativa ad una diminuzione del proprio senso di competenza ed efficacia professionale, comportando un sentimento di inadeguatezza sia verso se stessi che verso la prestazione per coloro che fruiscono del servizio. Come è noto le professioni di aiuto possono nascondere rischi del genere e diviene quindi una priorità trovare le contromisure più adatte perché non si giunga all’estensione del problema ad una massa ancor più evidente dell’attuale. La sindrome del burnout è una risposta ad uno stress emozionale cronico caratterizzata principalmente da tre componenti: esaurimento emotivo, ridotta produttività nel lavoro, deterioramento della relazione con l’utente (Perlman e Hartman, 1982). I principali fattori stressanti del poliziotto penitenziario sono prevalentemente suddivisibili in due categorie:

• modalità organizzativo-burocratiche imposte dal dipartimento; • fattori di stress relativi specificatamente all’attività di polizia (Spielberger, Westberry, Grier, Grinfield, 1981; Martelli, Waters e Martelli, 1989) E visto che, a causa della complessità del tipo di lavoro in questione, sarebbe utile un intervento integrato e sinergico fra livelli individuali, interpersonali, organizzativi e sociali. Potrebbe essere molto utile cominciare da qualche parte. In attesa che il Ministero competente individui le modalità più idonee a prevenire con successo il problema, con i prevedibili intoppi, “i soldi non ci sono” e formule ormai ben note, potrebbe essere proponibile un’attivazione diretta dei sindacati a tutela del Poliziotto Penitenziario con l’individuazione di una figura professionale, uno psicoterapeuta per ogni grande città, che possa contenere gratuitamente per l’utente (cosa già garantita al detenuto) le sacche di disagio e sostenere “l’Uomo in Divisa nel confronto/scontro quotidiano con il delinquente”, come ebbe a confidare un Ispettore mite e motivato al miglioramento della qualità della vita sul lavoro. Se non ora quando? H

Nella foto personale di Polizia Penitenziaria in sezione

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sport

Nelson Mandela: «Lo sport ha il potere di cambiare il mondo» Lady Oscar rivista@sappe.it

o sport ha il potere di cambiare il mondo". Era uno degli slogan preferiti di Mandela che non si è limitato a ripeterlo, ma lo ha reso vivo perché da politico visionario aveva capito quanta influenza lo sport aveva sugli uomini. Riuscì a farne meglio di chiunque altro un potente strumento di fine diplomazia e, su un campo di rugby, in occasione dei campionati mondiali che riuscì a far organizzare in Sud Africa,iniziò davvero a cambiare il mondo in un luminoso giorno del 1995. Nelson Mandela amava ogni tipo di sport, perché - ha ammesso più di una volta - "E' essenziale per la salute, ma anche per la pace della mente”. Per capire la portata storica degli eventi propiziati dall'abilità e dallo spirito del leader sudafricano è necessario fare un passo indietro nel tempo. Madiba, come affettuosamente veniva chiamato da tutti, fu arrestato nel 1962 per attività anti-governativa. In qualità di comandante dell’ala militare dell’African National Congress (ANC), l’organizzazione che rappresentava la maggioranza della popolazione nera e che lottava contro l’apartheid, era considerato un

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Nelle foto sopra una immagine sorridente di Nelson Mandela a destra i funerali

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pericoloso terrorista e un assassino dalla minoranza bianca che deteneva il potere. Come tale, nel 1964, fu condannato all’ergastolo ed evitò la pena di morte solo grazie all'indignazione internazionale contro l’odioso regime sudafricano. Nel penitenziario di massima sicurezza di Robben Island, rimase per oltre un quarto di secolo. "In prigione, a Robben Island, mi tenevo in forma facendo pugilato, corsa da fermo in cella e addominali. Tutti i giorni. Senza lo sport non so se avrei resistito". L’ha amato fin da ragazzo il pugilato, quando andava ad allenarsi in una

piccola palestra di Soweto. Ha boxato da dilettante, un peso medio che preferiva la tecnica allo scontro principalmente fisico. Aveva colto l’essenza piena e marcatamente scacchistica della nobile arte. "Amo la scienza del pugilato - ha scritto Mandela stesso - la strategia di attaccare e indietreggiare allo stesso tempo. La boxe significa uguaglianza. Sul ring il colore, l'età e la ricchezza non contano nulla. Ma più che il combattimento, a me piace l'allenamento regolare e costante, l'esercizio fisico che la mattina dopo ti fa sentire fresco e rinvigorito". Durante i 28 anni di carcere passato


sport a Robben Island, per quattro consecutivi chiese ai suoi custodi di poter mettere in piedi una squadra di calcio composta da cinque detenuti tutti neri e poco più che ventennicondannati a spaccare pietre per 75 anni. Permesso più volte negato. Così la piccola squadra si era dovuta accontentare di giocare in silenzio all’interno delle celle trasformando in pallone alcuni fogli di carta arrotolati. Poi era arrivato il sì del direttore e finalmente, nell'ora d’aria, era nata la Macana Football Association. La squadra dei detenuti che aveva appreso regole e istruzioni dal libro della Fifa chiesto in prestito alla biblioteca carceraria. Per sessanta minuti al giorno potevano tornare a sentirsi liberi. Madiba, come lo chiamavano affettuosamente un po’ tutti, aveva capito la grande influenza che lo sport aveva sull’uomo. E l’aveva usato come terapia, una medicina per curare la depressione e l’isolamento. Il calcio è stato un altro degli sport dell’uomo dei miracoli: proprio in occasione dei Mondiali del 2010 fece la sua ultima apparizione pubblica, un giro di campo su un caddy, con in braccio la Coppa del Mondo. Ma è indubbiamente il rugby lo sport legato con un cordone rosso alle vicende di Mandela, al Sud Africa e a una trasformazione epocale che ha lasciato il segno sulla storia come pochi altri eventi nel secondo Novecento. Quando fu liberato, l’11 febbraio 1990, dopo estenuanti negoziati politici e tragici spargimenti di sangue, le prime elezioni libere del 27 aprile 1994 consentirono l’ascesa di Mandela alla presidenza della Repubblica. L’uscita dei neri da uno stato di minorità politica e sociale non metteva però il Paese al riparo dal rischio di sollevazioni cruente. Anzi, alimentava l’odio degli oltranzisti bianchi riuniti sotto insegne neonaziste. Mandela comprese che la democrazia non sarebbe sopravvissuta senza pace e che non ci sarebbe stata libertà

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Nelle foto Nelson Mandela e la sua passione: la boxe

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sport dell’entusiasmo gli incontri successivi furono dei facili successi, fino alla difficile finale contro gli All Blacks, considerati anche oggi una delle squadre più forti del pianeta. La finale ebbe luogo a Johannesburg in uno stadio gremito e festante. Prima del fischio d’inizio, Mandela visitò la squadra negli spogliatoi e compì un giro di campo con indosso la maglia n. 6 di Pienaar. I 63.000 spettatori risposero all’unisono urlando il nome del Presidente: “Nelson, Nelson, Nelson!”.

Nelle foto sopra ancora immagini dei funerali sotto la consegna della coppa al capitano della squadra di rugby del Sudafrica François Pienaar

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senza riconciliazione. Per raggiungere entrambi gli obiettivi impegnò tutte le sue forze e negli imminenti campionati del mondo di rugby vide un’opportunità da sfruttare. Il rugby però era lo sport della minoranza bianca e gli Springboks erano il simbolo più esecrato del regime razzista: se i neri andavano allo stadio per le partite internazionali, sedendo in uno spazio confinato e lontano dalle accoglienti tribune "bianche", facevano regolarmente il tifo per la nazionale ospite. Mandela non desistette e incontrò François Pienaar, il capitano della squadra, per guadagnarlo alla sua causa. Furono organizzati momenti di “avvicinamento” fra la nazionale e la popolazione nera, come gli allenamenti aperti al pubblico. I giocatori della squadra, nella quale l’unico coloured era Chester Williams, impararono a memoria un vecchio canto di resistenza in lingua xhosa, che era diventato il nuovo inno nazionale. Il 25 maggio 1995, il Sud Africa giocò la prima partita contro i campioni in carica dell’Australia, imbattuti da oltre un anno. Meravigliati e galvanizzati dal

sostegno unitario dello stadio di Città del Capo, strapieno di bianchi e neri, gli Springboks vinsero il match. Il giorno dopo, i giocatori furono condotti a visitare la prigione di Robben Island e molti piansero pensando che per lunghissimo tempo quello era stato il tetto di Madiba. La squadra comprese in quel momento di essere in missione per uno scopo assai più importante della Coppa del Mondo e sull’onda

Gli antichi carcerieri e le vittime della violenza, erano ora concordi nel celebrare il solo uomo che poteva traghettare il Sud Africa verso l’approdo condiviso di una democrazia inclusiva. Il capitano Pienaar dovette tenere serrate le mascelle per non scoppiare


13 a piangere durante l’esecuzione dell’inno nazionale, gli spettatori potevano incitare gli Springboks, che da simbolo di odio e divisione erano diventati l’orgoglio di un’intera nazione. Al termine dei tempi regolamentari, il punteggio era di 9 pari e si resero necessari i supplementari: la parità si ripropose sul 12-12, fino a che il calcio del decisivo 15-12 fu piazzato da Joel Stransky, l’unico giocatore ebreo della nazionale sudafricana, come nel migliore dei lieti fine. Fu l’apoteosi: Mandela tornò sul terreno di gioco per consegnare la coppa al capitano Pienaar, mentre nell’intero Paese esplosero le celebrazioni. Mandela era riuscito nel suo intento. Non ci fu nessuna guerra civile né terrorismo da parte dell’ultra-destra. Le tensioni come d’incanto si sciolsero nei festeggiamenti. Quel giorno, la nazione iniziò il lungo cammino verso una stabile democrazia multirazziale, grazie alla tenacia di un condottiero carismatico e lungimirante che sapeva dell’enorme potere simbolico dello sport in grado di ispirare e unire le persone, di sostituire la speranza alla disperazione e fungere da catalizzatore per cambiamenti sociali più generali. Ha incontrato molti campioni famosi. Di Muhammad Ali conservava, nel suo ufficio da primo presidente nero del Sudafrica, i guantoni. Ha parlato a lungo in privato con Sugar Ray Leonard che gli ha donato una delle sue cinture mondiali. I fuoriclasse facevano la fila per una foto al suo fianco. Tra gli altri Leonnox Lewis, Marvin Hagler, John McEnroe (“Quando mi ha detto che ero un simbolo per lui, ho capito che la mia vita non era stata del tutto inutile”), Ruud Gullit, Lilian Thuram. “Un vincitore è semplicemente un sognatore che non si è mai arreso” amava ripetere. E’ il motto che sintetizza meglio la vita di un uomo, premio Nobel per la pace, che si arreso solo all'età, ma conservando sino all'ultimo il sorriso sulla faccia. H

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diritto e diritti

Interventi e atti verbali in caso di rissa in sezione Giovanni Passaro passaro@sappe.it

pett.le redazione, qualche volta, a causa di carenza di organico dei ruoli superiori, svolgo la sorveglianza generale nonostante la qualifica di assistente. Per prevenire situazioni che non saprei gestire, chiedo consiglio ad alcuni ispettori e sovrintendenti. Però, sul comportamento e gli atti da eseguire nel caso di rissa all’interno di una sezione ho ricevuto pareri diversi. Vi chiedo di selezionare il mio quesito, sono iscritto al Sappe da tanti anni, non vorrei incorrere in problemi giudiziari o disciplinari. Ringrazio anticipatamente. Cordiali saluti.

S

penitenziaria. In seguito, a mio giudizio, l’addetto alla sorveglianza generale accorso sul posto, avvisato il Comandante di reparto, deve disporre a carico dei detenuti responsabili: l’identificazione, la perquisizione (1), l’accompagnamento presso l’infermeria per le cure e i riscontri del caso e successiva ubicazione in reparti separati e idonei, con divieto d’incontro precauzionale sino a nuove disposizioni. Poi, in virtù dell’art. 55 c.p.p., deve compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l`applicazione della legge penale.

entile collega, nell’immediatezza del fatto il personale che scorge una rissa tra detenuti deve dare immediatamente l’allarme. In genere, il responsabile della sorveglianza generale reperisce il personale, in quel momento disponibile, intervenendo con le cautele del caso per la divisione dei contendenti, al fine di evitare ulteriori conseguenze, riducendo gli effetti prodotti, che oltre a creare allarme all’interno del reparto detentivo, compromettono l’ordine e la disciplina della struttura

Al termine della visita medica, si dovrebbe disporre provvisoriamente, in attesa della ratifica dell’Autorità Dirigente, l’ubicazione dei detenuti responsabili presso diversi reparti detentivi, con i relativi divieti d’incontro. Inoltre, è fondamentale verificare se nei referti medici si evidenziano lesioni con prognosi superiori ai venti giorni. Nel caso, l’accaduto configura il reato di rissa previsto dall’art. 588 c.p., rientrante nei delitti contro la persona, perseguibile d’ufficio con arresto facoltativo in fragranza.

G Polizia Penitenziaria n.213 gennaio 2014

Si tratta di un reato comune, in quanto soggetto attivo del reato può essere chiunque, e plurisoggettivo, in quanto è necessaria la partecipazione di più soggetti. Al riguardo si discute in giurisprudenza e in dottrina sul numero minimo dei partecipanti alla rissa: secondo la giurisprudenza ad integrare il reato sono necessarie almeno 3 persone; secondo parte della dottrina sarebbero invece sufficienti 2 sole persone. A seguito della relazione di servizio del personale presente all’accaduto, il responsabile della sorveglianza generale deve provvedere a redigere: • verbale di identificazione, nei confronti delle persone indagate e dei soggetti che riferirono circostanze utili ai fini dell’indagine, ai sensi dell’art. 349 c.p.p.; • verbale d’elezione di domicilio a carico degli indagati, ai sensi dell’art. 161 c.p.p., con contestuale nomina dell’avvocato difensore, avvertendo dell’obbligo di comunicare ogni eventuale cambio del domicilio eletto; • verbale di sommarie informazioni nei confronti dei detenuti in grado di riferire su circostanze rilevanti per la costruzione del fatto, ai sensi art. 351 c.p.p.; • informativa di reato all’Autorità Giudiziaria ai sensi dell’art. 347 c.p.p. Spero aver soddisfatto la richiesta. Note (1) Alla presenza di un appartenente al Corpo, di qualifica non inferiore a quella di vice sovrintendente, al fine di controllare che la perquisizione venga effettuata nel rispetto della dignità della persona, ai sensi dell’art. 74 del D.P.R. 230/00 (Regolamento di esecuzione). H


giustizia minorile

Quest’anno il presepe di Montecitorio è stato realizzato dai minori di Nisida l 18 dicembre 2013, il Presidente della Camera, Laura Boldrini, ha inaugurato il presepe che per tradizione viene collocato nel corridoio prospiciente l’ingresso principale del palazzo di Montecitorio a Roma. Quest’anno il presepe è stato realizzato dalla Bottega dei ragazzi dell’Istituto penale per i minorenni di Nisida (Napoli). Il presepe, che si inquadra nel filone tradizionale dell’artigianato napoletano, è stato benedetto con una breve cerimonia, alla presenza di una rappresentanza di uomini e donne del Corpo di Polizia Penitenziaria della Giustizia Minorile, dei vicepresidenti della Camera Marina Sereni, Simone Baldelli, del cappellano di Montecitorio Lorenzo Leuzzi e del Presidente Laura Boldrini. Piccolo giallo al momento dell’inaugurazione: i re magi erano solo due, mancava Gaspare. Ma i ragazzi di Nisida, a parte una battuta, hanno dichiarato: «era per risparmiare...». Il presepe registra l’assenza di qualsiasi animale, compresi il bue e l’asinello. La scelta è stata giustificata dal maestro d’arte per la sua sensibilità animalista. Una spiegazione dal sapore politicamente corretto, che suona davvero troppo semplicistica per una materia che è stata anche trattata in un saggio di Papa Ratzinger. La rivelazione choc del Papa arrivò, lo si ricorderà, lo scorso anno quando Papa Ratzinger pubblicò “L’infanzia di Gesù” . In questo saggio, Benedetto XVI, Vangeli alla mano, spiegò che il bue e l’asinello nella stalla non c’erano e

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a cura di Ciro Borrelli Referente Sappe per la Formazione e Scuole Giustizia Minorile borrelli@sappe.it

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aggiunse anche che i pastori non cantavano. «La mangiatoia fa pensare agli animali, perché è lì che essi si cibano. Ma il Vangelo non parla in questo caso di animali», scrisse Ratzinger. Dunque, se proprio si vuole dare una lettura al presepe allestito sull’isola di Nisida e consegnato quest’anno alla Camera, bisogna dire che più che al politicamente corretto, il presepe appare filologicamente corretto. In ogni caso, un doveroso ringraziamento per la buona riuscita

del presepe e per la sua consegna nei tempi previsti va fatto al personale del Corpo di Polizia Penitenziaria in servizio presso l’istituito di Nisida. Questi con grande spirito di sacrificio e abnegazione al servizio, anche nei momenti più difficoltosi dovuti alla carenza di personale, alla necessità di vigilare cantieri interni, risolvere problemi quotidiani di un carcere, quali guasti alle caldaie, è in ogni caso sempre riuscito a garantire al maestro di Arte Presepiale l’apertura e la vigilanza del laboratorio. H

Nelle foto in alto il Palazzo di Motecitorio sopra il presepe

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dalle segreterie Ferrara

rivista@sappe.it

Polizia Penitenziaria e la solidarietà: sesta edizione di “un giorno da poliziotto pediatra” nche quest’anno il Comando di Polizia Penitenziaria di Ferrara, in collaborazione con il Presidio Ospedaliero di Cona Ferrara - Unità Operativa di Pediatria - Dipartimento materno-infantile ha organizzato e svolto il 3 gennaio la sesta edizione “Un giorno da poliziotto pediatra”.

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Nelle foto i momenti della giornata nel Reparto pediatrico dell’Ospedale di Cona -Ferrara

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Alcune unità del personale di Polizia Penitenziaria, infatti, si sono recate presso il reparto pediatrico della locale struttura consegnando a tutti i bambini ospitati doni diversi, infondendo agli stessi, momenti di

serenità ed allegria, con la presenza, tra l’altro, dell’associazione “ Vola nel Cuore” e dai noti STAR WARS. I doni sono stati consegnati alla presenza del dott. Madonna, dal Comandante Paolo Teducci, dal referente per le relazioni esterne Ispettore Antonio Fabio Renda e dal personale di Polizia Penitenziaria presente: Assistente Capo Nino Mininno, Assistente Giacomo Bottoni, Assistente Barbara Pellizzola, Agenti Diego Buonincontro e Giuseppe Lombardo. Fabio Renda


dalle segreterie

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Bergamo A marzo, al Sestriere la 17ª edizione dei FIS POLICE SKI i Campionati di sci dei Corpi di Polizia onfermate le date della 17ª edizione delle Fis Police SkiCampionati del mondo di sci dei corpi di polizia e International Junior talent in programma dal 21 al 23 marzo 2014 a Sestriere (TO) sulla pista olimpica Giovanni Agnelli. La manifestazione mondiale è organizzata dallo Sci Club Teamitalia guidato da Roberto Gualdi in

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rivista@sappe.it

speciale, che godranno anche quest’anno del supporto di RAI Sport. «Siamo contenti - dice il Presidente Gualdi - di continuare questa avventura in Piemonte grazie al sostegno sportivo e organizzativo dei vari protagonisti di Sestriere che a vario titolo sono vicini alla manifestazione. Impossibile organizzare un impegno di questa portata senza la preziosa organizzazione di Vialattea che ha preso a cuore questa manifestazione che vede protagonisti gli atleti dei Corpi di Polizia e tanti giovani talenti stranieri per competere per il titolo iridato. Diversi atleti delle squadre presenti in questi anni alle Fis Police Ski hanno si sono poi guadagnati il privilegio di gareggiare per la Coppa del mondo e per noi, che crediamo a

questa fantastica iniziativa sportiva e mediatica, è un grande onore averli avuti nel nostro albo d’oro. Faranno parte del Comitato organizzatore e promotore dell’evento anche le massime cariche di Sestriere a partire dal Sindaco Valter Marin, all’amico Assessore allo sport Gianni Poncet con tutta la comunità locale». A breve i responsabili della manifestazione faranno un sopraluogo a Sestriere per definire il tutto e potere accogliere nel migliore dei modi i tantissimi atleti che a marzo saranno presenti alle gare. Roberto Gualdi, Giovanni Trovesi, Francesco Brighenti e Mauro Rovaris infatti stanno definendo gli ultimi importanti dettagli operativi incluso il villaggio ospitalità che dovrebbe anche quest’anno continuare la collaborazione con il tour di Rossignol. H

Nelle foto Roberto Gualdi e Gualtiero Brasso

IL PROGRAMMA DELLE GARE

collaborazione con la direzione di Vialattea diretta da Gualtiero Brasso, con il patrocinio del Comune di Sestriere, della Provincia di Torino, della Regione Piemonte e del Comitato Alpi Occidentali della Fisi. Magazine ufficiale dell’evento come ogni anno la rivista Sciare. Tre le gare FIS in programma nel fine settimana, con due prove di slalom gigante e l’ultima di slalom

VENERDI 21 MARZO

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cinema dietro le sbarre

Regia: John Hyams Soggetto: John Hyams Sceneggiatura: Tim Tori Fotografia: Stephen Schlueter Musiche: Michael Krassner Montaggio: Andrew Bentler, Andrew Drazek, Jon Greenhalgh Costumi: Kim Martínez

Gli occhi del dragone a cura di Giovanni Battista de Blasis deblasis@sappe.it

Nelle foto la locandina e alcune scene del film

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li occhi del dragone è un film di azione con un lungo prologo ambientato in carcere. Il regista John Hymas è un quasi esordiente avendo diretto soltanto il terzo capitolo di Universal Soldier, peraltro un mezzo fiasco. Il protagonista della storia è un non meglio identificato Mister Hong, interpretato dall’attore vietnamita Cung Le, ottimo atleta di arti marziali. Mister Hong finisce rinchiuso in un penitenziario all’interno del quale si trova subito coinvolto in una rissa tra detenuti.

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Fortunatamente per lui interviene a difenderlo Tiano, un altro detenuto, interpretato da Jean-Claude Van Damme. I due diventano compagni di cella e Tiano insegna a Ryan tutti i segreti delle arti marziali e delle tecniche di difesa che egli conosce. In questa parte del film assistiamo ad un lungo periodo di allenamento in cella, che trasformerà Mister Hong in un fortissimo combattente. Una volta rimesso in libertà, Hong è

la scheda del film

Produzione: After Dark Films, Dark Castle Entertainment, Silver Pictures Distribuzione: After Dark Films

determinato a rifarsi una vita ma, contro la sua volontà, finisce per scontrarsi con le bande locali che terrorizzano gli abitanti del quartiere

di St. Jude Square, dove vive e contro un poliziotto bastardo, Mister V, interpretato da Peter Weller. Sfidando e sconfiggendo i componenti delle due bande rivali, grazie alle sue ineguagliabili abilità nelle arti marziali e tenendo a mente gli insegnamenti del mentore Tiano, Hong riesce quasi ad ottenere il controllo del quartiere fino a quando non è costretto a fare i conti proprio con Mister V, spietato e corrotto capo della polizia locale.

Personaggi ed Interpreti: Hong: Cung Le Tiano: Jean-Claude Van Damme Big Jake: Johnny Holmes Mister V: Peter Weller Biggie: Sam Medina Trey: Gilbert Melendez Buyer: Adrian Hammond Junkie: Danny Cosmo Rosanna: Crystal Mantecon Grandpa George: Danny Mora Young Woman: Arielle Zimmerman Dash: Luis Da Silva Jr. Jonsey: Arturo Palacios Antoine: Edrick Browne J-Dog: Jason Mitchell Mikey: Travis Johnson Jail Cop: Tony Jarreau Lord: Trevor Prangley Yuri: Scott Sheeley Sgt. Howe: Craig Walker Genere: Azione Durata: 91 minuti Origine: USA, 2012 Nel più classico degli epiloghi di un action che si rispetti, Mister Hong (il buono) riuscirà a sconfiggere Mister V (il cattivo) dopo aver sofferto ogni tipo di supplizio ed essere stato più volte sul punto di soccombere. Nel suo genere, il film è abbastanza ben fatto, con scenografie azzeccate, buon ritmo e combattimenti spettacolari. Van Damme recita una parte secondaria, anche se la sua presenza resta comunque importante. Tutto sommato, però, Cung Le è un grande combattente e ha una buona presenza sul set riuscendo a tenere bene la scena anche da solo. H


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crimini e criminali

ul numero scorso, nella prima parte dell’articolo dedicato al «mostro di Firenze», c’eravamo lasciati con l’orrendo assassino di Carmela De Nuccio e Pasquale Foggi, il terzo in ordine cronologico attribuito al mostro e con la Procura di Firenze che inizia a seguire il filone degli «indiani». Grazie ad una telefonata anonima che aveva indicato la presenza di un’auto sospetta aggirarsi nella notte nelle campagne di Scandicci, dove avvenne il duplice omicidio, fornendo anche la targa e il modello (Ford Taunus), gli inquirenti risalgono al proprietario dell’autovettura.

S

delitto prima che la notizia del macabro duplice omicidio finisse sui giornali. Ai sostituti procuratori Adolfo Izzo e Silvia Della Monica, nonché al commissario Sandro Federico e al Colonnello Olinto Dell’Amico, lo Spalletti dà subito un’impressione negativa: è reticente e sa qualcosa che non vuole dire, ma non sono convinti che egli sia il vero «mostro». L’indagato, prima nega di essere stato nella zona adiacente dove avvenne l’omicidio poi, messo di fronte alle dichiarazioni di Fosco Fabbri, suo amico e guardone presente nella locanda la sera della divulgazione dei particolari nella «Taverna del

di reticenza e condotto nel carcere fiorentino di Sollicciano. Passano appena quattro mesi dal duplice omicidio di Scandicci e il mostro torna a colpire. La sera del giovedì del 22 ottobre 1981 (vigilia di uno sciopero generale), a Bartoline vicino a Calenzano, a ovest di Firenze, lungo una strada sterrata che attraversa un campo a poca distanza da un casolare abbandonato, vengono uccisi Stefano Baldi, di 26 anni e Susanna Cambi, di 24 anni. I due giovani, che avrebbero dovuto sposarsi entro pochi mesi, avevano deciso anch’essi di trovare un po’ d’intimità appartandosi nelle campagne toscane a bordo dell’auto del giovane: una Golf nera. Il modus operandi dell’assassino è sempre lo stesso: spari dal finestrino di guida, tre colpi all’uomo e varie coltellate; cinque colpi alla ragazza, coltellate al seno e l’asportazione del pube.

L’11 giugno del 1981, la polizia giudiziaria preleva Enzo Spalletti, di professione autista di ambulanze della Misericordia, dal luogo di lavoro e contemporaneamente la moglie dall’abitazione nei pressi di Montelupo Fiorentino (FI). L’accompagnamento coattivo nella Questura di Firenze dello Spalletti e della moglie segue anche alle risultanze di una serie di interrogatori che inquirenti avevano svolto tra i frequentatori della locanda «Taverna del diavolo», luogo di ritrovo dei guardoni scandiccesi negli anni ’80. Dagli interrogatori risultava che lo Spalletti avesse rivelato a persone presenti nella locanda, particolari sul

diavolo», cambia versione ammettendo di esserci stato per consumare un rapporto sessuale con una prostituta e di essere tornato, dopo il rapporto, nella sua abitazione a Montelupo Fiorentino, prima di mezzanotte e mezzo. Tuttavia, al di là dei dettagli minuziosi forniti per descrivere la prostituta e il rapporto, a far crollare l’alibi dello Spalletti ci pensa anche la moglie la quale, sentita dagli inquirenti, dichiara che la notte del sabato 6 giugno è andata a dormire verso l’1:00, stanca di aspettare il marito. L’alibi che Spalletti aveva fornito agli investigatori quindi non regge e così viene arrestato con la semplice accusa

Il corpo della ragazza sarà trovato a una decina di metri dall’auto, in posizione supina contro la parete d’erba di un fosso, con la maglia sollevata fino al collo con ferite da arma bianca al seno sinistro; anche l’uomo sarà rinvenuto fuori dall’abitacolo, gettato in un fosso. Le cartucce dell’arma che ha sparato sono sempre Winchester con la lettera H sul fondello, sparate sempre dalla Beretta calibro 22 Long Rifle, della quale saranno repertati 9 bossoli rinvenuti sul terreno e 2 sul pavimento dell’auto. «Il mostro», con il duplice omicidio di Calenzano, liberò, di fatto, Enzo Spalletti che era detenuto quale

Il mostro di Firenze Seconda parte Pasquale Salemme Segretario Nazionale del Sappe salemme@sappe.it

Nelle foto sopra Enzo Spalletti al centro il Colonnello Olinto Dell’Amico a destra Stefano Baldi e Susanna Cambi

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crimini e criminali presunto autore dell’omicidio del giugno precedente. Con il duplice omicidio e la scarcerazione di Spalletti le indagini sono nuovamente a zero e l’opinione pubblica oramai è nel panico più totale; le denunce anonime si susseguono riempiendo gli scaffali della polizia. Insistenti anche le voci che circolavano sulla presunta indennità del colpevole: un medico, un chirurgo o un ginecologo. La psicosi del mostro ebbe l’effetto di raggruppare le giovani coppie fiorentine, in cerca della loro intimità, non più nelle campagne, ma nel pieno centro della città e, inoltre, quella di costituire, tra i cittadini, delle squadre di «cacciatori di mostri»; inconsapevolmente «il mostro» stava cambiando le abitudini più intime della gente. La lettera di una donna inviata a La Nazione (quotidiano di Firenze) aprì un dibattito inaspettato.

che a noi è stato vietato?” (tratto da un articolo pubblicato da La Nazione e ripreso anche nel libro di Mario Spezi, Dolci Colline Toscane, Sonzogno Editore, 2006). L’inverno trascorse senza che accadesse nulla, ma la notte del 19 giugno 1982, a Baccaiano di Montespertoli, «il mostro» torna ad uccidere altri due giovani: Paolo Mainardi, di 22 anni, e Antonella Migliorini di 19. I due soprannominati dagli amici Vinavil perché inseparabili, erano appartati a bordo di una piccola Seat 147, in uno slargo presente sulla strada Virginio Nuova. L’assassino sopraggiunge e favorito dall’oscurità esplode alcuni colpi verso la coppia, la dinamica è particolare: mentre i due amoreggiavano, l’assassino si è presentato davanti al finestrino dal lato dell’autista e ha sparato con la pistola colpendo prima l’uomo e poi la donna.

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ormai è del tutto evidente che ci si trova davanti ad un serial killer. Il giorno seguente alla scoperta del duplice omicidio, il sostituto procuratore di Firenze, Silvia Della Monica, decide di lanciare un trabocchetto al «mostro», nella speranza che commetta qualche passo falso. Invita diversi giornalisti, soprattutto delle testate toscane, negli uffici della procura affinché questi pubblichino la notizia che Paolo Mainardi, il ragazzo ucciso la sera prima, poco prima di morire, abbia fornito delle importanti informazioni sull’identikit dell’assassino ai primi soccorritori accorsi. Anche questo tentativo si dimostrerà un buco nell’acqua: l’assassino troppo sicuro di sé o troppo incosciente non compie alcuna azione e resta in attesa di tornare ad uccidere. Anche l’idea di pubblicare un identikit dell’assassino, realizzato dopo il Nelle foto a sinistra la Golf di Stefano Baldi rinvenuta a Bartoline a fianco Paolo Mainardi e Antonella Migliorini

Era una madre che voleva replicare alla frase di uno psicanalista che invitata i genitori ad accettare con maturità i rapporti prematrimoniali dei figli, insomma a fare in modo che non andassero a fare l’amore in campagna. “Dobbiamo forse aprire le camere matrimoniali ai nostri figli? chiedeva la donna - Dobbiamo uscire di casa la sera per fare entrare al caldo sotto le nostre coperte i ragazzi? Se loro hanno diritto all’intimità, a noi che cosa resta? Ci siamo astenute da giovani perché questo richiedeva la morale corrente, dobbiamo farlo oggi perché i nostri figli hanno il diritto di avere quello

Paolo Mainardi, però, non muore e riesce a mettere in moto l’automobile, l’omicida dunque spara ai fanali del veicolo, che va a finire in un fossato. Quella notte e per la prima volta «il mostro» non infierisce sul corpo della donna, ma da dimostrazione, però, di avere grande autocontrollo davanti a situazioni imprevedibili: bloccata l’auto entra nell’abitacolo e spara ai ragazzi due colpi di grazia e si mette, probabilmente, alla guida tentando, senza esito, di fare uscire l’automobile dal fosso. I ragazzi vengono ritrovati poco dopo: Antonella era morta, Paolo respirava ancora ma muore poco dopo. Le indagini procedono a tentoni,

delitto dell’ottobre del 1981, si rivelò una mossa sbagliata che non fece altro che alimentare una caccia alle streghe e aumentare la diffidenza e i sospetti tra la gente: in sole quarantotto ore dalla pubblicazione arrivarono centinaia di telefonate in Questura che additavano come «mostro» il vicino di casa, il rivale in amore, il tassista o il macellaio antipatico. Nel frattempo, gli atti concernenti quattro duplici omicidi vengono riuniti in un’unica istruttoria affidata al giudice Vincenzo Tricomi del Tribunale di Firenze il quale, il 6 novembre del 1982 emette un mandato di cattura per Francesco Vinci, originario della

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crimini e criminali provincia di Cagliari, ma residente a Montelupo Fiorentino (FI), già indagato per il primo omicidio attribuito al mostro del 1968. L’uomo, che si trova già in carcere per maltrattamenti in famiglia, questa volta è accusato di essere l’assassino di Barbara Locci e Antonio Lo Bianco avvenuto a Signa nell’agosto del 1968.

avvenuto a Signa nel 1968? Inizia a prendere corpo l’idea che i magistrati fiorentini abbiano davvero fatto due più due, anzi tre più tre. E d’altra parte Vinci ha una fedina penale non proprio pulitissima: arresti per furto d’auto e abigeato, violazione degli obblighi di libertà vigilata, e soprattutto un arresto per detenzione illegale di arma fuoco.

Vinci, come avevamo già riportato, era l’amante «ufficiale» della donna uccisa. Come c’era finito Francesco Vinci dietro le sbarre con un’accusa tanto pesante? E quali erano gli elementi che avrebbero dovuto far tirare finalmente un sospiro di sollievo agli inquirenti? La Procura di Firenze ha fatto una strana scoperta (forse causale o indotta): all’interno del fascicolo sull’omicidio del ’68 sono stati ritrovati i bossoli (proiettili marca Winchester serie H) con cui furono ammazzati i due amanti. L’arma utilizzata è la stessa che ha sparato dal 1974 al 1982 uccidendo altre otto persone. Il Giudice Tricomi, inoltre, nel precedente mese di settembre si era recato a Verona per ascoltare Stefano Mele, condannato per il primo duplice omicidio del 1968 e che dopo 14 anni continuava ad accusare Francesco Vinci per quell’omicidio. Nel delitto del 1968 fu usata la stessa arma che ha ancora in mano «il mostro», inoltre, il giudice scopre che il Mele, nel 1970 è stato periziato e dichiarato affetto da «grave oligofrenia»: in pratica ragiona come un bambino di 6 anni. Avrebbe potuto, da solo, organizzare un duplice omicidio come quello

Risultava, inoltre, che nell’aprile del 1974, rilasciato in libertà vigilata in attesa del processo per il furto di un magazzino, viola gli obblighi di dimora imposti dal giudice e se ne torna in carcere, per essere rilasciato il 9 settembre, cinque giorni prima dell’omicidio di Borgo San Lorenzo (il secondo duplice omicidio attribuito al mostro). Le porte del carcere sembravano sempre più saldamente chiuse dietro le spalle di Francesco Vinci, fin quando una chiave forgiata con il metallo di 7 proiettili e 4 bossoli non si materializzarono accanto ai cadaveri di due giovani tedeschi, ritrovati in uno spiazzo sulla via di Giogoli il 10 Settembre del 1983, ma di questa storia leggerete il prossimo mese. Alla prossima... H

Nelle foto Barbara Locci e Antonio Lo Bianco sotto Stefano Mele in basso a destra Francesco Vinci

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I

l ventennio di Berlusconi ci ha lasciato una grande eredità: la politica-marketing, quella che si fa con le dichiarazioni ad effetto, con gli slogan, con gli annunci-bomba. Non importa poi se qualche tempo dopo quelle dichiarazioni si rivelano totalmente infondate, tanto c’è subito pronto un altro slogan, che farà ancora più effetto del primo e lo farà dimenticare... Non importa nemmeno che la notizia sia inconsistente in maniera evidente, tanto la maggior parte delle persone non ha i mezzi, o non ha il tempo, per verificarne l’attendibilità, né possiede le capacità per giudicare se quella dichiarazione del politico di turno è verosimile e attuabile. Ebbene, l’ultimo slogan lanciato all’opinione pubblica è il Garante dei detenuti, ma non uno qualsiasi come ce ne sono da anni in qualche Comune, in qualche Provincia, in qualche Regione. No signori miei, qui si parla di un Garante nazionale, che sarà affiancato anche da due Vice. A detta della Cancellieri si tratta di una figura che sarà nominata dal Presidente del Consiglio, sentito il Ministro della Giustizia, che avrà il compito di vigilare, visitare le strutture carcerarie e coordinare i vari Garanti regionali. Insomma: "Il Garante nazionale è un istituto che darà voce nelle carceri a chi non ce l'ha. È uno strumento di grande civiltà giuridica". Accidenti! Peccato però che né il Dap né il Ministro Cancellieri, abbiano mai presentato (né immagino possano farlo perché mai effettuata) i risultati di una indagine conoscitiva sulla effettiva utilità di un’istituzione, come quella del Garante dei detenuti, che vanta già diversi anni di attività a vari livelli politico-amministrativi. Mi spiego meglio: ma che cosa hanno fatto di positivo questi Garanti locali in tutti questi anni? Sono serviti a qualcosa? Sono serviti a qualcuno? Nel frattempo però che soddisfazione deve essere stata potersi “giocare” la carta del Garante dei detenuti


mondo penitenziario

Garante nazionale dei detenuti: annuncio spot o necessità reale? (addirittura) Nazionale!!! Sia ben chiaro che non vogliamo mettere in dubbio la necessità di una figura, esterna all’amministrazione penitenziaria, di garanzia e controllo sulla effettiva salvaguardia dei diritti dei detenuti, ma vorremmo che qualcuno ci spiegasse, e lo spiegasse all’opinione pubblica, quale è la funzione della Magistratura di Sorveglianza!

Sarebbe bello sentirlo dalla voce dell’attuale Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP), Giovanni Tamburino che proviene proprio dalla Magistratura di Sorveglianza... Proprio il Capo Dap ci dovrebbe dire se la Magistratura di Sorveglianza è o meno in grado di svolgere il suo compito istituzionale e perchè sarebbe

necessaria questa figura del Garante nazionale, oltre quello regionale, provinciale, comunale ...di quartiere. E chi ne aveva bisogno ...i detenuti o qualcun altro? A beneficio dei nostri lettori, citiamo nei box sottostanti le definizioni riportate dal sito ufficiale del Ministero della Giustizia in relazione al Garante dei detenuti e alla Magistratura di Sorveglianza. H

Il Garante dei diritti dei detenuti

La Magistratura di sorveglianza

Il Garante (o difensore civico o ombudsman) è un organo di garanzia che, in ambito penitenziario, ha funzioni di tutela delle persone private o limitate della libertà personale. Istituito per la prima volta in Svezia nel 1809 con il compito principale di sorvegliare l’applicazione delle leggi e dei regolamenti da parte dei giudici e degli ufficiali, nella seconda metà dell’Ottocento si è trasformato in un organo di controllo della pubblica amministrazione e di difesa del cittadino contro ogni abuso. Oggi questa figura, con diverse denominazioni, funzioni e procedure di nomina, è presente in 22 paesi dell’Unione europea e nella Confederazione Elvetica. In Italia non è ancora stata istituita la figura di un Garante nazionale per i diritti dei detenuti, ma esistono Garanti regionali, provinciali e comunali le funzioni dei quali sono definite dai relativi atti istitutivi. I Garanti ricevono segnalazioni sul mancato rispetto della normativa penitenziaria, sui diritti dei detenuti eventualmente violati o parzialmente attuati e si rivolgono all’autorità competente per chiedere chiarimenti o spiegazioni, sollecitando gli adempimenti o le azioni necessarie. Il loro operato si differenzia pertanto nettamente, per natura e funzione, da quello degli organi di ispezione amministrativa interna e della stessa Magistratura di sorveglianza. I Garanti possono effettuare colloqui con i detenuti e possono visitare gli istituti penitenziari senza autorizzazione, secondo quanto disposto dagli artt. 18 e 67 dell’ordinamento penitenziario (novellati dalla legge n. 14/2009).

E’ disciplinata dalla legge 26 luglio 1975, n. 354, dalla legge 10 ottobre 1986, n. 663 e dagli articoli 677 e seguenti del codice di procedura penale. La Magistratura di sorveglianza è un organo giurisdizionale composto da un organo monocratico, il Magistrato di sorveglianza e da un organo collegiale, il Tribunale di sorveglianza. Tali organi esercitano funzioni di vigilanza sugli istituti di prevenzione e pena. Il Magistrato di sorveglianza provvede in particolare: • all’applicazione, esecuzione e revoca delle misure di sicurezza • all’esecuzione delle sanzioni sostitutive della semidetenzione e della libertà controllata • alla dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato o di tendenza a delinquere • alla remissione del debito • ai ricoveri per sopravvenuta infermità psichica • alla rateizzazione e conversione delle pene pecuniarie Il Tribunale di sorveglianza è competente per: • l’affidamento in prova al servizio sociale • la detenzione domiciliare • la semilibertà • la liberazione condizionale • la riduzione di pena per liberazione anticipata. Esercita altresì funzioni d’appello avverso le decisioni del magistrato di sorveglianza in materia di misure di sicurezza e di abitualità, professionalità nel reato o di tendenza a delinquere. L’appello non ha tuttavia effetto sospensivo del provvedimento impugnato. Il Tribunale di sorveglianza giudica anche sulle impugnazioni contro le sentenze di condanna o di proscioglimento, per il solo capo riguardante le misure di sicurezza. Contro le ordinanze conclusive del procedimento di sorveglianza è esperibile il ricorso per cassazione.

definizioni tratte dal sito ufficiale del Ministero della Giustizia

23 di Enzima rivista@sappe.it

Nella foto Angiolo Marroni Garante dei detenuti della Regione Lazio

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24 a cura di Giovanni Battista de Blasis deblasis@sappe.it

Sopra la copertina del numero di giugno 1999

Polizia Penitenziaria n.213 gennaio 2014

come scrivevamo enti anni di pubblicazioni hanno conferito al mensile Polizia Penitenziaria - Società Giustizia & Sicurezza la dignità di qualificata fonte storica, oltre quella di autorevole voce di opinione. La consapevolezza di aver acquisito questo ruolo ci ha convinto dell’opportunità di introdurre una rubrica - Cosa Scrivevamo - che contenga una copia anastatica di un articolo di particolare interesse storico pubblicato tanti anni addietro. A corredo dell’articolo abbiamo ritenuto di riprodurre la copertina, l’indice e la vignetta del numero originale della Rivista nel quale fu pubblicato.

V

Nascita dell’istituzione carceraria e sua evoluzione sino ai giorni nostri 6ª e ultima parte

Gli anni dopo la liberazione e la Carta Costituzionale di Maurizio Renzi

S

ono gli anni della ricostruzione e del rinnovamento. Ma ancora una volta il settore penitenziario, che durante la dittatura era stato usato - assieme agli altri strumenti di repressione penale anche in chiave di difesa dello Stato totalitario, ne rimane sostanzialmente ai margini. La popolazione carceraria, aumentata a dismisura, ingrossata oltre che dai tanti disperati abbruttiti dalla guerra, anche da molti appartenenti al passato regime e una da parte di ex partigiani che non avevano compreso a tempo che la guerra di liberazione era finita. Comprensibile è l’escalation di rivolte carcerarie determinate, nella maggior parte dei casi, dalle dure condizioni di vita, esasperate dal sovraffollamento, dalle distruzioni belliche, nonché dalle difficoltà di approvvigionamento. Unica risposta risulta essere stata l’inasprimento della sicurezza. E’ in questa ottica che il Guardasigilli Togliatti, con decreto luogotenenziale del 21 agosto 1945, dichiara l’appartenenza del Corpo degli Agenti di Custodia alle Forze Armate dello Stato, con l’immediata conseguenza che gli agenti sono soggetti alla giurisdizione militare. Si cerca, così, di rafforzare il distacco tra le due categorie dei custodi e dei custoditi, evitando che lo stato di ribellione, serpeggiante tra i detenuti potesse espandersi agli Agenti di Custodia. Si potenziavano, quindi, gli atteggiamenti militari degli

appartenenti al Corpo, antitetici al ruolo di educatori che dovrebbero svolgere coloro che vivono a contatto con i detenuti. «Alla repressione delle rivolte non si accompagnò invece alcuna iniziativa per rompere la continuità dei criteri di gestione delle istituzioni carcerarie; anzi sin dal 1946 si fece ricorso ad uno strumento che in prosieguo di tempo ha mostrato una patente di inutilità, cioè la nomina di una commissione ministeriale di studio incaricata di suggerire alcune riforme del Regolamento Rocco del 1931. Non stupisce quindi che la commissione sia formata da specialisti scelti tra magistrati e penitenziaristi della Direzione Generale degli Istituti di Prevenzione e di Pena, più disposti a studiare, stante la loro posizione ufficiale, i mezzi per perpetuare il sistema esistente che a proporre strumenti per superarlo». Dal punto di vista normativa è innegabile l’importanza della Carta Costituzionale, soprattutto ove sancisce, negli artt. 24, 25 e 27, il diritto inviolabile alla difesa in ogni stato e grado del processo, il principio di stretta legalità; quello della “umanizzazione” e della “tendenza alla rieducazione” di tutte le pene detentive. Mentre in ambito internazionale «la questione penitenziaria per la prima volta si pose come una questione direttamente connessa al rispetto dei diritti dell’uomo, di cui alla Dichiarazione Universale del 1948. Andava così aumentando la


come scrivevamo

normativa internazionale in ordine alle modalità di esecuzione delle pene». Ma le innovazioni costituzionali si scontrano con la tendenza, da parte delle varie commissioni di inchiesta che si susseguiranno, a cercare di non stravolgere il tradizionale schema di gestione ereditato dal Regolamento del 1891. Si assiste all’introduzione di alcuni ritocchi marginali che ammorbidiscono il sistema ma ne lasciano intatte le strutture portanti: l’organizzazione gerarchica e piramidale dell’amministrazione penitenziaria e il sistema disciplinare delle punizioni e delle ricompense. In generale, domina una riaffermazione del carattere afflittivo della pena, in questo senso si muovono le circolari del Ministero di Grazia e Giustizia, le quali mirano a richiamare all’ordine quelle Direzioni che eccedono in sperimentazioni giudicate troppo permissiviste. Tale contesto, si aggrava con il clima successivo all’uscita dei comunisti dal Governo. Aumenta il peso della censura su tutti i tipi di pubblicazioni ammesse per i

detenuti, vengono vietati giornali non solo di partito, ma che semplicemente riportino fatti di cronaca. Analoga situazione si rispecchia per i programmi radiofonici che devono avere per oggetto solo trasmissioni di carattere culturale ed educativo. E’ evidente la tendenza a isolare sempre più il detenuto dalla realtà esterna, mirando ad impedire qualsiasi meccanismo che consenta l’affermazione del valore sociale del detenuto. Le rivolte carcerarie e la legge di riforma Alla fine degli anni sessanta, il perdurare delle disagiate condizioni di vita all’interno delle carceri trova nuova voce di protesta collegandosi alle tensioni sociali che scoppiano in tutta Europa. Il dato originale, che accompagna questa nuova esplosione di sommosse, è rappresentato dall’elevato grado di politicizzazione espresso da vasti settori dei detenuti. Vengono poste in atto rivendicazioni

mirate, non solo all’abolizione delle norme più oppressive del Regolamento Rocco, ma che investono tutti gli aspetti della giustizia penale. Il carcere non solo trova ascolto sui media, che lanciano un rinnovato interesse sui problemi penitenziari, ma anche le stesse forze politiche muovono atti concreti verso questa realtà. Tale mutata situazione si scontra con la resistenza dell’amministrazione penitenziaria, la quale cerca, con l’introduzione di alcune modifiche, di controllare la tensione. Fa il suo ingresso ufficiale in carcere la stampa politica, quotidiana e periodica, sia di partito, sia di altre associazioni, e vengono disapplicati, perché incostituzionali, gli articoli 142, 143 e 144 del Regolamento Rocco, per i quali i detenuti, che al momento del loro ingresso in carcere, non avevano dichiarato l’appartenenza religiosa ad una confessione diversa da quella cattolica, erano obbligati a seguirne

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‡ Polizia Penitenziaria n.213 gennaio 2014


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La vignetta del mese giugno 1999 nell’alta pagina il sommario

Polizia Penitenziaria n.213 gennaio 2014

come scrivevamo

le pratiche collettive di culto. Ma la vera risposta, alle sempre più frequenti e politicizzate lotte dei detenuti, è molto più sotterranea ed efficace, essa si basa essenzialmente sull’uso massiccio dei trasferimenti dei detenuti, da sede a sede, al fine di rompere qualsiasi possibile formazione di nuclei politicizzati all’interno dei singoli stabilimenti. Sul versante parlamentare si deve prendere atto della deludente inerzia politica nell’affrontare il problema carcere con interventi mirati. Si assiste al susseguirsi di commissioni parlamentari, create ad hoc, incapaci di fornire elaborazioni utili, a far uscire l’amministrazione penitenziaria da quelli che sono ancora gli schemi del periodo liberale e fascista. «In realtà la storia carceraria dell’Italia repubblicana rispecchia la volontà politica di impedire una radicale trasformazione delle istituzioni penitenziarie, nella consapevolezza che il carcere, così come è organizzato e gestito e con esso la stessa giustizia penale, continua ad assolvere una funzione congeniale al mantenimento degli assetti economici e politici più arretrati della società». Tale situazione, non impedisce che si

sviluppi anche in Italia un movimento di riforma che punta sia ad un miglioramento delle condizioni della carcerazione che ad una riduzione progressiva dello spazio coperto dalla pena privativa della libertà. Questa esigenza, scaturita dalle mutate condizioni storico-sociali, si concretizza con la legge 354 del 26 luglio 1975, «Per la prima volta, infatti, la materia che attiene agli aspetti applicativi delle misure penali e limitative della libertà e alla condizione dei soggetti sottoposti all’esecuzione, viene regolata con legge». Cessa una prassi normativa, per il settore penitenziario, che aveva visto il perdurare dell’applicazione di regolamenti caratterizzati, come fonte, dal non avere forza di legge. La Riforma adegua il sistema penitenziario ai principi costituzionali secondo cui «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato» e a quelli internazionali stabiliti dalle Regole Minime dell’O.N.U., introducendo il criterio dell’individualizzazione del trattamento rieducativo, basato sull’osservazione della personalità.

Dal punto di vista sostanziale, le principali modifiche furono le seguenti: liberazione anticipata a seguito di abbuoni di pena, remissione del debito per spese di mantenimento, affidamento in prova al servizio sociale e la semilibertà. Permangono alcune caratteristiche repressive, di cui la principale è rappresentata dall’art.90, che da facoltà al Ministro della Giustizia di sospendere, in tutto o in parte, con decreto motivato le regole del trattamento e gli istituti previsti dalla legge, quando ricorrano gravi ed eccezionali ragioni di ordine e di sicurezza. Dal punto di vista dell’esecuzione della pena, la Magistratura di Sorveglianza diventa non solo garante del rispetto dei diritti dei detenuti, ma ne assume un punto di riferimento. Soprattutto per quanto concerne l’applicazione dei nuovi istituti destinati a consentire il ritorno alla libertà prima della fine dell’espiazione della pena dei condannati i quali abbiano dimostrato la possibilità concreta del loro recupero sociale. Le cosiddette misure alternative alla detenzione vengono così a rappresentare la vera innovazione del nuovo Ordinamento Penitenziario, che coincide sempre meno con “carcerario” comprendendo, non soltanto le strutture organizzative che si occupano della gestione della pena della privazione della libertà, ma anche le misure di gestione del trattamento in ambiente libero. Dalle tendenze dominanti del passato, impostate sulla punizione del reo e verso un’emenda di carattere prettamente religioso, si inserisce la ricerca del reinserimento sociale che vede nel detenuto un soggetto attivo del trattamento. Ma l’entusiasmo iniziale doveva venire limitato dall’acutizzarsi della tensione sociale, anche nelle carceri, causa anche il fenomeno del terrorismo che viene a rappresentare una vera e propria emergenza proprio a partire dalla metà degli anni Settanta.


come scrivevamo Il crescere degli attentati indusse il legislatore a limitare, poco dopo l’approvazione della legge, la portata innovativa di alcune disposizioni, che vennero modificate in senso restrittivo nel 1977. In quello stesso anno, un decreto interministeriale istituiva le carceri di massima sicurezza. Nuove strutture venivano progettate, che avevano per scopo principale di impedire le evasioni ormai quasi quotidiane nelle vecchie carceri. Le finalità rieducative e risocializzanti passavano così in secondo piano. Solo a seguito della sconfitta del terrorismo si è potuto riprendere le sperimentazioni introdotte dalla Legge 354, nell’ambito del trattamento penitenziario. In questo senso, il legislatore, è intervenuto con l’approvazione della Legge 10 ottobre 1986 n.663, incidendo profondamente sulla riforma del1975. La legge Gozzini ha ampliato la gamma delle misure alternative alla pena, prevedendo una forma di affidamento in prova per i detenuti

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tossicodipendenti, ex art. 47 bis, e introducendo un nuova normativa relativa ai permessi premio, ex art. 30 ter. La stessa Amministrazione Penitenziaria ha cercato, e cerca tuttora, di muoversi in questo senso, ma i continui cambiamenti politici e la secolare mancanza di organico, a tutti i livelli, pone forti limiti a ogni tentativo di miglioramento. La popolazione carceraria, che ha avuto sicuramente dei miglioramenti di vita, oggi sconta su se stessa nuove e vecchie problematiche. Quali il sovraffollamento, il peso della custodia cautelare, la presenza di nuove malattie come l’AIDS, le lentezze giuridiche legate alla concessione delle misure alternative alla pena e non ultimo la presenza negli istituti italiani di una nuova tipologia di detenuti: gli extracomunitari. H

Polizia Penitenziaria n.213 gennaio 2014


28 di Daniele Papi rivista@sappe.it

il punto sul corpo

Un Corpo di Polizia dello Stato è in mano a dei dilettanti arliamo dell’Uniforme, del perché è “blu”, e da quando lo è. Ho avuto modo, in questi giorni di sfogliare il calendario del Corpo, “targato” 2014. La prefazione è a firma del Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e si intitola: La Storia, i Simboli, i Valori. Leggo con attenzione ... rileggo, perché credo di aver visto o compreso male, ma scopro con stupore che: Anno 1991, arriva l’uniforme blu; Anno 1992, arriva il Regolamento del Corpo. Ora, io comprendo che il Capo del Dipartimento, non essendo una figura autoctona, possa non conoscere alcuni passaggi fondamentali della nostra storia, ma mi meraviglia che ci sia qualcuno che propone con pomposa falsa conoscenza e memoria storica, la firma di atti pubblici. Il calendario, signori, è un veicolo promozionale ufficiale e propagandare all’interno dello stesso notizie errate e fuorvianti (per di più a spese dello Stato) dimostra per l’ennesima volta, qualora ce ne fosse ancora la necessità, la scarsa attenzione che Lor Signori riservano ad un Corpo di Polizia dello Stato che ha il dovere e l’onore di rappresentare la Repubblica e le Istituzioni che anche Loro, in virtù della posizione di vertice occupata, avrebbero l’obbligo di rappresentare. Iniziamo dall’uniforme: L’uniforme di colore blu della Polizia Penitenziaria è stata introdotta prima della smilitarizzazione e viene, quindi, ereditata dal disciolto Corpo degli Agenti di Custodia. Così, anche qualche inetto venditore di fumo dovrebbe capire perché gli Ufficiali di cui all’articolo 25 della Legge 395/1990 indossano l’uniforme blu e non quella grigio/verde.

P

La copertina del calendario ufficiale del Corpo 2014

Polizia Penitenziaria n.213 gennaio 2014

DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 20 gennaio 1990, n. 22 Approvazione del regolamento per l'uniforme degli appartenenti al Corpo degli agenti di custodia. (GU Serie Generale n.40 del 17-2-1990 Suppl. Ordinario n. 11) Veniamo al Regolamento del Corpo: Qualcuno, ha le idee confuse (e non venite a raccontarmi che si tratta di un semplice refuso di stampa). DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 15 febbraio 1999, n. 82 Regolamento di servizio del Corpo di Polizia Penitenziaria. (GU 1° aprile 1999, n. 76, S.O) Tuttavia, ad onor del vero, nel 1992 un Regolamento fu scritto da Alfredo Gabrielli, Nicola Alessi, Lionello Pascone e Giuseppe Mariano. Quel Regolamento, estremamente più favorevole, cercava di restituire dignità al Corpo, mortificato dalla

riforma, e venne inviato al Consiglio di Stato. Quel Regolamento, invece, ritornato con la approvazione dell’Alto Consesso e con la richiesta di alcune piccole modifiche concordate con il Ministero dell’Interno e della Difesa, improvvisamente sparì dalla faccia della terra... Lascio a voi ulteriori riflessioni. In conclusione, infine, è importante richiamare l’attenzione su alcuni passaggi della prefazione al calendario: “Il presente è attraversato da una indiscutibile emergenza che chiama tutti noi (Ma noi chi?? Noi/Voi o solo NOI?) a un’assunzione di responsabilità e quindi alla ricerca di soluzioni in grado di trasformare il modello detenzione fin qui adottato. Abbiamo (avete! ...e si vede pure con quali risultati) iniziato a farlo con atti concreti, proponendo il modello di sorveglianza dinamica, un modello operativo che sta, gradualmente, affermandosi in tutte le realtà


territoriali. (a mio parere c’è davvero poco di cui vantarsi …) Il nuovo modello è rivolto a un miglioramento delle condizioni detentive, perché permette di riempire il tempo della detenzione rendendolo meno affittivo a favore di inziative progettuali che danno senso alla pena. (a dire il vero di progetti non vedo neanche l’ombra ed i risultati non tarderanno a farVi tornare alla dura realtà). La distanza con superata visione del carcere migliora sensibilmente le condizioni di lavoro della Polizia Penitenziaria (che le condizioni di lavoro siano migliorate è, quantomeno, opinabile) innalzando, nel contempo, i livelli di sicurezza, (...i gravi fatti accaduti a Viterbo sembrano dimostrare il contrario) offrendo al personale di Polizia Penitenziaria e agli altri operatori nuovi strumenti e modalità di lavoro

che consentiranno di accrescere la professionalità. Le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria, con testimonianza del loro lavoro, fatto di coraggio, professionalità, senso di appartenenza e lealtà istituzionale sono il motore della trasformazione in atto”. Ai miei colleghi lascio l’onere di fare eventuali ulteriori considerazioni ... A tutti gli altri, proporrei una profonda riflessione sul fatto che non è molto lodevole giocare con la pelle di circa 38.000 persone della Polizia Penitenziaria ...dovrebbe bastare poco per comprendere che anche noi siamo esseri umani che meritano rispetto e tutela. Anche noi passiamo la maggior parte della nostra vita “in galera” (forse a qualcuno sfugge che ci lavoriamo). Uniforme a parte, ci viene riservato il medesimo “inumano” trattamento riservato alla popolazione detenuta,

probabilmente a causa della completa distorta visione della situazione reale che “Il Palazzo” ha del carcere. Per la morale, prendo in prestito una definizione di Esopo: “E’ facile essere coraggiosi a distanza di sicurezza...” (Dalle mie parti, in borgata, la stessa morale si esprime in modo più volgare che – non potendolo riportare letteralmente - in italiano dovrebbe essere così: “Quanto è facile fare il gay con il deretano degli altri ...”). H

Perché iscriversi a Piazza d'Armi della Polizia Penitenziaria? PER SPIRITO DI CORPO La Polizia Penitenziaria è continuamente tenuta in secondo piano dai suoi stessi amministratori Dirigenti dell'Amministrazione penitenziaria. E' tempo di riunirci e confrontarci anche attraverso gli strumenti offerti dal web. PER RIMANERE IN CONTATTO CON I COLLEGHI E GLI AMICI Ognuno di noi ha perso i contatti con tanti amici e colleghi dei vari Corsi di formazione, oppure gli amici e colleghi delle sedi in cui abbiamo lavorato. Con Piazza d'Armi rimanere in contatto (e in maniera riservata) è più facile! PER I SERVIZI RISERVATI AI POLIZIOTTI PENITENZIARI L'iscrizione gratuita a Piazza d'Armi è riservata ai soli appartenenti alla Polizia Penitenziaria o agli Agenti di Custodia in congedo. I servizi già attivi (o che saranno attivati fra poco) sono i messaggi privati tra colleghi, i gruppi di discussione su specifiche tematiche lavorative, convenzioni, scambio di taglie di uniformi, consulenza legale, annunci di vendita/affitto/scambio di oggetti o servizi, e molti altri che attiveremo anche in base alle vostre segnalazioni e richieste.

PER TUTELARE LA SICUREZZA E LA PRIVACY DEI POLIZIOTTI PENITENZIARI Piazza d'Armi è riservata ai soli appartenenti alla Polizia Penitenziaria o agli Agenti di Custodia in congedo. Ci sono troppi siti web che diffondono e pubblicano documenti con dati sensibili dei poliziotti penitenziari. Piazza d'Armi nasce anche per tutelare la privacy e la sicurezza degli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria. PERCHÉ È GRATIS! Piazza d'Armi è l'unico luogo virtuale che offre notizie, approfondimenti, servizi, materiale utile per il lavoro e documenti riservati in maniera gratuita. Piazza d'Armi è e resterà uno spazio gratuito per tutti i colleghi della Polizia Penitenziaria! PIAZZA D'ARMI È FATTO DA COLLEGHI PER I COLLEGHI Piazza d'Armi è realizzato unicamente da colleghi della Polizia Penitenziaria per i colleghi della Polizia Penitenziaria. Per qualunque richiesta, informazione o consiglio, hai la garanzia di rivolgerti ad un tuo collega e amico della Polizia Penitenziaria!

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La prefazione di Giovanni Tamburino

www.piazzadarmi.it

il punto sul corpo

Polizia Penitenziaria n.213 gennaio 2014


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inviate le vostre foto a rivista@sappe.it

sopra: 1970 Casa Lavoro all’aperto Arbus (CA) visita Ministro Gava (foto inviata da Antonello Fancello) a fianco 1978 C.R. Saluzzo servizio di sentinella (foto inviata da Virginio Pes) a destra 1998 Bisuschio (VA) Nozze in divisa (foto inviata da Bruno Lanni)

Polizia Penitenziaria n.213 gennaio 2014

eravamo cosĂŹ


eravamo cosĂŹ

31 A fianco 1978 Casa di Reclusione di Isili (CA) Festa del Corpo (foto inviata da Fausto Muru)

sotto: 1977 Casa di Reclusione Asinara (SS) (foto inviata da Fausto Muru)

A fianco 1977 Scuola AA.CC. di Parma (foto inviata da Antonio Pergola)

a sinistra 1978 Scuola AA.CC. Cassino (FR) (da Antonio Rocca)

Polizia Penitenziaria n.213 gennaio 2014


32 a cura di Erremme rivista@sappe.it

le recensioni Carlo Giovanardi

Francesco M. Passaro

BALLE

ATTESA DI GIUDIZIO

KOINE’ Nuove Edizioni pagg. 160 - euro 12,00

IRIS Edizioni pagg. 139 - euro 13,50

N

ei lunghi anni di impegno politico il senatore Carlo Giovanardi ha attirato frequentemente su di sé la luce dei riflettori, a causa si ripetute dichiarazioni che hanno puntualmente trovato oppositori scandalizzati e giornalisti pronti a riempire le pagine dei giornali di botta e risposta, accuse e precisazioni. La precisione e la continuità con cui il senatore ha fatto parlare di sé per le sue posizioni apparentemente non conformi è ormai diventato un leitmotiv dell’informazione, della Rete e dello scontro politico, assumendo quasi le forme di un copione riscrivibile e buono per tutte le stagioni. Giovanardi le ha volute raccogliere in questi libro, nel quale si toglie molti sassolini dalle scarpe e con la forza polemica che lo caratterizza, si sfoga, si confessa alla luce del sole. Un libro documentato, suddiviso in 12 capitoli di 158 pagine, arricchite da foto e tabelle esplicative, che documentano le “verità” di Carlo Giovanardi. Molte delle 158 pagine del libro, parlano e sono dedicate ai fatti di “casa nostra”.

uò un romanzo sulla giustizia coinvolgere a tal punto da lasciare in chi legge il pensiero di aver ricevuto un pugno nello stomaco? Francesco Passaro, autore di questo avvincente libro con allo sfondo lo scenario stanco e contradditorio della vecchia Napoli, ci riesce. Tutto si dipana nella struggente attesa: l’attesa è infatti uno stato di falsa quiete e apparente passività. Chi aspetta in realtà freme, si cruccia, esita o impazzisce per ciò che non c’è. E in amara attesa di senso fluttua Vincenzo Zaccaria, giovane avvocato napoletano alle prese con il primo caso importante, schiacciato da insormontabile inquietudine alimentata da fragilità e rinnovate crisi d’abbandono che minano animo e serenità. Attende pure Lorenzo, ingenuo infermiere accusato di omicidio, il giudizio su un processo con sentenza già scritta. Sospensioni cariche di apprensione e aspettative che avviliscono speranze, rendono impotenti di fronte all’arroganza di chi giudica e punisce. L’autore racconta con delicatezza e precisione il particolare senso di smarrimento che la vita obbliga ad affrontare, delle accuse, dei meccanismi di difesa, che il lungo processo dell’esistenza ha in serbo per tutti. Colpevoli o innocenti.

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Lucilla Nigro

IL DECRETO SVUOTACARCERI Commento e formulario MAGGIOLI Edizioni pagg. 96 - euro 19,00

L’

opera, coordinata con le recenti modifiche alla normativa sullo Stalking e

aggiornata con le nuove disposizioni sul Femminicidio, commenta in modo sistematico la recente normativa cosiddetta Svuotacarceri. Il decreto legge 1 luglio 2013, n. 78, convertito con modifiche in legge 9 agosto 2013, n. 94 “Disposizioni urgenti in materia di esecuzione della pena”, è stato urgentemente approvato per affrontare il problema del sovraffollamento delle carceri, facendo seguito alla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo dell’8 gennaio 2013, che ha assegnato allo Stato italiano il termine di un anno entro cui procedere all’adozione delle misure necessarie a porre rimedio alla constatata violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che sancisce il divieto di pene o trattamenti inumani o degradanti. Il commento tocca diverse discipline del settore penale: la nuova disciplina, infatti, coinvolge alcuni articoli del codice di procedura penale oltre ad articoli dell’ordinamento penitenziario e della normativa per gli stupefacenti. Merita davvero di essere letto.

Giovanni Soldini

SULLA ROTTA DELL’ORO. New York San Francisco via Capo Horn LONGANESI Edizioni pagg. 207 - euro 30,00

I

l 31 dicembre del 2012 Giovanni Soldini è partito a bordo del monoscafo Maserati VOR 70 da New York con un equipaggio proveniente da diverse nazioni: lo statunitense Ryan Breymaier, il francese Sébastien Audigane, il cinese Jianghe Teng, lo spagnolo Carlos Hernández, il tedesco Boris Herrmann, gli italiani Guido Broggi, Michele Sighel e Corrado Rossignoli. Scopo dell’impresa: stabilire un nuovo record sulla rotta storica New YorkSan Francisco, 13.219 miglia


le recensioni nautiche passando per Capo Horn. Il 16 febbraio 2013 Soldini e i suoi tagliano la linea del traguardo sotto il Golden Gate, aggiudicandosi il record della Rotta dell’oro (così chiamata in ricordo di quando le prime navi a vela davvero veloci la percorrevano per portare i coloni sulle piste della corsa all’oro e ai terreni) nella categoria dei monoscafi in 47 giorni, 0 ore, 42 minuti e 29 secondi, battendo di dieci giorni il primato precedente. Questo libro è la cronaca, arricchita dalle fotografie, di un’impresa straordinaria, della realizzazione di un sogno.

ALMANACCO ILLUSTRATO DEL CALCIO PANINI Edizioni pagg. 800 - euro 17,90

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untuale, come ogni anno sotto Natale, è uscita l’edizione 2014 dell’Almanacco Illustrato del Calcio Italiano. La “Bibbia” del calcio, come viene universalmente riconosciuta, è giunta ormai alla 73^ edizione, come sempre edita da Panini. Ancora invariato il prezzo rispetto allo scorso anno (17,90 euro). L’immagine centrale della copertina è dedicata a Gigi Buffon, il portiere della Nazionale, ma c’è spazio anche per Palacio, Kakà, Rossi, Tevez, Higuain e Totti. Invariato il numero delle pagine, che sono sempre 800 e tutte piene di notizie, foto, statistiche e curiosità sui campionati italiani di calcio dalla serie A alla serie D, sulla Nazionale, sulle coppe europee e sul calcio internazionale, oltre a uno speciale dedicato a due bomber indimenticabili: Silvio Piola e Gigi Riva. Tra le novità di quest’edizione, l’elenco dei dieci giocatori più presenti in serie A per ogni squadra e, nella storia delle società, la segnalazione di alcuni record o curiosità. L’Almanacco Illustrato del

Calcio è stato, come sempre, tra i regali di Natale più richiesti sotto l’albero.

E proprio queste sono le tematiche al centro della ricerca qualitativa.

Giovanni Cellini

CONTROLLO SOCIALE, SERVIZIO SOCIALE E PROFESSIONI DI AIUTO LE Edizioni pagg. 245 - euro 20,00

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uesto interessante volume si concentra sulle professioni di aiuto operanti nel settore penitenziario e pone al centro dell’analisi il ruolo del servizio sociale. Si tratta di una attenta ed approfondita ricerca realizzata “sul campo” - tra Lombardia, Piemonte e Liguria nel 2011 - dall’autore, assistente sociale che lavora presso l’ufficio UEPE di Torino. In Italia il sistema penitenziario è basato su un modello riabilitativo, teso al reinserimento sociale degli autori di reato, che affida compiti rilevanti alle professioni di aiuto. Tra queste, il servizio sociale è chiamato oggi a confrontarsi con un nuovo ordine sociale, segnato dall’influenza del pensiero neoliberista. In questo scenario i mutamenti delle politiche sociali, intervenuti con la crisi del welfare state, sono intrecciati con quelli delle politiche penali. Nella letteratura sociologica contemporanea ci si interroga sulla graduale transizione da un modello di welfare basato principalmente sulla garanzia del benessere sociale ad un modello in cui l’interesse dominante è, fondamentalmente, quello di garantire un controllo sociale efficace. In questo “nuovo welfare” si registra un impoverimento della protezione sociale e delle risorse da destinare ai segmenti di popolazione più vulnerabili; tale processo ha portato, in alcuni casi, a pratiche di policy discriminatorie, finalizzate all’incarcerazione delle persone più svantaggiate.

Stefano Bartezzaghi

ANCHE MENO. Viaggio nell’italiano Low Cost MONDADORI Edizioni pagg. 214 euro 17,00

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n libro di scorrerie linguistiche di Bartezzaghi dentro gli usi e gli abusi della lingua italiana. Bartezzaghi si diverte e ci diverte ritraendo la lingua dal vivo, nei suoi usi quotidiani, televisivi, giornalistici, e, soprattutto, nei suoi abusi. I nuovi esilaranti strafalcioni, i doppi sensi, come è fatto l’italiano che parliamo. Bartezzaghi non è normativo, non usa la matita rossa e blu e non ha nessuna nostalgia dell’uso scolastico dei congiuntivi. Bartezzaghi gioca con le parole, sa che danno felicità, insegue l’allegria, l’assurdo e la follia che si nascondono nella lingua e nella comunicazione. Violata la grammatica, la morfologia e la sintassi, la lingua continua a produrre senso e comunicazione. H

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il mondo dell’appuntato Caputo

di Mario Caputi e Giovanni Battista de Blasis © 1992-2014

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Polizia Penitenziaria n.213 gennaio 2014


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