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anno XXI • n. 216 • aprile 2014
XXV Consiglio Nazionale Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Abano Terme, 8 • 9 • 10 aprile 2014
sommario
anno XXI • numero 216 aprile 2014
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In copertina: il logo del XXV Consiglio Nazionale del Sappe che si è svolto ad Abano Terme dall’8 al 10 aprile 2014 ed i Consiglieri Nazionali
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l’editoriale
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Nozze d’Argento per il Consiglio Nazionale del nostro grande sindacato Organo Ufficiale Nazionale del S.A.P.Pe. Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria
di Donato Capece
il pulpito Direttore responsabile: Donato Capece capece@sappe.it
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Le tre “E” della buona amministrazione e le tre”I” del dap di Giovanni Battista de Blasis
Direttore editoriale: Giovanni Battista de Blasis deblasis@sappe.it
il commento
Capo redattore: Roberto Martinelli martinelli@sappe.it
di Roberto Martinelli
Redazione politica: Giovanni Battista Durante
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sport
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E’ diventato realtà il progetto “Astrea giovani - Scuola calcio Astrea-Vega
“l’appuntato Caputo” e “il mondo dell’appuntato Caputo” © 1992-2014 by Caputi & de Blasis (diritti di autore riservati)
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Umanizzare la pena attraverso il lavoro dei detenuti
Redazione cronaca: Umberto Vitale
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l’osservatorio
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31 dicembre 2014 fine del blocco contrattuale di Giovanni Battista Durante
Le Segreterie Regionali del Sappe, sono sede delle Redazioni Regionali di: Polizia Penitenziaria-Società Giustizia & Sicurezza Registrazione: Tribunale di Roma n. 330 del 18 luglio 1994
crimini e criminali Il mostro delle bambine di via della Consolata
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di Pasquale Salemme
Stampa: Romana Editrice s.r.l. Via dell’Enopolio, 37 00030 S. Cesareo (Roma) Finito di stampare: aprile 2014
come scrivevamo
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Il sistema penalistico nel XX secolo. Il trattamento penitenziario Terza ed ultima parte - di Maurizio Renzi
Questo periodico è associato alla Unione Stampa Periodica Italiana Il S.A.P.Pe. è il sindacato più rappresentativo del Corpo di Polizia Penitenziaria
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l’editoriale
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Donato Capece Direttore Responsabile Segretario Generale del Sappe capece@sappe.it
La consueta foto di gruppo dei partecipanti al XXV Consiglio Nazionale del Sappe
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Nozze d’Argento per il Consiglio Nazionale del nostro grande sindacato l Consiglio Nazionale del nostro Grande Sindacato, giunto alla ragguardevole cifra venticinque, è stato come al solito occasione per tirare le somme delle attività dell’anno precedente.
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avversato la “sorveglianza dinamica” tanto sbandierata dal Capo del Dipartimento, evidenziandone gli scarsi risultati, la pericolosità per gli operatori penitenziari e la limitata applicabilità, come dimostra il numero
Anche nel 2013 i rapporti con l’Amministrazione hanno registrato una conflittualità piuttosto accentuata a causa delle molteplici problematiche degli Istituti o delle situazioni la cui gravità viene a stento percepita. Come è noto, vari sono stati i sit-in di protesta non solo davanti al DAP, ma anche in altre sedi per contestare una politica detentiva miope e priva di progettualità, segnata da azioni più che altro contingenti ed emergenti, i cui effetti devastanti sono sotto gli occhi di tutti: per questo abbiamo richiesto, nelle sedi opportune, l’avvicendamento del Capo del DAP per esprimere il nostro dissenso sul patto di responsabilità con il detenuto quale presupposto per l’applicazione della vigilanza dinamica. Il Sappe ha partecipato a Convegni, Congressi, Tavole Rotonde e trasmissioni televisive, ribadendo ogni volta la necessità di una nuova politica della pena, di un maggiore ricorso alle misure alternative alla detenzione con l’adozione di procedure di controllo mediante strumenti elettronici o altri dispositivi tecnici. Più volte, in ogni circostanza ed in ogni sede, il Sappe ha significativamente
crescente di evasioni registrato nell’anno 2013 e la inconciliabilità con la permanenza dell’articolo 387 del c.p. circa la colpa del custode. Nel mese di gennaio 2014, è stato sottoscritto il FESI 2013 dove è prevalso l’intendimento di privilegiare il personale la cui presenza ed assiduità in servizio va premiata proprio in considerazione della gravosità degli impegni istituzionali. Un impianto improntato a criteri di equità che vede l’innalzamento dei fondi totali a favore dei servizi istituzionali maggiormente disagiati. Si è superato il concetto delle divisioni dei ruoli e degli incarichi a favore della presenza effettiva in servizio. Il sistema di incentivazione pattuito all’unanimità dalla compagine sindacale, in armonia con la normativa vigente, infatti, è regolato in modo da premiare il personale che assicura presenza in servizio o che svolge compiti di responsabilità, avuto riguardo ai carichi di lavoro riconducibili tra l’altro al grave sovraffollamento che si registra negli Istituti penitenziari, al numero elevato delle traduzioni dei detenuti nonché alle delicate e complesse attività connesse alla gestione della
quotidianità detentiva. Una vittoria del SAPPe è senza dubbio quella ottenuta in materia di alloggi di servizio: le nostre argomentazioni, fondate sulla distinzione fra alloggi di servizio e caserme agenti, hanno dapprima determinato la sospensione di iniziative decisamente penalizzanti, quindi una corretta rivisitazione della normativa secondo una disciplina aderente ai principi che sottendono la materia in esame. Come è noto, al D.Lgs. 6 settembre 2011. n. 159, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 28 settembre 2011, meglio conosciuto come Codice Antimafia erano state inizialmente apportate modifiche tra le quali l’inserimento del Corpo Forestale dello Stato nella Direzione Investigativa Antimafia, con esclusione del Corpo di Polizia Penitenziaria. A tale manifesta sperequazione, anche grazie agli interventi del SAPPe, è stato posto rimedio con l’approvazione del D.Lgs. 218/2012, il quale intervenendo in senso correttivo e migliorativo sul decreto legislativo 159/2011, ha novellato l’articolo 8 che ora prevede che la Direzione Investigativa Antimafia si avvalga anche di personale del Corpo di Polizia Penitenziaria: disposizione in corso di attuazione con la definizione di un Decreto Interministeriale teso a determinare le dotazioni organiche della DIA, che, per effetto, dell’articolo 108, comma 2, del D.Lgs. 159/2011, come modificato del D.Lgs. 218/2012 e del D.L. 101/2013, convertito con modificazioni nella Legge 125/2013, includono, oggi, anche una aliquota di personale della Polizia Penitenziaria. Come è a tutti noto, la Corte europea con la sentenza dell’8 gennaio 2013 Torreggiani, avendo accertato in capo allo Stato italiano una violazione dell’art. 3 CEDU a causa del “grave sovraffollamento”degli istituti penitenziari ed avendo altresì accertato il “carattere strutturale e sistemico” di tale situazione, ha pronunciato una ‘sentenza pilota’, per effetto della quale: da un lato, sono stati sospesi tutti i ricorsi dei detenuti italiani aventi ad oggetto il riconoscimento della violazione patita; dall’altro, è stato concesso allo Stato italiano un termine di un anno (dalla data del passaggio in giudicato della sentenza) che scadrà il 28 maggio p.v. entro il quale adottare le misure necessarie per porre rimedio alla situazione. H
il pulpito
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er burocrazia, dal francese bureau che significa ufficio e dal greco krátos che significa potere, si intende un’organizzazione di persone e risorse destinate alla realizzazione di un fine collettivo secondo criteri di razionalità, imparzialità ed impersonalità. Peraltro, quando si parla di settore pubblico, la burocrazia deve ispirarsi al principio delle “3 E”: Economicità, Efficienza ed Efficacia. Oltremodo, i cittadini hanno diritto ad una pubblica amministrazione poco autoritativa e tanto erogativa, rapida ed efficiente. A metà degli anni sessanta del secolo scorso, in Inghilterra, il Rapporto Fulton analizzò analiticamente la burocrazia e la pubblica amministrazione del Regno Unito. Il Rapporto fu piuttosto critico con l’apparato burocratico inglese, in particolare per la prevalenza della figura del “burocrate dilettante”, in grado di svolgere qualsiasi compito senza una particolare preparazione specifica, che aveva portato alla supremazia delle “classi amministrative” rispetto ai tecnici. Dallo stesso Rapporto emerse anche una inadeguata capacità direttiva dei funzionari e l’isolamento della burocrazia dalla vita del paese, dalle università, dal mondo degli operatori economici. Quel Rapporto Fulton, pur risalendo ormai a quasi cinquanta anni fa, sembra essere stato scritto per l’attuale burocrazia italiana. Sembra parlare della nostra burocrazia, quando richiama alla urgente necessità di evitare la sclerotizzazione delle strutture burocratiche. Così come quando critica l’eccesiva rilevanza data al titolo di studio che, invece, dovrebbe cedere il passo al riconoscimento di una preparazione tecnica adeguata alle mansioni che il pubblico dipendente è chiamato a svolgere. Si parla della nostra burocrazia quando si invoca un livello di produttività e un livello retributivo globale allineati a quelli dei settori privati. Secondo il Rapporto, infatti, le forme di incentivazione e i metodi di selezione dei migliori dovrebbero essere rivisti e ammodernati, sulla base di procedimenti di job evaluation. Così come i quadri, le carriere e le procedure di avanzamento dovrebbero essere rivisti in modo da assicurare un’effettiva e quasi spontanea gerarchia di valori, nell’interesse della stessa amministrazione, pur assicurando ai
Le tre “E” della buona amministrazione e le tre “I” del dap dipendenti adeguati miglioramenti nel trattamento economico. Ovviamente, la pubblica amministrazione italiana non è certo il Civil Service inglese, o l’Inspectorat Général des Finances francese. Kafka sosteneva che la burocrazia è “lo stato immaginario accanto allo stato reale”, una specie di spiritualismo dello Stato. Se Kafka fosse vissuto ai tempi nostri, non avrei avuto alcun dubbio sul fatto che il suo Castello fosse ispirato al dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Quale apparato statale, infatti, potrebbe esprimere meglio del palazzone di largo Daga l’immagine della burocrazia italiana? Bureau + kratos: Ufficio del Potere. In verità, superando una definizione troppo generica di burocrazia, va detto che non c’è solo l’organizzazione, ma anche chi organizza; non c’è soltanto una funzione pubblica, ma la funzione di chi organizza l’organizzazione. Nello specifico, non va sottovalutato chi, annidato nelle nicchie disfunzionali della nostra amministrazione, oppone una resistenza tenace a ogni ipotesi di semplificazione o di razionalizzazione delle procedure. Ed ecco, allora, che i mali endemici della nostra burocrazia, congiunti alle meschine prepotenze dei burocrati che difendono se stessi, hanno consolidato un’amministrazione penitenziaria afflitta da tre gravissimi problemi: la lentezza, la contraddittorietà e l’insufficienza dell’azione amministrativa. Lentezza, contraddittorietà e insufficienza che si ripercuotono a cascata su tutti gli uffici e servizi penitenziari, centrali e periferici. Altro che problemi strutturali ...altro che dinamiche imprevedibili e ingovernabili. L’amministrazione penitenziaria sembra comportarsi come quei parassiti che continuano a seguire le proprie logiche evolutive anche quando, così facendo, rischiano di distruggere sia l’ospite che se stessi. L’apologo dello scorpione e della rana è un’efficacie esempio:«Uno scorpione chiede a una rana di lasciarlo salire sulla schiena per trasportarlo
sull’altra sponda di un fiume. La rana temendo di essere punta durante il viaggio si rifiuta. Tuttavia lo scorpione insiste sostenendo che non potrebbe mai pungere la rana perché altrimenti anche lui cadrebbe nel fiume e non sapendo nuotare morirebbe insieme a lei. Così la rana accetta e inizia a trasportarlo finquando, a metà strada, lo scorpione punge la rana condannando a morte entrambi. Quando la rana sente la puntura dello scorpione chiede il perché del suo gesto e lo scorpione risponde: “È la mia natura”.» Ovviamente, non tutti i burocrati sono naturalmente arroganti, e prepotenti. Esistono persone, in tutti i luoghi ed i livelli della burocrazia e quindi anche al dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, che sono intelligenti, umane, attente, comprensive, perfino simpatiche e, tuttavia, le loro convinzioni su come funziona il sistema in cui lavorano sono anch’esse preoccupanti per l’andamento dell’amministrazione. Ad ogni modo, credo che ci sia qualcosa di eroico in chi svolge bene il proprio lavoro nonostante l’ambiente in cui si trova. Un apparato in cui imperversano dirigenti capaci di trasformare qualsiasi soluzione in un problema. Un dipartimento che continua a difendere il proprio status quo fino a quando il quo non perderà il suo stato. E intanto l’Italia, per rendere più umane (ed efficienti) le proprie carceri, continua a dover ricorrere ad indulti ed amnistie, che alla fine altro non sono che un espediente per “coprire” la lentezza, la contraddittorietà e l’insufficienza dell’azione amministrativa di dirigentiburocrati che vengono retribuiti principescamente per la (non) realizzazione di un fine collettivo secondo criteri di razionalità, imparzialità ed impersonalità. Ed è così che le tre “E” di Economicità, Efficienza ed Efficacia della buona amministrazione diventano le tre “I” di Incapacità, Inefficienza ed Inefficacia del nostro dipartimento. H
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Giovanni Battista de Blasis DirettoreEditoriale Segretario Generale Aggiunto del Sappe deblasis@sappe.it
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il commento
Umanizzare la pena attraverso il lavoro dei detenuti Roberto Martinelli Capo Redattore Segretario Generale Aggiunto del Sappe martinelli@sappe.it
Nella foto il tavolo della Presidenza del Convegno di Abano Terme
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manizzare la pena in carcere attraverso il lavoro obbligatorio dei detenuti. E’ una delle proposte del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE, il primo e più rappresentativo dei Baschi Azzurri, emerse dal Convegno sul tema della realtà penitenziaria nazionale che si è tenuto lo scorso 8 aprile ad Abano Terme (in provincia di Padova) in concomitanza con il XXV Consiglio Nazionale del Sindacato.
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dibattito al quale hanno partecipato tra gli altri Linda Arata. Magistrato di Sorveglianza presso l’Ufficio di Padova, Gianni Trevisan, presidente della Cooperativa Sociale “Il Cerchio” di Padova, Nicola Boscoletto, Presidente di Officina Giotto (famosa in tutto il mondo anche per i panettoni prodotti nel carcere dai detenuti di Padova), Rita Bernardini, segretaria dei Radicali Italiani, Rino Piroscia, Direttore Generale dell’Ente
Tra le altre soluzioni suggerite per una nuova esecuzione della pena in Italia, anche un maggiore ricorso alle misure alternative alla detenzione, con impiego in lavori di pubblica utilità, per i condannati meno pericolosi socialmente e con pene brevi da scontare. Il convegno, seguito in diretta da Radio Radicale e sul nostro sito internet www.sappe.it grazie alle riprese e alla regia di Francesco Pilagatti, moderato da Giovanni Battista Durante della Segreteria Generale del SAPPE, dopo i saluti dell’assessore del Comune di Abano Claudio Benatelli e del Segretario Nazionale SAPPE per il Veneto Giovanni Vona, è iniziato con la relazione del Segretario Generale SAPPE, Donato CAPECE, che ha fornito gli spunti per l’interessante
di formazione no profit CONFSALform, Filippo Berselli, avvocato e a lungo parlamentare, Mario Moioli, direttore di FONARcom, ed Enrico Sriglia, provveditore dell’Amministrazione penitenziaria del Piemonte-Valle d’Aosta. Telefonicamente sono intervenuti anche il Sottosegretario alla Giustizia Cosimo Maria FerriI e il Vice Capo vicario del DAP Luigi Pagano. “Vivo apprezzamento per l’iniziativa” del SAPPE l’ha espresso in un messaggio il Quirinale, che ha indirizzato al Segretario Generale Donato Capece e a tutti gli intervenuti “il saluto cordiale del Presidente della Repubblica” Giorgio Napolitano. “Nell’ottica di un ripensamento del sistema sanzionatorio e di una rimodulazione dell’esecuzione della
pena, indispensabili per superare la realtà di degrado civile e di sofferenza umana riscontrabile negli istituti e adempiere a precisi obblighi di natura costituzionale”, è scritto nel messaggio giunto dalla Presidenza della Repubblica, “esprimo vivo apprezzamento per l’iniziativa di porre al centro del dibattito la necessità di favorire il coinvolgimento dei detenuti in progetti lavorativi”. “L’attivazione di nuovi percorsi di formazione e lavoro, che possano aiutare il detenuto ad acquisire professionalità utili al futuro reinserimento sociale”, prosegue l’autorevole messaggio “costituisce infatti il più valido strumento di emancipazione da situazioni di devianza e criminalità e di rispetto della dignità personale contribuendo a riaffermare la funzione rieducativa della pena”. Anche il vice Ministro della Giustizia Enrico Costa, che all’ultimo momento non è potuto intervenire all’incontro, ha inteso indirizzare agli organizzatori un contributo scritto nel quale ha espresso apprezzamento per il Convegno organizzato del SAPPE, evidenziando “l’importanza – oggi più che mai - delle riflessioni e delle proposte degli operatori del settore nella materia del trattamento penitenziario e delle misure alternative alla detenzione”, questo anche “in considerazione dell’emergenza rappresentata dal sovraffollamento, divenuta ancora più stringente a seguito delle pronunce della Corte Europea dei diritti dell’Uomo (che ha sottolineato la necessità dell’adozione di rimedi di carattere strutturale) e del forte richiamo operato dal Presidente della Repubblica nel suo messaggio dello scorso ottobre”. In quest’ottica, “si pone la sempre maggiore esigenza – pure
il commento adeguatamente tenuta presente dal legislatore negli ultimi anni - di rafforzare l’impianto normativo in materia di misure alternative alla detenzione in favore dei soggetti che abbiano già fatto ingresso nel circuito carcerario”. I dati statistici evidenziano che – in riferimento al solo 2013 - per un numero di provvedimenti concessivi di misure alternative superiore ai 50.000, la percentuale di revoche è stimabile in circa il 6% e che le stesse solo per una percentuale di circa l’1% sono dovute a episodi di recidiva. Per raggiungere questo fine, quindi, è “pregiudiziale… un’adeguata attenzione ai temi del trattamento penitenziario e, in particolare, di quelli relativi ai tempi dedicati al lavoro e allo studio, al fine di attuare la finalità rieducative che ci vengono imposte dalla Carta costituzionale (temi che necessariamente richiedono il contributo delle elaborazioni e delle competenze degli operatori del settore)”. Si rende dunque necessario, per il vice Ministro della Giustizia, “adeguare le disposizioni contenute nell’ordinamento penitenziario al fine di consentire un maggiore ricorso alle misure alternative, attraverso l’ampliamento dei presupposti per l’ammissione al lavoro esterno e all’affidamento in prova al servizio sociale, nella consapevolezza che un’adeguata opera di reinserimento è anche in grado di prevenire il pericolo di reiterazione di condotte criminose e di soddisfare l’esigenza di sicurezza della collettività”. Nella sua interessante relazione, il Segretario Generale del SAPPE Capece ha sottolineato l’importanza della necessità di una rivoluzione culturale ancorchè sociale per affrontare (e risolvere) compiutamente le criticità penitenziarie del Paese: “La nuova cultura, la nuova gestione, devono esprimere un’Amministrazione efficiente e funzionale, capace di programmare e di progettare e di sottrarsi all’improvvisazione e alla quotidianità di decisioni e di iniziative
dettate dall’impulso del momento e dalla contingente disposizione di chi li assume. Le iniziative di indirizzo e di Governo, quindi, per contrastare l’emergenza del sovraffollamento della popolazione detenuta, finora guidate da necessità e da urgenza, impongono adesso una programmazione più duratura ed efficace nei risultati”. E ha aggiunto: “occorre creare le condizioni per un trattamento penitenziario conforme ad umanità e dignità ponendo, come punto focale, la centralità della persona detenuta e la garanzia dei diritti fondamentali affinché i principi costituzionali relativi alla presunzione di non colpevolezza degli imputati e di finalizzazione della pena alla rieducazione del condannato possano
continuità nel controllo del detenuto”. Con una relazione molto interessante, ha raggiunto in profondità e quindi messo in luce le criticità con le quali la Magistratura di Sorveglianza deve quotidianamente confrontarsi, problematiche che incidono anche sull’impossibilità di dar corso ad un maggiore potenziamento dell’area penale esterna. Filippo Berselli ha ricordato l’importante apporto costruttivo fornito dal nostro Sindacato nel corso della sua lunga esperienza parlamentare, con particolare riferimento al periodo nel quale era presidente della Commissione Giustizia, sui temi più direttamente interessati come il sistema carcere ed il Corpo di Polizia Penitenziaria.
trovare adeguata realizzazione”. Ed ha concluso citando una frase di Nelson Mandela, recentemente scomparso, emblema della lotta all’apartheid, che meglio di ogni altra considerazione esprime l’idea che un altro carcere possa e debba essere possibile: “Una nazione dovrebbe essere giudicata da come tratta non i cittadini più prestigiosi ma i cittadini più umili”. Linda Arata, magistrato di sorveglianza dell’ufficio di Padova, ha espresso la convinta adesione della Magistratura di Sorveglianza ai temi scelti dal SAPPE sui quali dibattere ed ha sottolineato l’importanza che ha, per lei, il ruolo della Polizia Penitenziaria nelle attività di osservazione e trattamento. “Quando leggo le sintesi dei lavori di equipe, do particolare importanza a quel che scrive il poliziotto penitenziario perché di tutti i vari componenti è quello che garantisce la
E sui temi del sovraffollamento e dell’emergenza penitenziaria ha voluto mettere in luce anche i disagi che quotidianamente subiscono proprio le donne e gli uomini del Corpo, “disagi, questi, che spesso sfuggono ai più”. Rita Bernardini, segretario dei Radicali italiani, da sempre attenta e sensibili ai temi del carcere, ha trovato il convegno ed il conseguente dibattito molto interessanti e lei stessa ha contribuito alla discussione con spunti importanti. In sciopero della fame da 39 giorni (Satyagraha radicale) proprio per sollecitare quelle soluzioni alle criticità del sistema penitenziario chieste anche dal Capo dello Stato nel suo messaggio al Parlamento dell’8 ottobre scorso, partendo dalla condanna dell’Italia da parte della Cedu (sentenza Torreggiani), Bernardini ha tra l’altro denunciato le omissioni comunicative dell’Amministrazione penitenziaria in
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Il parterre del Convegno
‡ Polizia Penitenziaria n.216 aprile 2014
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il commento materia di “capienza regolamentare” delle carceri italiane. “I posti effettivamente agibili nei 206 istituti penitenziari italiani non sono 49.000, come ha detto a Bruxelles il ministro Orlando e come sostiene il DAP, ma molte migliaia di meno, perché ai 49.000 occorre sottrarre le sezioni inagibili, quelle in ristrutturazione, e quelle non utilizzate per carenza di personale. Le cifre sono importanti, perché non si tratta di numeri, ma di persone. Del resto che le cifre diffuse dal Dap fossero erronee le aveva confermato lo scorso
Nelle foto sopra Enrico Sbriglia e Rita Bernardini in alto a destra la platea al centro la targa del Convegno donata a Rita Bernardini sotto il servizio di sicurezza curato dai giovani dell’Anppe di Trieste nell’altra pagina il Senatore Edmondo Berselli mostra la targa ricevuta
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ottobre anche il ministro Cancellieri, con onestà intellettuale. Lo aveva precisato con chiarezza, ma hanno reiterato nel diffondere dati non veri”. Ed è evidente, ha concluso, che se le cifre sulle quali si predispongono interventi sono sbagliate, gli interventi stessi sono inadeguati. Rita Bernardini ha infine sottolineato come, tra le illegalità dello Stato in materia di giustizia, vi sia a pieno titolo anche quella che vede il contratto della Polizia Penitenziaria scaduto da molto, troppo tempo. Mario Moioli, di Fonarcom, ha auspicato che il Fondo paritetico interprofessionale nazionale possa sostenere, attraverso gli imprenditori interessati, la formazione di quei detenuti impiegati in attività lavorative mentre Rino Piroscia, direttore generale di Confsalform, ha sviluppato uno stimolante ed interessante ragionamento sulla disponibilità e sulle concrete possibilità di intervento di Confsalform in ambito penitenziario per far sì che i detenuti possano
lavorare in carcere. Piroscia ha quindi illustrato l’efficace strategia della Confsalform per reintegrare nel sistema produttivo i detenuti attraverso percorsi formativi ad hoc realizzati per sostenere lo sviluppo di nuove reti di imprese convenzionate con gli istituti penitenziari Nicola Boscoletto, presidente della Cooperativa Giotto, ha sottolineato le contraddizioni italiane in materia penitenziaria: il lavoro in carcere, come sostiene da sempre il SAPPE, è sì importante e fondamentale ed abbatte la recidiva, che altrimenti (ma questo è comunque un problema internazionale) si attesta tra il 70 ed il 90%. “Ma va detto che oggi i detenuti in Italia che lavorano davvero sono meno di 2.500, pari al 4% dei presenti. Altro che la percentuale media del 20% che sostiene il DAP, che include anche quei detenuti – la maggioranza – che lavora poche ore al mese e in servizi interni d’istituto come spesino, porta vitto, addetto alle pulizie: oggi nelle carceri italiane il tasso di disoccupazione tra i detenuti è pari al 96%! Con tutte le conseguenze negative che questo comporta in termini proprio di recidiva”. Anche Gianni Trevisan, presidente della Cooperativa il Cerchio di Venezia, ha evidenziato come sia fondamentale fare della pena un’occasione vera di riscatto, come afferma la Costituzione, ed ha citato alcune interessanti esperienze lavorative di detenuti ed ex-detenuti curate dalla Cooperativa di cui è presidente. La sua è stata una sintesi efficace: una volta scontata la pena, attraverso i percorsi di reinserimento sociale e lavorativo, gli ex-detenuti non ritornano a delinquere. La recidiva è bassissima e questo dato dimostra che il lavoro in carcere è non solo uno straordinario investimento sociale, ma anche un notevole risparmio economico per le casse dello Stato. Trevisan ha tra l’altro anche detto: “Io ho fatto il sindacalista per 30 anni ed ho vissuto esperienze stupende, soprattutto negli anni 70, quando grazie alle lotte dei lavoratori, si è costruita la coscienza
civile del Paese, ma l’esperienza più gratificante è senza dubbio quella che sto vivendo con la Cooperativa”. Le conclusioni dell’interessante
dibattito sono state affidate a Enrico Sbriglia, provveditore regionale penitenziario del Piemonte-Valle d’Aosta con lunghi trascorsi anche nel sindacalismo penitenziario a capo del Sidipe. Che ha detto una frase molto apprezzata dall’uditorio: “Il SAPPE non fa solo sindacato, ma propone e realizza politiche sindacali e vuole essere ed è interlocutore con il governo sull’esecuzione della pena come dimostra il tema del Vostro convegno oggi. E avete anche il difetto di indicare persino delle soluzioni valide! E allora è vergognoso che un convegno come il
diritto e diritti Vostro non l’abbia organizzato io come Provveditore!”. Sulle criticità del carcere (e sul paradosso della democrazia del dolore e della privazione che in carcere toglie a tutti: detenuti, personale, cooperative ed a tutti coloro che hanno a che fare col penitenziario) Sbriglia ha detto, citando il filosofo Carlo Serra, che “in carcere parlano gli occhi: dagli occhi delle persone si capisce come sarà la giornata”. E ha buttato lì una provocazione: “non si potrebbe fare una legge in modo che i legislatori, prima di varare
norme sul carcere, vivesse una settimana in carcere per capire quali siano davvero le priorità d’intervento?”. Ma la giustizia è ridicola se fa entrare in carcere oggi una persona per un reato commesso venti/venticinque anni fa, ha aggiunto. Il lavoro in carcere è importante, ha detto ancora Sbriglia: abbatte la noia, l’ozio, il numero degli eventi critici, permette di vivere dignitosamente anche tra le sbarre, di comprarsi le sigarette e i prodotti del sopravvitto, di mandare qualche soldo anche alla famiglia. Eppure il lavoro in carcere è risorsa per pochi. Proprio per questo il SAPPE ha organizzato il convegno di Abano Terme: per smuovere le acque. E per consolidare il ruolo del primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il SAPPE, che ha dimostrato una volta di più di essere e il Sindacato della protesta e il Sindacato della proposta. L’auspicio è che gli spunti, le proposte e le parole del convegno di Abano Terme non cadano nel vuoto e non restino urla nel silenzio. H
Come utilizzare il nastrino sulla tuta di servizio entile collega, sono un assistente che crede nei valori della divisa e sono fiero di appartenere alla Polizia Penitenziaria, professione che ho scelto volontariamente per attinenza della specializzazione riconosciuta al Corpo, a differenza della altre forze di polizia, alla carriera universtaria. Tanto premesso, ritengo che l’uniforme deve essere indossata senza alcuna alterazione, tuttavia, alcuni colleghi hanno generato in me alcuni dubbi rispetto al corretto utilizzo dei nastrini delle onorificenze. In particolare, nell’ultimo periodo ho notato che i colleghi indossano sulla mimetica un nastrino di “metallo” rappresentante la medaglia al merito di servizio a differenza del nastrino di “stoffa” utilizzato sulla divisa ordinaria. Cortesemente, vorrei capire se tale differenziazione è corretta, in considerazione delle opinioni discordanti sull’argomento. L’approfondimento della questione sarebbe utile ad evitare brutte figure, durante gli eventuali servizio esterni, nei confronti delle altre forze dell’ordine. Ringrazio anticipatamente. Cordiali saluti.
G
aro collega, l’identità professionale del Corpo di Polizia Penitenziaria si esprime prevalentemente attraverso l’aspetto formale, che non è solo il mezzo attraverso il quale il personale si propone verso la società civile, ma anche la sintesi più immediata e visibile dei valori e delle capacità del Corpo: sicuramente il modo di vestire l’uniforme contribuisce a salvaguardare e a valorizzare l’assetto formale. L’uniforme manifesta non solo gli ideali che caratterizzano il
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poliziotto penitenziario, ma anche il senso di appartenenza all’unità ed al relativo spirito di corpo, sintetizzando, attraverso i distintivi e le esperienze professionali maturate da ogni singolo appartenente. Fatta questa breve premessa, i Comandanti di Reparto ed i coordinatori di unità operative dovrebbero vigilare che tutto il personale indossi, in modo conforme alle disposizioni vigenti, l’uniforme di servizio. Le decorazioni vengono divise in decorazioni nazionali, cioè concesse da autorità nazionali; decorazioni non nazionali concesse da autorità estere non necessariamente statali come gli organismi internazionali o soprannazionali. L’utilizzo delle decorazioni è regolato dagli artt. 81 e 82, DPR 82/99 e dal D.M. 24/01/2007. L’autorizzazione all’utilizzo delle insegne, salvo revoca della decorazione, è permanente e non prevede rinnovi. Le decorazioni sono accessori dell’uniforme, composti generalmente da un’insegna in metallo con nastro, di placca o a fascia, che indicano la concessione di ricompense al valore o al merito o di altri tipi di riconoscimenti come onorificenze cavalleresche o, comunque, indicano il raggiungimento di una certa anzianità di servizio. Nell’uniforme di servizio alle placche e alle medaglie vengono sostituiti i nastrini, che indicano anche il possesso di specifiche competenze professionali e il conseguimento di diversi brevetti. Nel caso rappresentato è opportuno evidenziare che i nastrini si applicano esclusivamente sull’uniforme di rappresentanza e ordinaria, pertanto, ne è fatto divieto l’utilizzo sulla tuta di servizio (c.d. mimetica). H
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Giovanni Passaro Segretario Provinciale Sappe passaro@sappe.it
Polizia Penitenziaria n.216 aprile 2014
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Lady Oscar rivista@sappe.it
Nelle foto a destra la rosa dei giovani della scuola calcio Astrea-Vega in basso il tecnico Mauro Sambucini
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sport
E’ diventato una splendida realtà il progetto “Astrea giovani Scuola calcio Astrea-Vega”
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ella stagione 2010/2011, su un fazzoletto verde brillante incastonato tra la pineta ed i grigi palazzi di Ostia (la periferiametropoli di Roma con 250.000 abitanti), è nato il progetto della As Astrea per le categorie giovanili agonistiche, mai esistite fino ad allora, in oltre sessant’anni della sua gloriosa storia. Grazie ad un accordo con la APD Vega, i giovanissimi, classe 1997, inseriti nella fascia B del girone A del campionato provinciale, hanno iniziato a prendere parte agli incontri federali indossando i colori bianco e azzurro dell’Astrea. Il progetto “Astrea giovani e Scuola calcio Astrea-Vega” era partito a seguito dell’assenso ottenuto dal consiglio direttivo dell’Astrea presieduto dall’allora capo del Dap Franco Ionta. La spinta propulsiva all’idea era venuta dal ds dell’Astrea Marcello Tolu, il primo ad intuire che l’unione tra la APD Vega ed il team della Polizia Penitenziaria poteva dare buoni frutti. Le attività sportive del settore hanno cominciato a svolgersi presso l’impianto Giannattasio di OstiaStella Polare. Il gruppo era composto in totale da 27 ragazzi, tutti o quasi provenienti dal circondario e di estrazioni sociali assai diverse. La prima di campionato fu disputata il 17 ottobre 2010 contro il Cretarossa di Nettuno ed il risultato finale fu un pareggio a reti inviolate. Il mister che guidava il gruppo era l’Assistente Capo di Polizia Penitenziaria Mauro Sambucini,
coadiuvato dall’allenatore in seconda Roberto Conti e dal tecnico dei portieri Claudio Mascherino. Quei ragazzi, al termine del primo anno nei Giovanissimi, conquistarono la Coppa disciplina ed il secondo posto in classifica. Nel corso della stagione 2011/2012 invece, sotto età e nella categoria Allievi provinciali, quel collettivo riuscì a finire quarto, dimostrando delle potenzialità che il tempo e la costanza avrebbero fatto sbocciare in prestazioni più mature e convincenti oltre che in risultati più importanti. Già nella stagione successiva, quella 2012/2013, è arrivato il secondo posto in classifica e la certezza che quel tempo in cui un gruppo ben attrezzato può compiere il salto di qualità era ormai giunto. Non è un caso quindi, all’approssimarsi della fine di questo campionato, che l’Astrea abbia colto -con tre giornate di anticipo e sette punti di vantaggiola matematica vittoria del campionato Allievi davanti alla Virtus Nettuno e la compagine dell’Unipomezia (staccate tra loro di una sola lunghezza). Nell’anno che ha chiuso il primo ciclo
della storia delle categorie giovanili agonistiche, con questo primo posto, è arrivata anche la promozione dell’Astrea alla categoria Allievi regionali e la possibilità, a fine maggio, di competere per il titolo di campione provinciale del Lazio. Come per gli esordi, il Mister di questa cavalcata vincente è stato ancora Mauro Sambucini, assistito dagli stessi collaboratori delle origini, a cui abbiamo voluto rivolgere qualche domanda.
sport Come commenta i risultati finora raggiunti ed il periodo alla guida di questo gruppo di ragazzi? Sono felicissimo per quanto siamo riusciti a fare. Il settore giovanile è nato con 27 calciatori ed è rimasto sempre con questi numeri anche quando alcuni hanno trovato altre strade, e altri hanno deciso di venire da noi dopo essere passati per altri team. Alla fine siamo arrivati a conquistare, posso dire meritatamente, la categoria superiore. Il risultato più bello in ogni caso, al di là di quello agonistico, è stata la crescita costante del gruppo sotto l’aspetto comportamentale che per me viene prima di qualunque vittoria o promozione. Come si lavora su un gruppo di ragazzi adolescenti da un punto di vista comportamentale, in un’età notoriamente difficile da gestire? Bisogna essere in grado di rivestire tanti ruoli insieme: il tecnico, ma anche lo psicologo, il magazziniere, il dirigente, il fratello maggiore a volte. In questo sono stato aiutato anche da ottime persone che mi sono state accanto e hanno collaborato con me durante tutta questa esperienza. Tra di esse non posso non citare Paolo Ranaldi, genitore ma anche dirigente, il mio secondo Roberto Conti e Claudio Mascherino. Poi è fondamentale che si instauri un rapporto basato sul rispetto, per se stessi e per il gruppo di cui si è parte. Da questo punto di vista posso dire che ad esempio, settimanalmente, non ho mai avuto agli allenamenti meno di 20-22 ragazzi presenti. Questo è stato un segnale importante che l’impegno a lavorare insieme e con costanza era stato assunto fino in fondo. Cosa si aspetta ora per il futuro di questi ragazzi e suo personale? Egoisticamente mi verrebbe da rispondere che vorrei poter continuare a seguirli in prima persona e farli crescere ancora, ma poi, lasciando da parte i sentimenti personali, razionalmente dico che i ragazzi non sono “miei” ma dell’Astrea e la
decisione sul loro e sul mio futuro spetta solo alla società. L’importante è che possano crescere ancora, anche allenandosi a Roma, perché ai problemi logistici di spostarsi da Ostia sopperisce la grande progettualità dell’Astrea che secondo me, in prospettiva, consentirà di realizzare un giusto mix di calciatori giovani con i “veterani” che oggi militano in prima squadra. Su questo Mister Roberto Rambaudi, allenatore della prima squadra, devo dire che finora ha mostrato grande sensibilità ed attenzione. Cosa rappresenta l’Astrea per lei? L’Astrea è una filosofia di vita e di comportamento, quella stessa, più sana possibile, che ho cercato di trasmettere ai ragazzi. L’Astrea che ho avuto modo di allenare è più di un progetto in un ambiente circondato da team prestigiosi che i settori giovanili li hanno avviati da molto tempo (Pescatori Ostia, Ostiamare, Lupa Roma, Totti Soccer School). Io credo che più di altre società la squadra della Polizia Penitenziaria dia la possibilità di esprimersi ad livelli superiori, ed io spero di restarvi ancora molto a lungo. Sarebbe una soddisfazione grandissima, tornando al gruppo che ho allenato, sapere che un giorno anche solo uno o due elementi riuscissero ad esordire in prima squadra. Il mio più grande ringraziamento va a tutti coloro che hanno permesso di vivere al meglio questa bella esperienza: il Ds Tolu, la direzione dell’impianto di Ostia ed il suo personale, la Fidal, e tutti coloro che mi sono stati vicini tra dirigenti e tecnici. Altro parere, altro punto di vista: dirigente e genitore di uno degli Allievi, Paolo Ranaldi, è un uomo di sport e dell’Amministrazione, Ispettore Capo e fisioterapista del gruppo sportivo Fiamme Azzurre da quasi trent’anni. A lui abbiamo chiesto di raccontarci com’è stata questa esperienza al fianco dell’Astrea. “Mi sono avvicinato per caso a questa nuova avventura dell’Astrea nel campo dei settori giovanili e anche con qualche dubbio per la presenza di
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mio figlio nella rosa dei calciatori. Dopo anni di militanza sportiva di alto livello con il lavoro nelle Fiamme Azzurre ho così iniziato a conoscere meglio la realtà sportiva del calcio, assai distante rispetto a quella di qualunque altra disciplina agonistica Cosa le ha regalato ad oggi questa esperienza nell’Astrea? Molte cose, la prima fra tutte è stata la consapevolezza che la differenza, in un gruppo di ragazzi che si ritrovano insieme per crescere e giocare, la fa, al di là dell’aspetto tecnico, il fattore umano. I “selezionatori” che ad un’età piuttosto giovane iniziano ad inseguire talenti puri e che lasciano pochi margini per uno sforzo di crescita e di lavoro con il quale molti atleti/calciatori potrebbero diventare ugualmente molto bravi, a mio parere, fanno dei grossi danni. Il lavoro di Mauro Sambucini, durante le varie stagioni alla guida dell’Astrea, ha fatto crescere i ragazzi anche da un punto di vista umano oltre che calcistico”. Qualche esempio di come si è sviluppato questo lavoro su un campo di calcio? Diciamo che quello del Mister è stato un lavoro lungo, lento, fatto di pazienza e tolleranza. Ho assistito a scene in cui qualche ragazzo, mandato anzitempo a fare la doccia per aver tenuto un comportamento poco corretto, è poi ritornato sul campo per chiedere scusa riconoscendo di fatto l’errore. Ho capito l’importanza dell’allenatore dallo sguardo che i ragazzi posavano su ogni suo gesto: osservato e raccolto come esempio nelle piccole come nelle grandi cose. Da genitore come ha vissuto l’esperienza al fianco di suo figlio in questa avventura? Da genitore ho avuto modo di osservare, positivamente, come lo sport sia stato un’utile linea guida di equilibrio per mio figlio e per gli altri ragazzi che hanno seguito con costanza gli allenamenti prendendoli come impegno anche quando la scuola, le pagelle, le altre priorità
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sport della vita di un adolescente potevano potenzialmente distrarre e allontanare. Altra cosa bellissima di questo periodo è stato il rapporto con gli altri genitori, educati e pacati sugli spalti così come ai loro ragazzi si richiedeva di essere sul campo. E’ stata un’esperienza meravigliosa ed è un peccato che sia terminata.
Anna e Luca Campioni del Mondo di pattinaggio
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Nella foto Conti, Mascherino e Sambucini, Nell’altra pagina la coppia della squadra di pattinaggio su ghiaccio delle Fiamme Azzurre Cappellini La Notte
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Quali sono secondo lei le prospettive di questi ragazzi e cosa servirebbe loro per continuare a crescere ulteriormente? Inevitabilmente credo che la conformazione del gruppo, in gran parte composto da ragazzi di Ostia e dintorni, sarà destinata a cambiare perché le prospettive calcistiche dell’Astrea sono più improntate a valorizzare il polo sportivo della Scuola di Via di Brava. Credo che la loro esperienza possa fungere da stimolo per la Scuola Calcio dell’Astrea, avviata con successo a Casal del Marmo proprio all’inizio della stagione che sta per concludersi, e che, il vero salto di qualità, si possa compiere favorendo sempre più - magari con un responsabile tecnico creato ad hocil raccordo tra i settori giovanili e la categoria juniores, e tra quest’ultima e la prima squadra. L’Astrea ha delle potenzialità di crescita enormi e con uno sforzo organizzativo diverso penso che le cose possano trasformarsi ed evolvere ancora. H
opo averli portati sul gradino più alto del podio europeo di Budapest, il Barbiere di Siviglia, interpretato da Anna Cappellini e Luca Lanotte, il 29 marzo li ha consacrati campioni del mondo sulla pista di Seitama, in Giappone. Già in testa nel corto, come era avvenuto nella gara continentale, Anna e Luca hanno vinto precedendo di soli due centesimi i canadesi KaitlynWeaver-Andrew Poje, e di sei i veterani francesi NathaliePechalatFabian Bourzat, all’ultima gara della loro lunga carriera. Sicuri e raggianti durante la loro prova, i portacolori della Polizia Penitenziaria sono stati i padroni assoluti della scena, coinvolgendo ed incantando. Con 105.73 hanno migliorato il proprio record italiano di 3.70 punti e con 175.43 di 3.82 quello del totale. Quando al termine delle valutazioni del pannello di giudici i ragazzi delle Fiamme Azzurre si sono trovati a guardare il numero uno accanto al loro nome nella classifica generale è esplosa la festa, e le lacrime di commozione di Anna sono state in fondo quelle di tutto il movimento azzurro sul ghiaccio e dei tanti tifosi, che dopo l’argento di Fusar PoliMargaglio a Nizza 2000 ed il bronzo di Federica Faiella-Massimo Scali a Torino 2010, hanno potuto ammirare una delle vittorie più belle e meritate che l’Italia abbia mai conquistato nella disciplina di questo sport: terzo podio di 105 rassegne iridate. Due ore dopo la gioia nella danza un’altra emozione l’ha regalata Carolina Kostner nel libero della gara riservata alle Ladies. Dopo il secondo posto nel corto, dietro alla giapponese Mao Asada,è terminato con il bronzo il suo mondiale.
Per l’azzurra della Polizia Penitenzaria è la sesta medaglia iridata, la quarta consecutiva di una sfolgorante carriera. Non le è riuscito di agguantare l’oro già vinto a Nizza 2012, ma il bronzo, in ogni caso, è un risultato che, a un mese dalla storica conquista dello stesso metallo all’Olimpiade di Sochi, va salutato con la stessa standing ovation che il Giappone le aveva riservato nel corto di due giorni prima. Ventiseisimo podio di quattro anni di successi. H
l’osservatorio
31 dicembre 2014 fine del blocco contrattuale rriva per il governo Renzi il banco di prova forse più importante del mandato, oltre alla riforma costituzionale che dovrebbe modificare la composizione e le funzioni del Senato; quello, cioè, relativo al mercato del lavoro. Partirà il primo maggio il Piano Garanzia Giovani, con un portale web nazionale. Vediamo cosa prevede il piano. Intanto bisogna dire che ci sono a disposizione un miliardo e mezzo di euro da investire, per il lavoro e la formazione dei giovani di età compresa tra i 24 ed i 29 anni. Secondo quanto riferito dal ministro Poletti al Corriere della Sera si partirà con i giovani di età non superiore ai 24 anni, ma lo stesso ministro ha invitato anche i giovani di età compresa tra i 25 ed i 29 anni ad iscriversi, perché potrebbero essere ricompresi in una seconda fase. Saranno le Regioni a gestire il piano. Le stesse Regioni, sempre secondo quanto riferisce il Corriere, potranno implementare le risorse, ma prima dovranno firmare le convenzioni con il Ministero del Lavoro. Finora si sono iscritte solo Sardegna e Valle D’Aosta; come al solito le Regioni fanno sempre la differenza, spesso in negativo. Infatti, al momento, sembra che il ministero stia svolgendo anche il lavoro delle regioni, cioè il reclutamento sul territorio di coloro che sono pronti ad offrire formazione e lavoro. A tal proposito il ministero ha già sottoscritto alcuni accordi con Finmeccanica e con la Confederazione Italiana Agricoltori. In ogni caso, fino a quando le Regioni non inizieranno a dare il loro apporto, l’incrocio tra domanda e offerta non potrà avvenire.
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Dovranno iscriversi al portale anche le imprese interessate ad offrire lavoro o formazione. Sempre secondo quanto riferisce il Ministro al Corriere saranno il centro per l’impiego o la struttura anche privata accreditata presso la regione a chiamare il giovane. Sarà quest’ultima a scegliere l‘agenzia ed a compensarla in base ad un tariffario nazionale già pronto. Il tempo di attesa per la chiamata, per chi si iscrive, è di circa quattro mesi, l’iscritto potrebbe ricevere anche un’offerta fuori dalla regione di appartenenza, può anche rifiutare, ma i tempi di attesa, in questo caso, si allungherebbero. Per quanto riguarda la retribuzione il Ministro ha spiegato che il tariffario nazionale fissa in 500 euro il compenso mensile a carico delle Regioni. Per gli altri contratti valgono le regole contrattuali del settore in cui si lavorerà e le regole nazionali. Il piano prevede anche che le aziende che assumono i giovani siano incentivate in base ad un tariffario nazionale. Si prevede il coinvolgimento di circa 900.000 giovani ma, spiega il Ministro, mettendo le mani avanti, non è detto che tutti si tradurrano in posti di lavoro. Intanto prosegue il lavoro per cercare di porre rimedio al problema degli esodati, lasciati in eredità dal Ministro
Fornero, la quale ha fatto sicuramente un commovente danno, lasciando a casa tanta gente senza pensione. Speriamo che l’attuale Governo ponga rimedio ad un’altra assurda norma, voluta da Brunetta e Tremonti e confermata anche da Monti e Letta, che ha bloccato per cinque anni ogni incremento economico per gli impiegati statali, compreso, ovviamente, le Forze di Polizia, alle quali è stato propinato lo specchietto per le allodole della specificità, cosa che non ha poi avuto alcun effetto positivo, avendo in ogni caso omologato le stesse Forze di Polizia al resto del pubblico impiego. Si tratta della norma che congela il trattamento economico individuale del 2010, norma in base alla quale chiunque ha maturato o maturerà una maggiorazione economica strutturale o accessoria, derivante, quindi, da una promozione, dal raggiungimento di una maggiore anzianità o da un diverso impiego in servizio, non riceverà il relativo trattamento economico. L’efficacia di tale norma scadrà il 31 dicembre del 2014, ci auguriamo che il Presidente del Consiglio non la proroghi ulteriormente e, prima della fine dell’anno, il Ministro competente avvii le trattative per il rinnovo dei contratti di lavoro per le Forze di Polizia. H
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Giovanni Battista Durante Redazione Politica Segretario Generale Aggiunto del Sappe durante@sappe.it
Nella foto sopra il Presidente del Consiglio Matteo Renzi insieme al Ministro Giuliano Poletti sotto l’ex Ministro Elsa Maria Fornero
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dalle segreterie Catania
rivista@sappe.it
Il Sappe incontra il Sindaco Enzo Bianco l 21 marzo 2014, una rappresentanza del Sappe è stata ricevuta a “Palazzo degli Elefanti” dal Sindaco di Catania On. Enzo Bianco. La delegazione guidata dal Segretario Nazionale Dott. Francesco Pennisi ha illustrato ampiamente al primo cittadino le gravi problematiche che attanagliano gli Istituti Penitenziari Catanesi di “Bicocca” e “Piazza Lanza”. Oltre alle notevoli problematiche strutturali e di salubrità dei posti di lavoro, è stata posta in evidenza la grave carenza degli organici di Polizia
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totalmente insufficienti per garantire i livelli minimi di sicurezza di una struttura ove sono ristretti circa 280 detenuti, sottoposti al regime di “Alta Sicurezza”, appartenenti per lo più alle consorterie criminali che purtroppo imperversano nella provincia. H
Novara
Pozzuoli
Assemblea sindacale del Sappe
“Prima del silenzio” una nuova fiction con la partecipazione della Polizia Penitenziaria
elle foto di seguito pubblicate alcuni dei momenti che hanno caratterizzato l’Assemblea del Sappe che si è tenuta il 26 marzo a Novara.
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Penitenziaria che sta mettendo a dura prova la resistenza fisica e psichica del personale operante. In particolar modo è stata rilevata la delicata situazione del carcere di Catania Bicocca ove a fronte di un organico previsto di 200 unità, ne sono presenti poco più di 100,
opo il grande favore di critica e il gradimento degli addetti ai lavori e del pubblico riscosso dal corto “Storia di un attimo”, girato nell’Istituto Penale Minorile di Airola (Bn) grazie al personale di Polizia Penitenziaria, ecco un’altra storia incentrata sulla violenza contro le donne e sulle enormi difficoltà che vivono le Case Famiglia. Filo conduttore è la violenza che in silenzio subiscono tante donne costrette dalle necessità e dalle circostanze a non ribellarsi, a soffrire interiormente e a prendersi colpe non proprie. Il corto è stato interpretato da Alessandra Venturini (Rita),
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dalle segreterie Roma Una rappresentanza della Giustizia Minorile all’Udienza Generale del Papa ome è noto a tutti, ogni mercoledì dell’anno il Santo Padre tiene un’Udienza Generale durante la quale saluta in varie lingue i gruppi di pellegrini presenti e impartisce a tutti la sua benedizione. L’udienza ha luogo ogni mercoledì alle ore 10:30 all’interno dell’Aula Paolo VI (Sala Nervi) oppure, a seconda dell’afflusso di fedeli, nella Basilica di San Pietro o in Piazza San Pietro. In estate invece, quando il Santo Padre si trasferisce nella sua
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Vincenzo Soriano (Umberto), Antonio Maddaloni (Marco), D’Aria (Mary), Vincenzo Napolitano (Fabio), Emanuela Vitale (Manuela), con la partecipazione straordinaria di Maria Rosaria Virgili nel ruolo dell’avvocato. Hanno preso parte alle riprese anche il personale femminile del Corpo di Polizia Penitenziaria in servizio a Pozzuoli e alcune unità in servizio all’Istituto Penale Minorile di Airola (BN). L’attore Vincenzo Soriano, 43 anni, napoletano, volto noto de La squadra 3, reduce dai set di Impepata di nozze e Con tutto l’amore che ho,
residenza estiva, le udienze pubbliche si tengono a Castel Gandolfo. Lo scorso 2 aprile una rappresentanza del Dipartimento Giustizia Minorile è stata ricevuta da Papa Francesco in Piazza San Pietro. L’iniziativa, coordinata dall’ Ass. Capo Pasquale Ruggiero, è stata seguita dal personale di Polizia Penitenziaria in servizio all’Istituto Penale Minorile
di Airola (BN). Per l’occasione l’Assistente Capo, nel donare al Papa un basco azzurro, ha chiesto al Pontefice una speciale benedizione per tutto il personale del Corpo di Polizia Penitenziaria per il loro difficile compito istituzionale. H
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rivista@sappe.it
una pellicola incentrata sullo stalking in uscita nei prossimi mesi, ringrazia con grande stima il personale del Corpo di Polizia Penitenziaria, grazie al quale è stato possibile effettuare le riprese in tutta tranquillità. H
a nostra iscritta Marianna Illiano il 18 marzo 2014 si è laureata presso l’Università degli Studi de L'Aquiila in Scienze dell' investigazione (classe di lauree in scienze e tecniche psicologiche) con una tesi sulla Detenzione e trattamento rieducativo. Studio comparato tra Stati Uniti ed Europa. Da parte della Segreteria provinciale Sappe, dai colleghi della C.C. di Verbania e dalla Redazione le congratulazioni e gli auguri per una splendida carriera. H
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dalle segreterie Potenza
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Il Congresso regionale conferma all’unanimità Saverio Brienza segretario del Sappe in Basilicata
onfermato all’unanimità Saverio Brienza quale segretario del Sappe in Basilicata. Il sostituto commissario della Polizia Penitenziaria, coordinatore del Nucleo Traduzioni e Piantonamenti della Casa Circondariale di Potenza, è stato eletto il 18 marzo scorso a Tito alla presenza del segretario generale Donato Capece. Al Congresso erano presenti i delegati sindacali della Regione. Brienza sarà coadiuvato da due vice segretari: l’Ispettore Capo Eustacchio Paolicelli (in servizio a Matera) e l’Assistente Capo Mauro Autobello (Melfi). I lavori del Congresso Regionale Sappe della Basilicata sono stati preceduti da un convegno sul sovraffollamento penitenziario, al quale erano tra gli altri presenti il vice presidente della Giunta regionale Flavia Franconi, il consigliere regionale Aurelio Pace, il sindaco del Comune di Tito Pasquale Schiavone, il dirigente del Provveditorato regionale dell’Amministrazione Penitenziaria di Potenza Maria Rosaria Petraccone, il direttore del carcere di Potenza Michele Ferrandina ed il Comandante della Polizia Penitenziaria Rocco Grippo.
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Nel corso del convegno, il segretario generale del SAPPE Donato Capece ha sottolineato come «per troppo tempo il carcere è stato luogo dell’oblio, della rimozione sociale, elemento quasi catartico di una società violenta e diseguale. Il carcere è sempre più luogo dell’assenza. Assenza di taluni diritti, di prospettive, di senso. Uomini e donne ammassati in luoghi sempre più stretti ed angusti, a fronte di una capienza complessiva delle carceri italiane di circa 38mila posti ce ne sono attualmente circa 63.000, gli stanziamenti per la manutenzione ordinaria e straordinaria quasi del tutto assenti, il personale del Corpo di Polizia Penitenziaria e quello del Comparto Ministeri sono sotto
Cosenza Ricordo del collega Franco Celebre a quattro anni dalla sua scomparsa l 13 marzo del 2010, prematuramente ed in maniera improvvisa, ci lasciava il collega ed amico Franco Celebre. Trovare le parole per ricordarlo non è semplice e quelle utilizzate dalla famiglia danno il senso della grande persona che abbiamo avuto l’onore ed il privilegio di conoscere e di avere al nostro fianco, nella nostra difficile attività lavorativa con le sue qualità, la sua forza ed anche il suo umorismo:
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organico di diverse migliaia di unità, con posti di lavoro all’interno ridotti ai minimi termini». E sulla realtà lucana ha denunciato: «per quanto riguarda la Basilicata ove troviamo gli Istituti di Potenza, Matera e Melfi si registra una carenza complessiva ed effettiva di più di 70 unità a fronte di un organico previsto di 447 unità nei vari ruoli a cui fa da controaltare una popolazione detenuta superiore alle 500 unità su una capienza di appena 440 unità». Da qui il ripensamento della pena, favorendo maggiormente il lavoro obbligatorio in carcere, il potenziamento delle misure alternative alla detenzione e l’espulsione dei detenuti stranieri. H erremme In ricordo di un uomo semplice e sereno. In ricordo di un uomo giusto e comprensivo, sempre affettuosamente disposto verso il prossimo. In ricordo di un vero carissimo padre e marito. CIAO COMPA FRA’
dalle segreterie Lecce Un “Angolo della Memoria” per la Polizia Penitenziaria
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stato inaugurato nei giorni scorsi un monumento in ricordo dei colleghi prematuramente
scomparsi a Lecce. Alla cerimonia di inaugurazione sono intervenute le massime autorità cittadine, (chi taglia il nastro è il Prefetto di Lecce ) colleghi in pensione ed ovviamente i familiari dei colleghi scomparsi. L’Angolo della Memoria è un'opera scultorea ideata e realizzata dagli Assistenti di Polizia Penitenzlarla, Quintino Specchia e Giorgio Treglia. Essa nasce dalla volontà di individuare un posto ove rinnovare la memoria di tutto il personale appartenente al Corpo, in servizio attivo presso questo Reparto, prematuramente scomparso. Nel monumento, realizzato su di un monolite di pietra leccese alta 220 cm: sono stati scolpiti Il fregio e lo stemma araldico, simboli che caratterizzano il Corpo di Polizia Penltenzlaria. Nell’elenco, in ordine cronologico, i nomi dei poliziotti penitenziari ai quali l’opera è rivolta e di quali si celebra la memoria. H Antonio Musardo
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rivista@sappe.it
Palermo Il Sappe in piazza per contestare il Provveditore Regionale o scorso mese di aprile gli iscritti al Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria della Sicilia si sono ritrovati a Palermo per manifestare il proprio disagio e sensibilizzare l’opinione pubblica e la stampa contro la gestione del Provveditore Regionale siciliano della Amministrazione Penitenziaria. Nelle foto, la protesta. H
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cinema dietro le sbarre
La grande prigione a cura di Giovanni Battista de Blasis deblasis@sappe.it
Nelle foto la locandina e alcune scene del film
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a grande prigione è un film del 1956 diretto da Abner Biberman, su una sceneggiatura di Harold Jack Bloom e un soggetto di Richard K. Polimer e Wallace Sullivan, remake di The Big Guy del 1939. A seguito di una rivolta, un gruppo di detenuti evade dalla prigione uccidendo un poliziotto penitenziario e portandosi dietro, come ostaggi, il direttore del carcere, Carmichael, e un galeotto riluttante, Hutchins. Durante la fuga, però, si verifica un grave incidente d’auto al quale sopravvivono soltanto il direttore ed il detenuto preso in ostaggio. In occasione dell’incidente, Carmichael riesce ad appropriarsi di centomila dollari in possesso degli evasi. Allo scopo di tenersi l’ingente bottino, il corrotto direttore accusa Hutchins dell’omicidio del poliziotto penitenziario e cerca, in ogni modo, di accelerare il più possibile la sua
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condanna a morte, così che non rimanga alcun testimone del suo misfatto. Il film è stato girato nel Wayside Honor Rancho, a Castaic nella contea di Los Angeles, California, soprannominato Wayside Drunk Farm (fattoria degli ubriachi) a causa della grande percentuale di detenuti per reati correlati alla dipendenza da alcol, oggi ribattezzato Peter J. Pitchess Detention Center. H
la scheda del film Regia: Abner Biberman Titolo originale: Behind the High Wall Soggetto: Richard K. Polimer, Wallace Sullivan Sceneggiatura: Harold Jack Bloom Fotografia: Maury Gertsman Montaggio: Ted J. Kent Costumi: Bill Thomas Scenografia: Alexander Golitzen, Robert Emmet Smith Produzione: Stanley Rubin, Universal International Pictures Distribuzione: Universal Personaggi ed Interpreti: Frank Carmichael: Tom Tully Johnny Hutchins: John Gavin Hilda Carmichael: Sylvia Sidney Anne MacGregor: Betty Lynn Guardia: George Barrows Todd 'Mac' MacGregor: Don Beddoe Tom Reynolds: Barney Phillips Roy Burkhardt: Nicky Blair Guardia: Roy Darmour William Kiley: John Larch Carl Burkhardt: John Beradino George Miller: Raymond Barnes Poliziotto: William Boyett Guardia: Ralph Brooks Charlie Rains: Ed Kemmer Giudice Robert Pryor: Ewing Mitchell Corby: William Forrest Carcerato: Phil Harvey Jim Hardy: Paul Keast: Morgan: David Garcia Genere: Drammatico Durata: 85 minuti Origine: USA, 1956
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attualità
Carceri, una nuova Legge votata dal Parlamento
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ella seduta del 2 aprile scorso, la Camera dei Deputati ha approvato in via definitiva un testo unificato, già esaminato in prima lettura e poi modificato dal Senato della Repubblica, che si propone quattro obiettivi: 1) delegare al Governo la disciplina di pene detentive non carcerarie, ovvero da eseguire presso il domicilio; 2) delegare il Governo a realizzare una depenalizzazione; 3) introdurre la messa alla prova nel processo penale; 4) disciplinare in modo innovativo il processo a carico di imputati irreperibili.
Nella foto il Carcere di Marassi a Genova
Polizia Penitenziaria n.216 aprile 2014
Il provvedimento A.C. 331-927-B, che l’Assemblea della Camera ha discusso a partire dal 24 marzo 2014, era stato già esaminato da questo ramo del Parlamento, in prima lettura, lo scorso luglio. Nel successivo passaggio parlamentare al Senato sono state apportate al testo alcune modifiche (in particolare, il Senato ha arricchito il provvedimento di alcuni contenuti, essenzialmente introducendo una delega per la depenalizzazione). Ciò ha determinato l’esigenza di una seconda lettura da parte della Camera. Queste, in sintesi, le novità introdotte.
Delega per la riforma del sistema delle pene Il provvedimento (articolo 1) prevede che il Governo debba, entro 8 mesi, riformare il sistema delle pene, eliminando l’attuale pena dell’arresto e introducendo nel codice penale, e nella normativa complementare, pene detentive non carcerarie (reclusione presso il domicilio e arresto presso il domicilio), di durata continuativa o per singoli giorni settimanali o fasce orarie, da scontare presso l’abitazione. Tra i principi e criteri direttivi della delega si prevede: l’applicazione dell’arresto domiciliare per tutte le ipotesi nelle quali è attualmente previsto l’arresto; l’applicazione automatica della reclusione domiciliare per tutti i delitti puniti con pena edittale della reclusione nel massimo fino a 3 anni; l’applicazione della reclusione domiciliare a discrezione del giudice (che valuta la gravità del reato ai sensi dell’art. 133 c.p.) per tutti i delitti puniti con la reclusione da 3 a 5 anni. La delega esclude in talune ipotesi l’applicabilità delle pene detentive non carcerarie; prevede che le stesse pene possano essere sostituite con la detenzione in carcere in assenza di un domicilio idoneo ovvero quando il comportamento del condannato risulti incompatibile con la pena domiciliare (es. per averne violato le prescrizioni, ovvero per aver commesso un nuovo reato).
Il Senato ha aggiunto che, per i reati per i quali è prevista la detenzione domiciliare, il giudice può, sentito l’imputato e il PM, applicare in sede di condanna anche la sanzione del lavoro di pubblica utilità, per una durata minima di 10 giorni. Inoltre, sempre all’articolo 1, il Senato ha introdotto una delega al Governo per la disciplina della non punibilità per tenuità del fatto, da applicare a tutte le condotte attualmente punite con la sola pena pecuniaria (ammenda o multa) o con pene detentive non superiori nel massimo a 5 anni, nelle seguenti ipotesi: a) particolare tenuità dell’offesa; b) non abitualità del comportamento. Delega per la depenalizzazione Il Senato ha introdotto nel provvedimento (articolo 2) una ulteriore delega al Governo ad operare una articolata depenalizzazione (entro 18 mesi dall’entrata in vigore della legge). In particolare, il Governo dovrà trasformare in illeciti amministrativi: • i reati puniti con la sola pena della multa o dell’ammenda, purchè non attinenti ad alcune materie escluse (edilizia e urbanistica; ambiente, territorio e paesaggio; alimenti e bevande; salute e sicurezza nei luoghi di lavoro; sicurezza pubblica; giochi d’azzardo e scommesse; armi ed esplosivi; materia elettorale e di finanziamento dei partiti; proprietà intellettuale e industriale) (lett. a); • specifici reati contenuti nel codice penale (in materia di atti osceni e pubblicazioni e spettacoli osceni; di rifiuto di prestare la propria opera in occasione di un tumulto, di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone, di abuso della credulità popolare, di rappresentazioni teatrali
attualità o cinematografiche abusive e, infine, di atti contrari alla pubblica decenza) (lett. b); • il reato di omesso versamento di ritenute previdenziali e assistenziali (lett.c); • alcune specifiche contravvenzioni punite con la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda (lett. d); • il reato di immigrazione clandestina (comma 3, lett. b)). Il principio di delega prevede che debbano conservare rilievo penale le condotte di violazione dei provvedimenti amministrativi adottati in materia, vale a dire dei provvedimenti di espulsione già adottati. In sostanza dovrà restare penalmente rilevante il reingresso in violazione di un provvedimento di espulsione. Per i reati trasformati in illeciti amministrativi il Governo dovrà prevedere sanzioni adeguate e proporzionate alla gravità della violazione, all’eventuale reiterazione dell’illecito, all’opera svolta dall’agente per l’eliminazione o attenuazione delle sue conseguenze, nonché alla personalità dello stesso e alle sue condizioni economiche e comunque sanzioni pecuniarie comprese tra 5.000 e 50.000 euro nonché eventuali sanzioni amministrative accessorie consistenti nella sospensione di facoltà e diritti derivanti da provvedimenti dell’amministrazione (lett. e); dovrà consentire la rateizzazione ma anche il pagamento in misura ridotta (lett. f) e g)). In relazione a specifici articoli del codice penale, l’articolo 2 delega il Governo a procedere ad un’abrogazione (comma 3, lett. a), c), d) e)) introducendo adeguate sanzioni pecuniarie civili, fermo il diritto al risarcimento del danno. Messa alla prova. Il provvedimento (articoli da 3 a 8) introduce nell’ordinamento l’istituto della sospensione del procedimento penale con messa alla prova. Vengono a tal fine inseriti nel codice penale nuovi articoli (da 168-bis a 168-quater), significativamente tra le disposizioni relative alle cause
estintive del reato, attraverso i quali si prevede: • che nei procedimenti per reati puniti con pena pecuniaria, ovvero con reclusione fino a 4 anni (sola, congiunta o alternativa a pena pecuniaria), ovvero per uno dei reati in relazione ai quali l’articolo 550, comma 2, c.p.p. prevede la citazione diretta a giudizio, l’imputato possa chiedere la sospensione del processo con messa alla prova. La misura consiste in condotte riparatorie volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, ove possibile in misure risarcitorie del danno, nell’affidamento dell’imputato al servizio sociale e nella prestazione di lavoro di pubblica utilità; • la sospensione del corso della prescrizione del reato durante il periodo di sospensione del processo con messa alla prova. Al termine della misura, se il comportamento dell’imputato è valutato positivamente, il giudice dichiara l’estinzione del reato, restando
Unico sul casellario giudiziale. Spetterà ad un regolamento del Ministro della giustizia disciplinare le convenzioni in merito al lavoro di pubblica utilità.
comunque applicabili le eventuali sanzioni amministrative accessorie; come motivo di revoca della messa alla prova la trasgressione grave del programma di trattamento, ovvero la reiterata trasgressione dello stesso o il rifiuto di prestare il lavoro di pubblica utilità, o la commissione, durante il periodo di prova, di un nuovo delitto non colposo o di un reato della stessa indole rispetto a quello per cui si procede. Vengono inoltre modificati il codice di procedura penale (inserendo gli articoli da 464-bis a 464-novies), le disposizioni di attuazione e il Testo
dibattimento, acquisisce, a richiesta di parte, le prove non rinviabili. Alla scadenza di un anno dalla pronuncia dell’ordinanza di sospensione, e per ogni anno successivo, il giudice disporrà nuove ricerche dell’imputato per la notifica dell’avviso. Se le ricerche hanno esito positivo l’ordinanza è revocata, il giudice fissa la data per la nuova udienza, e l’imputato può richiedere il giudizio abbreviato o il patteggiamento. Durante l’irreperibilità dell’imputato, il corso della prescrizione è sospeso. H erremme
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Processo a carico di irreperibili Il provvedimento AC. 337-921-B disciplina infine il procedimento penale nei confronti degli irreperibili (artt. 9 e ss.), eliminando ogni riferimento all’attuale istituto della contumacia. Modificando il codice di procedura penale, si prevede che a fronte dell’assenza dell’imputato, il giudice debba rinviare l’udienza e disporre che l’avviso sia notificato all’imputato personalmente ad opera della polizia giudiziaria. Quando la notificazione non risulta possibile, e sempre che non debba essere pronunciata sentenza di non luogo a procedere, il giudice dispone con ordinanza la sospensione del processo nei confronti dell’imputato assente. Durante la sospensione del processo il giudice, con le modalità stabilite per il
Nella foto una sezione detentiva
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Pasquale Salemme Segretario Nazionale del Sappe salemme@sappe.it
Nelle foto una veduta della città di Torino a destra Via della Consolata
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crimini e criminali
Il mostro delle bambine di via della Consolata orino è una città bellissima, con tantissimi monumenti e soprattutto con palazzi meravigliosi; ricordo di averla visitata molti anni addietro e, nonostante il freddo e la pioggia, rimasi affascinato da tanta maestosità. A renderla così intrigante, sono le ambiguità delle sue chiese, dei suoi monumenti, nonché delle piante delle sue piazze che seguono precise disposizioni ignote agli occhi di qualunque osservatore.
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magia bianca o benefica (con Lione e Praga) e la magia nera o satanica (con Londra e San Francisco), due anime che si combattono aspramente per affermare se stesse, nonché per sorgere all’incrocio tra due fiumi: il Po e la Dora Riparia, che rappresenterebbero il Sole e la Luna ma, soprattutto, sarebbe punto d’incontro di diverse linee sincroniche (ovvero del reticolo molto irregolare di linee o canali energetici percepiti dagli esoteristi che agirebbero il
ridotto la pressione mistica che ancora oggi grava sulla città. La mattina del 12 gennaio del 1902, la piccola Veronica Zucca, giocava con altri bambini in Piazza Paesana (oggi Piazza Savoia) dinanzi al Caffè Savoia gestito dai genitori. Veronica aveva 5 anni e mezzo e si muoveva, come sempre, nello spazio compreso tra il Caffè dei genitori e via della Consolata. Madre e padre non avevano apprensione perché sapevano che la figlia era molto
Gli architetti appartenenti alla Massoneria si tramandavano il segreto dei simboli esoterici necessari per arrivare ad una conoscenza purificatrice. Strutture a prima vista normali come il museo Egizio, la Gran Madre, Palazzo Barolo, sottraggono alla vista accezioni esoteriche per i simboli che offuscano. Luoghi come piazza Statuto, piazza Solferino, le grotte alchemiche o il portone del Diavolo sono solo alcuni dei luoghi che contribuiscono a rendere questa città tanto misteriosa. Torino è considerata in tutto il mondo una città magica per la presenza di molte sculture simboliche (rosoni, draghi, mascheroni, cani, leoni) collocate in vari punti della città che avrebbero una valenza duplice per la
pianeta di cui la scienza non sa dare spiegazioni ma che già anticamente i cinesi chiamavano “schiena del drago”); tutto questo fa di Torino un luogo geografico come pochi altri al mondo. E’ partendo dalla descrizione di questa città che voglio raccontarvi la storia di colui il quale, a prima vista, sembra un essere malvagio con i piedi di animale, simili a quelli di un caprone, come raccontano le testimonianze dell’epoca, che rendono questa creatura misteriosa e che contribuirono all’epoca a diffondere la fobia del mostro delle bambine. La nomea della città satanica che accompagna Torino, di certo non ebbe origine allora ma, evidentemente, vicende come quella del mostro delle bambine, non hanno certamente
prudente e poi, ogni cinque minuti circa, transitava davanti all’ingresso del bar richiamando l’attenzione del padre o della madre. Quella mattina però, le cose andarono diversamente. Considerato che si stava facendo tardi e il clima era molto rigido, la bimba viene chiamata a gran voce dalla madre affinchè rientri nel bar. La madre, non vedendola arrivare, esce dall’affollato locale e si accorge che Veronica non c’è più. Nel giro di pochi minuti è lanciato l’allarme e tutti i passanti e i commercianti della piazza partecipano alle ricerche della piccola ed ognuno fornisce una personale versione di quanto accaduto. Per calmare l’isterismo dei genitori qualcuno sostiene che la bimba si sia
crimini e criminali smarrita, ma l’ipotesi appare da subito poco probabile considerato che la fanciulla conosceva benissimo la zona. L’altra ipotesi, molto più plausibile, è che sia stata rapita: alcuni nomadi erano stati visti nella zona. Un testimone sostiene di aver notato la bambina parlare con un giovane a pochi passi dal Caffè Savoia. La polizia raccoglie le diverse testimonianze e, alla fine, risale all’indiziato indicato come una delle ultime persone che parlò con Veronica prima della sua scomparsa. Si trattava di Alfredo Conti, un ragazzo di soli 16 anni, che aveva lavorato per un breve periodo nel locale degli Zucca e finì con l’essere licenziato dopo una lite con il titolare ma che, prima di andarsene, giurò di vendicarsi. L’indiziato non nega di essersi fermato a parlare con la piccola Veronica, alla quale chiese di andare nel Caffè del padre a cercare un certo Chiaberto che gli doveva dei soldi. La ricostruzione, però, appare da subito poco credibile ed Alfredo Conti è arrestato ma, dopo pochi giorni e dopo aver fornito un alibi inattaccabile, torna in libertà. La presenza di un mostro che rapiva le bambine in città scosse i torinesi. Nella città iniziano ad imperversare le ipotesi più assurde e, quella maggiormente invocata, riferisce della presenza di un mostro con i piedi di animale simili ad un caprone. Man mano che trascorrevano i mesi si diffondeva sempre di più la psicosi del mostro, avallata anche dai giornali dell’epoca. Sino a quando, una mattina del successivo mese di aprile, uno dei falegnami impegnati nell’attività di restauro del palazzo Saluzzo Paesana, situato tra via della Consolata e Piazza Savoia, scende negli “infernotti” (cantine spesso lugubri e profonde, tipico esempio di architettura subalpina sotterranea) del palazzo Marchesi alla ricerca di assi di legno. Inoltratosi in questi “infernotti” avverte un forte odore nauseabondo proveniente da un angolo dalla parte più profonda delle cantine e, avvicinandosi per controllare di cosa
si tratti, si imbatté in una grossa cassapanca di legno, sopra la quale era posto un vaso di fiori. Una volta aperta si trova dinanzi al corpo esanime di una bambina che sembrava che dormisse. Richiamata l’attenzione degli altri operai, uno di essi riconobbe nella vittima la piccola Veronica Zucca, scomparsa mesi prima in via della Consolata. L’autopsia, successivamente, rivela che alla bambina erano state inferte ben sedici coltellate. La città cade nel panico più totale, terrorizzata dal “mostro” che rapisce e poi uccide le bambine mentre la polizia brancola nel buio e la paura e il sospetto serpeggiano tra la popolazione. Il primo indiziato fu nuovamente Alfredo Conti che viene nuovamente arrestato, dopo poco sempre a seguito del ritrovamento del corpo, è arrestato anche il padre della bimba uccisa. Sul Conti pesavano delle dichiarazioni acquisite dagli inquirenti dal fratellino più piccolo della bambina, il quale riferiva di alcuni atteggiamenti sospetti dell’indiziato il quale, una volta, lo avrebbe portato proprio nelle cantine dove venne ritrovata Veronica. In seguito il bambino ammette di essersi inventato tutto ed il Conti torna in libertà. Le indagini ripartirono daccapo e si concentrarono su Carlo Tosetti, al servizio dal Marchese di Paesana, arrestato dunque e accusato di essere il “mostro di via della Consolata”. Per quasi due mesi rimase in carcere pubblicato sui quotidiani in prima pagina etichettato come il mostro, vittima sacrificale dello sciacallaggio mediatico del tempo. Dopo poco tempo anche il cocchiere del Marchese viene rilasciato per l’insussistenza di prove a suo carico ma, il Tosetti, concluse il resto della sua vita in povertà, costretto a trasferirsi in un’altra città e circondato sempre dal sospetto di esser stato il mostro delle bambine. Trascorse più di un anno e Torino aveva in qualche modo dimenticato il mostro, quando nel mese di maggio del 1903, sempre in via della
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Consolata, scomparve una bimba di cinque anni, Teresina Demarca, mentre giocava con altri bambini. La voce si diffuse rapidamente e il collegamento con il rapimento e la morte della piccola Veronica Zucca riaccese l’incubo. Carlo Tosi, il portiere dello stabile dove fu rinvenuto il corpo esanime della piccola Veronica pensa di scendere negli “infernotti”, ma non trova la piccola. Dopo una notte agitata, torna nuovamente in cantina ripercorrendo la stessa strada fatta precedentemente dal falegname all’atto del ritrovamento della prima vittima. La piccola Teresina era proprio là malconcia, sanguinante e ferita da tre pugnalate ma viva, nascosta sotto
degli stracci. Vicino alla vittima viene trovato anche un coltello. È lo stesso portiere, subito dopo, a fornire agli inquirenti gli indizi per risolvere definitivamente il caso in quanto si ricorda che, qualche giorno prima, un addetto alla spazzatura gli aveva chiesto le chiavi della cantina. È così viene arrestato Giovanni Gioli il quale, sulle prime nega qualsiasi addebito ma incalzato con interrogatori abbastanza rudi, confessa l’omicidio della piccola Veronica e il rapimento e il tentato omicidio della piccola Teresina. Giovanni Gioli ha ventitre anni ed è un ritardato mentale, gobbo e zoppo, vive e lavora nel palazzo facendo lo spazzaturaio e lo stracciaio. Nel gennaio del 1904 la Corte d’Assise di Torino lo condannò a
Nella foto un “infernotto” tipica cantina torinese
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giustizia minorile
24 venticinque anni di carcere e a tre di vigilanza speciale, negandogli l’infermità mentale. Alla lettura della sentenza una fola inferocita protestava affinché potesse farsi giustizia da se. All’uscita dall’aula, il Gioli, scortato dai Regi carabinieri, dimostrò effettivamente di non essere pazzo, perché si girò verso la folle e disse sorridendo: «ho solo ventitre anni e me ne hanno dati solo venticinque, quindi a quarantotto anni sarò fuori e sarò ancora giovane». La copertina del libro della collana Gialli Mondadori
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Le attitudini per accedere al servizio nel settore minorile
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Dopo otto anni di detenzione Giovanni Gioli morì nelle carceri di Torino. Gioli è considerato, seppur abbia ucciso una sola bambina e ferito mortalmente un’altra, uno dei primi casi di serial killer italiani, anche se a quel tempo si era ancora nella preistoria della criminologia. Forse sarà stata una coincidenza ma, proprio qualche anno prima, proprio nella città della Mole Antonelliana, Cesare Lombroso, padre dell’antropologia criminale e della criminologia, inaugurò nel 1898 un museo di psichiatria e criminologia (successivamente chiamato di “Antropologia criminale”). Nel 1934, la storia del mostro delle bambine di via Della Consolata ispirò il primo giallo Mondadori italiano, dal titolo “L’uomo dai piedi di fauno” di Vasco Mariotti prendendo spunto da questa orribile storia di inizio secolo che questo mese ho voluto raccontarvi. Alla prossima... H
ome è noto, il personale del Corpo di Polizia Penitenziaria viene assunto, con concorso pubblico e posto alle dipendenze del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Negli ultimi anni abbiamo visto transitare dall’Esercito migliaia di giovani che, dopo aver superato le dure selezioni dei VFP, sono riusciti finalmente ad entrare con orgoglio nel Corpo di Polizia Penitenziaria. E’ utile ricordare però, che esiste da molti anni un “protocollo di selezione” che permette ai giovani agenti neoassunti di specializzarsi nel trattamento dei detenuti minorenni e lavorare nelle strutture del Dipartimento Giustizia Minorile. A tal proposito, si ricorda che il D.M. 2 marzo 2013 conferma in n. 1.000 unità il contingente di personale di Polizia Penitenziaria da impiegare del Settore Minorile. Orbene, il 3 aprile 2014 è stata diffusa una bozza di decreto interdipartimentale (in corso di perfezionamento) relativa ai criteri per l’accertamento del possesso delle attitudini al servizio nel Settore Minorile, per il personale di nuovo reclutamento appartenente al Corpo di Polizia Penitenziaria. Secondo la bozza di Decreto, l’allievo Agente che aspira ad essere assegnato alla Giustizia Minorile deve presentare domanda per la selezione entro il termine indicato dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Successivamente, l’accertamento del possesso delle attitudini al servizio nel settore minorile viene effettuato
a cura di Ciro Borrelli Referente Sappe per la Formazione e Scuole Giustizia Minorile borrelli@sappe.it
mediante la somministrazione di un questionario e lo svolgimento di un colloquio innanzi una apposita Commissione nominata dal Dipartimento della Giustizia Minorile. Al termine delle operazioni di selezione viene redatta una graduatoria di merito. Si ricorda, per concludere, che in assenza di istanze, il contingente di personale di nuovo reclutamento da assegnare alla Giustizia Minorile viene individuato d’ufficio al fine di garantire il ricambio generazionale, fino a quando non sarà effettuato uno specifico arruolamento per il settore minorile. H
mondo penitenziario l 27 marzo c.a. presso l’Hotel Mediterraneo di Napoli la Commissione Libe (Libertà civili giustizia e affari interni) composta da tre Europarlamentari ed altri membri delle rappresentanze politiche europee presenti nell’Europarlamento hanno ascoltato in audizione il Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Napoli dott. Carminantonio Esposito, Emilio Fattorello rappresentante del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, Mario Barone Presidente di Antigone Campania, Lorenzo Acampora Rappresentanza dell’Azienda Sanitaria Locale, Padre Franco Esposito cappellano del carcere di Poggioreale, Adriana Tocco garante dei diritti delle persone private della libertà personale della Regione Campania. I lavori sono stati registrati e inseriti in atti formali del Parlamento Europeo e tutto ciò è stato possibile con una traduzione simultanea, a mezzo di interpreti, a garanzia delle conformità e delle fedeltà di quanto prodotto dai vari partecipanti all’audizione che si è tenuta in maniera rigorosa e a porte chiuse. Attraverso la presenza del Sappe, la Polizia Penitenziaria ha avuto possibilità di far sentire la propria voce e di esprimere il proprio malessere per un lavoro che ancora oggi non trova il giusto riconoscimento e la dovuta tutela. Nonostante il lavoro del poliziotto penitenziario sia una professione oggettivamente difficile e pericolosa, è doveroso garantire al personale una adeguata tutela, che allo stato non viene assicurata per mancanza di risorse finanziarie, di uomini e mezzi adeguati. Benchè il sistema penitenziario sia gravato da molteplici problemi come il sovraffollamento e la carenza di organico, il senso del dovere e l’alto spirito di sacrificio del servitore dello stato ancora prevalgono nel Poliziotto Penitenziario, che ogni giorno tra mille difficoltà senza mezzi strumentali, senza un’adeguata formazione, in luoghi insalubri, tra persone in espiazione di pena, tra cui
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Il Sappe fa arrivare la voce della Polizia Penitenziaria in Europa soggetti malati di mente, tossicodipendenti, stranieri, e pericolosi esponenti di malavita organizzata, assicura con la sua presenza la legalità partecipando anche al recupero e al reinserimento nella società del reo. La questione è veramente storica. Sono ormai oltre 20 anni che questa organizzazione sindacale, la prima della categoria, lancia inascoltate ripetute grida di allarme e protesta ai Governi e ai Ministri della Giustizia che si sono fin qui succeduti, per evidenziare le pessime condizioni di lavoro imposte alla Polizia Penitenziaria e ai rischi a cui questi operatori vanno incontro nel quadro di un’emergenza carcere che non sembra trovare mai soluzione. Lo abbiamo fatto con le numerose e tempestive denunce pubbliche fin qui prodotte, con le iniziative di mobilizzazione di piazza organizzate per sensibilizzare il Parlamento allo scopo di individuare le misure necessarie a contrastare il sovraffollamento delle carceri e rendere il sistema penitenziario umano e funzionale al mandato costituzionale affidato. Il sistema penale italiano sta per implodere e non sono sufficienti i tentativi di risoluzione ai vari problemi, tentati frettolosamente dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria che dimostra di essere miope e lontano dalla quotidiana emergenza che si vive nei penitenziari su tutto il territorio nazionale ed in particolare in Campania terra ad alto indice di criminalità organizzata. Ci riferiamo ai nuovi circuiti penitenziari dettati, dai Signori dell’Amministrazione, tra l’altro già previsti dal legislatore sin dal lontano 1976 e mai applicati, precisamente parliamo della “Sorveglianza
dinamica” e/o dei vari regimi aperti finalizzati a rendere maggiormente dignitosa l’esecuzione della pena favorendo una maggiore permanenza fuori dalle celle durante le ore diurne. Tale dispositivo di fatto, nella stragrande maggioranza degli istituti penitenziari non ha trovato giusta attuazione anche a causa delle caratteristiche delle stesse strutture penitenziarie, che risultano allo stato attuale inadeguate per carenza di spazi e che non garantiscono nell’esecuzione della pena detentiva l’applicazione degli elementi fondamentali del trattamento penitenziario primo fra tutti il lavoro. E’ noto che l’organizzazione spaziale di un luogo riflette una visione delle attività che in esso si intendono svolgere e di quelle che effettivamente si svolgono, nonché lo schema di relazioni che in tale luogo si sviluppano. Il rapporto che si stabilisce tra spazio e funzione assume dunque, nel caso di spazi istituzionali come il carcere, un significato particolare e nevralgico perchè diviene manifesto di una determinata concezione e di una intenzione politica. Pertanto non vi può essere un mutamento concettuale di “custodia” se non muta anche la tipologia architettonica del luogo della detenzione. Il dibattito sull’osservare i luoghi si avvia soltanto in alcuni paesi- in primo luogo nel nord Europa- si avviano progetti del tutto nuovi dello spazio detentivo sin a partire dagli anni cinquanta: maggiori aperture, spazi più ampi, polifunzionalità. In Italia tuttavia questo percorso verso spazi architettonici più articolati è stato oggetto di scarso dibattito e il suo sviluppo è stato essenzialmente monco. Pertanto, oggi, è praticamente impossibile andare verso l’ipotesi di
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Tiziana Guacci Commissario del Corpo di Polizia Penitenziaria rivista@sappe.it
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mondo penitenziario “spazio responsabilizzante” dove i soggetti sebbene reclusi, esprimono soggettività, svolgendo attività e assumendo compiti volti alla questione del loro presente. Si è mantenuta prevalente l’idea di uno spazio dove al soggetto è richiesto di obbedire a regole e di recepire quanto a lui garantito e proposto. Tutto è passività, nulla è organizzazione responsabile e finalizzata. Lo spazio è rimasto così un mero contenitore muto, pronto ad essere riconvertito come recettore di brande e nient’altro, in caso di necessità. Il problema del sovraffollamento carcerario oltre a non trovare soluzione esaustiva nella “Sorveglianza Dinamica”finisce per aggravare le condizioni lavorative della Polizia Penitenziaria soprattutto negli Istituti Penitenziari Campani e del sud Italia. Emblema in negativo del sovraffollamento è l’Istituto Penitenziario di Poggioreale dove in una cella sono ospitati anche 14/15detenuti. L’istituto di Poggioreale “G. Salvia” può ospitare 1400 detenuti, ma al suo interno sono presenti in 2800. In alcuni padiglioni sono presenti anche 400 detenuti, e un solo agente di Polizia Penitenziaria che per 16 ore agisce su un piano che arriva ad ospitare 120 detenuti che restano chiusi per 22 ore al giorno. La carenza di organico, il sovraffollamento, unitamente a modalità organizzativo-burocratiche inadeguate sono i principali fattori stressanti del poliziotto penitenziario. Lunghi orari di lavoro, esigenze eccessive, pesanti oneri di servizio creano squilibrio tra la vita privata e la vita lavorativa che diviene vero e proprio disagio occupazionale. Un processo mediante il quale eccessive e/o pesanti richieste lavorative determinano nell’operatore penitenziario un esaurimento emotivo, seguito dalla perdita di sensibilità verso gli altri con i quali lavora e dei quali ha la responsabilità e, successivamente, da sentimenti di inefficacia, frustrazione e impotenza. La cosa che indigna è, come tale sintomatologia, in tutto questo tempo,
non ha avuto nessun riconoscimento istituzionale e sovente i sintomi finali, quelli con cui dobbiamo fare i conti, vengono interpretati erroneamente come incompetenza, scarsa motivazione o addirittura fragilità psicologica. La straordinarietà è diventata ordinaria amministrazione: la situazione è ormai patologia cronica, la quale crea disagio lavorativo e disagio sociale, quel tipo di disagio da burnout che i poliziotti penitenziari portano con loro anche nella vita privata. Circa 80 poliziotti penitenziari morti per suicidio negli ultimi 10 anni, dei quali 29 nel corso degli ultimi 3 anni. La sindrome di burnout o più semplicemente burnout, qualifica l’esito patologico di un processo stressogeno che colpisce coloro i quali esercitano professioni d’aiuto, qualora questi non riescano più a rispondere in maniera adeguata ai carichi di stress che questo lavora li porta ad assumere. L’operatore di Polizia è esposto a specifiche condizioni stressanti quali, mancanza di rispetto da parte della gente, eccessivo lavoro burocratico, contatti con le persone a volte negativi e tendenti alla critica, turni di lavoro stressanti, minacce di violenza e ovviamente la natura gerarchica della struttura burocratica esistente. Turni di lavoro, orari irregolari e rischi per la propria vita e la propria integrità fisica sono solo alcuni dei motivi che inducono un alto numero di poliziotti a prendere la decisione di abbandonare il proprio lavoro. Gli agenti di polizia penitenziaria oltre a non avere un adeguato luogo nel quale svolgere serenamente e con professionalità le proprie funzioni, non hanno neanche un adeguato riconoscimento economico in virtù dei rischi che corrono. “Si è rotto il binomio lavoro-sicurezza, mentre l’art. 36 della Costituzione, secondo cui il lavoro dovrebbe assicurare al lavoratore e alla sua famiglia una vita dignitosa e libera, sembra non valere più”. Una volta indossare la divisa significava posto fisso e stipendio più che dignitoso. Sinonimo di sicurezza, possibilità di mantenere una famiglia. Oggi le cose
sono un po’ cambiate. Il confronto con gli altri Paesi del continente diventa impietoso. Un poliziotto italiano appena assunto prende 1.200 euro netti al mese sfiorando la soglia di povertà. In Germania il personale, quello in divisa, in realtà, non è un vero e proprio corpo di polizia, in quanto non ha funzioni di polizia, soprattutto all’esterno del carcere. Una volta terminato il servizio non possono neanche portare le armi, non avendone in dotazione, al contrario di quanto avviene in Italia, per il Corpo di Polizia Penitenziaria. In compenso, però, sono pagati molto meglio della Polizia Penitenziaria italiana. Un agente appena assunto guadagna circa 2400 euro al mese e può arrivare fino a 3500/4000 se raggiunge il massimo grado della scala gerarchica. In Francia, i neo assunti nella Police Nationale guadagnano 1683 €. Il corrispettivo spagnolo 1420 €. In Inghilterra, cambia lo stipendio anche in base alla città, chi lavora a Londra avrà 6.000 euro in più annui; in genere lo stipendio inizia con 23547,921 annui ovvero 1962,32 € mese. I Poliziotti godono di privilegi come l’uso dei mezzi pubblici gratuito, uso di alloggi di servizio gratuito e acquisto di case a tasso molto agevolato. Se si studiano progetti e si portano avanti percorsi sperimentali per assicurare una condizione di vita civile ai detenuti non ci si può dimenticare della Polizia Penitenziaria e degli stipendi del personale.”L’agente di Polizia Penitenziaria è sottopagato, disconosciuto nei suoi sforzi, iper-responsabilizzato (se succede qualcosa è colpa sua), socialmente emarginato , allontanato dalla propria terra (il 90% è emigrato dal sud e non riesce a integrarsi), costretto a turni massacranti e a catene di comando che lo collocano sempre in uno stato “subordinato”. Tra le mura del carcere, è solo insieme al detenuto h24. Il mancato sostegno e riconoscimento economico insieme alle situazioni di stress dettate da condizioni personali possono essere valutati come fattori
il libro demotivanti e provocare quell’atteggiamento rigido e distaccato tipici del burnout. L’amministrazione penitenziaria dovrebbe affrontare i mutamenti nelle misure organizzative e procedurali migliorando la qualità del lavoro, valutando con maggiore attenzione orari e trattamento economico, e soprattutto tentando di sviluppare insieme agli stessi lavoratori o a chi li rappresenta, in fase di accordi o contratti collettivi, la definizione dei criteri finalizzati all’attribuzione di un adeguato trattamento economico ed a sostenere le iniziative volte a migliorare la produttività, l’efficienza e l’efficacia dei servizi potenziando la sfera del benessere del personale. Come garantire un’organizzazione del lavoro che garantisca i diritti oggettivi e soggettivi ad un personale impiegato in un ambiente così particolare e pieno di criticità. Una giusta programmazione del servizio, la garanzia della pari opportunità, un’adeguata e moderna formazione del personale basata su un aggiornamento costante e specifico dei servizi istituzionali. La tutela dell’integrità e salubrità sui posti di lavoro nel rispetto di norme sancite da precisi dispositivi legislativi che mirano alla salvaguardia della salute dei lavoratori e alla prevenzione della stessa. Una revisione dell’attuale sistema disciplinare e sanzionatorio che vede l’istruzione di migliaia di procedimenti annui nei confronti degli appartenenti al Corpo. Per concludere, auspichiamo che l’attenzione di tutti ricada concretamente sull’universo penitenziario, universo che per forza maggiore gira intorno all’essere umano, sia esso detenuto sia esso uomo in divisa o altro operatore. Siamo orgogliosi che la voce del SAPPE che è voce della Polizia Penitenziaria, grazie a questa opportunità oltrepassi i confini nazionali e giunga alle sedi competenti degli organismi Europei, dai quali attendiamo giusta considerazione e progettualità per le soluzioni delle problematiche sollevate. H
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Alessandro Pugi
IL TREDICESIMO ZODIACO IL FOGLIO LETTERARIO Ediz. pagg. 210 - euro 14,00
“I
temporali non terrorizzano solo i bambini. Certe volte una sensazione primordiale di inquietudine ci riconduce alle nostre origini ancestrali. Il mondo fuori di noi trova eco nella nostra anima, nei nostri pensieri. E, viceversa, noi diventiamo parte di una natura tanto più grande, tanto più forte, che dialoga con noi e partecipa alle nostre esistenze. Qualcosa di simile accadeva quella sera all’ispettore Marco Moretti. Il rumore forte della pioggia che sferzava le finestre del commissariato pareva amplificare all’infinito l’ansia che lo teneva in scacco: quella che stava per terminare era stata una giornata difficile...” Inizia così Il tredicesimo zodiaco, la nuova opera narrativa dello scrittore elbano Alessandro PUGI, ispettore di Polizia Penitenziaria, che uscirà nelle librerie nel prossimo mese di maggio (edizioni “Il Foglio Letterario”). Adrenalina, suspance e colpi di scena... caratterizzano questo romanzo di duecentodieci pagine, ambientato in una Bologna cupa e misteriosa di inizio terzo millennio, dove in un continuo susseguirsi di emozioni, di situazioni forti ed imprevedibili che accompagneranno il lettore alla scoperta di un mondo invisibile ai più, si rinnova l’eterna lotta tra il bene e il male. Nelle pagine manoscritte con la consueta fluidità si alternano inquietanti presenze che porteranno i due protagonisti della vicenda a confrontarsi in quel misterioso mondo fatto di esperienze inspiegabili e per questo definito “paranormale”. “Il romanzo prende spunto dalle scritture dell’apostolo Giovanni” dice Alessandro Pugi “in particolare nell’Apocalisse biblica, dove è descritto un libro a forma di rotolo e chiuso con dei sigilli, che permetterebbe a chi riuscisse nell’intento di consultarlo, di accedere alla visione del Terzo Occhio e cioè di leggere il futuro. Si narra che
furono scelti tredici guardiani resi immortali da Dio con un solo scopo: proteggere il segreto di quel libro. Ognuno di loro è custode di un sigillo raffigurante uno dei Tredici segni dello Zodiaco. Adesso qualcuno sta violando quei sigilli, uccidendo senza pietà e lasciando su ogni corpo una serie di strane e indecifrabili incisioni, che, come antichi rituali, sembrano rievocare la figura del demonio. Marco Moretti è un giovane e inquieto ispettore di Polizia, Daniel Bertazzi, un commissario che incarna il prototipo del perfetto poliziotto. A loro, in periodi diversi, toccherà scoprire quali misteri si celano all’interno del famoso Tema Natale: la Carta del Cielo. La vicenda - continua Pugi - prende spunto da queste notizie per intrecciare tra loro il destino di due uomini, legato l’uno alla morte dell’altro, per esplorare i meandri più nascosti delle loro paure, i loro caratteri, le loro emozioni. Ho cercato di trattare un argomento piuttosto spigoloso come quello della vita dopo la morte. Mi sono domandato se veramente esiste qualcosa, se veramente esiste la possibilità che le anime dei defunti possano entrare in contatto con quelle dei vivi. Non ho la pretesa di dare una risposta certa a queste domande, ma se pensiamo che spesso, a tutti noi, capita di rivivere dei deja-vu, dei luoghi già visti, degli odori già sentiti ma che in realtà potrebbero non essere i nostri ma dei frammenti di vita vissuta forse da qualcun altro,allora penso che forse c’è qualcosa in cui credere. Da queste considerazioni è scaturito Il tredicesimo zodiaco un romanzo forte e complesso ma che spero sia di piacevole lettura. Colgo l’occasione per ringraziare la casa editrice Il Foglio Letterario e il suo direttore Gordiano LUPI, persona preparata e competente, che mi hanno dato la possibilità, dopo il romanzo Il colore del cielo giunto alla sua terza edizione, di pubblicare ancora con loro. H
Nella foto la copertina del nuovo libro di Alessandro Pugi
Polizia Penitenziaria n.216 aprile 2014
28 a cura di Giovanni Battista de Blasis deblasis@sappe.it
Sopra la copertina del numero di ottobre 1999
Polizia Penitenziaria n.216 aprile 2014
come scrivevamo enti anni di pubblicazioni hanno conferito al mensile Polizia Penitenziaria - Società Giustizia & Sicurezza la dignità di qualificata fonte storica, oltre quella di autorevole voce di opinione. La consapevolezza di aver acquisito questo ruolo ci ha convinto dell’opportunità di introdurre una rubrica - Cosa Scrivevamo - che contenga una copia anastatica di un articolo di particolare interesse storico pubblicato tanti anni addietro. A corredo dell’articolo abbiamo ritenuto di riprodurre la copertina, l’indice e la vignetta del numero originale della Rivista nel quale fu pubblicato.
V
Il Sistema penalistico nel XX secolo 3ª e ultima parte
Il trattamento penitenziario di Maurizio Renzi
A
l fine di ampliare la possibilità dell'accesso a strumenti premiali la legge 663/86 ha dato maggiore slancio al testo previgente relativo al lavoro esterno, art 21. Questo articolo che somiglia come modalità alla semilibertà è stato utilizzato in taluni casi dall'Amministrazione, per quei soggetti ai quali non si potevano concedere altre misure alternative, in genere per la mancata maturazione dei termini di pena previsti per le stesse. Come abbiamo potuto osservare, spesso l'iniziale fruizione delle misure premiali rappresenta il primo passo per la concessione poi delle misure alternative di cui abbiamo già brevemente parlato in precedenza. Il legislatore ha voluto così porre in essere le condizioni per cui il condannato possa tornare, dopo aver rivisto criticamente il proprio modus vivendi, ad instaurare rapporti con il mondo esterno. In tale contesto «la funzione di prevenzione generale svolge un ruolo decisamente secondario durante la fase di esecuzione della pena: qui infatti domina la preoccupazione per il trattamento rieducativo, mentre l'efficacia deterrente per i consociati in genere rimane affidata alla natura inevitabilmente afflittiva di ogni trattamento punitivo». (1) Ulteriore innovazione operata dall'Ordinamento Penitenziario riguarda l'ampliamento del principio di giurisdizionalità dell'esecuzione della pena detentiva, imperniata sul
ruolo affidato alla Magistratura di Sorveglianza di controllo della vita all'interno degli Istituti. «Oltre al Magistrato di sorveglianza, che conserva parte delle funzioni già previste dal codice penale e assume le nuove previste dall'art. 69, è stato istituito il Tribunale di Sorveglianza, composto dai magistrati di sorveglianza del distretto della Corte d'Appello e da "laici", è competente in materia di affidamento in prova, di detenzione domiciliare, di semilibertà, di riduzione di pena per la liberazione anticipata, di liberazione condizionale, di revoca o cessazione di suddetti benefici, di riabilitazione, di rinvio dell'esecuzione delle pene detentive, di reclami in materia di permessi (art.70)». (2) Quindi l'estensione del finalismo rieducativo realizzatasi tramite la riforma penitenziaria e le sue successive modifiche, ha finito col mettere in crisi il sistema del doppio binario nato con il Codice Rocco degli anni '30; che affidava alla funzione di prevenzione speciale esclusivamente misure di sicurezza. Tale conciliazione tra prevenzione speciale e generale non può prescindere dalle seguenti condizioni: «1) che gli istituti specialpreventivi (sospensione della pena, misure sostitutive, trattamento detentivo progressivamente meno severo, liberazione anticipata) non siano indiscriminatamente estesi fino al punto che il violatore della legge possa tenerne conto nel calcolo preventivo dei rischi e dei vantaggi e su di essi possa conseguentemente
come scrivevamo regolare la propria condotta. 2) che, pertanto, le misure specialpreventive siano concesse soltanto nei casi in cui esistano precisi presupposti giustificativi da un punto di vista di una seria azione di prevenzione speciale e non per generiche e indiscriminate ragioni indulgenziali e pseudoumanitarie». (3) Gli stessi miti connessi al trattamento rieducativo, mostrano limiti che vanno dall'incapacità di impedire che nuove leve arrivino al delitto e ad una scarsa incidenza sulla recidiva. A queste condizioni generali vanno aggiunte situazioni tecnico-logistiche, nonché professionali che incidono negativamente sulla reale efficienza ed efficacia di tale realtà operativa all'interno delle carceri italiane. Ulteriore critica è innescata dal fatto che il Tribunale di Sorveglianza, rimane sostanzialmente esterno ai rapporti che avvengono dall'interno del carcere. In questo contesto si può attribuire alle misure alternative un ruolo disciplinare, gestito direttamente dalla Direzione del carcere, ove si scambia il buon comportamento con l'abbassamento del tempo di permanenza in carcere. Quindi il giudice si trova a ratificare un provvedimento amministrativo conferendogli veste di provvedimento giurisdizionale. Aggrava il quadro la sconfortante carenza di operatori quali educatori ed assistenti sociali, spesso costretti a dividere il trattamento con l'espletamento della rigorosa burocrazia che si cela dietro l'accesso alle misure alternative. «... La crisi di attuazione pratica poiché la risocializzazione su larga scala: a) da un lato, presuppone una società consensuale, di solida moralità e coesione collettiva, solidamente ancorata a fondamentali valori, fortemente organizzata ed efficiente: tutto ciò che molte società, la nostra compresa, non sono; b) dall'altro, l'impegno delle istituzioni e l'accettazione da parte della società libera dello scopo finale del trattamento, cioè il reinserimento del condannato, devono essere riconosciuti come vincoli imprescindibili, senza i
quali il trattamento diviene una fabbrica di illusioni o, peggio, di indulgenza indiscriminata o di incontrollato arbitrio ». (4) Motivo comune alle teorie finora esposte è rappresentato dal rischio di una eccessiva assolutezza. La retribuzione e la prevenzione
generale ignorano la recidività dei soggetti agli stessi delitti per cui erano stati condannati; venendo così meno il ruolo centrale rappresentato dalla minaccia del castigo. La prevenzione speciale dimentica, a sua volta, i soggetti che non abbisognano di una vera e propria opera rieducativa, nei confronti dei quali la pena non può avere che una funzione retributivo-dissuasiva. All'interno di questo scenario si evidenzia come la concezione di pena muova, sul terreno del controllo sociale, verso una "deistituzionalizzazione". «Per i decarcerati dai carceri veri e propri, si deve osservare che la "decarcerazione" inizia prima ancora dell'ingresso nell'istituzione penale. La "decarcerazione" cioè non è affatto tale - se non per categorie di condannati estremamente limitate, soprattutto minori - ma si configura come un 'incredibile estensione del controllo al di fuori delle mura del carcere». (5) Il carcere viene così a perdere, in parte, quel carattere tendenzialmente esclusivo che ricopriva all'interno della gamma degli strumenti di controllo, per lasciare spazio ad un nuovo strumento, il controllo in libertà, alla base della probation system.
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Nelle foto sopra lavoro in carcere nel 1950 (circa) a fianco la porta di una cella
‡ Polizia Penitenziaria n.216 aprile 2014
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Sopra il sommario e sotto la vignetta del numero di ottobre 1999
come scrivevamo
Tale modulazione della pena risponde alle esigenze di carattere correttivo richieste alla stessa per tendere al reinserimento del reo. «La lunghezza della pena non deve misurare il “valore di scambio” dell'infrazione; deve adattarsi alla
sua risposta allo stesso, fa si che la pena assuma un principio di utilità. La pena varia, quindi, non solo secondo l'atto e le sue circostanze, ma tenendo conto, in fase di esecuzione, della rispondenza del condannato al trattamento individualizzato cui è sottoposto. Trattamento e disciplina sono componenti che eccedono ·alla detenzione, ma soprattutto il «supplemento del disciplinare in rapporto al giuridico, è ciò che è stato chiamato il "penitenziario"». (7) Foucault, collega il sorgere del trattamento penitenziario, attribunedolo ad una necessità, da parte dello Stato, di costruire un sapere utile per capire come la società venga a trasformarsi al suo interno e per meglio controllare e prevenire il mutare della criminalità. «La prigione non deve solo conoscere la decisione dei giudici e applicarla in funzione di principi stabiliti; essa deve prelevare in permanenza dal detenuto un sapere che permetterà di trasformare la misura penale in operazione penitenziaria; che farà della pena resa necessaria dall'infrazione una modificazione del detenuto, utile per la società».(8) La prigione, in questo contesto, diviene un laboratorio ove si cerca di
a scrivere Rusche e Kirchheimer alla fine della loro opera, "Pena e struttura sociale": «Il sistema pena di ogni società storicamente determinata non è qualche cosa di isolato, soggetto soltanto alle sue leggi specifiche, ma è parte integrale dell'intero sistema sociale e partecipa delle sue aspirazioni come dei suoi limiti. L'andamento della criminalità può essere quindi controllato a patto che la società si trovi in una situazione tale da potere offrire ai suoi membri un certo livello di sicurezza e un soddisfacente tenore di vita. Solo allora il passaggio da una politica penale repressiva ad un programma riformatore può essere tolto dalla sfera dell'impegno umanitario per essere collocato in una prospettiva costruttiva e realistica di impegno e di azione sociale ... ». (9) In questo contesto l'evoluzione legislativa di questi anni ha cercato di tendere sempre più verso un'umanizzazione della pena. H Note: (1) G.Fiandanca e E. Museo, Diritto pena le, Parte generale, Seconda edizione, Zanichelli Bologna, p.533 (2) Ferdinando Mantovani, Diritto Penale, parte generale, CEDAM, 1992, p.811 (3) Ibidem, p.727-728 (4) Cfr. p.736 (5) M. Pavarini, Studi di teoria della pena e del controllo sociale, Oltre il panopticon a cura di D. Melossi, Università di Bologna, 1985, p. 112 (6) Michel Foucault, Sorvegliare e punire, Torino, Einaudi Paperbacks,1976, p. 267 (7) Ibidem, p 271 (8) Ibidem, p. 274- 275
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trasformazione "utile" del detenuto nel corso della condanna». (6) Quindi tenere in considerazione l'iter trattamentale del condannato e la
agire, sulla base delle conoscenze acquisite, direttamente sulle cause che hanno determinato il delitto. Concludo ricordando ciò che ebbero
(9) G. Rusche- O. Kirchheimer, Pena e struttura sociale, Il Mulino, Bologna, p.336
le recensioni
a cura di Erremme rivista@sappe.it
Cristiano Scardella
FUORI DALLA GABBIA. Il paradigma di una giustizia capace di uccidere BONFIRRARO Edizioni pagg. 272 - euro 17,90 uesto libro è un pugno nello stomaco. Perché racconta della morte in carcere di Aldo Scardella, trovato impiccato nella sua cella di isolamento del carcere di Buoncammino il 2 luglio 1986 dopo 185 giorni di detenzione. Perché a scriverlo è il fratello, Cristiano, che con lucidità e senza farsi coinvolgere troppo dalla pur comprensibile sensibilità pretende che Aldo venga riconosciuto vittima di un’ingiustizia. Perché gli autori del reato per cui Aldo Scardella venne arrestato (l’omicidio del proprietario di una ditta di vendita all’ingrosso di bibite) hanno ammesso, a distanza di anni, che quel ragazzo non c’entrasse nulla. Perché la giustizia, in questa vicenda, con quel che scrive Cristiano, sarebbe stata “capace di uccidere”.
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Antonio G. D’Errico
CAMORRA. Confessioni inedite di Mario Perrella, boss pentito del rione Traiano di Napoli ANORDEST Edizioni pagg. 192 - euro11,90 na storia di malavita e di malaffare che si legge come fosse un romanzo. D’Errico racconta la storia di Mario Perrella, che sceglie di raccontarsi attraverso le parole della moglie Cristiana. Donna non estranea alle vicende di camorra. Le cronache raccontano che quando entrò nella “famiglia” di Rione Traiano diventando la compagna del boss Mario Perrella, invece di un anello o di un collier,
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ebbe in regalo una pistola. Con l’arma in pugno, Cristina Pinto ha partecipato almeno a tre agguati, ha organizzato le spedizioni contro i nemici del suo temutissimo amante, ha procurato altre armi, ha curato per il suo uomo la base logistica di alcuni dei più cruenti attentati di camorra. E’ la prima donna killer di Malanapoli. Perrella già nel 1980 era considerato un vero capo nell’area flegrea che fino al 1985 non era “schematicamente” divisa in tante organizzazioni in lotta e la “regia” era nelle mani di un boss scaltro come Antonio Malventi. Un ruolo di peso, dunque, nella camorra e nella malavita napoletana. Che sfocerà nel pentimento e nella collaborazione con lo Stato. E poi ancora in un nuovo arresto. Queste sue confessioni inedite offrono uno spaccato nuovo, ancorchè inquietante, su vasti strati della delinquenza campana.
Pino Pelloni
FEDIFRAGHI. Grandi orizzonti e farfalloni amorosi IRIS Edizioni pagg. 143 - euro 15,50 ultimo, in ordine di tempo, dovrebbe essere stato il Presidente della Repubblica Francese, François Gérard Georges Nicolas Hollande. Ma prima di lui tantissimi (e tantissime) sono stati i grandi protagonisti della storia finiti al centro del pettegolezzo per il tradimento del coniuge. Ne parla e ne scrive in questo agile libro Pino Pelloni, giornalista e scrittore, che li raggruppa in due catefgorie volutamente disordinate: le grandi orizzontali e i farfalloni amorosi. Nomi del livello di Virgina Woolf, Caterina II, Albert Einstein, Niccolò Paganini, Emilienne d’Alençon, Colette, Stalin, Aleksandr Puškin, George Sand, Elisabetta I, Anatole France, Hedy Lamarr, Richard Wagner, Joséphine Baker, Giuseppina Bonaparte. A confermare che il legame che unisce tra sesso, lussuria
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e potere è più saldo di quel che si pensi.
Nicola Rao
TRILOGIA DELLA CELTICA SPERLING & KUPFER Edizioni pagg. 1.070 euro 19,90
“T
rilogia della celtica” raccoglie, in un unico volume con aggiornamenti e nuovo materiale, i tre libri bestseller di Nicola Rao dedicati al neofascismo italiano: “La fiamma e la celtica”, “Il sangue e la celtica”, “Il piombo e la celtica”. Un’indagine capillare e insuperata, condotta sulla base di fonti di prima mano e spesso inedite, sulla galassia nera, nelle sue varie sfaccettature. Il racconto politico del neofascismo si giustappone alla storia in armi degli anni Sessanta e Settanta: dalla stagione della eversione e dello stragismo allo spontaneismo armato, segnato soprattutto dalla parabola dei Nar di Valerio Fioravanti. Ne emerge un ritratto in movimento, animato da personaggi e storie, che prende le mosse dalla cronaca, per toccare punti nevralgici e irrisolti della storia d’Italia. “Trilogia della celtica” è un’immersione in apnea nel profondo nero: una grande narrazione costruita con le voci del nostro passato per capire il presente. H
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inviate le vostre foto a rivista@sappe.it
A fianco: 1965 Venezia, Piazza S. Marco Rassegna Militare (foto inviata da Filomeno Porcelluzzi) a fianco: 1984 Scuola AA.CC. di Ercolano (NA) 86° Corso (foto inviata da Giovanni Dolciamore) a destra in alto 1970 (circa) C.R. Asinara (foto inviata da Rosa Cirone) a destra in basso 1978 Scuola AA.CC. di Cassino (foto inviata da Silvestro Simeone)
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eravamo cosĂŹ
eravamo così
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Sopra: 1988 Scuola AA.CC. di Parma Giuramento in città del 101° corso (foto inviata da Antonio Buttaro) A fianco: 1972 Scuola AA.CC. di Cairo M. (SV) (foto inviata da Riccardo Sedda) a sinistra: 1978 Casa Circondariale Le Nuove di Torino (foto inviata da Francesco Nitto) A fianco 1988 Scuola AA.CC. di Parma Cresima 101° Corso (foto inviata da Antonio Buttaro)
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l’ultima pagina
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Genova Incontro con due grandi Campioni del Corpo di Polizia Penitenziaria
I
l Delegato sindacale del Sappe di Genova Marassi, Sabatino De Rosa, ha incontrato a Marcianise due pugili campani, vincitori rispettivamente, di una medaglia
d’Argento e di una Bronzo alle ultime Olimpiadi di Londra: le stelle delle Fiamme Azzurre Clemente Russo e Vincenzo Mangiacapre. H
il mondo dell’appuntato Caputo Sogno di una notte di mezza primavera di Mario Caputi e Giovanni Battista de Blasis © 1992-2014
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