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anno XXI • n. 214 • febbraio 2014 www.poliziapenitenziaria.it
Andrea Orlando è il nuovo Ministro della Giustizia
sommario
anno XXI • numero 214 febbraio 2014
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In copertina: Andrea Orlando, nuovo Ministro della Giustizia del Governo Renzi
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l’editoriale
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Andrea Orlando è il nuovo Ministro della Giustizia Organo Ufficiale Nazionale del S.A.P.Pe. Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria
di Donato Capece
il pulpito Direttore responsabile: Donato Capece capece@sappe.it
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La nostra immagine comunicata, rappresentata e percepita di Giovanni Battista de Blasis
Direttore editoriale: Giovanni Battista de Blasis deblasis@sappe.it
il commento
Capo redattore: Roberto Martinelli martinelli@sappe.it
Progetto grafico e impaginazione: © Mario Caputi (art director)
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Fronteggiare l’emergenza carceri con nuove leggi
Redazione cronaca: Umberto Vitale Redazione politica: Giovanni Battista Durante
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di Roberto Martinelli
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l’osservatorio
www.mariocaputi.it
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In arrivo nuove pene detentive non carcerarie e lavoro di pubblica utilità
“l’appuntato Caputo” e “il mondo dell’appuntato Caputo” © 1992-2014 by Caputi & de Blasis (diritti di autore riservati)
di Giovanni Battista Durante
Direzione e Redazione centrale Via Trionfale, 79/A - 00136 Roma tel. 06.3975901 r.a. • fax 06.39733669
sport
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e-mail: rivista@sappe.it web: www.poliziapenitenziaria.it
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Ottime prove olimpiche delle Fiamme Azzurre a Sochi di Lady Oscar
Le Segreterie Regionali del Sappe, sono sede delle Redazioni Regionali di: Polizia Penitenziaria-Società Giustizia & Sicurezza
mondo penitenziario
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Le misure cautelari personali Registrazione: Tribunale di Roma n. 330 del 18 luglio 1994 Stampa: Romana Editrice s.r.l. Via dell’Enopolio, 37 00030 S. Cesareo (Roma)
di Luca Pasqualoni
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crimini e criminali Il mostro di Firenze 3ª parte
Finito di stampare: febbraio 2014
di Pasquale Salemme
Questo periodico è associato alla Unione Stampa Periodica Italiana Il S.A.P.Pe. è il sindacato più rappresentativo del Corpo di Polizia Penitenziaria
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Chi vuole ricevere la Rivista direttamente al proprio domicilio, può farlo versando un contributo di spedizione pari a 20,00 euro, se iscritto SAPPE, oppure di 30,00 euro se non iscritto al Sindacato, tramite il c/c postale n. 54789003 intestato a:
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Polizia Penitenziaria n.214 febbraio 2014
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Donato Capece Direttore Responsabile Segretario Generale del Sappe capece@sappe.it
Nella foto Andrea Orlando con il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano
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l’editoriale
Andrea Orlando è il nuovo Ministro della Giustizia seguire il Ministero Alfano, durato più di tre anni, la Giustizia ha visto avvicendarsi ben quattro Guardasigilli nel breve arco di due anni e mezzo per una media ciascuno di sette mesi. L’ultimo in ordine cronologico è Andrea Orlando (La Spezia, 8 febbraio 1969) politico del Partito Democratico.
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Orlando dal 2006 è membro della Camera dei deputati dove è componente della Commissione bilancio della Camera e della Commissione parlamentare Antimafia, Ministro dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare nel governo Letta. Andrea Orlando ha iniziato l'attività politica giovanissimo. Nel 1989 diventa segretario provinciale della FGCI e l'anno successivo viene eletto nel consiglio comunale di La Spezia con il PCI. Dopo lo scioglimento del Partito Comunista Italiano è stato rieletto con il PDS, di cui diviene capogruppo nel consiglio comunale della sua città nel
1993; nel 1995 diventa segretario cittadino del partito, nel 1997, primo degli eletti in consiglio comunale, è nominato assessore, prima alle attività produttive e poi alla pianificazione territoriale, incarico che ha svolto sino alle elezioni del 2002. Nel 2000 è entrato a far parte della segreteria regionale come responsabile degli enti locali dei DS e
Alle politiche del 2008 viene rieletto per il Partito Democratico alla Camera dei deputati nella circoscrizione Liguria, diviene membro della commissione Bilancio della Camera e componente della Commissione parlamentare Antimafia ed il 14 novembre 2008 è nominato Portavoce del Partito Democratico nella Segreteria Nazionale di Walter
nel 2001 diventa segretario provinciale; poi, nel 2003, è chiamato alla Direzione Nazionale del partito da Piero Fassino, prima con il ruolo di viceresponsabile dell'organizzazione, poi come responsabile degli enti locali (2005) e ancora, nel 2006, come responsabile dell'organizzazione nella segreteria nazionale del partito. Nel 2006 si presenta alle elezioni politiche ed è eletto nelle liste dell'Ulivo nella X circoscrizione (Liguria). Allo scioglimento dei DS, nel Congresso dell'aprile del 2007, aderisce al Partito Democratico, diventandone il responsabile dell'organizzazione.
Veltroni, incarico confermato dal nuovo Segretario Dario Franceschini. Nel novembre del 2009 Pier Luigi Bersani, neoeletto Segretario Nazionale del PD, lo nomina presidente del Forum Giustizia del Partito, incarico che mantiene fino alla sua nomina a Ministro dell’Ambiente. Nel gennaio 2011 Bersani gli conferisce l’incarico di commissario straordinario del PD di Napoli. Alle Elezioni politiche italiane del 2013 è candidato alla Camera dei Deputati come capolista del PD nella circoscrizione Liguria, dopo essere risultato il più votato alle primarie del collegio ligure per la scelta dei parlamentari. Il 28 aprile 2013 viene nominato Ministro dell'Ambiente del Governo Letta. Il 21 febbraio 2014, infine, viene nominato Ministro della Giustizia dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi. H
il pulpito
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L’immagine della Polizia Penitenziaria comunicata, rappresentata e percepita onostante si tratti solo di “finzioni”, come si propongono di essere a partire dal nome “Fiction”, le serie tv rappresentano una realtà che, spesso, è l’unica a disposizione di chi guarda per costruirsi un’idea dei protagonisti, dei loro sentimenti, di come si comportano nei loro ruoli e di come agiscono nel quotidiano.
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Che non si tratti solo di un passatempo da dopo cena, lo dimostrano numerose analisi demoscopiche realizzate sul tema. Su tutte, per quanto ci interessa: “Le divise. L’immagine delle Istituzioni di Sicurezza nella fiction italiana” realizzata dall’Osservatorio sulla fiction italiana (Ofi) e presentata a Roma il 15 marzo 2007. Da quell’indagine emerse, in maniera evidente, che un ruolo importante delle fiction e dei loro personaggi è senza dubbio quello di contribuire a costruire e a mantenere un legame di fiducia tra le istituzioni e i cittadini. Non a caso, alla presentazione del Rapporto erano presenti i vertici di quattro Forze dell’Ordine: Polizia di Stato, Arma dei Carabinieri, Guardia di Finanza e Guardia Costiera. Purtroppo, per la Polizia Penitenziaria non ci sono state buone notizie per quanto riguarda gli esiti evidenziati dalla ricerca. L’indagine ha esaminato più di 150 ore di fiction per analizzare tre livelli di comunicazione dell’immagine: comunicata, rappresentata e percepita. L’immagine comunicata è quella
che le forze dell’ordine danno di loro stesse attraverso i siti internet ed i canali di comunicazione istituzionale. L’immagine rappresentata è quella trasmessa dalle serie tv. L’immagine percepita è quella che il pubblico ricava da sé e che viene ricostruita attraverso interviste a campione. Per quanto riguarda l’immagine comunicata, il sito ufficiale della Polizia Penitenziaria (a distanza di molto tempo e di vari restyling) che idea ci trasmette del Corpo? Purtroppo, non possiamo che ripetere quello che abbiamo già detto in passato: molto scarsa. A beneficio di chi volesse conoscere meglio una delle cinque forze di polizia del Paese e farsene un’idea attraverso il suo sito ufficiale, possiamo rilevare, ad esempio, che nella home page del giorno 22 febbraio 2014, oltre alla nomina del nuovo Ministro della Giustizia Andrea Orlando, avrebbe potuto trovare, in evidenza, altre otto notizie. Le prime due trattano di uno sventato tentativo di consegna di droga in carcere e di una cerimonia di intitolazione del carcere di Potenza. Ne seguono poi altre sei che, partendo dal basso ed in ordine cronologico, parlano dell’assalto ad un furgone della Polizia Penitenziaria e dell’evasione di un detenuto, delle dichiarazioni del capo Dap sull’evento, di altri due detenuti evasi dal carcere di Rebibbia, della notizia che il primo evaso è stato ripreso dai Carabinieri e, le ultime due, che i due evasi di Rebibbia sono stati individuati ed arrestati - prima l’uno e poi l’altro dalla squadra mobile di Roma. Insomma, in evidenza troviamo sei notizie uguali: detenuti che scappano alla Polizia Penitenziaria e che qualcuno riporta indietro. Indubbiamente, sia per la scelta delle notizie che per l’evidenza data loro in
home page, che è la vetrina di qualunque sito istituzionale, l’immagine comunicata sulla professionalità dei nostri uomini in divisa non è delle migliori. A maggior ragione, la ridondanza, in un mondo in cui il flusso di notizie è ininterrotto ed in continua evoluzione, certamente non aiuta. Nell’intero arco della giornata, non si
trova nemmeno un riferimento qualificante sulla Polizia Penitenziaria, un accenno, ad esempio, ad uno dei tanti atti di quotidiano eroismo che riguardano i molti appartenenti che lavorano nelle sezioni detentive del Paese in condizioni operative difficili e rese ancor più penose dalla carenza di organico, la menzione della meritoria iniziativa Sport in carcere o, magari, solo qualche prestigioso risultato degli atleti delle Fiamme Azzurre. Per rilevare il primo simbolo della Polizia Penitenziaria si deve andare a cercare nella sezione CHI SIAMO dove, però, si trovano
Giovanni Battista de Blasis DirettoreEditoriale Segretario Generale Aggiunto del Sappe deblasis@sappe.it
Sopra la homepage del sito ufficiale della Polizia Penitenziaria
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Polizia Penitenziaria n.214 febbraio 2014
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Nei box sopra le homepage dei siti ufficiali dell’Arma dei Carabinieri e della Polizia di Stato
Polizia Penitenziaria n.214 febbraio 2014
il pulpito
indistintamente e tutti insieme Il Capo del DAP, il Corpo, l’Organizzazione, i Gruppi Sportivi, la Banda Musicale, le Uniformi ed il Comitato per le Pari Opportunità. Passando allo spazio comunicazione del sito ufficiale, che è quello espressamente dedicato al dialogo dell’istituzione con i cittadini, si può attivare un altro menu a tendina in cui compaiono nell’ordine: Ufficio Stampa (con l’indirizzo email dell’Ufficio Stampa e Relazioni Esterne del Dap), le Pubblicazioni (calendari, numeri della rivista “Le due città”, volumi pubblicati a cura dell’Ufficio Stampa e Relazioni Esterne del Dap, e uno spazio riservato al vecchio mensile “L’Agente di custodia”), la Filatelia, il canale youtube “UfficioStampaDap” e la pagina facebook “Polizia Penitenziaria” sempre a cura dell’Ufficio Stampa e Relazioni Esterne Dap. Ad un primo colpo d’occhio, leggendo chi cura cosa, si fatica a credere che ci
si trova ancora sul sito ufficiale della Polizia Penitenziaria e che non si è finiti in quello dell’Ufficio Stampa e Relazioni Esterne del Dap. Nei siti istituzionali dell’Arma dei Carabinieri o della Polizia di Stato, tanto per fare un esempio, c’è spazio per la vetrina buona del Corpo: si racconta di iniziative in cui chi indossa la divisa incontra la gente, anche con l’ausilio di caroselli di belle immagini, si cura l’informazione con il flusso delle agenzie di stampa che dà conto costantemente delle notizie nazionali più rilevanti, esistono il Commissariato on line, l’Operatore Virtuale, le denunce via web, l’espressione del grado di soddisfazione del sito web, gli spazi d’interazione con il cittadino, anche tramite giochi virtuali e simulazioni di vario genere. Tutte cose di cui non si ha traccia visitando il sito ufficiale della Polizia Penitenziaria che sembra chiuso in sé stesso ed ermetico come un carcere di massima sicurezza. Per i concorsi, che sono uno dei motivi per i quali un sito istituzionale viene molto spesso consultato, se si prova a saperne qualcosa di più e si clicca su uno dei link Concorsi Pubblici o Interni, si viene reindirizzati sul portale www.giustizia.it e questa è un’altra differenza sostanziale rispetto all’Area Concorsi delle altre forze di polizia, che informano e aggiornano direttamente su tutto quel che riguarda le immissioni nei loro ranghi. In ultima analisi le aree Multimedia, Dove Siamo, Archivio e Link Utili, non aggiungono nient’altro di apprezzabile in favore dell’Immagine Comunicata della Polizia Penitenziaria. Detto tutto ciò per il sito internet, passiamo ad analizzare l’immagine rappresentata nelle serie tv per capire come la Polizia Penitenziaria appare agli occhi di chi la guarda. Il rapporto dell’Ofi sottolinea come nel poliziesco all’italiana, caratteristico delle produzioni Rai e Mediaset degli ultimi anni, i testi narrativi giocano un ruolo importante nella costruzione dell’immagine socialmente condivisa delle Istituzioni di Sicurezza.
In questi testi, i poliziotti penitenziari delle fiction realizzate negli ultimi anni sono usciti assai malconci essendo stata veicolata un’immagine sbagliata sia del carcere, sia della polizia che vi opera. I baschi azzurri sono quasi sempre rappresentati privi di sentimenti, di dialoghi significativi, di emozioni o di storie proprie che conferiscano un minimo di umanità a quella divisa indossata. Entrano in scena per favorire evasioni o, quando non sono complici, cercano di impedirle senza riuscirci mai. Durante i colloqui, nelle carceri dei film, si vede entrare di tutto senza che i poliziotti in servizio si accorgano mai di nulla: droga, telefoni, pizzini e armi, magari in cambio di soldi incassati dal solito agente infedele. E se in sezione c’è sempre qualche poliziotto che picchia il recluso, durante le traduzioni è facile preda di chi intende assaltare i blindati, perché non sembra avere neppure troppa dimestichezza con le armi e, proprio per questo, immancabilmente muore senza aver lasciato alcun segno significativo nella storia della serie tv. Serie come “Baciati dall’amore”, “Un amore ed una vendetta”, le cinque stagioni di “Squadra Antimafia” (a cui in autunno si aggiungerà la sesta), sono tutte legate da uno stesso fil rouge nel mostrare i nostri colleghi distanti anni luce da tutti gli altri in divisa così delineati dal rapporto: “Sono dinamici, ben organizzati e pronti a mobilitarsi contro le varie emergenze criminali, ma sono anche uomini e donne normali e, a volte, persino vulnerabili. Così gli spettatori considerano i poliziotti delle fiction tv che restituiscono l’idea di un’Istituzione “vicina al cittadino”, per la capacità di intervenire in suo soccorso ma anche perché gli uomini che indossano la divisa dimostrano di condividere i piccoli e grandi problemi della vita quotidiana delle persone comuni”. I nostri poliziotti (che in qualche caso sono stati interpretati da chi indossa la divisa anche nella vita reale) sono delle mere comparse negative ed evidentemente ciò non crea particolari
il pulpito sussulti né in loro (quelli che si prestano alle comparsate) né in chi dovrebbe vigilare su quei testi narrativi. Male purché se ne parli, malconci pur di esserci... e le produzioni tv ringraziano. Ma come si comportano gli Uffici deputati al controllo delle serie tv degli altri Corpi, che non siano la Polizia Penitenziaria? La Polizia di Stato, nell’ambito del Dipartimento di Pubblica Sicurezza – Ufficio Cerimoniale e Relazioni Esterne, ha un Ufficio Fiction e Film che, come cerimoniale e relazioni esterne, è incardinato nella Segreteria del Dipartimento di Pubblica Sicurezza e, dunque, alle dirette dipendenze del Capo della Polizia, pur avendo un Dirigente al vertice. L’Ufficio collabora alla realizzazione di film, sceneggiati, fiction e documentari sulla Polizia di Stato. C’è un controllo accurato della sceneggiatura: protagonisti, progetto, sinossi tutto viene letto approfonditamente, anche le parti che non interessano direttamente la Polizia, perché viene ritenuto indispensabile capire il contesto. Alla fine viene chiesto di vedere anche il girato. Se non c’è corrispondenza tra progetto approvato, sceneggiatura e girato, la Polizia non concede i propri credits a fine film. Dato che non può esservi censura il film a quel punto andrà in onda ugualmente ma dovrà esserci l’indicazione che si tratta di una libera ispirazione artistica dell’autore e che ogni riferimento a fatti e persone reali è puramente casuale. Nella fiction “Squadra Antimafia” ad esempio, che evidentemente non rispettava più le “linee” del Dipartimento di Pubblica Sicurezza, non c’e’ più né il marchio né alcun riferimento alla Polizia di Stato da diverso tempo. In compenso nei titoli di coda c’è il ringraziamento all’Ufficio Relazioni Esterne del Dap e alla Polizia Penitenziaria (in questo ordine si badi bene). Evidentemente ci sono vedute discordanti sui girati accostabili o
meno ai nomi dei diversi corpi di polizia. L’Arma, ai tempi della serie tv “Carabinieri”, mandava un proprio Ufficiale sul set televisivo a Città della Pieve per verificare che il girato fosse allineato all’immagine ed al blasone dell’istituzione. Quando qualche attore si allontanava dalla verosimiglianza rispetto alle modalità operative dei Carabinieri c’era la cortese richiesta di modifica delle scene. Un vero salto di qualità per l’immagine dei Carabinieri è stato fatto con la fortunatissima serie tv “Il maresciallo Rocca”, andata in onda per cinque stagioni dal 1996 al 2005. Gigi Proietti, il protagonista indiscusso di ogni puntata, è entrato nel cuore della gente per l’eccezionale normalità che lo ha contraddistinto: bravo carabiniere ma anche uomo, marito, padre di famiglia alle prese con problemi ordinari, spesso in pensiero per le inquietudini dei figli adolescenti, un po’ come vive e come potrebbe essere visto qualunque poliziotto penitenziario rappresentato in modo diverso. Alla domanda «Pensa che la serie da lei interpretata abbia cambiato qualcosa, nella percezione che la gente comune ha del carabiniere?”» Proietti ha risposto: “Credo di sì. Perché quella del carabiniere veniva spesso ridotta a una figura da barzelletta. Io penso che Rocca invece
abbia restituito un’immagine più giusta e veritiera dei militari dell’Arma. Perlomeno ci abbiamo provato». In “Un passo dal cielo” Terence Hill, nei panni di Pietro il comandante della Forestale di San Candido, ha fatto conoscere al grande pubblico la bellezza della natura ed il fascino del lavoro di un Corpo Forestale che fino ad allora non era stato mai rappresentato nella sua specifica professionalità ed umanità. Invece, non è, e non sarà, facile uscire da certi stereotipi negativi appiccicati addosso alla Polizia Penitenziaria dopo anni ed anni di campagne di delegittimazione a mezzo stampa, al cinema e da chi il carcere ed il mondo penitenziario non lo conosce affatto. Se la Polizia Penitenziaria tra tutte le forze di polizia è quella che riscontra il consenso più basso, se ancora chi vuole definire un suo appartenente lo chiama in tutti modi (guardia carceraria, agente di custodia, secondino) tranne che in quello che lo qualifica in modo corretto, se ogni volta che accade qualche episodio spiacevole in carcere l’operatore in divisa, anziché presunto innocente, viene considerato presunto colpevole fino a prova contraria, qualche domanda su chi e come ha gestito la comunicazione che riguarda il Corpo fino ad oggi bisognerebbe incominciare seriamente a farla. H
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Sopra i ringraziamenti all’ufficio stampa del DAP nei titoli di coda della fiction Squadra Antimafia
Polizia Penitenziaria n.214 febbraio 2014
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Roberto Martinelli Capo Redattore Segretario Generale Aggiunto del Sappe martinelli@sappe.it
il commento
Fronteggiare l’emergenza carceri con nuove leggi a Camera ha approvato il 6 febbraio 2014 il disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 146/2013, diretto ad affrontare la questione del sovraffollamento carcerario e a garantire il pieno esercizio dei diritti fondamentali dei soggetti reclusi. Il provvedimento - che adesso passa al Senato e che dovrebbe essere in corso di definitiva approvazione - è finalizzato anche a dar seguito alla recente giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.
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Nelle foto sopra la Corte europea dei diritti dell’uomo a destra una cella
Polizia Penitenziaria n.214 febbraio 2014
La Corte europea, da ultimo con la sentenza Torreggiani dell’8 gennaio 2013, ha constatato che, alla luce dell’articolo 3 della Convenzione EDU (Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti), il sovraffollamento carcerario in Italia ha carattere strutturale e sistemico e ha stabilito che lo Stato italiano dovrà, entro un anno - entro il 28 maggio 2014 - a decorrere dalla data in cui la sentenza sarà divenuta definitiva, istituire un ricorso o un insieme di ricorsi interni effettivi ed idonei ad offrire una riparazione del danno adeguata e sufficiente in caso di sovraffollamento carcerario. Ha inoltre rilevato che il reclamo rivolto al magistrato di sorveglianza in virtù dell’ordinamento penitenziario,
non è effettivo nella pratica, dato che generalmente non permette di porre fine rapidamente alle condizioni di detenzione contrarie all’articolo 3 della Convenzione. Anche la Corte costituzionale, con la sentenza 279 del 2013, ha di recente invitato il legislatore a porre rimedio in tempi brevi al sovraffollamento penitenziario. La questione carceraria è stata anche al centro del (fino ad ora unico, da quando è al Quirinale) messaggio che il Capo dello Stato ha indirizzato alle Camere del Presidente della Repubblica. Il decreto-legge n. 146/2013 (Atto Camera 1927), in particolare, modifica il codice di procedura penale, l’ordinamento penitenziario (L. 354/1975), il testo unico stupefacenti e il testo unico immigrazione. Istituisce poi il Garante nazionale dei detenuti e proroga i termini per l’adozione dei regolamenti relativi ai crediti d’imposta e agli sgravi contributivi per imprese e cooperative sociali che assumono detenuti. Il decreto-legge introduce più ampie garanzie per i soggetti reclusi nel procedimento di reclamo in via amministrativa e in quello giurisdizionale davanti alla magistratura di sorveglianza, presso la quale è previsto anche un giudizio per assicurare l’ottemperanza dell’amministrazione penitenziaria alle prescrizioni del giudice. Nel corso dell’esame alla Camera è stata eliminata la previsione secondo cui la mancata ottemperanza determinava, su richiesta di parte al magistrato di sorveglianza, il pagamento di una somma di denaro a carico dell’amministrazione entro il limite di 100 euro per ogni giorno di ritardo.
La sitatuizione costituiva titolo esecutivo. E’ inoltre istituito, presso il Ministero della giustizia, il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale. Il Garante deve assicurare indipendenza oltre che competenza nelle materie trattate ed è chiamato a vigilare sulle condizioni negli istituti penitenziari, con il potere di effettuare visite, di rivolgere richieste all’amministrazione e di indirizzare raccomandazioni. Dovrà presentare una relazione annuale alle Camere.
E’ prevista infine una procedura semplificata nella trattazione di alcune materie di competenza della magistratura di sorveglianza ed è differito il termine per l’adozione dei regolamenti sugli specifici benefici fiscali e contributivi per le imprese e le cooperative sociali che assumono detenuti. Il decreto-legge prevede infine la riduzione del sovraffollamento carcerario attraverso alcuni strumenti quali ad esempio la prescrizione da parte del giudice del c.d. braccialetto elettronico, come regola generale cui può derogare qualora non ne ravveda la necessità, nell’applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari; è inoltre previsto il ricorso allo stesso strumento nell’applicazione della detenzione
il commento domiciliare; la trasformazione in autonoma fattispecie di reato della circostanza attenuante del delitto di detenzione e cessione illecita di stupefacenti (cd. attenuante di lieve entità). Questo produrrebbe l’effetto di riduzione della pena per le fattispecie di minore gravità (es. il piccolo spaccio) e la loro sottrazione alla comparazione delle circostanze da parte del giudice. La comparazione - nel caso di equivalenza con le aggravanti, tra cui ricorrente, in tale tipo di reato, è la recidiva - porta a risultati sanzionatori considerati eccessivi. In materia di stupefacenti, per altro, avrà effetto sul sistema penitenziario (se non da subito nell’immediato futuro) una ulteriore sentenza della Corte costituzionale che ha sancito l’incostituzionalità della legge FiniGiovanardi, abolendo l’equiparazione fra droghe leggere e droghe pesanti. A otto anni esatti dall’approvazione (era il 21 febbraio 2006) e dopo interminabili polemiche, la Consulta ha dunque messo fine nei giorni scorsi a uno dei provvedimenti normativi più discussi dei tempi recenti. Il motivo che ha spinto la Corte costituzionale a un simile pronunciamento è il modo in cui la norma fu varata dal governo Berlusconi, poche settimane prima delle elezioni che avrebbero visto la vittoria di misura del centrosinistra: un emendamento al decreto legge sulle Olimpiadi invernali di Torino, aggiunto peraltro nel corso della conversione parlamentare del provvedimento. Di fatto un abuso dell’articolo 77 della Costituzione, che regola le modalità di emanazione dei decreti. Il risultato del “blitz” dell’esecutivo fu un maxiemendamento composto da 23 articoli che cambiava alla radice il testo unico sugli stupefacenti (la Jervolino-Vassalli) risalente al 1990, stabilendo una equiparazione fra droghe leggere e droghe pesanti sotto l’aspetto sanzionatorio. Ovvero pene da 6 a 20 anni tanto per il pusher di strada quanto per il narcotrafficante. Insomma una nuova
legge all’interno di un decreto, che peraltro si occupava di tutt’altro. Di qui la bocciatura della Consulta, che avrà riflessi inevitabili anche sulla situazione dei penitenziari, dove si calcola che sono circa 24 mila (il 40%) i detenuti proprio per reati legati alla Fini-Giovanardi. Tornando al disegno di legge di conversione del decreto-legge n.146/2013, nel corso dell’esame alla Camera è stato novellato l’articolo 380 c.p.p. prevedendo, per il piccolo spaccio, l’inapplicabilità dell’arresto obbligatorio in flagranza. Inoltre, per evitare l’inapplicabilità della custodia cautelare in carcere a carico dei minorenni autori di tale reato, è stata integrata la formulazione dell’art. 19, comma 5, del DPR 448/1998 sul processo minorile. Stante il limite di 5 anni previsto dall’art. 280 c.p.p. per applicare la custodia cautelare, la novella esclude che per la determinazione della pena agli effetti della possibile irrogazione di tale misura possa essere applicata la diminuente della minore età. Il d.d.l. si caratterizza anche per la prevista abrogazione del divieto di disporre per più di due volte l’affidamento terapeutico al servizio sociale e per l’innalzamento da tre a quattro anni del limite di pena, anche residua, per l’applicazione dell’affidamento in prova al servizio sociale, con più ampi poteri del magistrato di sorveglianza per la sua applicazione. E’ previsto anche, ed ha fatto molto discutere, l’introduzione della liberazione anticipata speciale, che porta da 45 a 75 giorni per semestre - per il periodo dal 1° gennaio 2010 al 24 dicembre 2015 - la detrazione di pena già prevista per la liberazione anticipata ordinaria in favore del condannato che ha dato prova di partecipazione all’opera di rieducazione. La liberazione anticipata speciale non è applicabile in relazione ai periodi in cui il condannato è ammesso all’affidamento in prova e alla detenzione domiciliare, ai condannati ammessi all’esecuzione della pena presso il domicilio o che si trovino agli
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arresti domiciliari ai sensi dell’art. 656, comma 10, del codice di procedura penale; nel corso dell’esame alla Camera è stata prevista l’esclusione del beneficio per i condannati per i reati di particolare allarme sociale di cui all’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario. Il disegno di legge prevede infine l’applicazione a regime – e non più in via transitoria - della disposizione che consente di scontare presso il domicilio la pena detentiva non superiore a 18 mesi, anche se parte residua di maggior pena e l’estensione dell’ambito applicativo
dell’espulsione come misura alternativa alla detenzione, prevista dal testo unico immigrazione. Sono infatti circoscritti i reati previsti dal testo unico per cui la misura è esclusa; la stessa misura è resa possibile anche per la rapina e l’estorsione aggravate. Sono poi delineati i diversi ruoli di direttore del carcere, questore e magistratura di sorveglianza, con una velocizzazione delle procedure di identificazione. Vedremo nelle prossime settimane e nei prossimi mesi quale sarà l’effettiva incidenza del provvedimento sullo stato delle carceri italiane e, conseguentemente, su un miglioramento delle condizioni di lavoro per i poliziotti penitenziari... H
Nella foto un detenuto scortato
Polizia Penitenziaria n.214 febbraio 2014
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Giovanni Battista Durante Redazione Politica Segretario Generale Aggiunto del Sappe durante@sappe.it
l’osservatorio
Sono in arrivo nuove pene detentive non carcerarie e lavoro di pubblica utilità in discussione in Parlamento il disegno di legge di delega al governo in materia di pene detentive non carcerarie e disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili. Il disegno di legge in questione, nell’articolo 1, fissa principi e criteri direttivi atti a: • prevedere, tra le pene principali, la reclusione e l’arresto presso l’abitazione del condanato o altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza, di durata continuativa o per singoli giorni della settimana o per fasce orarie; • prevedere che, per i delitti puniti con la reclusione fino a sei anni, il giudice, tenuto conto dei criteri indicati dall’articolo 133 del codice penale, possa applicare la reclusione presso il domicilio in misura corrispondente alla pena irrogata; • prevedere che, per le contravvenzioni punite con la pena dell’arresto, sola o congiunta alla pena pecuniaria, la pena detentiva principale sia, in via alternativa e tenuto conto dei criteri indicati nell’articolo 133 del codice penale, anche l’arresto presso il domicilio, in misura non inferiore a cinque giorni e non superiore a tre anni; • prevedere, nei casi di reclusione e arresto presso il domicilio, che il giudice possa disporre l’applicazione del braccialetto elettronico; • prevedere che le misure di cui alle lettere b) e c) non si applichino nei casi di delinquenti abituali, professionali e tendenza a delinquere; • prevedere che, nella fase dell’esecuzione della pena, il giudice possa sostituire le pene previste nelle lettere b) e c) con le pene della reclusione o dell’arresto, qualora non risulti disponibile un domicilio idoneo
La messa alla prova comporta la prestazione di condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, nonché, ove possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato. Comporta altresì l’affidamento dell’imputato al servizio sociale, per lo svolgimento di un
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Nella foto una sezione penitenziaria
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ad assicurare la custodia del condannato ovvero il comportamento del condannato, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, risulti incompatibile con la prosecuzione delle stesse, anche sulla base delle esigenze di tutela della persona offesa dal reato; Inoltre, la legge delega, sempre nel primo articolo, dispone la previsione di alcune norme di coordinamento. L’articolo 2 prevede l’aspetto più innovativo, l’introduzione, cioè, nel nostro ordinamento, della sospensione del procedimento con messa alla prova, un istituto già previsto per il processo minorile. La disposizione che si intende introdurre prevede che nei procedimenti per reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, nonché per i delitti indicati nel comma 2 dell’articolo 550, per i quali è prevista la citazione diretta a giudizio, l’imputato possa chiedere la sospensione del processo con la messa alla prova.
programa che può implicare, tra l’altro, la prestazione di un lavoro di pubblica utilità, attività di volontariato di rilievo sociale, ovvero l’osservanza di prescrizioni relative ai rapporti con il servizio sociale o con una struttura sanitaria, alla dimora, alla libertà di movimento, al divieto di frequentare determinati locali. Il lavoro di pubblica utilità consiste in una prestazione non retribuita, di durata non inferiore a trenta giorni, anche non continuativi, in favore della collettività, da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni presso enti od organizzazioni non lucrative di utilità sociale. La prestazione è svolta con modalità che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dell’imputato e la sua durata giornaliera non può superare le otto ore. Decorso il periodo di sospensione del procedimento con messa alla prova, il giudice dichiara con sentenza estinto il reato se, tenuto conto del comportamento dell’imputato, ritiene che la prova abbia avuto esito positivo. H
il libro
interventi ricevuti
Trecentottanta psicologi penitenziari brutalmente fatti fuori
Domenico Forniciti
TREMORE STORICO ALETTI Editore pagg. 60 - euro 10,20 Domenico Forciniti è arrivato ormai alla sua terza pubblicazione di poesie, con la casa editrice Aletti. Il suo ultimo lavoro porta il titolo Tremore Storico e raccoglie quarantadue poesie. Nella silloge Tremore Storico devi affrontare il viaggio del poeta, devi sentirti pronto per leggerlo tutto di un colpo, e vivere emozioni come in una play station cinematografica, arrivati in territori dove pochi riescono ad arrivare, il poeta è solo quando vive le sue emozioni e narra il suo narrare in concomitanza con i fatti che lo circondano e, in quel si cercano le parole adatte ad incidere la musa di Monte Parnaso; un breve viaggio nella “pura espressione geografica”, ed un excursus nella vita dei sensi, una fugace idea degli amici, ed un’apparizione della speranza simil fede, il canto dell’amore. Infine un inno al vento, al fuoco, alla’acqua ed all’aria. Ecco Tremore Storico malinconica idea dei nostri tempi. Dopo “Riflessioni di fine millennio”, “Amor” e, “Atomi Blu” Domenico Forciniti pubblica Tremore Storico. Nelle opere del dott Forciniti c’è sempre un richiamo ai luoghi d’origine, Rossano e la Calabria più in generale, dove ha scelto di vivere, dopo un lungo soggiorno a Firenze, dove ha compiuto i suoi studi in Scienze Politiche. H
recentottanta. Trecentottanta padri e madri di famiglia, ma soprattutto professionisti di lungo corso della sanità carceraria vengono deliberatamente scaricati perché adesso bisogna far finta di trovare lavoro ai giovani. Si tratta, in media, di cinquantenni che hanno preso di petto un problema irrisolto, dall’Italia, mettendoci la faccia e il loro bagaglio culturale come se si fosse trattato di un lavoro normale, che normale non era. Precari nascosti di cui la stampa non si è mai occupata, perché sono pochi e hanno buttato dignità e sangue in un settore che, siamo onesti, non interessa a nessuno tranne coloro che dalla politica rischiano di passarci ore poco tranquille. La psicologa penitenziaria Daniela Teresi, tempo fa, ha scritto che “è giusto aiutare i condannati ad evolversi e a liberarsi dalle logiche antisociali. Perché è l’umanità di ogni uomo che è in pericolo ed è la dignità di ogni uomo che va salvata. Per effetto del DPCM del 1° aprile 2008 lo psicologo penitenziario è stato escluso dal passaggio alla Sanità a differenza dello psicologo che lavora in carcere con altro tipo di contratto e ciò è legittimo ed in contrasto con il principio di uguaglianza previsto dall’art. 3 della Costituzione. Per legge lo Psicologo penitenziario è a tutti gli effetti uno psicologo e come tale appartiene al pari degli altri colleghi ad un ruolo sanitario”. Ineccepibile, nell’epoca della balla istituzionalizzata, tanto che dire esattamente come stanno le cose rischia, come sempre, di essere rivoluzionario. Daniela Teresi, psicologa penitenziaria presso il carcere di Velletri, nel suo
11 di Giuseppe Baiocco Psicologo penitenziario rivista@sappe.it
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inascoltato appello ha aggiunto: “Perché il carcere non diventi la tomba dei mali dei più deboli, ma luogo di trasformazione per tutti quegli uomini che desiderano evolvere ed affrancarsi da logiche antisociali”. Le vergognose beghe cui assistiamo imperterriti da decenni, con progressione formidabile, imprimono in maniera indelebile, fra le nostre pieghe, l’umiliazione di far parte di un paese che sempre più appare un treno senza guidatore lanciato nel nulla. Preda, come ha detto il sociologo Franco Ferrarotti, di “frenetici idioti”. che null’altro vogliono che il tutti contro tutti si risolva a loro favore. Ma è inutile dire che questo è un crinale molto pericoloso, foriero di pessimi presagi che preludono a possibili soluzioni frutto della rabbia e dell’impotenza crescente, che è una costante delle classi medie e di quelle meno abbienti. H
Nella foto il cortile di un carcere
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sport
Ottime prove olimpiche delle Fiamme Azzurre a Sochi
Lady Oscar rivista@sappe.it
Con una gara inappuntabile Carolina Kostner conquista la sua prima medaglia ai Giochi Olimpici invernali Sochi una grande Carolina Kostner ha regalato alla Polizia Penitenziaria l’unica medaglia della storia del suo gruppo sportivo ai giochi olimpici invernali oltre che l’unica medaglia della storia del pattinaggio di figura in 23 edizioni olimpiche a parte il terzo posto di Barbara Fusar Poli e Maurizio Margaglio a Salt Lake City 2002. E’ stato un risultato con tutti i connotati dell’impresa che pochi, forse anche lei stessa, avrebbero immaginato quattro anni dopo la disfatta di Vancouver 2010. Da allora a Sochi 2014 il cammino di Carolina è stato duro e impervio ed è culminato in una medaglia che ha ripagato sacrifici, delusioni e critiche, l’unica che le mancava al termine di una lunga carriera fatta di cinque ori europei, un titolo mondiale ed altre otto medaglie tra argenti e bronzi continentali ed iridati. Sostenuta costantemente dalle Fiamme Azzurre, che non hanno mai smesso di credere in lei e nelle sue infinite potenzialità, Carolina era pronta fisicamente e mentalmente a raccogliere i frutti di anni di lavoro: si è divertita, ha pattinato la gara della vita con una leggerezza sul ghiaccio mai vista e a suon di record: il personale da 131.03 lo ha innalzato a 142.61, il totale da 187.89 a
A
Nelle foto sopra e a destra Carolina Kostner
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216.73 che vale anche il primato europeo. Dopo il terzo posto di mercoledì nel corto pattinato sull’Ave Maria di Schubert le premesse per far molto bene c’erano tutte. Nel libero dell’Iceberg Skating Palace di Sochi la portacolori della Polizia Penitenziaria è stata autrice di una prova senza errori, pattinata in un crescendo di difficoltà: triplo lutz, combinazione doppio axel triplo toeloop, triplo flip, triplo loop ed una sequenza di passi irresistibile, effettuata con una personalità ed un’espressività che nessuna
avversaria riesce ad avvicinare. L’argento di Yu-Na-Kim è a soli 2,38 punti, l’oro di Adelina Sotnikova, con polemiche a non finire per un panel di giudici troppo generoso con l’atleta di casa, a 5,48. Senza volersi accodare alle polemiche è innegabile affermare che se dopo il corto ed una prova senza macchia il terzo posto della nostra portacolori scontava un ritardo minimo dalla coreana e la russa ( rispettivamente a 80 e 60 centesimi di punti) anche nel libero e al termine di una prova ugualmente senza errori, la gara di Carolina doveva essere solo su Yu-Na-
sport Kim, per l’argento e su centesimi di punto. Vero è che la Russia di Putin, dopo il ritiro del beniamino del pattinaggio maschile Plushenko e la cocente eliminazione nel torneo di hockey, era alla ricerca di un risultato clamoroso che sicuramente avrà pesato sul giudizio finale. Tuttavia i cinque punti che l’hanno separata dalla Sotnikova, autrice di almeno due errori vistosi nel libero, francamente sono parsi troppi. Al di là di queste valutazioni, la cosa importante oggi è che Carolina è salita in quell’Olimpo che meritava da tempo, e lo sport italiano di questo non potrà mai esserle abbastanza grato. Ottima prova olimpica anche per Anna Cappellini e Luca Lanotte, gli specialisti della danza sul ghiaccio della Polizia Penitenziaria reduci dall’oro vinto il 16 gennaio agli Europei di Budapest nella splendida cornice del Syma Arena, teatro della gara che li ha incoronati sovrani continentali della loro disciplina e che hanno saputo accendere di musica, di arte e di storia mentre danzavano sulle note del Barbiere di Siviglia di Rossini. Anche Anna e Luca, come è avvenuto per la medaglia della nostra Kostner, hanno scritto una pagina fondamentale del gruppo sportivo Fiamme Azzurre vincendo il primo titolo europeo della sua storia nella
L’onda lunga delle ottime sensazioni per i due campioni della Polizia Penitenzaria è proseguita fino a Sochi dove sono giunti sesti al termine di una bellissima gara in una competizione di livello eccezionalmente elevato. Ben quattro record del mondo, tre stabiliti dai vincitori della medaglia d’oro, gli americani Meryl Davis e Charlie White, nel programma corto, nel lungo e di conseguenza anche nel totale, uno dai campioni olimpici uscenti Tessa Virtue e Scott Moir, sono stati ritoccati nel corso della stessa prova. Nelle coppie undicesimo posto per Stefania Berton ed Ondrej Hotarek che hanno confermato la stessa posizione del corto in una gara caratterizzata dalla doppietta russa con l’oro andato a Tatiana Volosozhar e Maxim Trankov con un programma pressoché perfetto e l’argento a Ksenya Stolbova e Fedor Klimov, arrivato dopo il secondo posto europeo di Budapest. Al terzo posto i tedeschi Alyona Savchenko e Robin Szolkowy. Stefania ed Ondrej non sono riusciti a rimontare in classifica dopo il corto in cui erano finiti ugualmente undicesimi, non senza qualche responsabilità della brutta caduta rimediata dalla nostra portacolori nel corso del Team Event, la sperimentale gara a squadre di pattinaggio. C’è da sottolineare in ogni caso che,
La Medaglia d’Oro è stata vinta dalla squadra Russa. Argento per il Canada e Bronzo per gli Stati Uniti. Pur essendo presente in Russia non ha trovato posto, nella squadra di staffetta femminile arrivata al bronzo nei 3000m la nostra atleta Cecilia Maffei, riserva designata ma tanto importante nel cammino che ha condotto le azzurre a qualificarsi per Sochi. Undicesimo posto finale per la prima della Fiamme Azzurre a gareggiare alle olimpiadi: Deborah Scanzio nel freestyle, specialità gobbe. Al termine della sua terza partecipazione olimpica dopo Torino 2006 e Vancouver 2010 la ticinese può rammaricarsi solo di essere giunta ad un passo (1,08 punti) dalla
danza sul ghiaccio ed il secondo di quella del pattinaggio azzurro dopo la vittoria di Barbara Fusar Poli e Maurizio Margaglio.
nel corso della competizione riservata a tutte le più titolate nazioni al mondo presenti a Sochi, i cinque atleti della Polizia Penitenziaria del
finalissima riservata alle migliori sei, ma resta in assoluto una delle migliori specialiste della sua difficilissima e spettacolare disciplina. H
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pattinaggio di figura (che rappresentano anche i cinque settimi della squadra azzurra), hanno dato un contributo determinante ad un quarto posto di tutto rispetto davanti al Giappone, nazione di incredibili tradizioni sul ghiaccio.
Nelle foto sopra Stefania Berton e Ondrej Hotarek in basso a sinistra Anna Cappellini e Luca Lanotte sotto Deborah Scanzio
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Giovanni Passaro passaro@sappe.it
diritto e diritti
Dipendenza da causa di servizio: le diverse valutazioni della CMO e del Comitato di verifica alve, sono un assistente capo con 30 anni di servizio svolti all’interno delle sezioni detentive, qualche anno fa ho fatto domanda per il riconoscimento di causa di servizio per un problema alla schiena. Nonostante la CMO abbia concesso la causa di servizio, il comitato di verifica ha espresso parere contrario. Vorrei capire come è possibile che dopo tanti anni di servizio, trascorsi in un ambiente malsano, prima la CMO accerta la causa di servizio e poi, l’atro organo nega il beneficio sostenendo il contrario. Sono molto amareggiato è come dire che la mano sinistra non sa cosa fa la destra! Grazie per l’eventuale risposta. Inviata a mezzo mail
S
entile collega, comprendo il disappunto dovuto al trascorso di gran parte della carriera professionale nei reparti detentivi, servizio di per se usurante. Per affrontare meglio l’argomento è opportuno partire dal decreto n. 44 del 23 febbraio 2004 del Ministero dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministero della Giustizia, della Difesa, dell’Interno e delle Salute. Il decreto dispone che nei confronti degli appartenenti alle Forze armate ed ai Corpi di Polizia, anche ad ordinamento civile, in servizio o collocati in quiescenza, gli accertamenti sanitari sono effettuati dalle CMO (Commissione Medica Ospedaliera). Le CMO territorialmente competenti (il cui elenco è riportato negli allegati D/1 e D/2 del Decreto) sono quelle individuate sulla base dell’ufficio di
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ultima assegnazione del dipendente ovvero, se l’iscritto è pensionato o deceduto, della residenza, rispettivamente, del pensionato o dell’avente diritto. È utile fare un distinguo tra le competenze che il legislatore ha assegnato alla CMO ed al comitato di verifica: con il Regolamento 461/2001 è stata operata una chiara distinzione tra le competenze relative all’accertamento clinico e quelle relative all’accertamento del nesso di causalità, con la conseguenza che le commissioni mediche sono competenti a pronunciarsi esclusivamente sulla patologia riscontrata mentre l’esistenza del rapporto di causalità tra il fatto di servizio e l’insorgenza dell’infermità è affidata in via esclusiva al Comitato di verifica per le cause di servizio. È di fondamentale importanza sottolineare che, a seguito dell’entrata in vigore del Regolamento, le commissioni mediche non sono più chiamate a pronunciarsi anche sull’esistenza del rapporto di casualità tra il fatto di servizio e l’insorgere dell’infermità (o
di prodursi della lesione), in quanto tale valutazione è affidata in via esclusiva al Comitato di verifica per le cause di servizio di cui all’art. 10 del Regolamento. Non spetta invece alla commissione medica il compito di pronunciarsi sull’esistenza del nesso causale tra il fatto di servizio e l’infermità o lesione riscontrata, in quanto tale determinazione è, come sopra detto, demandata, in via esclusiva, al Comitato. Alla commissione, quindi, compete la formulazione del giudizio sull’infermità, comprensivo dell’eziopatogenesi, dell’epoca della sua conoscibilità, degli esiti prodotti sull’integrità fisica, psichica o sensoriale da cui sia cagionata una menomazione ascrivibile a categoria tabellata – laddove sia richiesto il riconoscimento della causa di servizio – oppure della inabilità temporanea o permanente, quest’ultima in modo assoluto o relativo, al servizio (art. 6, comma 6 del Regolamento e le più specifiche prescrizioni contenute nel Decreto). Cordiali saluti. H
giustizia minorile
Un seminario di formazione per nuovi tutor da destinare ai laboratori esperenziali l 13 e 14 febbraio scorso si è svolto presso l’Istituto Centrale di Formazione del personale Giustizia Minorile di Roma il seminario per trainer e tutor che ha coinvolto gli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria. Il seminario si pone in linea con le direttive del D.A.P. il quale già da tempo utilizza la figura del trainer presso gli istituti penali per adulti per accompagnare gli allievi agenti del Corpo nel percorso di on the job. Il corso è stato organizzato dallo Staff diretto dalla dott.ssa Cira Stefanelli e dal dott. Giuseppe Mandalari in collaborazione con la dott.ssa Franca Olivetti Manukian dello studio APS, esperta di formazione e già componente del comitato scientifico per il DGM. Notevole contributo è stato offerto anche dalla psicologa Sonia Moretti già partecipe al percorso di Specializzazione nel trattamento dei detenuti minorenni della Polizia Penitenziaria e curatrice della dispensa che raccoglie i contenuti del corso e che verrà consegnata nei servizi della Giustizia Minorile a tutti coloro che hanno partecipato. Al seminario hanno inoltre partecipato i quattro tutor che si occupano dei laboratori del corso di specializzazione appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria, ovvero un ispettore, un sovrintendente, un assistente capo e un assistente. I quattro tutor hanno diretto e guidato le esercitazioni che si sono tenute nel secondo giorno. I partecipanti al seminario, individuati dalle direzioni secondo una modalità indicata dal DAP, sono stati quindici e appartenenti ad ogni grado, provenivano da quasi tutti gli istituti d’Italia.
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a cura di Ciro Borrelli Referente Sappe per la Formazione e Scuole Giustizia Minorile borrelli@sappe.it
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Nelle foto in alto le aule della Scuola di Formazione a fianco la targa del Dipartimento
Alcuni di loro avevano già svolto senza incarico formale il ruolo da trainer, mentre altri avevano già partecipato ad un interpello nazionale come tutor della giustizia minorile nel 2008. Tutti i partecipanti hanno riconosciuto in questa nuova opportunità un ulteriore elemento di crescita per la giustizia minorile e per il personale di Polizia Penitenziaria che ne fa parte, tant’è che ogni argomentazione teorica viene sempre sostenuta da esperienze maturate all’interno degli istituti nella realtà quotidiana. Tra questi quindici partecipanti al
seminario verranno successivamente scelte quattro unità da affiancare a quelle che già collaborano con la scuola e che a loro volta guideranno i laboratori esperienziali della specializzazione( si ricorda che questo corso era iniziato con 4 tutor civili, tutti psicologi, e che ad oggi vanta quattro unità di Polizia Penitenziaria). Presumibilmente il secondo modulo si svolgerà a ridosso delle assegnazioni dei neo-agenti del prossimo corso in on the job, in modo da avere fresche le nozioni del corso e poterle sfruttare al meglio. H
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dalle segreterie Massa
rivista@sappe.it
La befana del Telefono Azzurro scortata dalla Polizia Penitenziaria om’è consuetudine ormai da diversi anni, anche quest’anno la Befana del Telefono Azzurro onlus, a Massa, è arrivata in piazza per la gioia dei più piccini scortata dalla Polizia Peniteniaria, dalla Polizia Municipale e da oltre 100 motociclisti appartenenti al Motoclub di Massa. E’giunta in una Piazza Mercurio gremita all’inverosimile da
C Nelle foto la befana di Telefono Azzurro
bambini e non, con un mezzo del tutto particolare: “il cellulare della Polizia Penitenziaria” proprio per la
collaborazione che l’Associazione Telefono Azzurro (Responsabile Provinciale Giovanna Guerra), ha con la Casa di Reclusione diretta dalla Dott.ssa Maria Martone, e con la Polizia Penitenziaria legata al progetto “Ludoteca in carcere” per i figli dei detenuti. Il rapporto tra volontari di Telefono
Genova Nuovi Dirigenti sindacali per Marassi abatino De Rosa e Pasquale Delli Paoli sono i due nuovi delegati provinciali SAPPE di Genova. I due sindacalisti, in servizio nel carcere di Marassi, hanno incontrato negli uffici della Segreteria Generale in via Trionfale a Roma il segretario generale del SAPPE Donato Capece e i suoi più stretti collaboratori ai quali hanno rappresentato criticità e problematiche del più grande penitenziario ligure.
S Polizia Penitenziaria n.214 febbraio 2014
Ai due, il Segretario Generale ha assicurato la costante vicinanza sua personale e di tutto il SAPPE ai poliziotti di Marassi e della Liguria. H
Azzurro e Polizia Penitenziaria di Massa è molto forte. Infatti, negli ultimi 2 anni, sono state realizzate “missioni all’estero “ che hanno visto coinvolti appartenenti al Corpo e volontari di Telefono Azzurro: Missone Kosovo 2012, Missione Bucarest 2013. Anche durante il terremoto dell’Emilia, Polizia Penitenziaria e Volontari di Telefono Azzurro hanno portato aiuti umanitari ai bambini e famiglie ospiti nei campi di Cavezzo e Finale Emilia. Quindi, non poteva mancare, ovviamente, una “befana speciale”, che tra l’altro richiama nel suo abbigliamento proprio i colori della Polizia Penitenziaria. H
Mario Novani - Segretario Provinciale Sappe - Massa
dalle segreterie Cagliari Anche la Polizia Penitenziaria interviene in ordine pubblico
I
l giorno 10 dicembre 2013, l’Assistente Capo Spano Paolo, di stanza nel Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria della Sardegna di Cagliari, comandato di servizio di vigilanza dei partecipanti alla selezione per le attività Forensi nei locali della Fiera Campionaria della Sardegna di Cagliari, mentre rientrava presso la propria abitazione, con la propria autovettura, notava una persona che terrorizzava i passanti con urla e con modo di fare molto minaccioso. Preoccupato per la situazione si fermava per osservare le intenzioni dell’ irascibile e notava che subito dopo si scagliava contro le vetrine di un supermercato urlando che voleva entrare.
Visto ciò contattava immediatamente il servizio 113 al quale comunicava l’evento e allo stesso tempo chiedeva l’intervento di una volante. Nel frattempo cercava di tranquillizzare il soggetto che era visibilmente in stato di ebrezza, delirio e ricominciava a inveire contro le vetrate del supermercato. Sul posto veniva informato da un autista di autobus e da una persona allo Spano conosciuta, di professione giornalista, che questi era armato di coltello e che prima del suo intervento aveva già minacciato, all’interno di un vicino bar, delle persone con un coltello. All’arrivo della volante, lo Spano, ha collaborato a immobilizzare e perquisire l’uomo, rinvenendo all’interno delle tasche il coltello menzionato. Gli intervenuti provvedevano a far salire nell’auto di servizio il soggetto, che all’istante opponeva resistenza e che subito dopo all’interno del mezzo della volante cominciava a scalciare contro i vetri. Vista la situazione optavano per la richiesta di rinforzi di un’altra volante
C O N V E G N O
XXV Consiglio Nazionale Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Abano Terme, 8 • 9 • 10 aprile 2014
in servizio sul territorio. Subito dopo l’ Assistente Spano, con un altro Agente intervenuto, si portavano all’interno del bar, sentivano il titolare e il barman che confermavano le minacce di poco prima di clienti con un coltello. Pertanto provvedevano e rilevare tutte le generalità delle persone dichiaranti, compreso quelle del giornalista presente sul posto. Al termine di tutte le operazioni di rito l’assistente provvedeva ad informare i propri superiori. H
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rivista@sappe.it
Nella foto l’Assistente Capo Paolo Spano
Organizzato nell’ambito dei lavori del XXV Consiglio Nazionale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria
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cinema dietro le sbarre
Smetto quando voglio a cura di Giovanni Battista de Blasis deblasis@sappe.it
Nelle foto la locandina e alcune scene del film
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l giovane regista Sidney Sibilia (33 anni), al suo primo lungometraggio, dirige una bellissima commedia con sceneggiatura originale su soggetto dello stesso regista e di Valerio Attanasio. Strizzando gli occhi ai grandi maestri della commedia all’italiana degli anni cinquanta, sessanta e settanta, Smetto quando voglio si ispira liberamente ai Soliti Ignoti di Monicelli. La freschezza della storia, l’originalità della sceneggiatura e la ventata di novità di questa pellicola mi hanno fatto trasgredire le regole di questa rubrica e nonostante non si tratti di un prison movie se non per i pochi minuti del finale, scrivere la recensione. Il film si avvale di una bellissima fotografia ritrae una Roma notturna che molto simile a quella di Sorrentino ne La grande bellezza. Azzeccatissima la colonna sonora che accompagna la narrazione. Mentre la banda dei soliti ignoti di Monicelli era composta da perdigiorno, disoccupati e disadattati quella – ancora più improbabile – di Sibilia mette insieme due latinisti, due neurobiologi, un macroeconomista, un
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antropologo e un archeologo (tutti disoccupati o sottoccupati) che, lungo il sottile filo rosso che separa il lecito dall’illecito, si mettono a spacciare pillole stupefacenti prodotte artigianalmente, di nascosto, nei laboratori dell’università. Il commercio di queste sostanze, meglio conosciute come smartdrugs, li fa improvvisamente diventare ricchissimi ma, allo stesso tempo, li mette in conflitto con la malavita del narcotraffico. Ovviamente, però, i sette professori universitari non saranno in grado di gestire la situazione e finiranno nei guai. Alla fine, sarà Pietro, l’ideatore del
la scheda del film Regia: Sydney Sibilia Soggetto: Valerio Attanasio, Sydney Sibilia Sceneggiatura: Valerio Attanasio, Andrea Garello, Sydney Sibilia Fotografia: Vladan Radovic Musiche: Andrea Farri Montaggio: Gianni Vezzosi Costumi: Francesca Vecchi, Roberta Vecchi Scenografia: Alessandro Vannucci Produzione: Domenico Procacci e Matteo Rovere per Fandango, Ascent Film, con RAI Cinema Distribuzione: 01 Distribution Personaggi ed Interpreti: Pietro: Edoardo Leo Giulia: Valeria Solarino Mattia: Valerio Aprea Arturo: Paolo Calabresi Bartolomeo: Libero De Rienzo Alberto: Stefano Fresi Giorgio: Lorenzo Lavia Andrea: Pietro Sermonti Murena: Neri Marcorè Sergio Solli Genere: Commedia Durata: 100 minuti Origine: Italia, 2013 piano, ad assumersi la responsabilità di tutto finendo in prigione. E proprio in prigione, finalmente, Pietro riuscirà ad esercitare la sua professione di insegnante arrivando a guadagnare a sufficienza per mantenere la famiglia, tanto che allo scadere della pena, di comune accordo con la moglie, cercherà di
commettere un nuovo reato in carcere per continuare a rimanere detenuto. Il film, insomma, affronta brillantemente il problema della disoccupazione giovanile, soprattutto quella dei laureati, raccontandola per paradossi senza, però, mai suggerire soluzioni. H
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mondo penitenziario
Le misure cautelari personali Luca Pasqualoni Segretario Nazionale Anfu pasqualoni@sappe.it
Nella foto sovraffollamento carcerario
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ra le molteplici cause, o meglio concause, del sovraffollamento penitenziario può certamente annoverarsi l’eccesivo ricorso alla carcerazione preventiva. All’uopo si ponga mente che, alla data del 30 aprile 2013, su un totale di 65.917 detenuti presenti nei 206 Istituti di pena, 24.637 di questi sono risultati essere in custodia cautelare, vale a dire il 37, 3%, di cui 12.258 in attesa di primo giudizio, ossia il 18,6% della popolazione ristretta, come si rileva dai dati licenziati dalla Camera dei Deputati in forza di pertinente indagine conoscitiva.
T
dell’8 gennaio 2013 (Torreggiani ed altri, contro Italia), ha evidenziato, tra l’altro, come il problema del sovraffollamento penitenziario per quanto riguarda l’Italia sia legato all’eccessivo uso della custodia cautelare in carcere, che invece dovrebbe essere limitata al minimo compatibile con gli interessi della giustizia. Per tali motivi la Commissione giustizia della Camera dei Deputati, a seguito della citata indagine conoscitiva, ha elaborato la base per una proposta di legge di modifica della disciplina delle misure cautelari
Dunque quasi la metà della popolazione detenuta si trova privata della libertà personale non già di un provvedimento definitivo, come dovrebbe essere, ma di un provvedimento strumentale ed interinale, sebbene metà di tale aliquota riguardi imputati condannati in primo grado. In questo senso, il Primo Presidente uscente della Corte di Cassazione, in occasione della inaugurazione del nuovo anno giudiziario, e precisamente il 25 gennaio 2013, ha qualificato come inaccettabile una percentuale dei detenuti in custodia cautelare pari a circa il 40% ... che rappresenta un sintomo perdurante dei gravi squilibri del sistema processuale penale italiano. Parimenti, la Corte europea dei diritti dell’uomo, nella ormai nota sentenza
personali, fatta propria dalla Camera dei Deputati che l’ha approvata in questi giorni: verosimilmente a marzo vi sarà l’approvazione definitiva del Senato della Repubblica. L’obiettivo è chiaro: restituire natura di extrema ratio alla carcerazione preventiva, rendendo più stringenti i presupposti e le motivazioni e ampliando al contrario le misure alternative. In altri termini la proposta di legge mira a delimitare maggiormente il ricorso ad esse nel precipuo intento di richiamare i giudici ad un più responsabile ricorso alla misura custodiale, sottolineando come il sistema imponga di considerare realisticamente le esigenze cautelari e di saggiarne prudentemente l’effettiva attualità. Inoltre, la proposta di legge intende
“ripristinare una cultura delle cautele penali fondate sul rispetto della presunzione di innocenza e sulla funzione strumentale delle stesse alle esigenze delle indagini preliminari”. Ecco, in sintesi, le principali novità. Valutazione del giudice Il provvedimento delimita la discrezionalità del giudice nella valutazione dei presupposti per l’applicazione delle esigenze cautelari. E’, infatti, escluso, nel corso delle indagini preliminari, che il riferimento a specifici comportamenti dell’indagato (es. rifiuto di rendere dichiarazioni, mancata ammissione degli addebiti, personalità desunta dai comportamenti) possa giustificare le esigenze cautelari. Inoltre, è introdotto il requisito dell’attualità del pericolo di fuga o di reiterazione del reato; né è consentito desumere la concretezza e l’ attualità del pericolo di fuga o di reiterazione esclusivamente dalla gravità del reato per cui si procede nonché dalle modalità e circostanze del fatto addebitato. E’ esclusa l’applicabilità, oltre che della custodia in carcere, anche degli arresti domiciliari: quando il giudice ritenga che la eventuale sentenza di condanna non verrà eseguita in carcere (concessione della condizionale); quando il giudice ritenga che, all’esito del giudizio, sia possibile sospendere l’esecuzione della pena con concessione di una misura alternativa. Viene poi confermato il carattere residuale del ricorso al carcere, dal momento che tale misura può essere disposta soltanto quando le altre misure coercitive o interdittive (in luogo di “ogni altra misura”), anche se applicate cumulativamente, risultino inadeguate. Inoltre, nell’ipotesi di aggravamento delle esigenze cautelari, il giudice, su richiesta del PM, può anche applicare congiuntamente altra misura
mondo penitenziario coercitiva o interdittiva (attualmente il giudice può solo sostituire la misura in corso con altra più afflittiva oppure applicare la prima con modalità più gravi). Sono soppresse alcune disposizioni che favoriscono il ricorso alla custodia in carcere. Le disposizioni soppresse riguardano: l’obbligo per il giudice di revocare gli arresti domiciliari e applicare la custodia in carcere in caso di trasgressione del divieto di allontanarsi dalla propria abitazione; il divieto per il giudice di concedere gli arresti domiciliari al condannato per evasione nei 5 anni precedenti al fatto per il quale si procede. E’ poi ampliato il termine di efficacia delle misure interdittive (da 2 a 12 mesi). Idoneità della custodia in carcere Quanto all’applicazione della custodia in carcere per alcuni reati di particolare gravità, la presunzione di idoneità della custodia in carcere continua ad operare solamente con riguardo alla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza per i soli delitti di associazione sovversiva (art. 270 c.p.), associazione terroristica, anche internazionale (art. 270-bis c.p.) e associazione mafiosa (art. 416-bis c.p.). Per altri reati gravi – tassativamente individuati – tra cui i reati di omicidio, induzione alla prostituzione minorile, pornografia minorile, turismo sessuale, violenza sessuale – è possibile applicare la custodia in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari o, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possano essere soddisfatte con altre misure. Il riferimento alla ipotesi dell’eventuale soddisfacimento delle esigenze cautelari con altre misure viene incontro alla giurisprudenza costituzionale in materia. Obblighi di motivazione E’ fatto obbligo per il giudice – nel disporre la custodia cautelare in carcere - di spiegare i motivi dell’eventuale inidoneità ad assicurare le esigenze di cautela degli
arresti domiciliari con uso dei cd. braccialetti elettronici. Quanto al contenuto dell’ordinanza di custodia cautelare con la finalità di rafforzare gli obblighi di motivazione da parte del giudice, è fatto obbligo di autonoma valutazione da parte del giudice sia delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi alla base della misura restrittiva sia delle concrete e specifiche ragioni per le quali le indicate esigenze di cautela non possono essere soddisfatte con altre misure e perché siano disattese le argomentazioni della difesa. Si intendono così evitare motivazioni delle esigenze cautelari “per relationem” a quelle del PM richiedente. La mancanza di “autonoma valutazione” è considerata motivo di annullamento dell’ordinanza cautelare in sede di riesame. Procedimento E’ aumentato da due a dodici mesi il termine massimo di efficacia delle misure interdittive. E’ modificato, con più ampie garanzie per l’imputato, il procedimento di riesame presso il Tribunale della libertà delle ordinanze che dispongono una misura coercitiva. L’udienza camerale, alla quale l’imputato può chiedere di apparire personalmente, se ricorrono giustificati motivi, può essere differita dal Tribunale per un minimo di 5 ad un massimo di 10 giorni. Di pari periodo viene prorogato il termine di 10 gg. per la decisione (di annullamento, riforma o conferma) sull’ordinanza oggetto del riesame e per il relativo deposito dell’ordinanza da parte del tribunale. Al mancato deposito in cancelleria, entro 30 gg. dalla deliberazione, dell’ordinanza del tribunale del riesame consegue la perdita di efficacia dell’ordinanza che dispone la misura coercitiva. Diventa, poi, possibile differire, per giustificati motivi, la data dell’udienza camerale del Tribunale in sede di riesame delle ordinanze relative a misure cautelari reali (sequestro conservativo o preventivo). Circa l’appello avverso le ordinanze
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che dispongono misure cautelari personali, viene precisato che la decisione sull’appello del tribunale del riesame (entro 20 gg. dalla ricezione degli atti) sia assunta con ordinanza depositata in cancelleria entro 30 gg. dalla deliberazione. Circa il ricorso per cassazione sulle ordinanze che dispongono misure coercitive nonché su quelle emesse in sede di appello avverso ordinanza in materia di misure cautelari personali, sono escluse alcune ipotesi di ricorso da parte del PM. Dopo l’annullamento con rinvio di un’ordinanza che ha disposto o confermato una misura coercitiva, il giudice del rinvio decide entro 10 giorni dalla ricezione degli atti e deposita in cancelleria l’ordinanza nei 30 gg. dalla deliberazione. La mancata decisione, come il
mancato deposito dell’ordinanza nei termini, comportano la perdita di efficacia della misura coercitiva. Monitoraggio del Parlamento. Ogni anno, entro fine gennaio, il governo presenterà alle Camere una relazione arricchita da statistiche sull’applicazione delle misure cautelari personali. La relazione dovrà indicare per ogni tipologia anche l’esito dei relativi procedimenti. Infine, occorre evidenziare come la presente proposta di legge assume una valenza che va ben oltre la pragmatica finalità deflattiva dell’elevato carico penitenziario in quanto, restringendo le maglie del ricorso alla carcerazione preventiva, interviene sulla tutela dell’habeas corpus di cui all’articolo 13 della Costituzione, rafforzandola. H
Nella foto un braccialetto elettronico
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crimini e criminali
siamo così arrivati alla terza parte del nostro racconto e al sesto duplice omicidio del mostro, ma prima di narrare questa ulteriore sequenza di omicidi, mi preme ringraziare i tanti amici-lettori, soprattutto fiorentini, che continuano a darmi suggerimenti, a teorizzare sul presunto assassino e, soprattutto, a raccontarmi aneddoti su «cicci il mostro di Scandicci». Nel mese di settembre del 1983, accade una cosa alquanto anomala, per la prima volta, da quando il mostro ha iniziato ad uccidere, non viene uccisa una coppia in cerca d’intimità, ma bensì due ragazzi.
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ancora la musica della colonna sonora di Blade Runner - Rüsh, un ragazzo con una folta capigliatura bionda, era poggiato con la spalla destra e la testa sullo spigolo del telaio della parte latero-posteriore sinistra del veicolo, in posizione pressoché completamente supina, con indosso solo un paio di slip. Meyer, invece, era sul lato mediosinistro del furgone, in posizione prona, coperto parzialmente da un sacco a pelo, la testa in direzione della cabina di guida e le gambe verso il centro della vettura. Abbracciava un cuscino scuro, sul quale era immediatamente visibile
del mostro: l’assassino avrebbe scambiato uno dei ragazzi per una donna, non tanto per la corporatura longilinea, ma per la lunga capigliatura bionda, e questo giustificherebbe la circostanza, peculiare rispetto a tutti gli altri omicidi, che non è stata posta in essere nessuna escissione né inferto nessun colpo di lama sui cadaveri. Un’ulteriore ipotesi formulata per questo duplice omicidio e che il mostro abbia voluto scientemente colpire i due ragazzi, forse proprio perché ritenuti da lui omosessuali “colti in fallo” (nelle adiacenze della scena del crimine furono trovati pezzetti di carta di pagine stracciate di una rivista pornografica per omosessuali «Golden Gay»). Dieci giorni dopo l’omicidio dei due ragazzi tedeschi viene arrestato Antonio Vinci, di anni 24, nipote prediletto di Francesco Vinci e figlio del fratello Salvatore, con l’accusa di
Nella notte tra il venerdì 9 e il sabato del 10 settembre del 1983, a Giogoli, una piccola frazione del Comune di Scandicci a sud-ovest di Firenze, vengono trucidati Horst Friederich Wilhem Meyer, di anni 23, e Uwe Rüsh Jens, di anni 24, entrambi cittadini dell’allora Repubblica Federale Tedesca. Il «mostro» spara sette colpi, attraverso i finestrini laterali, uccidendo i due giovani, che vengono trovati, la sera successiva, all’interno dell’abitacolo posteriore di un pullmino Volkswagen celeste con targa tedesca trasformato in camper. Al momento del rinvenimento - dal mangianastri del veicolo usciva
una macchia di sangue. A seguito di questo nuovo duplice omicidio, la Procura di Firenze è nuovamente punto e a capo: Francesco Vinci è ancora in carcere, quindi o non è stato lui o c’è qualcuno che uccide per lui. Il duplice omicidio, secondo qualche investigatore, è avvenuto a troppa poca distanza dall’arresto del presunto colpevole e poi è un omicidio anomalo, nel modus operandi, e nelle vittime predestinate (due maschi) ed è per questo che il giudice ritiene di non scarcerare ancora il Vinci. Molti ritengono (inquirenti e giornalisti) questo delitto un «errore»
possesso illegale di fucili. L’arresto del ragazzo e il tenere ancora in carcere lo zio, nonostante l’ultimo duplice omicidio, rappresenta per gli inquirenti la prima tappa di un percorso da riprendere: la cd. «pista sarda». La procura, anche se era convinta che il mostro non fosse Francesco Vinci, nello stesso tempo riteneva che i due Vinci e Stefano Mele, anche se solo in parte, sapevano molto, ritenendo che la chiave di svolta era nascosto nel duplice omicidio del ’68, e la verità fortemente tenuta segreta dal clan dei sardi. I magistrati erano convinti che dal quel segreto era nato il mostro di
Il mostro di Firenze Terza parte Pasquale Salemme Segretario Nazionale del Sappe salemme@sappe.it
Nelle foto a fianco Wilhem Meyer e Uwe Rüsh Jens a destra Antonio Vinci
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crimini e criminali Firenze e quindi da lì bisognava ripartire. Era necessario, pertanto, far rischiare l’ergastolo ad un innocente (Vinci), che per proteggere qualcuno o per non pagare il conto di un vecchio delitto, accettava di lasciare un libertà un assassinio paranoico che continuava a disseminare sangue nella provincia di Firenze. La minaccia di passare il resto della vita in cella avrebbe consigliato a qualcuno della famiglia di collaborare. Questo era il motivo per cui Francesco Vinci continuava a permanere in prigione ed era per questa ragione che era stato arrestato anche il nipote. Sempre secondo questo teorema, il 10 gennaio del 1984, il giudice Rotella fa arrestare Giovanni Mele e Piero Mucciardini, rispettivamente fratello e cognato di Stefano Mele già condannato per il primo duplice
gamma, un ventaglio enorme di ipotesi. Si può pensare a colui che rinnova un trauma antico; al moralista; al vendicatore del perbenismo; al maniaco sanguinario che gode del sangue e anche a un’associazione a delinquere di guardoni se ci si vuole divertire. Ma io voglio dati di fatto, su cui dopo lavorare dal punto di vista psicologico.» Il Procuratore, fece anche un appello alla prudenza e di non appartarsi in auto di notte. Con i due Vinci, Mele e Mucciarini in carcere la tensione tra la popolazione si abbassò. Dopo alcuni mesi di apparente calma, la mattina del 30 luglio del 1984 la provincia di Firenze si sveglia nuovamente con l’incubo del mostro. A Vicchio, il paese di Giotto, nel Mugello a circa quaranta kilometri a nord di Firenze, in località Boschetta, vengono ritrovati i corpi inanimati di
stesso anno, la procura di Firenze costituisce la Squadra Anti Mostro (SAM), composta dai Sostituti Procuratori Francesco Fleury, Paolo Canessa, Adolfo Izzo e Pier Luigi Vigna e con un nucleo interforze di polizia e carabinieri, a capo della quale viene nominato il commissario Sandro Federico, a cui si aggiungerà poco dopo il questore Luigi Rossi, Direttore della polizia criminale, con il compito di occuparsi esclusivamente del caso. Parallelamente si affidò ad un pool di quotati criminologi una consulenza perché stilassero il possibile profilo dell’uomo che si stava cercando. Prima ancora però fu preso un altro provvedimento eclatante, il quale sicuramente non mancò di generare notevoli polemiche, ma che spiegava bene che cosa volesse dire ricominciare tutto da capo. Il provvedimento consisteva nel farsi consegnare dalle anagrafi di tutti i
omicidio del mostro del ’68. Gli arresti e il perseguire il filone della cd. “pista sarda” portarono ad una spaccatura tra gli investigatori e degli stessi magistrati che seguivano l’inchiesta sul mostro, determinando delle divergenze non solo investigative, ma addirittura di contrapposizione tra l’Ufficio Istruzione e carabinieri dal un lato e la Procura e la polizia dall’altro. Il 29 gennaio 1984, il quotidiano La Città, pubblicò l’intervista al procuratore capo di Firenze Enzo Fileno Carabba:“E’ un’inchiesta terribilmente difficile. E’ un giallo degno di Agatha Christie. E’ di enorme difficoltà. C’è tutta una
Pia Rontini, di anni 20, e Claudio Stefanacci, di anni 21, rispettivamente la tredicesima e quattordicesima vittima del mostro. I due ragazzi, la sera prima (domenica) si erano appartati a bordo di una FIAT Panda, anch’essi in cerca d’intimità. Il corpo di Claudio viene ritrovato nell’auto in posizione fetale sul vano posteriore dell’auto completamente ricoperto di sangue sgorgato da decine di ferite da taglio e da tre d’arma da fuoco. Pia, invece, viene rinvenuta, con il pube e il seno sinistro asportato, ad una decina di metri dall’auto a terra in posizione supina e con le braccia spalancate in croce. Il 1° agosto dello
comuni della provincia di Firenze i nominativi degli uomini single, o che vivevano con familiari ma non essendo sposati, in età compresa tra i 30 e i 60 anni. L’obiettivo era quello di stilare una classifica “a priori” dei possibili sospetti, uno screening di massa che rendeva bene l’idea di come la caccia al mostro fosse, drammaticamente, la ricerca di un ago nel pagliaio. Qualche mese dopo l’omicidio la procura scarcera Piero Mucciarini e Giovanni Mele, che escono definitivamente dall’inchiesta, non essendoci a loro carico indizi tanto gravi da giustificare il rinvio a giudizio, ed essendo i due detenuti
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Nelle foto sopra la Fiat Panda di Claudio Stefanacci al centro Pia Rontini a sinistra il Procuratore Enzo Fileno
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Nelle foto sopra il luogo del delitto di Scopeti a destra Nadine Mauriot sotto Jean Michel Kraveichvili
crimini e criminali nel periodo in cui è stato commesso l’ultimo duplice omicidio. La presenza della SAM e tutti gli accorgimenti presi, però, non bastano ad evitare l’ultimo duplice omicidio del mostro. L’8 settembre del 1985 vengono uccisi nella campagna di San Casciano Val di Pesa, in frazione Scopeti, due giovani francesi in
seno sinistro, anche il cadavere della donna viene in qualche modo occultato e risistemato all’interno della tenda in modo che non sia immediatamente visibile, probabilmente per ritardarne il ritrovamento. Un brandello del seno della ragazza viene spedito alla Procura della Repubblica di Firenze in una busta
vacanza in Italia, Nadine Mauriot, di 36 anni, e Jean Michel Kraveichvili, di 25 anni. Le vittime sono accampate in una piccola tenda ad igloo a poca distanza dalla strada. La pistola calibro 22 spara per l’ultima volta, il giovane Jean Michel, ferito non mortalmente, riesce ad uscire dalla tenda e a fuggire di corsa in direzione del bosco, ma viene raggiunto dall’omicida che lo finisce a coltellate e poi ne occulta il corpo, cercando di nasconderlo tra alcuni rifiuti poco distante dalla tenda.
anonima con l’indirizzo composto da lettere di giornali ritagliate, indirizzato alla dottoressa Silvia Della Monica, PM incaricato delle indagini sul mostro. La scoperta dei corpi avverrà, per puro caso, due ore prima che la lettera giunga in Procura vanificando così il possibile piano dell’omicida che probabilmente voleva annunciare agli inquirenti l’avvenuto ultimo duplice delitto attraverso la sua stessa macabra missiva. C’è una strana coincidenza tra il delitto dei francesi e quello dei tedeschi (coincidenza che all’epoca non poteva essere colta, perché l’omicidio dei francesi avverrà due anni dopo) e cioè, la presenza dei due tedeschi (che si sposteranno il giorno dopo) nella piazzola degli scopeti proprio la notte del 7 o 8 settembre del 1983 (quando i due francesi verranno uccisi, stessa notte tra il 7 e 8 settembre, stesso identico posto, piazzola degli Scopeti...). Forse l’aggressore aveva “individuato” le sue vittime agli scopeti e che essendosi queste “spostate” le abbia poi raggiunte a Giogoli. Alla prossima... H
Polizia Penitenziaria La donna muore all’istante e viene n.214 febbraio portata fuori dalla tenda per 2014 effettuare le mutilazioni sul pube e sul
iteniamo molto interessante raccontare del proscioglimento di un Assistente Capo di Eboli sottoposto al procedimento disciplinare innanzi al Consiglio Regionale di Disciplina ex art.3 co.2 lett. “g” del D.lgs. 449/92. E’ interessante anche, al fine di evitare l’avvio di ulteriori procedimenti disciplinari aventi ad oggetto la medesima motivazione, rendere noto l’esito del procedimento disciplinare avviato nei confronti di un Assistente Capo di Eboli in merito all’addebito “di non aver tempestivamente comunicato la causa di esclusione della visita fiscale”, determinando secondo la Direzione di Eboli, addirittura un danno erariale. Non vogliamo nascondere la grande gioia e la tanta soddisfazione da parte del Sappe, primo sindacato autonomo polizia penitenziaria, circa l’esito del procedimento conclusosi con un decreto di proscioglimento del Provveditore n.103/2013 del 4 dicembre 2013. A tal proposito è necessario ricordare la normativa che disciplina la questione suddetta. L’art.2 del D.M. 18 dicembre 2009, n.206 del citato d.m. ha proceduto ad elencare alcune fattispecie per le quali è prevista l’esenzione dall’obbligo di reperibilità, nelle quali rientrano anche le malattie per le quali è stata riconosciuta la causa di servizio. Le ipotesi di esclusione sono motivate da un’esigenza di economicità dell’azione amministrativa. In relazione a tale norma il Dipartimento della Funzione Pubblica con parere n.0012567 P-1.2.3. del 15 marzo 2010 ha chiarito il significato e la portata della norma a seguito di un quesito posto dal Ministero della Difesa, della Salute e dell’economia e della Finanze “nelle more dell’invio della relativa certificazione medica a far ricomprendere l’episodio morboso nelle patologie riportate nel decreto, possa essere esonerata dall’obbligo di richiedere la visita fiscale che potrebbe appunto risultare infruttuosa perché rivolta a soggetti esenti dall’obbligo di reperibilità ovvero
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mondo penitenziario
Prosciolto dagli addebiti disciplinari per non avere comunicato l’esclusione della visita fiscale debba procedere comunque per l’attivazione della suddetta visita fiscale fin dal primo giorno di malattia”. Con tale parere si precisa che l’Amministrazione può riconoscere la sussistenza del regime di esenzione solo quando in possesso della necessaria documentazione formale, consistente nella documentazione relativa alla causa di servizio ovvero nel certificato di malattia che giustifica l’assenza dal servizio. L’introduzione in via regolamentare di fattispecie di esenzione dalla reperibilità non può non influire sull’obbligo per l’amministrazione di richiedere la visita fiscale, per evitare un’ attività amministrativa inefficace con il rischio di un esborso ingiustificato. Pertanto è necessario distinguere il caso in cui l’amministrazione è già in possesso della predetta documentazione formale ed il caso in cui non ne abbia ancora la disponibilità. Nel primo caso, l’amministrazione si astiene dal richiedere la visita fiscale poiché il controllo potrebbe risultare infruttuoso, ricorrendo le condizioni per l’esenzione della reperibilità nei confronti del dipendente. Nella seconda ipotesi, deve richiedere l’accertamento sin dal primo giorno di assenza tenendo conto delle “esigenze funzionali organizzative”, quindi anche in questa ipotesi l’amministrazione può valutare a seconda della situazione concreta la condotta da seguire. In sintesi l’Amministrazione può riconoscere la sussistenza del regime di esenzione solo quando la stessa è in possesso della necessaria documentazione formale, consistente nella documentazione relativa alla causa di servizio ovvero dopo l’arrivo
della certificazione medica attestante la patologia. E’ necessario in virtù del principio di economicità dell’azione amministrativa, perché un lavoratore possa essere esonerato dall’obbligo di reperibilità, che sussista un nesso causale tra l’invalidità della malattia e la malattia in atto. Poiché lo stato di malessere può essere legata alla causa di servizio ma può anche non esserlo, per evitare che il dipendente possa strumentalizzare questo vantaggio, corre l’obbligo a carico dell’amministrazione accertare lo stato patologico del soggetto, evitando pertanto di riportare un eventuale danno erariale. Dalla disamina della normativa si evince che, nel caso di specie, la Direzione risulta essere stata troppa frettolosa nel richiedere la visita
fiscale - che nel dubbio non doveva essere disposta all’atto della sola notizia dello stato di malattia anche alla luce dei precedenti periodi di assenza per malattia imputabili alla patologia riconosciuta quale causa di servizio. Risulta pertanto necessario che il medico di base valuti l’effettivo nesso causale tra l’invalidità della malattia e la malattia in atto. Paradossalmente più che un danno erariale imputabile al dipendente nel caso di specie si configurerebbe un danno erariale causato dalla amministrazione per aver superficialmente inviato la visita fiscale senza attendere la diagnosi effettiva da parte del medico avvenuta in seguito alla comunicazione di malattia da parte del dipendente. H
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Tiziana Guacci Commissario di Polizia Penitenziaria rivista@sappe.it
Nella foto la recinzione del carcere di Eboli
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26 a cura di Giovanni Battista de Blasis deblasis@sappe.it
Sopra la copertina del numero di luglio/agosto 1999
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come scrivevamo enti anni di pubblicazioni hanno conferito al mensile Polizia Penitenziaria - Società Giustizia & Sicurezza la dignità di qualificata fonte storica, oltre quella di autorevole voce di opinione. La consapevolezza di aver acquisito questo ruolo ci ha convinto dell’opportunità di introdurre una rubrica - Cosa Scrivevamo - che contenga una copia anastatica di un articolo di particolare interesse storico pubblicato tanti anni addietro. A corredo dell’articolo abbiamo ritenuto di riprodurre la copertina, l’indice e la vignetta del numero originale della Rivista nel quale fu pubblicato.
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Il Sistema penalistico nel XX secolo 1ª parte
La sanzione Penale di Maurizio Renzi
remessa Sul piano storico la pena, quale forma di privazione della libertà, costituisce una costante, uno dei dati più generali e fissi della vita sociale, essendo riscontrabile in tutti i tempi, anche i più remoti, e in tutti i popoli, dai più primitivi ai più evoluti. La variabile è data, invece, dal fondamento, dalla tipologia e dalla esecuzione della pena. Parlare di castigo o di pena, equivale a individuare il momento afflittivo implicito nella stessa. Centrale è tale momento, il quale può essere strumentalizzato per il raggiungimento di fini diversi; la società, parte non neutrale di tale situazione, caratterizza e influenza in modo diretto il mutare degli approcci punitivi. Sul piano storico la pena ha assolto il compito di rappresentare lo “scudo” per la difesa sociale, difesa relativa ad una società politica organizzata che ha riconosciuto determinati valori come fondamentali, ponendo in essere delle pene per coloro che li trasgrediscono. «Ogni modo di produzione tende a scoprire delle forme punitive che corrispondono ai propri rapporti di produzione» (1) . I sistemi penali vivono nella storia, la loro evoluzione influisce non soltanto sugli scopi della pena, ma anche sulle tecniche, di volta in volta, adoperate per punire l'autore dell'infrazione. Si è così assistito al passaggio: da pene corporali allo sviluppo delle pene detentive per giungere, in tempi recenti, all'introduzione di misure alternative alla pena. «Le vicende del nostro sistema
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sanzionatorio ruotano attorno a tre idee guida che dominano, quasi da sempre, il dibattito in argomento: cioè, retribuzione, prevenzione generale e prevenzione speciale» (2) . La combinazione di queste tendenze, nel tempo, riflette non soltanto una logica interna al sistema penale, ma anche le linee di tendenza del contesto politico sociale e culturale di riferimento. Dove la retribuzione implica, per sua natura, il concetto di proporzionalità della sanzione inflitta nei confronti del danno arrecato. L'idea della prevenzione generale, nata nell'ambito dell'ideologia illuminista, verte, invece, sulla funzione di difesa sociale, e costituisce uno strumento di minaccia mediante la quale incutere, a scopo preventivo, una punizione nei confronti del potenziale delinquente. Si mira, così, a rafforzare la coscienza giuridico-morale conseguente alla disapprovazione sociale dell’atto criminoso, a favore di un agire socialmente corretto. Mentre la teoria della prevenzione speciale, fa leva sull’idea che la sanzione possa evitare la recidività del soggetto che ha determinato il reato. Affermatasi nel XIX secolo con la scuola positiva, si basa su un concetto di relazione mirato al ritorno del recluso nella società, sottoponendo il soggetto ad un trattamento risocializzativo, fondato sull’esame scientifico della personalità e su misure medico-psicologico sociali, da applicare sino alla definitiva risocializzazione del reo, al fine di eliminare o attenuare i fattori che hanno determinato il delitto.
come scrivevamo Il sistema penalistico nel XX secolo A partire dalla fine dell’Ottocento si assiste, soprattutto in Europa, a una recrudescenza della criminalità. A livello legislativo nella più parte dei casi, prevale l’orientamento che tende ad una riorganizzazione del sistema sanzionatorio attorno ai poli della prevenzione generale, senza precludere iniziative di tipo retributive. A tale indirizzo si era giunti anche per sanare il contrasto tra scuola classica e scuola positiva. La prima aveva caratterizzato l’assetto penalistico dell’Italia postunitaria, aveva avuto il merito di essersi opposta alla ferocia delle pene e all’autoritarismo dell’ancien regime, privilegiando l’idea retributiva alla rieducazione del condannato. La scuola positiva aveva, invece, il merito di aver spostato il centro dell’indagine dal delitto al delinquente dando diverso rilievo ai concetti di “colpa” e di “rieducazione morale”, riconoscendo nei condizionamenti socioeconomici il luogo ove ricercare le cause della commissione del crimine. «Da un lato, gli aderenti alla scuola classica difendevano la concezione retributiva della pena, sul presupposto dell’esistenza del libero arbitrio, all’interno di una concezione del diritto penale di ascendenza illuministicoliberale. Dall’altro, i seguaci della scuola positiva respingevano l’idea retributiva della pena in quanto negavano il libero arbitrio e prospettavano invece un sistema di misure adatte al “tipo di delinquente” e aventi ora finalità terapeutiche (rispetto ai delinquenti ricuperabili), ora scopi neutralizzanti (rispetto ai delinquenti irrecuperabili)» (3) . L’avvento del fascismo segna una netta involuzione sul piano del diritto penale. Rusche e Kirchheimer, scrivono negli anni ‘30 che «anche in Italia, caratteri di “non-logicità” entrano nel diritto e nella teoria penale, mentre il diritto processuale perde la sua funzione di garanzia dei diritti dell’individuo per assumere la funzione di “insieme di norme strumentali per la realizzazione della pretesa punitiva dello Stato” » (4) .
27 Nella foto lavoro in carcere nei primi anni del secolo scorso
Le garanzie liberali vengono così progressivamente annullate, la differenza tra azione lecita e illecita diviene riflesso di un accordo tra l’apparato amministrativo e la classe media, la quale, rinuncia a parte delle garanzie legali al fine di conservare la propria posizione sociale. Non solo ma la Chiesa e lo Stato, concorrono nel vedere nella pena una possibile emenda per il reo. «In tal modo i precetti dello Stato non soltanto integrano un ordine giuridico, che il delitto sovverte e la pena ripristina, ma partecipano all’ordine morale stesso, cosicché reato e pena tendono a sovrapporsi alle nozioni religiose di peccato e castigo» (5) . Tale tentativo prende il nome, nella legislazione degli anni trenta, di sistema a “doppio binario” prevedendo non soltanto la compresenza in uno stesso ordinamento di sanzioni penali di natura diversa, ma indica anche la possibilità di applicare ad un medesimo soggetto tanto la pena che la misura di sicurezza, a prescindere dalla sua posizione giuridica. La prevenzione generale e la retribuzione vengono, quindi, a dipendere totalmente dalla pena, prima e dopo la sua esecuzione. La prevenzione speciale, viene invece gestita dalle misure di sicurezza, dirette a neutralizzare la pericolosità
sociale del reo in futuro, al fine di limitare la recidiva. Esse, strutturalmente, assumorro caratteristiche differenti dividendosi in: Casa di lavoro, Casa di cura, Casa di custodia, manicomio giudiziario e riformatorio giudiziario. Ognuna di queste strutture trae la propria peculiarità dalle caratteristiche tipologiche del delinquente ivi ristretto. Ulteriori innovamenti della legislazione fascista riguardarono: l’introduzione della pena di morte, l’eliminazione delle attenuanti generiche, l’elevazione dei minimi di pena e la retroattività di alcune sanzioni. La situazione penalistica manifesta uno sdoppiamento per quanto concerne l’applicabilità, ad un medesimo soggetto, di una pena e di una misura di sicurezza, evidenziando come la pretesa della rieducazione entri in conflitto con le misure di sicurezza. Risulta quindi evidente il motivo per cui il legislatore costituente, all’interno del dettato costituzionale, esplicita la propria posizione, affermando all’art.27 comma 3: «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». La tematica della rieducazione assume così, un preciso ambito
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come scrivevamo
all’interno del diritto penale e nella stessa esecuzione delle misure privative della libertà. Dal punto di Sopra il sommario e a fianco la vignetta del numero di luglio/agosto 1999
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vista normativo il combinato disposto dagli art. 25 comma 2 e 27 comma 3, Costituzione sottolinea come la pretesa rieducativa sia conseguente alla commissione di un reato, da parte del soggetto da rieducare. Ma cosa viene inteso con il termine rieducare: «... rieducare può equivalere non a pretendere il pentimento interiore di un delinquente concepito come individuo isolato, bensì a riattivare il rispetto dei valori fondamentali della vita sociale» ( 6) . Educato ad un sistema di vita ordinato, il ristretto ha la possibilità di reinserirsi nella società civile dopo aver scontato la pena. Questa posizione, negli anni successivi alla Costituente, viene ad essere condizionata dal prevalere egemonico del mondo cattolico che accentua la confessionalizzazione delle istituzioni. «Questa realtà comporta che non più solamente i crimini naturali
affondino le loro radici nell’etica, ma che tutta la legislazione, tutta l’amministrazione, e in genere tutto il progetto sociale, si qualifichino come cattolici, e ripropongano con attualità il problema dei rapporti tra politica e morale» (7) . L’interpretazione stessa dell’art. 27 risulta essere legata al permanere del carattere afflittivo quale distinzione dalla misura di sicurezza. La rieducazione è perseguibile solamente dopo che siano fatte salve le esigenze della custodia e della segregazione. Solo all’inizio degli anni ‘60 inizia a delinearsi il dibattito sui contenuti della rieducazione, prendendo piede la tesi del recupero sociale la quale sfocia, con la legge 25 novembre 1962, n.1634, in una dilatazione dell’applicazione della liberazione condizionale al condannato che ha dato prove sicure di ravvedimento, ma occorre attendere le prime rivolte del 1969 per far convincere il legislatore circa la necessità di rivedere l’intera normativa penitenziaria. ...continua Note (1) G. Rusche - O. Kirchheimer, Pena e struttura sociale, Il Mulino, Bologna, 1978, p. 46 (2) Cfr. G.Fiandanca e E. Museo, Diritto penale, Parte generale, Seconda edizione, Zanichelli Bologna, p.18 (3) Ibidem, p.519 (4) Cfr. G. Rusche- O. Kirchheimer, Pena e struttura sociale, Il Mulino, Bologna, p.297 (5) E. Fassone, La pena detentiva in Italia dall’800 alla riforma penitenziaria, Universale Paperbacks il Mulino, 1980, p. 55 (6) G.Fiandanca e E. Museo, Diritto penale, Parte generale, Seconda edizione, Zanichelli Bologna, p.S25 , 526 (7) E. Fassone, La pena detentiva in Italia dall’800 alla riforma penitenziaria, Universale Paperbacks il Mulino, 1980, p. 77
la lettera
C
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appaiono in televisione con tutte quelle stellette a vantarsi e ad autoelogiarsi, per cose che noi facciamo in silenzio e forse con maggiore professionalità. E noi??????? Ci sbattono in televisione come se fossimo aguzzini creando castelli per denigrarci, senza che l'Amministrazione muova un dito per difenderci. Per fortuna almeno c'è Donato Capece. Però di gente come Donato Capece dovrebbe essercene tanta di più e mi riferisco ai Commissari, che nei nostri pensieri dovevano essere quelli che ci avrebbero aiutato a crescere. Parlando con l'amico Edoardo tante volte abbiamo cercato di trovare le soluzioni ai problemi più difficili per provare a migliorare le condizioni di lavoro dei colleghi, per tutelarli nel migliore dei modi, ma il grosso guaio
che stiamo diventando un Corpo di "anziani", di persone alle quali non possiamo dare più stimoli per andare avanti, perchè a 53 anni, invece di stare in pensione, devono ancora andare di sentinella o stare in sezione. Questa sera ho deciso di scriverti queste righe, (devo dire che ci penso da diverso tempo però!), per ringraziarti per quello che hai fatto e, condividendo il pensiero con Edoardo, ti dico: «Dona' tu ti devi candidare al Parlamento, perchè solo da lì puoi completare il percorso iniziato tanti anni fa e solo da lì potrai proporre le soluzioni migliori per le nostre donne e i nostri uomini.» In attesa di sentirti, ti saluto con stima e rispetto. H
Domenico Guglielmi Ispettore Capo del CORPO di Polizia Penitenziaria
Perché iscriversi a Piazza d'Armi della Polizia Penitenziaria? PER SPIRITO DI CORPO La Polizia Penitenziaria è continuamente tenuta in secondo piano dai suoi stessi amministratori Dirigenti dell'Amministrazione penitenziaria. E' tempo di riunirci e confrontarci anche attraverso gli strumenti offerti dal web. PER RIMANERE IN CONTATTO CON I COLLEGHI E GLI AMICI Ognuno di noi ha perso i contatti con tanti amici e colleghi dei vari Corsi di formazione, oppure gli amici e colleghi delle sedi in cui abbiamo lavorato. Con Piazza d'Armi rimanere in contatto (e in maniera riservata) è più facile! PER I SERVIZI RISERVATI AI POLIZIOTTI PENITENZIARI L'iscrizione gratuita a Piazza d'Armi è riservata ai soli appartenenti alla Polizia Penitenziaria o agli Agenti di Custodia in congedo. I servizi già attivi (o che saranno attivati fra poco) sono i messaggi privati tra colleghi, i gruppi di discussione su specifiche tematiche lavorative, convenzioni, scambio di taglie di uniformi, consulenza legale, annunci di vendita/affitto/scambio di oggetti o servizi, e molti altri che attiveremo anche in base alle vostre segnalazioni e richieste.
PER TUTELARE LA SICUREZZA E LA PRIVACY DEI POLIZIOTTI PENITENZIARI Piazza d'Armi è riservata ai soli appartenenti alla Polizia Penitenziaria o agli Agenti di Custodia in congedo. Ci sono troppi siti web che diffondono e pubblicano documenti con dati sensibili dei poliziotti penitenziari. Piazza d'Armi nasce anche per tutelare la privacy e la sicurezza degli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria. PERCHÉ È GRATIS! Piazza d'Armi è l'unico luogo virtuale che offre notizie, approfondimenti, servizi, materiale utile per il lavoro e documenti riservati in maniera gratuita. Piazza d'Armi è e resterà uno spazio gratuito per tutti i colleghi della Polizia Penitenziaria! PIAZZA D'ARMI È FATTO DA COLLEGHI PER I COLLEGHI Piazza d'Armi è realizzato unicamente da colleghi della Polizia Penitenziaria per i colleghi della Polizia Penitenziaria. Per qualunque richiesta, informazione o consiglio, hai la garanzia di rivolgerti ad un tuo collega e amico della Polizia Penitenziaria!
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aro Donato, mi permetto di chiamarti per nome e darti del 'tu' perchè ti sento come un padre, una persona vicina a noi Poliziotti Penitenziari che stiamo negli istituti e quotidianamente affrontiamo i problemi vecchi e nuovi, senza il supporto di questa Amministrazione. Ti volevo ringraziare perchè, nonostante l'immondizia che qualche pseudo giornalista cerca di buttarci addosso, tu sei l'unico che ha avuto il coraggio di metterci la faccia per difenderci. Quando mi sono arruolato eravamo militari, dicevano di noi che eravamo un Corpo acefalo, era vero. Allora abbiamo combattuto per la istituzione del ruolo dei Commissari, li abbiamo ottenuti. Ma ora dove sono???? Quando le altre forze dell'ordine fanno qualche cosa, anche minima,
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inviate le vostre foto a rivista@sappe.it
A fianco: 1981 Scuola AA.CC. Cassino (FR) 16° Corso Ausiliari 3ª Compagnia (foto inviata da Gian Piero Cadoni)
a fianco: 1969 Scuola AA.CC. di Cairo Montenotte 69° Corso (foto inviata da Antonio Berardi) a destra 1968 C.R. Asinara (SS) (foto inviata da Gianpiero Saba)
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eravamo così
eravamo così
31 A fianco 1969 Scuola AA.CC. di Cairo Montenotte Giuramento 30° Corso (foto inviata da Michele Bianco)
A fianco 1958 Casa di Lavoro di Pianosa (LI) (foto inviata da Giorgio Baldis) a sinistra 1968 C.R. Asinara (SS) Pausa pranzo (foto inviata da Gianpiero Saba)
A fianco 1967 Scuola AA.CC. di Cairo Montenotte 18° Corso (foto inviata da Antonello Fancello)
a sinistra 1976 C.C. Urbino (PU) Festa del Corpo (foto inviata da Michele Bianco)
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32 a cura di Erremme rivista@sappe.it
le recensioni Melania G. Mazzucco
SEI COME SEI EINAUDI Edizioni pagg. 240 - euro 17,50
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ul treno per Roma c’è una ragazzina. Sola e in fuga, dopo un violento litigio con i compagni di classe. Fiera e orgogliosa, Eva legge tanti libri e ha il dono di saper raccontare storie: ha appena undici anni, ma già conosce il dolore e l’abbandono. Giose è stato una meteora della musica punk-rock degli anni Ottanta, poi si è innamorato di Christian, giovane professore di latino: Eva è la loro figlia. Padre esuberante e affettuoso, ha rinunciato a cantare per starle accanto, ma la morte improvvisa di Christian ha mandato in frantumi la loro famiglia. Giose non è stato ritenuto un tutore adeguato, e si è rintanato in un casale sugli Appennini. Eva è stata affidata allo zio e si è trasferita a Milano. Non si vedono da tempo. Non hanno mai smesso di cercarsi. Con Giose, Eva risalirà l’Italia in un viaggio nel quale scoprirà molto su se stessa, sui suoi due padri, sui sentimenti che uniscono le persone al di là dei ruoli e delle leggi, e sulla storia meravigliosa cui deve la vita. Drammatico e divertente, veloce come un romanzo d’avventura, Sei come sei narra con grazia,
commozione e tenerezza l’amore tra un padre e una figlia, diversi da tutti e a tutti uguali, in cui ciascuno di noi potrà riconoscersi.
Andrea Casazza
GLI IMPRENDIBILI. Storia della colonna simbolo delle Brigate Rosse DERIVE APPRODI Edizioni pagg. 494 - euro 25,00 uesto è un libro imperdibile per chi è interessato alla storia buia degli anni del terrorismo brigatista italiano. Racconta la lunga e complessa storia della colonna genovese delle Brigate rosse. Genova è la città in cui, all’inizio degli anni Settanta, con la formazione della «banda XXII Ottobre», nata in collegamento con i Gruppi armati partigiani fondati dall’editore Giangiacomo Feltrinelli, ha avuto inizio la storia della lotta armata in Italia. Un primato ribadito, nel ’74, con il clamoroso sequestro a opera delle Br di Mario Sossi, e, nel ’75, con l’omicidio del giudice Francesco Coco e dei due uomini della sua scorta: il primo aveva recitato il ruolo di pubblico ministero nel processo alla XXII Ottobre, il secondo si era opposto alla scarcerazione dei militanti della «banda» richiesta dalle Br in cambio della liberazione del magistrato sequestrato. Da quel momento e fino al 28 marzo ’80, data dell’eccidio per mano dei carabinieri di quattro brigatisti sorpresi nel sonno nella base di via Fracchia grazie alle rivelazioni del «pentito» Patrizio Peci, la colonna visse il mito dell’imprendibilità. Sei anni di fuoco in cui la formazione brigatista partecipò al rapimento dell’armatore Pietro Costa, attuò quindici «gambizzazioni» di personalità politiche democristiane, di dirigenti industriali e del vicedirettore del quotidiano «Il Secolo XIX» e mise a segno gli omicidi di quattro Carabinieri e di un Commissario di Polizia. Ma ciò che destò più scalpore e sgomento fu l’uccisione di Guido
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Rossa, operaio e militante del Partito comunista, punito per aver contribuito all’arresto di Francesco Berardi, sorpreso mentre distribuiva materiale propagandistico brigatista all’interno della fabbrica nella quale entrambi lavoravano. Nonostante la «strage di via Fracchia», nell’80 la colonna arrivò al culmine della sua forza politica e militare potendo contare su una settantina di militanti, oltre che su un’ampia rete di simpatizzanti. Solo l’arresto fortuito di due militanti minori, alla fine di quello stesso anno, aprì imprevedibilmente un processo di disgregazione a catena. I due decisero di collaborare con le Forze di Polizia determinando, in breve tempo, la distruzione definitiva della colonna e del suo mito di imprendibilità.
Federica Dardi
TWITTER. Guida per le chiacchiere digitali APOGEO Edizioni pagg. 150 - euro 9,90
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emplice, veloce, immediato. Twitter è l’estrema sintesi della comunicazione digitale, scelto ogni giorno da milioni di persone nel mondo per condividere link, foto, pensieri. Non solo un social network però, ma anche, e soprattutto, un network di informazioni che copre qualsiasi sfera d’interesse: dai libri alla tecnologia, dalla cucina alla politica. Che tu sia affascinato o scettico, è giunto il momento di unirti alla conversazione. Ma come riuscire a comunicare in modo efficace in soli 140 caratteri? Come utilizzare i retweet? Che cosa è un hashtag? Questo libro, giunto alla seconda edizione aggiornata, risponde a queste e altre domande guidandoti dall’iscrizione al primo tweet, dalla personalizzazione del profilo all’integrazione con Facebook, trasformando Twitter in un insostituibile strumento per le chiacchiere digitali.
le recensioni Nick Hornby
FEBBRE A 90’ GUANDA Edizioni pagg. 272 - euro 10,00
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i innamorai del calcio come mi sarei poi innamorato delle donne: improvvisamente, inesplicabilmente, acriticamente» La passione per il football e l’amore per la squadra del cuore possono, si sa, essere così intense da trasformare radicalmente la vita di un uomo, e così è stato per Nick Hornby, tifoso dell’Arsenal dall’età di undici anni. In Febbre a 90’ racconta in prima persona, con tono ironico e affettuoso, appassionato e divertito, gli entusiasmi e le depressioni, le impagabili emozioni e le cocenti delusioni vissute da un «ossessionato» del pallone. Una vera e propria «educazione sentimentale» del tifoso, un atto d’amore che può contagiarci per sempre, una vita vissuta ed esplorata attraverso il calcio quando il calcio era la vita.
richieste sconcertanti da parte dei suoi superiori per sopravvivere. L’amore per Sun Moon, attrice leggendaria, lo porterà a prendere in mano la propria vita, con un sorprendente colpo di scena. Ambientato nella Corea del Nord dei nostri giorni, il libro di Adam Johnson descrive vita e accadimenti di un moderno Candido in un regime isolato e folle, un vero e proprio regno eremita in cui realtà e propaganda si sovrappongono fino a essere indistinguibili. Romanzo d’avventura, racconto di un’innocenza perduta e romantica storia d’amore, “Il signore degli orfani” - Premio Pulitzer 2013 - è anche il ritratto di un mondo che fino a oggi ci è stato tenuto nascosto: una terra devastata dalla fame, dalla corruzione, da una crudeltà che colpisce a caso, dove esistono anche solidarietà, inaspettati squarci di bellezza, e amore.
Ferruccio Pinotti e Stefano Santachiara
Adam Jhonson
I PANNI SPORCHI DELLA SINISTRA. I segreti di Napolitano e gli affari del PD
IL SIGNORE DEGLI ORFANI
CHIARE LETTERE Edizioni pagg. 400 - euro 13,90
MARSILIO Edizioni pagg. 554 - euro 21,00
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ak Jun Do è figlio di una madre scomparsa, una cantante rapita e portata a Pyongyang per allettare i potenti della capitale, e di un padre influente, direttore di un orfanotrofio. Crescendo, si fa notare per lealtà e coraggio, tanto da convincere lo Stato a offrirgli una carriera molto rapida. E per lui comincia un percorso senza ritorno attraverso le stanze segrete della dittatura più misteriosa del pianeta. “Umile cittadino della più grande nazione del mondo”, Jun Do diventa un rapitore professionista, costretto a destreggiarsi tra regole instabili e
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a questione morale, nell’Italia d’oggi, fa tutt’uno con l’occupazione dello Stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt’uno con la guerra per bande, fa tutt’uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati. Ecco perché dico che la questione morale è il centro del problema italiano.” (Enrico Berlinguer, segretario del Pci, 28 luglio 1981). C’era una volta una sinistra seria. Inattaccabile. Affidabile. “Comunista, ma perbene.” Il paradigma è saltato ed è ora di
guardare in faccia la realtà per quella che è veramente. Anche la sinistra ruba, inquina, specula, anche la sinistra fa affari sporchi e attacca la magistratura. Banche, sanità, cooperative, fondazioni, amministrazioni locali e regionali: scandali e inchieste hanno travolto la classe dirigente che avrebbe dovuto trasformare l’Italia in un Paese “normale”, persino roccaforti rosse come l’Emilia sono crollate, investite da accuse di connivenza con mafia e ’ndrangheta. Al posto dell’ideologia il denaro, l’interesse individuale, il puro potere. Ecco gli scandali del Monte dei Paschi, la scalata alla Bnl, la Bicamerale, la legge del comunista Sposetti che ha arricchito i partiti, la metamorfosi di Violante, i soldi dell’Ilva, le accuse di tangenti a Penati, le convergenze con la destra in materia di giustizia... Non serve vincere le elezioni se la gestione del potere e le ricette economiche rimangono uguali a quelle degli avversari berlusconiani. Fatti, non solo parole, dal Nord al Sud, città per città, regione per regione. Il quadro è inquietante, più che sufficiente a fotografare una malattia per la quale non sembra esserci una terapia efficace. E che come un virus inarrestabile non risparmia nemmeno il nostro capo dello Stato, ultimo difensore di questo sistema, del quale qui si svela per la prima volta la complessa storia politica, ricca di retroscena inediti. H
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l’ultima pagina
Lettera al direttore
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icordate il caso del omicidio-suicidio nel carcere di Torino? Ancora adesso ci si interroga su cosa avesse spinto il povero collega a un simile gesto estremo!! Eppure da qualche tempo,in molti stiamo provando quella sensazione di frustrazione, rabbia, impotenza, continue imposizioni e minacce velate. E’ quello che accade a un gruppo di uomini addetti al servizio delle traduzioni. Il nostro compito è quello di scortare detenuti in Tribunali,ospedali, spesso detenuti con gravi problemi di salute o peggio autolesionisti a tutte le ore del giorno e della notte!! Come dicevo un pugno di uomini, e come si fa a garantire tutto questo? Semplice, rinunciamo ad avere dei turni programmati, rinunciamo ad avere impegni quotidiani, sottraendo tempo alle nostre famiglie ai nostri figli. Tutto questo fino ad oggi è stato fatto con molti sacrifici, con orgoglio e spirito di Corpo. Ma tutto ha un limite, non ci si aspetta certo delle ricompense, ma soprattutto non ci si aspettano delle umiliazioni, trattati con sufficienza dai superiori che sarebbero coloro che ti dovrebbero tutelare,consigliare collaborare. Nello specifico, per il personale viene inviato in "trasferta" in tutto il territorio nazionale è previsto da una legge dello stato che venga anticipata una somma per i pasti e per eventuali pernotti, invece, a causa della ben nota spending review, improvvisamente sembra che al personale non
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spetti più nulla o quasi, addirittura in occasione di lunghe trasferte, il personale deve anticipare dalle proprie tasche soldi necessari per la consumazione dei pasti, quindi oltre al danno anche la beffa, perché anziché restituire quanto anticipato, bisogna attendere la chiusura dei fogli di viaggio, con alcune direzioni che non pagano le missioni dal mese di ottobre 2013. Ma è veramente così? No, diciamo noi, c'è sicuramente una interpretazione troppo restrittiva da parte dei nostri dirigenti. Cosi più volte tentiamo un dialogo che puntualmente diventa un monologo del capo!! Così iniziano i malumori, qualche tentativo di protesta risolto nel nulla. Da questo momento in poi, i superiori iniziano una dimostrazione di forza, restrizioni di servizio,controllo assiduo dei servizi espletati, pronti subito a cercare la minima lacuna sul servizio come pretesto per fare tagli sulle indennità.Oppure aspettare il minimo errore per sanzionare disciplinarmente il personale o addirittura creando delle vere e proprie trappole per indurre in errore, mentre quando è il personale a relazionare un detenuto per minacce subite, non viene neppure ammonito. Provate a immaginare delle persone sottoposte continuamente a lavorare in condizioni di disagio già solo per il tipo di lavoro, a questo aggiungete umiliazioni, stress e vessazioni. A questo punto la misura è colma!! E ancora così difficile immaginare perché a volte delle persone equilibrate possano commettere gesti Lettera firmata estremi?
il mondo dell’appuntato Caputo Sorveglianza dinamica di Mario Caputi e Giovanni Battista de Blasis © 1992-2014
Polizia Penitenziaria n.214 febbraio 2014
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